N. 115 SENTENZA 4 - 7 aprile 2011

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Sicurezza pubblica - Attribuzione al  sindaco,  quale  ufficiale  del
  Governo,  del  potere  di  adottare  provvedimenti  finalizzati   a
  prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano  l'incolumita'
  pubblica  e  la  sicurezza  urbana,  anche  fuori   dai   casi   di
  contingibilita' e urgenza -  Eccezione  di  inammissibilita'  della
  questione  per  avere  il  rimettente  denunciato,  come  vizi   di
  legittimita'   costituzionale,   vizi   dell'atto    amministrativo
  pienamente sindacabili in sede giurisdizionale - Reiezione. 
- D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 54, comma  4,  come  sostituito
  dall'art. 6 del  d.l.  23  maggio  2008,  n.  92,  convertito,  con
  modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 24 luglio 2008, n.
  125. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 5, 6, 8, 13, 16, 17, 18, 21, 23, 24,  41,
  49, 70, 76, 77, 97, 113, 117 e 118. 
Sicurezza pubblica - Attribuzione al  sindaco,  quale  ufficiale  del
  Governo,  del  potere  di  adottare  provvedimenti  finalizzati   a
  prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano  l'incolumita'
  pubblica  e  la  sicurezza  urbana,  anche  fuori   dai   casi   di
  contingibilita'   e   urgenza   -   Omessa   delimitazione    della
  discrezionalita' amministrativa, con conseguente  violazione  delle
  riserve relative di legge in materia  di  prestazioni  personali  o
  patrimoniali imposte ai consociati e di organizzazione dei pubblici
  uffici allo scopo  di  assicurare  l'imparzialita'  della  pubblica
  amministrazione  -  Lesione  del  principio  di   uguaglianza   dei
  cittadini davanti alla legge  -  Illegittimita'  costituzionale  in
  parte qua - Assorbimento delle altre censure. 
- D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 54, comma  4,  come  sostituito
  dall'art. 6 del  d.l.  23  maggio  2008,  n.  92,  convertito,  con
  modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 24 luglio 2008, n.
  125. 
- Costituzione, artt. 3, primo comma, 23 e 97, primo comma (artt.  2,
  5, 6, 8, 13, 16, 17, 18, 21, 24, 41, 49, 113, 117 e 118). 
(GU n.16 del 13-4-2011 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Ugo DE SIERVO; 
Giudici: Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco
  GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE,  Giuseppe
  TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe   FRIGO,   Alessandro
  CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                              Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  54,  comma  4,
del decreto legislativo 18  agosto  2000,  n.  267,  come  sostituito
dall'art. 6 del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92  (Misure  urgenti
in materia di sicurezza  pubblica),  convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 24 luglio 2008,  n.  125,  promosso
dal  Tribunale  amministrativo   regionale   per   il   Veneto,   nel
procedimento vertente tra l'associazione «Razzismo Stop» onlus  e  il
Comune di Selvazzano Dentro ed altri,  con  ordinanza  del  22  marzo
2010, iscritta al n. 191  del  registro  ordinanze  2010,  pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, 1ª  serie  speciale,
dell'anno 2010. 
    Visti l'atto di costituzione della associazione  «Razzismo  Stop»
onlus, nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 22 marzo 2011 il Giudice relatore
Gaetano Silvestri; 
    uditi  gli  avvocati  Francesco  Caffarelli  per   l'associazione
«Razzismo Stop» onlus e l'avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per
il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Il Tribunale amministrativo regionale  per  il  Veneto,  con
ordinanza del 22 marzo 2010, ha sollevato - in riferimento agli artt.
2, 3, 5, 6, 8, 13, 16, 17, 18, 21, 23, 24, 41, 49, 70,  76,  77,  97,
113, 117  e  118  della  Costituzione  -  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 54, comma  4,  del  decreto  legislativo  18
agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi  sull'ordinamento  degli
enti locali), come sostituito dall'art. 6 del decreto-legge 23 maggio
2008, n. 92  (Misure  urgenti  in  materia  di  sicurezza  pubblica),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  24
luglio 2008, n. 125, nella parte in  cui  consente  che  il  sindaco,
quale  ufficiale  del  Governo,  adotti  provvedimenti  a  «contenuto
normativo ed efficacia a tempo indeterminato», al fine di prevenire e
di eliminare gravi pericoli che minaccino la sicurezza urbana,  anche
fuori dai casi di contingibilita' e urgenza. 
    In particolare, la  norma  indicata  sarebbe  illegittima  «nella
parte in cui ha inserito la congiunzione "anche" prima  delle  parole
"contingibili e urgenti"». 
    Nel giudizio principale e' censurato un  provvedimento  sindacale
con il quale si e' fatto divieto di «accattonaggio» in vaste zone del
territorio comunale, prevedendo, per  i  trasgressori,  una  sanzione
amministrativa pecuniaria, con possibilita' di  pagamento  in  misura
ridotta solo per le  prime  due  violazioni  accertate.  Oggetto  del
divieto,  in  particolare,  e'  la  richiesta  di  denaro  in  luoghi
pubblici, effettuata «anche» in forma petulante e molesta, di talche'
il provvedimento sindacale si estende, secondo  il  rimettente,  alle
forme di mendicita' non «invasiva o molesta». 
    1.1. - Il giudizio a quo e' stato introdotto dal ricorso  di  una
associazione  onlus  denominata  «Razzismo  Stop»,  che  ha   dedotto
molteplici  vizi  del  provvedimento  impugnato.  Tale  provvedimento
sarebbe stato deliberato, anzitutto, in violazione del  principio  di
proporzionalita', nonche' dell'art. 54, comma 4, del  d.lgs.  n.  267
del 2000 e dell'art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme
in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso  ai
documenti amministrativi). In particolare, non risulterebbe  allegato
e documentato alcun grave pericolo per l'incolumita'  pubblica  e  la
sicurezza urbana, e non sussisterebbero quindi, nel caso concreto, le
necessarie condizioni di contingibilita' e urgenza. L'atto  impugnato
sarebbe illegittimo anche  in  forza  della  sua  efficacia  a  tempo
indeterminato, incompatibile, appunto,  con  i  limiti  propri  delle
ordinanze contingibili e urgenti. 
    Farebbero  inoltre  difetto,  nella  specie,   i   requisiti   di
proporzionalita'  e  coerenza,  posto  che  almeno  il   divieto   di
mendicita' «non invasiva» contrasterebbe con le  «statuizioni»  della
sentenza della Corte costituzionale n.  519  del  1995  (dichiarativa
della parziale illegittimita' dell'art. 670 del codice penale) e  con
le  indicazioni  recate  dal  decreto  ministeriale  5  agosto   2008
(deliberato  dal  Ministro  dell'interno  a  norma  del  comma  4-bis
dell'art. 54 del d.lgs. n. 267 del 2000), che si riferiscono  solo  a
forme di mendicita' moleste, o attuate mediante  lo  sfruttamento  di
minori o disabili. 
    La previsione della confisca del denaro versato in violazione del
divieto, a titolo di sanzione accessoria, avrebbe derogato alle norme
del  codice  civile  in  materia  di  donazione  ed  ai  criteri   di
proporzionalita' e pari  trattamento.  Inoltre  sarebbe  illegittima,
sempre secondo l'associazione ricorrente, la deroga alle disposizioni
ordinarie in materia di ammissione al pagamento in misura ridotta per
le infrazioni amministrative (art. 18 della legge 24  novembre  1981,
n. 689, recante «Modifiche al sistema penale»). 
    1.2.  -  Il  Comune  interessato,  secondo  quanto  riferito  dal
Tribunale rimettente, si e' costituito nel  giudizio  amministrativo,
chiedendo   fosse   dichiarata   l'inammissibilita'   del    ricorso.
L'eccezione e' stata respinta dal giudice adito con provvedimento del
4 marzo 2010, mentre e' stata  accolta  la  domanda,  proposta  dalla
ricorrente,  per  una  sospensione  cautelare   degli   effetti   del
provvedimento impugnato. 
    1.3. - Il giudice a quo  osserva  preliminarmente,  in  punto  di
rilevanza della questione, che sussiste la legittimazione al  ricorso
dell'associazione «Razzismo Stop», la quale risulta  da  lungo  tempo
impegnata, anche  nello  specifico  ambito  territoriale,  in  azioni
mirate allo sviluppo dei diritti umani e civili,  della  solidarieta'
nei confronti degli indigenti e della integrazione  in  favore  degli
stranieri. La stessa associazione, inoltre, e' iscritta all'elenco ed
al registro previsti rispettivamente dagli artt. 5 e  6  del  decreto
legislativo  9  luglio  2003,  n.  215  (Attuazione  della  direttiva
2000/43/CE  per  la   parita'   di   trattamento   tra   le   persone
indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica). 
    Il rimettente evidenzia,  in  particolare,  che  le  associazioni
iscritte in un apposito elenco (approvato con  decreto  del  Ministro
del lavoro e delle politiche sociali  e  del  Ministro  per  le  pari
opportunita')  sono  legittimate  ad  agire,  anche  in  assenza   di
specifiche deleghe, nei casi di discriminazione  collettiva,  qualora
non siano individuabili in modo diretto e immediato le persone offese
dal comportamento discriminatorio. La ricorrente e' poi iscritta  nel
registro, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri -
Dipartimento per le pari opportunita',  delle  associazioni  e  degli
enti  che   svolgono   attivita'   nel   campo   della   lotta   alle
discriminazioni e della promozione della parita'  di  trattamento,  e
che  rispondono  a  determinate  caratteristiche  di  stabilita'   ed
affidabilita'. 
    La  pertinenza  del  provvedimento  impugnato   al   tema   della
discriminazione  su   base   razziale,   nella   prospettazione   del
rimettente, deriva dal chiaro rapporto tra «accattonaggio»,  poverta'
ed esclusione sociale, e dal rischio elevato che in  tali  condizioni
si trovino persone nomadi o migranti, appartenenti  a  gruppi  etnici
minoritari. D'altro canto - prosegue il Tribunale - la legge sanziona
anche la discriminazione esercitata in forma  indiretta,  e  cioe'  i
casi nei quali «una disposizione, un criterio, una prassi,  un  atto,
un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere  le
persone di una determinata razza od origine etnica in  una  posizione
di particolare svantaggio rispetto ad altre persone» (art.  2,  comma
1, lettera b, del d.lgs. n.  215  del  2003).  Esattamente  quel  che
accadrebbe nella specie, ove un divieto, pure formalmente  riferibile
alla generalita' dei dimoranti nel territorio  comunale  interessato,
avrebbe assunto specifico e particolare rilievo per gli  appartenenti
a minoranze etniche ed a gruppi di migranti. 
    Cio' premesso, il rimettente valuta che sussistano l'interesse  e
la  legittimazione  ad  agire  della  onlus  «Razzismo  Stop»,  posta
l'integrazione, nel caso concreto, dei criteri elaborati dalla stessa
giurisprudenza  amministrativa  (posizione  dell'ente  quale  stabile
punto   di   riferimento   del   gruppo   portatore    dell'interesse
pregiudicato, corrispondenza della tutela  di  detto  interesse  alle
finalita' annoverate nello  statuto  della  formazione,  collegamento
specifico e non occasionale  con  l'ambito  territoriale  interessato
dalla lesione denunciata). 
    La natura fondamentale del diritto eventualmente  violato,  e  la
previsione ad opera della legge di una specifica azione civile contro
gli atti discriminatori (art. 44 del d.lgs. 25 luglio 1998,  n.  286,
recante «Testo unico delle  disposizioni  concernenti  la  disciplina
dell'immigrazione e norme sulla  condizione  dello  straniero»),  non
varrebbero ad escludere, sotto un diverso  profilo,  l'ammissibilita'
del ricorso al giudice amministrativo. Questi puo' infatti  conoscere
vizi dell'atto che  risultino  pertinenti  alla  lesione  di  diritti
fondamentali della persona (e' citata, tra l'altro, la sentenza della
Corte  costituzionale  n.  140  del  2007).  Al  tempo   stesso,   la
disponibilita' di un mezzo specifico di  tutela  contro  i  fatti  di
discriminazione  non  potrebbe  inibire  il  ricorso  agli   ordinari
strumenti di garanzia nei confronti della pubblica amministrazione. 
    1.4. - Il Tribunale amministrativo del Veneto osserva, sempre  in
punto di rilevanza della questione, come le censure della  ricorrente
siano prevalentemente costruite sulla  carenza  delle  condizioni  di
contingibilita'  ed  urgenza   per   l'adozione   del   provvedimento
impugnato. Il Comune resistente, dal canto proprio, ha rivendicato la
legittimazione del sindaco ad emettere  ordinanze  ad  efficacia  non
limitata  nel  tempo,  evidenziando  il  contenuto  innovativo  della
disposizione applicata, che consente ormai  l'adozione  di  ordinanze
«anche» contingibili e urgenti, e dunque non  solo  di  provvedimenti
destinati a regolare situazioni transitorie od eccezionali. 
    Il giudice  a  quo  ritiene  che,  in  ragione  dell'attuale  sua
formulazione,  la  norma  censurata  conferisca   effettivamente   al
sindaco,  in   assenza   di   elementi   utili   a   delimitarne   la
discrezionalita', un potere normativo vasto e  indeterminato,  idoneo
ad esplicarsi in deroga alle norme di legge  ed  all'assetto  vigente
delle  competenze  amministrative,   semplicemente   in   forza   del
dichiarato orientamento a fini di protezione della sicurezza  urbana.
Proprio tale potere sarebbe stato esercitato nella specie,  fuori  da
concrete  condizioni  di   contingibilita'   e   urgenza,   cosicche'
l'accoglimento della questione sollevata esplicherebbe sicuri effetti
sulla decisione del ricorso. 
    1.5. - A parere del rimettente la portata della norma oggetto  di
censura non sarebbe suscettibile di  un'interpretazione  restrittiva,
che  valga  a  recuperarne  la   compatibilita'   con   i   parametri
costituzionali evocati. 
    Sarebbe inequivoco, in particolare, il  significato  letterale  e
logico che alla  norma  deriva  dall'inserimento  della  congiunzione
«anche»,  tale  appunto  da  estendere  la  competenza  sindacale   a
provvedimenti non  contingibili  e  urgenti.  Detto  inserimento  non
potrebbe d'altra parte definirsi casuale o «involontario»,  dato  che
deriva dall'approvazione di uno specifico emendamento del Governo nel
corso dei lavori parlamentari per la conversione del decreto-legge n.
92 del 2008. 
    La possibilita' per il sindaco di adottare provvedimenti efficaci
a tempo indeterminato sull'intero  territorio  comunale  conferirebbe
alle   «nuove»   ordinanze    una    marcata    valenza    normativa,
indipendentemente   dalla   formale   persistenza   dell'obbligo   di
motivazione, che la legge del resto esclude per gli atti normativi  e
quelli a contenuto generale (e' citato il comma 2 dell'art.  3  della
legge n. 241 del 1990). 
    Non   potrebbe   d'altro   canto   condividersi    l'orientamento
restrittivo che, muovendo dalla perdurante necessita'  di  osservanza
dei principi generali dell'ordinamento, include  tra  detti  principi
quello della tipicita' e della  conformita'  alla  legge  degli  atti
amministrativi,  della  riserva  di  legge  e  della  competenza.  La
soluzione, nella sua attitudine ad escludere  ogni  iniziativa  extra
ordinem del sindaco, «anche» per i casi di contingibilita' e urgenza,
finirebbe col sopprimere una risorsa  tradizionale  e  indispensabile
allo  scopo  di  fronteggiare  gravi  pericoli  che  incombano  sulla
sicurezza  dei  cittadini  e  non  siano  governabili  mediante   gli
strumenti ordinari. 
    La Corte costituzionale, gia'  chiamata  a  valutare  in  diversa
prospettiva  la   legittimita'   della   norma   censurata,   avrebbe
riconosciuto la portata essenzialmente  normativa  dei  nuovi  poteri
conferiti al sindaco, la' dove ha  evidenziato  la  possibilita'  che
questi emani anche  «provvedimenti  di  ordinaria  amministrazione  a
tutela di esigenze di incolumita' pubblica e  sicurezza  urbana»  (e'
citata la sentenza n. 196 del 2009). 
    Il rimettente ricorda come la stessa  Corte,  pronunciando  sulla
norma concernente i poteri di ordinanza  del  prefetto  (art.  2  del
regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, recante «Approvazione del testo
unico delle leggi di pubblica sicurezza»), abbia dapprima optato  per
una sentenza interpretativa di rigetto, in base all'assunto che detta
norma non conferisse il potere di emanare provvedimenti ad  efficacia
illimitata nel tempo (sentenza n. 8 del  1956).  Qualche  anno  dopo,
tuttavia,  la  Corte  ha  constatato  il   perdurare   della   prassi
prefettizia di adottare ordinanze a carattere permanente, e per  tale
ragione si e' determinata  ad  una  dichiarazione  di  illegittimita'
costituzionale parziale della norma censurata  (sentenza  n.  26  del
1961). 
    Il Tribunale assume che un fenomeno analogo segnerebbe le «nuove»
ordinanze sindacali, posto  che  numerosi  provvedimenti  sono  stati
deliberati, in applicazione del comma 4 dell'art.  54,  con  il  piu'
vario  oggetto,  spesso  imponendo  divieti  od  obblighi  di  tenere
comportamenti significativi sul piano religioso  o  su  quello  delle
tradizioni etniche. Una  «interpretazione  adeguatrice»  risulterebbe
quindi «impraticabile», a fronte di una realta' che  vede  esercitare
in modo  incontrollato  poteri  di  normazione,  secondo  le  opzioni
politiche individuali dei sindaci, su materie inerenti ai diritti  ed
alle liberta' fondamentali. 
    1.6. - Nel merito, secondo il rimettente, la disposizione oggetto
di censura, interpretata come impone la presenza  della  congiunzione
«anche» prima delle parole «contingibili e  urgenti»,  contrasterebbe
con i principi costituzionali di legalita', tipicita' e delimitazione
della discrezionalita', enucleabili dagli artt. 23, 97, 70, 76, 77  e
117 Cost. (sono citate, quali decisioni  della  Corte  costituzionale
che avrebbero «chiaramente sancito»  il  rilievo  costituzionale  dei
principi richiamati, le sentenze n. 8 del 1956, n. 26 del 1961, n.  4
del 1977 e n. 201 del 1987). 
    Contingibilita'  e  urgenza,  infatti,  dovrebbero  rappresentare
«presupposto, condizione e limite» per una disciplina che consenta il
superamento,   sia   pure   nell'ambito   dei    principi    generali
dell'ordinamento, delle  disposizioni  vigenti  in  rapporto  ad  una
determinata materia, e che attribuisca un potere siffatto «in capo ad
un organo monocratico, in luogo di quello  ordinariamente  deputato».
Per tale  ragione,  le  norme  in  materia  di  ordinanze  dovrebbero
assicurare  indefettibilmente  il  contenuto  provvedimentale   delle
medesime, in rapporto all'obbligo di motivazione e all'efficacia  nel
tempo. 
    Anche nel caso di provvedimenti a contenuto normativo -  prosegue
il rimettente - non sarebbe consentita alcuna funzione innovativa del
diritto oggettivo, ma solo una funzione di deroga, in via eccezionale
e provvisoria,  alle  norme  ordinarie.  La  disposizione  censurata,
invece, avrebbe disegnato una vera e propria fonte normativa,  libera
nel contenuto ed equiparata  alla  legge,  cosi'  violando  tutte  le
regole costituzionali che riservano  alle  assemblee  legislative  il
compito di emanare atti aventi forza e valore di legge  (artt.  23  e
97, nonche' artt. 70, 76, 77 e 117 Cost.). 
    1.7. - Il comma 4 dell'art. 54 del d.lgs.  n.  267  del  2000,  a
parere del giudice a quo, viola anche  la  riserva  di  legge  ed  il
principio  di  legalita'   sostanziale   in   materia   di   sanzioni
amministrative (artt. 3, 23 e 97 Cost.). 
    L'art. 23 Cost., in particolare, stabilisce  che  le  prestazioni
personali e patrimoniali sono imposte ai singoli in base alla  legge.
Tale riserva e' solo relativa, ma  la  giurisprudenza  costituzionale
avrebbe da  tempo  chiarito  come  gli  spazi  discrezionali  per  la
pubblica amministrazione non  possano  estendersi  all'oggetto  della
prestazione ed ai criteri per identificarla (sono citate le  sentenze
n. 4 del 1957 e n. 447 del 1988). 
    La  norma  censurata,  invece,  avrebbe  attribuito   un   potere
normativo sganciato dai presupposti fattuali della contingibilita' ed
urgenza, dunque tendenzialmente illimitato e capace di incidere sulla
liberta' dei singoli di tenere ogni comportamento che non sia vietato
dalla legge. Una indeterminatezza non ridotta,  nella  prospettazione
del rimettente, dal decreto ministeriale adottato (il 5 agosto  2008)
a  norma  del  comma  4-bis  dello  stesso  art.  54,  dato  che   il
provvedimento sarebbe a sua volta generico, e  privo  di  una  chiara
definizione del concetto di «sicurezza urbana». 
    A conferma della situazione descritta varrebbe, ancora una volta,
la casistica dei provvedimenti assunti in  applicazione  della  norma
censurata: da casi di sovrapposizione  con  norme  penali  (come  per
talune  ordinanze  che  vietano  la  vendita  di  alcolici  a  minori
infrasedicenni o proibiscono la cessione di stupefacenti) a casi  nei
quali vengono incise liberta' fondamentali direttamente garantite  da
precetti costituzionali. Assumerebbero particolare rilievo,  in  tale
prospettiva, l'art. 13 Cost. in materia di liberta' personale, l'art.
16 Cost. sulla liberta' di circolazione e soggiorno, l'art. 17  Cost.
sulla liberta' di riunione, l'art. 41 Cost. in materia di  iniziativa
economica (e' fatto a questo proposito  l'esempio  di  ordinanze  che
fissano limiti minimi di reddito, ed obblighi di documentazione circa
la fonte, per ottenere iscrizioni  anagrafiche).  Anche  la  potesta'
legislativa riservata alle  Regioni  sarebbe  direttamente  vulnerata
(art. 117 Cost.). 
    1.8. - La possibilita', introdotta  dalla  norma  censurata,  che
l'esercizio di diritti fondamentali della persona venga  diversamente
regolato  sulla  ristretta  base  territoriale  dei  singoli   Comuni
comporta,  secondo  il  Tribunale  amministrativo  del   Veneto,   un
irragionevole  frazionamento,  ed   un   regime   di   disuguaglianza
incompatibile con l'art. 3 Cost. Sarebbero violati inoltre i principi
di unita' ed indivisibilita' della  Repubblica  (art.  5  Cost.),  di
legalita' (art. 97 Cost.), di riparto delle  funzioni  amministrative
(art. 118 Cost.). 
    1.9. - A parere del rimettente la  capacita'  «invasiva»  che  il
comma 4 dell'art. 54 conferisce ai provvedimenti sindacali rispetto a
materie riservate alle attribuzioni consiliari (come  ad  esempio  il
regolamento di polizia urbana) comporta un'irragionevole  alterazione
del riparto di competenze  all'interno  della  stessa  organizzazione
comunale. L'assunzione delle decisioni spettanti  all'assemblea,  che
rappresenta la generalita' dei  cittadini,  da  parte  di  un  organo
monocratico che nella  specie  agisce  quale  ufficiale  di  Governo,
«finisce per contraddire» la necessita'  di  pluralismo  della  quale
sono espressione gli artt. 2, 6, 8, 18, 21, 33, 39 e 49 Cost. 
    1.10. - Sarebbero violati infine, secondo il Tribunale, gli artt.
24 e 113 Cost., in ragione della vastita'  e  della  indeterminatezza
dei poteri attribuiti al  sindaco,  tali  da  rendere  eccessivamente
difficoltosa  la  possibilita'  di   un   sindacato   giurisdizionale
effettivo delle singole fattispecie. 
    2. - Con atto depositato il 20 luglio 2010,  e'  intervenuto  nel
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato. 
    La difesa statale, dopo aver riassunto le questioni proposte  dal
rimettente, chiede che le stesse  siano  dichiarate  inammissibili  o
infondate. 
    2.1. - La norma censurata  avrebbe  potenziato  gli  strumenti  a
disposizione del sindaco alla luce dell'esigenza  di  valorizzare  il
ruolo degli enti locali anche in materia di  sicurezza  pubblica  (e'
citata, in proposito, la relazione al decreto-legge n. 92 del 2008). 
    La Corte costituzionale, con la sentenza n. 196 del 2009, avrebbe
gia' rimarcato come la novella abbia introdotto, al fianco del potere
di  provvedere  in  situazioni  di  contingibilita'  e  urgenza,   la
possibilita' per i sindaci «di adottare  provvedimenti  di  ordinaria
amministrazione a  tutela  di  esigenze  di  incolumita'  pubblica  e
sicurezza urbana». Lo stesso art. 54, d'altra parte, avrebbe  fissato
alcuni parametri di contenimento e indirizzo  del  potere  sindacale.
Sarebbe infatti richiesta una  situazione  di  «pericolo,  attuale  o
potenziale, di minaccia all'incolumita'  pubblica  e  alla  sicurezza
urbana». Il pericolo, in tale contesto, dovrebbe essere  «grave»,  ed
il provvedimento  dovrebbe  assicurare,  per  essere  legittimo,  una
«funzione risolutiva». Di tali  condizioni  l'ordinanza  del  sindaco
dovrebbe  dare  conto  nella  relativa   motivazione,   espressamente
richiesta dalla legge. 
    Proprio  dall'obbligo  di   motivazione,   secondo   l'Avvocatura
generale,   dovrebbe   desumersi   l'erroneita'   dell'assunto    che
attribuisce  la  valenza  di  provvedimento  normativo   alle   nuove
ordinanze.  D'altro  canto  il  dovere  di  osservanza  dei  principi
generali dell'ordinamento implicherebbe  la  necessaria  applicazione
dei  criteri  di  proporzionalita'  e   di   ragionevolezza,   inteso
quest'ultimo come elemento  di  coerenza  interna  del  provvedimento
sindacale e di sua congruenza rispetto alla fattispecie da regolare. 
    Una ulteriore definizione  dell'ambito  applicativo  della  norma
censurata e' poi intervenuta, secondo la difesa statale, ad opera del
d.m. 5 agosto 2008, cui la giurisprudenza amministrativa avrebbe gia'
riconosciuto tale efficacia e la capacita' di  contemperare  esigenze
locali  e  carattere  unitario  dell'ordinamento.   Il   decreto   in
particolare, con le previsioni contenute nelle lettere da  a)  ad  e)
dell'art. 2, avrebbe delimitato specifiche aree di intervento,  tutte
riconducibili all'attivita' di prevenzione e repressione  dei  reati,
di competenza esclusiva dello Stato  (e'  citata  la  sentenza  della
Corte costituzionale n. 196 del 2009). Lo  stesso  decreto,  inoltre,
prescriverebbe che l'azione amministrativa «si eserciti nel  rispetto
delle leggi vigenti», ponendo quindi un ulteriore e  piu'  stringente
limite, tale da escludere la funzione normativa delle ordinanze, e da
configurare le medesime quali strumenti per concrete  prescrizioni  a
tutela della vita associata. 
    L'indeterminatezza  dei  poteri  attribuiti  al  sindaco  sarebbe
esclusa anche in forza della necessaria interlocuzione preventiva con
il prefetto, che varrebbe ad assicurare l'efficace coordinamento  tra
competenze locali e competenze statali, ulteriormente favorito  dalle
possibilita'  di  intervento  sostitutivo  e  di  convocazione  della
conferenza prevista dal comma 5 dello stesso art. 54. 
    Tale  ultima  norma,   in   definitiva,   avrebbe   semplicemente
perfezionato l'inserimento dell'ente  locale  nel  sistema  nazionale
della sicurezza pubblica, senza alcuna  violazione  dei  principi  di
legalita', tipicita' e delimitazione della discrezionalita'. 
    3. - Con atto depositato il 15 giugno 2010, si e' costituita  nel
giudizio  l'associazione  onlus  «Razzismo  Stop»,  in  persona   del
Presidente in carica,  costituito  allo  scopo  procuratore  speciale
dall'assemblea dei soci. 
    Secondo la parte privata,  la  norma  censurata  dovrebbe  essere
dichiarata costituzionalmente illegittima. 
    3.1. - Il comma 4 dell'art. 54 del d.lgs. n.  267  del  2000,  in
effetti, avrebbe dato vita ad una fonte normativa «libera», di valore
equiparato a quello della legge,  con  conseguente  violazione  della
riserva di legge di cui agli artt. 23 e 97 Cost., e delle  competenze
legislative  che  la  Costituzione  affida  in  via  esclusiva   alle
assemblee elettive dello Stato e delle Regioni (artt. 70,  76,  77  e
117 Cost.). 
    La giurisprudenza  costituzionale  avrebbe  gia'  chiarito  -  si
osserva - che solo  situazioni  straordinarie  e  temporanee  possono
legittimare l'assunzione di  poteri  extra  ordinem  da  parte  delle
autorita' amministrative. La  norma  censurata  consentirebbe  invece
veri  e  propri  atti  di  normazione  a  carattere  generale,   come
documentato dallo stesso caso di specie (ove e'  stato  introdotto  a
tempo indeterminato, mediante  ordinanza  sindacale,  un  divieto  di
donazione). La legge non delimiterebbe, in particolare, ne' l'oggetto
ne' i margini discrezionali della potesta' conferita al sindaco,  una
volta  reciso  il   legame   con   i   presupposti   fattuali   della
contingibilita' ed urgenza, ed una volta stabilito quale unico limite
contenutistico  la  necessaria  osservanza  dei   principi   generali
dell'ordinamento (senza che possano valere, in  senso  contrario,  le
generiche indicazioni provenienti  dal  decreto  ministeriale  del  5
agosto 2008). 
    In  questo  contesto,  oltre  che  i  parametri  espressivi   del
principio di legalita' (l'art.  23  e  l'art.  97  Cost.),  la  parte
costituita evoca il principio di legalita' sostanziale,  argomentando
come la riconosciuta possibilita' di introdurre precetti assistiti da
una sanzione possa condurre ad arbitrarie limitazioni delle  liberta'
individuali (art. 3 Cost.). 
    3.2. - Al sindaco sarebbe stata riconosciuta addirittura, secondo
l'associazione  «Razzismo  Stop»,  la  possibilita'  di   sovrapporre
proprie arbitrarie prescrizioni alle norme penali e,  comunque,  alle
regole di  garanzia  dei  diritti  individuali.  La  norma  censurata
determinerebbe quindi una violazione di  competenze  esclusive  dello
Stato, in contrasto con gli artt. 13, 16,  17  e  41  Cost.,  nonche'
(quanto alle competenze legislative regionali) con l'art.  117  Cost.
Non sono legittimi - si osserva - provvedimenti non  legislativi  che
conculchino liberta' individuali,  fino  a  disciplinare  «a  livello
condominiale» una variabile conformazione di obblighi e divieti. 
    Lo stesso inevitabile frazionamento delle fonti,  con  regole  di
comportamento diverse su ristretta base territoriale,  in  violazione
del  principio  di  pari  garanzia   delle   liberta'   fondamentali,
implicherebbe la pratica impossibilita' per i consociati di conoscere
e rispettare le regole vigenti in tutte le porzioni di territorio  da
loro attraversate. Di qui  l'asserita  violazione  del  principio  di
ragionevolezza (art. 3 Cost.), di «uguaglianza  di  cui  all'art.  2»
Cost., di unita' ed indivisibilita' della Repubblica (art. 5  Cost.),
di  legalita'  (art.   97   Cost.),   di   riparto   delle   funzioni
amministrative (art. 118 Cost.). 
    3.3. - L'associazione costituita in giudizio  riprende  anche  le
osservazioni  del  rimettente  circa  l'attrazione  alla   competenza
sindacale  di  scelte  e  provvedimenti  che,  per  la  loro   natura
normativa, dovrebbero essere rimessi alla dialettica ed al pluralismo
tipici   dell'assemblea   comunale   elettiva.   Un'attrazione   che,
oltretutto, il sindaco esercita  in  quanto  ufficiale  del  Governo,
sganciandosi finanche dal «mandato» che  gli  deriva  in  esito  alle
elezioni  municipali.  Viene   prospettata,   di   conseguenza,   una
violazione degli artt. 2, 6, 8, 18, 21, 33, 39 e 49 Cost. 
    3.4. - Da ultimo, la parte  privata  prospetta  una  concomitante
violazione degli  artt.  24  e  113  Cost.,  posto  che  vastita'  ed
indeterminatezza dei poteri conferiti al sindaco  sarebbero  tali  da
rendere  eccessivamente  difficoltoso  l'esercizio  di  un  sindacato
giurisdizionale effettivo delle singole fattispecie. 
    4. - In data 22 febbraio 2011, la stessa  associazione  «Razzismo
Stop» ha depositato una memoria, insistendo affinche' sia  dichiarata
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 54, comma 4, del d.lgs.  n.
267 del 2000, in riferimento agli artt. 2, 3, 5, 6, 8,  13,  16,  17,
18, 21, 23, 24, 41, 49, 70, 76, 77, 97, 113, 117 e 118 Cost. 
    La memoria ribadisce gli argomenti gia' proposti  con  l'atto  di
costituzione. Si aggiunge che l'art. 54 del d.lgs. n.  267  del  2000
sarebbe illegittimo anche nella parte in cui attribuisce al  Ministro
dell'interno il potere  di  regolamentare  l'ambito  applicativo  dei
nuovi poteri sindacali, e dunque una funzione normativa non  conforme
all'ordinamento costituzionale. Tra l'altro, il decreto  ministeriale
5  agosto  2008  avrebbe  introdotto  anche  disposizioni  innovative
rispetto alla stessa previsione censurata, cosi' palesando  ulteriori
profili di illegittimita'. 
    La correttezza delle ordinanze extra  ordinem  legittimate  dalla
novella del 2008 non sarebbe assicurata, secondo  la  parte  privata,
ne' dalla troppo generica  prescrizione  del  rispetto  dei  principi
generali dell'ordinamento, ne' dalla  necessaria  interlocuzione  del
sindaco con il prefetto. Tale interlocuzione non integra un  rapporto
di subordinazione gerarchica tra il primo  ed  il  secondo,  ne'  una
immedesimazione  organica  tra   il   sindaco   e   l'Amministrazione
dell'interno. Tanto che - si osserva - la giurisprudenza riferisce al
Comune, e non allo Stato, la responsabilita' risarcitoria  per  danni
derivati da ordinanze contingibili e urgenti (e' citata  la  sentenza
del Consiglio di Stato n. 4529 del 2010). 
    5. - In data 1°  marzo  2011  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, ha depositato memoria, al fine di ribadire la richiesta  d'una
pronuncia di inammissibilita'  e,  comunque,  di  infondatezza  delle
questioni sollevate. 
    La difesa statale assume, nell'occasione, che la norma censurata,
pur nella versione  scaturita  dal  recente  intervento  di  riforma,
avrebbe  conservato   sostanzialmente   l'impianto   originario.   In
particolare,  aumentando  poteri  gia'  tipicamente  riconosciuti  al
sindaco quale ufficiale di Governo, la norma avrebbe implementato gli
strumenti di  raccordo  tra  l'azione  sindacale  e  l'attivita'  del
prefetto,  cui  la  legge  attribuisce  funzione  di   interlocuzione
preventiva, di sostituzione e di  stimolo.  Sarebbe  dunque  smentito
l'assunto del rimettente circa l'ampiezza  e  l'indeterminatezza  dei
provvedimenti oggi consentiti al sindaco. 
    La norma censurata - si ammette - configura una nuova  classe  di
provvedimenti «ordinari», non condizionati  dalla  contingibilita'  e
dall'urgenza. Tali provvedimenti, tuttavia, sarebbero  vincolati  nel
fine, dovrebbero  rispettare  i  «principi  fondamentali»  (espressi,
secondo la memoria,  dalle  norme  costituzionali,  sovranazionali  e
comunitarie), principi tra i quali sono comprese la  proporzionalita'
e la ragionevolezza, e infine  richiederebbero  adeguata  motivazione
(dal  che  risulterebbe  smentita  la  loro  natura  normativa).   La
discrezionalita'  riconosciuta  al  sindaco   sarebbe   ulteriormente
limitata, sempre a parere del Presidente del Consiglio dei  ministri,
dalle definizioni e dalle  prescrizioni  contenute  nel  decreto  del
Ministro dell'interno in data 5 agosto 2008. 
    La pertinenza della fonte alla materia della sicurezza  pubblica,
ribadita dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 226 del  2010,
varrebbe a documentare che i provvedimenti sindacali non  servono  «a
introdurre nuove discipline tendenzialmente generali,  ma  contengono
le misure concrete» volte ad assicurare «il risultato  dell'effettivo
rispetto delle norme  poste  da  altre  fonti  a  tutela  della  vita
associata». Non solo, quindi, sarebbe  confermata  la  compatibilita'
tra la norma censurata e la previsione costituzionale di cui all'art.
117, secondo comma, lettera h), Cost.,  ma  andrebbe  «superato  ogni
dubbio di indeterminatezza» della norma medesima. 
    Infine, e comunque, la piena sindacabilita'  delle  ordinanze  in
sede   giurisdizionale,   confermata   dalla   giurisprudenza    gia'
pronunciatasi  in  materia,  renderebbe  inammissibili  le  questioni
sollevate dal Tribunale amministrativo veneto. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il Tribunale amministrativo regionale  per  il  Veneto,  con
ordinanza del 22 marzo 2010, ha sollevato - in riferimento agli artt.
2, 3, 5, 6, 8, 13, 16, 17, 18, 21, 23, 24, 41, 49, 70,  76,  77,  97,
113, 117  e  118  della  Costituzione  -  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 54, comma  4,  del  decreto  legislativo  18
agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi  sull'ordinamento  degli
enti locali), come sostituito dall'art. 6 del decreto-legge 23 maggio
2008, n. 92  (Misure  urgenti  in  materia  di  sicurezza  pubblica),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  24
luglio 2008, n. 125, nella parte in  cui  consente  che  il  sindaco,
quale  ufficiale  del  Governo,  adotti  provvedimenti  a  «contenuto
normativo ed efficacia a tempo indeterminato», al fine di prevenire e
di eliminare gravi pericoli che minaccino la sicurezza urbana,  anche
fuori dai casi di contingibilita' e urgenza. 
    In particolare, la  norma  indicata  sarebbe  illegittima  «nella
parte in cui ha inserito la congiunzione "anche" prima  delle  parole
"contingibili e urgenti"». 
    1.1. - La disposizione  censurata  violerebbe  anzitutto,  ed  in
particolare, gli artt. 23, 70, 76, 77,  97  e  117  Cost.,  ove  sono
espressi  i  principi  costituzionali  di  legalita',   tipicita'   e
delimitazione della discrezionalita'. In base ai principi citati, una
disciplina che consenta l'adozione di disposizioni  derogatorie  alle
norme  vigenti  in  rapporto  ad  una  determinata  materia,  e   che
attribuisca un potere siffatto «in capo ad un organo monocratico,  in
luogo di quello ordinariamente deputato», sarebbe legittima  solo  in
quanto configuri una situazione di contingibilita' ed  urgenza  quale
«presupposto, condizione e limite»  per  l'esercizio  del  potere  in
questione. 
    Gli  stessi  parametri  costituzionali  sarebbero  violati  anche
perche' la disposizione censurata, secondo il rimettente,  istituisce
una  vera  e  propria  fonte  normativa,  libera  nel  contenuto   ed
equiparata alla  legge  (in  quanto  idonea  a  derogare  alla  legge
medesima), in contrasto con le regole  costituzionali  che  riservano
alle assemblee legislative il compito di emanare atti aventi forza  e
valore di legge. 
    Il Tribunale propone poi un'ulteriore questione  con  riferimento
agli artt. 3, 23 e 97 Cost., che pongono la riserva di  legge  ed  il
principio  di  legalita'   sostanziale   in   materia   di   sanzioni
amministrative. Infatti la norma censurata, rimuovendo i  presupposti
fattuali della  contingibilita'  ed  urgenza,  avrebbe  conferito  al
sindaco un  potere  discrezionale  e  tendenzialmente  illimitato  di
conculcare la liberta' dei singoli di tenere ogni  comportamento  che
non sia vietato dalla legge. 
    Ancora, il comma 4 dell'art.  54  del  d.lgs.  n.  267  del  2000
violerebbe gli artt. 13, 16,  17  e  41  Cost.,  ciascuno  dei  quali
espressivo di una riserva di legge a tutela  di  diritti  e  liberta'
fondamentali della persona (in particolare, la liberta' personale, la
liberta' di soggiorno e circolazione, la  liberta'  di  riunione,  la
liberta' in materia di iniziativa  economica),  che  la  disposizione
censurata renderebbe suscettibili  di  compressione  per  effetto  di
provvedimenti non aventi rango di legge. 
    Una censura ulteriore e' proposta  dal  rimettente  in  relazione
all'art. 117 Cost., perche' il potere di normazione  conferito  dalla
disposizione censurata  consentirebbe  l'invasione  degli  ambiti  di
competenza legislativa regionale. 
    Ancora, la norma in oggetto sarebbe illegittima  in  ragione  del
suo contrasto con gli artt. 2 e  3  Cost.,  poiche'  implica  che  la
disciplina  di  identici  comportamenti  -  anche  quando  espressivi
dell'esercizio di  diritti  fondamentali,  e  dunque  necessariamente
garantiti in modo uniforme sull'intero territorio nazionale  -  venga
irragionevolmente differenziata in rapporto  ad  ambiti  territoriali
frazionati (fino al limite rappresentato dal territorio ripartito  di
tutti i Comuni italiani). L'indicato  frazionamento,  d'altra  parte,
comporrebbe una lesione dei principi  di  unita'  ed  indivisibilita'
della Repubblica (art. 5 Cost.), di legalita'  (art.  97  Cost.),  di
riparto delle funzioni amministrative (art. 118 Cost.). 
    Il Tribunale rimettente prospetta  poi  un'ulteriore  violazione,
relativamente agli artt. 2, 6, 8, 18, 21, 33,  39  e  49  Cost.,  che
pongono il principio costituzionale del pluralismo,  anche  sotto  il
profilo  culturale,  politico,  religioso  e  scientifico:  la  norma
censurata,   infatti,   conferirebbe    una    potesta'    normativa,
tendenzialmente libera se non nell'orientamento  finalistico,  ad  un
organo monocratico che nella specie opera quale ufficiale di Governo,
derogando alle competenze ordinarie dell'assemblea comunale elettiva,
in materia tra l'altro di regolamento della polizia urbana. 
    Infine, con il comma 4 del d.lgs. n. 267  del  2000,  si  sarebbe
determinata una violazione degli artt. 24 e  113  Cost.,  in  ragione
della vastita' ed indeterminatezza dei poteri attribuiti al sindaco e
della conseguente ampia  discrezionalita'  esercitabile  dal  sindaco
medesimo, tale da rendere eccessivamente difficoltosa la possibilita'
di un effettivo sindacato giurisdizionale delle singole fattispecie. 
    2.  -  Preliminarmente,  deve  essere  disattesa  l'eccezione  di
inammissibilita' sollevata dalla difesa dello Stato, sulla scorta del
rilievo che le ordinanze  oggetto  del  presente  giudizio  sarebbero
pienamente sindacabili in sede  giurisdizionale,  e  che  i  vizi  di
legittimita' costituzionale denunciati dal rimettente costituirebbero
in realta' vizi dell'atto  amministrativo,  i  quali  ben  potrebbero
determinare, se accertati, l'annullamento o la disapplicazione  delle
ordinanze stesse nelle sedi giudiziarie competenti. 
    Il giudice a quo ha adottato un  significato  della  disposizione
censurata, in base al  quale  non  sarebbe  rinvenibile,  all'interno
della stessa, una configurazione di  limiti  specifici,  che  possano
consentire al giudice adito di valutare in concreto  la  legittimita'
degli atti impugnati. 
    Il  rimettente  e'  pervenuto  a  tale  conclusione   dopo   aver
esplicitamente  scartato   possibili   interpretazioni   conformi   a
Costituzione, che  pure  sono  state  proposte  da  una  parte  della
dottrina. L'atto amministrativo impugnato  si  presentava  quindi,  a
parere del giudice rimettente, non in contrasto con l'art. 54,  comma
4, del d.lgs. n. 267 del 2000 (nel nuovo testo introdotto nel 2008) e
pertanto il ricorso contro lo stesso avrebbe dovuto essere rigettato.
Tuttavia   lo   stesso   giudice,   dubitando   della    legittimita'
costituzionale della norma legislativa  che  e'  posta  a  fondamento
dell'atto, e denunciando una serie di presunti vizi  riscontrati,  ha
sollevato la questione oggetto del presente giudizio. 
    In  definitiva,  la  rilevanza  della  questione   nel   processo
principale e' motivata in modo plausibile. 
    3. - Nel merito, la questione e' fondata. 
    3.1.  -   Occorre   innanzitutto   procedere   ad   una   analisi
dell'enunciato normativo contenuto nella disposizione censurata. 
    Si deve notare, al riguardo,  che  nell'art.  54,  comma  4,  del
d.lgs. n. 267 del 2000 e' scritto: «Il sindaco, quale  ufficiale  del
Governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e
urgenti nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento, al  fine
di  prevenire  e  di  eliminare   gravi   pericoli   che   minacciano
l'incolumita' pubblica e la sicurezza urbana». 
    Si puo' osservare agevolmente che la frase «anche contingibili  e
urgenti nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento» e' posta
tra due virgole. Si  deve  trarre  da  cio'  la  conclusione  che  il
riferimento al rispetto dei soli principi  generali  dell'ordinamento
riguarda i provvedimenti  contingibili  e  urgenti  e  non  anche  le
ordinanze sindacali di ordinaria amministrazione. L'estensione  anche
a tali atti del regime giuridico proprio degli  atti  contingibili  e
urgenti avrebbe richiesto una disposizione cosi'  formulata:  «adotta
con atto motivato provvedimenti, anche contingibili  e  urgenti,  nel
rispetto dei principi generali dell'ordinamento [...]». 
    La dizione letterale della norma implica che  non  e'  consentito
alle ordinanze  sindacali  "ordinarie"  -  pur  rivolte  al  fine  di
fronteggiare «gravi pericoli che minacciano l'incolumita' pubblica  e
la sicurezza urbana» - di derogare a norme legislative vigenti,  come
invece e' possibile nel caso di  provvedimenti  che  si  fondino  sul
presupposto dell'urgenza e a condizione della temporaneita' dei  loro
effetti.  Questa  Corte  ha  infatti  precisato,  con  giurisprudenza
costante e consolidata, che deroghe alla normativa primaria, da parte
delle autorita' amministrative munite di potere  di  ordinanza,  sono
consentite solo se «temporalmente delimitate» (ex plurimis,  sentenze
n. 127 del 1995, n. 418 del 1992, n. 32 del 1991, n. 617 del 1987, n.
8 del 1956) e, comunque, nei limiti  della  «concreta  situazione  di
fatto che si tratta di fronteggiare» (sentenza n. 4 del 1977). 
    Le ordinanze  oggetto  del  presente  scrutinio  di  legittimita'
costituzionale non sono assimilabili a quelle contingibili e urgenti,
gia' valutate nelle pronunce appena richiamate.  Esse  consentono  ai
sindaci «di adottare provvedimenti  di  ordinaria  amministrazione  a
tutela di  esigenze  di  incolumita'  pubblica  e  sicurezza  urbana»
(sentenza n. 196 del 2009). 
    Sulla scorta del rilievo sopra illustrato,  che  cioe'  la  norma
censurata, se correttamente interpretata, non conferisce  ai  sindaci
alcun potere di emanare ordinanze  di  ordinaria  amministrazione  in
deroga  a  norme  legislative  o  regolamentari  vigenti,   si   deve
concludere che non sussistono i vizi di legittimita' che  sono  stati
denunciati sulla base del contrario presupposto interpretativo. 
    4. - Le considerazioni che  precedono  non  esauriscono  tuttavia
l'intera problematica della conformita' a  Costituzione  della  norma
censurata. Quest'ultima attribuisce ai sindaci il potere  di  emanare
ordinanze di ordinaria amministrazione, le  quali,  pur  non  potendo
derogare a norme legislative o regolamentari vigenti,  si  presentano
come esercizio  di  una  discrezionalita'  praticamente  senza  alcun
limite, se non quello  finalistico,  genericamente  identificato  dal
legislatore nell'esigenza «di prevenire e di eliminare gravi pericoli
che minacciano l'incolumita' pubblica e la sicurezza urbana». 
    Questa Corte ha affermato, in piu'  occasioni,  l'imprescindibile
necessita' che in ogni conferimento di  poteri  amministrativi  venga
osservato il principio di legalita' sostanziale, posto a  base  dello
Stato  di  diritto.   Tale   principio   non   consente   «l'assoluta
indeterminatezza» del potere conferito dalla legge ad  una  autorita'
amministrativa, che produce l'effetto di attribuire, in pratica,  una
«totale liberta'» al soggetto  od  organo  investito  della  funzione
(sentenza n. 307 del 2003; in senso conforme, ex  plurimis,  sentenze
n. 32 del 2009 e n. 150 del 1982). Non e' sufficiente che  il  potere
sia finalizzato dalla legge alla tutela di un bene o di un valore, ma
e' indispensabile che il suo esercizio sia determinato nel  contenuto
e nelle modalita',  in  modo  da  mantenere  costantemente  una,  pur
elastica, copertura legislativa dell'azione amministrativa. 
    5.  -  Le  ordinanze  sindacali  oggetto  del  presente  giudizio
incidono, per la natura delle loro finalita' (incolumita' pubblica  e
sicurezza urbana) e per i loro destinatari (le persone presenti in un
dato territorio), sulla sfera generale  di  liberta'  dei  singoli  e
delle comunita' amministrate, ponendo prescrizioni di  comportamento,
divieti, obblighi di fare e di non fare, che,  pur  indirizzati  alla
tutela di beni pubblici importanti, impongono comunque, in maggiore o
minore misura, restrizioni ai soggetti considerati.  La  Costituzione
italiana, ispirata ai principi fondamentali della legalita'  e  della
democraticita',  richiede  che  nessuna  prestazione,   personale   o
patrimoniale, possa essere imposta, se non in base alla  legge  (art.
23). 
    La riserva di legge appena richiamata ha indubbiamente  carattere
relativo,  nel  senso   che   lascia   all'autorita'   amministrativa
consistenti margini di regolazione delle  fattispecie  in  tutti  gli
ambiti non coperti dalle riserve di legge assolute, poste a  presidio
dei diritti di liberta', contenute negli artt. 13  e  seguenti  della
Costituzione. Il carattere relativo della riserva de qua  non  relega
tuttavia la legge sullo sfondo, ne' puo'  costituire  giustificazione
sufficiente per un rapporto  con  gli  atti  amministrativi  concreti
ridotto al mero richiamo formale ad  un  prescrizione  normativa  "in
bianco", genericamente orientata ad un  principio-valore,  senza  una
precisazione, anche non dettagliata, dei contenuti e modi dell'azione
amministrativa  limitativa  della  sfera  generale  di  liberta'  dei
cittadini. 
    Secondo la giurisprudenza di questa Corte, costante sin dalle sue
prime  pronunce,  l'espressione  «in  base  alla  legge»,   contenuta
nell'art. 23 Cost., si deve interpretare «in relazione col fine della
protezione della liberta' e della proprieta' individuale,  a  cui  si
ispira tale fondamentale principio costituzionale»; questo  principio
«implica che la legge che attribuisce ad un ente il potere di imporre
una  prestazione  non  lasci  all'arbitrio  dell'ente  impositore  la
determinazione della prestazione» (sentenza n. 4 del 1957). Lo stesso
orientamento e' stato ribadito in tempi recenti, quando la  Corte  ha
affermato che, per rispettare la riserva relativa di cui all'art.  23
Cost., e' quanto meno  necessario  che  «la  concreta  entita'  della
prestazione  imposta  sia  desumibile  chiaramente  dagli  interventi
legislativi   che   riguardano   l'attivita'    dell'amministrazione»
(sentenza n. 190 del 2007). 
    E'  necessario  ancora  precisare  che  la   formula   utilizzata
dall'art.  23  Cost.  «unifica  nella  previsione  i  due   tipi   di
prestazioni  "imposte"»  e  «conserva  a  ciascuna  di  esse  la  sua
autonomia», estendendosi  naturalmente  agli  «obblighi  coattivi  di
fare»  (sentenza  n.  290  del  1987).   Si   deve   aggiungere   che
l'imposizione coattiva di obblighi di non fare rientra ugualmente nel
concetto di "prestazione", in quanto,  imponendo  l'omissione  di  un
comportamento altrimenti  riconducibile  alla  sfera  del  legalmente
lecito,  e'  anch'essa  restrittiva  della  liberta'  dei  cittadini,
suscettibile di essere incisa solo dalle determinazioni  di  un  atto
legislativo,   direttamente   o   indirettamente   riconducibile   al
Parlamento, espressivo della sovranita' popolare. 
    6. - Nella  materia  in  esame  e'  intervenuto  il  decreto  del
Ministro dell'interno 5 agosto 2008 (Incolumita' pubblica e sicurezza
urbana:  definizione  e  ambiti  di  applicazione).  In   tale   atto
amministrativo  a  carattere  generale,  l'incolumita'  pubblica   e'
definita, nell'art. 1, come «l'integrita' fisica della  popolazione»,
mentre la sicurezza urbana e' descritta come  «un  bene  pubblico  da
tutelare attraverso  attivita'  poste  a  difesa,  nell'ambito  delle
comunita' locali, del rispetto  delle  norme  che  regolano  la  vita
civile, per  migliorare  le  condizioni  di  vivibilita'  nei  centri
urbani, la convivenza civile e la coesione sociale». L'art. 2  indica
le situazioni e le condotte sulle quali  il  sindaco,  nell'esercizio
del  potere  di  ordinanza,  puo'  intervenire,  «per   prevenire   e
contrastare» le stesse. 
    Il decreto ministeriale sopra citato puo' assolvere alla funzione
di indirizzare l'azione del sindaco, che,  in  quanto  ufficiale  del
Governo, e' sottoposto ad un vincolo  gerarchico  nei  confronti  del
Ministro dell'interno, come e' confermato peraltro dallo stesso  art.
54, comma 4, secondo periodo, del d.lgs. n. 267 del 2000, che  impone
al sindaco l'obbligo di  comunicazione  preventiva  al  prefetto  dei
provvedimenti adottati «anche ai  fini  della  predisposizione  degli
strumenti ritenuti necessari alla  loro  attuazione».  Ai  sensi  dei
commi 9 e 11 dello stesso articolo,  il  prefetto  dispone  anche  di
poteri di vigilanza e sostitutivi  nei  confronti  del  sindaco,  per
verificare  il  regolare  svolgimento  dei  compiti  a   quest'ultimo
affidati e per rimediare alla sua eventuale inerzia. 
    La natura amministrativa del potere del Ministro, esercitato  con
il decreto sopra citato, se  assolve  alla  funzione  di  regolare  i
rapporti tra autorita' centrale e periferiche nella materia, non puo'
soddisfare la riserva di legge, in  quanto  si  tratta  di  atto  non
idoneo  a  circoscrivere  la  discrezionalita'   amministrativa   nei
rapporti con i cittadini. Il decreto, infatti, si  pone  esso  stesso
come esercizio dell'indicata  discrezionalita',  che  viene  pertanto
limitata solo nei rapporti interni  tra  Ministro  e  sindaco,  quale
ufficiale del Governo, senza trovare fondamento  in  un  atto  avente
forza di legge. Solo se le limitazioni e gli indirizzi contenuti  nel
citato decreto ministeriale fossero  stati  inclusi  in  un  atto  di
valore legislativo, questa Corte  avrebbe  potuto  valutare  la  loro
idoneita' a  circoscrivere  la  discrezionalita'  amministrativa  dei
sindaci.  Nel  caso  di  specie,  al  contrario,  le   determinazioni
definitorie, gli indirizzi e i campi  di  intervento  non  potrebbero
essere ritenuti limiti validi alla suddetta  discrezionalita',  senza
incorrere in un vizio logico di autoreferenzialita'. 
    Si deve, in conclusione, ritenere che  la  norma  censurata,  nel
prevedere un potere di ordinanza dei  sindaci,  quali  ufficiali  del
Governo, non limitato ai  casi  contingibili  e  urgenti  -  pur  non
attribuendo agli stessi il potere di derogare,  in  via  ordinaria  e
temporalmente non definita, a norme primarie e secondarie  vigenti  -
viola la riserva di legge relativa, di  cui  all'art.  23  Cost.,  in
quanto non prevede una qualunque delimitazione della discrezionalita'
amministrativa  in   un   ambito,   quello   della   imposizione   di
comportamenti, che rientra  nella  generale  sfera  di  liberta'  dei
consociati. Questi ultimi sono tenuti, secondo un  principio  supremo
dello Stato di diritto, a sottostare soltanto agli obblighi di  fare,
di non fare o di dare previsti in via generale dalla legge. 
    7. - Si deve rilevare altresi' la violazione dell'art. 97  Cost.,
che istituisce anch'esso una riserva di legge relativa, allo scopo di
assicurare l'imparzialita' della pubblica amministrazione,  la  quale
puo' soltanto dare attuazione,  anche  con  determinazioni  normative
ulteriori, a quanto in via generale e'  previsto  dalla  legge.  Tale
limite e' posto a garanzia dei  cittadini,  che  trovano  protezione,
rispetto a possibili discriminazioni, nel parametro  legislativo,  la
cui osservanza deve essere  concretamente  verificabile  in  sede  di
controllo giurisdizionale. La stessa norma di legge che adempie  alla
riserva puo' essere  a  sua  volta  assoggettata  -  a  garanzia  del
principio di eguaglianza, che si  riflette  nell'imparzialita'  della
pubblica   amministrazione   -   a    scrutinio    di    legittimita'
costituzionale. 
    La linea di continuita' fin qui descritta e' interrotta nel  caso
oggetto    del    presente    giudizio,    poiche'    l'imparzialita'
dell'amministrazione non e' garantita ab initio da una legge posta  a
fondamento,  formale  e  contenutistico,  del  potere  sindacale   di
ordinanza.  L'assenza  di  limiti,  che   non   siano   genericamente
finalistici, non consente  pertanto  che  l'imparzialita'  dell'agire
amministrativo  trovi,  in  via  generale  e  preventiva,  fondamento
effettivo, ancorche' non dettagliato, nella legge. 
    Per le ragioni esposte, la norma censurata viola anche l'art. 97,
primo comma, della Costituzione. 
    8. - L'assenza di una valida base legislativa, riscontrabile  nel
potere conferito ai sindaci dalla norma censurata, cosi' come  incide
negativamente  sulla  garanzia  di   imparzialita'   della   pubblica
amministrazione, a fortiori lede  il  principio  di  eguaglianza  dei
cittadini davanti  alla  legge,  giacche'  gli  stessi  comportamenti
potrebbero essere ritenuti variamente leciti o  illeciti,  a  seconda
delle numerose frazioni del territorio nazionale rappresentate  dagli
ambiti di competenza dei sindaci. Non si tratta,  in  tali  casi,  di
adattamenti o modulazioni di precetti legislativi generali  in  vista
di concrete situazioni locali, ma di vere  e  proprie  disparita'  di
trattamento tra cittadini, incidenti sulla  loro  sfera  generale  di
liberta', che possono consistere in  fattispecie  nuove  ed  inedite,
liberamente configurabili dai sindaci, senza base  legislativa,  come
la prassi sinora realizzatasi ha ampiamente dimostrato. 
    Tale disparita' di trattamento, se manca un punto di  riferimento
normativo per valutarne  la  ragionevolezza,  integra  la  violazione
dell'art. 3, primo comma, Cost.,  in  quanto  consente  all'autorita'
amministrativa - nella specie rappresentata dai sindaci - restrizioni
diverse  e  variegate,  frutto   di   valutazioni   molteplici,   non
riconducibili ad una matrice legislativa unitaria. 
    Un giudizio sul rispetto del principio  generale  di  eguaglianza
non  e'  possibile  se  le   eventuali   differenti   discipline   di
comportamenti, uguali o assimilabili, dei cittadini, contenute  nelle
piu' disparate ordinanze sindacali, non siano valutabili alla luce di
un comune parametro legislativo, che ponga  le  regole  ed  alla  cui
stregua si possa verificare se le diversita' di trattamento giuridico
siano giustificate dalla eterogeneita' delle situazioni locali. 
    Per i motivi esposti, la norma censurata viola  anche  l'art.  3,
primo comma, della Costituzione. 
    9.  -  Si  devono  ritenere  assorbite  le   altre   censure   di
legittimita'  costituzionale  contenute  nell'atto  introduttivo  del
presente giudizio. 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 54,  comma  4,
del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267  (Testo  unico  delle
leggi sull'ordinamento degli enti locali), come sostituito  dall'art.
6 del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 (Misure urgenti in  materia
di sicurezza pubblica), convertito, con modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge 24 luglio 2008,  n.  125,  nella  parte  in  cui
comprende la locuzione «, anche» prima delle parole  «contingibili  e
urgenti». 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 aprile 2011. 
 
                      Il Presidente: De Siervo 
 
 
                       Il redattore: Silvestri 
 
 
                       Il cancelliere: Melatti 
 
    Depositata in cancelleria il 7 aprile 2011. 
 
               Il direttore della cancelleria: Melatti