N. 66 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 gennaio 2011
Ordinanza del 13 gennaio 2011 emessa dal G.I.P. del Tribunale di Asti nel procedimento penale a carico di Beccaris Carlo . Ambiente - Rifiuti - Vinacce esauste - Classificazione come sottoprodotti - Introduzione di una presunzione assoluta di esclusione dalla categoria dei rifiuti - Contrasto con la disciplina comunitaria e con la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea che esigono la verifica in concreto dell'esistenza di un rifiuto o di un sottoprodotto. - Decreto-legge 3 novembre 2008, n. 171, art. 2-bis, inserito dalla legge di conversione 30 dicembre 2008, n. 205. - Costituzione, artt. 11 e 117, primo comma.(GU n.17 del 20-4-2011 )
IL TRIBUNALE Visti gli atti del procedimento penale nei confronti di Beccaris Carlo, nato a Genova 1'8 dicembre 1951, residente a Costigliole d'Asti in frazione Boglietto, Via Alba n. 3, ivi dom. dich. - difeso di fiducia dall'avv. Raffaella Lavagetto del foro di Asti; sottoposto a indagini per i seguenti reati: «a) art. 256, comma 1), lett. a) d.lgs. n. 152/06 perche' quale titolare della distilleria Beccaris Elio di Beccaris Carlo e c. s.n.c. non gestiva regolarmente le ceneri di risulta dal recupero energetico degli scarti di lavorazione; in Costigliole acc. nel giugno 2009 e tuttora in corso. b) art. 256 comma 1), lett. a) in relazione all'art. 214 d.lgs. n. 152/06 perche' quale titolare della distilleria Beccaris Elio di Beccaris Carlo e c. s.n.c. effettuava attivita' di recupero energetico dei rifiuti prodotti dalla propria attivita' di distillazione costituiti da vinacce esauste senza essere iscritto nel registro provinciale delle imprese di recupero rifiuti non pericolosi; in Costigliole acc. nel giugno 2009 e tuttora in corso»; Sulla questione di legittimita' costituzionale sollevata dal p.m. in data 14 aprile 2010; Ritenuto di condividere integralmente le motivazioni espresse dal p.m., che di seguito si riportano: Il presente procedimento origina da accertamenti compiuti dall'ARPA nella distilleria Beccaris Elio di Beccaris Carlo e c. snc con sede in Costigliole d'Asti. Tale ditta, senza la prescritta iscrizione ex art. 214 d.lgs. n. 152/06, effettuava (fino al dicembre 2008) ed effettua tuttora il recupero energetico dei rifiuti prodotti dalla propria attivita' di distillazione costituiti dalle «vinacce esauste». Ricordiamo al riguardo che le vinacce esauste erano espressamente contemplate dal d.m. 5 febbraio 1998 come rifiuti derivati dall'industria agroalimentare (cfr. all. 1 sub 1, punto 11.7 e all. 2 suballegato 1) e non si poteva percio' dubitare che l'utilizzazione delle stesse come combustibile costituisse operazione di recupero di un rifiuto. Nella specie sarebbe percio' ravvisabile il reato di cui all'art. 256, primo comma, lett. a) d.lgs. n. 152/06. Senonche' l'art. 2-bis legge 30 dicembre 2008, n. 205 stabilisce che «1. Le vinacce vergini nonche' le vinacce esauste ed i loro componenti, bucce, vinaccioli e raspi, derivanti dai processi di vinificazione e di distillazione, che subiscono esclusivamente trattamenti di tipo meccanico fisico, compreso il lavaggio con acqua o l'essiccazione, destinati alla combustione nel medesimo ciclo produttivo sono da considerare sottoprodotti soggetti alla disciplina di cui alla Sezione 4 della Parte II dell'allegato X alla Parte quinta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152». Questa disposizione, come appare evidente, ha classificato come sottoprodotti residui che normalmente sono considerati rifiuti e di conseguenza la condotta tenuta dall'imputato non costituisce piu' reato. Si dovrebbe percio' chiedere l'archiviazione del presente procedimento (perlomeno in relazione all'imputazione sub b). Riteniamo tuttavia di dover prospettare alla s.v., preliminarmente rispetto al vaglio della richiesta di archiviazione, una questione di legittimita' costituzionale della norma per contrarieta' al diritto comunitario. Il problema infatti e' che la legge del 2008 ha introdotto una «presunzione assoluta» di appartenenza delle vinacce esauste alla categoria dei sottoprodotti sicche' e' precluso l'accertamento nel caso concreto - come e' previsto dalla norma generale riguardante i sottoprodotti e cioe' l'art. 183, comma 1, lett. p) d.lgs. n. 152 - della ricorrenza di tutti i requisiti richiesti affinche' operi la deroga al regime ordinario. Cosi' operando la normativa del 2008 ha creato un'ingiustificata riduzione della sfera di operativita' della direttiva sui rifiuti che l'Italia e' invece obbligata a trasporre mediante apposite norme interne: infatti, senza alcuna apparente e razionale motivazione, le vinacce esauste sono state escluse tout court dal novero dei rifiuti in radicale contrasto con la nozione di rifiuto contenuta nella direttiva comunitaria 3 aprile 2006, n. 2006/12/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio), che sostituisce ed abroga la precedente direttiva 15 luglio 1975, n. 75/442/CEE. In questo senso ci conforta Corte cost. 25 gennaio 2010, n. 28 che ha dichiarato incostituzionale l'art. 183, 1° comma, lett. n), d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, nel testo antecedente alle modifiche introdotte dall'art. 2, comma 20, d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, nella parte in cui prevedeva: «rientrano altresi' tra i sottoprodotti non soggetti alle disposizioni di cui alla parte quarta del presente decreto le ceneri di pirite, polveri di ossido di ferro, provenienti dal processo di arrostimento del minerale noto come pirite o solfuro di ferro per la produzione di acido solforico e ossido di ferro, depositate presso stabilimenti di produzione dismessi, aree industriali e non, anche se sottoposte a procedimento di bonifica o di ripristino ambientale». La decisione spiega che il giudice nazionale non puo' fare diretta applicazione delle direttive comunitarie, disapplicando la norma censurata in quanto ritenuta in conflitto con le prime, ed esclude altresi' che la norma interna sia immune dal controllo di conformita' al diritto comunitario, che spetta alla Corte, e quindi sostiene che la sola strada da praticare in questi casi e' l'incidente di costituzionalita' per violazione dell'art. 11 e 117, primo comma, Cost. Quanto al merito alla questione, ci pare utile riportare questo brano: «Si deve porre in rilievo, ai fini del presente giudizio, che la norma censurata introduce una presunzione assoluta, in base alla quale le ceneri di pirite, quale che sia la loro provenienza e il trattamento ricevuto da parte del produttore, sono sempre e comunque da qualificare "sottoprodotto". Al contrario, la normativa comunitaria fa leva anche su fatti estrinseci e sui comportamenti dei soggetti produttori ed utilizzatori e non si arresta pertanto alla mera indicazione della natura intrinseca del materiale. Per effetto della presunzione assoluta, al giudice e' inibito l'accertamento in fatto delle circostanze in cui si e' formato il materiale e che hanno caratterizzato la gestione dello stesso, una volta prodotto. Tale preclusione si pone in contrasto con l'esigenza, derivante dalla disciplina comunitaria, di verificare in concreto l'esistenza di un rifiuto o di un sottoprodotto. In questo senso si e' espressa la Corte di giustizia dell'Unione europea, la quale ha sottolineato come l'effettiva esistenza di un rifiuto debba essere accertata «alla luce del complesso delle circostanze, tenuto conto della finalita' della direttiva e in modo da non pregiudicarne l'efficacia» (sentenza 18 dicembre 2007, in causa C-194/05, Commissione c. Repubblica italiana (1) )». Al riguardo giova ricordare anche la fondamentale sentenza della Corte di giustizia 18 dicembre 2007, n. 263/05, Commiss. Ce c. Gov. Italia (Foro it., 2008, IV, 185) che si e' occupata della norma contenuta nell'art. 14 legge 8 agosto 2002 n. 178, che esclude(va) dall'ambito di applicazione del d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, da un lato, le sostanze, i materiali o i beni, destinati alle operazioni di smaltimento o di recupero non esplicitamente elencati agli all. B e C a tale decreto e, dall'altro, le sostanze o i materiali residuali di produzione dei quali il detentore abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi, qualora gli stessi possano essere e siano riutilizzati in un ciclo produttivo o di consumo, a condizione che non sia effettuato alcun intervento preventivo di trattamento e che gli stessi non rechino pregiudizio all'ambiente, oppure, anche qualora venga effettuato un intervento preventivo di trattamento, quando quest'ultimo non configuri un'operazione di recupero fra quelle individuate all'alt. C al medesimo decreto. La sentenza cosi' si esprime: «37. - Tuttavia, emerge altresi' dalla giurisprudenza della corte che, in determinate situazioni, un bene, un materiale o una materia prima che deriva da un processo di estrazione o di fabbricazione che non e' principalmente destinato a produrlo puo' costituire non tanto un residuo, quanto un sottoprodotto, del quale il detentore non cerca di «disfarsi» ai sensi dell'art. 1, lett. a), della direttiva, ma che intende sfruttare o commercializzare - altresi' eventualmente per il fabbisogno di operatori economici diversi da quello che l'ha prodotto - a condizioni ad esso favorevoli, in un processo successivo, a condizione che tale riutilizzo sia certo, senza trasformazione preliminare e intervenga nel corso del processo di produzione o di utilizzazione (v., in tal senso, sentenze Palin Granit, cit., punti 34-36; 11 settembre 2003, causa C114/01, AvestaPolarit Chrome, Racc. pag. I-8725, punti 33-38; Niselli, cit., punto 47, nonche' 8 settembre 2005, causa C-416/02, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-7487, punti 87 e 90; e causa C-121/03, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-7569, punti 58 e 61). 38. - Pertanto, oltre al criterio relativo alla natura o meno di residuo di produzione di una sostanza, il grado di probabilita' di riutilizzo di tale sostanza, senza operazioni di trasformazione preliminare, costituisce un criterio utile ai fini di valutare se tale sostanza sia o meno un rifiuto ai sensi della direttiva. Se, oltre alla mera possibilita' di riutilizzare la sostanza di cui trattasi, il detentore consegue un vantaggio economico nel farlo, la probabilita' di tale riutilizzo e' alta. In un'ipotesi del genere la sostanza in questione non puo' piu' essere considerata un onere di cui il detentore cerchi di «disfarsi», bensi' un autentico prodotto (v. sentenze citate Palin Granit, punto 37, e Niselli, punto 46). 39. - Tuttavia, se per tale riutilizzo occorrono operazioni di deposito che possono avere una certa durata, e quindi rappresentare un onere per il detentore nonche' essere potenzialmente fonte di quei danni per l'ambiente che la direttiva mira specificamente a limitare, esso non puo' essere considerato certo ed e' prevedibile solo a piu' o meno lungo termine, cosicche' la sostanza di cui trattasi deve essere considerata, in linea di principio, come rifiuto (v., in tal senso, sentenze citate Palin Granit, punto 38, e AvestaPolarit Chrome, punto 39). 40. - L'effettiva esistenza di un «rifiuto» ai sensi della direttiva va pertanto accertata alla luce del complesso delle circostanze, tenendo conto della finalita' della stessa e in modo da non pregiudicarne l'efficacia (v. sentenze citate ARCO Chemie Nederland e a., punto 88, e KVZ retec, punto 63, nonche' ordinanza 15 gennaio 2004, causa C-235/02, Saetti e Frediani, Racc. pag. I-1005, punto 40). 41. - Atteso che la direttiva non suggerisce alcun criterio determinante per individuare la volonta' del detentore di disfarsi di una determinata sostanza o di un determinato materiale, in mancanza di disposizioni comunitarie gli Stati membri sono liberi di scegliere le modalita' di prova dei diversi elementi definiti nelle direttive da essi recepite, purche' cio' non pregiudichi l'efficacia del diritto comunitario (v. sentenze citate ARCO Chemie Nederland e a., punto 41, nonche' Niselli, punto 34). Infatti, gli Stati membri possono, ad esempio, definire varie categorie di rifiuti, in particolare per facilitare l'organizzazione e il controllo della loro gestione, purche' gli obblighi risultanti dalla direttiva o da altre disposizioni di diritto comunitario relative a tali rifiuti siano rispettati e l'eventuale esclusione di determinate categorie dall'ambito di applicazione dei testi adottati per dare attuazione agli obblighi derivanti dalla direttiva si verifichi in conformita' all'art. 2, n. 1, di quest'ultima (v., in tal senso, sentenza 16 dicembre 2004, causa C-62/03, Commissione/Regno unito, non pubblicata nella Raccolta, punto 12). 42. - Nella fattispecie, e' pacifico, da un lato, che, in virtu' del 1° comma della disposizione controversa, viene considerato come manifestazione dell'atto, della decisione o dell'obbligo di «disfarsi» di una sostanza o di un oggetto, ai sensi dell'art. 1, lett. a), 1° comma, della direttiva, solo il fatto che tale sostanza o tale oggetto sia destinato, direttamente o indirettamente, a operazioni di smaltimento o di recupero menzionate agli all. B e C al d.lgs. n. 22/97 e, dall'altro, che tali all. B e C corrispondono testualmente agli all. II A e II B alla direttiva. 43. - Orbene, come e' stato ricordato al punto 36 della presente sentenza, l'esecuzione di una delle operazioni di smaltimento o di recupero di cui agli allegati, rispettivamente, II A o II B alla direttiva non consente, di per se', di qualificare come rifiuto una sostanza o un oggetto trattato in tale operazione. 44. - Infatti, da una parte, allorche' definisce l'azione di disfarsi di una sostanza o di un materiale esclusivamente a partire dall'esecuzione di un'operazione di smaltimento o di recupero menzionata agli all. B o C al d.lgs. n. 22/97, l'interpretazione imposta dal 1° comma della disposizione controversa subordina la qualifica di rifiuto ad un'operazione che, a sua volta, puo' essere qualificata come smaltimento o recupero solo ove applicata ad un rifiuto, di modo che tale interpretazione non contribuisce in realta' minimamente a precisare la nozione di rifiuto. In effetti, secondo l'interpretazione di cui trattasi, ogni sostanza o materiale oggetto di uno dei tipi di operazioni menzionati agli allegati II A e II B alla direttiva deve essere qualificato come rifiuto, di modo che tale interpretazione condurrebbe a qualificare come tali sostanze e materiali che non lo sono ai sensi della direttiva (v., in tal senso, sentenza Niselli, cit., punti 36 e 37). 45. - D'altra parte, l'interpretazione esposta al punto 42 della presente sentenza comporta che una sostanza o un materiale di cui il detentore si disfi in un modo diverso da quelli menzionati negli all. II A e II B alla direttiva non costituisce un rifiuto, e pertanto restringe anche la nozione di rifiuto quale risulta dall'art. 1, lett. a), della direttiva. Infatti, conformemente a questa interpretazione, una sostanza o un materiale non soggetti a obbligo di smaltimento o di recupero e di cui il detentore si disfi mediante semplice abbandono, senza sottoporre la sostanza o il materiale ad un'operazione del genere, non verrebbero qualificati come rifiuto, mentre lo sarebbero ai sensi della direttiva (v., in tal senso, sentenza Niselli, cit., punto 3 8). 46. - A tale riguardo, l'argomento della Repubblica italiana esposto al punto 24 della presente sentenza, secondo cui il fatto di abbandonare una sostanza o un oggetto rientrerebbe in realta' nell'ambito del 1° comma, lett. a), della disposizione controversa, non puo' essere accolto. Infatti, anche se l'interpretazione di tale punto prevalesse nel diritto nazionale, la disposizione controversa, a causa della sua mancanza di chiarezza e di precisione a tale riguardo, non puo' assicurare la piena applicazione della direttiva. 47. - E' anche pacifico che, secondo la precisazione contenuta al 2° comma della disposizione controversa, e' sufficiente, affinche' un materiale residuale di produzione o di consumo sfugga alla qualifica di rifiuto, che esso venga o possa essere riutilizzato in qualunque ciclo di produzione o di consumo, senza alcun intervento preventivo di trattamento e senza pregiudizio all'ambiente, o dopo aver subito un intervento preventivo di trattamento qualora non si tratti di una delle operazioni di smaltimento elencate all'all. C al d.lgs. n. 22/97, che corrisponde testualmente all'all. II B alla direttiva. 48. - Orbene, tale enunciazione non e' conforme ai principi della giurisprudenza ricordati ai punti 33-39 della presente sentenza. Infatti, essa conduce a escludere dalla qualifica di rifiuto materiali residuali di produzione o di consumo che pure corrispondono alla definizione della nozione di «rifiuto» di cui all'art. 1, lett. a), 1° comma, della direttiva. 49. - In particolare, come risulta dai punti 34-36 della presente sentenza, il fatto che una sostanza sia un materiale residuale di produzione o di consumo costituisce un indizio che si tratti di un rifiuto e la sola circostanza che una sostanza sia destinata a essere riutilizzata, o possa esserlo, non puo' essere determinante per la sua qualifica o meno come rifiuto. 50. - Peraltro, l'argomento della Repubblica italiana esposto al punto 25 della presente sentenza non puo' essere accolto. Infatti, tenuto conto dell'obbligo, ricordato al punto 33 della presente sentenza, d'interpretare in senso lato la nozione di rifiuto e tenuto conto dei principi della giurisprudenza della corte menzionati ai punti 34-39 della presente sentenza, un bene, un materiale o una materia prima risultante da un processo di fabbricazione che non e' destinato a produrlo puo' essere considerato come un sottoprodotto di cui il detentore non desidera disfarsi solo se il suo riutilizzo, incluso quello per i bisogni di operatori economici diversi da colui che l'ha prodotto, e' non semplicemente eventuale, ma certo, non necessita di trasformazione preliminare e interviene nel corso del processo di produzione o di utilizzazione. 51. - Infine, per cio' che riguarda le osservazioni espresse dalla Repubblica italiana all'udienza quanto al fatto che persone connotate come operanti «al limite della legalita'» sarebbero attive nel settore della gestione dei rifiuti, e' sufficiente rilevare che tale circostanza, anche supponendo che fosse provata, non puo' giustificare la violazione, da parte di tale Stato membro, degli obblighi ad esso incombenti in forza della direttiva. 52. - Alla luce di tutto quanto precede, il ricorso della commissione dev'essere accolto. 53. - Occorre pertanto dichiarare che la Repubblica italiana, avendo adottato e mantenuto in vigore l'art. 14 d.l. 8 luglio 2002, n. 138, divenuto, in seguito a modifica, la legge 8 agosto 2002, n. 178, che esclude dall'ambito di applicazione del d.lgs. n. 22/97, da un lato, le sostanze, i materiali o i beni destinati alle operazioni di smaltimento o di recupero non esplicitamente elencati agli all. B e C a tale decreto e, dall'altro, le sostanze o i materiali residuali di produzione dei quali il detentore abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi, qualora gli stessi possano essere e siano riutilizzati in un ciclo produttivo o di consumo, a condizione che non sia effettuato alcun intervento preventivo di trattamento e che gli stessi non rechino pregiudizio all'ambiente, oppure, anche qualora venga effettuato un intervento preventivo di trattamento, quando quest'ultimo non configuri un'operazione di recupero fra quelle individuate all'all. C al medesimo decreto, e' venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell'art. 1, lett. a), della direttiva». Cio' posto, occorre citare nuovamente Corte cost. 25 gennaio 2010, n. 28 che ha assunto un'importante posizione sul sindacato delle norme in malam partem. Questo il passo che ci interessa: «7. - Rilevato il contrasto tra la norma censurata e le direttive comunitarie sui rifiuti, nonche' l'impossibilita' di disapplicare la stessa da parte del giudice rimettente e la non necessita' del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea, resta da risolvere il problema degli effetti della declaratoria di illegittimita' costituzionale di una norma extrapenale, che, sottraendo temporaneamente le ceneri di pirite dalla categoria dei rifiuti, ha escluso, durante il periodo della sua vigenza, precedente all'abrogazione ad opera del d.lgs. n. 4 del 2008, l'applicabilita' delle sanzioni penali previste per la gestione illegale dei rifiuti alla fattispecie oggetto del giudizio principale... Questa Corte ha gia' chiarito, tuttavia, che la retroattivita' della legge piu' favorevole non esclude l'assoggettamento di tutte le norme giuridiche di rango primario allo scrutinio di legittimita' costituzionale: «Alto [...] e' la garanzia che i principi del diritto penale-costituzionale possono offrire agli imputati, circoscrivendo l'efficacia spettante alle dichiarazioni d'illegittimita' delle norme penali di favore; altro e' il sindacato cui le norme stesse devono pur sempre sottostare, a pena di istituire zone franche del tutto impreviste dalla Costituzione, all'interno delle quali la legislazione ordinaria diverrebbe incontrollabile» (sentenza n. 148 del 1983 e sul punto, sostanzialmente nello stesso senso, sentenza n. 394 del 2006). Nel caso di specie, se si stabilisse che il possibile effetto in malam partem della sentenza di questa Corte inibisce la verifica di conformita' delle norme legislative interne rispetto alle norme comunitarie - che sono cogenti e sovraordinate alle leggi ordinarie nell'ordinamento italiano per il tramite degli artt. 11 e 117, primo coma, Cost. - non si arriverebbe soltanto alla conclusione del carattere non autoapplicativo delle direttive comunitarie sui rifiuti, ma si toglierebbe a queste ultime ogni efficacia vincolante per il legislatore italiano, come effetto del semplice susseguirsi di norme interne diverse, che diverrebbero insindacabili a seguito della previsione, da parte del medesimo legislatore italiano, di sanzioni penali. La responsabilita' penale, che la legge italiana prevede per l'inosservanza delle fattispecie penali connesse alle direttive comunitarie, per dare alle stesse maggior forza, diverrebbe paradossalmente una barriera insuperabile per l'accertamento della loro violazione. Per superare il paradosso sopra segnalato, occorre quindi distinguere tra controllo di legittimita' costituzionale, che non puo' soffrire limitazioni, se ritualmente attivato secondo le norme vigenti, ed effetti delle sentenze di accoglimento nel processo principale, che devono essere valutati dal giudice rimettente secondo i principi generali che reggono la successione nel tempo delle leggi penali. Questa Corte ha gia' chiarito che l'eventuale accoglimento delle questioni relative a norme piu' favorevoli «verrebbe ad incidere sulle formule di proscioglimento o, quanto meno, sui dispositivi delle sentenze penali»; peraltro, «la pronuncia della Corte non potrebbe non riflettersi sullo schema argomentativo della sentenza penale assolutoria, modificandone la ratio decidendi: poiche' in tal caso ne risulterebbe alterato [...] il fondamento normativo della decisione, pur fermi restando i pratici effetti di essa» (sentenza n. 148 del 1983)». Siamo dunque dell'avviso che la questione qui proposta sia non manifestamente infondata e rilevante perche' incide direttamente sull'applicabilita' della norma incriminatrice contestata all'indagato. (1) In Foro it., 2008, IV, 186.
P.Q.M. Visto l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2-bis della legge 30 dicembre 2008, n. 205 per contrasto con gli artt. 11 e 117 della Costituzione. Sospende il procedimento in corso. Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti, ai difensori e al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Dispone che, all'esito, gli atti siano trasmessi alla Corte costituzionale. Asti, addi' 13 gennaio 2011 Il giudice: Bianco