N. 147 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 marzo 2011

Ordinanza del 25 marzo 2011 emessa  dalla  Corte  di  cassazione  nel
procedimento penale a carico di Bodros Damian. 
 
Estradizione - Estradizione  esecutiva  per  l'estero  -  Condannato,
  cittadino di un  Paese  membro  dell'Unione  Europea,  residente  o
  dimorante nel territorio italiano  e  ivi  stabilmente  inserito  -
  Rifiuto della consegna qualora la corte di appello ritenga  che  la
  pena per la quale e' chiesta l'estradizione sia eseguita in  Italia
  conformemente al diritto interno - Mancata previsione -  Disparita'
  di trattamento rispetto a coloro che sono sottoposti al  regime  di
  consegna del mandato d'arresto europeo (non applicabile,  ai  sensi
  della disciplina transitoria della legge n. 69 del 2005,  ai  reati
  commessi, come nella specie, anteriormente  all'entrata  in  vigore
  della  legge)  -  Violazione  del  principio  di  ragionevolezza  -
  Contrasto con il principio della finalita' rieducativa della pena -
  Lesione del diritto alla libera circolazione e al libero  soggiorno
  negli Stati membri dell'Unione Europea. 
- Codice di procedura penale, art. 705; legge 22 aprile 2005, n.  69,
  art. 40. 
- Costituzione, artt. 3, 27, comma terzo,  e  117,  primo  comma,  in
  relazione agli artt. 18 e 20 del trattato TFUE. 
(GU n.28 del 29-6-2011 )
 
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
 
    Ha pronunciato la seguente  ordinanza  sul  ricorso  proposto  da
Bodros Damian, nato a Alexandru Ioan Cuza (Romania) l'8 maggio  1960,
avverso la sentenza del 12 ottobre 2010 della  Corte  di  appello  di
Roma; 
    Visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; 
    Udita la relazione svolta dal consigliere Ersilia Calvanese; 
    Udite  le  richieste  del  Pubblico  Ministero,  in  persona  del
Sostituto Procuratore  generale  Giovanni  Galati,  che  ha  concluso
chiedendo il rigetto del ricorso. 
 
                        Considerato in fatto 
 
    1. - La Corte di appello di Roma, con  sentenza  del  12  ottobre
2010, ha dichiarato l'esistenza delle  condizioni  per  raccoglimento
della domanda di estradizione avanzata dal  Governo  di  Romania  nei
confronti di Damian Bodros, per l'esecuzione della pena di  anni  due
di reclusione, inflittagli con sentenza definitiva di condanna per il
reato di truffa continuata, commessa nel 1999. 
    2. -  Avverso  la  suddetta  sentenza  ha  proposto  ricorso  per
cassazione Damian Bodros, con cui denuncia: 
        la violazione  dell'art.  10  della  Convenzione  europea  di
estradizione del 1957, per intervenuta prescrizione; 
        la  violazione  del  Secondo  Protocollo   addizionale   alla
Convenzione europea di estradizione, trattandosi di richiesta fondata
su una condanna, emessa all'esito di processo contumaciale del  quale
l'imputato non ha avuto conoscenza e in ordine al quale sono  decorsi
i termini per ottenere un nuovo giudizio di merito; 
        la violazione della legge processuale, dovendo l'estradizione
essere rifiutata per consentire l'esecuzione della pena nello  Stato,
in  considerazione  della  sua  documentata  condizione  di   persona
residente in Italia. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Deve preliminarmente osservarsi che la consegna  del  Bodros
alle autorita' rumene, in quanto relativa a reati commessi prima  del
7 agosto 2002, e' regolata, in base a quanto prevede l'art. 40  della
legge 22 aprile 2005, n. 69, dalle disposizioni vigenti in materia di
estradizione anteriormente alla  data  di  entrata  in  vigore  della
suddetta legge. 
    Pertanto, la domanda di consegna in esame deve  essere  esaminata
sulla base delle regole dettate dalla pertinente  normativa  pattizia
(Convenzione europea di estradizione del 13 dicembre  1957,  e  succ.
mod., vigente tra le parti dal 9 dicembre  1997)  e  dalla  normativa
nazionale, integratrice della disciplina convenzionale. 
    2. - Cio' premesso, devono essere rigettate le censure  contenute
nei primi due motivi di ricorso. 
    La pena inflitta dalle autorita' rumene non e'  estinta,  secondo
quanto prescrive l'art. 172 cod. pen., essendo divenuta  irrevocabile
la sentenza di condanna in data 21 febbraio 2007. 
    Il ricorrente inoltre non puo'  invocare  il  particolare  regime
previsto dalla normativa estradizionale sopra citata (in particolare,
l'art. 3, del Secondo Protocollo aggiuntivo alla Convenzione  europea
di estradizione) per le domande  fondate  su  sentenze  contumaciali,
emesse in violazione dei diritti  minimi  della  difesa,  posto  che,
contrariamente al suo assunto, dagli atti risulta che costui ha avuto
conoscenza del processo a suo carico, avendo personalmente  appellato
la sentenza di condanna emessa in prime cure. 
    3. - Quanto alla richiesta dell'estradando di poter  scontare  la
pena in Italia, dove, ha stabilito la  sua  stabile  residenza,  deve
preliminarmente  rilevarsi   che,   dalla   documentazione   prodotta
(iscrizione al registro delle imprese sin dal  2005,  certificato  di
residenza a far data dal 2008, acquisto  di  un  immobile  nel  2007,
dichiarazioni tributarie presentate dal 2008), risulta che li  Bodros
legittimamente ed effettivamente risiede nel territorio italiano. 
    Deve essere pertanto verificato se  detta  richiesta  possa  aver
ingresso nella fase giurisdizionale del procedimento di estradizione,
che, come e' noto, e' limitata al controllo di legalita', ovvero alla
verifica della sussistenza e della validita' delle condizioni che  le
norme statali ed internazionali pongono  perche'  l'estradizione  sia
concessa (Sez. 6, n. 3597 del 12 ottobre 1995, dep. 30 ottobre  1995,
Venezia, Rv. 202664). 
    A tale quesito questo Collegio ritiene di dare risposta negativa,
in quanto ne'  la  disciplina  pattizia  applicabile,  ne'  le  norme
interne prevedono che, in presenza di una  sentenza  irrevocabile  di
condanna, emessa da uno Stato membro dell'Unione europea, per la  cui
esecuzione e' stata domandata l'estradizione, e di una situazione  di
fatto come quella  esposta  dall'estradando  (effettiva  e  legittima
residenza nello Stato di un cittadino dell'Unione europea), la  corte
di appello possa pronunciare sentenza contraria all'estradizione,  al
fine di dare esecuzione nello Stato alla pena inflitta all'estero (in
tal senso, Sez. 6, n. 3897 del 22 gennaio 2010, dep. 28 gennaio 2010,
P., Rv. 245812), analogamente a quanto stabilisce  -  nelle  medesime
circostanze di fatto - l'art. 18, lett. r), legge 22 aprile 2005,  n.
69 in tema di mandato di arresto europeo. 
    Ne' la lacuna appare poter essere superata in via interpretativa,
dovendosi il giudice  attenere,  nella  valutazione  di  legittimita'
della domanda dello Stato estero, alle disposizioni di cui agli artt.
696, 698 e 705 cod. proc. pen., che  non  consentono  in  ogni  caso,
nella fase di delibazione della  domanda  di  estradizione,  che,  al
rifiuto dell'estradizione, consegua l'esecuzione  nello  Stato  della
pena per la cui esecuzione e' stata domandata l'estradizione. 
    4. - Questa Corte (Sez. VI, n. 5580 del 26 gennaio 2011, dep.  14
febbraio 2011, Stepanescu) ha di recente dichiarato rilevante  e  non
manifestamente infondata, in riferimento all'art. 3  Cost.,  art.  27
Cost.,  comma  3,  art.  117,  comma  1,  Cost.,  la   questione   di
costituzionalita' dell'art. 705 cod. proc. pen., nella parte  in  cui
non prevede il rifiuto di consegna e la conseguente  possibilita'  di
scontare la pena in Italia, del condannato,  cittadino  di  un  paese
membro  dell'Unione  europea,  residente  o  dimorante   nel   nostro
territorio ed ivi stabilmente inserito, del quale sia stata richiesta
l'estradizione. In  particolare,  la  Corte  ha  osservato  che,  per
effetto dell'individuazione temporale di vigenza della normativa  del
mandato di arresto europeo, si sia venuta a creare, in  relazione  ad
una situazione di fatto analoga a quella in esame, una violazione dei
diritti fondamentali, tra i quali il diritto  alla  risocializzazione
nella esecuzione della pena, previsto dall'art. 27, comma 3, Cost., e
di principi comunitari, in particolare quello di non  discriminazione
di cui all'art. 12 CE, di uniformita' di  trattamento  dei  cittadini
europei, previsto dall'art. 17 CE, e  del  diritto  di  stabilimento,
riconosciuto dall'art. 18 CE, con realizzazione nel concreto  di  una
difformita'  di  trattamento  di  situazioni   analoghe,   priva   di
ragionevolezza. 
    5. - L'irragionevolezza della scelta effettuata  dal  legislatore
nel regolare l'applicazione ratione temporis della  nuova  disciplina
del mandato di arresto europeo appare evidente sia in relazione  alla
ratio di «garanzia» che aveva ispirato la normativa  transitoria  sia
dall'esame dell'ipotesi di rifiuto, disciplinata dall'art. 18,  comma
1, lett. r), legge 22 aprile 2005, n. 69. 
    La disciplina intertemporale contenuta nell'art. 40  della  legge
ora  citata  costituisce  attuazione  interna   della   dichiarazione
presentata dal Governo italiano al Segretariato generale  dell'Unione
europea, ai sensi dell'art. 32 della decisione quadro del  13  giugno
2002, n. 2002/584/GAI (cfr., la Relazione illustrativa del disegno di
legge Atto C/4246). 
    La norma da ultimo citata riconosce agli Stati membri la facolta'
di  dichiarare  di  continuare  a  trattare,  in  qualita'  di  Stato
dell'esecuzione della consegna, le richieste ricevute a  partire  dal
primo gennaio 2004 e relative a reati commessi prima di una  data  da
esso precisata - e comunque non posteriore al 7 agosto 2002 (data  di
entrata in vigore della decisione quadro) - conformemente al  sistema
di estradizione applicabile anteriormente al primo gennaio 2004. 
    La normativa transitoria consente pertanto agli Stati membri, che
si sono avvalsi di detta facolta', di non applicare il  nuovo  regime
di  consegna,  avendo  riguardo,   oltre   che   al   momento   della
presentazione della domanda  -  come  di  norma  prevedono  tutte  le
convenzioni di cooperazione giudiziaria, in ossequio al  tradizionale
principio del tempus regie  actum  (cfr.,  ex  plurimis,  il  Rapport
explicatif alla Convenzione europea di estradizione del  12  dicembre
1957, Annex, punto 2; l'art. 18, par. 5  della  Convenzione  relativa
all'estradizione tra gli Stati membri dell'Unione europea del 1996) -
anche al momento della commissione del reato per il quale la  domanda
e' avanzata. 
    6. - Per comprendere  la  ratio  della  disposizione  transitoria
contenuta  nella   decisione   quadro,   e'   necessario   brevemente
ripercorrere,  conformemente  ai  criteri   interpretativi   indicati
dall'art. 32 della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati,  i
lavori preparatori  che  hanno  portato  all'approvazione  del  testo
finale. 
    Il progetto di decisione  quadro,  presentato  dalla  Commissione
europea, prevedeva (art.  51  -  Disposizione  transitoria)  che  gli
strumenti giuridici  previgenti  continuassero  ad  applicarsi  «alle
richieste di estradizione presentate  prima  dell'entrata  in  vigore
delle misure necessarie a conformarsi alla presente decisione quadro»
(cfr. doc. Copen 51 del 24 settembre 2001). 
    La proposta di far riferimento anche al tempus  commissi  delicti
per l'applicazione della nuova disciplina era  stata  avanzata  dalla
delegazione italiana, contestualmente ad una proposta  alternativa  e
una   riserva   al   testo   del   provvedimento,   con   riferimento
all'eliminazione del controllo sulla c.d.  «doppia  incriminabilita'»
(cfr. doc. Copen 79 del 4 dicembre 2001). 
    Come e' noto, il Governo italiano aveva manifestato per tutta  la
durata del negoziato a  Bruxelles  la  difficolta'  di  accettare  la
soppressione di questo tradizionale presupposto  della  estradizione,
ipotizzandone la frizione con  il  principio  di  legalita',  dettato
dall'art.  25  Cost.,  sulla  base  anche  di  un  autorevole  parere
formulato da due illustri costituzionalisti. 
    E' significativo che, all'esito dei compromesso finale  raggiunto
dalla  Presidenza  dell'U.E.  con   la   delegazione   italiana   per
l'approvazione  della  decisione  quadro,  quest'ultima  abbia  fatto
inserire nel verbale del Consiglio una dichiarazione che, da un lato,
impegnava il Governo italiano all'avvio delle  procedure  di  diritto
interno per rendere la decisione quadro  stessa  «compatibile  con  i
principi supremi dell'ordinamento costituzionale in tema  di  diritti
fondamentali,  e   per   avvicinare   il   sistema   giudiziario   ed
ordinamentale italiano ai modelli europei, nel rispetto dei  principi
costituzionali»,  e,  dall'altro,  stabiliva  che  l'Italia   avrebbe
continuato a trattare in conformita' delle norme vigenti  in  materia
di estradizione tutte le richieste relative a  reati  commessi  prima
della data di entrata in vigore della  decisione  quadro  (cfr.  doc.
Copen 12 del 7 giugno 2002). 
    Questo  breve  excursus  dimostra  come  l'esigenza  di  ancorare
l'applicazione della disciplina del mandato arresto europeo ai  fatti
commessi dopo la data dell'entrata in vigore della  decisione  quadro
sia derivata principalmente da un approccio «sostanzialista» - che ha
poi caratterizzato l'intero  dibattito  parlamentare  in  Italia  per
l'approvazione della legge 22 aprile 2005, n. 69 (cfr. il Parere  del
29 ottobre 2003 della prima Commissione permanente della  Camera  dei
deputati; la Relazione illustrativa,  Camera,  Aula,  seduta  del  19
aprile 2004, nella quale  viene  piu'  evocata  la  «riduzione  delle
garanzie» derivante dalla attuazione  della  decisione  quadro  e  la
necessita' di tutelare il «principio di non retroattivita'») -  volto
a  conferire  all'istituto   della   consegna   natura   di   diritto
sostanziale, oltre che squisitamente processuale. 
    La  trasposizione  interna  della  disciplina  transitoria  della
decisione quadro appare ulteriormente  confermare  la  preoccupazione
del legislatore italiano di salvaguardare anche in  subiecta  materia
il  principio  di  non  retroattivita'  delle  norme  penali  o   del
trattamento penale piu' sfavorevole, di cui all'art. 25  Cost.  (cfr.
artt. 3, comma 1, e 40, comma 3, della legge attuativa). 
    Deve, peraltro,  rammentarsi  la  diversa  interpretazione  fatta
propria  dalla  giurisprudenza  della  Corte  di  giustizia,  che  ha
affermato la natura processuale dell'istituto del mandato di  arresto
europeo,  derivante  dalla  natura  meramente   «strumentale»   della
carcerazione imposta alla  persona  richiesta,  in  vista  della  sua
traditio allo Stato richiedente, escludendo possibili frizioni con il
principio di legalita' di cui all'art. 7 della CEDU, anche  sotto  il
profilo della applicazione retroattiva della nuova  normativa  (cfr.,
in particolare, Corte  di  giustizia,  12  agosto  2008,  Santesteban
Goicoechea, § 80). 
    7. - Orbene, se la finalita' perseguita dal legislatore italiano,
nel disciplinare il passaggio dalla vecchia alla nuova  disciplina  e
nel dettare norme transitorie  volte  ad  escludere  l'applicabilita'
delle nuove norme ai reati commessi prima della data  di  entrata  in
vigore delle norme sopravvenute, era quella di evitare l'applicazione
retroattiva di un regime di consegna  considerato  «meno  favorevole»
per la persona richiesta,  ne  e'  derivato  invece  che  sono  state
irragionevolmente precluse ad essa le garanzie previste  dalla  legge
attuativa. 
    La trasposizione della decisione quadro sul piano  interno,  come
e' noto, ha infatti per molti versi accresciuto le garanzie a  favore
della persona  richiesta  previste  dal  regime  estradizionale,  sia
reintroducendo poteri di controllo che il legislatore  europeo  aveva
eliminato, sia stabilendo  ulteriori  parametri  di  legalita'  della
consegna, non previsti dalla normativa previgente e talvolta  neppure
dalla stessa decisione quadro. 
    In  particolare,  innovativa,  rispetto  alla  normativa  interna
applicabile in tema di estrazione, e' la scelta della legge attuativa
di prevedere il potere-dovere di rifiuto di cui all'art. 18, comma 1,
lett. r) della legge 22 aprile 2005, n. 69, che consente alla persona
richiesta  di  poter  eseguire  nello  Stato  di  cittadinanza  o  di
residenza la pena detentiva cui e' stata condannata. 
    Peraltro, l'ipotesi di rifiuto a cui  si  ricollega  la  suddetta
norma (segnatamente, l'art. 4, par. 6  della  decisione  quadro)  non
costituisce di per se' una novita' del nuovo regime  di  cooperazione
instaurato tra i Paesi membri dell'U.E., bensi' e' espressione di  un
potere gia' previsto dalla disciplina convenzionale  del  1957  (art.
6),  che  tuttavia  non  aveva  trovato  sul  piano  interno   alcuna
attuazione in termini obbligatori (cfr., tra le  tante,  Sez.  6,  n.
36276 dell'11 ottobre 2006, dep. 31 ottobre 2006, Volo, Rv. 235436). 
    L'abbandono  del  sistema  estradizionale  doveva  in  linea   di
principio comportare - per  il  mutato  clima  di  reciproca  fiducia
esistente tra gli Stati  membri  -  la  soppressione  o  comunque  il
decisivo contenimento di quei tradizionali poteri  di  rifiuto  della
cooperazione, funzionali alla «protezione»  dell'individuo  ricercato
nei  confronti  dell'esercizio  da  parte  di   altri   Stati   della
giurisdizione penale (quali, in  particolare,  il  presupposto  della
c.d. «previsione bilaterale» del fatto, il divieto  dell'estradizione
per  il  delitto  politico,  la  prescrizione,  ecc.).  Tra   questi,
nondimeno,  gli  Stati  membri  hanno  ritenuto  di  mantenere  ferma
l'ipotesi del rifiuto della consegna del cittadino, di cui all'art. 6
della  Convenzione  europea  del  1957,   in   considerazione   della
difficolta' di molti di essi ad accettarne la totale soppressione per
la previsione  espressa  nelle  Costituzioni  nazionali  del  divieto
dell'estradizione del cittadino. 
    Il compromesso raggiunto dalla decisione quadro (art. 4, par.  6)
consentiva agli Stati membri di conservare tale tradizionale facolta'
di rifiuto - parificando in essa, in virtu' degli artt. 12  e  17  CE
(attualmente artt. 18 e 20 del TFUE), la posizione  del  cittadino  a
quello del  cittadino  di  altro  Paese  membro  dell'Unione  europea
residente  o  dimorante  nello  Stato  richiesto  -,  condizionandone
tuttavia  l'esercizio  -  in  caso  di  consegna  c.d.  esecutiva   -
all'assunzione dell'obbligo da parte dello Stato richiesto di mettere
in esecuzione la sentenza definitiva emessa dallo  Stato  richiedente
(aut dedere aut punire). 
    Questa soluzione, che costituiva un passo in avanti  rispetto  al
regime estradizionale, nel quale al rifiuto della consegna si  poneva
quale contraltare soltanto il mero impegno dello Stato  richiesto  di
sottoporre il caso alle proprie autorita' giudiziarie, in vista della
eventuale instaurazione (ex  novo)  di  un  procedimento  penale  nei
confronti del cittadino (aut dedere aut  iudicare),  era  stata  resa
possibile dal radicale cambiamento di prospettiva della  cooperazione
giudiziaria derivante dalla  «libera  circolazione»  delle  decisioni
penali, in conseguenza dell'applicazione tra  gli  Stati  dell'Unione
europea del principio del reciproco  riconoscimento,  pietra  miliare
dello  sviluppo  dello  spazio  europeo  di  liberta',  sicurezza   e
giustizia, indicata dal vertice di Tampere del 15-16 ottobre 1999. 
    Prospettiva che  consentiva  di  giustificare  il  rifiuto  della
consegna del cittadino non piu', come in  passato,  con  la  maggiore
tutela da apprestare al  connazionale  a  fronte  delle  interferenze
derivanti  dall'esercizio  dell'altrui  giurisdizione,   bensi'   con
l'esigenza di accordare «una particolare importanza alla possibilita'
di accrescere le opportunita' di reinserimento sociale della  persona
ricercata, una volta scontata la pena cui essa e'  stata  condannata»
(in tal senso, Corte giustizia,  6  ottobre  2009,  Wolzenburg;  cfr.
anche l'art. 33 della versione originaria della proposta di decisione
quadro,   che   prevedeva    espressamente    «il    principio    del
reinserimento»). 
    Ed e'  proprio  questo  diverso  atteggiarsi  del  rifiuto  della
consegna del cittadino che sembra conferire razionalita' alla  scelta
del  legislatore  italiano  di  recepire  come  motivo   di   rifiuto
obbligatorio (alt. 18,  lett.  r),  legge  22  aprile  2005,  n.  69)
l'ipotesi di cui all'art. 4, par. 6 della decisione quadro, visto che
lo Stato italiano era stato uno dei pochissimi  Paesi  aderenti  alla
Convenzione europea del 1957 che non aveva avanzato alcun  veto  alla
estradizione del proprio cittadino. 
    L'applicazione del principio  del  reciproco  riconoscimento  dei
«giudicati» nell'ambito dell'Unione europea e della loro  conseguente
«libera  circolazione»,  che  trovava  un  primo  recepimento   nella
decisione quadro sul mandato di arresto europeo, consentiva, infatti,
rispetto al passato, di attuare nel nostro  ordinamento  il  corretto
bilanciamento   tra   esigenze   costituzionali   potenzialmente   in
conflitto: da un lato, la  funzione  espressamente  consacrata  dalla
Costituzione nel contesto dell'istituto della pena  di  salvaguardare
le  esigenze  di  risocializzazione  del   reo,   che   ha   maggiori
possibilita' di successo, se effettuata all'interno  della  comunita'
di appartenenza (Corte cost., sent. n.  313  del  1990);  dall'altro,
l'interesse pubblico alla repressione dei reati, la cui  effettivita'
deve essere garantita anche attraverso  la  cooperazione  giudiziaria
penale,  evitando  che  il  rifiuto  della   consegna   comporti   la
dispersione delle attivita' processuali  gia'  compiute  nello  Stato
richiedente (cfr. Sez. 1,  n.  3574  del  3  novembre  1986,  dep.  3
febbraio 1987, Richter, Rv. 174987). 
    8. - Fatte queste necessarie premesse,  appare  evidente  che  la
disciplina transitoria dettata dall'art. 40  della  legge  attuativa,
disponendo che le domande di consegna relative a reati commessi prima
del 7 agosto 2002 siano trattate  secondo  la  previgente  disciplina
estradizionale, ha irragionevolmente riservato alla persona richiesta
da uno Stato dell'Unione  europea  un  trattamento  irragionevolmente
deteriore rispetto a coloro che sono sottoposti al regime di consegna
del mandato di arresto europeo, escludendo  in  particolare  che  sia
rifiutata la estradizione del cittadino italiano e del  cittadino  di
uno Stato dell'U.E.,  radicato  in  Italia,  al  fine  di  consentire
l'esecuzione della pena detentiva nello Stato, ancorche' la  relativa
sentenza di condanna sia divenuta esecutiva dopo la entrata in vigore
della decisione quadro del 2002. 
    Circostanza quest'ultima, che doveva conferire alla  sentenza  di
condanna emessa da uno Stato dell'U.E. quella  «riconoscibilita'»  in
ambito europeo, ai fini della sua esecuzione nello Stato richiesto, e
consentiva al legislatore di attuare, come si e' detto in precedenza,
un equilibrato bilanciamento tra i valori costituzionali in gioco. 
    In  altri  termini,  appare  irragionevole  che  il   legislatore
italiano, nello stabilire il regime  transitorio  per  l'applicazione
della normativa sul mandato di arresto  europeo,  non  abbia  dettato
disposizioni interne, analoghe a quelle previste dall'art. 18,  comma
1, lett. r), legge 22 aprile 2005, n.  69,  anche  per  l'ipotesi  di
estradizione del cittadino e del cittadino di  uno  Stato  dell'U.E.,
fondata su un titolo divenuto esecutivo dopo  la  entrata  in  vigore
della decisione quadro del 2002, e proprio in relazione a  situazioni
in cui il decorso di un  congruo  periodo  temporale  dall'epoca  del
commesso reato rendeva in fatto ancor piu' probabile la recisione dei
legami con il proprio paese d'origine e piu' radicata la presenza nel
territorio straniero intervenuta medio termine. 
    La  lacuna  venutasi  a  creare  nel  regime  estradizionale  non
consente pertanto all'autorita'  giudiziaria  italiana  di  valutare,
nell'ambito della procedura, l'esigenza rappresentata  dalla  persona
richiesta che la traditio non vanifichi la finalita' rieducativa e di
risocializzazione, espressamente consacrata  dalla  Costituzione  nel
contesto  dell'istituto  della  pena  e   da   molteplici   strumenti
internazionali (in particolare, la  Raccomandazione  n.  R  87/3  del
Comitato  dei  Ministri   del   Consiglio   d'Europa   sulle   regole
penitenziarie europee, adottata il  12  febbraio  1987  e  sostituita
dalla raccomandazione Rec. n. 2006/2, adottata l'11 gennaio 2006;  la
Risoluzione del Parlamento europeo sul rispetto dei diritti dell'uomo
nell'Unione europea,  A4-0468/98;  Standard  Minimum  Rules  for  the
Treatment of Prisoners, adottate dalle Nazioni  Unite  il  30  agosto
1955), con la recisione dei legami del condannato con il luogo in cui
mantiene stabili legami familiari, linguistici, culturali, sociali  o
economici.  Legami  che   il   cittadino   dell'Unione   europea   ha
legittimamente creato nello Stato di residenza,  esercitando  il  suo
diritto alla libera circolazione e al libero  soggiorno  negli  Stati
membri, garantito dall'art. 18 TFUE. 
    La predetta finalita' rieducativa e di risocializzazione  risulta
invece affidata, nella  procedura  estradizionale,  limitatamente  al
cittadino  italiano,  alla  sola  valutazione  discrezionale  -   non
vincolata o comunque indirizzata da criteri o parametri  normativi  -
del Ministro della giustizia di rifiutare la consegna  estradizionale
(tra le tante, Sez. 6, n. 36276 dell'11 ottobre 2006, dep. 31 ottobre
2006, Volo, Rv. 235436; Sez. 5, n. 2133 del 10 dicembre 1985, dep. 13
gennaio 1986, Bernardini,  Rv.  171526);  mentre  non  riceve  alcuna
tutela  nel  caso  del  cittadino  dell'U.E.  che,   nella   medesima
situazione del Bodros, ha  esercitato  il  suo  diritto  alla  libera
circolazione e al libero  soggiorno  negli  Stati  membri,  garantito
dall'art. 18 TFUE, trasferendo in Italia il centro dei suoi interessi
economici, affettivi, familiari e sociali (l'Italia, a differenza  di
altri  Stati,  non  ha  effettuato  alcuna  dichiarazione,  ai  sensi
dell'art. 6, primo par., della Convenzione  europea  di  estradizione
del  1957,  per  ricomprendere  il   residente   nella   nozione   di
«cittadino»). 
    9. - Conclusivamente deve ritenersi che, per effetto  del  quadro
normativo  sopra  descritto,  si  sia  creata   una   disparita'   di
trattamento con situazioni analoghe, rilevante ai sensi  dell'art.  3
Cost.,  priva  di  ragionevole  giustificazione,  in   quanto   viene
preclusa, nonostante la «riconoscibilita'» del titolo  esecutivo,  al
cittadino italiano e al cittadino di  uno  Stato  dell'U.E.,  la  cui
consegna  e'  regolata  dalla  normativa  estradizionale,  richiamata
dall'art.  40  cit.,  la  possibilita'  di  ottenere  una   decisione
contraria alla  loro  estradizione,  al  fine  di  scontare  la  pena
privativa della liberta' personale nello Stato di cittadinanza  o  di
residenza,  e  di  accrescere  pertanto  le  opportunita'  del   loro
reinserimento sociale. 
    Da tale  situazione  discende  infatti  che  il  Bodros,  che  ha
esercitato, in quanto cittadino dell'Unione europea, il  suo  diritto
alla libera circolazione e al libero soggiorno  negli  Stati  membri,
garantito dall'art. 18 TFUE, trasferendo in Italia il centro dei suoi
interessi  economici,  affettivi,  familiari  e  sociali,  e  la  cui
condanna e' divenuta esecutiva in data 21 febbraio 2007, deve  essere
sottoposto ad una procedura di  consegna  che  non  gli  consente  di
soddisfare le esigenze di  risocializzazione,  in  contrasto  con  la
finalita' necessariamente rieducativa della pena, tutelata  dall'art.
27, comma 3, Cost. e dagli strumenti internazionali sopra  citati,  e
con le liberta'  riconosciute  dal  Trattato  dell'Unione  europea  e
garantite dagli artt. 11 e 117 Cost. a  qualsiasi  cittadino  di  uno
Stato membro di circolare e di soggiornare liberamente sul territorio
degli Stati membri. 
    10. -  Si  ritiene,  conseguentemente  necessario,  al  fine  del
decidere, sollevare d'ufficio, in riferimento agli  articoli  3,  27,
terzo comma, 11 e 117, primo comma, della Costituzione, la  questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 40  della  legge  22  aprile
2005, n. 69 (Disposizioni per  conformare  il  diritto  interno  alla
decisione quadro 2002/584/GAI del  Consiglio,  del  13  giugno  2002,
relativa al mandato d'arresto europeo e alle  procedure  di  consegna
tra Stati membri) e dell'art. 705 cod. proc. pen. nella parte in  cui
non  prevedono,  in  una  situazione  analoga  a  quella   richiamata
dall'art. 18, lett. r), legge 22 aprile 2005, n. 69, che la corte  di
appello - in relazione ad una domanda di estradizione presentata dopo
il 14 maggio 2005 da uno Stato membro dell'Unione europea, sulla base
di una sentenza di condanna, divenuta esecutiva dopo  il  1°  gennaio
2004, ad una pena privativa della liberta' personale,  per  un  reato
commesso prima del 7 agosto 2002 - pronunci sentenza  contraria  alla
estradizione di un cittadino di un Stato membro dell'Unione  europea,
che legittimamente ed effettivamente abbia la residenza o  la  dimora
nel territorio italiano, quando ritenga che tale pena sia eseguita in
Italia conformemente al diritto interno. 
    A norma degli artt. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 1 della
legge Costituzionale 9 febbraio  1948,  n.  1,  deve  dichiararsi  la
sospensione del giudizio e disporsi  l'immediata  trasmissione  degli
atti alla  Corte  costituzionale.  La  cancelleria  provvedera'  alla
notifica di copia della presente ordinanza alle parti e al Presidente
del Consiglio dei ministri  e  alla  comunicazione  della  stessa  ai
Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento
all'art. 3 Cost., art. 27, comma 3, Cost., art. 117, comma 1,  Cost.,
la questione di costituzionalita' dell'art. 705  cod.  proc.  pen.  e
dell'art. 40 della legge 22 aprile 2005, n. 69, nella  parte  in  cui
non prevedono, in relazione ad una domanda di estradizione presentata
da uno Stato membro dell'Unione europea, il rifiuto di  consegna  del
condannato,  cittadino  di  uno  Stato  membro  dell'Unione  europea,
residente o  dimorante  nel  nostro  territorio  ed  ivi  stabilmente
inserito, quando  ritenga  che  la  pena  per  la  quale  e'  chiesta
l'estradizione  sia  eseguita  in  Italia  conformemente  al  diritto
interno. 
    Sospende il giudizio e dispone che, a cura della cancelleria, gli
atti siano trasmessi alla Corte  costituzionale,  sia  notificata  la
presente ordinanza alle parti in causa ed al Pubblico  ministero,  al
Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai  Presidenti
delle due Camere del Parlamento. 
      Cosi' deciso il 18 febbraio 2011. 
 
                        Il presidente: Agro' 
 
 
                                  Il consigliere estensore: Calvanese