N. 84 ORDINANZA 7 - 11 marzo 2011

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Straniero - Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello  Stato
  - Configurazione della fattispecie come reato - Denunciata  lesione
  dei principi di solidarieta', di ragionevolezza e  di  personalita'
  della   responsabilita'   penale,   nonche'   asserita   violazione
  dell'obbligo di conformita' alle norme del  diritto  internazionale
  generalmente riconosciute e del dovere di  regolare  la  condizione
  giuridica dello straniero nel rispetto dei trattati  internazionali
  -  Carente   descrizione   della   fattispecie,   con   conseguente
  preclusione del  necessario  controllo  in  punto  di  rilevanza  -
  Manifesta inammissibilita' delle questioni. 
- D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 10-bis, introdotto dall'art. 1,
  comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 27 e 117. 
Straniero - Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello  Stato
  - Configurazione della fattispecie come reato - Denunciata  lesione
  dei principi di uguaglianza e di personalita' della responsabilita'
  penale, nonche' asserita violazione del diritto di difesa  e  degli
  obblighi internazionali in materia di trattamento  dei  migranti  -
  Questioni  prospettate  in  termini  astratti  ed  ipotetici,   con
  conseguente irrilevanza, difetto di rilevanza attuale e preclusione
  del  necessario  controllo  al  riguardo  -  Censure   erroneamente
  riferite alla disposizione impugnata, anziche' a norme distinte non
  coinvolte  nello  scrutinio  di   costituzionalita'   -   Manifesta
  inammissibilita' delle questioni. 
- D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 10-bis, introdotto dall'art. 1,
  comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94. 
- Costituzione, artt. 3, 24, 27 e 117; Protocollo  addizionale  della
  Convenzione   delle   Nazioni   Unite   contro   la    criminalita'
  transnazionale organizzata del 15 novembre 2000, art. 6. 
Straniero - Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello  Stato
  -  Configurazione  della  fattispecie  come  reato   -   Denunciata
  violazione dei principi  di  solidarieta',  di  ragionevolezza,  di
  uguaglianza,  di  offensivita'   del   reato,   di   sussidiarieta'
  dell'illecito  penale  e   di   buon   andamento   della   pubblica
  amministrazione - Assenza di argomenti  idonei  a  superare  quelli
  esposti  in  una  precedente  sentenza  di  non  fondatezza   della
  questione - Inconferenza di uno degli evocati parametri - Manifesta
  infondatezza delle questioni. 
- D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 10-bis, introdotto dall'art. 1,
  comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 25, 27 e 97. 
(GU n.12 del 16-3-2011 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Ugo DE SIERVO; 
Giudici: Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco
  GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE,  Giuseppe
  TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe   FRIGO,   Alessandro
  CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'articolo  10-bis  del
decreto legislativo  25  luglio  1998,  n.  286  (Testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello straniero), aggiunto dall'art.  1,  comma  16,
lettera a), della legge  15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in
materia di sicurezza pubblica), promossi dal Giudice di pace di Lecce
con ordinanza del 19 aprile 2010, dal Giudice di pace di  Pontassieve
con ordinanza dell'11 maggio 2010 e dal Tribunale per i minorenni  di
Lecce con ordinanza del 29 aprile 2010, rispettivamente  iscritte  ai
nn. 206, 208 e 262 del registro ordinanze  2010  e  pubblicate  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 28 e 38, 1ª  serie  speciale,
dell'anno 2010; 
    udito nella camera di consiglio del 26 gennaio  2011  il  Giudice
relatore Alessandro Criscuolo. 
    Ritenuto: 
    che, con ordinanza depositata il 19 aprile 2010,  il  Giudice  di
pace di Lecce ha sollevato - in riferimento agli articoli 2,  3,  24,
25, 27, 97,  117  della  Costituzione  -  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'articolo 10-bis del decreto legislativo 25 luglio
1998,  n.  286  (Testo  unico  delle  disposizioni   concernenti   la
disciplina  dell'immigrazione  e   norme   sulla   condizione   dello
stranero), come introdotto dall'articolo 1,  comma  16,  lettera  a),
della legge 15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in  materia  di
sicurezza pubblica); 
    che  il  giudice  a  quo  e'  chiamato  a  pronunciarsi   in   un
procedimento penale a carico di M. A. K., imputato del reato  di  cui
alla norma censurata, «per avere, quale  cittadino  straniero,  fatto
ingresso  ed  essersi  trattenuto  nel  territorio  dello  Stato   in
violazione delle disposizioni  del  medesimo  decreto  legislativo  e
dell'art. 1 della legge n. 68/2007 essendo privo di valido titolo  di
soggiorno», reato commesso in Lecce il 4 marzo 2010; 
    che,  come  il  rimettente  riferisce,  nel  processo  e'   stata
acquisita  la  relazione  di   servizio   relativa   all'accertamento
effettuato nella data predetta, il difensore ha rinunziato  all'esame
dei verbalizzanti, non ha richiesto alcuna prova contraria,  «ne'  ha
dedotto  la  sussistenza  di  una  causa  di  giustificazione  o   di
esimenti», sicche' l'imputato, clandestino privo  di  permesso  o  di
carta di soggiorno, dovrebbe essere dichiarato  colpevole  del  reato
ascrittogli «se la norma non fosse sospetta di  incostituzionalita'»,
con conseguente rilevanza della questione sollevata; 
    che,  inoltre,  tale   questione   sarebbe   non   manifestamente
infondata, alla luce dei parametri addotti; 
    che, in primo luogo, sussisterebbe violazione degli artt. 25 e 27
Cost.  e,  in  particolare:  1)  sarebbe  violato  il  principio   di
offensivita'   del   reato,   desumibile    dai    citati    precetti
costituzionali,  in  base  al  quale  il  reato   deve   sostanziarsi
nell'offesa di uno specifico bene giuridico, non essendo  concepibile
un  reato  senza  offesa,  onde  al  legislatore  sarebbe   «preclusa
l'introduzione, per finalita' di mera deterrenza, di sanzioni che non
si ricolleghino a fatti colpevoli, ma  piuttosto  a  modi  di  essere
ovvero  ad  una  mera  disobbedienza  priva   di   disvalore   (anche
potenziale) per un determinato bene giuridico protetto»,  mentre  con
il  cosiddetto  reato  di  clandestinita'  sarebbe   stata   prevista
l'incriminazione di condotte prive di idoneita' ad offendere un  bene
giuridico, non essendo sostenibile che il clandestino,  per  il  solo
fatto della sua condizione,  costituisca  un  pericolo  per  l'ordine
pubblico;  2)  sarebbe  violato  il   principio   di   sussidiarieta'
dell'illecito penale, perche' nel vigente ordinamento il ricorso alla
sanzione penale  sarebbe  ammissibile  soltanto  come  ultima  ratio,
«quando cioe' la tutela del bene giuridico non possa essere raggiunta
adeguatamente attraverso altri strumenti dell'ordinamento giuridico»;
3) sarebbero violati il principio di uguaglianza e  il  principio  di
personalita' della responsabilita' penale; 
    che, infatti, a) qualora l'autore  dell'illecito  sia  espulso  o
respinto, il giudice, ai sensi del comma  5  della  norma  censurata,
pronuncia sentenza di non luogo  a  procedere,  ma  l'esecuzione  dei
provvedimenti di espulsione e di respingimento sarebbe  rimessa  alla
discrezionalita'  e  alla  disponibilita'  di  mezzi   dell'autorita'
amministrativa (essendo a tal  fine  irrilevanti  la  volonta'  e  le
azioni dello straniero), sicche' «l'accertamento  giurisdizionale  di
condotte identiche produce effetti diversi (sentenza di condanna o di
non luogo a procedere) a causa di circostanze assolutamente  estranee
alla sfera di  intervento  degli  imputati»;  b)  non  sarebbe  stata
attribuita alcuna rilevanza alla presenza di giustificati motivi  che
abbiano determinato  le  condotte  punite,  a  differenza  di  quanto
previsto nell'analoga (e molto piu' grave) ipotesi delittuosa di  cui
all'art.  14,  comma  5-ter,  del  d.lgs.  n.  286  del   1998,   con
ingiustificata disparita' di  trattamento  tra  gli  autori  dei  due
reati, entrambi diretti a colpire la stessa situazione soggettiva (il
clandestino  o  lo  straniero  divenuto  clandestino).  Sotto   altro
aspetto, il sistema introdotto dal legislatore del  2009  sarebbe  in
modo palese irrazionale, avendo  generato  un  conflitto,  sul  piano
logico e su quello pragmatico, tra le due fattispecie  in  questione.
Invero,  tutti  i  presupposti   richiesti   per   l'emanazione   del
provvedimento del questore «in tanto avevano ragione di  esistere  in
quanto  non  era  previsto  un  reato  di  immigrazione  o  soggiorno
clandestini e la sanzione penale era correlata alla  sola  violazione
dell'ordine di allontanamento». Con la previsione della nuova  figura
di reato, a prescindere dall'esistenza  di  giustificati  motivi,  lo
straniero sarebbe immediatamente sanzionato senza la  sussistenza  di
alcuno dei presupposti richiesti per integrare la fattispecie di  cui
all'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998; c) non  sarebbe
ravvisabile alcuna ragione per precludere all'agente di estinguere il
reato a lui ascritto mediante oblazione; 
    che, inoltre, sarebbe violato l'art. 117 Cost.,  con  riferimento
agli  obblighi  internazionali  assunti  dall'Italia  in  materia  di
trattamento dei migranti,  con  particolare  riguardo  al  Protocollo
addizionale  della  Convenzione  delle  Nazioni   Unite   contro   la
criminalita' organizzata transnazionale per combattere il traffico di
migranti, sottoscritto nel corso della Conferenza di  Palermo  (12-15
dicembre 2000), e, segnatamente, agli artt. 5, 6 e 16 di esso; 
    che, ancora, sarebbe violato l'art. 3 Cost. per  irragionevolezza
della scelta legislativa rispetto agli istituti espulsivi  di  natura
amministrativa,  stante  l'identita'  di  ratio  ed  in  carenza   di
qualsiasi fondamento giustificativo; 
    che, infatti, «l'ambito di applicazione della  nuova  fattispecie
coincide  perfettamente  con   quello   della   preesistente   misura
amministrativa dell'espulsione, sia sotto  il  profilo  dei  soggetti
destinatari  (stranieri  entrati  o  trattenuti  irregolarmente   nel
territorio   dello   Stato),   sia   sotto   quello    della    ratio
giustificativa», e cio' starebbe a significare che gia' era  presente
nell'ordinamento  italiano   uno   strumento   ritenuto   idoneo   al
raggiungimento dello scopo; 
    che  l'art.  3  Cost.  sarebbe  violato  anche  per  «palese   ed
irragionevole   disparita'   di   trattamento   sotto   il    profilo
sanzionatorio», considerando la nuova fattispecie nel suo  complesso,
comprensivo non soltanto della pena dell'ammenda (da 5.000  a  10.000
euro), ma anche del divieto di sospensione  condizionale  della  pena
(conseguente alla individuazione della competenza in capo al  giudice
di pace) e della facolta' concessa allo stesso giudice di  sostituire
la pena pecuniaria con  una  sanzione  piu'  grave,  qual  e'  quella
dell'espulsione dallo Stato per un periodo  non  inferiore  a  cinque
anni (da un lato, la sanzione sostitutiva potrebbe essere comminata a
soggetti condannati per reato non colposo ad una pena  detentiva  non
superiore a due anni, in assenza delle  condizioni  per  disporre  la
sospensione condizionale, dall'altro la  medesima  sanzione  potrebbe
colpire soggetti condannati  alla  sola  pena  pecuniaria,  ai  sensi
dell'art.  10-bis  del  d.lgs.  n.  286  del   1998,   e   successive
modificazioni); 
    che, del resto,  ad  avviso  del  rimettente  la  detta  sanzione
sostitutiva «sara' la pena generalmente adottata dal giudice di pace,
laddove non ricorrano le cause ostative di cui  all'art.  14  co.  1,
stante  l'assoluta  carenza  di  efficacia  deterrente   dell'ammenda
prevista»; 
    che ulteriore violazione dell'art.  3  Cost.,  per  irragionevole
disparita' di trattamento sotto  il  profilo  sanzionatorio,  sarebbe
ravvisabile rispetto all'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286  del
1998 e successive modificazioni, che  prevede  la  punibilita'  dello
straniero inottemperante all'ordine di allontanamento  del  questore,
soltanto quando lo stesso si trattenga  nel  territorio  dello  Stato
oltre il termine stabilito e "senza giustificato motivo". Entrambe le
condizioni  non  si  ritroverebbero  nella  nuova  figura  criminosa,
sicche', ad esempio, sarebbe sufficiente il venir meno per  qualsiasi
motivo  del  permesso  di  soggiorno  per  integrare  un'ipotesi   di
trattenimento  illecito,  senza  possibilita'  per  l'interessato  di
addurre una giustificazione o di usufruire di un termine per  potersi
allontanare; 
    che, inoltre, demandando la cognizione a  conoscere  della  nuova
fattispecie al giudice di pace,  risulterebbe  disegnato  un  sistema
sanzionatorio piu' gravoso di  quello  previsto  per  il  piu'  grave
delitto,  non  essendo  possibile  ne'   concedere   la   sospensione
condizionale, ne' una riduzione di pena conseguente  all'adozione  di
un rito  alternativo  (per  il  divieto  di  applicazione  dei  detti
istituti al rito davanti al giudice di pace: artt. 2 e 60 del decreto
legislativo 28 agosto  2000,  n.  274,  recante  «Disposizioni  sulla
competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della
legge 24 novembre 1999, n. 468»); 
    che, al di la' della irrazionale ed ingiustificata disparita'  di
trattamento tra le due fattispecie criminose, entrambe tese a colpire
la stessa situazione soggettiva (lo straniero clandestino ab  origine
o divenuto tale), esse sarebbero in contrasto sul piano logico  e  su
quello  pragmatico,  perche'  tutti  i  presupposti   richiesti   per
l'emanazione del provvedimento del questore avrebbero  avuto  ragione
di  esistere  in  quanto  non  fosse  stato  previsto  un  reato   di
immigrazione o soggiorno clandestini, mentre la sanzione  penale  era
correlata alla sola violazione dell'ordine di allontanamento; 
    che, con l'introduzione della nuova figura  dell'ingresso  o  del
soggiorno illegali,  a  prescindere  dall'esistenza  di  giustificati
motivi, lo straniero sarebbe sanzionato  in  assenza  di  alcuno  dei
presupposti richiesti per l'integrazione del reato di cui  al  citato
art. 14, comma 5-ter ; 
    che sarebbero ancora violati gli artt. 3  e  25,  secondo  comma,
Cost., perche' la norma censurata integrerebbe una fattispecie penale
discriminatoria,  in  quanto  fondata   su   particolari   condizioni
personali e sociali, anziche' su fatti e comportamenti  riconducibili
alla volonta' del  soggetto  attivo.  Infatti  la  nuova  fattispecie
sanzionerebbe  solo  in  apparenza   una   condotta   (l'ingresso   e
l'omissione del mancato allontanamento), in realta' del tutto  neutra
agli effetti  penali,  mentre  il  vero  oggetto  dell'incriminazione
sarebbe la mera condizione personale dello straniero, costituita  dal
mancato  possesso  di  un  titolo  abilitativo  all'ingresso  e  alla
successiva permanenza nel territorio dello Stato, che  sarebbe,  poi,
la situazione tipica del migrante economico ed anche  una  condizione
sociale, cioe' propria di una categoria di persone (e' richiamata  la
sentenza di questa Corte n. 78 del 2007); 
    che tale condizione sarebbe priva di  rilievo  sotto  il  profilo
della pericolosita' sociale  e  difficilmente  riconducibile  ad  una
condotta  volontaria  dello  straniero  migrante  economico,  la  cui
criminalizzazione, percio', sarebbe in contrasto con il principio  di
uguaglianza e con la garanzia costituzionale  «secondo  cui  si  puo'
essere puniti solo per fatti materiali (art. 25 co. 2 Cost.)»; 
    che sussisterebbe violazione anche dell'art. 2 Cost., perche'  lo
spirito solidaristico di cui e' "impregnata" la Carta  costituzionale
dovrebbe impedire  l'adozione  di  misure  puramente  repressive  per
risolvere il problema dell'immigrazione (sono richiamati la  sentenza
di questa Corte n.  519  del  1995,  che  dichiaro'  l'illegittimita'
costituzionale  del  reato  di  mendicita',  nonche'  alcuni  diritti
inviolabili  dell'uomo,  sanciti  anche   in   atti   internazionali,
destinati ad essere compromessi dalla norma censurata); 
    che  sarebbe  altresi'  violato  l'art.  97  Cost.,  perche'   la
coesistenza di due sistemi diretti  ad  ottenere  l'espulsione  dello
straniero sarebbe in contrasto con i principi  di  buon  andamento  e
d'imparzialita' dell'amministrazione; 
    che, infine, sarebbe violato l'art. 24 Cost., perche' «L'8 agosto
2010, al momento dell'entrata in vigore dell'art. 10  bis  del  D.Lgs
286/1998 come introdotto dall'art. 1, co 16 L. 15.7.2009 n. 94, tutti
gli stranieri irregolari che si trovavano in Italia erano in  ipotesi
sanzionabili con la contravvenzione ivi prevista se  non  si  fossero
spontaneamente allontanati dal territorio nazionale.  Non  e'  stato,
infatti, previsto un termine ed  una  modalita'  operativa  affinche'
detti soggetti potessero  ottemperare  al  precetto  legislativo  con
evidente contrasto con l'art. 24 comma 2 della Costituzione»; 
    che il Giudice di pace di Pontassieve, con  ordinanza  depositata
l'11 maggio 2010, ha sollevato, in riferimento agli  articoli  2,  3,
24, 25,  27,  97  Cost.,  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art.  10-bis  del  d.lgs.  n.  286  del  1998,  come  introdotto
dall'art. 1, comma 16, lettera a), della legge n. 94 del 2009; 
    che il rimettente premette di essere chiamato a pronunciare in un
procedimento penale a carico di R. K., imputato del reato previsto  e
punito  dall'art.  10-bis  della  citata   normativa,   perche'   «si
tratteneva nel territorio  dello  Stato  in  violazione  delle  norme
previste dal medesimo  D.  L.vo  in  quanto  privo  del  permesso  di
soggiorno. Accertato in Rufina (FI) in data 23.12.2009»; 
    che il giudice a quo riferisce sullo svolgimento del  processo  e
rileva che, nell'udienza  all'uopo  fissata,  il  pubblico  ministero
sollevava  questione  di  legittimita'  costituzionale  della   norma
censurata, cui si associava  il  difensore  d'ufficio  dell'imputato,
quest'ultimo identificato a mezzo  di  passaporto  albanese,  ponendo
l'accento sulla condotta tenuta dall'agente, in relazione alla  quale
la   questione   di   legittimita'   sollevata   avrebbe    carattere
pregiudiziale e rilevante ai fini della decisione; 
    che, quanto alla non manifesta infondatezza, il Giudice  di  pace
di Pontassieve svolge argomentazioni identiche a quelle enunciate dal
Giudice di pace di Lecce, alle quali, dunque, puo' farsi riferimento; 
    che  il  Tribunale  per  i  minorenni  di  Lecce,  con  ordinanza
depositata l'11 maggio 2010, ha sollevato, in riferimento agli  artt.
2, 3, 27  e  117  Cost.,  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art.  10-bis  del  d.lgs.  n.  286  del  1998,  come  introdotto
dall'art. 1, comma 16, lettera a), della legge n. 94 del 2009, in  un
procedimento penale  a  carico  di  tre  soggetti,  di  minore  eta',
imputati del reato di  cui  alla  norma  censurata  «per  aver  fatto
ingresso  nel  territorio  dello  Stato  Italiano  in  condizioni  di
clandestinita'», in Castrignano del Capo il 5 settembre 2009; 
    che, ad avviso del rimettente, sarebbe violato  l'art.  3  Cost.,
«sotto il profilo della irragionevolezza della scelta legislativa  di
sanzionare penalmente una condotta in tutto e per tutto  coincidente,
sotto il profilo soggettivo e sotto quello oggettivo, con quella  per
la quale l'art. 13 del suddetto D. L.vo n. 286 del  1998  commina  la
mera sanzione amministrativa dell'espulsione», allo scopo evidente di
consentire,  nel  piu'   breve   tempo   possibile   l'allontanamento
dell'immigrato clandestino sorpreso a varcare i confini dello  Stato,
come sarebbe dato desumere dalle previsioni che accedono  alla  norma
incriminatrice; 
    che,  inoltre,  sarebbe  violato  l'art.  27  Cost.,  recante  il
principio del carattere personale della responsabilita' penale; 
    che,  infatti,  la  norma  censurata  determinerebbe  l'esercizio
dell'azione penale in ordine ad una condotta nella sostanza neutra, e
non indicativa di una particolare pericolosita'  sociale  dell'agente
(sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 78 e n. 22 del 2007),
peraltro in  presenza  di  un  fatto  difficilmente  riconducibile  a
volonta' illecita dell'agente,  in  genere  non  a  conoscenza  della
normativa regolante l'ingresso dello straniero  extracomunitario  nei
confini dello Stato italiano,  sicche'  con  la  norma  censurata  si
finirebbe per procedere a carico dell'immigrato per il solo fatto del
suo status di "straniero migrante", in chiara violazione  del  valore
costituzionalmente tutelato dall'art. 27 Cost.; 
    che, infine, risulterebbe violato anche il dovere di solidarieta'
di cui all'art. 2 Cost., con l'obbligo  costituzionale  imposto  allo
Stato  di  conformarsi  alle   norme   del   diritto   internazionale
generalmente riconosciute e con violazione del dovere di regolare  la
condizione giuridica dello straniero in modo conforme alle norme e ai
trattati internazionali. 
    Considerato che i Giudici di pace di Lecce e di Pontassieve e  il
Tribunale per i minorenni di Lecce hanno sollevato - nei  termini  di
cui alle  rispettive  ordinanze  di  rimessione  sopra  menzionate  -
questioni di legittimita'  costituzionale  dell'articolo  10-bis  del
decreto legislativo  25  luglio  1998,  n.  286  (Testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello straniero), come introdotto dall'art. 1, comma
16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n.  94  (Disposizioni  in
materia di sicurezza pubblica), in riferimento agli  articoli  2,  3,
24, 25, 27, 97, 117 della Costituzione; 
    che, data la comunanza di oggetto delle questioni  sollevate,  va
disposta la riunione dei relativi procedimenti; 
    che, sia pure ad un livello minimo di sufficienza,  le  ordinanze
dei Giudici  di  pace  di  Lecce  e  di  Pontassieve  contengono  una
descrizione delle  fattispecie  sulle  quali  essi  sono  chiamati  a
pronunciare; 
    che,  invece,   non   altrettanto   puo'   dirsi   con   riguardo
all'ordinanza del Tribunale  per  i  minorenni  di  Lecce,  la  quale
presenta gravi carenze in  punto  di  descrizione  della  fattispecie
concreta, in quanto si limita  a  riprodurre  nell'epigrafe  il  capo
d'imputazione, a sua volta circoscritto ad una parafrasi della  norma
incriminatrice, senza alcun cenno alla vicenda che ha dato origine al
giudizio e alla sua riconducibilita' al paradigma punitivo censurato,
anche tenendo conto della minore eta' degli imputati; 
    che, per costante giurisprudenza  di  questa  Corte,  la  carente
descrizione  della  fattispecie  oggetto  del  giudizio  preclude  il
necessario controllo in punto di rilevanza (ex plurimis, ordinanze n.
320 e n. 253 del 2010, e n. 211 del 2009); 
    che,  pertanto,  le  questioni  di  legittimita'   costituzionale
sollevate dal Tribunale per i minorenni  di  Lecce  vanno  dichiarate
manifestamente inammissibili; 
    che, in primo luogo, i Giudici di pace di Lecce e di  Pontassieve
prospettano la violazione  degli  artt.  25  e  27  Cost.,  ritenendo
violato il principio di offensivita' del reato, in forza del quale al
legislatore sarebbe preclusa l'introduzione - per finalita'  di  mera
deterrenza - di sanzioni non  ricollegabili  a  fatti  colpevoli,  ma
piuttosto a modi di essere ovvero ad una mera disobbedienza priva  di
disvalore (anche  potenziale)  per  un  determinato  bene  giuridico,
mentre con il  cosiddetto  reato  di  clandestinita'  il  legislatore
avrebbe  previsto  l'incriminazione  di  condotte  prive  d'idoneita'
offensiva (sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 22 e n.  78
del 2007), dal momento che l'ingresso o la  presenza  illegale  dello
straniero sarebbe espressione di una  condizione  individuale,  cioe'
dello status di migrante; 
    che al riguardo questa Corte gia' si e'  pronunciata,  affermando
la non fondatezza della questione sui seguenti rilievi  (sentenza  n.
250 del 2010, n. 6 del Considerato in diritto): non e' esatto che  la
norma censurata penalizzi una mera condizione personale e  sociale  -
cioe'  quella  di  straniero  "clandestino"  o,  piu'   propriamente,
"irregolare" - della quale in modo  arbitrario  sarebbe  presunta  la
pericolosita' sociale, in quanto oggetto dell'incriminazione  non  e'
un modo di essere della persona, bensi' uno  specifico  comportamento
trasgressivo di norme vigenti. Ne'  puo'  condividersi  l'assunto  in
forza del quale si sarebbe  in  presenza  di  un  illecito  di  "mera
disobbedienza", non offensivo di alcun bene giuridico  meritevole  di
tutela, perche' il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice
e' identificabile nell'interesse dello  Stato  al  controllo  e  alla
gestione  dei  flussi  migratori,  costituente  un   bene   giuridico
strumentale, attraverso la cui salvaguardia il  legislatore  protegge
beni  pubblici  che  possono  essere  compromessi  da   fenomeni   di
immigrazione incontrollata (come meglio spiegato  nella  sentenza  da
ultimo citata); 
    che pertanto,  sotto  questo  profilo,  la  questione  si  rivela
manifestamente infondata, in assenza di argomenti idonei  a  superare
quelli esposti nella citata sentenza n. 250 del 2010; 
    che, ad  avviso  dei  rimettenti,  sarebbe  altresi'  violato  il
principio di sussidiarieta' dell'illecito penale (con riferimento  ai
medesimi parametri costituzionali dianzi  indicati),  in  quanto  nel
nostro ordinamento il ricorso alla sanzione penale  andrebbe  ammesso
soltanto come ultima ratio, quando la tutela del bene  giuridico  non
possa essere  raggiunta  attraverso  altri  strumenti.  Nel  caso  di
specie,   l'obiettivo   perseguito   dalla   nuova   norma    sarebbe
l'allontanamento dello  straniero  irregolare  dal  territorio  dello
Stato e gia' in precedenza sarebbe stato possibile  raggiungere  tale
obiettivo  mediante  le  diverse  ipotesi  di   espulsione   in   via
amministrativa previste dal testo unico sull'immigrazione; 
    che, a parte la non dimostrata congruita' dei  parametri  evocati
(artt. 25 e 27 Cost.) rispetto alle censure addotte, e fermo il punto
che il legislatore dispone di ampia discrezionalita' in  ordine  alle
scelte legislative riguardanti la  configurazione  dei  reati  e  del
relativo trattamento sanzionatorio (ex plurimis, tra le piu' recenti:
sentenze n. 47 del 2010 e n. 161 del 2009), l'assetto normativo cui i
rimettenti si riferiscono non comporta che  «il  procedimento  penale
per il reato in esame sia destinato, a  priori,  a  rappresentare  un
mero "duplicato" del procedimento  amministrativo  di  espulsione  di
norma, per giunta, piu' celere: e  cio',  a  tacer  d'altro,  per  la
ragione che - come l'esperienza attesta - in un largo numero di  casi
non e' possibile, per la  pubblica  amministrazione,  dare  corso  ai
provvedimenti espulsivi. La stessa sostituzione della pena pecuniaria
con la misura dell'espulsione da parte  del  giudice  -  configurata,
peraltro, dall'art. 16, comma 1, del d.lgs.  n.  286  del  1998  come
soltanto discrezionale ("puo'")  -  resta  espressamente  subordinata
alla condizione  che  non  ricorrano  le  situazioni  che,  ai  sensi
dell'art. 14, comma 1, del medesimo decreto legislativo,  impediscono
l'esecuzione  immediata  dell'espulsione  con  accompagnamento   alla
frontiera a mezzo della forza pubblica (necessita'  di  procedere  al
soccorso dello straniero, ad  accertamenti  supplementari  in  ordine
alla sua identita' o nazionalita', all'acquisizione di documenti  per
il viaggio, ovvero indisponibilita' di vettore o di  altro  mezzo  di
trasporto idoneo)» (sentenza n. 250 del 2010, n. 10  del  Considerato
in diritto); 
    che, alla stregua di tali rilievi, anche la  questione  sollevata
con   riguardo   al   profilo   suddetto   deve   essere   dichiarata
manifestamente infondata; 
    che i rimettenti  denunziano  la  «violazione  del  principio  di
uguaglianza e del principio  di  personalita'  della  responsabilita'
penale», a loro avviso ricavabile dai seguenti punti: a) poiche', per
effetto dell'art.  10-bis,  comma  5,  qualora  l'autore  dell'azione
criminosa sia espulso o respinto, il giudice  pronuncia  sentenza  di
non  luogo  a  procedere,  e  poiche'   l'esecuzione   dei   relativi
provvedimenti  sarebbe   rimessa   alla   discrezionalita'   e   alla
disponibilita'  di  mezzi  dell'autorita'   amministrativa,   essendo
irrilevanti la volonta' e le azioni dello  straniero,  l'accertamento
giurisdizionale di condotte  identiche  produrrebbe  effetti  diversi
(sentenza di condanna  o  di  non  luogo  a  procedere)  a  causa  di
circostanze estranee all'intervento degli imputati;  b)  non  sarebbe
stata attribuita  alcuna  rilevanza  alla  presenza  di  giustificati
motivi    che    abbiano    determinato    le    condotte     oggetto
dell'incriminazione, a differenza di quanto previsto per l'analoga (e
molto piu' grave) ipotesi di cui all'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs.
n. 286 del 1998, con ingiustificata disparita' di trattamento tra gli
autori dei due reati; c) non  vi  sarebbero  ragioni  per  precludere
all'agente di estinguere il reato a lui ascritto mediante oblazione; 
    che la questione sollevata con riferimento ai profili suddetti e'
manifestamente inammissibile, perche': 1) quanto  al  punto  sub  a),
essa e' prospettata in termini astratti ed  ipotetici,  giacche',  ai
sensi dell'art. 10-bis, comma 5, del  d.lgs.  n.  286  del  1998,  il
giudice pronuncia sentenza di non luogo  a  procedere  soltanto  dopo
avere «acquisita la notizia  dell'esecuzione  dell'espulsione  o  del
respingimento», mentre nel caso in esame tale circostanza non risulta
dalle ordinanze di rimessione, onde i rimettenti censurano un aspetto
della norma di cui non  devono  fare  applicazione,  con  conseguente
irrilevanza del profilo; 2) analogo rilievo vale quanto al punto  sub
b), perche' nelle ordinanze di rimessione non e' prospettata, neppure
con riguardo a mere allegazioni difensive,  alcuna  circostanza  che,
nei casi di specie, potrebbe  assumere  rilievo  quale  "giustificato
motivo", e tale carenza  priva  la  questione  sollevata  di  attuale
rilevanza,  o  comunque  non  consente  il  necessario  controllo  al
riguardo (ordinanza n. 318 del 2010); 3)  identica  conclusione  vale
per il punto sub c), perche' dalle ordinanze di rimessione non emerge
che gli imputati abbiano presentato una domanda di oblazione; 
    che il  Giudice  di  pace  di  Lecce  dubita  della  legittimita'
costituzionale della norma  censurata  in  riferimento  all'art.  117
Cost., con riguardo agli obblighi internazionali assunti  dall'Italia
in materia di trattamento dei migranti, e richiama a tal proposito il
Protocollo addizionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la
criminalita' transazionale organizzata  per  combattere  il  traffico
illecito di migranti (adottato dall'Assemblea generale il 15 dicembre
2000, ratificato e reso esecutivo con legge 16 marzo 2006,  n.  146).
In particolare, pone l'accento  sull'art.  6  del  detto  protocollo,
secondo cui ogni Stato Parte (tra l'altro) adotta misure  legislative
e di altro tipo necessarie per conferire il carattere di reato ad una
serie di fatti o condotte nell'articolo medesimo contemplati; 
    che, a prescindere da ogni  considerazione  di  merito  circa  la
pertinenza del richiamo all'atto menzionato (il cui art. 6, paragrafo
4, stabilisce  che  «Nessuna  disposizione  del  presente  Protocollo
impedisce ad uno Stato Parte di prendere misure nei confronti di  una
persona la cui condotta costituisce reato ai sensi  del  suo  diritto
interno»), e'  preliminare  rilevare  la  manifesta  inammissibilita'
della  questione  in  relazione  al  parametro  indicato,  in  quanto
dall'ordinanza di rimessione non si desume che l'imputato  sia  stato
oggetto di traffico illecito ai sensi del citato art. 6; 
    che i Giudici di pace di Lecce e di Pontassieve  deducono  ancora
la   violazione   dell'art.   3   Cost.:   a)   sotto   il    profilo
dell'irragionevolezza   della    scelta    legislativa,    volta    a
criminalizzare l'ingresso e la  permanenza  clandestini  nello  Stato
italiano,  pure  in  presenza  di  istituti   espulsivi   di   natura
amministrativa, mentre «la penalizzazione di  una  condotta  dovrebbe
intervenire, come extrema ratio, in tutti  i  casi  in  cui  non  sia
possibile individuare altri strumenti idonei al raggiungimento  dello
scopo». In realta' l'ambito di applicazione della  nuova  fattispecie
sarebbe   coincidente   con   quello   della   preesistente    misura
amministrativa dell'espulsione, sicche'  l'adozione  dello  strumento
penale resterebbe priva di ogni giustificazione;  b)  per  palese  ed
irragionevole   disparita'   di   trattamento   sotto   il    profilo
sanzionatorio, considerato nel suo complesso, cioe'  comprensivo  non
solo della pena dell'ammenda ma anche del  divieto  di  applicare  il
beneficio della sospensione condizionale di detta pena, nonche' della
facolta' concessa al giudice di pace di sostituire la pena pecuniaria
con una sanzione piu' grave qual e' l'espulsione dallo Stato  per  un
periodo non inferiore a cinque anni. Infatti, da un lato, la sanzione
sostitutiva potrebbe essere applicata a soggetti  condannati  a  pena
detentiva non superiore a due  anni  (sempre  che  non  ricorrano  le
condizioni per disporre  la  sospensione  condizionale  della  pena),
dall'altro lato essa potrebbe colpire soggetti condannati  alla  sola
pena pecuniaria, ai sensi della norma censurata, vale a dire  per  un
reato senza dubbio  meno  grave  e  privo  di  efficacia  deterrente,
sicche' sarebbe prevedibile che proprio la sanzione sostitutiva sara'
la pena generalmente adottata per il reato in questione; 
    che la questione sollevata in relazione  al  profilo  sub  a)  e'
manifestamente infondata, per le considerazioni gia' svolte (e  sopra
richiamate, a proposito dell'asserita  violazione  del  principio  di
sussidiarieta' dell'illecito penale) dalla sentenza di  questa  Corte
n.  250  del  2010  (n.  10  del  Considerato  in  diritto),   mentre
manifestamente inammissibile e' la questione sollevata in riferimento
al profilo sub b), perche', a prescindere da ogni  considerazione  di
merito, la lesione costituzionale denunciata  non  deriverebbe  dalla
disposizione impugnata ma da  norme  distinte,  non  coinvolte  nello
scrutinio di costituzionalita', cioe'  dall'art.  16,  comma  1,  del
d.lgs. n. 286 del 1998, nella parte in cui - a seguito della modifica
operata dalla  legge  n.  94  del  2009  -  estende  l'applicabilita'
dell'espulsione come sanzione sostitutiva alla contravvenzione di cui
all'art.  10-bis  del  detto  decreto  legislativo,   nonche'   dalla
disposizione correlata dell'art. 62-bis del d.lgs. 28 agosto 2000, n.
274 (Disposizioni sulla competenza penale  del  giudice  di  pace,  a
norma dell'articolo 14 della legge 24  novembre  1999,  n.  468),  in
forza della quale - diversamente da quanto stabilito  dal  precedente
art. 62 con riferimento  alle  sanzioni  sostitutive  previste  dalla
legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale)  -  «nei
casi stabiliti dalla legge, il giudice  di  pace  applica  la  misura
sostitutiva di cui all'art. 16 del testo  unico  di  cui  al  decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286» (sentenza n. 250 del 2010, n.  12
del Considerato in diritto); 
    che con le due  suddette  ordinanze  di  rimessione  e'  altresi'
denunziata,  in  riferimento  all'art.  3  Cost.,  la  «irragionevole
disparita' di trattamento sotto  il  profilo  sanzionatorio  rispetto
all'art.  14  t.u.»,  che  prevede  la  punibilita'  dello  straniero
inottemperante all'ordine di allontanamento del questore solo  quando
esso si  trattenga  nel  territorio  dello  Stato  oltre  il  termine
stabilito e senza giustificato motivo, condizioni non presenti  nella
nuova figura criminosa, onde sarebbe sufficiente il venir  meno,  per
qualche motivo, del permesso di soggiorno per integrare un'ipotesi di
trattenimento  illecito,  senza  possibilita'  per  l'interessato  di
addurre  una  giustificazione  o  di  usufruire  di  un  termine  per
allontanarsi; 
    che, inoltre, in  virtu'  dell'attribuzione  della  competenza  a
conoscere della nuova fattispecie al giudice  di  pace,  risulterebbe
disegnato un sottosistema sanzionatorio addirittura piu'  gravoso  di
quello previsto per il piu' grave delitto, non essendo possibili  ne'
la concessione della sospensione condizionale, ne' una  riduzione  di
pena conseguente all'adozione di un rito alternativo (per  l'espresso
divieto di applicazione dei predetti  istituti  al  rito  davanti  al
giudice di pace, ai sensi degli artt. 2 e 60 del  d.lgs.  n.  74  del
2000); 
    che, ancora,  le  due  fattispecie  sarebbero  «irrimediabilmente
contrastanti  tra  loro,  sia  sul  piano  logico   che   su   quello
pragmatico», sicche' «potrebbe darsi il caso  di  un  soggetto,  gia'
condannato per il reato d'ingresso o trattenimento  clandestino  che,
non espulso manu militari, ma  intimato  di  lasciare  il  territorio
dello Stato, possa ivi legittimamente trattenersi perche' sorretto da
un "giustificato motivo": con un  evidente  ed  insanabile  contrasto
nella posizione di uno Stato che, da un lato,  punisce  lo  straniero
non solo ab origine, ma anche divenuto clandestino e, dall'altro,  lo
autorizza a trattenersi perche' munito di un giustificato motivo»; 
    che la questione,  nei  termini  prospettati,  e'  manifestamente
inammissibile perche': a) l'ultima censura ha  carattere  astratto  e
meramente ipotetico; b) quanto ai richiami al "giustificato  motivo",
si deve ribadire il gia'  segnalato  difetto  di  rilevanza,  perche'
dalle ordinanze di rimessione non emerge la sussistenza di situazioni
riconducibili a quel concetto; c) quanto alle residue  censure  esse,
in ipotesi, sarebbero ascrivibili alla normativa sul giudice di pace,
non coinvolta nel presente scrutinio di legittimita' costituzionale; 
    che i Giudici di pace di Lecce  e  di  Pontassieve  censurano  la
norma impugnata per contrasto con gli artt. 3 e  25,  comma  secondo,
Cost.,  in  quanto   essa   integrerebbe   una   fattispecie   penale
discriminatoria, perche' fondata su particolari condizioni  personali
e sociali, anziche'  su  fatti  e  comportamenti  riconducibili  alla
volonta'  del  soggetto  attivo.  La  norma  soltanto  in   apparenza
sanzionerebbe    una    condotta,    mentre    il    vero     oggetto
dell'incriminazione sarebbe la condizione personale dello  straniero,
costituita dal mancato possesso di un titolo abilitativo all'ingresso
e alla successiva permanenza nel territorio dello Stato, che  sarebbe
la condizione tipica del migrante economico; 
    che tali censure ripetono, in sostanza, quanto gia'  dedotto  con
riguardo alle doglianze relative a presunte violazioni  dei  principi
di offensivita' e di sussidiarieta' dell'illecito penale, sicche'  e'
sufficiente rinviare alle considerazioni al riguardo svolte; 
    che i rimettenti dubitano della legittimita' costituzionale della
norma censurata in  riferimento  all'art.  2  Cost.,  richiamando  la
sentenza di questa Corte n.  519  del  1995  (relativa  al  reato  di
mendicita') e sostenendo che lo spirito solidaristico  proprio  della
Carta costituzionale dovrebbe impedire l'adozione di misure puramente
repressive per risolvere il  problema  dell'immigrazione,  mentre  la
nuova disposizione pregiudicherebbe anche alcuni diritti  inviolabili
dell'uomo; 
    che sul punto questa Corte si e' gia' pronunciata con  la  citata
sentenza  n.  250  del  2010  (n.  8  del  Considerato  in  diritto),
osservando che: a) qualora la tesi dei rimettenti  fosse  valida,  la
ragione dell'illegittimita'  costituzionale  non  risiederebbe  nella
scelta di configurare come reato  l'inosservanza  delle  disposizioni
sull'ingresso e il soggiorno dello  straniero  nel  territorio  dello
Stato, ma  nello  stesso  precetto,  cioe'  nelle  regole  (collocate
all'esterno della norma oggi sottoposta a scrutinio), che  precludono
o limitano l'ingresso o  la  permanenza  degli  stranieri  nel  detto
territorio;  b)  in  ordine  al  principio   di   solidarieta',   per
giurisprudenza di questa Corte in materia di immigrazione «le ragioni
della solidarieta' umana non possono essere affermate al di fuori  di
un corretto bilanciamento dei valori in gioco» (sentenza n.  353  del
1997). In particolare, «le ragioni della solidarieta' umana non  sono
di per se' in contrasto con le  regole  in  materia  di  immigrazione
previste  in  funzione  di  un  ordinato  flusso  migratorio   e   di
un'adeguata accoglienza ed integrazione degli  stranieri»  (ordinanze
n. 192 e n. 44 del 2006, n. 217 del 2001). Cio' nella cornice  di  un
quadro normativo che vede regolati in modo diverso - anche a  livello
costituzionale (art. 10,  terzo  comma,  Cost.)  -  l'ingresso  e  la
permanenza degli stranieri nel Paese, a  seconda  che  si  tratti  di
richiedenti il diritto di asilo o  rifugiati,  ovvero  di  cosiddetti
migranti  economici  (sentenza  n.  5  del  2004),  alla  luce  della
discrezionalita' che in materia spetta al legislatore; 
    che, sulla base di tali considerazioni,  la  questione  sollevata
con   riferimento   all'art.   2   Cost.   deve   essere   dichiarata
manifestamente infondata; 
    che i Giudici di pace di Lecce e di  Pontassieve  dubitano  della
legittimita'  costituzionale  della  norma  censurata  in   relazione
all'art. 97 Cost., sostenendo che essa sarebbe  diretta  ad  ottenere
l'espulsione dello straniero, cioe' un  risultato  gia'  conseguibile
con la procedura  amministrativa,  per  cui  il  procedimento  penale
costituirebbe un semplice duplicato; 
    che la questione, sotto tale profilo, e' manifestamente infondata
per l'inconferenza del parametro evocato, perche'  il  principio  del
buon andamento  e'  riferibile  all'amministrazione  della  giustizia
soltanto per quanto attiene  all'organizzazione  e  al  funzionamento
degli uffici giudiziari, non all'attivita' giurisdizionale  in  senso
stretto (ex plurimis: sentenze n. 250 del 2010, n. 64  del  2009,  n.
272 del 2008; ordinanze n. 408 del 2008 e n. 27 del 2007); 
    che, infine, i suddetti rimettenti  dubitano  della  legittimita'
costituzionale della norma censurata in relazione all'art. 24  Cost.,
sostenendo che l'8 agosto 2009, al momento dell'entrata in vigore  di
detta norma, «tutti gli stranieri  irregolari  che  si  trovavano  in
Italia erano in  ipotesi  sanzionabili  con  la  contravvenzione  ivi
prevista se non si fossero spontaneamente allontanati dal  territorio
nazionale». Infatti, non sarebbero stati contemplati un termine e una
modalita' operativa affinche' tali soggetti potessero ottemperare  al
precetto legislativo, incorrendo  dunque  in  violazione  del  citato
parametro costituzionale; 
    che   la   questione   cosi'   prospettata   e'    manifestamente
inammissibile per difetto di rilevanza, in quanto dalle ordinanze  di
rimessione non risulta che gli stranieri imputati fossero  in  Italia
al momento dell'entrata in vigore del citato art. 10-bis. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi  avanti  alla
Corte costituzionale. 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    a) dichiara la  manifesta  inammissibilita'  delle  questioni  di
legittimita'  costituzionale   dell'articolo   10-bis   del   decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo  unico  delle  disposizioni
concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla  condizione
dello straniero), come introdotto dall'articolo 1, comma 16,  lettera
a), della legge 15 luglio 2009, n. 94  (Disposizioni  in  materia  di
sicurezza pubblica), sollevate, in riferimento agli  articoli  2,  3,
27, 117 della Costituzione, dal Tribunale per i  minorenni  di  Lecce
con l'ordinanza indicata in epigrafe; 
    b) dichiara la  manifesta  inammissibilita'  delle  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis del d.lgs.  n.  286  del
1998, come introdotto dall'art. 1, comma 16, lettera a), della  legge
n. 94 del 2009, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24,  27,  117
Cost., dai Giudici  di  pace  di  Lecce  e  di  Pontassieve,  con  le
ordinanze indicate in epigrafe; 
    c)  dichiara  la  manifesta  infondatezza  delle   questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis del d.lgs.  n.  286  del
1998, come introdotto dall'art. 1, comma 16, lettera a), della  legge
n. 94 del 2009, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 25, 27, 97
Cost., dai Giudici  di  pace  di  Lecce  e  di  Pontassieve,  con  le
ordinanze indicate in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 marzo 2011. 
 
                      Il Presidente: De Siervo 
 
 
                       Il redattore: Criscuolo 
 
 
                       Il cancelliere: Melatti 
 
    Depositata in cancelleria l'11 marzo 2011. 
 
                       Il cancelliere: Melatti