N. 147 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 marzo 2011
Ordinanza del 25 marzo 2011 emessa dalla Corte di cassazione nel procedimento penale a carico di Bodros Damian. Estradizione - Estradizione esecutiva per l'estero - Condannato, cittadino di un Paese membro dell'Unione Europea, residente o dimorante nel territorio italiano e ivi stabilmente inserito - Rifiuto della consegna qualora la corte di appello ritenga che la pena per la quale e' chiesta l'estradizione sia eseguita in Italia conformemente al diritto interno - Mancata previsione - Disparita' di trattamento rispetto a coloro che sono sottoposti al regime di consegna del mandato d'arresto europeo (non applicabile, ai sensi della disciplina transitoria della legge n. 69 del 2005, ai reati commessi, come nella specie, anteriormente all'entrata in vigore della legge) - Violazione del principio di ragionevolezza - Contrasto con il principio della finalita' rieducativa della pena - Lesione del diritto alla libera circolazione e al libero soggiorno negli Stati membri dell'Unione Europea. - Codice di procedura penale, art. 705; legge 22 aprile 2005, n. 69, art. 40. - Costituzione, artt. 3, 27, comma terzo, e 117, primo comma, in relazione agli artt. 18 e 20 del trattato TFUE.(GU n.28 del 29-6-2011 )
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da Bodros Damian, nato a Alexandru Ioan Cuza (Romania) l'8 maggio 1960, avverso la sentenza del 12 ottobre 2010 della Corte di appello di Roma; Visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; Udita la relazione svolta dal consigliere Ersilia Calvanese; Udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Giovanni Galati, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso. Considerato in fatto 1. - La Corte di appello di Roma, con sentenza del 12 ottobre 2010, ha dichiarato l'esistenza delle condizioni per raccoglimento della domanda di estradizione avanzata dal Governo di Romania nei confronti di Damian Bodros, per l'esecuzione della pena di anni due di reclusione, inflittagli con sentenza definitiva di condanna per il reato di truffa continuata, commessa nel 1999. 2. - Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione Damian Bodros, con cui denuncia: la violazione dell'art. 10 della Convenzione europea di estradizione del 1957, per intervenuta prescrizione; la violazione del Secondo Protocollo addizionale alla Convenzione europea di estradizione, trattandosi di richiesta fondata su una condanna, emessa all'esito di processo contumaciale del quale l'imputato non ha avuto conoscenza e in ordine al quale sono decorsi i termini per ottenere un nuovo giudizio di merito; la violazione della legge processuale, dovendo l'estradizione essere rifiutata per consentire l'esecuzione della pena nello Stato, in considerazione della sua documentata condizione di persona residente in Italia. Considerato in diritto 1. - Deve preliminarmente osservarsi che la consegna del Bodros alle autorita' rumene, in quanto relativa a reati commessi prima del 7 agosto 2002, e' regolata, in base a quanto prevede l'art. 40 della legge 22 aprile 2005, n. 69, dalle disposizioni vigenti in materia di estradizione anteriormente alla data di entrata in vigore della suddetta legge. Pertanto, la domanda di consegna in esame deve essere esaminata sulla base delle regole dettate dalla pertinente normativa pattizia (Convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957, e succ. mod., vigente tra le parti dal 9 dicembre 1997) e dalla normativa nazionale, integratrice della disciplina convenzionale. 2. - Cio' premesso, devono essere rigettate le censure contenute nei primi due motivi di ricorso. La pena inflitta dalle autorita' rumene non e' estinta, secondo quanto prescrive l'art. 172 cod. pen., essendo divenuta irrevocabile la sentenza di condanna in data 21 febbraio 2007. Il ricorrente inoltre non puo' invocare il particolare regime previsto dalla normativa estradizionale sopra citata (in particolare, l'art. 3, del Secondo Protocollo aggiuntivo alla Convenzione europea di estradizione) per le domande fondate su sentenze contumaciali, emesse in violazione dei diritti minimi della difesa, posto che, contrariamente al suo assunto, dagli atti risulta che costui ha avuto conoscenza del processo a suo carico, avendo personalmente appellato la sentenza di condanna emessa in prime cure. 3. - Quanto alla richiesta dell'estradando di poter scontare la pena in Italia, dove, ha stabilito la sua stabile residenza, deve preliminarmente rilevarsi che, dalla documentazione prodotta (iscrizione al registro delle imprese sin dal 2005, certificato di residenza a far data dal 2008, acquisto di un immobile nel 2007, dichiarazioni tributarie presentate dal 2008), risulta che li Bodros legittimamente ed effettivamente risiede nel territorio italiano. Deve essere pertanto verificato se detta richiesta possa aver ingresso nella fase giurisdizionale del procedimento di estradizione, che, come e' noto, e' limitata al controllo di legalita', ovvero alla verifica della sussistenza e della validita' delle condizioni che le norme statali ed internazionali pongono perche' l'estradizione sia concessa (Sez. 6, n. 3597 del 12 ottobre 1995, dep. 30 ottobre 1995, Venezia, Rv. 202664). A tale quesito questo Collegio ritiene di dare risposta negativa, in quanto ne' la disciplina pattizia applicabile, ne' le norme interne prevedono che, in presenza di una sentenza irrevocabile di condanna, emessa da uno Stato membro dell'Unione europea, per la cui esecuzione e' stata domandata l'estradizione, e di una situazione di fatto come quella esposta dall'estradando (effettiva e legittima residenza nello Stato di un cittadino dell'Unione europea), la corte di appello possa pronunciare sentenza contraria all'estradizione, al fine di dare esecuzione nello Stato alla pena inflitta all'estero (in tal senso, Sez. 6, n. 3897 del 22 gennaio 2010, dep. 28 gennaio 2010, P., Rv. 245812), analogamente a quanto stabilisce - nelle medesime circostanze di fatto - l'art. 18, lett. r), legge 22 aprile 2005, n. 69 in tema di mandato di arresto europeo. Ne' la lacuna appare poter essere superata in via interpretativa, dovendosi il giudice attenere, nella valutazione di legittimita' della domanda dello Stato estero, alle disposizioni di cui agli artt. 696, 698 e 705 cod. proc. pen., che non consentono in ogni caso, nella fase di delibazione della domanda di estradizione, che, al rifiuto dell'estradizione, consegua l'esecuzione nello Stato della pena per la cui esecuzione e' stata domandata l'estradizione. 4. - Questa Corte (Sez. VI, n. 5580 del 26 gennaio 2011, dep. 14 febbraio 2011, Stepanescu) ha di recente dichiarato rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento all'art. 3 Cost., art. 27 Cost., comma 3, art. 117, comma 1, Cost., la questione di costituzionalita' dell'art. 705 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede il rifiuto di consegna e la conseguente possibilita' di scontare la pena in Italia, del condannato, cittadino di un paese membro dell'Unione europea, residente o dimorante nel nostro territorio ed ivi stabilmente inserito, del quale sia stata richiesta l'estradizione. In particolare, la Corte ha osservato che, per effetto dell'individuazione temporale di vigenza della normativa del mandato di arresto europeo, si sia venuta a creare, in relazione ad una situazione di fatto analoga a quella in esame, una violazione dei diritti fondamentali, tra i quali il diritto alla risocializzazione nella esecuzione della pena, previsto dall'art. 27, comma 3, Cost., e di principi comunitari, in particolare quello di non discriminazione di cui all'art. 12 CE, di uniformita' di trattamento dei cittadini europei, previsto dall'art. 17 CE, e del diritto di stabilimento, riconosciuto dall'art. 18 CE, con realizzazione nel concreto di una difformita' di trattamento di situazioni analoghe, priva di ragionevolezza. 5. - L'irragionevolezza della scelta effettuata dal legislatore nel regolare l'applicazione ratione temporis della nuova disciplina del mandato di arresto europeo appare evidente sia in relazione alla ratio di «garanzia» che aveva ispirato la normativa transitoria sia dall'esame dell'ipotesi di rifiuto, disciplinata dall'art. 18, comma 1, lett. r), legge 22 aprile 2005, n. 69. La disciplina intertemporale contenuta nell'art. 40 della legge ora citata costituisce attuazione interna della dichiarazione presentata dal Governo italiano al Segretariato generale dell'Unione europea, ai sensi dell'art. 32 della decisione quadro del 13 giugno 2002, n. 2002/584/GAI (cfr., la Relazione illustrativa del disegno di legge Atto C/4246). La norma da ultimo citata riconosce agli Stati membri la facolta' di dichiarare di continuare a trattare, in qualita' di Stato dell'esecuzione della consegna, le richieste ricevute a partire dal primo gennaio 2004 e relative a reati commessi prima di una data da esso precisata - e comunque non posteriore al 7 agosto 2002 (data di entrata in vigore della decisione quadro) - conformemente al sistema di estradizione applicabile anteriormente al primo gennaio 2004. La normativa transitoria consente pertanto agli Stati membri, che si sono avvalsi di detta facolta', di non applicare il nuovo regime di consegna, avendo riguardo, oltre che al momento della presentazione della domanda - come di norma prevedono tutte le convenzioni di cooperazione giudiziaria, in ossequio al tradizionale principio del tempus regie actum (cfr., ex plurimis, il Rapport explicatif alla Convenzione europea di estradizione del 12 dicembre 1957, Annex, punto 2; l'art. 18, par. 5 della Convenzione relativa all'estradizione tra gli Stati membri dell'Unione europea del 1996) - anche al momento della commissione del reato per il quale la domanda e' avanzata. 6. - Per comprendere la ratio della disposizione transitoria contenuta nella decisione quadro, e' necessario brevemente ripercorrere, conformemente ai criteri interpretativi indicati dall'art. 32 della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati, i lavori preparatori che hanno portato all'approvazione del testo finale. Il progetto di decisione quadro, presentato dalla Commissione europea, prevedeva (art. 51 - Disposizione transitoria) che gli strumenti giuridici previgenti continuassero ad applicarsi «alle richieste di estradizione presentate prima dell'entrata in vigore delle misure necessarie a conformarsi alla presente decisione quadro» (cfr. doc. Copen 51 del 24 settembre 2001). La proposta di far riferimento anche al tempus commissi delicti per l'applicazione della nuova disciplina era stata avanzata dalla delegazione italiana, contestualmente ad una proposta alternativa e una riserva al testo del provvedimento, con riferimento all'eliminazione del controllo sulla c.d. «doppia incriminabilita'» (cfr. doc. Copen 79 del 4 dicembre 2001). Come e' noto, il Governo italiano aveva manifestato per tutta la durata del negoziato a Bruxelles la difficolta' di accettare la soppressione di questo tradizionale presupposto della estradizione, ipotizzandone la frizione con il principio di legalita', dettato dall'art. 25 Cost., sulla base anche di un autorevole parere formulato da due illustri costituzionalisti. E' significativo che, all'esito dei compromesso finale raggiunto dalla Presidenza dell'U.E. con la delegazione italiana per l'approvazione della decisione quadro, quest'ultima abbia fatto inserire nel verbale del Consiglio una dichiarazione che, da un lato, impegnava il Governo italiano all'avvio delle procedure di diritto interno per rendere la decisione quadro stessa «compatibile con i principi supremi dell'ordinamento costituzionale in tema di diritti fondamentali, e per avvicinare il sistema giudiziario ed ordinamentale italiano ai modelli europei, nel rispetto dei principi costituzionali», e, dall'altro, stabiliva che l'Italia avrebbe continuato a trattare in conformita' delle norme vigenti in materia di estradizione tutte le richieste relative a reati commessi prima della data di entrata in vigore della decisione quadro (cfr. doc. Copen 12 del 7 giugno 2002). Questo breve excursus dimostra come l'esigenza di ancorare l'applicazione della disciplina del mandato arresto europeo ai fatti commessi dopo la data dell'entrata in vigore della decisione quadro sia derivata principalmente da un approccio «sostanzialista» - che ha poi caratterizzato l'intero dibattito parlamentare in Italia per l'approvazione della legge 22 aprile 2005, n. 69 (cfr. il Parere del 29 ottobre 2003 della prima Commissione permanente della Camera dei deputati; la Relazione illustrativa, Camera, Aula, seduta del 19 aprile 2004, nella quale viene piu' evocata la «riduzione delle garanzie» derivante dalla attuazione della decisione quadro e la necessita' di tutelare il «principio di non retroattivita'») - volto a conferire all'istituto della consegna natura di diritto sostanziale, oltre che squisitamente processuale. La trasposizione interna della disciplina transitoria della decisione quadro appare ulteriormente confermare la preoccupazione del legislatore italiano di salvaguardare anche in subiecta materia il principio di non retroattivita' delle norme penali o del trattamento penale piu' sfavorevole, di cui all'art. 25 Cost. (cfr. artt. 3, comma 1, e 40, comma 3, della legge attuativa). Deve, peraltro, rammentarsi la diversa interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, che ha affermato la natura processuale dell'istituto del mandato di arresto europeo, derivante dalla natura meramente «strumentale» della carcerazione imposta alla persona richiesta, in vista della sua traditio allo Stato richiedente, escludendo possibili frizioni con il principio di legalita' di cui all'art. 7 della CEDU, anche sotto il profilo della applicazione retroattiva della nuova normativa (cfr., in particolare, Corte di giustizia, 12 agosto 2008, Santesteban Goicoechea, § 80). 7. - Orbene, se la finalita' perseguita dal legislatore italiano, nel disciplinare il passaggio dalla vecchia alla nuova disciplina e nel dettare norme transitorie volte ad escludere l'applicabilita' delle nuove norme ai reati commessi prima della data di entrata in vigore delle norme sopravvenute, era quella di evitare l'applicazione retroattiva di un regime di consegna considerato «meno favorevole» per la persona richiesta, ne e' derivato invece che sono state irragionevolmente precluse ad essa le garanzie previste dalla legge attuativa. La trasposizione della decisione quadro sul piano interno, come e' noto, ha infatti per molti versi accresciuto le garanzie a favore della persona richiesta previste dal regime estradizionale, sia reintroducendo poteri di controllo che il legislatore europeo aveva eliminato, sia stabilendo ulteriori parametri di legalita' della consegna, non previsti dalla normativa previgente e talvolta neppure dalla stessa decisione quadro. In particolare, innovativa, rispetto alla normativa interna applicabile in tema di estrazione, e' la scelta della legge attuativa di prevedere il potere-dovere di rifiuto di cui all'art. 18, comma 1, lett. r) della legge 22 aprile 2005, n. 69, che consente alla persona richiesta di poter eseguire nello Stato di cittadinanza o di residenza la pena detentiva cui e' stata condannata. Peraltro, l'ipotesi di rifiuto a cui si ricollega la suddetta norma (segnatamente, l'art. 4, par. 6 della decisione quadro) non costituisce di per se' una novita' del nuovo regime di cooperazione instaurato tra i Paesi membri dell'U.E., bensi' e' espressione di un potere gia' previsto dalla disciplina convenzionale del 1957 (art. 6), che tuttavia non aveva trovato sul piano interno alcuna attuazione in termini obbligatori (cfr., tra le tante, Sez. 6, n. 36276 dell'11 ottobre 2006, dep. 31 ottobre 2006, Volo, Rv. 235436). L'abbandono del sistema estradizionale doveva in linea di principio comportare - per il mutato clima di reciproca fiducia esistente tra gli Stati membri - la soppressione o comunque il decisivo contenimento di quei tradizionali poteri di rifiuto della cooperazione, funzionali alla «protezione» dell'individuo ricercato nei confronti dell'esercizio da parte di altri Stati della giurisdizione penale (quali, in particolare, il presupposto della c.d. «previsione bilaterale» del fatto, il divieto dell'estradizione per il delitto politico, la prescrizione, ecc.). Tra questi, nondimeno, gli Stati membri hanno ritenuto di mantenere ferma l'ipotesi del rifiuto della consegna del cittadino, di cui all'art. 6 della Convenzione europea del 1957, in considerazione della difficolta' di molti di essi ad accettarne la totale soppressione per la previsione espressa nelle Costituzioni nazionali del divieto dell'estradizione del cittadino. Il compromesso raggiunto dalla decisione quadro (art. 4, par. 6) consentiva agli Stati membri di conservare tale tradizionale facolta' di rifiuto - parificando in essa, in virtu' degli artt. 12 e 17 CE (attualmente artt. 18 e 20 del TFUE), la posizione del cittadino a quello del cittadino di altro Paese membro dell'Unione europea residente o dimorante nello Stato richiesto -, condizionandone tuttavia l'esercizio - in caso di consegna c.d. esecutiva - all'assunzione dell'obbligo da parte dello Stato richiesto di mettere in esecuzione la sentenza definitiva emessa dallo Stato richiedente (aut dedere aut punire). Questa soluzione, che costituiva un passo in avanti rispetto al regime estradizionale, nel quale al rifiuto della consegna si poneva quale contraltare soltanto il mero impegno dello Stato richiesto di sottoporre il caso alle proprie autorita' giudiziarie, in vista della eventuale instaurazione (ex novo) di un procedimento penale nei confronti del cittadino (aut dedere aut iudicare), era stata resa possibile dal radicale cambiamento di prospettiva della cooperazione giudiziaria derivante dalla «libera circolazione» delle decisioni penali, in conseguenza dell'applicazione tra gli Stati dell'Unione europea del principio del reciproco riconoscimento, pietra miliare dello sviluppo dello spazio europeo di liberta', sicurezza e giustizia, indicata dal vertice di Tampere del 15-16 ottobre 1999. Prospettiva che consentiva di giustificare il rifiuto della consegna del cittadino non piu', come in passato, con la maggiore tutela da apprestare al connazionale a fronte delle interferenze derivanti dall'esercizio dell'altrui giurisdizione, bensi' con l'esigenza di accordare «una particolare importanza alla possibilita' di accrescere le opportunita' di reinserimento sociale della persona ricercata, una volta scontata la pena cui essa e' stata condannata» (in tal senso, Corte giustizia, 6 ottobre 2009, Wolzenburg; cfr. anche l'art. 33 della versione originaria della proposta di decisione quadro, che prevedeva espressamente «il principio del reinserimento»). Ed e' proprio questo diverso atteggiarsi del rifiuto della consegna del cittadino che sembra conferire razionalita' alla scelta del legislatore italiano di recepire come motivo di rifiuto obbligatorio (alt. 18, lett. r), legge 22 aprile 2005, n. 69) l'ipotesi di cui all'art. 4, par. 6 della decisione quadro, visto che lo Stato italiano era stato uno dei pochissimi Paesi aderenti alla Convenzione europea del 1957 che non aveva avanzato alcun veto alla estradizione del proprio cittadino. L'applicazione del principio del reciproco riconoscimento dei «giudicati» nell'ambito dell'Unione europea e della loro conseguente «libera circolazione», che trovava un primo recepimento nella decisione quadro sul mandato di arresto europeo, consentiva, infatti, rispetto al passato, di attuare nel nostro ordinamento il corretto bilanciamento tra esigenze costituzionali potenzialmente in conflitto: da un lato, la funzione espressamente consacrata dalla Costituzione nel contesto dell'istituto della pena di salvaguardare le esigenze di risocializzazione del reo, che ha maggiori possibilita' di successo, se effettuata all'interno della comunita' di appartenenza (Corte cost., sent. n. 313 del 1990); dall'altro, l'interesse pubblico alla repressione dei reati, la cui effettivita' deve essere garantita anche attraverso la cooperazione giudiziaria penale, evitando che il rifiuto della consegna comporti la dispersione delle attivita' processuali gia' compiute nello Stato richiedente (cfr. Sez. 1, n. 3574 del 3 novembre 1986, dep. 3 febbraio 1987, Richter, Rv. 174987). 8. - Fatte queste necessarie premesse, appare evidente che la disciplina transitoria dettata dall'art. 40 della legge attuativa, disponendo che le domande di consegna relative a reati commessi prima del 7 agosto 2002 siano trattate secondo la previgente disciplina estradizionale, ha irragionevolmente riservato alla persona richiesta da uno Stato dell'Unione europea un trattamento irragionevolmente deteriore rispetto a coloro che sono sottoposti al regime di consegna del mandato di arresto europeo, escludendo in particolare che sia rifiutata la estradizione del cittadino italiano e del cittadino di uno Stato dell'U.E., radicato in Italia, al fine di consentire l'esecuzione della pena detentiva nello Stato, ancorche' la relativa sentenza di condanna sia divenuta esecutiva dopo la entrata in vigore della decisione quadro del 2002. Circostanza quest'ultima, che doveva conferire alla sentenza di condanna emessa da uno Stato dell'U.E. quella «riconoscibilita'» in ambito europeo, ai fini della sua esecuzione nello Stato richiesto, e consentiva al legislatore di attuare, come si e' detto in precedenza, un equilibrato bilanciamento tra i valori costituzionali in gioco. In altri termini, appare irragionevole che il legislatore italiano, nello stabilire il regime transitorio per l'applicazione della normativa sul mandato di arresto europeo, non abbia dettato disposizioni interne, analoghe a quelle previste dall'art. 18, comma 1, lett. r), legge 22 aprile 2005, n. 69, anche per l'ipotesi di estradizione del cittadino e del cittadino di uno Stato dell'U.E., fondata su un titolo divenuto esecutivo dopo la entrata in vigore della decisione quadro del 2002, e proprio in relazione a situazioni in cui il decorso di un congruo periodo temporale dall'epoca del commesso reato rendeva in fatto ancor piu' probabile la recisione dei legami con il proprio paese d'origine e piu' radicata la presenza nel territorio straniero intervenuta medio termine. La lacuna venutasi a creare nel regime estradizionale non consente pertanto all'autorita' giudiziaria italiana di valutare, nell'ambito della procedura, l'esigenza rappresentata dalla persona richiesta che la traditio non vanifichi la finalita' rieducativa e di risocializzazione, espressamente consacrata dalla Costituzione nel contesto dell'istituto della pena e da molteplici strumenti internazionali (in particolare, la Raccomandazione n. R 87/3 del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa sulle regole penitenziarie europee, adottata il 12 febbraio 1987 e sostituita dalla raccomandazione Rec. n. 2006/2, adottata l'11 gennaio 2006; la Risoluzione del Parlamento europeo sul rispetto dei diritti dell'uomo nell'Unione europea, A4-0468/98; Standard Minimum Rules for the Treatment of Prisoners, adottate dalle Nazioni Unite il 30 agosto 1955), con la recisione dei legami del condannato con il luogo in cui mantiene stabili legami familiari, linguistici, culturali, sociali o economici. Legami che il cittadino dell'Unione europea ha legittimamente creato nello Stato di residenza, esercitando il suo diritto alla libera circolazione e al libero soggiorno negli Stati membri, garantito dall'art. 18 TFUE. La predetta finalita' rieducativa e di risocializzazione risulta invece affidata, nella procedura estradizionale, limitatamente al cittadino italiano, alla sola valutazione discrezionale - non vincolata o comunque indirizzata da criteri o parametri normativi - del Ministro della giustizia di rifiutare la consegna estradizionale (tra le tante, Sez. 6, n. 36276 dell'11 ottobre 2006, dep. 31 ottobre 2006, Volo, Rv. 235436; Sez. 5, n. 2133 del 10 dicembre 1985, dep. 13 gennaio 1986, Bernardini, Rv. 171526); mentre non riceve alcuna tutela nel caso del cittadino dell'U.E. che, nella medesima situazione del Bodros, ha esercitato il suo diritto alla libera circolazione e al libero soggiorno negli Stati membri, garantito dall'art. 18 TFUE, trasferendo in Italia il centro dei suoi interessi economici, affettivi, familiari e sociali (l'Italia, a differenza di altri Stati, non ha effettuato alcuna dichiarazione, ai sensi dell'art. 6, primo par., della Convenzione europea di estradizione del 1957, per ricomprendere il residente nella nozione di «cittadino»). 9. - Conclusivamente deve ritenersi che, per effetto del quadro normativo sopra descritto, si sia creata una disparita' di trattamento con situazioni analoghe, rilevante ai sensi dell'art. 3 Cost., priva di ragionevole giustificazione, in quanto viene preclusa, nonostante la «riconoscibilita'» del titolo esecutivo, al cittadino italiano e al cittadino di uno Stato dell'U.E., la cui consegna e' regolata dalla normativa estradizionale, richiamata dall'art. 40 cit., la possibilita' di ottenere una decisione contraria alla loro estradizione, al fine di scontare la pena privativa della liberta' personale nello Stato di cittadinanza o di residenza, e di accrescere pertanto le opportunita' del loro reinserimento sociale. Da tale situazione discende infatti che il Bodros, che ha esercitato, in quanto cittadino dell'Unione europea, il suo diritto alla libera circolazione e al libero soggiorno negli Stati membri, garantito dall'art. 18 TFUE, trasferendo in Italia il centro dei suoi interessi economici, affettivi, familiari e sociali, e la cui condanna e' divenuta esecutiva in data 21 febbraio 2007, deve essere sottoposto ad una procedura di consegna che non gli consente di soddisfare le esigenze di risocializzazione, in contrasto con la finalita' necessariamente rieducativa della pena, tutelata dall'art. 27, comma 3, Cost. e dagli strumenti internazionali sopra citati, e con le liberta' riconosciute dal Trattato dell'Unione europea e garantite dagli artt. 11 e 117 Cost. a qualsiasi cittadino di uno Stato membro di circolare e di soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri. 10. - Si ritiene, conseguentemente necessario, al fine del decidere, sollevare d'ufficio, in riferimento agli articoli 3, 27, terzo comma, 11 e 117, primo comma, della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 40 della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri) e dell'art. 705 cod. proc. pen. nella parte in cui non prevedono, in una situazione analoga a quella richiamata dall'art. 18, lett. r), legge 22 aprile 2005, n. 69, che la corte di appello - in relazione ad una domanda di estradizione presentata dopo il 14 maggio 2005 da uno Stato membro dell'Unione europea, sulla base di una sentenza di condanna, divenuta esecutiva dopo il 1° gennaio 2004, ad una pena privativa della liberta' personale, per un reato commesso prima del 7 agosto 2002 - pronunci sentenza contraria alla estradizione di un cittadino di un Stato membro dell'Unione europea, che legittimamente ed effettivamente abbia la residenza o la dimora nel territorio italiano, quando ritenga che tale pena sia eseguita in Italia conformemente al diritto interno. A norma degli artt. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 1 della legge Costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, deve dichiararsi la sospensione del giudizio e disporsi l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. La cancelleria provvedera' alla notifica di copia della presente ordinanza alle parti e al Presidente del Consiglio dei ministri e alla comunicazione della stessa ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento all'art. 3 Cost., art. 27, comma 3, Cost., art. 117, comma 1, Cost., la questione di costituzionalita' dell'art. 705 cod. proc. pen. e dell'art. 40 della legge 22 aprile 2005, n. 69, nella parte in cui non prevedono, in relazione ad una domanda di estradizione presentata da uno Stato membro dell'Unione europea, il rifiuto di consegna del condannato, cittadino di uno Stato membro dell'Unione europea, residente o dimorante nel nostro territorio ed ivi stabilmente inserito, quando ritenga che la pena per la quale e' chiesta l'estradizione sia eseguita in Italia conformemente al diritto interno. Sospende il giudizio e dispone che, a cura della cancelleria, gli atti siano trasmessi alla Corte costituzionale, sia notificata la presente ordinanza alle parti in causa ed al Pubblico ministero, al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso il 18 febbraio 2011. Il presidente: Agro' Il consigliere estensore: Calvanese