N. 116 SENTENZA 4 - 7 aprile 2011

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Lavoro e occupazione - Lavoratrici madri - Ipotesi di parto prematuro
  con ricovero del neonato in  una  struttura  sanitaria  pubblica  o
  privata - Diritto della madre lavoratrice ad usufruire del  congedo
  obbligatorio o di parte di esso dalla data d'ingresso  del  bambino
  nella   casa   familiare   -   Mancata   previsione   -    Eccepita
  inammissibilita'  della  questione  per  richiesta   di   pronuncia
  additiva non costituzionalmente obbligata - Reiezione. 
- D.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, art. 16, lett. c). 
- Costituzione, artt. 3, 29, primo comma, 31 e 37. 
Lavoro e occupazione - Lavoratrici madri - Ipotesi di parto prematuro
  con ricovero del neonato in  una  struttura  sanitaria  pubblica  o
  privata - Diritto della  madre  lavoratrice  ad  usufruire,  a  sua
  richiesta  e  compatibilmente  con  le  sue  condizioni  di  salute
  attestate da documentazione medica, del congedo obbligatorio  o  di
  parte  di  esso  dalla  data  d'ingresso  del  bambino  nella  casa
  familiare -  Mancata  previsione  -  Ingiustificata  disparita'  di
  trattamento tra  il  parto  a  termine  ed  il  parto  prematuro  -
  Contrasto con  i  precetti  costituzionali  posti  a  tutela  della
  famiglia -Illegittimita' costituzionale in parte qua. 
- D.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, art. 16, lett. c). 
- Costituzione, artt. 3, 29, primo comma, 31 e 37. 
(GU n.16 del 13-4-2011 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Ugo DE SIERVO; 
Giudici: Paolo  MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso  QUARANTA  ,
  Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano  SILVESTRI,  Sabino  CASSESE,
  Giuseppe  TESAURO,  Paolo   Maria   NAPOLITANO,   Giuseppe   FRIGO,
  Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                              Sentenza 
 
nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo  16  del
decreto  legislativo  26  marzo  2001,  n.  151  (Testo  unico  delle
disposizioni legislative  in  materia  di  tutela  e  sostegno  della
maternita' e della paternita', a norma dell'articolo 15 della legge 8
marzo  2000,  n.  53),  promosso  dal  Tribunale   di   Palermo   nel
procedimento vertente tra C. C. e l'INPS ed altra con  ordinanza  del
30 marzo 2010, iscritta al n.  215  del  registro  ordinanze  2010  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, 1ª  serie
speciale, dell'anno 2010. 
    Visto l'atto di costituzione dell'INPS; 
    udito nell'udienza pubblica del 22 marzo 2011 il Giudice relatore
Alessandro Criscuolo; 
    udito l'avvocato Antonietta Coretti per l'INPS. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Il Tribunale di Palermo, in funzioni di giudice del  lavoro,
con l'ordinanza indicata in epigrafe, ha  sollevato,  in  riferimento
agli articoli 3, 29, primo comma, 30, primo  comma,  31  e  37  della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  16
del decreto legislativo 26 marzo 2001,  n.  151  (Testo  unico  delle
disposizioni legislative  in  materia  di  tutela  e  sostegno  della
maternita' e della paternita', a norma dell'articolo 15 della legge 8
marzo 2000, n. 53), «nella parte in cui non prevede, nell'ipotesi  di
parto prematuro, qualora il neonato abbia necessita' di un periodo di
ricovero ospedaliero, la possibilita' per  la  madre  lavoratrice  di
usufruire del congedo obbligatorio o di parte di esso dalla  data  di
ingresso del bambino nella casa familiare». 
    2. - Il giudice a quo premette di essere chiamato a  pronunziarsi
nel giudizio di merito, iniziato dalla signora C.  C.  nei  confronti
dell'Istituto Nazionale della Previdenza sociale (INPS) e di  Telecom
Italia Mobile (TIM) Italia Spa  ai  sensi  dell'art.  669-octies  del
codice di procedura civile ed espone che l'attrice, la cui figlia era
stata ricoverata fin dalla nascita presso il Policlinico  di  Palermo
in terapia intensiva, venendo dimessa soltanto l'8 agosto  2005,  era
stata posta in congedo obbligatorio dall'INPS, in  base  all'art.  16
d.lgs. n. 151 del 2001, a far tempo dalla data del parto medesimo. 
    La  lavoratrice  aveva  inoltrato   all'ente   previdenziale   la
richiesta di usufruire del periodo  obbligatorio  di  astensione  con
decorrenza dalla data presunta del parto, oppure dall'ingresso  della
neonata nella casa familiare, offrendo al datore di lavoro la propria
prestazione lavorativa fino ad una di  tali  date,  ma  l'INPS  aveva
respinto detta richiesta. 
    Pertanto - aggiunge  il  rimettente  -  la  parte  privata  aveva
promosso un procedimento cautelare ai sensi dell'art. 700 cod.  proc.
civ., in esito al quale il Tribunale di Palermo, in accoglimento  del
ricorso,  aveva  dichiarato  il  diritto  della  donna  ad  astenersi
dall'attivita' lavorativa a far data  dall'8  agosto  2005  e  per  i
cinque mesi successivi, fissando  il  termine  perentorio  di  trenta
giorni per l'inizio del giudizio di merito,  instaurato  con  domanda
diretta ad ottenere la declaratoria del diritto della signora  C.  C.
ad astenersi dal lavoro per il periodo di tempo suddetto. 
    Cio' premesso, il giudicante - ritenuta  rilevante  la  questione
sollevata,   in   quanto   dalla    dichiarazione    d'illegittimita'
costituzionale  della  norma  censurata  dipenderebbe  l'accoglimento
della domanda nel merito - richiama il dettato  di  tale  norma  che,
disciplinando il congedo di maternita', vieta di adibire al lavoro le
donne: a) durante i due mesi precedenti la data presunta  del  parto,
salvo quanto previsto dall'art. 20 d.lgs. n 151 del 2001; b)  ove  il
parto avvenga oltre tale data, per il periodo  intercorrente  tra  la
data presunta e la data effettiva del parto; c) durante  i  tre  mesi
dopo il parto; d) durante gli ulteriori giorni non goduti  prima  del
parto, qualora esso avvenga in  data  anticipata  rispetto  a  quella
presunta.  Tali  giorni  sono  aggiunti  al  periodo  di  congedo  di
maternita' dopo il parto. Inoltre, richiama il successivo art. 17 che
disciplina l'estensione del  divieto,  nonche'  l'art.  18  il  quale
sanziona  con  l'arresto  fino  a  sei  mesi   l'inosservanza   delle
disposizioni de quibus. 
    In questo quadro, il Tribunale osserva che l'art.  16  d.lgs.  n.
151 del 2001 trova un precedente nell'art. 4 della legge 30  dicembre
1971, n. 1204  (Tutela  delle  lavoratrici  madri),  come  modificato
dall'art. 11 della legge 8 marzo 2000, n.  53  (Disposizioni  per  il
sostegno della maternita' e della paternita',  per  il  diritto  alla
cura e alla  formazione  e  per  il  coordinamento  dei  tempi  delle
citta'). 
    Il detto art. 4, poi abrogato con l'intera legge n. 1204 del 1971
dall'art. 86 d.lgs. n. 151  del  2001,  stabiliva  (tra  l'altro)  il
divieto di adibire al lavoro la donna durante  i  tre  mesi  dopo  il
parto. 
    Questa  Corte,  con  sentenza  n.   270   del   1999,   dichiaro'
l'illegittimita' costituzionale della norma, «nella parte in cui  non
prevede(va) per l'ipotesi  di  parto  prematuro  una  decorrenza  dei
termini del periodo dell'astensione obbligatoria idonea ad assicurare
una adeguata tutela della madre e del bambino». 
    Il rimettente osserva che, anche in base  al  tenore  del  citato
art. 16, la domanda della attrice, diretta ad  usufruire  dell'intero
periodo di congedo (tre mesi piu' due  mesi)  dalla  data  d'ingresso
della figlia nella casa familiare, ovvero  dalla  data  presunta  del
parto, non potrebbe essere accolta, neppure in via parziale, restando
l'obbligo del datore di lavoro, sanzionato penalmente, di non adibire
la donna al lavoro dopo il parto, per il periodo gia' detto. 
    Il Tribunale rileva che il giudice del procedimento cautelare  ha
dato luogo ad una interpretazione  sistematica  e  costituzionalmente
orientata,  in  guisa  da  consentire,  nell'ipotesi  in  esame,   la
decorrenza dell'intero periodo di congedo  obbligatorio  dal  momento
dell'ingresso in famiglia della neonata. Ritiene, pero', di non poter
condividere  la  detta  interpretazione,  in  quanto  essa  trova  un
ostacolo non aggirabile per effetto del citato art. 18 d.lgs. n.  151
del  2001,  il  quale  punisce  l'inosservanza   delle   disposizioni
contenute negli artt. 16 e 17 con l'arresto fino a sei mesi. 
    Pertanto, ad avviso del rimettente,  la  nuova  disciplina  della
materia presenta  gli  stessi  vizi  di  legittimita'  costituzionale
riscontrati da questa Corte con riferimento all'art. 4 della legge n.
1204 del 1971, perche' il circoscritto intervento del legislatore non
sarebbe sufficiente. 
    La norma censurata, infatti,  determinerebbe  una  ingiustificata
disparita' di trattamento, in violazione dell'art. 3  Cost.,  tra  il
caso di parto a termine e  quello  di  parto  prematuro,  consentendo
soltanto nel primo caso un'adeguata  tutela  della  maternita'  e  la
salvaguardia dei diritti, costituzionalmente garantiti, dei minori  e
del nucleo familiare (artt. 29, 30, 31, 37 Cost.). 
    Invero, come gia' sottolineato da  questa  Corte  nella  sentenza
citata, finalita' dell'istituto  dell'astensione  obbligatoria  (oggi
congedo) dal lavoro sarebbe sia la  tutela  della  puerpera,  sia  la
tutela del nascituro e della speciale relazione tra madre  e  figlio,
che si instaura fin dai primi attimi di vita in comune ed e' decisiva
per il corretto sviluppo del bambino e per lo svolgimento  del  ruolo
di madre. 
    La norma censurata, non prevedendo la possibilita'  di  differire
il congedo obbligatorio fino al momento in cui il bambino  puo'  fare
ingresso in famiglia dopo il ricovero successivo  alla  nascita,  non
garantirebbe la suddetta esigenza  di  tutela,  specialmente  quando,
come nel caso in esame, la dimissione del  bambino  coincide  con  il
termine del congedo. 
    Inoltre, la  detta  norma  non  consentirebbe  alla  puerpera  di
tornare al lavoro se non con il decorso di  cinque  mesi  dal  parto,
anche quando, pur non potendo svolgere il suo ruolo  di  madre  e  di
assistenza del  minore  affidato  alle  cure  dei  sanitari,  le  sue
condizioni di salute lo permetterebbero. 
    Sarebbe innegabile, dunque, che anche la norma in  esame  sia  in
contrasto con il principio di parita' di trattamento e con  i  valori
costituzionali  di  protezione  della  famiglia  e  del  minore,  con
conseguente violazione dei predetti parametri costituzionali. 
    In definitiva, ad avviso del rimettente, la norma  censurata  non
ha colmato il vuoto normativo gia' posto in evidenza  con  la  citata
sentenza della Corte costituzionale; e, a sostegno  della  necessita'
di  un  ulteriore  intervento  del  giudice  delle  leggi,   andrebbe
richiamato  l'art.  14,  comma  5,  decreto  del   Presidente   della
Repubblica 13 giugno  2002,  n.  163  (Recepimento  dello  schema  di
concertazione per le Forze armate relativo al  quadriennio  normativo
2002-2005 ed al biennio economico 2002-2003), alla stregua del  quale
«In caso di parto prematuro, al personale militare  femminile  spetta
comunque il periodo di licenza di maternita' non goduto  prima  della
data presunta del parto.  Qualora  il  figlio  nato  prematuro  abbia
necessita' di un periodo di degenza presso una struttura  ospedaliera
pubblica o privata, la  madre  ha  facolta'  di  riprendere  servizio
richiedendo, previa presentazione di un certificato medico attestante
la sua idoneita' al servizio, la fruizione del  restante  periodo  di
licenza di maternita' post-parto e del  periodo  ante-parto,  qualora
non fruito, a decorrere dalla data di effettivo rientro  a  casa  del
bambino». 
    3. - Nel giudizio di legittimita' costituzionale si e' costituito
l'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), depositando  il
3 settembre 2010  una  memoria,  con  la  quale  ha  chiesto  che  la
questione sollevata dal rimettente sia  dichiarata  inammissibile  o,
comunque, non fondata. 
    Dopo aver riassunto i fatti esposti nell'ordinanza di rimessione,
l'INPS osserva che,  ad  avviso  del  rimettente,  la  disparita'  di
trattamento sussisterebbe tra «la fattispecie di parto  e  termine  e
quella di parto prematuro», in quanto l'art. 16, comma 1, lettera d),
d.lgs. n. 151 del 2001 (nonche' le connesse disposizioni di cui  agli
artt. 17 e 18 dello stesso decreto), nel disporre  che,  in  caso  di
parto prematuro, il congedo obbligatorio dal lavoro (cinque mesi)  si
colloca soltanto nel  periodo  immediatamente  successivo  al  parto,
consentirebbe che solo  in  caso  di  parto  a  termine  si  realizzi
«un'adeguata tutela della maternita' e una salvaguardia dei  diritti,
costituzionalmente garantiti,  dei  minori  e  del  nucleo  familiare
(artt. 29, 30, 31, 37)». 
    Tale questione - prosegue l'Istituto  -  fu  gia'  affrontata  da
questa Corte con la sentenza n. 270  del  1999.  Con  tale  pronuncia
(cosiddetta additiva di principio),  fu  dichiarata  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 4, primo comma, lettera c)  della  legge  n.
1204 del 1971 (ora art. 16 del d.lgs. n. 151 del 2001),  nella  parte
in  cui  non  prevedeva,  per  l'ipotesi  di  parto  prematuro,   una
decorrenza dei termini del periodo di astensione obbligatoria  idonea
ad assicurare un'adeguata tutela della madre e del bambino. 
    La citata sentenza indico' «delle possibili soluzioni da adottare
per risolvere la questione oggi in esame», aggiungendo che la  scelta
spettava al legislatore. 
    Orbene, la norma qui censurata prevede (tra l'altro)  il  divieto
di adibire al lavoro le  donne  «durante  gli  ulteriori  giorni  non
goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in  data  anticipata
rispetto a quella presunta rispetto a quella  presunta.  Tali  giorni
sono aggiunti al periodo di congedo di maternita' dopo il parto». 
    Pertanto, ad avviso dell'INPS, il legislatore, in caso  di  parto
prematuro,  avrebbe  stabilito   che   il   periodo   di   astensione
obbligatoria  sia  comunque   pari   a   cinque   mesi   complessivi,
prescindendo dalla data del parto, e, qualora la nascita  avvenga  in
data anticipata rispetto a quella presunta, avrebbe  previsto  che  i
giorni non goduti (cioe' quelli  correnti  tra  la  data  presunta  e
quella  effettiva)  siano   aggiunti   al   periodo   di   astensione
obbligatoria dopo il parto. Tale soluzione  sarebbe  in  armonia  con
altre disposizioni del d.lgs. n. 151 del 2001 e, in particolare,  con
l'art. 18 dello stesso decreto, che sanziona con l'arresto fino a sei
mesi l'inosservanza delle disposizioni contenute negli artt. 16 e 17.
In altri  termini,  si  sarebbe  ritenuto  inderogabile  ancorare  la
decorrenza del congedo obbligatorio alla data del parto. 
    In  questo  quadro  l'Istituto   eccepisce,   in   primo   luogo,
l'inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale. 
    Infatti  il  legislatore  del  2001,  proprio  a  seguito   della
menzionata sentenza n. 270  del  1999,  avrebbe  adottato  una  delle
possibili soluzioni idonee a porre rimedio all'impossibilita' di  far
decorrere, nel caso di parto prematuro, l'intero congedo obbligatorio
dopo il parto effettivo, equilibrando cosi' la situazione tra il caso
di parto a termine e quello di parto prematuro. 
    Al contrario di quanto sostenuto dal giudice a quo, la  richiesta
di pronuncia additiva non sarebbe costituzionalmente obbligata. Nella
vicenda in esame, la possibilita' di diverse soluzioni con  le  quali
risolvere il problema della decorrenza  dell'astensione  obbligatoria
in caso di parto prematuro sarebbe  stata  posta  in  evidenza  dalla
stessa   Corte   costituzionale;   circostanza,   quest'ultima,   che
confermerebbe come la questione sollevata rientri  nell'ambito  della
discrezionalita' del legislatore. 
    In ogni caso, la detta questione sarebbe non fondata. 
    La soluzione adottata dal  legislatore  sarebbe  idonea  a  porre
rimedio all'impossibilita'  di  far  decorrere,  nel  caso  di  parto
prematuro, l'intero congedo obbligatorio dopo il parto effettivo. 
    In realta', proprio  l'invocato  intervento  additivo  «non  solo
comporterebbe  un  inammissibile  esercizio  della   discrezionalita'
politica riservato  al  legislatore,  ma  darebbe  anche  origine  ad
effettive disparita' di trattamento». 
    Infatti, un'eventuale diversa  disciplina  della  decorrenza  del
congedo obbligatorio per il caso  di  parto  prematuro,  con  degenza
ospedaliera del neonato, determinerebbe un'effettiva  discriminazione
rispetto al caso di parto a termine con neonato affetto  da  malattia
necessitante di ricovero ospedaliero. 
    I principi costituzionali richiamati dal rimettente sarebbero ben
salvaguardati sia dalla norma denunciata  sia  dagli  altri  istituti
contemplati dal vigente ordinamento, come il congedo per malattia del
figlio e il congedo facoltativo. 
    Sarebbe vero che la ratio dell'astensione obbligatoria  e'  volta
alla tutela del nascituro e della  speciale  relazione  tra  madre  e
figlio, che s'instaura fin dai primi atti della vita  in  comune,  ma
sarebbe vero del pari che tale istituto e' diretto anche  a  favorire
il recupero psico-fisico della partoriente. Consentire alla  puerpera
di rientrare al lavoro subito dopo il parto potrebbe dar luogo ad  un
abbassamento della tutela della sua salute. 
    Infine, il richiamo all'art. 14, comma 5, d.P.R. n. 163 del  2002
non  sarebbe  pertinente,  in  quanto  tale  normativa  non  potrebbe
costituire un idoneo tertium comparationis,  dato  il  suo  carattere
eccezionale, «siccome riferita ad una categoria  di  lavoratrici  che
presta  prestazioni  lavorative   del   tutto   speciali   (personale
militare), non estensibile, pertanto, fuori del sistema considerato». 
    Il Presidente del Consiglio dei ministri non e'  intervenuto  nel
presente giudizio. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il Tribunale di Palermo, in funzioni di giudice del  lavoro,
con l'ordinanza indicata in epigrafe, dubita -  in  riferimento  agli
articoli 3,  29,  primo  comma,  30,  primo  comma,  31  e  37  della
Costituzione - della legittimita'  costituzionale  dell'art.  16  del
decreto  legislativo  26  marzo  2001,  n.  151  (Testo  unico  delle
disposizioni legislative  in  materia  di  tutela  e  sostegno  della
maternita' e della paternita', a norma dell'art.  15  della  legge  8
marzo 2000, n. 53), «nella parte in cui non prevede, nell'ipotesi  di
parto prematuro, qualora il neonato abbia necessita' di un periodo di
ricovero ospedaliero, la possibilita' per  la  madre  lavoratrice  di
usufruire del congedo obbligatorio o di parte di esso dalla  data  di
ingresso del bambino nella casa familiare». 
    2. - Il giudice a quo premette che una lavoratrice  dipendente  -
avendo avuto un parto prematuro perche' la figlia, la cui nascita era
prevista per il primo luglio 2005, era venuta alla luce il  25  marzo
2005,  con  immediato  ricovero  in  terapia  intensiva   presso   il
Policlinico di Palermo, da cui era stata dimessa soltanto l'8  agosto
2005 - aveva chiesto all'Istituto nazionale della previdenza  sociale
(INPS) di  usufruire  del  periodo  obbligatorio  di  astensione  con
decorrenza dalla data presunta del parto, oppure dall'ingresso  della
neonata nella casa familiare, offrendo al datore di lavoro la propria
prestazione lavorativa fino ad una di  tali  date,  ma  l'INPS  aveva
respinto la richiesta. Pertanto la lavoratrice  aveva  promosso,  nei
confronti del detto Istituto e di Telecom Italia Mobile (TIM)  Italia
Spa, un procedimento cautelare ai sensi dell'art. 700 del  codice  di
procedura  civile,  in  esito  al  quale  il  Tribunale  di  Palermo,
accogliendo il ricorso, aveva dichiarato il diritto  della  donna  ad
astenersi dall'attivita' lavorativa a far data dall'8 agosto  2005  e
per i cinque mesi  successivi,  fissando  il  termine  perentorio  di
trenta giorni per l'inizio del giudizio  di  merito,  che  era  stato
instaurato con  domanda  diretta  ad  ottenere  la  declaratoria  del
diritto dell'attrice all'astensione dal  lavoro  per  il  periodo  di
tempo suddetto. 
    Cio' premesso, il Tribunale osserva che la norma censurata  trova
un precedente nell'art. 4 della  legge  30  dicembre  1971,  n.  1204
(Tutela delle lavoratrici madri), come  modificato  dall'articolo  11
della legge 8 marzo 2000, n. 53 (Disposizioni per il  sostegno  della
maternita' e della paternita',  per  il  diritto  alla  cura  e  alla
formazione e per il coordinamento dei tempi delle citta').  Il  detto
art. 4, poi abrogato con l'intera legge n. 1204 del 1971 dall'art. 86
del d.lgs. n. 151 del 2001, stabiliva (tra  l'altro)  il  divieto  di
adibire al lavoro la donna durante i tre mesi dopo il parto. 
    Il rimettente ricorda che la Corte costituzionale,  con  sentenza
n.  270  del  1999,  dichiaro'  l'illegittimita'  costituzionale  del
medesimo art. 4, «nella parte in cui non prevede(va) per l'ipotesi di
parto   prematuro   una   decorrenza   dei   termini   del    periodo
dell'astensione obbligatoria idonea ad assicurare una adeguata tutela
della madre e del bambino». Osserva che, anche in base al tenore  del
citato  art.  16,  la  domanda  dell'attrice,  diretta  ad  usufruire
dell'intero periodo di congedo (tre mesi piu' due  mesi)  dalla  data
d'ingresso della figlia  nella  casa  familiare,  ovvero  dalla  data
presunta del parto, non potrebbe essere accolta,  restando  l'obbligo
del datore di lavoro, sanzionato penalmente (art. 18  d.lgs.  n.  151
del 2001), di non adibire la donna al lavoro dopo il  parto,  per  il
periodo gia' detto. 
    Inoltre egli rileva di non  poter  condividere  l'interpretazione
compiuta dal giudice cautelare, avuto riguardo alla  sanzione  penale
prevista dal citato art. 18  per  l'inosservanza  delle  disposizioni
contenute nell'art.  16  del  d.lgs.  n.  151  del  2001,  e  solleva
questione di legittimita' costituzionale dello  stesso  art.  16,  in
riferimento ai parametri sopra indicati (come esposto in narrativa). 
    3.  -  In  via  preliminare,  la  difesa  dell'INPS  ha  eccepito
l'inammissibilita' della questione  di  legittimita'  costituzionale,
sostenendo che il legislatore del 2001, a seguito della  sentenza  di
questa Corte n. 270 del 1999, avrebbe adottato «una  delle  possibili
soluzioni idonee a porre rimedio all'impossibilita' di far decorrere,
nel caso di parto prematuro, l'intero congedo obbligatorio dal lavoro
dopo il parto effettivo, equilibrando  cosi'  la  situazione  tra  la
fattispecie di parto a termine e quella di parto prematuro». 
    Pertanto,   la   richiesta   pronuncia   additiva   non   sarebbe
costituzionalmente obbligata, ma rientrerebbe tra le scelte possibili
rimesse alla  discrezionalita'  del  legislatore,  come,  del  resto,
proprio questa Corte avrebbe posto in  evidenza  con  la  statuizione
sopra indicata. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    E' vero che la sentenza n.  270  del  1999,  dopo  aver  rilevato
«l'incongruenza della disposizione in parola  nell'ipotesi  di  parto
prematuro»,  osservo'  che  si  proponevano  diverse  soluzioni  «con
specifico  riguardo  alla  decorrenza  del  periodo  di   astensione,
spostandone l'inizio o al momento  dell'ingresso  del  neonato  nella
casa familiare, o alla data presunta del termine fisiologico  di  una
gravidanza normale» (punto 5 del Considerato in diritto).  La  stessa
sentenza mise in luce che la prima soluzione  era  analoga  a  quella
relativa all'ipotesi di affidamento preadottivo del neonato (sentenza
n. 332 del 1998), mentre la seconda era parsa  meritevole  di  essere
seguita dal disegno di  legge  n.  4624,  recante  «Disposizioni  per
sostenere la maternita' e la paternita' e per armonizzare i tempi  di
lavoro, di cura e della famiglia», presentato dal Governo alla Camera
dei Deputati in data 3 marzo 1998. Essa aggiunse che «La  scelta  tra
le diverse possibili soluzioni  spetta  al  legislatore»,  pervenendo
comunque alla declaratoria d'illegittimita' costituzionale  dell'art.
4, primo comma, lettera c) della legge n. 1204 del 1971, nella  parte
in cui non prevedeva per l'ipotesi di parto prematuro una  decorrenza
dei  termini  del  periodo  dell'astensione  obbligatoria  idonea  ad
assicurare una adeguata tutela della madre e del bambino. 
    Cio' posto, a parte quanto sara' detto di qui a  poco,  allorche'
si esaminera' il merito della questione, una riflessione ulteriore va
compiuta  in  ordine  al  carattere,   vincolato   o   discrezionale,
dell'individuazione della data dalla quale far decorrere  il  congedo
obbligatorio di maternita' nell'ipotesi di parto prematuro. 
    Essa  non  puo'  decorrere  dalla  data  presunta   del   termine
fisiologico  di  una   gravidanza   normale.   Questo   criterio   e'
giustificato per calcolare i due mesi precedenti la data presunta del
parto (art. 16, lettera a,  d.lgs.  n.  151  del  2001),  perche'  e'
l'unico utilizzabile in relazione ad un evento non  ancora  avvenuto,
il cui avveramento pero' e' ragionevolmente  certo  e  riscontrabile.
Non altrettanto puo' dirsi nel caso di parto  prematuro,  perche'  in
detta circostanza con il richiamo alla  data  presunta  si  opera  un
riferimento ipotetico ad un evento che, in realta', e' gia' avvenuto,
onde il criterio si risolve in una mera fictio che  non  consente  la
verifica della sua  idoneita'  ad  assicurare  una  tutela  piena  ed
adeguata della madre e del bambino per l'intero periodo di  spettanza
del congedo. Del resto, lo stesso legislatore, collegando rigidamente
il decorso del congedo post partum alla data  del  parto,  mostra  di
volere per la detta decorrenza un riferimento certo. 
    Pertanto, per individuare il dies  a  quo  della  decorrenza  del
periodo di astensione in caso di parto prematuro, resta la  soluzione
di ancorare - al termine del ricovero - la relativa data all'ingresso
del neonato nella casa familiare, vale a dire ad  un  momento  certo,
sicuramente idoneo a stabilire tra madre e figlio quella comunione di
vita che l'immediato ricovero del neonato nella struttura ospedaliera
non  aveva  consentito.  Tale  soluzione,  dunque,   appare   l'unica
percorribile, con conseguente infondatezza  dell'eccezione  sollevata
dall'ente previdenziale. 
    4. - Nel merito, la questione e' fondata. 
    Va premesso  che,  secondo  la  giurisprudenza  di  questa  Corte
(sentenze n. 270 del 1999, n. 332  del  1988,  n.  1  del  1987),  il
congedo obbligatorio, oggi disposto dall'art. 16 d.lgs.  n.  151  del
2001, senza dubbio ha il fine di tutelare la salute della  donna  nel
periodo immediatamente  susseguente  al  parto,  per  consentirle  di
recuperare le energie necessarie a riprendere il  lavoro.  La  norma,
tuttavia, considera e protegge anche il rapporto che in tale  periodo
si instaura tra madre e  figlio,  e  cio'  non  soltanto  per  quanto
attiene  ai  bisogni  piu'  propriamente  biologici,  ma   anche   in
riferimento  alle  esigenze  di  carattere  relazionale  e  affettivo
collegate allo sviluppo della personalita' del bambino. 
    Il citato art. 16, che apre il capo  recante  la  disciplina  del
congedo di maternita', vieta  di  adibire  al  lavoro  le  donne:  a)
durante i due mesi precedenti  la  data  presunta  del  parto,  salvo
quanto previsto all'art. 20 (che contempla la flessibilita' del detto
congedo); b) ove il parto avvenga oltre tale  data,  per  il  periodo
intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto;  c)
durante i tre mesi dopo il parto, salvo quanto previsto all'art.  20.
La lettera d), infine, dispone che il divieto opera anche durante gli
ulteriori giorni non goduti prima del parto, qualora esso avvenga  in
data anticipata rispetto a quella presunta. Tali giorni sono aggiunti
al periodo di congedo di maternita' dopo il parto. 
    Come si vede, il principio secondo cui  il  congedo  obbligatorio
post  partum  decorre  comunque  dalla  data  di  questo  e'  rimasto
immutato, anche in relazione ai casi, come la fattispecie  in  esame,
nei quali il  parto  non  e'  soltanto  precoce  rispetto  alla  data
prevista,  ma  avviene  con  notevole  anticipo   (cosiddetto   parto
prematuro), tanto da richiedere un  immediato  ricovero  del  neonato
presso una  struttura  ospedaliera  pubblica  o  privata,  dove  deve
restare per periodi anche molto lunghi. 
    In siffatte ipotesi - come questa Corte ha gia'  avuto  occasione
di rilevare (sentenza n. 270 del 1999) - la madre, una volta  dimessa
e pur in congedo obbligatorio, non puo' svolgere alcuna attivita' per
assistere il figlio ricoverato. Nel frattempo, pero', il  periodo  di
astensione obbligatoria decorre, ed ella e'  obbligata  a  riprendere
l'attivita' lavorativa quando il figlio deve essere assistito a casa.
Ne' per porre rimedio a tale situazione puo' considerarsi sufficiente
aggiungere al periodo di congedo di  maternita'  dopo  il  parto  gli
ulteriori giorni non goduti prima di esso, trattandosi comunque di un
periodo  breve  (al  massimo  due  mesi),  che  non   garantisce   la
realizzazione   di   entrambe   le   finalita'   (sopra   richiamate)
dell'istituto dell'astensione obbligatoria dal lavoro. 
    Basta considerare che, nel caso di  specie,  rispetto  alla  data
prevista per il 1° luglio 2005, la bambina  venne  alla  luce  il  25
marzo 2005 e rimase ricoverata in ospedale fino  all'8  agosto  2005,
vale a dire quasi per l'intera  durata  dell'astensione  obbligatoria
della madre ante e post partum. 
    In simili  casi,  com'e'  evidente,  il  fine  di  proteggere  il
rapporto, che dovrebbe instaurarsi tra madre  e  figlio  nel  periodo
immediatamente successivo alla nascita, rimane di fatto  eluso.  Tale
situazione e' inevitabile quando la  donna,  per  ragioni  di  salute
(alla cui  tutela  il  congedo  obbligatorio  post  partum  e'  anche
finalizzato), non possa riprendere l'attivita' lavorativa e,  quindi,
debba avvalersi subito del detto congedo. Non altrettanto puo'  dirsi
quando sia la stessa donna, previa  presentazione  di  documentazione
medica attestante la sua idoneita' alle mansioni cui e'  preposta,  a
chiedere di  riprendere  l'attivita'  per  poter  poi  usufruire  del
restante periodo di congedo a decorrere  dalla  data  d'ingresso  del
bambino nella casa familiare. 
    In  detta  situazione   l'ostacolo   all'accoglimento   di   tale
richiesta, costituito dal rigido collegamento  della  decorrenza  del
congedo dalla data del parto, si pone in contrasto sia con  l'art.  3
Cost., sotto il profilo della disparita' di trattamento  -  privo  di
ragionevole giustificazione - tra il  parto  a  termine  e  il  parto
prematuro, sia con i precetti costituzionali  posti  a  tutela  della
famiglia (artt. 29, primo comma, 30, 31 e 37, primo comma, Cost.). 
    La tesi dell'ente previdenziale, secondo cui i  principi  dettati
sarebbero ben salvaguardati da altri istituti contemplati nel vigente
ordinamento, come il congedo per malattia del  figlio  e  il  congedo
facoltativo,  non  puo'  essere  condivisa.   Si   tratta,   infatti,
d'istituti  diversi,  diretti  a  garantire  una  tutela  diversa   e
ulteriore, che pero' non possono essere invocati per giustificare  la
carenza di protezione nella situazione ora evidenziata. 
    Quanto alla decorrenza del congedo obbligatorio dopo il parto, in
caso di parto prematuro con ricovero del neonato presso una struttura
ospedaliera pubblica  o  privata,  essa  va  individuata  nella  data
d'ingresso del bambino nella casa familiare al termine della  degenza
ospedaliera. Si richiamano, al riguardo, le considerazioni svolte nel
punto 3 che precede. 
    5.  -   Pertanto,   deve   essere   dichiarata   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 16, lettera c),  d.lgs.  n.  151  del  2001,
nella parte in cui non consente,  in  caso  di  parto  prematuro  con
ricovero del neonato in una struttura sanitaria pubblica  o  privata,
che  la  madre  lavoratrice  possa  fruire,   a   sua   richiesta   e
compatibilmente  con  le  sue  condizioni  di  salute  attestate   da
documentazione medica, del congedo obbligatorio che le spetta,  o  di
parte di esso, a far tempo dalla data d'ingresso  del  bambino  nella
casa familiare. 
    Infine, e' il caso di chiarire, con riguardo all'art.  18  d.lgs.
n.  151  del  2001,  che  punisce  con  l'arresto  fino  a  sei  mesi
l'inosservanza delle disposizioni contenute negli artt. 16 e  17  del
medesimo decreto, che la suddetta pronuncia non estende l'area  della
punibilita' della fattispecie penale. Essa, infatti, non  modifica  i
destinatari della norma ne' la sanzione,  limitandosi  ad  introdurre
per  la  donna  lavoratrice  la  facolta'  di  ottenere  una  diversa
decorrenza  del  congedo  obbligatorio,   che   rimane   pur   sempre
nell'ambito applicativo della norma censurata. 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Dichiara  l'illegittimita'   costituzionale   dell'articolo   16,
lettera c), del decreto legislativo 26  marzo  2001,  n.  151  (Testo
unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e  sostegno
della maternita' e della paternita', a norma dell'articolo  15  della
legge 8 marzo  2000,  n.  53),  nella  parte  in  cui  non  consente,
nell'ipotesi di parto prematuro  con  ricovero  del  neonato  in  una
struttura sanitaria pubblica o  privata,  che  la  madre  lavoratrice
possa fruire, a sua richiesta e compatibilmente con le sue condizioni
di  salute  attestate   da   documentazione   medica,   del   congedo
obbligatorio che le spetta, o di parte di esso,  a  far  tempo  dalla
data d'ingresso del bambino nella casa familiare. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 aprile 2011. 
 
                      Il Presidente: De Siervo 
 
 
                       Il redattore: Criscuolo 
 
 
                       Il cancelliere: Melatti 
 
    Depositata in cancelleria il 7 aprile 2011. 
 
               Il direttore della cancelleria: Melatti