N. 148 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 aprile 2011

Ordinanza del 5 aprile 2011 emessa  dalla  Corte  di  cassazione  nel
procedimeto penale a carico di C.V.. 
 
Processo penale - Misure cautelari - Criteri di scelta delle misure -
  Presunzione  di  adeguatezza  della  sola  misura  della   custodia
  cautelare in carcere per il delitto  di  omicidio  (art.  575  cod.
  pen.) - Ingiustificata parificazione ai delitti di mafia -  Parita'
  di trattamento delle  diverse  ipotesi  concrete  riconducibili  ai
  paradigmi  punitivi  considerati  -  Violazione  del  principio  di
  inviolabilita'  della  liberta'  personale,  in  contrasto  con  il
  criterio  del  minore  sacrificio  necessario  -   Violazione   del
  principio della presunzione di non colpevolezza sino alla  condanna
  definitiva, a fronte dell'attribuzione alla coercizione processuale
  dei tratti funzionali tipici della pena. 
- Codice di procedura penale, art.  275,  comma  3,  come  modificato
  dall'art. 2 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11,  convertito,
  con modificazioni, nella legge 23 aprile 2009, n. 38. 
- Costituzione, artt. 3, 13 e 27, comma secondo. 
(GU n.28 del 29-6-2011 )
 
                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da:  1)
C.v., avverso l'ordinanza n. 449/2010 Trib. Liberta' di Trieste,  del
7 ottobre 2010; 
    Sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. Massimo Vecchio; 
    Udito, altresi', in camera di consiglio: 
        - il rappresentante del Pubblico  Ministero  in  persona  del
dott. Francesco  Mauro  Iacoviello,  sostituto  procuratore  generale
della Repubblica presso questa Corte, il quale  ha  concluso  per  iI
rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al  pagamento  delle
spese processuali. 
 
                               Rileva 
 
    1. - Con ordinanza, deliberata il 7 ottobre 2010 e depositata  il
13 ottobre 2010, il Tribunale ordinario di Trieste,  in  funzione  di
giudice distrettuale  del  riesame  delle  ordinanze  che  dispongono
misure coercitive, ha confermato la ordinanza di  custodia  cautelare
in carcere del giudice per le indagini preliminari del  tribunale  di
Pordenone, 14 settembre 2010, a carico di V. - C.,  indagato  per  il
delitto di omicidio premeditato e aggravato dalla crudelta', commesso
in pregiudizio di M. S. il , motivando, per  quanto  qui  rileva:  la
materialita' della condotta omicida e' pacifica; l'indagato, il quale
si e' costituito poche ore dopo il fatto di sangue consegnando l'arma
del delitto e gli indumenti indossati, e' confesso; la  esternazione,
alcuni giorni prima  dell'omicidio,  di  propositi  di  vendetta  nei
confronti della vittima (S. aveva iniziato  all'uso  della  droga  la
donna di cui C. era innamorato, cagionando a costei gravi danni  alla
salute) e specifici riferimenti alla  definitiva  sistemazione  delle
cose in occasione  del  concordato  incontro  con  l'antagonista,  la
predisposizione   dell'arma   del   delitto   danno    conto    della
premeditazione; il numero e la tipologia  delle  ferite  inferte  col
pugnale  comprovano  l'aggravante  della  crudelta';   manifestamente
infondata   e'   la   questione   di   legittimita'    costituzionale
dell'articolo  275  cod.  proc.  pen.,  agitata  dai  difensori,   in
relazione "all'inversione  dell'onere  della  prova";  non  giova  il
richiamo, quale criterio di raffronto, al recente arresto del giudice
delle leggi in materia di  reati  sessuali  in  considerazione  della
"valutazione di massima gravita'" correlata al delitto di omicidio  e
fondata su dati obiettivi; nella specie non ricorre la ipotesi  della
insussistenza  delle  esigenze  cautelari;   assumono   rilievo,   in
proposito,  la  "intrinseca  e  inaudita  gravita'  del  fatto",   la
pericolosita' dell'indagato, per l'omesso  controllo  della  pulsione
omicida, per la premeditazione e per la modalita' della  commissione;
mentre non e' "incongrua l'individuazione!' del pericolo di fuga. 
    2.  -  Ricorre  per  cassazione  l'indagato,  col  ministero  dei
difensori di fiducia, avvocati Roberto  Lombardini  e  Franco  Vampa,
mediante atto recante la data del 2 novembre 2010 col quale  sviluppa
due  motivi  e,  in  via  gradata,  eccepisce  la  illegitti-   mita'
costituzionale dell'articolo 275, comma 3,  cod.  proc.  pen.,  nella
parte in cui stabilisce la presunzione assoluta di adeguatezza  della
coercizione intramuraria per supposta violazione a)  dell'articolo  3
della Costituzione, per la "ingiustificata parificazione" del delitto
di omicidio ai  "delitti  di  mafia";  b)  dell'  articolo  13  della
Costituzione per la lesione "del principio costituzionale  del  minor
sacrificio  necessario";  c)  dell'articolo  27,   comma   2,   della
Costituzione per la attribuzione  alla  "coercizione  processuale  di
tratti funzionali tipici della pena". 
    2.1 - Con il primo motivo i difensori denunziano inosservanza  ed
erronea interpretazione degli articoli 274, comma 1, lettere b) e  c)
e 275 cod. proc. pen. deducendo:  "peculiarita'  e  specificita'  del
fatto e delle motivazioni dell'agire" dimostrano la insussistenza del
pericolo di recidiva; non vale il riferimento  al  mancato  controllo
dell'impulso omicida che e' intrinseco a ogni  delitto  di  omicidio,
anche se connotato dal dolo di impeto; la applicazione  delle  misure
cautelari non deve assolvere la funzione della  sanzione  penale;  il
Tribunale ordinario ha trascurato di considerare le dichiarazioni  di
B. A. e di E. S.; l'appuntamento dato dall'indagato all'amico A.  sul
luogo del delitto contrasta con la premeditazione; la S. ha  riferito
che l'indagato  portava  spesso  con  se'  un  coltello  di  notevoli
dimensioni; neppure sussiste il pericolo di fuga avuto riguardo  alla
tempestiva costituzione, alla consegna dell'arma del delitto e  degli
indumenti, alla collaborazione prestata e alla  confessione  resa  al
Pubblico Ministero. 
    2.2 - Con il secondo motivo il ricorrente  denunzia  inosservanza
ed erronea interpretazione dell'articolo 275, comma  3,  cod.  proc..
pen. in relazione alla (ritenuta) presunzione assoluta di adeguatezza
della custodia cautelare in carcere. 
    I  difensori  richiamano,  con  diffuse  citazioni  testuali,  il
recente arresto del Giudice delle  leggi,  7  luglio  2010,  n.  265,
recante    declaratoria    della    "illegittimita'    costituzionale
dell'articolo 275, comma 3, secondo e terzo periodo,  del  codice  di
procedura penale, come modificato dall'articolo 2  del  decreto-legge
23 febbraio 2009, n. 11  (Misure  urgenti  in  materia  di  sicurezza
pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonche'  in  tema  di
atti persecutori), convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  23
aprile 2009, n. 38, nella parte in cui - nel  prevedere  che,  quando
sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti  di  cui
agli articoli 600-bis, primo comma, 609-bis. e 609-quater del  codice
penale, e' applicata la custodia  cautelare  in  carcere,  salvo  che
siano  acquisiti  elementi  dai  quali  risulti  che  non  sussistono
esigenze cautelari - non fa salva, altresi', l'ipotesi in  cui  siano
acquisiti elementi specifici, in  relazione  al  caso  concreto,  dai
quali risulti che le esigenze cautelari  possono  essere  soddisfatte
con altre misure". 
    E argomentano che le considerazioni sviluppate  da  quella  Corte
(con particolare riferimento alla questione scrutinata concernente  i
reati sessuali) si  attagliano  al  delitto  di  omicidio,  sotto  il
profilo che la "eccezione al regime ordinario delle misure  cautelari
personali", quanto alla presunzione  assoluta  di  adeguatezza  della
coercizione intramuraria, non puo' estendersi al di  la'  dell'ambito
dei delitti di  tipo  associativo,  originariamente  considerato  dal
legislatore, si' da comprendere pure la ipotesi dell'omicidio che  si
connota, nella specie, per il carattere "meramente individuale" della
condotta. 
    Conclusivamente  i  difensori   postulano   la   "interpretazione
costituzionalmente   orientata"   della   norma,   nel   senso    del
riconoscimento  del  carattere  "relativo"   della   presunzione   di
adeguatezza della custodia cautelare in carcere, e censurano l'omessa
valutazione della gradata istanza di sostituzione  della  coercizione
applicata con  gli  arresti  domiciliari,  richiamando  le  deduzioni
formulate col primo motivo. 
    Segue,  in   subordine,   la   proposizione   dell'eccezione   di
illegittimita' costituzionale. 
    3. - Il ricorso merita parziale accoglimento, nei sensi  appresso
indicati. 
    3.1 - Giova ricordare che l'articolo 275,  comma  3,  cod.  proc.
pen., come  reiteratamente  novellato,  stabilisce  due  presunzioni:
l'una, a carattere relativo,  attiene  alle  esigenze  cautelari,  da
considerarsi sussistenti,  salvo  che  consti  la  prova  della  loro
mancanza; l'altra, a carattere assoluto,  concerne  la  scelta  della
misura, nel  senso  che,  se  la  presunzione  relativa  non  risulti
confutata, soccorre l'apprezzamento della legge, affatto  vincolante,
circa la esclusiva  adeguatezza  della  sola  custodia  carceraria  a
infrenare il periculum libertatis, con conseguente esclusione di ogni
soluzione  intermedia  tra  questa  e  lo  stato  di  piena  liberta'
dell'imputato (e col correlato  divieto  di  applicazione  di  alcuna
misura piu' blanda rispetto alla coercizione  intramuraria).  Orbene,
nella specie, il  ricorrente,-  in  linea  principale,  contrasta  la
presunzione  relativa  di  ricorrenza   del   periculum   libertatis,
postulando l'insussistenza  delle  esigenze  cautelari  ritenute  dai
giudici di merito ai sensi dell'articolo 274, comma 1, lettere  b)  e
c), cod. proc. pen. - e' fuori discussione  che  non  ricorra,  alcun
pericolo per l'acquisizione e la genuinita'  della  prova  -  in  via
gradata, propugnando il carattere relativo pur della  presunzione  di
adeguatezza della misura ablativa, censura l'omesso  scrutinio  della
mozione difensiva di applicazione degli arresti  domiciliari;  e,  in
estremo   subordine,   eccepisce   l'illegittimita'    costituzionale
dell'articolo 275, comma 3, cod. proc. pen. nella parte  in  cui,  in
relazione al delitto di omicidio, sancisce l'adeguatezza iuris et  de
iure della custodia cautelare in carcere. 
    3.2 - Il primo motivo del ricorso e' inammissibile. 
    Il giudice a quo ha dato conto delle ragioni per le quali,  avuto
riguardo al  titolo  del  reato,  la  presunzione  iuris  tantum  del
pericutum  libertatis,  in  relazione  alla  recidiva,  non   potesse
ritenersi vinta e superata, facendo  riferimento  precipuamente  alla
analisi della condotta  delittuosa  con  riferimento  alle  modalita'
efferate del fatto di sangue e all'elemento  psicologico  del  reato,
valorizzando  la  premeditazione  e,  in  proposito,  rilevando   che
l'indagato aveva maturato ed esternato il proposito delittuoso,  gia'
da alcuni giorni. 
    I difensori i  quali  hanno  allegato,  in  punto  di  fatto,  la
circostanza  dell'appuntamento  dato  dall'indagato  al  sodale   A.,
pretendendo  di  inferirne  (merce'  apprezzamento  di   merito)   la
inconciliabilita' colla premeditazione, non hanno confutato succitati
profili posti a fondamento dai  giudici  di  merito  della  abduzione
indiziaria della aggravante. 
    Eppero' il primo mezzo  di  impugnazione  non  presenta  adeguata
correlazione con la ratio decidendi della  ordinanza  impugnata  (v.,
circa il requisito della correlazione, Cass., Sez.  I,  30  settembre
2004, n. 39.598, Burzotta, massima n. 230.634, secondo la  quale  "e'
inammissibile il ricorso per cassazione quando  manchi  l'indicazione
della  correlazione  tra  le  ragioni  argomentate  dalla   decisione
impugnata e quelle poste a fondamento dell'atto di impugnazione,  che
non puo' ignorare le affermazioni del provvedimento censurato,  senza
cadere nel vizio di aspecificita',  che  conduce,  ex  articolo  591,
comma primo, lett. c), C.P.P. all'inammissibilita' del ricorso"): non
impinge -- in quanto affatto  privo  del  necessario  aggancio  -  la
struttura portante del costrutto argomentativo della decisione  nella
prospettiva, prescritta dal rito, della confutazione dialettica delle
ragioni  specifiche  effettivamente  poste  dal  giudice  a   quo   a
fondamento della decisione impugnata. Sicche' il motivo  difetta  del
requisito della specificita', prescritto dall'articolo 581, comma  1,
lettera  c)  C.P.P.  e  sanzionato,  a  pena   di   inammissibilita',
dall'articolo 591, comma 1, lettera c), cod. proc. pen. 
    3.3 -  Quanto  al  secondo  motivo,  il  tenore  letterale  -  di
indiscutibile e univoca significazione dell'articolo  275,  comma  3,
secondo inciso cod. proc. pen. (siccome sostituito  dall'articolo  2,
comma 1, lettera a), del decreto  legge  23  febbraio  2009,  n.  li,
convertito nella legge 23 aprile  2009,  n.  38:  "quando  sussistono
gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all'articolo
[..] 575 Codice Penale [..] e' applicata  la  custodia  cautelare  in
carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non
sussistono esigenze cautelarf') non permette di porre ragionevolmente
in discussione il carattere assoluto della presunzione di adeguatezza
della  misura  intramuraria,  nel  concorso  di   gravi   indizi   di
colpevolezza e di esigenze cautelari. 3.4  -  Residua,  pertanto,  la
disamina della eccezione di illegittimita'  costituzionale  formulata
dal ricorrente. 
    3.5 - La questione e' rilevante. 
    Escluso, in ipotesi, il carattere assoluto della  presunzione  di
adeguatezza della custodia intramuraria, il  provvedimento  impugnato
non si sottrarrebbe, allora, al  rilievo  della  mancata  valutazione
della mozione di applicazione degli arresti domiciliari, gradatamente
avanzata  dal  ricorrente  e  sorretta  dalla  considerazione   della
incidenza esercitata sul grado di intensita' delle esigenze cautelari
- e sulla  selezione  della  misura  adeguata  -  dalla  costituzione
dell'indagato, dalla confessione e della condotta  di  collaborazione
successiva al reato. 
    3.6 - La questione non e' manifestamente infondata. 
    3.6.1 - Deve premettersi che - pressoche' in  termini  (salvo  il
profilo del supposto  contrasto  coll'articolo  27,  comma  2,  della
Costituzione  non   considerato)   -   questa   Corte   ha   reputato
"manifestamente    infondata    la    questione    di    legittimita'
costituzionale, in relazione  agli  articoli  3  e  13  Cost.,  della
modifica dell'articolo 275, comma terzo,  cod.  proc.  pen.,  operata
dall'articolo 2, comma primo, lettera a-bis)  del  decreto  legge  23
febbraio 2009, n. 11, convertito dalla legge 23 aprile  2009  n.  38,
che ha esteso al delitto di omicidio  volontario  la  presunzione  di
adeguatezza esclusiva della custodia cautelare in carcere,  sotto  il
profilo della sua disomogeneita' rispetto ai  delitti  gia'  inclusi,
posto che, invece, al pari di questi, anche l'omicidio ha riguardo ad
un bene primario di valenza individuale  e  collettiva  quale,  nella
specie, quello della vita umana" (Sez. I, 18 dicembre 2009, n.  8084,
Fini, massima n. 246251). 
    La  succitata  declaratoria  ha  tratto  argomento  da  pregressi
arresti del Giudice delle leggi, il quale, anzitutto, aveva  divisato
che "compete al legislatore l'individuazione del punto di  equilibrio
tra le diverse esigenze, della  minore  restrizione  possibile  della
liberta' personale  e  dell'effettiva  garanzia  degli  interessi  di
rilievo  costituzionale  tutelati  attraverso  la  previsione   degli
strumenti cautelari nel processo penale (sentenze n. 1 del  1980,  n.
64   del   1970)"   .   Sicche'   non   puo'   ritenersi   "soluzione
costituzionalmente obbligata quella di affidare sempre e comunque  al
giudice  la  determinazione  dell'accennato  punto  di  equilibrio  e
contemperamento tra il sacrificio  della  liberta'  personale  e  gli
antagonisti    interessi    collettivi,    anch'essi    di    rilievo
costituzionale" . Al riguardo -  e'  stato  considerato  -  la  Corte
costituzionale "ha posto cosi' in  linea  generale  l'accento,  quale
giustificazione  della  necessita'  della  predeterminazione  di  una
cautela piu' rigorosa, non tanto sullo  specifico  fenomeno  mafioso,
quanto  sul  livello  degli  interessi  di   rilievo   costituzionali
coinvolti dalle manifestazioni delittuose  in  relazione  alla  quale
veniva  posta  la  presunzione.  Ha  quindi  affermato  che  non  era
irragionevole la scelta legislativa nello specifico  posta  alla  sua
attenzione, attuata mediante un inasprimento cautelare per i  delitti
collegati  alla  criminalita'  organizzata  di   tipo   mafioso,   in
considerazione del 'coefficiente di pericolosita' per  le  condizioni
di base della  convivenza  e  della  sicurezza  collettiva  che  agli
illeciti di quel genere e' connaturato' (sentenze n. 103 del 1993, n.
407 del 1992); ancora sottolineando che l'eguale risposta cautelare a
fronte di ipotesi delittuose tra loro diverse'  trovava  ragione  nel
'comune denominatore', costituito (non gia' dalla `mafiosita' in se')
ma dalla messa a rischio, ad opera dei delitti considerati, di  'beni
primari  individuali   e   collettivi,   secondo   la   linea,   come
espressamente si rimarca, 'gia' scrutinata con  la  sent.  n.  1  del
1980'. E la linea di ragionevolezza gia' scrutinata dalla sentenza n.
1 del 1980 (avente ad oggetto  il  divieto  della  concessione  della
liberta' provvisoria per certuni reati, posto dalla legge n. 152  del
1975, articolo 1), era stata, per l'appunto, individuata - alla  luce
del contesto fattuale che aveva  determinato  l'intervento  normativo
oggetto di dubbio - mediante il collegamento  al  pericolo  di  reati
'aventi taluna fra le caratteristiche...: uso d'armi  -  o  di  altri
mezzi di violenza contro le persone, riferibilita' ad  organizzazioni
criminali comuni o politiche, direzione lesiva verso le condizioni di
base  della  sicurezza  collettiva  o  dell'ordine  democratico,  che
aggregava l'inasprimento cautelare sotto l'esigenza "della tutela  da
comportamenti  violenti,  lesivi  dell'incolumita'   o   liberta'   o
sicurezza   individuale o   collettiva,   o   da   nuove   forme   di
manifestazione della criminalita' comune e politica". 
    Conclusivamente,  riguardando  il  caso  in  esame   il   delitto
d'omicidio volontario ed  essendo  "il  bene  leso,  la  vita  umana,
addirittura il primo tra i beni  di  rilievo  costituzionale"  questa
Corte ha ritenuto  che  non  potesse  "revocarsi  in  dubbio  che  la
fattispecie dell'articolo 575 Codice  Penale  rientri  appieno  nella
categoria dei delitti ai quali ha fatto  riferimento  l'ordinanza  n.
450  del  1995,  allorche',   individuandoli   mediante   il   comune
denominatore della esigenza  di  salvaguardia  di  bene  primari,  ha
ritenuto non irragionevole per essi la  predeterminazione  di  regole
cautelari piu' rigorose". 
    3.6.2 - Tali conclusioni, tuttavia, devono essere necessariamente
riviste alla luce del piu' recente e successivo arresto  del  Giudice
delle  leggi,  invocato,  a  ragione,   dal   ricorrente   (peraltro,
successivamente alla proposizione del ricorso, proprio,  in  termini,
in relazione al delitto di omicidio il Tribunale di Lecce in funzione
di giudice dell'appello dei provvedimenti incidentali  de  liberiate,
giusta ordinanza del 18 novembre 2010, ha sollevato la  questione  di
legittimita' costituzionale). 
    In estrema  sintesi,  la  Corte  costituzionale,  ricostruito  il
sistema normativo, alla luce di principi costituzionali che informano
la materia, assume la  premessa  che  la  eccezione  alla  disciplina
generale codicistica delle misure coercitive, colla  introduzione  (a
opera delle varie novelle espressione della decretazione  di  urgenza
sotto  spinte  alterne  di  natura  emergenziale)  della  presunzione
assoluta di adeguatezza della coercizione  di  massimo  rigore,  puo'
trovare giustificazione solo nella rispondenza "a dati di  esperienza
generalizzati,  riassunti  nella  formula  dell'id   quod   plerumque
accidit, e fondati su adeguata "base statistica"; mentre  l'eccezione
in  parola.  risulta  irragionevole  e  lesiva   del   principio   di
uguaglianza "tutte le volte in cui sia 'agevole' formulare ipotesi di
accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a  base  della
presunzione stessa". 
    Cio' posto il Giudice delle leggi afferma: "non  puo'  estendersi
la ratio gia' ritenuta [..] idonea  a  giustificare  la  deroga  alla
disciplina ordinaria, quanto ai procedimenti relativi  a  delitti  di
mafia in senso, stretto; vale a dire che dalla struttura stessa della
fattispecie e dalle sue connotazioni criminologiche -  connesse  alla
circostanza che i'  appartenenza  ad  associazioni  di  tipo  mafioso
implica un'adesione permanente ad un  sodalizio  criminoso  di  norma
fortemente radicato nel territorio, caratterizzato da una fitta  rete
di collegamenti personali e dotato di particolare forza intimidatrice
- deriva, nella generalita' dei casi concreti ad  essa  riferibili  e
secondo una regola  di  esperienza  sufficientemente  condivisa,  una
esigenza cautelare alla cui soddisfazione sarebbe  adeguata  solo  la
custodia in carcere, non essendo le  misure  'minori'  sufficienti  a
troncare i rapporti tra  l'indiziato  e  l'ambito  delinquenziale  di
appartenenza, neutralizzandone la pericolosita'". 
    Eppero', all'infuori dell'ambito dei reati in questione - "la cui
connotazione strutturale astratta (come reati associativi e,  dunque,
permanenti entro un contesto  di  criminalita'  organizzata,  o  come
reati  a  tale  contesto  comunque  collegati)  vale[..]  a   rendere
"ragionevoli" le presunzioni in questione e, segnatamente, quella  di
adeguatezza della sola custodia carceraria, trattandosi, in sostanza,
della misura piu' idonea  a  neutralizzare  il  periculum  libertatis
connesso  al  verosimile  protrarsi  dei  contatti  tra  imputato  ed
associazione" - pare che (alla stregua della piu' recente valutazione
della Corte costituzionale) il "regime cautelare speciale  di  natura
eccezionale" non trovi giustificazione alcuna in relazione a condotte
delittuose, le quali,  seppure  odiose,  riprovevoli  e  gravi,  come
l'omicidio,  per  le  caratteristiche  "meramente  individuali"   del
modello di condotta e per le coessenziali,  relative  "connotazioni",
tali  "da  non  postulare  esigenze  cautelari  affrontabili  solo  e
rigidamente con la massima misura". 
    Conclusivamente, alla luce delle considerazioni che  precedono  e
dei criteri affermati dal Giudice delle  leggi  nel  citato  arresto,
questa Corte reputa non manifestamente infondato il sospetto  che  la
norma  impugnata  violi,  in  parte  qua,  colla  assolutezza   della
presunzione stabilita: 
        - l'articolo  3  della  Costituzione,  "per  l'ingiustificata
parificazione dei procedimenti relativi" al delitto  di  omicidio  "a
quelli concernenti i ;delitti di  mafia,  nonche'  per  l'irrazionale
assoggettamento ad un medesimo regime cautelare delle diverse ipotesi
concrete riconducibili ai paradigmi punitivi considerati"; 
        - l'articolo 13,  primo  comma,  della  Costituzione,  "quale
referente fondamentale del regime ordinario  delle  misure  cautelari
privative della liberta' personale" sotto il profilo che la rigidita'
della disciplina, per effetto della assolutezza della presunzione, si
pone in contrasto col criterio del  "minore  sacrificio  necessario",
non consentendo veruna modulazione e graduazione  della  compressione
della   liberta'   personale   e   la   adozione    di    "meccanismi
'individualizzati'   di   selezione   del   trattamento    cautelare,
parametrati sulle esigenze configurabili  nelle  singole  fattispecie
concrete"; 
        - l'articolo  27,  secondo  comma,  della  Costituzione,  "in
quanto attribuisce alla  coercizione  processuale  tratti  funzionali
tipici della pena". 
    3.6.3 - Consegue, in accoglimento della eccezione  difensiva,  la
proposizione della questione di legittimita' costituzionale. 
    3.7 - La Cancelleria provvedera'  agli  adempimenti  di  rito  ai
sensi dell'articolo 94 DISP. ATT. C.P.P. 
 
                               P. Q. M. 
 
    Letti e applicati gli articoli 1  della  legge  costituzionale  9
febbraio 1948, n. 1, e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'articolo 275, comma  3,  cod.  proc.
pen.,  nella  parte  in  cui,  estende  al  delitto  di  omicidio  la
presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia cautelare  in
carcere, per sospetta violazione degli articoli 3, 13 e 27, comma  2,
della Costituzione. 
    Ordina che della  presente  ordinanza  sia  data,  a  cura  della
cancelleria, notificazione al procuratore generale  della  Repubblica
presso questa Corte, al ricorrente, al difensore e al Presidente  del
Consiglio dei Ministri, nonche' comunicazione ai Presidenti delle due
Camere del Parlamento. 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale. 
    Sospende il giudizio. 
    Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia  del  prov-
vedimento  al  direttore   dell'istituto   penitenziario   ai   sensi
dell'articolo 94, comma 1-ter, DISP. ATT. c.p.p. 
    Cosi' deciso in Roma, addi' 22 marzo 2011. 
 
                      Il Presidente: Giordano  
 
 
                                    Il Consigliere estensore: Vecchio