N. 1 SENTENZA 16 dicembre 2010- 5 gennaio 2011

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Previdenza  -  Pensioni  di   reversibilita',   sorte   a   decorrere
  dall'entrata in vigore della legge n.  335  del  1995,  corrisposte
  dall'INPDAP a favore di coniuge superstite di titolare di  pensione
  diretta - Misura dell'indennita'  integrativa  speciale  mensile  -
  Eccepita   inammissibilita'   della    questione    per    asserita
  contraddittorieta' della motivazione - Reiezione. 
- Legge 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, commi 774, 775 e 776. 
- Costituzione, artt. 111 e 117, primo comma; Convenzione europea dei
  diritti dell'uomo (CEDU), art. 6. 
Previdenza  -  Pensioni  di   reversibilita',   sorte   a   decorrere
  dall'entrata in vigore della legge n.  335  del  1995,  corrisposte
  dall'INPDAP a favore di coniuge superstite di titolare di  pensione
  diretta - Indennita'  integrativa  speciale  mensile  -  Previsione
  dell'attribuzione nella stessa misura stabilita per il  trattamento
  di reversibilita',  anziche'  in  misura  piena,  indipendentemente
  dalla data di decorrenza  della  pensione  diretta.  Salvezza,  con
  riassorbimento sui futuri miglioramenti, dei soli trattamenti  piu'
  favorevoli gia' definiti in sede contenziosa e non anche quelli  in
  corso di definizione - Asserita violazione dei principi del  giusto
  processo e dei vincoli derivanti dalla  CEDU  -  Esclusione  -  Non
  fondatezza della questione. 
- Legge 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, commi 774, 775 e 776. 
- Costituzione, artt. 111 e 117, primo comma; Convenzione europea dei
  diritti dell'uomo (CEDU), art. 6. 
(GU n.2 del 12-1-2011 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Ugo DE SIERVO; 
Giudici: Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco
  GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano  SILVESTRI,  Sabino  CASSESE,  Maria
  Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe
  FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                              Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'articolo  1,  commi
774, 775 e 776 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -  legge
finanziaria  2007),  promosso  dalla  Corte   dei   conti -   Sezione
giurisdizionale centrale  d'appello  nel  procedimento  vertente  tra
Lascala Renata e l'I.N.P.D.A.P. con ordinanza del  16  novembre  2009
iscritta al n. 72 del registro  ordinanze  2010  e  pubblicata  nella
Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  12,  1ª  serie  speciale,
dell'anno 2010. 
    Visto l'atto di costituzione dell'I.N.P.D.A.P.; 
    Udito nell'udienza  pubblica  del  19  ottobre  2010  il  giudice
relatore Paolo Maddalena; 
    Udito l'avvocato Filippo Mangiapane per l'I.N.P.D.A.P. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Con ordinanza del 16 novembre 2009, la  Corte  dei  conti  -
Sezione  giurisdizionale  centrale  d'appello,   ha   sollevato,   in
riferimento agli articoli 111 e 117 della Costituzione, questione  di
legittimita' costituzionale dell'articolo 1, commi 774,  775  e  776,
della legge 29 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la  formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  -  legge  finanziaria
2007), «nella parte in cui - interpretando l'art. 1, comma 41,  della
legge 8 agosto 1995, n.  335,  nel  senso  che  per  le  pensioni  di
reversibilita' sorte a decorrere dall'entrata in vigore della legge 8
agosto 1995,  n.  335,  l'indennita'  integrativa  speciale  gia'  in
godimento da  parte  del  dante  causa  e'  attribuita  nella  misura
percentuale  prevista   per   il   trattamento   di   reversibilita',
indipendentemente dalla data di decorrenza della pensione diretta,  e
abrogando il comma 5 dell'art. 15 della legge 23  dicembre  1994,  n.
724 - fanno  salvi,  con  riassorbimento  sui  futuri  miglioramenti,
soltanto i trattamenti pensionistici piu' favorevoli gia' definiti, e
non anche quelli in corso di definizione, in sede di contenzioso». 
    1.1. - Secondo quanto evidenziato dal rimettente, Lascala Renata,
ricorrente  nel  giudizio  a  quo,  e'  titolare   di   pensione   di
reversibilita' a  decorrere  dal  1°  febbraio  2003,  quale  coniuge
superstite di Caruso Ugo, pensionato pubblico dal 1°  dicembre  1991,
ed alla medesima e' stata liquidata  la  pensione  di  reversibilita'
nella  misura  del  sessanta  per  cento  unitamente   all'indennita'
integrativa speciale (I.I.S.) nella stessa misura. 
    La pensionata ha, quindi, proposto ricorso dinanzi alla Corte dei
conti - Sezione giurisdizionale per la Regione Calabria  al  fine  di
ottenere   il   riconoscimento   del   diritto   alla    liquidazione
dell'indennita' integrativa speciale (I.I.S.) in misura intera, «come
assegno accessorio da  corrispondersi  separatamente  dalla  pensione
base», secondo l'interpretazione dell'art. 15, comma 5,  della  legge
23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione  della  finanza
pubblica), data dalle Sezioni riunite della Corte dei  conti  con  la
pronuncia di massima n. 8/QM del 17 aprile 2002. Il giudice di  primo
grado ha, invece, respinto il ricorso,  applicando  l'art.  1,  comma
774, della legge n. 296 del 2006, «che ha fornito una interpretazione
autentica della normativa opposta a quella delle Sezioni riunite». 
    Il giudice a quo e', dunque,  chiamato  a  decidere  sull'appello
proposto dalla pensionata avverso la  anzidetta  negativa  decisione;
appello con il quale  e'  stata  eccepita  l'incostituzionalita'  dei
commi 774, 775 e 776 dell'art. 1 della legge n. 296 del 2006. 
    1.2. - Cio' evidenziato, il  rimettente  rammenta  quale  sia  il
quadro normativo e giurisprudenziale in cui viene ad  inscriversi  la
disciplina oggetto del dubbio  di  costituzionalita',  rilevando  che
l'art. 15 della legge n. 724 del 1994, al comma 3, ha stabilito,  dal
1°  gennaio  1995  ed  in  attesa  «dell'armonizzazione  delle   basi
contributive  e  pensionabili   previste   dalle   diverse   gestioni
obbligatorie dei settori pubblico e privato», che le  pensioni  delle
forme  esclusive  dell'assicurazione  generale  obbligatoria  vengono
determinate «sulla base degli  elementi  retributivi  assoggettati  a
contribuzione, ivi compresa l'indennita' integrativa speciale, ovvero
l'indennita' di contingenza, ovvero l'assegno per il costo della vita
spettante»;  aggiungendo,  al  comma  4,  che   la   pensione   cosi'
determinata  e'  «reversibile,  con  riferimento  alle  categorie  di
superstiti aventi diritto, in base all'aliquota in vigore nel  regime
dell'assicurazione  generale  obbligatoria  per   l'invalidita',   la
vecchiaia e i superstiti». Precisa, pero', il rimettente che il comma
5 dello stesso art. 15 ha previsto che «le disposizioni relative alla
corresponsione della indennita' integrativa speciale sui  trattamenti
di pensione previste dall'art. 2 della legge 27 maggio 1959, n.  324,
e  successive  modificazioni  ed   integrazioni,   sono   applicabili
limitatamente alle pensioni dirette liquidate  fino  al  31  dicembre
1994 e alle pensioni di reversibilita' ad esse riferite». 
    A sua volta - argomenta ancora il giudice a  quo  -  la  legge  8
agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e
complementare), al comma 41 dell'art. 1, ha disposto  l'estensione  a
tutte le forme esclusive o  sostitutive  dell'assicurazione  generale
obbligatoria (A.G.O.) della disciplina del trattamento  pensionistico
prevista, per l'appunto,  nel  regime  di  A.G.O.,  facendo  salvi  i
trattamenti previdenziali piu' favorevoli in godimento alla  data  di
entrata in vigore della stessa legge n. 335, «con riassorbimento  sui
futuri miglioramenti». 
    Il rimettente ricorda  che  una  «giurisprudenza  minoritaria  ha
interpretato questa disposizione, in quanto contenuta in una legge di
riforma organica del sistema pensionistico come abrogativa  dell'art.
15, comma 5, della legge n.  724  del  1994,  che  la  giurisprudenza
prevalente, al contrario, ha ritenuto ancora  vigente,  dato  il  suo
carattere di norma transitoria e, come tale, non confliggente con  la
disciplina  generale».  La  medesima  prevalente  giurisprudenza  ha,
peraltro, affermato che l'indennita' integrativa speciale  in  misura
intera  (secondo  la  legge  27  maggio   1959,   n.   324,   recante
«Miglioramenti economici al personale  statale  in  attivita'  ed  in
quiescenza») trovava applicazione  alle  pensioni  dirette  liquidate
entro il 31 dicembre 1994, «pur  se  le  corrispondenti  pensioni  di
riversibilita' siano liquidate dopo tale data». 
    In tale quadro, precisa il giudice  a  quo,  le  Sezioni  riunite
della Corte dei conti, alle quali era  stata  devoluta  questione  di
massima, «con sentenza n. 8/QM del 17 aprile 2002, hanno  abbracciato
la tesi maggioritaria, dichiarando che  "in  ipotesi  di  decessi  di
pensionato, titolare di trattamento di riposo, liquidato prima del 31
dicembre 1994, il consequenziale trattamento di  reversibilita'  deve
essere in ogni caso liquidato secondo le norme di  cui  all'art.  15,
comma 5, della legge 23  dicembre  1994,  n.  724,  indipendentemente
dalla data della morte del dante causa. L'art. 1 comma 41 della legge
8 agosto 1995, n. 335 non ha effetto abrogativo dell'art. 15, comma 5
della legge 23 novembre 1994, n. 724"». 
    Nel delineato contesto, prosegue il rimettente, e' intervenuto il
legislatore con la disciplina denunciata, prevedendo, al  comma  774,
che l'estensione di disciplina operata a suo tempo dall'art. 1, comma
41, della legge n. 335 del 1995, «si interpreta nel senso che per  le
pensioni di reversibilita' sorte a decorrere dall'entrata  in  vigore
della legge 8 agosto 1995. n. 335, indipendentemente  dalla  data  di
decorrenza della pensione diretta, l'indennita' integrativa  speciale
gia' in godimento da parte del  dante  causa,  parte  integrante  del
complessivo trattamento pensionistico percepito, e' attribuita  nella
misura percentuale prevista per il trattamento di reversibilita'». Si
e', poi, stabilito, al comma 775, la salvezza  dei  trattamenti  piu'
favorevoli «in  godimento  alla  data  di  entrata  in  vigore  della
presente  legge,  gia'  definiti  in   sede   di   contenzioso,   con
riassorbimento  sui  futuri  miglioramenti  pensionistici».  Si   e',
infine, provveduto, al comma 776, all'abrogazione dell'art. 15, comma
5, della legge 23 dicembre 1994, n. 724. 
    Ad avviso del rimettente, la normativa del  2006,  «presentandosi
espressamente come interpretazione autentica, e quindi con  efficacia
retroattiva, dell'art. 1, comma 41, della legge  8  agosto  1995,  n.
335»,  avrebbe  impedito  al  giudice  delle  pensioni   di   seguire
l'interpretazione fornita dalle Sezioni riunite del  2002;  peraltro,
la Corte costituzionale, con sentenza n. 74 del 2008,  ha  dichiarato
non fondati i dubbi di costituzionalita' prospettati sui citati commi
774-776, «ritenendo la ragionevolezza delle norme in  questione,  che
non potevano non tener conto "anche delle esigenze di bilancio"». 
    Con cio', prosegue ancora il giudice a  quo,  la  «giurisprudenza
prevalente della Corte dei conti ha di conseguenza ritenuto  superata
e percio' ha disatteso la pronuncia di massima delle Sezioni riunite,
proprio in applicazione all'art. 1, commi 774-776, della legge n. 296
del 2006». Tuttavia, a seguito dell'articolo 42 della legge 18 giugno
2009,  n.  69   (Disposizioni   per   lo   sviluppo   economico,   la
semplificazione, la competitivita' nonche'  in  materia  di  processo
civile), integrativo dell'articolo 1, comma 7, del d.l.  15  novembre
1993, n. 453 (Disposizioni in materia di  giurisdizione  e  controllo
della Corte dei conti), convertito, con modificazioni, nella legge 14
gennaio 1994, n. 19 (Conversione in  legge,  con  modificazioni,  del
decreto-legge 15 novembre  1993,  n.  453,  recante  disposizioni  in
materia di giurisdizione e  controllo  della  Corte  dei  conti),  la
sezione giurisdizionale, centrale o regionale,  che  ritiene  di  non
condividere il principio di diritto enunciato dalle Sezioni  riunire,
deve rimettere «a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione
del giudizio». 
    Secondo  il  rimettente,  detta  disposizione   imporrebbe   «una
maggiore cautela» nel considerare la sentenza delle  Sezioni  riunite
n.   8/QM/2002    «effettivamente    travolta»    dalla    disciplina
interpretativa denunciata,  cosi'  da  suggerire  «di  accertare  con
maggior  rigore  se  detta  normativa   resista   alle   censure   di
illegittimita' costituzionale  rivoltele  dall'appellante».  Difatti,
ove la Corte costituzionale dovesse dichiarare  l'incostituzionalita'
delle norme censurate, la predetta  sentenza  delle  Sezioni  riunite
«rivivrebbe, dotata della novella efficacia attribuitale dall'art. 42
della legge n. 69  del  2009,  e  questo  giudice  non  potrebbe  che
conformarsi ad essa o rimettere  la  decisione  alle  stesse  Sezioni
riunite»;  di  qui,  «la  sicura   rilevanza   delle   questioni   di
legittimita' costituzionale». 
    1.3. - Cio' premesso, il giudice a quo sostiene che i profili  di
incostituzionalita'  della  disciplina  recata  dai   commi   774-776
dell'art. 1 della legge n. 296  del  2006,  prospettati  dalla  parte
appellante in riferimento agli  artt.  2,  3,  24,  36  e  28  Cost.,
sarebbero privi di consistenza e, comunque, in parte gia'  scrutinati
nel senso della non fondatezza  dalla  Corte  costituzionale  con  la
citata sentenza n. 74 del 2008. 
    Diversamente  dovrebbe,   invece,   opinarsi,   ad   avviso   del
rimettente, in relazione all'eccezione di legittimita' costituzionale
che la stessa appellante, richiamando anche la sentenza  della  Corte
EDU 14 febbraio 2006 (Lecarpentier v. Francia),  ha  prospettato  con
riferimento agli artt. 117 e 111 Cost., giacche' le norme  denunciate
non  rispetterebbero,  nel  primo  caso,  «i  vincoli  internazionali
gravanti sullo Stato in forza della Convenzione europea  dei  diritti
dell'uomo (CEDU), e piu' specificamente il  principio  di  preminenza
del diritto evincibile dal Preambolo CEDU e l'art. 1  del  Protocollo
n. 1 della CEDU in  tema  di  diritto  di  proprieta'»;  mentre,  nel
secondo caso, contrasterebbero con il principio di  "equo  processo",
posto che la relativa disciplina opererebbe «una palese ingerenza del
potere legislativo sul funzionamento del potere giudiziario,  vietato
dalla CEDU». 
    Il rimettente reputa non  manifestamente  infondati  i  dubbi  di
costituzionalita' prospettati dalla parte appellante  osservando  che
il legislatore, con i denunciati commi 774-776,  e'  intervenuto  sul
"diritto vivente" costituito dalla pronuncia delle Sezioni riunite n.
8/QM/2002, introducendo «una  normativa  diversa  ed  opposta»,  alla
quale   ha   espressamente    attribuito    efficacia    retroattiva,
qualificandola come di interpretazione autentica.  La  retroattivita'
della disciplina - argomenta il giudice a  quo  -  «di  per  se'  non
sarebbe anticostituzionale», ma potrebbe «diventarlo  indirettamente,
per via del contrasto con l'art. 117, primo  comma,  Cost.»,  andando
cosi' a confliggere con l'art. 6, par. l,  della  CEDU,  sottoscritta
dall'Italia il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con  legge  4  agosto
1955, n.  848  (Ratifica  ed  esecuzione  della  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo  addizionale  alla
Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952). 
    1.3.1. - A tal riguardo, il  rimettente  sostiene  che,  in  base
all'interpretazione  della  Corte  di   Strasburgo,   nel   contenuto
dell'art. 6 citato «rientra il divieto per lo Stato  contraente,  che
sia parte in un giudizio, di  legiferare  nella  materia  oggetto  di
giudizio  in  corso  ingerendosi  cosi'  nell'amministrazione   della
giustizia». E, secondo quanto precisato dalla  Corte  di  cassazione,
Sezione lavoro,  con  l'ordinanza  n.  22260  del  4  settembre  2008
(richiamando la sentenza della Corte  di  Strasburgo  del  21  giugno
2007, in causa n. 12106/03 fra Scanner  de  l'Ouest  e  altri  contro
Stato francese), per configurare detta ingerenza e'  sufficiente  che
lo Stato, parte del giudizio,  «possa  conseguire,  dall'applicazione
della nuova normativa, la positiva definizione della controversia  in
suo favore», come, del  resto,  verrebbe  ad  accadere  nel  giudizio
principale per effetto delle norme denunciate. 
    Inoltre, il giudice a quo esclude che nel procedimento nel  quale
e' chiamato a decidere,  avente  ad  oggetto  materia  pensionistica,
«parte  in  giudizio  sia  l'ente  previdenziale  e  non   lo   Stato
legislatore»,   giacche'    in    tal    modo    si    vanificherebbe
l'interpretazione fornita dalla  Corte  EDU  non  potendo  quasi  mai
ravvisarsi la fattispecie da essa «stigmatizzata».  Sarebbe,  invece,
«conforme a ragionevolezza» reputare - prosegue il rimettente  -  che
la fattispecie anzidetta «si verifichi  ogni  volta  che  vengano  in
questione pubbliche risorse, e la nuova normativa abbia l'effetto  di
salvaguardare tali risorse in danno della privata controparte». 
    1.3.2.  -  Il  rimettente  ritiene,  altresi',  di  sollevare  la
questione di costituzionalita'  anche  in  riferimento  all'art.  111
Cost., sostanzialmente corrispondendo al «giusto processo», di cui  a
tale norma, l'«equo processo» di cui all'art. 6 della CEDU. 
    Non potrebbe, infatti, considerarsi  «giusto»  «un  processo  nel
corso del quale una delle parti e' arbitra di "cambiare le  carte  in
tavola"  e  i  parametri  normativi  del  giudizio,  travolgendo   le
aspettative della controparte, che tale giudizio  ha  promosso  sulla
base di norme e di  orientamenti  giurisprudenziali  diversi».  Cosi'
operando, «lo Stato - considerato unitamente nei suoi Poteri -  cessa
di essere giudice terzo e imparziale». 
    In definitiva, secondo la Corte dei conti rimettente, non sarebbe
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
dei commi 774-776 dell'art. 1 della legge finanziaria 2007, «i quali,
nell'imporre una interpretazione del sistema che non puo' che portare
a una decisione di siffatte vertenze favorevole all'erario pubblico e
sfavorevole al pensionato pretendendo che tale interpretazione  abbia
efficacia nei procedimenti  giudiziari  in  corso,  sembrano  violare
l'art. 111 Cost., che postula il giusto processo,  nonche'  l'art.  6
della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, e di converso l'art.
117 Cost., a norma del quale l'attivita' legislativa trova un  limite
nella necessita' del rispetto degli obblighi internazionali». 
    Il giudice a quo esclude che possa  addivenirsi  ad  una  lettura
costituzionalmente  orientata  della  disciplina  denunciata,   «resa
impossibile dal chiaro e inequivoco dettato del comma 775»;  esclude,
infine, che la medesima disciplina possa essere  "disapplicata",  non
essendo le norme della CEDU «ancora  "comunitarizzate"»  e  rimanendo
«pertanto mere  norme  internazionali,  prive  di  efficacia  diretta
nell'ordinamento italiano». 
    2. - Si e' costituito  l'INPDAP,  parte  appellata  nel  giudizio
principale, concludendo per l'inammissibilita' della questione o,  in
subordine, per una declaratoria di non fondatezza. 
    2.1.  -  L'Istituto,  nel  delineare  l'evoluzione  normativa   e
giurisprudenziale interessante lo  specifico  settore,  rammenta,  in
primo luogo, che in ordine alla portata ed agli effetti dell'art.  1,
comma 41, della legge n. 335 del  1995  sulla  previgente  disciplina
recata dall'art. 15 della legge n. 724 del 1994 e, segnatamente,  dal
relativo comma 5, si contrapponevano due interpretazioni, avendo  poi
le Sezioni riunite della Corte dei conti, con la sentenza n. 8/QM/02,
seguito l'indirizzo  maggioritario,  cosi'  da  negare  l'abrogazione
implicita del detto comma dell'art. 15 della legge n. 724 del 1994 da
parte del comma 41 dell'art. 1 della legge n. 335 del 1995. La  parte
costituita sostiene, tuttavia, che un tale arresto  giurisprudenziale
non si presentava consonante con gli orientamenti  di  massima  della
giurisprudenza costituzionale  e  di  quella  ordinaria  in  tema  di
affidamento nella certezza giuridica e sulla natura della pensione di
reversibilita',  con  la  conseguenza  che  «l'interpretazione  delle
Sezioni  Riunite  del  Giudice  contabile  non  poteva   considerarsi
risolutiva». Di qui,  per  l'appunto,  l'intervento  legislativo  del
2006, di  chiarificazione  e  sistemazione  organica  della  materia,
dovendo   pertanto   ascriversi   alle   norme   denunciate    natura
effettivamente interpretativa; norme che, del resto,  hanno  superato
il vaglio di costituzionalita', in riferimento  agli  artt.  3  e  38
Cost., a seguito della sentenza n. 74 del 2008, di non fondatezza. 
    2.2.   -   Cio'    premesso,    l'INPDAP    argomenta,    quindi,
sull'inammissibilita' della questione  per  contraddittorieta'  della
motivazione in ordine alla  rilevanza,  avendo  il  rimettente  fatto
riferimento alla necessita', derivante dall'art. 42 della legge n. 69
del 2009, di «conformarsi al  dictum  dell'organo  nomofilattico  del
Giudice delle pensioni», rappresentato dalla sentenza  delle  Sezioni
riunite n. 8/QM/ 2002, pur  riconoscendo  che  le  norme  denunciate,
emanate nel 2006, hanno gia' superato il vaglio di costituzionalita'. 
    Semmai, soggiunge l'Istituto, il giudice  a  quo  avrebbe  dovuto
rimettere nuovamente la decisione sulla  questione  di  massima  alle
Sezioni riunite e  non  gia'  sollevare  la  questione  per  ottenere
l'avallo  di  una  determinata   interpretazione   della   disciplina
censurata. 
    2.3. - Inoltre, ad avviso della parte  costituita,  la  questione
sarebbe   inammissibile,   o   comunque   infondata,    riproponendo,
sostanzialmente, profili su cui la Corte costituzionale  si  e'  gia'
pronunziata con la citata sentenza n. 74 del 2008  e,  sebbene  avuto
riguardo ad altra normativa  di  interpretazione  autentica,  con  la
sentenza n. 311 del 2009, in riferimento agli artt. 111 e  117  Cost.
ed alla CEDU. 
    Proprio con quest'ultima pronuncia, avente ad oggetto  l'art.  1,
comma 218, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale  dello  Stato  -  legge
finanziaria 2006) - nella specie, concernente la regolamentazione del
personale A.T.A. - si e' riconosciuto,  ad  avviso  dell'INPDAP,  che
l'emanazione di norme interpretative, anche in corso di giudizio, non
si pone necessariamente in contrasto con  la  normativa  della  CEDU,
avendo la stessa Corte di Strasburgo escluso la violazione  dell'art.
6, «qualora,  oltre  a  motivi  cogenti  di  interesse  generale,  il
Legislatore  debba  ristabilire  l'originario  intento  della   norma
interpretata, nonche' correggere un'imperfezione tecnica della  legge
interpretata». 
    Di  qui,  si  argomenta  diffusamente  nella  memoria,   la   non
fondatezza,  anche  manifesta,  della   questione   prospettata   dal
rimettente,  posto  che  il  legislatore  del  2006,  attenendosi  ad
"imperiosi motivi di interesse  generale":  a)  «si  e'  proposto  di
definire ed armonizzare il complesso  quadro  normativo  in  tema  di
trattamento di quiescenza  spettante  ai  superstiti,  eliminando  le
precedenti differenze esistenti tra il  comparto  pubblico  e  quello
privato»;  b)  «ha  inteso  garantire   una   generale   perequazione
dell'importo spettante a titolo di indennita'  integrativa  speciale,
ricomprendendola   all'interno   del   complessivo   trattamento   di
quiescenza»; c) «non ha pregiudicato  i  diritti  acquisiti  in  modo
definitivo, proprio perche' ha inciso, con la  norma  interpretativa,
solamente sulle questioni ancora pendenti ed accogliendo un indirizzo
giurisprudenziale  in  precedenza  elaborato»;  d)  «ha  risolto  una
imperfezione tecnica, raccordando la  normativa  transitoria,  recata
dall'art.  15,  comma  5,  della  legge  n.  724  del  1994,  con  la
sopravvenuta   disciplina   di   ampia   riforma   pensionistica,   e
segnatamente con quanto da essa disposto all'art. 1,  comma  41»;  e)
«non ha pregiudicato lo svolgimento di un processo  equo  cosi'  come
puo' evincersi dalla circostanza che in detta materia la questione e'
stata devoluta» alla stessa Corte costituzionale. 
    2.3.1.  -  L'INPDAP  evidenzia   altresi'   che   la   disciplina
denunciata,  riguardante  una  materia,  come  quella  previdenziale,
incidente in modo particolare sugli equilibri  di  bilancio,  avrebbe
assunto una funzione perequativa e «non necessariamente peggiorativa»
del trattamento pensionistico degli interessati, posto che l'adesione
al dictum recato dalla sentenza delle Sezioni riunite del 2002  aveva
determinato,  in  un   consistente   filone   giurisprudenziale,   il
riconoscimento dell'I.I.S. in forma separata  ed  in  misura  intera,
unitamente pero' alla liquidazione della pensione  di  reversibilita'
nella percentuale  del  50%  (spettante  ai  pensionati  del  settore
pubblico) e non gia' del 60% prevista per il settore  privato,  cosi'
da rendersi, in talune ipotesi (quelle in cui  l'importo  della  sola
voce  pensione  risultava   superiore   all'importo   dell'indennita'
integrativa speciale), pregiudizievole per il pensionato. 
    Peraltro, soggiunge l'Istituto, si  erano  formate  anche  prassi
giurisprudenziali, non collimanti con il sistema normativo,  per  cui
l'indennita' integrativa speciale veniva liquidata per  intero  e  la
pensione di reversibilita' nella misura del  60%,  ovvero  la  stessa
indennita'  veniva  conglobata   per   intero   nella   pensione   di
reversibilita'. 
    In tale contesto,  sostiene  la  parte  costituita,  l'intervento
legislativo censurato «e' stato, dunque, non solo opportuno ma  anche
necessario, sia per consentire la compiuta applicazione dei  principi
di  riforma  economico-sociale  dettati  gia'  nel  1995,   sia   per
ristabilire certezza del diritto». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.  -  La  Corte  dei  conti,  Sezione  giurisdizionale  centrale
d'appello, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale  dei
commi 774, 775 e 776 dell'articolo 1 della legge 29 dicembre 2006, n.
296  (Disposizioni  per  la  formazione  del   bilancio   annuale   e
pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007) «nella parte in cui
- interpretando l'art. 1, comma 41, della legge  8  agosto  1995,  n.
335, nel senso che per le pensioni di reversibilita' sorte  decorrere
dall'entrata  in  vigore  della  legge  8  agosto   1995,   n.   335,
l'indennita' integrativa speciale gia'  in  godimento  da  parte  del
dante causa e' attribuita nella misura percentuale  prevista  per  il
trattamento  di  reversibilita',  indipendentemente  dalla  data   di
decorrenza della pensione diretta, e abrogando il comma  5  dell'art.
15  della  legge  23  dicembre  1994,  n.  724  -  fanno  salvi,  con
riassorbimento  sui  futuri  miglioramenti,  soltanto  i  trattamenti
pensionistici piu' favorevoli gia' definiti, e non  anche  quelli  in
corso di definizione, in sede di contenzioso». 
    Ad avviso del giudice rimettente, le norme censurate violerebbero
gli articoli 111 e 117 della  Costituzione,  giacche',  «nell'imporre
una interpretazione del sistema  che  non  puo'  che  portare  a  una
decisione di  siffatte  vertenze  favorevole  all'erario  pubblico  e
sfavorevole al pensionato pretendendo che tale interpretazione  abbia
efficacia nei procedimenti giudiziari in corso», verrebbero  a  porsi
in contrasto con il principio del  "giusto  processo",  nonche'  «con
l'art. 6 della  Convenzione  europea  dei  diritti  dell'uomo,  e  di
converso (con) l'art.  117  Cost.,  a  norma  del  quale  l'attivita'
legislativa trova un  limite  nella  necessita'  del  rispetto  degli
obblighi internazionali». 
    2.  -  In  via  preliminare,  e'  da  respingere  l'eccezione  di
inammissibilita'  avanzata  dell'INPDAP  in  ragione  della  asserita
contraddittorieta' della  motivazione  dell'ordinanza  di  rimessione
quanto alla rilevanza della questione, avendo il giudice a quo  fatto
riferimento alla necessita', derivante dall'art. 42 della legge n. 69
del 2009, di «conformarsi al  dictum  dell'organo  nomofilattico  del
Giudice delle pensioni», rappresentato dalla sentenza  delle  Sezioni
riunite n. 8/QM/ 2002, pur  riconoscendo  che  le  norme  denunciate,
emanate nel 2006, hanno gia' superato il vaglio di costituzionalita'. 
    L'accesso  alla   delibazione   di   merito   dell'incidente   di
costituzionalita' e', infatti, consentito  in  ragione  della  chiara
affermazione da parte dello stesso rimettente circa  l'applicabilita'
della disciplina censurata alla fattispecie  oggetto  di  cognizione,
tale che,  proprio  in  base  ad  essa,  l'appello  della  pensionata
dovrebbe essere respinto. 
    3. - Nel merito, le questioni non sono fondate. 
    4. - La  prospettazione  del  giudice  a  quo,  che  si  incentra
sull'asserito  contrasto  delle  disposizioni   denunciate   con   il
principio del giusto processo quale desumibile anche dall'articolo  6
della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU),  sottoscritta
dall'Italia il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con  legge  4  agosto
1955, n.  848  (Ratifica  ed  esecuzione  della  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo  addizionale  alla
Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo  1952),  impone,  in
primo luogo, di verificare, alla luce della giurisprudenza di  questa
Corte,  se  sussistano  le  condizioni  che  consentano  un  siffatto
scrutinio. 
    A tal riguardo, in piu' di un'occasione questa Corte ha affermato
che le norme della CEDU, nel significato loro attribuito dalla  Corte
europea  dei  diritti  dell'uomo  (art.  32,   paragrafo   1,   della
Convenzione),  integrano,  quali  «norme  interposte»,  il  parametro
costituzionale espresso dall'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  nella
parte in cui impone il rispetto dei vincoli derivanti dagli «obblighi
internazionali» (sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, n. 311 e  n.  317
del 2009,  n.  93  del  2010).  Pertanto,  ove  emerga  un  eventuale
contrasto tra una norma interna e una norma della  CEDU,  il  giudice
nazionale comune deve preventivamente verificare la  possibilita'  di
una interpretazione della prima conforme  alla  norma  convenzionale,
ricorrendo a tutti  i  normali  strumenti  di  ermeneutica  giuridica
(sentenze n. 239 del 2009 e n. 93 del 2010),  e,  in  caso  negativo,
deve investire la Corte costituzionale del dubbio di legittimita'  in
riferimento al citato art. 117 (sentenze n. 239 del 2009 e n. 196 del
2010). 
    In siffatta evenienza, questa Corte e' tenuta a verificare che il
contrasto sussista e «che sia  effettivamente  insanabile  attraverso
una  interpretazione  plausibile,  anche  sistematica,  della   norma
interna rispetto alla norma convenzionale, nella lettura datane dalla
Corte di Strasburgo» (sentenza n. 311 del 2009). Sicche', nel caso in
cui sia riscontrato detto contrasto  (e  non  si  ponga  problema  di
conflitto della norma CEDU con altre norme  della  Costituzione),  la
norma interna dovra' essere dichiarata costituzionalmente illegittima
per violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., in  relazione  alla
invocata norma della CEDU. 
    5. -  Alla  luce  di  quanto  premesso,  e'  necessario,  quindi,
soffermarsi sulla portata della disciplina denunciata, che  e'  stata
gia' oggetto di esame da parte di questa  Corte,  la  quale,  con  le
sentenze n. 74 del 2008 e n. 228  del  2010,  ha  dichiarato  la  non
fondatezza  delle  questioni  allora  sollevate  in   riferimento   a
parametri differenti da quello di  cui  all'art.  117,  primo  comma,
Cost. 
    5.1. - In particolare, occorre rammentare che le questioni decise
dalla sentenza n. 74 del 2008 investivano il comma  774  dell'art.  1
della legge n. 296 del 2006, censurato sulla premessa  dell'esistenza
di un diritto vivente alla pensione di  reversibilita'  nel  caso  di
decesso di  titolare  di  pensione  diretta  liquidata  entro  il  31
dicembre 1994, da liquidarsi in base alle norme di cui  all'art.  15,
comma 5, della legge n. 724 del 1994,  indipendentemente  dalla  data
della morte del dante causa, non avendo l'art.  1,  comma  41,  della
legge n. 335 del 1995 abrogato il comma 5 dell'art. 15 appena citato. 
    La norma denunciata, nello smentire un siffatto diritto  vivente,
era stata, quindi, ritenuta in contrasto - dai giudici a quibus - con
l'art. 3 della Costituzione,  non  potendo  l'intervento  legislativo
essere qualificato come norma di interpretazione autentica e ledendo,
comunque, il principio dell'affidamento nella sicurezza giuridica. 
    La Corte, nel ricostruire il  quadro  normativo  di  riferimento,
pose allora in luce come nel  settore  privato  operasse,  «da  epoca
risalente, il  principio  di  onnicomprensivita'  della  retribuzione
pensionabile, essendo essa individuata in  base  ad  un  coacervo  di
elementi che, salvo specifiche eccezioni, entrano, tutti, a comporla,
secondo le disposizioni che recano  la  disciplina  di  riferimento».
Diversamente nel settore pubblico, in base al sistema originariamente
delineato dal decreto del Presidente  della  Repubblica  29  dicembre
1973,  n.  1092  (Approvazione  del  testo  unico  delle  norme   sul
trattamento di quiescenza dei  dipendenti  civili  e  militari  dello
Stato), si prevedeva che la pensione del  pubblico  dipendente  fosse
calcolata  su  una  determinata  base  pensionabile  «e,  una   volta
determinata la  prestazione,  a  questa  si  aggiungeva  l'indennita'
integrativa speciale, la quale - come reso palese dall'art.  2  della
legge n. 324 del 1959 e poi dall'art. 99 del  t.u.  del  1973  -  era
elemento  accessorio  del  trattamento  pensionistico».  Di  qui,  la
diversita' di detti  sistemi,  che  si  ripercuoteva,  pertanto,  sul
calcolo della pensione di reversibilita', spettante al superstite  in
misura percentuale rispetto alla pensione diretta  del  dante  causa:
nel «settore privato il 60 per cento in favore del coniuge  (aliquota
fissata dall'art.13 del r.d.l. 14 aprile  1939,  n.  636,  modificato
anche dall'art. 22 della legge 21 luglio 1965, n. 903) era  calcolato
sulla pensione del dante causa determinata in base  al  principio  di
onnicomprensivita' (includente quindi tutti gli elementi  retributivi
sui quali operava l'aliquota del 60 per cento); nel settore pubblico,
una volta determinata la pensione diretta e calcolata  su  questa  la
misura spettante al pensionato  di  reversibilita'  (al  coniuge,  in
forza dell'art. 88 del t.u.,  il  50  per  cento,  di  regola,  della
pensione  del  dante  causa),  si  aggiungeva,   in   misura   piena,
l'indennita' integrativa speciale». 
    Su un tale assetto era, dunque, intervenuto l'art. 15 della legge
23  dicembre  1994,  n.  724,  stabilendo  «che   la   corresponsione
dell'indennita' integrativa speciale nella misura  piena  si  sarebbe
dovuta  fermare  (per  dar  luogo,  poi,  al  suo  conglobamento  nel
trattamento pensionistico, con liquidazione complessiva di esso nella
misura  percentuale  del  60  per  cento  secondo   quanto   previsto
dall'assicurazione speciale obbligatoria),  per  quanto  riguarda  le
pensioni dirette, al 31 dicembre 1994, ed avrebbe  potuto  continuare
ad  essere  corrisposta  alle  pensioni  di  reversibilita',  purche'
"riferite" alle pensioni dirette liquidate entro detta data». 
    Con il successivo art. 1, comma 41, della legge n. 335  del  1995
si stabili' «che la disciplina del trattamento di  reversibilita'  in
essere nell'ambito dell'assicurazione obbligatoria fosse esteso anche
al settore  pubblico  -  determinando  cosi'  la  liquidazione  della
pensione con il conglobamento della indennita' integrativa speciale -
dalla data di entrata in vigore della legge stessa (e  cioe'  dal  17
agosto 1995)». Tuttavia, il problema della implicita abrogazione, per
effetto della successione delle leggi nel tempo, del  comma  5  della
legge n. 724 del  1994,  venne  risolto  in  termini  negativi  dalla
giurisprudenza maggioritaria della Corte dei conti. 
    5.2. - In  tale  quadro,  la  sentenza  n.  74  del  2008,  nello
scrutinare le questioni allora prospettate, affermo', anzitutto,  che
l'art. 1, comma 41, della legge n. 335 del 1995 «pone in rilievo  due
dati essenziali: a) l'indipendenza del trattamento  pensionistico  di
reversibilita' rispetto alla  data  di  liquidazione  della  pensione
diretta del dante causa; b)  la  decorrenza  della  estensione  della
disciplina    della    pensione    di     reversibilita'     prevista
dall'assicurazione generale obbligatoria a tutte le forme esclusive o
sostitutive di detto regime dalla data di  entrata  in  vigore  della
legge n. 335 del 1995». Sicche', in riferimento alla decorrenza della
estensione della disciplina a  regime  della  assicurazione  generale
obbligatoria,   la   norma   censurata    risultava    effettivamente
interpretativa dell'art. 1, comma 41, della legge n.  335  del  1995,
giacche'   l'intervento   del   legislatore   era    stato    dettato
dall'«atteggiamento  della  giurisprudenza   contabile,   sicuramente
maggioritaria, ma non univoca, essendo  presenti  anche  orientamenti
diversi», cosi' da  scegliere,  «in  definitiva,  uno  dei  possibili
significati della norma interpretata». 
    La Corte preciso', anche, che l'abrogazione - ad opera del  comma
776 dell'art. 1 della legge n. 296 del 2006 - del comma  5  dell'art.
15 della legge n. 724 del 1994, non  poteva  reputarsi  irragionevole
per contraddittorieta', «giacche' essa  risulta  rispondente  ad  una
esigenza di ordine sistematico  imposta  proprio  dalle  vicende  che
hanno segnato la sua applicazione». 
    Inoltre, potendo  il  legislatore,  in  sede  di  interpretazione
autentica,  «modificare   in   modo   sfavorevole,   in   vista   del
raggiungimento di finalita' perequative, la disciplina di determinati
trattamenti economici con esiti privilegiati senza per questo violare
l'affidamento nella sicurezza giuridica (sent. n. 6 del 1994 e  sent.
n. 282 del 2005), la' dove, ovviamente, l'intervento possa dirsi  non
irragionevole»,  nella  specie  era  da   escludersi   una   siffatta
irragionevolezza  anche  perche'  «l'assetto   recato   dalla   norma
denunciata riguarda anche il complessivo riequilibrio delle risorse e
non puo', pertanto, non essere attenta alle esigenze di bilancio». 
    Infine, ulteriore elemento a supporto della non  irragionevolezza
dell'intervento  legislativo  si  e'  radicato  nel  fatto  che   «il
legislatore, con il comma 775 dell'art. 1 della stessa legge  n.  296
del 2006, ha salvaguardato  i  trattamenti  di  miglior  favore  gia'
definiti in sede di contenzioso, con  cio'  garantendo  non  solo  la
sfera del giudicato, ma anche il legittimo affidamento  che  su  tali
trattamenti soltanto poteva dirsi ingenerato». 
    5.3. - Con la successiva sentenza n. 228 del 2010, questa  Corte,
ripercorrendo l'impianto argomentativo della sentenza precedente,  ha
ribadito, tra l'altro,  l'insussistenza  dei  denunciati  profili  di
irragionevolezza dell'intervento legislativo che ha portato a  regime
il conglobamento della indennita' integrativa speciale nella pensione
di reversibilita' dalla data di entrata in vigore della stessa  legge
n. 335 del 1995, posto che esso, operando su rapporti di  durata,  e'
volto a soddisfare «esigenze, non solo di  contenimento  della  spesa
pubblica, ma anche di armonizzazione  dei  trattamenti  pensionistici
tra settore pubblico e privato». 
    6. - Cio' premesso,  venendo  all'applicazione,  da  parte  della
Corte di Strasburgo, dell'art. 6 della CEDU, in relazione alle  norme
nazionali  interpretative   concernenti   disposizioni   oggetto   di
procedimenti nei quali e' parte lo Stato,  giova  rammentare  -  come
messo gia' in luce dalla sentenza n. 311 del  2009  di  questa  Corte
(emessa  nel  giudizio  incidentale  di  legittimita'  costituzionale
promosso a seguito, anche, dell'ordinanza n.  22260  del  2008  della
Corte Suprema di Cassazione e cioe' della medesima pronuncia su  cui,
in parte, fa leva la motivazione  del  rimettente  in  punto  di  non
fondatezza della sollevata questione) - che la legittimita'  di  tali
interventi e' stata riconosciuta: 1) in presenza di "ragioni storiche
epocali", come nel caso della riunificazione tedesca, unitamente alla
considerazione «della sussistenza effettiva di un sistema  che  aveva
garantito alle parti, che contestavano le  modalita'  del  riassetto,
l'accesso a, e lo svolgimento di, un processo equo e garantito» (caso
Forrer-Niederthal c. Germania, sentenza del 20 febbraio 2003); 2) per
«ristabilire un'interpretazione piu' aderente all'originaria volonta'
del legislatore», al fine  di  «porre  rimedio  ad  una  imperfezione
tecnica della legge interpretata» (sentenza 23 ottobre 1997, nel caso
National & Provincial  Building  Society,  Leeds  Permanent  Building
Society e Yorkshire Building Society c. Regno Unito; sentenza del  27
maggio 2004, Ogis-institut Stanislas, Ogec St. Pie  X  e  Blanche  De
Castille e altri c. Francia). 
    Alla stregua di quanto evidenziato dalla citata sentenza  n.  311
del 2009 nella vicenda da essa  scrutinata,  i  principi  in  materia
richiamati dalla giurisprudenza delle  Corte  europea  «costituiscono
espressione di quegli stessi principi di uguaglianza, in  particolare
sotto  il  profilo   della   parita'   delle   armi   nel   processo,
ragionevolezza, tutela del legittimo  affidamento  e  della  certezza
delle situazioni giuridiche, che questa Corte ha escluso siano  stati
vulnerati dalla norma qui censurata». 
    Peraltro,  in  quell'occasione  si   e'   anche   soggiunto   che
l'identificazione dei "motivi imperativi d'interesse  generale",  che
suggeriscono al legislatore nazionale interventi  interpretativi,  e'
opportuno che sia in parte lasciata  agli  stessi  Stati  contraenti,
«trattandosi,  tra  l'altro,  degli  interessi  che  sono  alla  base
dell'esercizio del potere legislativo», considerato che «le decisioni
in questo campo implicano, infatti, una  valutazione  sistematica  di
profili  costituzionali,  politici,   economici,   amministrativi   e
sociali». 
    7.  -  Nella  complessiva  cornice  dianzi   tratteggiata,   deve
ritenersi che le denunciate norme di cui ai  commi  774,  775  e  776
dell'art. 1 della legge 29 dicembre 2006, n. 296, sono effettivamente
interpretative   e   assumono   come   referente   un    orientamento
giurisprudenziale presente, seppur minoritario, cosi'  da  scegliere,
«in  definitiva,  uno   dei   possibili   significati   della   norma
interpretata». 
    Inoltre, se si tiene presente che nella  fattispecie  vengono  in
evidenza rapporti di  durata,  non  puo'  parlarsi  di  un  legittimo
affidamento nella loro immutabilita', mentre d'altro  canto  si  deve
tenere conto del fatto che le innovazioni che sono state apportate, e
che non hanno trascurato del tutto i  diritti  acquisiti,  hanno  non
irragionevolmente mirato alla armonizzazione e perequazione di  tutti
i trattamenti pensionistici, pubblici e privati. La legge n. 335  del
1995, infatti, ha costituito  il  primo  approdo  di  un  progressivo
riavvicinamento  della  pluralita'  dei  sistemi  pensionistici,  con
effetti  strutturali  sulla  spesa  pubblica  e  sugli  equilibri  di
bilancio, anche ai fini del rispetto  degli  obblighi  comunitari  in
tema di patto di stabilita'  economica  finanziaria  nelle  more  del
passaggio alla moneta unica europea. 
    L'intervento legislativo ha, poi, salvaguardato i trattamenti  di
miglior favore gia'  definiti  in  sede  di  contenzioso,  «con  cio'
garantendo non solo la sfera del giudicato,  ma  anche  il  legittimo
affidamento  che  su  tali  trattamenti  poteva   dirsi   ingenerato»
(sentenza n. 74 del 2008). 
    Infine, in modo particolare e  «determinante»  -  come  posto  in
risalto anche nella sent. n. 311 del 2009 - il «processo equo» e  con
esso il «giusto processo», ha  trovato  concretezza  ed  effettivita'
anche  tramite  l'incidente  di  costituzionalita'  in  una   duplice
occasione «conclusosi con una  dichiarazione  di  infondatezza  della
questione, rispetto a parametri costituzionali coerenti con la  norma
convenzionale, pienamente compatibile,  cosi'  interpretata,  con  il
quadro costituzionale italiano». 
    8. - Di qui, pertanto, la non fondatezza della  questione,  sotto
entrambi i profili di censura che evocano la lesione degli artt. 117,
primo comma,  Cost.  e  6  CEDU,  da  un  lato,  e  art.  111  Cost.,
dall'altro, i quali, con riguardo al caso  di  specie  e  secondo  le
stesse  prospettazioni  del  rimettente,  si  presentano  del   tutto
sovrapponibili. 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'articolo 1, commi 774, 775 e 776, della legge 29 dicembre  2006,
n. 296  (Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato -  legge  finanziaria  2007),  sollevata,  in
riferimento agli articoli 111 e 117 della Costituzione,  dalla  Corte
dei  conti  -  Sezione  giurisdizionale   centrale   d'appello,   con
l'ordinanze in epigrafe indicata. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 2010. 
 
                      Il Presidente: De Siervo 
 
 
                       Il redattore: Maddalena 
 
 
                      Il cancelliere: Fruscella 
 
    Depositata in cancelleria il 5 gennaio 2011. 
 
                      Il cancelliere: Fruscella