N. 66 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 gennaio 2011

Ordinanza del 13 gennaio 2011 emessa dal G.I.P. del Tribunale di Asti
nel procedimento penale a carico di Beccaris Carlo . 
 
Ambiente  -  Rifiuti  -  Vinacce  esauste  -   Classificazione   come
  sottoprodotti  -  Introduzione  di  una  presunzione  assoluta   di
  esclusione  dalla  categoria  dei  rifiuti  -  Contrasto   con   la
  disciplina comunitaria e  con  la  giurisprudenza  della  Corte  di
  giustizia dell'Unione europea che esigono la verifica  in  concreto
  dell'esistenza di un rifiuto o di un sottoprodotto. 
- Decreto-legge 3 novembre 2008, n. 171, art. 2-bis,  inserito  dalla
  legge di conversione 30 dicembre 2008, n. 205. 
- Costituzione, artt. 11 e 117, primo comma. 
(GU n.17 del 20-4-2011 )
 
                            IL TRIBUNALE 
 
    Visti gli atti del procedimento penale nei confronti di  Beccaris
Carlo, nato a Genova  1'8  dicembre  1951,  residente  a  Costigliole
d'Asti in frazione Boglietto, Via Alba n. 3, ivi dom. dich. -  difeso
di fiducia dall'avv. Raffaella Lavagetto del foro di Asti; sottoposto
a indagini per i seguenti reati: 
        «a) art. 256, comma 1), lett. a)  d.lgs.  n.  152/06  perche'
quale titolare della distilleria Beccaris Elio di Beccaris Carlo e c.
s.n.c. non gestiva regolarmente le ceneri  di  risulta  dal  recupero
energetico degli scarti di lavorazione; 
    in Costigliole acc. nel giugno 2009 e tuttora in corso. 
        b) art. 256 comma 1), lett.  a)  in  relazione  all'art.  214
d.lgs. n. 152/06 perche' quale titolare  della  distilleria  Beccaris
Elio di Beccaris Carlo e c. s.n.c. effettuava attivita'  di  recupero
energetico  dei  rifiuti  prodotti   dalla   propria   attivita'   di
distillazione costituiti da vinacce esauste senza essere iscritto nel
registro  provinciale  delle  imprese   di   recupero   rifiuti   non
pericolosi; 
    in Costigliole acc. nel giugno 2009 e tuttora in corso»; 
    Sulla questione di legittimita' costituzionale sollevata dal p.m.
in data 14 aprile 2010; 
    Ritenuto di condividere integralmente le motivazioni espresse dal
p.m., che di seguito si riportano: 
    Il  presente  procedimento  origina  da   accertamenti   compiuti
dall'ARPA nella distilleria Beccaris Elio di Beccaris Carlo e c.  snc
con sede in Costigliole  d'Asti.  Tale  ditta,  senza  la  prescritta
iscrizione ex art. 214 d.lgs. n. 152/06, effettuava (fino al dicembre
2008) ed effettua tuttora il recupero energetico dei rifiuti prodotti
dalla propria attivita' di distillazione  costituiti  dalle  «vinacce
esauste». 
    Ricordiamo al riguardo che le vinacce esauste erano espressamente
contemplate  dal  d.m.  5  febbraio  1998   come   rifiuti   derivati
dall'industria agroalimentare (cfr. all. 1 sub 1, punto 11.7 e all. 2
suballegato 1) e non si poteva percio' dubitare  che  l'utilizzazione
delle stesse come combustibile costituisse operazione di recupero  di
un rifiuto. 
    Nella specie sarebbe percio' ravvisabile il reato di cui all'art.
256, primo comma, lett. a) d.lgs. n. 152/06. 
    Senonche' l'art. 2-bis legge 30 dicembre 2008, n. 205  stabilisce
che «1. Le vinacce vergini nonche'  le  vinacce  esauste  ed  i  loro
componenti, bucce, vinaccioli e  raspi,  derivanti  dai  processi  di
vinificazione  e  di  distillazione,  che  subiscono   esclusivamente
trattamenti di tipo meccanico fisico, compreso il lavaggio con  acqua
o l'essiccazione,  destinati  alla  combustione  nel  medesimo  ciclo
produttivo sono da considerare sottoprodotti soggetti alla disciplina
di cui alla Sezione 4 della  Parte  II  dell'allegato  X  alla  Parte
quinta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152». 
    Questa disposizione, come appare evidente, ha  classificato  come
sottoprodotti residui che normalmente sono considerati rifiuti  e  di
conseguenza la condotta tenuta  dall'imputato  non  costituisce  piu'
reato. 
    Si  dovrebbe  percio'  chiedere  l'archiviazione   del   presente
procedimento (perlomeno in relazione all'imputazione sub b). 
    Riteniamo   tuttavia   di   dover    prospettare    alla    s.v.,
preliminarmente rispetto al vaglio della richiesta di  archiviazione,
una  questione  di  legittimita'  costituzionale  della   norma   per
contrarieta' al diritto comunitario. 
    Il problema infatti e' che la legge del 2008  ha  introdotto  una
«presunzione assoluta» di appartenenza  delle  vinacce  esauste  alla
categoria dei sottoprodotti sicche' e'  precluso  l'accertamento  nel
caso concreto - come e' previsto dalla norma generale  riguardante  i
sottoprodotti e cioe' l'art. 183, comma 1, lett. p) d.lgs. n.  152  -
della ricorrenza di tutti i requisiti richiesti  affinche'  operi  la
deroga al regime ordinario. 
    Cosi' operando la normativa del 2008 ha creato  un'ingiustificata
riduzione della sfera di operativita' della direttiva sui rifiuti che
l'Italia e' invece obbligata  a  trasporre  mediante  apposite  norme
interne: infatti, senza alcuna apparente e razionale motivazione,  le
vinacce esauste sono state escluse tout court dal novero dei  rifiuti
in radicale contrasto con  la  nozione  di  rifiuto  contenuta  nella
direttiva comunitaria 3 aprile 2006,  n.  2006/12/CE  (Direttiva  del
Parlamento europeo e del Consiglio), che  sostituisce  ed  abroga  la
precedente direttiva 15 luglio 1975, n. 75/442/CEE. 
    In questo senso ci conforta Corte cost. 25 gennaio  2010,  n.  28
che ha dichiarato incostituzionale l'art. 183, 1°  comma,  lett.  n),
d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, nel testo  antecedente  alle  modifiche
introdotte dall'art. 2, comma 20, d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, nella
parte in cui prevedeva: «rientrano altresi' tra i  sottoprodotti  non
soggetti alle disposizioni di cui  alla  parte  quarta  del  presente
decreto le ceneri di pirite, polveri di ossido di ferro,  provenienti
dal processo di arrostimento del minerale noto come pirite o  solfuro
di ferro per la produzione di acido  solforico  e  ossido  di  ferro,
depositate  presso  stabilimenti   di   produzione   dismessi,   aree
industriali e non, anche se sottoposte a procedimento di  bonifica  o
di ripristino ambientale». 
    La decisione spiega  che  il  giudice  nazionale  non  puo'  fare
diretta applicazione delle direttive  comunitarie,  disapplicando  la
norma censurata in quanto ritenuta in  conflitto  con  le  prime,  ed
esclude altresi' che la norma interna sia  immune  dal  controllo  di
conformita' al diritto comunitario, che spetta alla Corte,  e  quindi
sostiene  che  la  sola  strada  da  praticare  in  questi  casi   e'
l'incidente di costituzionalita' per violazione dell'art. 11  e  117,
primo comma, Cost. 
    Quanto al merito alla questione, ci pare utile  riportare  questo
brano: 
        «Si deve porre in rilievo, ai fini del presente giudizio, che
la norma censurata introduce una presunzione assoluta, in  base  alla
quale le ceneri di pirite, quale che sia la  loro  provenienza  e  il
trattamento ricevuto da parte del produttore, sono sempre e  comunque
da  qualificare   "sottoprodotto".   Al   contrario,   la   normativa
comunitaria fa leva anche su fatti estrinseci e sui comportamenti dei
soggetti produttori ed utilizzatori e non si  arresta  pertanto  alla
mera indicazione della natura intrinseca del materiale.  Per  effetto
della presunzione assoluta, al giudice e' inibito  l'accertamento  in
fatto delle circostanze in cui si e' formato il materiale e che hanno
caratterizzato la gestione dello stesso,  una  volta  prodotto.  Tale
preclusione si pone in  contrasto  con  l'esigenza,  derivante  dalla
disciplina comunitaria, di verificare in concreto l'esistenza  di  un
rifiuto o di un sottoprodotto. In questo  senso  si  e'  espressa  la
Corte di giustizia dell'Unione europea, la quale ha sottolineato come
l'effettiva esistenza di un rifiuto debba essere accertata «alla luce
del complesso delle circostanze, tenuto conto della  finalita'  della
direttiva e in modo da non pregiudicarne  l'efficacia»  (sentenza  18
dicembre 2007, in causa C-194/05, Commissione c. Repubblica  italiana
(1) )». 
    Al riguardo giova ricordare anche la fondamentale sentenza  della
Corte di giustizia 18 dicembre 2007, n. 263/05, Commiss. Ce  c.  Gov.
Italia (Foro it., 2008, IV, 185)  che  si  e'  occupata  della  norma
contenuta nell'art. 14 legge 8 agosto 2002 n.  178,  che  esclude(va)
dall'ambito di applicazione del d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22,  da  un
lato, le sostanze, i materiali o i beni, destinati alle operazioni di
smaltimento o di recupero non esplicitamente elencati agli all. B e C
a tale decreto e, dall'altro, le sostanze o i materiali residuali  di
produzione dei quali il detentore abbia deciso o abbia  l'obbligo  di
disfarsi, qualora gli stessi possano essere e siano  riutilizzati  in
un ciclo produttivo o di consumo, a condizione che non sia effettuato
alcun intervento preventivo di  trattamento  e  che  gli  stessi  non
rechino  pregiudizio  all'ambiente,  oppure,  anche   qualora   venga
effettuato  un   intervento   preventivo   di   trattamento,   quando
quest'ultimo non  configuri  un'operazione  di  recupero  fra  quelle
individuate all'alt. C al medesimo decreto. 
    La sentenza cosi' si esprime: 
        «37. - Tuttavia, emerge altresi' dalla  giurisprudenza  della
corte che, in determinate situazioni, un bene,  un  materiale  o  una
materia  prima  che  deriva  da  un  processo  di  estrazione  o   di
fabbricazione che non e' principalmente  destinato  a  produrlo  puo'
costituire non tanto un residuo, quanto un sottoprodotto,  del  quale
il detentore non cerca di «disfarsi» ai sensi dell'art. 1, lett.  a),
della direttiva,  ma  che  intende  sfruttare  o  commercializzare  -
altresi' eventualmente  per  il  fabbisogno  di  operatori  economici
diversi  da  quello  che  l'ha  prodotto  -  a  condizioni  ad   esso
favorevoli,  in  un  processo  successivo,  a  condizione  che   tale
riutilizzo sia certo, senza trasformazione preliminare  e  intervenga
nel corso del processo di produzione o di utilizzazione (v.,  in  tal
senso, sentenze Palin Granit, cit., punti 34-36; 11  settembre  2003,
causa C114/01, AvestaPolarit Chrome, Racc. pag. I-8725, punti  33-38;
Niselli, cit., punto 47, nonche' 8 settembre  2005,  causa  C-416/02,
Commissione/Spagna, Racc.  pag.  I-7487,  punti  87  e  90;  e  causa
C-121/03, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-7569, punti 58 e 61). 
    38. - Pertanto, oltre al criterio relativo alla natura o meno  di
residuo di produzione di una sostanza, il grado  di  probabilita'  di
riutilizzo di  tale  sostanza,  senza  operazioni  di  trasformazione
preliminare, costituisce un criterio utile ai  fini  di  valutare  se
tale sostanza sia o meno un rifiuto ai  sensi  della  direttiva.  Se,
oltre alla mera possibilita'  di  riutilizzare  la  sostanza  di  cui
trattasi, il detentore consegue un vantaggio economico nel farlo,  la
probabilita' di tale riutilizzo e' alta. In un'ipotesi del genere  la
sostanza in questione non puo' piu' essere considerata  un  onere  di
cui il detentore cerchi di «disfarsi», bensi' un  autentico  prodotto
(v. sentenze citate Palin Granit, punto 37, e Niselli, punto 46). 
    39. - Tuttavia, se per tale riutilizzo  occorrono  operazioni  di
deposito che possono avere una certa durata, e  quindi  rappresentare
un onere per il detentore nonche' essere potenzialmente fonte di quei
danni per l'ambiente che la direttiva mira specificamente a limitare,
esso non puo' essere considerato certo ed e' prevedibile solo a  piu'
o meno lungo termine, cosicche' la  sostanza  di  cui  trattasi  deve
essere considerata, in linea di principio, come rifiuto (v.,  in  tal
senso, sentenze  citate  Palin  Granit,  punto  38,  e  AvestaPolarit
Chrome, punto 39). 
    40. - L'effettiva  esistenza  di  un  «rifiuto»  ai  sensi  della
direttiva  va  pertanto  accertata  alla  luce  del  complesso  delle
circostanze, tenendo conto della finalita' della stessa e in modo  da
non  pregiudicarne  l'efficacia  (v.  sentenze  citate  ARCO   Chemie
Nederland e a., punto 88, e KVZ retec, punto 63, nonche' ordinanza 15
gennaio 2004, causa C-235/02, Saetti e Frediani, Racc.  pag.  I-1005,
punto 40). 
    41. - Atteso che  la  direttiva  non  suggerisce  alcun  criterio
determinante per individuare la volonta' del detentore di disfarsi di
una determinata sostanza o di un determinato materiale,  in  mancanza
di disposizioni comunitarie gli Stati membri sono liberi di scegliere
le modalita' di prova dei diversi elementi definiti  nelle  direttive
da essi  recepite,  purche'  cio'  non  pregiudichi  l'efficacia  del
diritto comunitario (v. sentenze citate ARCO Chemie Nederland  e  a.,
punto 41, nonche' Niselli,  punto  34).  Infatti,  gli  Stati  membri
possono,  ad  esempio,  definire  varie  categorie  di  rifiuti,   in
particolare per facilitare l'organizzazione e il controllo della loro
gestione, purche' gli obblighi risultanti dalla direttiva o da  altre
disposizioni di diritto comunitario relative  a  tali  rifiuti  siano
rispettati  e  l'eventuale  esclusione   di   determinate   categorie
dall'ambito di applicazione dei testi adottati  per  dare  attuazione
agli obblighi derivanti dalla direttiva si verifichi  in  conformita'
all'art. 2, n. 1, di quest'ultima (v.,  in  tal  senso,  sentenza  16
dicembre 2004, causa C-62/03, Commissione/Regno unito, non pubblicata
nella Raccolta, punto 12). 
    42. - Nella fattispecie, e' pacifico, da un lato, che, in  virtu'
del 1° comma della disposizione controversa, viene  considerato  come
manifestazione  dell'atto,  della   decisione   o   dell'obbligo   di
«disfarsi» di una sostanza o di un oggetto,  ai  sensi  dell'art.  1,
lett. a), 1° comma, della direttiva, solo il fatto che tale  sostanza
o tale  oggetto  sia  destinato,  direttamente  o  indirettamente,  a
operazioni di smaltimento o di recupero menzionate agli all. B e C al
d.lgs. n. 22/97 e, dall'altro, che tali  all.  B  e  C  corrispondono
testualmente agli all. II A e II B alla direttiva. 
    43. - Orbene, come e' stato ricordato al punto 36 della  presente
sentenza, l'esecuzione di una delle operazioni di  smaltimento  o  di
recupero di cui agli allegati, rispettivamente, II  A  o  II  B  alla
direttiva non consente, di per se', di qualificare come  rifiuto  una
sostanza o un oggetto trattato in tale operazione. 
    44. - Infatti, da una  parte,  allorche'  definisce  l'azione  di
disfarsi di una sostanza o di un materiale esclusivamente  a  partire
dall'esecuzione  di  un'operazione  di  smaltimento  o  di   recupero
menzionata agli all. B o C  al  d.lgs.  n.  22/97,  l'interpretazione
imposta dal 1° comma  della  disposizione  controversa  subordina  la
qualifica di rifiuto ad un'operazione che, a sua volta,  puo'  essere
qualificata come smaltimento o recupero  solo  ove  applicata  ad  un
rifiuto, di modo che tale interpretazione non contribuisce in realta'
minimamente a precisare la nozione di rifiuto.  In  effetti,  secondo
l'interpretazione di cui trattasi, ogni sostanza o materiale  oggetto
di uno dei tipi di operazioni menzionati agli allegati II A  e  II  B
alla direttiva deve essere qualificato come rifiuto, di modo che tale
interpretazione  condurrebbe  a  qualificare  come  tali  sostanze  e
materiali che non lo sono ai sensi della direttiva (v., in tal senso,
sentenza Niselli, cit., punti 36 e 37). 
    45. - D'altra parte, l'interpretazione esposta al punto 42  della
presente sentenza comporta che una sostanza o un materiale di cui  il
detentore si disfi in un modo diverso da quelli menzionati negli all.
II A e II B alla direttiva non costituisce  un  rifiuto,  e  pertanto
restringe anche la nozione di  rifiuto  quale  risulta  dall'art.  1,
lett.  a),  della  direttiva.   Infatti,   conformemente   a   questa
interpretazione, una sostanza o un materiale non soggetti  a  obbligo
di smaltimento o di recupero e di cui il detentore si disfi  mediante
semplice abbandono, senza sottoporre la sostanza o  il  materiale  ad
un'operazione del genere, non verrebbero  qualificati  come  rifiuto,
mentre lo sarebbero ai sensi  della  direttiva  (v.,  in  tal  senso,
sentenza Niselli, cit., punto 3 8). 
    46. - A tale  riguardo,  l'argomento  della  Repubblica  italiana
esposto al punto 24 della presente sentenza, secondo cui il fatto  di
abbandonare  una  sostanza  o  un  oggetto  rientrerebbe  in  realta'
nell'ambito del 1° comma, lett. a), della  disposizione  controversa,
non puo' essere accolto. Infatti, anche se l'interpretazione di  tale
punto prevalesse nel diritto nazionale, la disposizione  controversa,
a causa della sua mancanza  di  chiarezza  e  di  precisione  a  tale
riguardo, non puo' assicurare la piena applicazione della direttiva. 
    47. - E' anche pacifico che, secondo la precisazione contenuta al
2° comma della disposizione controversa, e' sufficiente, affinche' un
materiale residuale di produzione o di consumo sfugga alla  qualifica
di rifiuto, che esso venga o possa essere riutilizzato  in  qualunque
ciclo di produzione o di consumo, senza alcun  intervento  preventivo
di trattamento e senza pregiudizio all'ambiente, o dopo  aver  subito
un intervento preventivo di trattamento qualora non si tratti di  una
delle operazioni di smaltimento elencate  all'all.  C  al  d.lgs.  n.
22/97, che corrisponde testualmente all'all. II B alla direttiva. 
    48. - Orbene, tale enunciazione non e' conforme ai principi della
giurisprudenza ricordati ai  punti  33-39  della  presente  sentenza.
Infatti,  essa  conduce  a  escludere  dalla  qualifica  di   rifiuto
materiali residuali di produzione o di consumo che pure corrispondono
alla definizione della nozione di «rifiuto» di cui all'art. 1,  lett.
a), 1° comma, della direttiva. 
    49. - In particolare, come risulta dai punti 34-36 della presente
sentenza, il fatto che una sostanza sia  un  materiale  residuale  di
produzione o di consumo costituisce un indizio che si  tratti  di  un
rifiuto e la sola circostanza che una sostanza sia destinata a essere
riutilizzata, o possa esserlo, non puo' essere  determinante  per  la
sua qualifica o meno come rifiuto. 
    50. - Peraltro, l'argomento della Repubblica italiana esposto  al
punto 25 della presente sentenza non puo'  essere  accolto.  Infatti,
tenuto conto dell'obbligo,  ricordato  al  punto  33  della  presente
sentenza, d'interpretare in senso lato la nozione di rifiuto e tenuto
conto dei principi della giurisprudenza  della  corte  menzionati  ai
punti 34-39 della presente sentenza, un  bene,  un  materiale  o  una
materia prima risultante da un processo di fabbricazione che  non  e'
destinato a produrlo puo' essere considerato come un sottoprodotto di
cui il detentore non desidera disfarsi solo  se  il  suo  riutilizzo,
incluso quello per i bisogni di operatori economici diversi da  colui
che l'ha prodotto, e' non  semplicemente  eventuale,  ma  certo,  non
necessita di trasformazione preliminare e interviene  nel  corso  del
processo di produzione o di utilizzazione. 
    51. - Infine, per cio'  che  riguarda  le  osservazioni  espresse
dalla Repubblica italiana all'udienza quanto  al  fatto  che  persone
connotate come operanti «al limite della legalita'» sarebbero  attive
nel settore della gestione dei rifiuti, e' sufficiente  rilevare  che
tale circostanza,  anche  supponendo  che  fosse  provata,  non  puo'
giustificare la violazione, da parte  di  tale  Stato  membro,  degli
obblighi ad esso incombenti in forza della direttiva. 
    52. - Alla  luce  di  tutto  quanto  precede,  il  ricorso  della
commissione dev'essere accolto. 
    53. - Occorre pertanto dichiarare  che  la  Repubblica  italiana,
avendo adottato e mantenuto in vigore l'art. 14 d.l. 8  luglio  2002,
n. 138, divenuto, in seguito a modifica, la legge 8 agosto  2002,  n.
178, che esclude dall'ambito di applicazione del d.lgs. n. 22/97,  da
un lato, le sostanze, i materiali o i beni destinati alle  operazioni
di smaltimento o di recupero non esplicitamente elencati agli all.  B
e C a tale decreto e, dall'altro, le sostanze o i materiali residuali
di produzione dei quali il detentore abbia deciso o  abbia  l'obbligo
di disfarsi, qualora gli stessi possano essere e  siano  riutilizzati
in un ciclo produttivo  o  di  consumo,  a  condizione  che  non  sia
effettuato alcun intervento  preventivo  di  trattamento  e  che  gli
stessi non rechino pregiudizio all'ambiente,  oppure,  anche  qualora
venga effettuato un  intervento  preventivo  di  trattamento,  quando
quest'ultimo non  configuri  un'operazione  di  recupero  fra  quelle
individuate all'all. C al  medesimo  decreto,  e'  venuta  meno  agli
obblighi che le incombono in  forza  dell'art.  1,  lett.  a),  della
direttiva». 
    Cio' posto, occorre citare  nuovamente  Corte  cost.  25  gennaio
2010, n. 28 che ha  assunto  un'importante  posizione  sul  sindacato
delle norme in malam partem. 
    Questo il passo che ci interessa: 
        «7. - Rilevato il contrasto  tra  la  norma  censurata  e  le
direttive  comunitarie  sui  rifiuti,  nonche'  l'impossibilita'   di
disapplicare la stessa da parte  del  giudice  rimettente  e  la  non
necessita'  del  rinvio  pregiudiziale  alla   Corte   di   giustizia
dell'Unione europea, resta da risolvere  il  problema  degli  effetti
della declaratoria di  illegittimita'  costituzionale  di  una  norma
extrapenale, che, sottraendo  temporaneamente  le  ceneri  di  pirite
dalla categoria dei rifiuti, ha escluso, durante il periodo della sua
vigenza, precedente all'abrogazione ad opera  del  d.lgs.  n.  4  del
2008, l'applicabilita' delle sanzioni penali previste per la gestione
illegale  dei  rifiuti  alla   fattispecie   oggetto   del   giudizio
principale... 
    Questa Corte ha gia' chiarito, tuttavia,  che  la  retroattivita'
della legge piu' favorevole non esclude l'assoggettamento di tutte le
norme giuridiche di rango primario  allo  scrutinio  di  legittimita'
costituzionale: «Alto [...] e' la garanzia che i principi del diritto
penale-costituzionale possono offrire agli  imputati,  circoscrivendo
l'efficacia spettante alle dichiarazioni d'illegittimita' delle norme
penali di favore; altro e' il sindacato cui le  norme  stesse  devono
pur sempre sottostare, a pena di istituire  zone  franche  del  tutto
impreviste   dalla   Costituzione,   all'interno   delle   quali   la
legislazione ordinaria diverrebbe incontrollabile» (sentenza  n.  148
del 1983 e sul punto, sostanzialmente nello stesso senso, sentenza n.
394 del 2006). 
    Nel caso di specie, se si stabilisse che il possibile effetto  in
malam partem della sentenza di questa Corte inibisce la  verifica  di
conformita' delle  norme  legislative  interne  rispetto  alle  norme
comunitarie - che sono cogenti e sovraordinate alle  leggi  ordinarie
nell'ordinamento italiano per il tramite degli artt. 11 e 117,  primo
coma, Cost. -  non  si  arriverebbe  soltanto  alla  conclusione  del
carattere  non  autoapplicativo  delle  direttive   comunitarie   sui
rifiuti, ma si toglierebbe a queste ultime ogni efficacia  vincolante
per il legislatore italiano, come effetto del semplice susseguirsi di
norme interne diverse, che diverrebbero insindacabili a seguito della
previsione, da parte del medesimo legislatore italiano,  di  sanzioni
penali. 
    La responsabilita' penale, che  la  legge  italiana  prevede  per
l'inosservanza  delle  fattispecie  penali  connesse  alle  direttive
comunitarie,  per  dare  alle  stesse   maggior   forza,   diverrebbe
paradossalmente una barriera insuperabile  per  l'accertamento  della
loro violazione. 
    Per  superare  il  paradosso  sopra  segnalato,  occorre   quindi
distinguere tra controllo di  legittimita'  costituzionale,  che  non
puo' soffrire limitazioni, se ritualmente attivato secondo  le  norme
vigenti, ed effetti  delle  sentenze  di  accoglimento  nel  processo
principale, che devono essere valutati dal giudice rimettente secondo
i principi generali che reggono la successione nel tempo delle  leggi
penali. 
    Questa Corte ha gia' chiarito che l'eventuale accoglimento  delle
questioni relative a norme  piu'  favorevoli  «verrebbe  ad  incidere
sulle formule di proscioglimento  o,  quanto  meno,  sui  dispositivi
delle sentenze penali»;  peraltro,  «la  pronuncia  della  Corte  non
potrebbe non riflettersi sullo schema  argomentativo  della  sentenza
penale assolutoria, modificandone la ratio decidendi: poiche' in  tal
caso ne risulterebbe alterato [...]  il  fondamento  normativo  della
decisione, pur fermi restando i pratici effetti di essa» (sentenza n.
148 del 1983)». 
    Siamo dunque dell'avviso che la questione qui  proposta  sia  non
manifestamente infondata  e  rilevante  perche'  incide  direttamente
sull'applicabilita'    della    norma    incriminatrice    contestata
all'indagato. 

(1) In Foro it., 2008, IV, 186. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visto l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 2-bis della legge  30  dicembre
2008, n. 205 per contrasto con gli artt. 11 e 117 della Costituzione. 
    Sospende il procedimento in corso. 
    Ordina che, a cura della cancelleria, la presente  ordinanza  sia
notificata alle parti, ai difensori e al Presidente del Consiglio dei
ministri e comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati  e  del
Senato della Repubblica. 
    Dispone che, all'esito,  gli  atti  siano  trasmessi  alla  Corte
costituzionale. 
        Asti, addi' 13 gennaio 2011 
 
                         Il giudice: Bianco