N. 407 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 agosto 2010
Ordinanza del 20 agosto 2010 emessa dalla Corte d'appello di Brescia nel procedimento civile promosso da R.M. contro C.A.. Filiazione naturale - Riconoscimento del figlio naturale minore di sedici anni gia' riconosciuto da un genitore - Rifiuto di consenso opposto da quest'ultimo - Procedimento diretto ad ottenere sentenza che tenga luogo del consenso mancante - Nomina di un curatore speciale al minore, affinche' sia "autonomamente rappresentato e difeso in giudizio" - Esclusione in base alla giurisprudenza di legittimita' (secondo cui il minore infrasedicenne non assume qualita' di parte) - Denunciata lesione del diritto fondamentale all'identita' sociale - Ingiustificata disparita' di trattamento rispetto al minore ultrasedicenne (che puo' negare il proprio assenso al secondo riconoscimento) - Violazione del diritto di difesa, della tutela giuridica dei figli nati fuori dal matrimonio, della tutela dell'infanzia e della gioventu', nonche' del diritto al giusto processo nel pieno e paritario contraddittorio delle parti. - Codice civile, art. 250. - Costituzione, artt. 2, 3, 24, 30, 31 e 111.(GU n.2 del 12-1-2011 )
LA CORTE DI APPELLO Letto il reclamo proposto da M.R. avverso la sentenza del Tribunale per i minorenni di Brescia in data 7-27 luglio 2009, n. 132, letta la comparsa di costituzione di A.C. Visto il parere del Procuratore generale, a scioglimento della riserva formulata all'udienza del 2 luglio 2010, ha pronunciato la seguente ordinanza. Osservato che: che il Tribunale per i minorenni di Brescia, con sentenza n. 132/09 del 7-27 luglio 2009 ha autorizzato A.C. al riconoscimento della figlia minore A.R., «... anche nel dissenso della madre di questa, R.M.»; che il T.M. ha motivato la decisione assumendo che non erano emersi a carico di A. C. elementi negativi tali da giustificare il rigetto della domanda, essendo egli: «..persona priva di connotazioni pregiudizievoli per la figlia A., con potenzialita' genitoriali normali» ed avendo frequentato la minore: «..sin dalla nascita, insieme con i parenti del ramo paterno...sia pure con cadenza quindicinale», inoltre considerato che: «..pur avendo sofferto in passato di problemi di tossicodipendenza, ha intrapreso presso varie comunita' idonei percorsi terapeutici che da anni gli hanno consentito di superare il problema della droga; similmente, da anni egli si fa seguire con regolarita' presso il CPS territoriale in relazione ai suoi problemi di depressione e ansia e la sua situazione mentale e' in condizione di compenso... ». Ha osservato, ancora, che M. R., non aveva saputo addurre altre ragioni di opposizione al riconoscimento della figlia se non quelle della sua inaffidabilita', del positivo rapporto esistente tra la minore ed il suo nuovo marito e l'essere stata palesata la sua intenzione di riconoscere E, solo dopo che gli era stato comunicato che il marito voleva adottarla. Ha ritenuto il T.M. che il detto nuovo rapporto genitoriale, pur «vitale e prezioso» per la bambina, non poteva costituire un valido motivo per eliminare la figura del vero padre, la cui immagine - pur affievolita - ancora permaneva, tanto che la bimba chiamava «papa'» entrambi gli uomini, nonostante che da ultimo i rapporti quindicinali con il padre naturale si fossero interrotti per: « ...dissapori insorti con i parenti paterni a seguito della volonta' di procedere all'adozione speciale da parte del D. , (il relativo procedimento e' gia' stato proposto ed e' sospeso una volta accertata la proposizione del presente ricorso) ... e quindi, in sostanza, di sostituire la figura paterna e semplificare la situazione familiare..» (cfr. ibidem); che M.R. ha tempestivamente impugnato la sentenza chiedendone l'integrale riforma ed il rigetto della domanda. In via istruttoria, ha chiesto c.t.u. per valutare l'effettiva capacita' genitoriale di A.C., ed una indagine psico-sociale e familiare relativamente allo stato di vita della piccola A. , necessaria per giudicare circa il suo interesse al riconoscimento del padre naturale. Ha censurato la sentenza osservando: 1) che A. C. si era disinteressato dalla nascita della figlia; 2) che, ancora oggi; era dedito all'uso di sostanze stupefacenti (con ricoveri presso centri di recupero dalla tossicodipendenza, San Patrignano) con conseguenti problemi con la giustizia penale; 3) che le rare visite di A.C. ed E., erano avvenute: «..solo dietro sollecitazione dei di lui familiari» e sempre e solo alla presenza degli stessi; 4) che A.C. percepiva pensione di invalidita' per la sua situazione psichiatrica; 5) che essa aveva iniziato a frequentare il marito S.D.C. dal 2002, allorche' A. aveva solo «sei mesi», e che il medesimo nel tempo era divenuto il genitore di riferimento della figlia; 6) che aveva sposato S.D.C., nel luglio 2007 e che, immediatamente questi, appena un mese dopo, aveva in data 1º agosto 2007 presentato istanza «di adozione» di A. presso il competente T.M. di Brescia (proc. n. 380/07 R.G. D.A.); 7) che l'intenzione di adottare la minore era maturata dal 2004, tanto che il marito aveva a tale fine effettuato plurimi colloqui volontari presso il Consultorio familiare di D., ottenendo dagli operatori «parere favorevole» per il profondo suo attaccamento alla piccola e l'affetto manifestatogli profondamente dalla stessa; 8) che la figlia viveva inserita in uno stabile nucleo familiare e che il riconoscimento della paternita' chiesto da A.C., ben dopo otto anni dalla nascita di E., mirava solo ad impedirne l'adozione; 9) che il T.M. non aveva tenuto in considerazione gli effetti che sulla minore avrebbe prodotto il detto riconoscimento, ne' i conflitti tra nuclei familiari, ne' la necessita' di prevedere un intervento di accompagnamento e di sostegno della figlia, oltre che del padre naturale per le di lui condizioni di salute psichica, non avendo a tale fine nemmeno ammesso la pur richiesta c.t.u., che mirava a valutare anche le capacita' genitoriali dello stesso e la situazione di A., che viveva serenamente con famiglia ed il nuovo fratellino e che all'interno della stessa aveva avuto una crescita equilibrata, maturandovi: «...una precisa ed infungibile identita' individuale sociale, anche per non essere posta in una posizione differenziata e deteriore rispetto a quella del fratellino», interesse questo che non era certamente «non di scarsa consistenza o genericamente indeterminato», come invece erroneamente reputato dal T.M. di Brescia; A.C., costituitosi, ha chiesto il rigetto del gravame deducendo che la sua paternita' naturale non era mai stata contestata da M.R., ed evidenziando che la stessa, «da sola», aveva voluto concepire un figlio nonostante che la loro relazione sentimentale si fosse conclusa gia' nel giugno 2001 e, a tale scopo, aveva affermato di «prendere la pillola» ed aveva nascostogli la gravidanza essendo grassa. Ha evidenziato di avere per cinque anni visto la figlia unitamente ai propri familiari (madre, due sorelle, fratello celibe e nipoti) anche dopo l'inizio della convivenza della R. con il nuovo compagno, visite che erano cessate solamente nell'aprile del 2007 a seguito di un diverbio tra la R. e sua sorella, nel corso del quale era venuto a conoscenza dell'intenzione del compagno (dopo il matrimonio) di adottare la piccola, matrimonio che era avvenuto tre mesi dopo e che aveva avuto come scopo solo quello di potere effettuare l'adozione della minore. Affermava che l'interruzione dei suoi rapporti con la figlia era stata voluta dalla madre per «modificare lo status della figlia» con l'adozione e semplificare le relazioni familiari. Evidenziava di essere stato costretto ad agire ex art. 250 c.c., avendogli M.R. negato l'assenso necessario al riconoscimento e che non aveva mai voluto mettere a repentaglio la serenita' e la sicurezza della figlia ne' aveva mai interferito nella sua routine di vita nel nuovo nucleo familiare, composto oltre che dalla madre, dal fratellino e dal «papa'» Stefano. Affermava di non avere intenzione di richiedere l'aggiunta del proprio cognome al cognome materno assegnato alla figlia dalla nascita e di avere sempre riconosciuto il preminente ruolo di M.R. - nonche' di essere consapevole dei «propri limiti» e volere solo il mantenimento dell'originario accordo esistente circa la sua paternita' naturale. Assumeva che sussisteva l'interesse della minore all'accertamento del rapporto di filiazione, interesse che secondo la giurisprudenza di legittimita' costituiva: «...un diritto soggettivo di natura primaria tutelato al massimo livello con l'art. 30 della Costituzione, entro i limiti di cui all'art. 250 del codice civile il cui comma quarto prevede che il consenso del genitore che per primo ha riconosciuto il minore non puo' essere rifiutato ove il riconoscimento risponda all'interesse del figlio. Il diritto soggettivo del genitore naturale non si pone in contrasto con l'interesse del minore, ma come misura ed elemento di definizione dello stesso, che e' segnato dal complesso dei diritti che al minore derivano dal riconoscimento e, in particolare, dal diritto all'identita' personale nella sua integrale e precisa dimensione psicofisica, a prescindere dal mancato riscontro di un interesse effettivo e concreto (presente o futuro) del minore al secondo riconoscimento» (Cass. 3 luglio-3 gennaio 2008, n. 4) e affermava che doveva essere valutato: «...prescindendo da eventuali conflitti con l'altro genitore e tenendo bene a mente che la tutela dei diritti allo status ed alla identita' biologica trova la sua piu' alta espressione nella salvaguardia della bi genitorialita'»; il P.G. ha chiesto l'accoglimento del gravame; questa Corte di appello, con ordinanza del 15 gennaio 2010, ha invitato le parti a prendere posizione sulla necessita' dell'intervento in causa di un curatore «a tutela degli interessi della minore»; all'odierna udienza M.R. ha chiesto rimettersi gli atti alla Corte costituzionale con sospensione del giudizio mentre A. C. si e' rimesso alla decisione della Corte; Rilevato che: ai sensi dell'art. 250 c.c. il figlio naturale puo' essere riconosciuto (nei modi previsti dall'art. 254 c.c.) da ciascuno dei due genitori, anche se gia' uniti in matrimonio con altra persona all'epoca del concepimento, sia congiuntamente che separatamente. Il riconoscimento, tuttavia, se il minore ha gia' compiuto i sedici anni non produce effetto «senza il suo assenso», diversamente dal caso in cui il figlio minore sia infra-sedicenne, ove non opera solamente se non vi e' «il consenso dell'altro genitore» che lo rappresenta, e che, in tale ultima ipotesi, il quarto comma della norma comunque dispone che il consenso: «...non puo' essere rifiutato ove il riconoscimento risponda all'interesse del figlio. Se vi e' opposizione, su ricorso del genitore che vuole effettuare il riconoscimento, sentito il minore in contraddittorio con il genitore che si oppone e con l'intervento del pubblico ministero, decide il tribunale con sentenza che, in caso di accoglimento della domanda, tiene luogo al consenso mancante»; nel giudizio instaurato ai sensi del quarto comma dell'art. 250 c.c., tuttavia e' principio costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimita' che il figlio naturale, non ancora sedicenne, non assuma la qualita' di «parte», motivo: «...per cui non e' necessaria la nomina di un curatore speciale...» e che: «...inoltre, posto che la prescrizione concernente l'audizione del minore e' rivolta a soddisfare l'esigenza di accertare se il rifiuto del consenso dell'altro genitore, che per primo abbia proceduto al riconoscimento, risponda o meno all'interesse del figlio, tale audizione puo' essere disposta anche d'ufficio, col solo limite dell'incapacita' del minore, per eta' o altra causa, di affrontare l'esame e di rispondere coerentemente alle domande. Il giudice ha l'obbligo di esporre le ragioni che hanno impedito l'incombente solo se il relativo adempimento sia stato a lui richiesto o il mancato ascolto sia stato eccepito ed il vizio procedurale dipendente dalla mancata audizione del minore non e' rilevabile d'ufficio, ma deve essere eccepito dalla parte» (in tal senso cfr. Cass. 11 gennaio 2006 n. 395, in argomento velasi anche Cass. n. 3180 del 1982, Cass. n. 11263 del 1994, Cass. n. 6784 del 2000, Cass. 6470 del 2001, Cass. n. 14934 del 2004 e Cass. n. 21359 del 2004), venendo ancora precisato dalla S.C. che il riconoscimento del figlio naturale, gia' riconosciuto da un genitore, costituisce: «oggetto di un diritto soggettivo dell'altro genitore», il quale: «...non si pone in termini di contrapposizione con l'interesse del minore, ma come misura ed elemento di definizione dello stesso, che e' segnato dal complesso dei diritti che al minore derivano dal riconoscimento e, in particolare, dal diritto all'identita' personale, inteso come diritto ad una genitorialita' piena e non dimidiata» (Cass. 3. novembre 2004 n. 21088); Reputato, che: se non puo', invero, essere posto in dubbio che il diritto al riconoscimento del figlio naturale «gia' riconosciuto» costituisca per l'altro genitore un diritto soggettivo costituzionalmente garantito dall'art. 30 Cost. entro i limiti normativi indicati (art. 250 c.c.), parimenti non puo' essere negato che sia necessario riconoscere anche al minore infra-sedicenne, in caso di opposizione dell'altro genitore, «piena tutela» dei suoi preminenti personalissimi diritti ed interessi, tutela che puo' essere in concreto attuata solo e soltanto se l'interessato sia «autonomamente rappresentato e difeso in giudizio»; e che questo diritto, non soltanto e' garantito dai principi costituzionali di protezione dell'infanzia, del giusto processo e di diritto di difesa (artt. 24, 30 terzo comma, 31 e 111 Cost.), ma e' altresi' affermato nella Convenzione dei diritti del fanciullo di New York del 20 novembre 1989 (ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991 n. 176) e nella Convenzione Europea di Strasburgo del 25 gennaio 1996 (ratificata e resa esecutiva con legge 2 marzo 2003 n. 77); Osservato, altresi', che: il diritto del minore alla «piena tutela» dei suoi personalissimi diritti ed interessi e' riconosciuto dal legislatore in altre ipotesi normative, ove sono state predisposte a sua garanzia specifiche forme di difesa in giudizio ovvero la nomina di peculiari figure a sua tutela, come nel caso: di riscontrato contrasto tra figli legittimi e genitori (o quello che esercita in via esclusiva la potesta'), ove e' previsto che: «...non possano o non vogliano compiere uno o giu' atti nell'interesse del figlio, eccedente l'ordinaria amministrazione, il giudice ... omissis ... puo' nominare al figlio un curatore speciale autorizzandolo al compimento di tali atti...» (art. 321 c.c.); di nomina da parte del giudice, per l'esperimento dell'azione di disconoscimento della paternita' ex art. 244 c.c., di un «curatore speciale» richiesta su istanza del figlio minore che ha compiuto i sedici anni o del pubblico ministero per minori di eta' inferiore; di procedimento di decadenza della potesta' sui figli, ovvero di reintegrazione della stessa o di condotta del genitore, nonche' di rimozione o riammissione dell'amministrazione del patrimonio del minore (artt. 330, 332, 333, 334, 335 c.c.), ove il legislatore ha espressamente previsto che il minore: «sia assistito da un difensore» (comma quarto aggiunto all'art. 336 c.c. dall'art. 37, comma terzo, della legge 28 marzo 2001 n. 149); di impugnazione da parte del «riconosciuto» ai sensi dell'art. 264 c.c. nel quale il giudice puo' dare l'autorizzazione a: «... impugnare il riconoscimento nominando un curatore speciale», potendo poi, nel corso del giudizio susseguente, essere adottati anche ai sensi dell'art. 268 e ss. c.c. tutti i provvedimenti reputati «opportuni nell'interesse del minore»; di giudizio per la dichiarazione di adottabilita', ove l'art. 17, comma secondo, della legge 4 maggio 1983 n. 184 gia' prevedeva che nel giudizio di opposizione avverso il provvedimento sullo stato di adottabilita' venisse nominato dal presidente del tribunale per i minorenni «...un curatore speciale al minore», previsione ora confermata dall'art. 14 della legge modificativa 28 marzo 2001 n. 149; Osservato: quanto alle motivazioni in ordine alla «rilevanza» dell'incidente nel caso oggetto del giudizio, che la stessa appare evidente considerato: che, benche' sia stato oggetto di accertamento «in primo grado» l'autonomo e personale interesse (art. 250 c.c.) della piccola A.R., di anni otto, ad essere riconosciuta dal preteso genitore in contrasto con la ferma opposizione della madre naturale (che l'aveva gia' riconosciuta alla nascita), non si e' provveduto in tale sede alla nomina di un «curatore speciale» onde tutelare la minore ed assicurarle un'autonoma difesa processuale, non essendo essa stata ritenuta «parte» del processo conformemente a consolidata giurisprudenza; che il riconoscimento autorizzato dal Tribunale dei minori e' ora oggetto di riesame a seguito del gravame promosso dall'altro genitore, cui ha aderito il P.G. (che ha chiesto la riforma della sentenza), giudizio nel quale resiste il padre (che ha ottenuto l'autorizzazione al riconoscimento); che in questo grado di appello non puo' per la prima volta essere nominato alla minore E. un «curatore speciale» a tutela del suo esclusivo e personale interesse, posto che avrebbe dovuto necessariamente partecipare al giudizio sin dal suo insorgere e non essendo possibile, secondo la detta dominante giurisprudenza (sopra richiamata) considerarla «parte» processuale, fatto che preclude la possibilita' ex art. 354 c.p.c. di rimettere gli atti al giudice di primo grado previa dichiarazione della necessita' di integrazione del contraddittorio; che, in conseguenza, e' preclusa in grado di appello la possibilita' della nomina di un curatore alla minore e permane il coattivo suo «silenzio» in causa oltre che l'impossibilita' di una autonoma «autodifesa» del figlio minore non ancora sedicenne; che, per tali ragioni, appare pregiudiziale la preventiva decisione sulla conformita' al dettato costituzionale della norma di cui si discute; Ritenuto, per tali ragioni tutte: sussistere dubbi di incostituzionalita' dell'art. 250 c.p.c. per la mancata previsione per il figlio infra-sedicenne di adeguate forme di «tutela» dei suoi preminenti personalissimi diritti, nella specie di autonoma rappresentazione e difesa in giudizio, diritti costituzionalmente garantiti, e per il contrasto della disposizione normativa con: a) l'art. 2 della Costituzione, per violazione del diritto, annoverato fra quelli fondamentali, all'identita' sociale; b) l'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo dell'ingiustificata disparita' di trattamento del minore infra-sedicenne figlio rispetto a quello previsto per il sedicenne gia' riconosciuto da uno dei genitori (cui e' riconosciuto il potere di impedire il detto riconoscimento negando il «proprio» assenso); c) l'art. 24 della Costituzione, per violazione del principio del diritto di difesa; d) l'art. 30, terzo comma, della Costituzione, per violazione della tutela giuridica assicurata in ogni caso dalla legge ai figli nati fuori dal matrimonio; e) dall'art. 31, secondo comma, della Costituzione, in quanto il figlio infra-sedicenne, senza autonoma tutela e difesa, per effetto di un riconoscimento inveritiero, potrebbe «da subito» venire assoggettato ad un riconoscimento non veritiero o, comunque, non nel suo interesse e prima ancora di poter esperire l'impugnazione ex art. 264 c.c. ed ottenere - per legge - in tale giudizio la nomina di un curatore «speciale» ed ogni altro provvedimento opportuno nel suo interesse; f) dall'art. 111 della Costituzione, per violazione del diritto al giusto processo, nel pieno e paritario contraddittorio tra tutte le parti interessate.
P.Q.M. Visto l'art. 23 della legge costituzionale n. 87 del 1953; Sospende il processo; Rimette alla Corte costituzionale la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 250 c.c. per contrasto con gli artt. 2, 3, 24, 30, 31 e 111 Cost.; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la sospensione del presente giudizio. Manda alla cancelleria per la notifica della presente ordinanza alle parti, al Presidente del Consiglio dei ministri e per la comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato. Brescia, addi' 2 luglio 2010 Il Presidente: Pianta