N. 74 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 novembre 2010
Ordinanza del 29 novembre 2010 emessa dalla Corte d'appello di Messina nel procedimento penale a carico di Cardillo Paolo ed altri. Reati e pene - Prescrizione - Modifiche normative comportanti un regime piu' favorevole in tema di prescrizione dei reati - Disciplina transitoria - Inapplicabilita' delle nuove norme ai processi gia' pendenti in grado di appello o avanti alla Corte di cassazione - Lesione del diritto dell'accusato al trattamento piu' lieve, corollario del principio del divieto di applicazione retroattiva della legge penale affermato dall'art. 7 della CEDU, come interpretato dalla Corte europea per i diritti dell'uomo. - Legge 5 dicembre 2005, n. 251, art. 10, comma 3. - Costituzione, art. 117, primo comma, in relazione all'art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali.(GU n.19 del 4-5-2011 )
LA CORTE DI APPELLO Ha emesso la seguente ordinanza. Premesso che questa Corte procede in sede di rinvio della Corte di Cassazione a seguito di annullamento della sentenza emessa dalla Corte d'appello di Reggio Calabria il 26 aprile 2001, che ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli imputati Cardillo Paolo, Minniti Domenica Maria e Latella Guglielmo in ordine al reato di omicidio colposo loro ascritto perche' estinto per prescrizione, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche; Esaminata l'eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 10 legge n. 251/2005 per contrasto con l'art. 117, comma 1 Cost., sollevata dalle difese degli imputati sulla scorta dell'ordinanza emessa il 27 maggio 2010 (depositata l'11 giugno 2010) dalla Corte di Cassazione, che ha ritenuto non manifestamente infondata la questione laddove la stessa disposizione esclude l'applicazione dei nuovi termini di prescrizione, se piu' brevi, per i processi gia' pendenti in grado di appello o in cassazione; Valutata la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale come sopra enunciata perche' il giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla sua risoluzione, dal momento che, ove venissero applicati i piu' brevi termini di prescrizione previsti dalla nuova normativa, il reato sarebbe gia' prescritto - con esigenza di immediata declaratoria della causa estintiva ed efficacia preclusiva dell'ulteriore attivita' istruttoria in corso - a prescindere dal riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, la cui decisione e' stata rimessa a questo giudice di rinvio a seguito della sentenza di annullamento della Corte di Cassazione; Ritenuto che la questione appare non manifestamente infondata alla luce delle argomentazioni autorevolmente svolte dal giudice di legittimita' nella citata ordinanza che di seguito, per la parte che interessa, si riportano: Con il secondo motivo di ricorso, il medesimo ricorrente ha sollevato eccezione di legittimita' costituzionale della legge n. 251 del 2005, art. 10, comma 3 per contrasto con l'art. 117 Cost. 2.1. La questione non e' manifestamente infondata, sia pure con le precisazioni che seguono, rispetto alle deduzioni difensive. Con la sentenza n. 393 del 2006 la Corte costituzionale ha premesso che l'art. 2 c.p., comma 4 deve essere interpretato, ed e' stato costantemente interpretato dalla giurisprudenza sia del giudice delle leggi che di quello di legittimita', nel senso che la locuzione «disposizioni piu' favorevole al reato» si riferisce a tutte quelle norme che apportino modifiche in melius alla disciplina di una fattispecie criminosa, ivi comprese quelle che incidono sulla prescrizione del reato, in coerenza con la sua natura sostanziale e con l'effetto che produce, perche' «il decorso del tempo non si limita ad estinguere l'azione penale, ma elimina la punibilita' in se e per se, in quanto costituisce una causa di rinuncia totale dello Stato alla potesta' punitiva» (Cass. sez. 1, 8 maggio 1998 n. 7442). Ha quindi precisato che «il regime giuridico riservato alla lex mitior, e segnatamente la sua retroattivita', non riceve nell'ordinamento la tutela privilegiata di cui all'art. 25 Cost., comma 2, in quanto la garanzia costituzionale, prevista dalla citata disposizione, concerne soltanto il divieto di applicazione retroattiva della norma incriminatrice, nonche' quella altrimenti piu' sfavorevole per il reo». Ne ha tratto la conclusione che «eventuali deroghe al principio di retroattivita' della lex mitior, ai sensi dell'art. 3 Cost., possono essere disposte dalla legge ordinaria quando ricorra una sufficiente ragione giustificativa» ed in questa ottica ha rammentato che il principio di retroattivita' della lex mitior e' stato sancito sia a livello internazionale sia a livello comunitario. In primo luogo l'art. 15, comma 1, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici adottato a New York il 16 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n. 881, il quale stabilisce che «se, posteriormente alla commissione di un reato, la legge prevede l'applicazione di una pena piu' lieve, il colpevole deve beneficiarne», «disposizione alla quale si collega 1a riserva dell'Italia nel senso dell'applicazione limitata ai procedimenti in corso, e non anche a quelli nei quali sia intervenuta una decisione definitiva». Il ricorrente ha correttamente osservato che gia' questa norma di carattere internazionale, se parametrata non all'art. 3 Cost. ma all'art. 117 Cost., comma 1, rende non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale della disciplina transitoria in esame, perche' priva l'imputato, il cui processo sia gia' pendente in appello o in Cassazione, dell'ottemperanza alla regola cogente, imposta dalla norma pattizia («deve beneficiarne») per la quale la lex mitior deve essere di immediata applicazione, senza che le deroghe disposte dalla legge ordinaria possano essere giustificate per effetto del bilanciamento con interessi di analogo rilievo. Tale bilanciamento e' stato operato dalla sentenza n. 393/2006 sol perche' come parametro e' stato assunto quello dell'art. 3 Cost. Osserva il Collegio che successive pronunce della Corte costituzionale, da ultimo la sentenza n. 93 dell'8-12 marzo 2010, hanno affermato in maniera costante che «le norme della CEDU - nel significato loro attribuito dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, specificamente istituita per dare ad esse interpretazione ed applicazione (art. 32, paragrafo 1, della Convenzione) - integrano, quali "norme interposte'', il parametro costituzionale espresso dall'art. 117 Cost., comma 1, nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli "obblighi internazionali'' (sentenze n. 317 e n. 311 del 2009, n. 39 del 2008)». Ne consegue che «nel caso in cui si profili un eventuale contrasto tra una norma interna e una norma CEDU, il giudice nazionale comune, deve, quindi, preventivamente verificare la praticabilita' di una interpretazione della prima conforme alla norma convenzionale, ricorrendo a tutti i normali strumenti di ermeneutica giuridica (sentenza n. 239 del 2009), e, ove tale soluzione risulti impercorribile (non potendo egli disapplicare la norma interna contrastante), deve denunciare la rilevata incompatibilita' proponendo questione di legittimita' costituzionale in riferimento al parametro dianzi indicato». La Grande Camera della Corte Europea dei diritti dell'uomo, in seguito al ricorso n. 10249/2003 presentato da Scoppola Franco, con sentenza del 17 settembre 2009 ha imposto alla Stato italiano di porre fine alla violazione degli artt. 6 e 7 della Convenzione e di assicurare che la pena dell'ergastolo inflitta al ricorrente venisse sostituita con pena non superiore a quella della reclusione di anni trenta. La CEDU e' pervenuta alla citata decisione avendo affermato che l'art. 7 della Convenzione, che stabilisce il principio del divieto di applicazione retroattiva della legge penale, incorpora anche il corollario del diritto dell'accusato al trattamento piu' lieve. In particolare, per quel che rileva nel presente procedimento, dopo aver rammentato le proprie precedenti pronunce sull'interpretazione dell'art. 7 della Convenzione (par. 103), la Corte europea ha stabilito che la sopravvenienza di norme di carattere internazionale e di pronunce applicative e interpretative di esse imponeva un «approccio dinamico ed evolutivo nell'interpretazione dell'art. 7». Allo scopo richiamava (par. 104) l'art. 491 della Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea (c.d. Carta di Nizza), la sentenza 3 maggio 2005 della Corte di giustizia delle Comunita' europee (sentenza Berlusconi) e lo stesso art. 2 c.p. italiano. Affermava in conseguenza il principio (par. 109) secondo il quale «... l'art. 71 della Convenzione non sancisce solo il principio della irretroattivita' della legge penale piu' severa, ma anche, implicitamente, il principio della retroattivita' della legge penale meno severa» per cui «... se la legge penale in vigore al momento della perpetrazione del reato e le leggi penali posteriori adottate prima della pronuncia di una sentenza definitiva sono diverse, il giudice deve applicare quella le cui disposizioni sono piu' favorevoli all'imputato». Risulta evidente il «nuovo» significato attribuito all'art. 7 della Convenzione, integrante «norma interposta», in relazione al parametro costituzionale di cui all'art. 117 Cost. Il Giudice delle leggi con la citata sentenza n. 93 del 2010, richiamando le sue precedenti sentenze n. 311 del 2009, n. 349 e n. 348 del 2007, ha spiegato che la Corte costituzionale, nel procedere allo scrutinio di sua competenza, «resta legittimata a verificare se la norma della Convenzione ... - norma che si colloca pur sempre ad un livello sub-costituzionale - si ponga eventualmente in conflitto con altre norme della Costituzione: ipotesi eccezionale nella quale dovra' essere esclusa la idoneita' della norma convenzionale a integrare il parametro considerato». Lo scrutinio relativo e' sottratto al giudice ordinario. Ne esso risulta effettuato con 1a gia' citata sentenza n. 393 del 2006, laddove il Giudice delle leggi ha osservato che «Il livello di rilevanza dell'interesse preservato dal principio di retroattivita' della lex mitior - ...... - impone di ritenere che il valore da esso tutelato puo' essere sacrificato da una legge ordinaria solo in favore di interessi di analogo rilievo (quali - a titolo esemplificativo - quelli dell'efficienza del processo, della salvaguardia dei diritti dei soggetti che, in vario modo, sono destinatari della funzione giurisdizionale, e quelli che coinvolgono interessi o esigenze dell'intera collettivita' nazionale connessi a valore di primario rilievo; cfr. sentenze n. 24 del 2004; n. 10 del 1997, n. 353 e n. 171 del 1996; n. 218 e n. 54 del 1993)». Cio' non tanto perche' il parametro di riferimento e' stato l'art. 3 Cost., quanto piuttosto perche' gli elementi assunti come tertium comparationis sono costituiti da «interessi di analogo valore», senza indicazione specifica di «conflitto» con altre norme della Costituzione (ipotesi che la Corte costituzionale nelle ricordate sentenze definisce «eccezionale» e riserva alla sua competenza, di guisa che non sembra corretta una valutazione interpretativa, da parte del giudice ordinario, di motivazione non esplicita di altra sentenza della Corte costituzionale); Atteso che, sulla scorta delle considerazioni espresse, la questione di legittimita' costituzionale, rilevante e non manifestamente infondata, va rimessa all'esame della Corte costituzionale, con ogni consequenziale statuizione, ivi compresa la sospensione ex lege dei termini di prescrizione;
P. Q. M. Visti gli artt. 23 e segg. legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante nel presente giudizio e non manifestamente infondata, in relazione all'art. 117, comma 1 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10, comma 3, legge 5 dicembre 2005, n. 251; Dichiara sospesi il processo ed il decorso dei termini di prescrizione del reato; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento; Manda alla Cancelleria per i connessi adempimenti. Messina, addi' 29 novembre 2010 Il presidente: Mango