N. 77 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 gennaio 2011
Ordinanza del 20 gennaio 2011 emessa dalla Corte d'appello di Trento nel procedimento penale a carico di Fabbro Edi ed altri. Reati e pene - Fallimento - Reati commessi dal fallito - Bancarotta fraudolenta - Pene accessorie dell'inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale e dell'incapacita' ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata di dieci anni per ogni ipotesi di condanna per i fatti di bancarotta previsti - Violazione del principio di uguaglianza - Lesione del diritto al lavoro e del diritto di svolgere, secondo le proprie possibilita' e la propria scelta, un'attivita' o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della societa' - Violazione dei principi della finalita' rieducativa della pena e di indirizzo a fini sociali e liberta' dell'iniziativa economica privata. - Regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, art. 216, ultimo comma. - Costituzione, artt. 3, primo comma, 4, 27, comma terzo, e 41.(GU n.19 del 4-5-2011 )
LA CORTE D'APPELLO Premesso che innanzi a questa Corte pende procedimento penale a carico di: 1) Fabbro Edi, nato a Pavia di Udine (Udine) il 2 marzo 1946, 2) Fabbro Bruno, nato a Pavia di Udine (Udine) il 10 settembre 1949, 3) Fabbro Barbara, nata a Palmanova (Udine) il 5 marzo 1973, 4) Fabbro Cristian, nato a Pavia di Udine (Udine) il 31 agosto 1971 per i seguenti reati Tutti (Franco Maurizio - giudicato separatamente con sentenza n. 179/08 dd. 19/3/2008 Gup del Tribunale di Udine) del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale p. e p. dagli artt. 110 e 40, comma 2, c.p. e dagli artt. 216, comma 1 n. 1, 223, comma 1, e 219 regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (l. Fall.), per avere, in concorso tra loro, quali componenti del consiglio di amministrazione, e quindi amministratori della societa' «COMPENSATI CURVI TRIVIGNANO Srl», con sede in Trivignano Udinese (Udine) ed avente per oggetto sociale la produzione di compensati curvi ed affini in legno e resine per mobili e loro parti; nonche' la produzione di sedie, mobili ed arredamenti in genere, legittimata all'esecuzione, in via non prevalente, delle operazioni immobiliari, mobiliari e finanziarie necessarie od utili al raggiungimento dell'oggetto sociale principale, dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Udine n. 30/2006 del 26 giugno 2006, distraevano dissipavano, ovvero non impedivano la distrazione e la dissipazione, di attivita' della societa' fallita nei termini ora precisati: 1. in contrasto con il dettato dello statuto della societa' e in assenza di alcun vantaggio per la stessa facevano «fuoriuscire» un ingente importo di numerario per complessivi € 205.318,46 per acquistare il 50% delle quote della societa' «Conubium Srl» (per € 7.500,00) e per la concessione di finanziamenti (per € 130.000 nel 2001; per 61.812,00 nel 2002 e per € 6.893,00 nel 2003) alla medesima societa', costituita nel febbraio 2001 a seguito scissione della fallita e alla quale veniva conferito il ramo d'azienda comprendente gli immobili siti in Comune di Pavia di Udine, nonche' i crediti e gli altri elementi dell'attivo, i debiti e gli altri elementi del passivo e della quale risultano essere soci gli stessi (Fabbro Edi, Fabbro Bruno e Franco Maurizio) della societa' scissa «Compensati Curvi Srl» e con le medesime quote di partecipazione; 2. prestavano, in nome e per conto della societa' fallita e senza alcun interesse della societa' stessa, una fidejussione di € 650.000,00, in data 13 maggio 2005 in favore della Banca di Credito Cooperativo, per le obbligazioni assunte con un mutuo ipotecario dalla «Conubium Srl» per la realizzazione di una unita' immobiliare ad uso casa di riposo che non appare in alcun modo collegata all'oggetto sociale principale, cosi' facendo assumere alla societa' una obbligazione di garanzia senza alcun corrispettivo; 3. acquistavano, senza necessita' e interesse della societa' fallita beni non aventi attinenza con l'attivita' sociale e comunque non utilizzati nell'esercizio dell'attivita' d'impresa (un autocaravan HIMER MOBIL, targato BG 047 LH, per un prezzo di € 49.3000,00 nel 2002; un trattorino ad uso agricolo con una consistente attrezzatura sempre a carattere agricolo per un valore di acquisto pari a 21.809,37), in tal modo dissipando attivita' sociali. Con l'aggravante di avere commesso piu' fatti di bancarotta fraudolenta. In Trivignano Udinese fino al fallimento della societa'. Con la recidiva per FABBRO Edi e FABBRO Kristian. A seguito di appello promosso avverso la sentenza del G.U.P. presso il Tribunale di Udine del 19 marzo 2008 con la quale, Letti gli artt. 438, 442, 530 c.p.p. si assolvevano tutti gli imputati in ordine al fatto distrattivo contestato sub 3) in riferimento all'autocaravan HIMER perche' il fatto non sussiste. Letti gli artt. 438 e segg. 533 e segg. c.p.p. si dichiaravano tutti gli imputati responsabili dei reati loro ascritti (ad eccezione del fatto-reato in precedenza indicato) e, concesse le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante e, per gli imputati Edi Fabbro e Kristian Fabbro anche sulla contestata recidiva, calcolata la diminuente del rito, li si condannava alla pena di anni due di reclusione. Visto l'art. 216, ultimo comma, legge fallimentare si disponeva l'inabilitazione di tutti gli imputati all'esercizio di un impresa commerciale per la durata di anni dieci e l'incapacita' di tutti gli imputati per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa. Si concedeva agli imputati il beneficio della sospensione condizionale della pena. Si condannava tutti gli imputati al pagamento delle spese processuali. Visto l'art. 539 c.p.p. si condannavano tutti gli imputati in solido al risarcimento del danno nei confronti della parte civile costituita, rimettendo le parti davanti al Giudice civile per la liquidazione del danno. Si condannava tutti gli imputati in solido al pagamento in favore della parte civile costituita di una provvisionale dell'importo di € 50.000,00. Visto l'art. 541 c.p.p. si condannava tutti gli imputati in solido al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile che si liquidavano in € 1.200,00 oltre ad accessori di legge. Premesso, ancora che all'udienza dibattimentale, il Difensore rinunziava, in limine, ai motivi d'appello diversi da quello afferente l'entita' della pena principale e delle conseguente pene accessorie di cui all'art. 216 ultimo comma l. fallimentare e che concludeva chiedendo la riduzione di entrambe le pene, principale ed accessorie. Premesso che il Procuratore Generale, chiedeva la riduzione della pena inflitta agli imputati, tenendo conto dell'intervenuto, seppur tardivo, risarcimento del danno nei confronti del fallimento gia' costituitosi parte civile, costituzione revocata in apertura d'udienza, a quella di anni uno e mesi sei di reclusione e la conferma delle ulteriori statuizioni dell'impugnata sentenza, fra cui, l'irrogazione delle pene accessorie anzidette per la durata di anni dieci; Premesso che questa Corte assumeva il processo in decisione; Ha pronunciato in Pubblica Udienza il 20 gennaio 2011 la seguente ordinanza. Osserva questa Corte come, esaminati i profili di responsabilita' degli imputati, particolarmente per quanto attiene all'elemento soggettivo del reato, la pena possa essere effettivamente ridotta come richiesto dalla Pubblica Accusa. Sia il fatto che la contestata bancarotta fraudolenta non sarebbe stata consumata con artifizi particolari - le condotte materiali risultavano in termini trasparenti dalle stesse scritture contabili tanto che, non a caso, non e' contestata una bancarotta documentale - oltre ad assumere la «distrazione» connotati del tutto peculiari, sia il fatto che gli imputati si sono adoperati, seppure tardivamente per meritare loro l'attenuante comune di cui all'art. 62 n. 6 c.p., per risarcire il danno, consentirebbero di ridurre la pena in misura significativa. Nel caso di specie, stante la invero ridotta gravita' dei fatti, le pene accessorie dovrebbero, secondo equita', del pari essere ridotte. Riguardo alle pene accessorie questa Corte rileva che il disposto dell'ultimo comma dell'art. 216 l. fall. nello stabilire la durata di tali pene in misura fissa (dieci anni) risulta insuperabile e non ne e' possibile una modulazione in relazione alla maggiore o minore gravita' del fatto. Tale conclusione si pone sulla linea tracciata da Cass. V, 18.2.2007 n. 39337; Cass. V, 18.2.2010 n. 17690. Prende atto la Corte dell'esistenza di giurisprudenza contraria - Cass. V, 31.3.2010 n. 23720 - che, tuttavia, pur prospettando esigenze di equita' e di conformita' a Costituzione, non pare poter essere seguita proprio a fronte dell'inderogabile previsione normativa significativamente diversa, anche sul piano letterale, da quella dell'art. 217 ultimo comma. Non puo' neppure pretermettersi che precedente giurisprudenza aveva ritenuto manifestamente infondata la questione di costituzionalita' degli artt. 20 e 29 c.p in relazione agli artt. 3, 25 e 27 Cost.. proprio in considerazione che il principio di adeguatezza della pena non era violato essendo la pena accessoria direttamente collegata a quella della pena principale irrogata (Cass. I, 17.11.1989 n. 3995). Si pone, ad avviso di questa Corte una questione di conformita' della richiamata norma dell'art. 216 ultimo comma R.D. 267/1942 ai principi costituzionali di eguaglianza (art. 3/I Cost.), di diritto al lavoro e di svolgere secondo le proprie possibilita' e la propria scelta un'attivita' o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della societa' (art. 4 Cost.), di finalita' rieducativa della pena (art. 27/III Cost.), di indirizzo a fini sociali e liberta' dell'iniziativa economica privata (art. 41 Cost.). Invero tale norma nel predeterminare in misura fissa la durata delle pene accessorie non tiene conto del fatto che tali pene accessorie, conseguono a comportamenti di gravita' assolutamente diversa. Anzitutto fra le varie condotte sussunte nella norma incriminatrice - bancarotta distrattiva, dissipativa, documentale, preferenziale - diverse fra loro sul piano oggettivo. Ancora: la predeterminazione in misura fissa di queste pene accessorie non tiene conto della gravita' in concreto dei fatti che consentono al giudice di determinare la pena principale in un ampio ambito che va da tre a dieci anni di reclusione riconoscendo implicitamente il legislatore che la fattispecie astratta puo' trovare applicazione a condotte anche di gravita' molto diversa. Lo spettro sanzionatorio si amplia ancor piu' - fermo restando le pene accessorie predeterminate nella durata - ove si consideri che si applicano indifferentemente alle ipotesi aggravate ed attenuate contemplate dall'art. 219 l. fallimentare. Non pare neppure, infine, che una pena fissa di tale durata - e che puo' prolungarsi ben oltre la durata della pena principale - sia conforme alle esigenze di rieducazione e reinserimento sociale del condannato anche quale membro economicamente attivo della societa' considerando che la pena accessoria non gli consente di svolgere alcuna attivita' imprenditoriale di produzione di beni o servizi ovvero commerciale anche come imprenditore individuale. Tale pena comprime significativamente nell'ambito del solo lavoro dipendente e non dirigenziale le attitudini lavorative del condannato per un tempo che puo' essere persino superiore di dieci volte la durata della pena principale inflitta. La questione appare, pertanto rilevante nel caso di specie, giacche', ove non predeterminate nella loro durata, le pene accessorie previste dall'art. 216 u.c. potrebbero essere significativamente ridotte, nella loro durata, rispetto a quella di dieci anni inflitta nella sentenza impugnata, e non manifestamente infondata.
P.Q.M. Letto l'art. 23, legge 87/1953: a) dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 216, ultimo comma regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nella parte in cui prevede che, per ogni ipotesi di condanna per i fatti di bancarotta previsti nei commi precedenti del medesimo articolo, si applichino le pene accessorie dell'inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale e dell'incapacita' ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata di dieci anni, con riferimento agli artt. 3, 4, 27/III, 41 della Costituzione; b) sospende il giudizio in corso; c) ordina che, a cura della Cancelleria gli atti siano trasmessi alla Corte Costituzionale; d) ordina che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Trieste, il 20 gennaio 2011 Il Presidente estensore: Reinotti