N. 121 ORDINANZA 4 - 7 aprile 2011

Giudizio sull'ammissibilita' di ricorso per conflitto di attribuzione
tra poteri dello Stato. 
 
Costituzione  e  leggi  costituzionali  -  Reato  di  attentato  alla
  Costituzione  -  Modifica  normativa  comportante  riduzione  della
  portata applicativa dell'art. 283 c.p. - Ricorso per  conflitto  di
  attribuzione tra poteri dello  Stato  sollevato  contro  il  Senato
  della Repubblica e la Camera dei deputati da un cittadino agente in
  difesa della Patria e della  Costituzione  -  Asserito  illegittimo
  mutamento della Costituzione,  mediante  riduzione  delle  garanzie
  costituzionali - Difetto di legittimazione del singolo cittadino  a
  sollevare  il  conflitto  -  Ricorso  diretto   ad   ottenere   una
  dichiarazione di  incostituzionalita'  -  Carenza  dei  presupposti
  soggettivo  ed  oggettivo  per  l'instaurazione  del  conflitto   -
  Inammissibilita' del ricorso. 
- Legge 24 febbraio 2006, n. 85, art. 3. 
- Costituzione, artt. 1 e 139; legge 11 marzo 1953, n. 87,  art.  37,
  terzo e quarto comma. 
Costituzione e leggi costituzionali - Deliberazione del Senato  della
  Repubblica di approvazione del Disegno di legge n. 1880-A  relativo
  al  cosiddetto  "processo  breve"  -  Ricorso  per   conflitto   di
  attribuzione tra poteri dello  Stato  sollevato  contro  il  Senato
  della Repubblica da un cittadino agente in difesa  della  Patria  e
  della Costituzione - Denunciato illegittimo  mutamento  del  nucleo
  essenziale della Costituzione - Asserita limitazione dell'esercizio
  della giurisdizione penale e contabile - Difetto di  legittimazione
  del singolo cittadino a sollevare il conflitto - Palese inidoneita'
  lesiva dell'atto oggetto del conflitto -  Carenza  dei  presupposti
  soggettivo  ed  oggettivo  per  l'instaurazione  del  conflitto   -
  Inammissibilita' del ricorso. 
- Deliberazione del Senato della Repubblica 20 ottobre 2010  (disegno
  di legge n. 1880-A). 
- Costituzione, artt. 1, 138, 139; legge 11 marzo 1953, n.  87,  art.
  37 terzo e quarto comma. 
(GU n.16 del 13-4-2011 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Ugo DE SIERVO. 
Giudici: Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco
  GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE,  Giuseppe
  TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe   FRIGO,   Alessandro
  CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI. 
ha pronunciato la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
nel giudizio per conflitto di attribuzione  tra  poteri  dello  Stato
sorto in relazione all'art. 3 della legge 24  febbraio  2006,  n.  85
(Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione)  e  alla
deliberazione del Senato della Repubblica del 20 ottobre 2010 con  la
quale e' stato approvato il disegno  di  legge  n.  1880-A,  recante:
«Misure per la tutela del cittadino contro  la  durata  indeterminata
dei processi, in attuazione dell'articolo 111  della  Costituzione  e
dell'articolo 6 della Convenzione europea  per  la  salvaguardia  dei
diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali»,  promosso   da
Giuseppe Benvenga con ricorso depositato in cancelleria il 14  luglio
2010 ed iscritto al n. 8 del  registro  conflitti  tra  poteri  dello
Stato 2010, fase di ammissibilita'. 
    Udito nella camera di consiglio del 26 gennaio  2011  il  Giudice
relatore Ugo De Siervo. 
    Ritenuto che, con ricorso depositato  in  data  14  luglio  2010,
l'avvocato Giuseppe Benvenga «nella qualita' di cittadino che adempie
ai doveri costituzionali di fedelta'  e  difesa  della  Repubblica  e
della Costituzione»,  ha  sollevato  conflitto  di  attribuzione  tra
poteri dello Stato nei confronti del Senato della Repubblica e  della
Camera dei deputati; 
        che il ricorrente impugna la delibera del  20  gennaio  2010,
con la quale il Senato della Repubblica ha approvato  il  disegno  di
legge n. 1880-A, recante: «Misure per la tutela del cittadino  contro
la durata indeterminata dei processi, in attuazione dell'articolo 111
della Costituzione e dell'articolo 6 della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali»; 
        che con il ricorso viene, altresi', impugnato l'art. 3  della
legge 24 febbraio 2006, n. 85 (Modifiche al codice penale in  materia
di reati di opinione); 
        che il ricorrente ritiene che per effetto dei  suddetti  atti
il Senato della  Repubblica  e  la  Camera  dei  deputati  hanno,  in
violazione degli artt. 1, 138 e 139 della  Costituzione,  travalicato
le loro attribuzioni costituzionalmente  garantite  e  invaso  quelle
riservate al potere giudiziario; 
        che, quanto alla  legittimazione  soggettiva,  il  ricorrente
afferma di agire innanzi alla Corte in quanto «investito direttamente
dalla Costituzione (artt. 52 e 54) della funzione pubblica  di  rango
costituzionale consistente  nella  (eccezionale)  difesa  del  nucleo
fondamentale ed intangibile, protetto  dagli  artt.  1  e  139  della
Costituzione, della forma repubblicana e democratica dello Stato»; 
        che, in  particolare,  il  ricorrente  ritiene  che  «ciascun
cittadino  (...)  costituisce   un   potere   dello   Stato   esterno
all'apparato  statale  ed  e',  quindi,  attivamente  legittimato  al
conflitto di attribuzione» nei casi in cui, come quello in esame,  vi
e' l'inerzia degli  organi  costituzionali  dello  Stato  formalmente
legittimati a sollevare il suddetto conflitto; 
        che, quanto al profilo oggettivo, il ricorrente  ritiene  che
per effetto dell'art. 3 della legge n. 85 del 2006, il Parlamento  ha
modificato l'art.  283  del  codice  penale  riducendone  la  portata
applicativa e, di conseguenza, ha inciso sulla  garanzia  penale  che
quest'ultimo assicurava agli artt. 1 e 139 Cost.; 
        che, infatti, prima della suddetta modifica l'art.  283  cod.
pen., come introdotto dall'art. 2 della legge 11  novembre  1947,  n.
1317 (Modificazioni al Codice  penale  per  la  parte  riguardante  i
delitti contro le istituzioni  costituzionali  dello  Stato),  puniva
ogni condotta, anche nella forma del  tentativo  e  indipendentemente
dal suo carattere violento, volta a mutare con mezzi  non  consentiti
la Costituzione dello Stato, di talche' assumevano  rilevanza  penale
anche le iniziative di quei parlamentari che, con la presentazione di
disegni di legge, si proponevano la modifica del nucleo  fondamentale
della Costituzione; 
        che  dall'esclusione  di  tali  condotte  dalla   fattispecie
prevista  dall'art.  283  cod.  pen.  deriverebbe,  quale   ulteriore
conseguenza, l'impossibilita' di sottoporre tale norma allo scrutinio
della Corte per mezzo del giudizio incidentale di  costituzionalita',
in quanto nessun parlamentare potrebbe essere chiamato  a  rispondere
della sua violazione, risultando, quindi, il presente ricorso l'unico
mezzo per ripristinare la tutela da essa prevista; 
        che il ricorrente sostiene, poi, che l'art. 3 della legge  n.
85 del 2006, si pone in contrasto anche con l'art. 138 Cost., poiche'
esso nel modificare l'art. 283 cod. pen. non ha tenuto conto che tale
ultima disposizione e' stata introdotta dalla legge n. 1317 del  1947
da parte della Assemblea Costituente e, dunque, da una legge di rango
costituzionale,  di  talche'   l'indicata   norma   penale   non   e'
suscettibile di modifica da parte del legislatore ordinario; 
        che, quanto all'impugnato disegno  di  legge  n.  1880-A,  il
ricorrente ritiene che esso costituisca un atto idoneo  a  mutare  il
nucleo essenziale della forma repubblicana e democratica dello Stato,
in quanto espone ad un serio pericolo di  soppressione  il  principio
della  divisione  dei  poteri  che  di  quel   nucleo   e'   elemento
fondamentale; 
        che, in particolare, il ricorrente, dopo aver rilevato che la
presentazione dell'indicato disegno di legge sarebbe l'effetto  della
attenuata  tutela  sopra  indicata,  afferma  che  esso   limiterebbe
l'esercizio  della  giurisdizione  penale  e  contabile,  in   quanto
sancisce la fine dei relativi processi senza  che  risultino  estinti
per prescrizione, rispettivamente, il reato o il diritto  di  credito
dello Stato oggetto di accertamento da parte del giudice; 
        che,  infatti,  l'atto  censurato   nel   non   tener   conto
dell'autonomia esistente tra il principio di ragionevole  durata  del
processo e della prescrizione, assegna al processo penale e a  quello
contabile in primo grado dei termini brevi di durata, rispettivamente
di tre anni e due anni e, dunque, inferiori a quelli previsti per  la
prescrizione del reato, che per l'ipotesi minima di delitto e' di sei
anni estendibili di un ulteriore anno e mezzo, e  a  quelli  previsti
per la prescrizione del diritto di credito dello Stato, derivante  da
risarcimento danno, per la quale occorrono cinque anni; 
        che, quindi, l'impugnato disegno di legge  riduce  il  potere
del giudice  di  accertare  i  fatti  oggetto  del  processo  e  cio'
nonostante  che  rispetto  ad  essi  vi  sia  ancora  l'esigenza   di
verificarne l'eventuale sussistenza; 
        che il ricorrente, infine, osserva che la natura  di  disegno
di legge non renderebbe il ricorso inammissibile sulla  constatazione
che tale atto  non  ha  in  se'  alcuna  forza  lesiva  dei  principi
costituzionali sopra indicati, in quanto  atto  puramente  prodromico
del piu' lungo procedimento legislativo, e cio' in quanto il  divieto
assoluto di revisione della Costituzione non consentirebbe,  neppure,
di  essere  messo  in  pericolo,  risultando  cio'  confermato  dalla
originaria formulazione  dell'art.  283  cod.  pen.  modellato  sulla
tipologia di un reato di pericolo. 
    Considerato che, ai sensi dell'art. 37,  terzo  e  quarto  comma,
della legge 11 marzo 1953, n. 87  (Norme  sulla  costituzione  e  sul
funzionamento della Corte costituzionale), questa Corte e'  chiamata,
in via preliminare, a decidere con ordinanza in camera di  consiglio,
senza contraddittorio, se il ricorso sia ammissibile sotto il profilo
dell'esistenza della materia  di  un  conflitto  la  cui  risoluzione
spetti alla sua competenza, valutando, in particolare, se  sussistano
i requisiti oggettivi e soggettivi di un  conflitto  di  attribuzione
fra poteri dello Stato; 
        che, sotto il profilo soggettivo, il conflitto e' palesemente
inammissibile poiche' e' proposto da un singolo cittadino,  il  quale
afferma  di  agire  innanzi  alla   Corte,   in   quanto   «investito
direttamente dalla  Costituzione  (artt.  52  e  54)  della  funzione
pubblica di  rango  costituzionale  consistente  nella  (eccezionale)
difesa del nucleo fondamentale ed intangibile, protetto dagli artt. 1
e 139 della Costituzione,  della  forma  repubblicana  e  democratica
dello Stato»; 
        che, invero, questa Corte ha sempre affermato che «in  nessun
caso [...] il singolo cittadino puo' [...] ritenersi investito di una
funzione  costituzionalmente  rilevante  tale   da   legittimarlo   a
sollevare conflitto di attribuzioni ai sensi degli artt. 134 Cost.  e
37 legge n. 87 del 1953» (ordinanze n. 85 del 2009; n. 284 e  n.  189
del 2008); 
        che  anche  il  requisito  oggettivo  risulta  insussistente,
giacche', il ricorso e' diretto, da  un  lato,  non  a  sollevare  un
conflitto  di  attribuzione,  quanto   piuttosto   ad   ottenere   la
dichiarazione di  illegittimita'  costituzionale  dell'art.  3  della
legge 24 febbraio 2006, n. 85 (Modifiche al codice penale in  materia
di reati di opinione), attraverso una  sorta  di  ricorso  diretto  a
questa Corte (ordinanze n. 367 e n. 284 del 2008) e,  dall'altro,  e'
rivolto verso un disegno di legge e, quindi, nei confronti di un atto
preordinato esclusivamente ad avviare il procedimento legislativo  e,
dunque, palesemente inidoneo a produrre  l'effetto  lesivo  lamentato
dal ricorrente (ordinanze n. 120 del 2009, n. 172 del 1997, n.  45  e
n. 44 del 1983). 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Dichiara inammissibile il conflitto di  attribuzione  tra  poteri
dello Stato proposto dall'avvocato Giuseppe Benvenga, con il  ricorso
indicato in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 aprile 2011. 
 
                      Il Presidente: De Siervo 
 
 
                       Il redattore: De Siervo 
 
 
                       Il cancelliere: Melatti 
 
    Depositata in cancelleria il 7 aprile 2011 
 
               Il direttore della cancelleria: Melatti