N. 191 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 aprile 2011

Ordinanza  del  20  aprile  2011  emessa  dalla  Corte  d'appello  di
Caltanissetta nel procedimento civile promosso da  Morreale  Stefania
ed altri contro Ministero economia e finanze. 
 
Procedimento civile - Domande di equa riparazione  dell'irragionevole
  durata dei processi  -  Competenza  territoriale  funzionale  della
  Corte d'appello determinata ai sensi dell'art.  11  del  codice  di
  procedura penale - Applicabilita' (secondo  il  nuovo  orientamento
  delle Sezioni unite civili della Cassazione,  considerato  "diritto
  vivente") anche se i procedimenti presupposti, di  cui  si  lamenta
  l'irragionevole durata, siano iniziati davanti alla Corte dei Conti
  o alle altre giurisdizioni  speciali  di  cui  all'art.  103  della
  Costituzione - Contrasto con  il  principio  del  giudice  naturale
  precostituito   per   legge   -   Irragionevolezza   -    Incidenza
  sull'applicazione del principio di ragionevole durata del  processo
  - Violazione del diritto di difesa. 
- Legge 24 marzo 2001, n. 89, art. 3, comma 1. 
- Costituzione, artt. 3, primo comma, 24, 25,  primo  comma,  e  111,
  comma secondo. 
(GU n.41 del 28-9-2011 )
 
                         LA CORTE DI APPELLO 
 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza. 
    Nel procedimento per equa riparazione  iscritto  al  n.  601/2010
R.G.C., promosso da Morreale Stefania,  Morreale  Antonino,  Morreale
Giuseppe, Morreale  Rosario,  nella  qualita'  di  eredi  di  Galiano
Calogera,  elettivamente  domiciliati  in  Caltanissetta,  presso  lo
studio dell'avv. Alfredo Saia, rappresentati e  difesi  dagli  avv.ti
Girolamo Rubino e Laura Rollini, contro il Ministero dell'economia  e
delle finanze (Avvocatura distrettuale dello Stato). 
    Letti gli atti, a scioglimento della riserva assunta  all'udienza
del 14 marzo 2011, osserva: 
 
                              In fatto 
 
    Con il ricorso in riassunzione in esame  gli  odierni  ricorrenti
chiedevano che venisse accertata la violazione dell'art. 6  parte  I,
della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle
liberta'  fondamentali  in  relazione  al  procedimento   giudiziario
avviato dalla loro dante causa innanzi al TAR di Palermo, con ricorso
del  5.06.1996,  non  ancora  definito,  con   conseguente   condanna
dell'amministrazione convenuta al pagamento della somma  spettante  a
titolo di equa riparazione per l'irragionevole durata del processo. 
    Premettevano, al riguardo, di avere presentato l'odierna  istanza
avanti la Corte di appello di Palermo che,  tuttavia,  dichiarava  la
propria incompetenza  territoriale  a  seguito  dell'ordinanza  delle
SS.UU. n. 6306 con  cui  veniva  totalmente  innovato  il  precedente
consolidato indirizzo  che  applicava  ai  giudizi  amministrativi  o
contabili presupposti le regole  ordinarie  per  quanto  concerne  la
competenza per territorio per i ricorsi ex art. 2 legge n. 89/2001. 
    Il  Ministero  dell'economia   e   delle   finanze,   ritualmente
costituitosi, segnalava l'opportunita'  di  una  rimeditazione  delle
indicazioni  fornite  dalla  Sezioni  unite   della   Suprema   Corte
nell'ordinanza  n.  6306/2010  e  chiedeva  di  sollevare   d'ufficio
conflitto di competenza ai sensi dell'art. 50 c.p.c. 
    Questa Corte, formulata riserva di decisione, ritiene  di  dovere
sollevare,  d'ufficio,  questione  incidentale  di  costituzionalita'
dell'art. 3 della legge n. 89/2001, il  cui  vaglio  di  legittimita'
costituzionale e' rilevante per il giudizio in corso. 
 
                             In diritto 
 
    L'art. 3, primo comma, della legge n.  89/2001  prevede  che  «la
domanda di equa riparazione si propone dinanzi alla Corte di  appello
del distretto in cui ha sede il giudice competente ai sensi dell'art.
11 del codice  di  procedura  penale  a  giudicare  nei  procedimenti
riguardanti i magistrati nel cui  distretto  e'  concluso  o  estinto
relativamente ai gradi di merito ovvero pende il procedimento nel cui
ambito la violazione si assume verificata». 
    Questa Corte di appello ha piu' volte in  passato  sostenuto,  in
conformita' del resto all'orientamento dei  giudici  di  legittimita'
all'epoca vigente in materia, che in ipotesi, come quella  in  esame,
di giudizi presupposti celebrati davanti a giudici non ordinari -  e,
quindi, non articolati su base  distrettuale  -  non  sussistesse  la
propria competenza per territorio ex art. 11  c.p.p.  a  decidere  in
merito al diritto all'equa riparazione  del  ricorrente,  dovendo  la
competenza territoriale in tali  casi  essere  individuata  non  gia'
secondo il criterio stabilito dall'art. 3 della legge 24  marzo  2001
n. 89, ma in base ai principi generali di  cui  all'art.  25  c.p.c.,
alla stregua del  quale,  quando  l'amministrazione  dello  Stato  e'
convenuta,  la  competenza  appartiene  inderogabilmente  alla  Corte
d'appello nel cui distretto si trova il luogo in cui e' sorta o  deve
eseguirsi l'obbligazione (rispettivamente,  luogo  in  cui  e'  stato
commesso l'illecito,  ovvero  luogo  in  cui  ha  sede  la  tesoreria
provinciale nella cui circoscrizione ha domicilio il creditore). 
    Tuttavia, con la recente decisione  n.  6306/2010  pronunciata  a
Sezioni unite, la Suprema Corte ha totalmente innovato il  precedente
consolidato indirizzo, stabilendo doversi applicare  il  criterio  di
cui alla legge n. 89 del 2001, art. 3, comma 1, ed al richiamato art.
11 c.p.c. anche  ai  procedimenti  presupposti  svoltisi  innanzi  al
giudice speciale. 
    Secondo questa interpretazione della Suprema Corte, che oggi  ben
puo' considerarsi diritto vivente (vedasi le sentenze  della  Suprema
Corte nn. 22930, 24171 e 24286 del 2010),  la  suddetta  disposizione
normativa  andrebbe  letta  nel  senso  di  assicurare  una  uniforme
applicazione per tutta l'area del contenzioso originato  dalla  legge
n. 89/2001. 
    Piu' precisamente, secondo la Corte di  cassazione,  occorrerebbe
considerare in modo unitario il giudizio presupposto nel quale si  e'
determinato il  superamento  della  durata  ragionevole,  assumere  a
fattore rilevante della sua localizzazione la  sede  del  giudice  di
merito distribuito sul territorio, sia  esso  ordinario  o  speciale,
davanti  al  quale  il  giudizio  e'  iniziato,  ed  al  luogo  cosi'
individuato  attribuire  la  funzione   di   attivare   criterio   di
collegamento  della  competenza  e  di  individuazione  del   giudice
competente sulla  domanda  di  equa  riparazione,  che  e'  stabilito
dall'art. 11 del c.p.p. ed e' richiamato nell'art. 3, comma 1,  della
legge n. 89/2001. 
    Tutto cio' non troverebbe ostacolo sul piano lessicale, ad avviso
delle Sezioni unite della Corte  di  cassazione,  nel  fatto  che  la
disposizione faccia uso di un termine  (distretto),  che  e'  proprio
della distribuzione sul territorio delle Corti di appello, atteso che
il termine distretto apparterrebbe alla descrizione del  criterio  di
collegamento  che   il   legislatore   importa   dalla   disposizione
processuale penale e che la sua valenza di delimitare un certo ambito
territoriale potrebbe funzionare in  modo  identico,  quale  che  sia
l'ufficio giudiziario davanti al quale  il  giudizio  presupposto  e'
iniziato e l'ordine giudiziario cui appartiene, perche'  dell'ufficio
giudiziario verrebbe in rilievo la sede e non  l'ambito  territoriale
di competenza. 
    Infine,  sempre  secondo  le  Sezioni  unite,  il  dilatarsi  del
contenzioso innescato dalla legge n. 89 del 2001, che fa ricadere sul
bilancio dello Stato  un  onere  sempre  piu'  gravoso  a  causa  del
perdurare del  fenomeno  della  eccessiva  durata  del  processo,  in
diverso modo comune alle varie giurisdizioni, renderebbe  ragionevole
l'interpretazione accolta, secondo cui i giudici ordinari che debbono
deciderne non siano prossimi a quelli speciali davanti  ai  quali  il
ritardo  si  manifesta  e  consentirebbe  di  ritenere  superate   le
considerazioni svolte nella sentenza 17 luglio 2007 n. 287,  dove  la
Corte costituzionale ha ritenuto non fondate le  preoccupazioni,  che
invece danno ragione del perche' la norma speciale  debba  applicarsi
al posto di quelle ordinarie. 
    Questa Corte sospetta  di  incostituzionalita'  l'art.  3,  comma
primo, della legge 24 marzo 2001 n. 89, nella parte in  cui,  secondo
l'interpretazione delle  Sezioni  unite  della  Corte  di  cassazione
costituente ormai diritto vivente, viene stabilito che il criterio di
collegamento stabilito dall'art.  11  c.p.p.  si  applica  anche  con
riferimento al luogo in cui ha sede il giudice  speciale  dinanzi  al
quale si e' celebrato il giudizio presupposto. 
    1. Innanzitutto, il testo dell'art. 3, comma primo,  della  legge
24 marzo 2001 n. 89 - come sopra interpretato - e', ad  avviso  della
Corte, in contrasto  con  il  principio  costituzionale  del  giudice
naturale precostituito per legge dettato dall'art. 25,  primo  comma,
della Costituzione. 
    E' pacifico nella giurisprudenza della Corte  costituzionale  che
alla nozione del giudice naturale  precostituito  per  legge  non  e'
affatto estranea la ripartizione della  competenza  territoriale  tra
giudici (Corte costituzionale, 08/02/2006, n.  41)  e  che  le  norme
generali della competenza territoriale  uniformemente  previste,  pur
con  la  pluralita'  dei  fori  alternativi,  vanno  a  garantire  la
sussistenza del giudice naturale stesso, inteso non solo come giudice
di tutti previamente individuato e stabilito, ma anche  come  giudice
previamente individuato ed individuabile in relazione  agli  ordinari
criteri previsti dalla legge processuale italiana o dalle  leggi  che
via via regolano la materia. 
    Conseguentemente,  ogni  previsione  normativa  di  deroga   alla
competenza territoriale (soprattutto ove si ponga  piu'  gravosa  per
l'esercizio dell'azione) deve non porsi in contrasto con il principio
di ragionevolezza. 
    La  stessa  Corte  costituzionale  non  manca  di   sottolineare,
infatti, che il principio della precostituzione del giudice,  sancito
dall'art. 25 Cost., si  deve  intendere  rispettato  quando  l'organo
giudicante sia stato istituito dalla  legge  sulla  base  di  criteri
generali fissati in anticipo e non in vista di singole  controversie,
mentre la nozione di giudice naturale non  si  cristallizza  soltanto
nella determinazione di una competenza generale, ma si forma anche  a
seguito di tutte le disposizioni di legge che possano derogare a tale
competenza in base a criteri che ragionevolmente valutino i disparati
interessi coinvolti nel processo (Corte  costituzionale,  30/12/1997,
n. 452). 
    Ebbene,  posto  che  l'art.  3  della  legge  Pinto  non  prevede
espressamente lo spostamento di competenza per le  cause  presupposte
delle giurisdizioni non ordinarie, che  viene  desunto  solo  in  via
interpretativa  dalle  Sezioni  unite,   e'   necessario   che   tale
spostamento di competenza territoriale (rispetto al criterio generale
previsto dall'art. 25 c.p.c.) si presenti, pero', ragionevole per non
porsi in conflitto con l'articolato Costituzionale. 
    Ad  avviso  di  questa  Corte  di  appello,  lo  spostamento   di
competenza  territoriale  applicato  anche  ai  giudizi  presupposti,
definiti  innanzi  alle  giurisdizioni  non   ordinarie,   non   pare
rispettare il parametro di ragionevolezza., non  essendo  supportato,
in  realta',  da  alcun  motivo  prevalente  e  giustificativo  dello
spostamento stesso, se non la ricostruzione  teorica  ontologicamente
unitaria della competenza operata dalle Sezioni unite. 
    Manca nel caso in specie, infatti,  il  primo  supporto  posto  a
fondamento dello spostamento della competenza  territoriale,  vale  a
dire l'imparzialita' e terzieta' del giudice  dell'equa  riparazione,
non potendo verificarsi alcuna interferenza tra giudici ordinari e le
altre giurisdizioni. 
    E' opportuno ricordare che il  medesimo  concetto,  se  pure  con
riferimento ad altra ipotesi, e' stato affermato da  Cass.  sez.  un.
pen. 15 dicembre 2004 n. 292, che  trattando  la  questione  relativa
all'applicabilita' dell'art. 11 cod. proc. pen. alla figura del  vice
pretore onorario, ha evidenziato che tale disciplina riguardava «solo
i magistrati operanti nell'ambito  della  giurisdizione  ordinaria  -
alla quale soltanto si confa' il riferimento al  distretto  di  Corte
d'appello in cui sono  esercitate  le  funzioni  ...,  onde  da  essa
sicuramente esulano i magistrati delle giurisdizioni speciali...». 
    E',  altresi',  opportuno   ricordare   che   tale   impostazione
interpretativa ha trovato l'avallo della Corte costituzionale, che  -
con la ricordata sentenza n. 287 del 17  luglio  2007  -  non  si  e'
limitata a  prendere  atto  della  effettivita'  dell'interpretazione
(allora) costituente diritto vivente, ma (e  cio'  e'  rilevante  per
sostenere   il   sospetto   di   costituzionalita'   della    diversa
interpretazione successivamente propugnata dalle Sezioni unite  della
Suprema Corte con l'ord. n.  6307/2010)  ha  espressamente  formulato
adesione al principio. 
    Invero, la Corte  costituzionale  -  chiamata  a  rispondere  sul
dubbio di legittimita' costituzionale dell'art.  3  in  esame,  nella
parte in cui non dispone che la  competenza  territoriale  funzionale
della Corte di appello, cosi' come regolata dall'art. 11  cod.  proc.
pen.,  per  i  giudizi  di  equa  riparazione  si  estenda  anche  ai
procedimenti, di cui  si  lamenti  l'irragionevole  durata,  svoltisi
davanti alla Corte dei conti  ed  alle  altre  giurisdizioni  di  cui
all'art. 103 della Costituzione - ha cosi' ritenuto che l'art.  3  in
oggetto, nel prescrivere che la domanda  si  propone  alla  Corte  di
appello del distretto ove ha sede  il  giudice  competente  ai  sensi
dell'art.  11  c.p.p.:  «fa  riferimento  alla   sola   articolazione
territoriale  della  giurisdizione  ordinaria,  e  che  il  carattere
eccezionale della norma ne impedisce ogni interpretazione estensiva o
applicazione analogica, con la conseguenza che, nel caso  in  cui  il
giudizio si sia svolto innanzi a giudici non ordinari - siano essi il
TAR o una sezione  giurisdizionale  della  Corte  dei  conti,  i  cui
magistrati non fanno parte di alcun distretto di Corte d'appello,  al
di la' della coincidenza di mero fatto, tra ambito del  distretto  ed
ambito della  circoscrizione  della  sezione,  quanto  al  territorio
regionale - il giudice competente va individuato secondo gli ordinari
criteri dettati dal codice di procedura  civile  e,  in  particolare,
essendo convenuta una amministrazione dello Stato, dall'art. 25  cod.
proc. civ.». 
    Non  solo,  ma  ha,  altresi',  sottolineato  che:  «l'estensione
dell'art. 11 cod. proc. pen. ad ogni procedimento civile non solo non
e'  costituzionalmente  obbligata,  ma   comporterebbe   una   deroga
generalizzata a plurime specifiche  regole  di  competenza,  ciascuna
adeguata a garantire il pieno esercizio del diritto  delle  parti  di
agire e di difendersi in un singolo  tipo  di  controversia,  con  il
rischio di gravi compressioni di tale diritto  (sentenza  n.  51  del
1998).  Ne  consegue  che  il  legislatore  deve  procedere  (secondo
ragionevolezza e nel rispetto  dei  principi  costituzionali)  ad  un
bilanciamento fra l'interesse alla imparzialita-terzieta' del giudice
civile  e  quello  alla  pienezza  ed   effettivita'   della   tutela
giurisdizionale, con riguardo non al processo civile  in  genere,  ma
alle sue singole tipologie,  nel  senso  che  e'  a  lui  rimesso  di
stabilire  quando  ricorra  quell'identita'  di  ratio  che   imponga
l'estensione del criterio di cui si tratta, e quando invece cio'  non
avvenga affatto o la stessa finalita' sia realizzabile attraverso  la
previsione di un foro derogatorio appropriato alla specifica  materia
(sentenze n. 332 del 2003 e n. 458 del  2000).  Alla  generalita'  di
tale principio  non  sfugge  la  competenza  per  le  cause  di  equa
riparazione, il cui carattere derogatorio  ha  indotto  la  Corte  di
cassazione a circoscrivere l'applicazione della norma censurata  alle
ipotesi di appartenenza dei giudici chiamati a giudicare sul  diritto
a tale riparazione allo stesso ordine dei giudici dalla cui attivita'
sia derivato  il  danno  per  l'eventuale  irragionevole  durata  del
processo. 
    Il  dubbio  di  costituzionalita',   relativamente   ai   giudici
amministrativi, non e' formulabile sul mero dato  della  appartenenza
degli stessi giudici alla medesima sede di Corte  d'appello;  ne'  e'
formulabile nei confronti dei giudici contabili, (....) 
    ... Il pericolo  per  l'imparzialita'  del  giudice  e'  talmente
ipotetico che e' giustificato rimetterne comunque la valutazione alla
discrezionalita' del legislatore, cui e' tradizionalmente  attribuito
l'apprestamento  di  misure  idonee  a  salvaguardare   tale   valore
costituzionale,  ove  non  ritenga  che  esso  sia   sufficientemente
assicurato dagli istituti dell'astensione e della ricusazione,  ferma
restando la ragionevolezza dell'art. 3 della legge n.  89  del  2001,
nell'interpretazione restrittiva oggi diritto vivente  ...  non  puo'
inferirsi  che  l'appartenenza  ad  altro  distretto  sia  l'unica  e
insostituibile   garanzia   d'imparzialita',   sia   perche'   quella
giurisprudenza ha comunque ricordato gli istituti  dell'astensione  e
della ricusazione, sia perche', nel caso di specie, e' assorbente  la
considerazione   dell'appartenenza   di   giudici   controllanti    e
controllori ad ordini giurisdizionali diversi». 
    Sotto  altro  (e  non  meno  rilevante)  profilo,  nemmeno   puo'
considerarsi esatta la notazione  della  Suprema  Corte  secondo  cui
l'aumento del contenzioso originato dalla legge Pinto rende opportuno
che i giudici ordinari che debbono deciderne  non  siano  prossimi  a
quelli speciali davanti ai quali il ritardo si manifesta. 
    Infatti l'eventuale interferenza - che  la  Corte  costituzionale
esclude in radice nella  citata  sentenza  n.  287/2007  -  potrebbe,
comunque, verificarsi in ogni caso, data  la  diversa  strutturazione
territoriale dei giudici non ordinari. 
    Quanto  precede  viene  rafforzato  da  un  esempio   che   rende
plasticamente l'inutilita',  ai  fini  in  esame,  dello  spostamento
territoriale per i giudizi presupposti in cui il ritardo si  verifica
presso la Corte dei conti. Ebbene, data la competenza regionale della
Corte dei conti, che copre  territorialmente  tutti  i  distretti  di
Corte di appello  ordinari,  qualunque  Corte  d'appello  decida  sul
ritardo, i giudici medesimi, in ipotesi di apertura  di  procedimenti
di responsabilita', saranno soggetti al giudice  contabile  e  dunque
nessun spostamento di  competenza,  entro  il  territorio  regionale,
evita astrattamente l'interferenza stessa. Manca ancora  qualsivoglia
ragione legata al  rispetto  della  previsione  costituzionale  della
ragionevole  durata  del  processo  di  equa  riparazione,  anzi   lo
spostamento allunga i tempi di definizione del giudizio stesso. 
    E' evidente,   infatti,   che,   ad   esempio,   lo   spostamento
territoriale  dalla  Corte  d'appello  di   Palermo   a   quella   di
Caltanissetta,  per  giudizi   presupposti,   come   quello   odierno
celebratosi al TAR, sede di Palermo, comporti un abnorme allungamento
dei tempi di definizione del processo per due distinte ragioni: 
    a) le parti hanno facolta' di richiedere che  la  Corte  disponga
l'acquisizione in tutto o in parte degli atti  e  dei  documenti  del
procedimento in cui si assume essersi verificata la violazione di cui
all'art. 2. 
    Facolta' questa esercitata nella generalita' dei casi  (dato  che
quasi mai l'incartamento e' nella piena  disponibilita'  delle  parti
richiedenti l'indennizzo) e circostanza che ritarda, data la distanza
geografica ed i tempi occorrenti,  il  ricevimento  dell'incartamento
processuale del giudizio presupposto con allungamento dei termini; 
    b) lo spostamento di  tutti  i  giudizi  presupposti  celebratisi
innanzi le giurisdizioni non ordinarie presso  il  distretto  (inteso
nel senso voluto dalle Sezioni unite) di Palermo, vale a  dire  TARS,
Corte dei conti  (primo  e  secondo  grado),  Commissione  tributaria
centrale e  Consiglio  di  giustizia  amministrativa,  confluendo  in
numero assai elevato presso una piccola Corte d'appello  come  quella
di Caltanissetta comporta la paradossale  conseguenza  dell'ulteriore
disfunzione dello stesso giudizio che deve riparare all'irragionevole
durata del processo presupposto. 
    Lo spostamento di competenza, poi, oltre a porsi in conflitto con
i principi di ragionevolezza e di ragionevole durata del processo  si
pone in ulteriore  contrasto  con  la  stessa  previsione  del  n.  6
dell'art. 3 secondo cui la Corte pronuncia, entro  quattro  mesi  dal
deposito del ricorso, decreto impugnabile per cassazione. 
    Invero,   lo   spostamento   territoriale,   proprio   per    gli
inconvenienti sopra indicati, non consente il rispetto da parte della
Corte di tale termine ponendosi in insanabile contrasto con la stessa
centrale finalita' del giudizio di equa riparazione. 
    Parimenti criticabile e' l'assunto secondo cui  l'interpretazione
operata dalle  Sezione  unite  favorirebbe  l'intera  diffusione  del
contenzioso presso tutte le Corti d'appello alleggerendo il distretto
di Roma ove si trovano gli organi di vertice. 
    Cio' per due ragioni: 
        a) per i giudizi amministrativi presupposti,  lo  spostamento
(a prescindere dalla peculiare e paradossale situazione  della  Corte
d'appello di Caltanissetta ove confluiscono la  quasi  totalita'  dei
giudizi promossi in Sicilia) comporta, dato  la  sede  regionale  dei
TARS - che ha giurisdizione per l'intero territorio regionale  -  che
l'intero carico dei giudizi per il ritardo confluisca solo presso una
Corte d'appello e non presso le altre (nelle regioni ove esistono due
Corti d'appello; e l'effetto e' ancor  piu'  devastante,  e,  quindi,
irragionevole, in Sicilia ove  pur  esistendo  quattro  distretti  di
Corte d'appello, si ha, in concreto, la concentrazione di quasi tutti
i giudizi presupposti trattati dai  giudici  speciali  presso  questa
Corte d'appello di Caltanissetta,  peraltro,  gia'  sottodimensionata
rispetto al bacino di utenza del  distretto  di  Corte  d'appello  di
Palermo, da cui provengono i procedimenti ordinari oggetto di domanda
per equa riparazione devoluti alla competenza di' questa Corte); 
        b) anche la ragione dell'alleggerimento della Corte d'appello
di Roma posta a base dell'ordinanza delle Sezioni  unite  non  appare
esatta, laddove un segmento del ritardo sia relativo al  giudizio  di
Cassazione e/o al giudizio presso altri organi di vertice delle altre
Giurisdizioni. Cio' per la palmare  circostanza  che  applicando  gli
ordinari criteri (per come  indicati  nelle  sentenza  delle  sezioni
semplici prima del revirement) la  competenza  territoriale  andrebbe
determinata  applicando  o  il  foro   del   luogo   ove   e'   sorta
l'obbligazione ovvero quello del luogo  in  cui  deve  eseguirsi  (la
Corte d'appello che si trova ed ha competenza nel luogo di  residenza
del richiedente l'indennizzo). 
    Dunque,   applicando   gli   ordinari   criteri   di   competenza
territoriale, si verificherebbe proprio  il  risultato  voluto  dalla
Corte di cassazione dell'estensione territoriale - della competenza -
di tutte le Corti  d'appello  in  relazione  ai  giudizi  celebratisi
innanzi le giurisdizioni speciali e ai segmenti di giudizio celebrati
innanzi la stessa Corte di cassazione. 
    In conclusione, sul punto, se il giudice  naturale  precostituito
per legge e' quello individuato da  criteri  generali  o  da  singole
disposizioni di legge che possano derogare a tale competenza in  base
a  criteri  che  ragionevolmente  valutino  i   disparati   interessi
coinvolti  nel  processo,  non  puo'   ritenersi   costituzionalmente
conforme al dettato dell'art. 25 Cost. la formulazione  dell'art.  3,
comma primo, legge n. 89/2001, come vive  nell'interpretazione  ormai
costante della Corte di cassazione con riferimento  allo  spostamento
di competenza per i giudizi presupposti celebratisi innanzi a giudici
non ordinari, trattandosi di una deroga che, per le ragioni  sin  qui
prospettate, si pone in contrasto con il principio di ragionevolezza. 
    2. L'interpretazione dell'art. 3, primo  comma,  della  legge  n.
89/2001 formulata dalle Sezioni unite della Corte di cassazione pone,
altresi',  dei  dubbi  di  legittimita'   costituzionale   anche   in
riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione. 
    E' noto, infatti, che la deroga alla competenza  territoriale  di
cui all'art. 11 e.p.p. non e',  nella  sede  penale,  estensibile  ai
magistrati non ordinari e che deroghe  alla  competenza  territoriale
non risultano previste neppure nelle  vicende  processuali  civili  o
amministrative aventi a protagonisti i  magistrati  amministrativi  e
contabile (si ricordi, sul punto, il conforme  orientamento  espresso
dalle  Sezioni  unite  penali  della  Corte  di  cassazione  con   la
menzionata sentenza 15 dicembre 2004, n. 292). 
    Pertanto, a parere di questo Collegio,  e'  irragionevole  e  non
conforme al disposto dell'art. 3 della Costituzione, da un  lato  (si
ribadisce) ritenere che la deroga alla competenza territoriale di cui
all'art.  11  e.p.p.  non  e',  nella  sede  penale,  estensibile  ai
magistrati non ordinari; dall'altro,  ritenere,  invece,  applicabile
tale deroga unicamente per le cause di equa riparazione  e  prevedere
un foro derogatorio solo per tale contenzioso. 
    3. Inoltre, l'interpretazione accolta da Cass. sez. un. civ. ord.
16 marzo 2010 n. 6307 dell'art. 3 della legge n. 89/2001, costituente
diritto vivente, si ritiene contraria all'art. 111, 2°  comma,  della
Costituzione perche' impedisce, in concreto, la generale applicazione
del principio della ragionevole durata del processo. 
    Questa Corte di appello, infatti, cosi' come le  altre  Corti  di
appello che hanno visto  aumentare  a  dismisura  il  contenzioso  in
materia di equa  riparazione  a  causa  della  mole  di  procedimenti
relativi a giudizi innanzi a giudici speciali, non  solo  non  e'  in
condizioni di assicurarne la definizione nei tempi previsti dall'art.
3, 6° comma, della legge  n.  89  del  2001  (quattro  mesi),  ma  e'
costretta a dilatarne i tempi di trattazione con il rischio  concreto
di alimentare ulteriore contenzioso per  durata  irragionevole  sugli
stessi procedimenti ex legge Pinto. 
    Il paradosso e' ancor piu' stridente  se  si  consideri  che  gli
effetti della suddetta trasmigrazione  di  procedimenti  (determinata
dall'avversata  interpretazione  dell'art.  3  di  cui  si   discute)
rischiano di ripercuotersi,  anche,  sulla  durata  dei  procedimenti
«ordinari»  pendenti  presso  questa  Corte  di  appello,   a   causa
dell'aumento complessivo degli affari da trattare (ma trattasi,  come
gia' detto, di situazione facilmente rilevabile nelle altre Corti  di
appello sottodimensionate rispetto agli ulteriori carichi  di  lavoro
derivanti dalla trattazione dei procedimenti per la  non  ragionevole
durata dei giudizi svoltisi innanzi ai giudici speciali). 
    Naturalmente, qui non si discute (ne' si potrebbe)  di  questioni
di politica giudiziaria, ma degli effetti di  un  interpretazione  di
una norma, determinanti, a parere di questo Collegio, la  lesione  di
principi costituzionalmente garantiti e cio', si ritiene, costituisce
dimostrazione della non conformita' ai  parametri  costituzionali  di
una siffatta interpretazione. 
    4. Infine, sembra altresi' sussistere un contrasto con 1'art.  24
della Costituzione per violazione del diritto di difesa. 
    Se, infatti, nella fattispecie in cui il giudizio presupposto  si
sia svolto davanti a giudice speciale, l'interesse alla terzieta' del
giudice e' gia'  sufficientemente  garantito  dall'«appartenenza  dei
giudici controllori e controllati ad ordini giurisdizionali  diversi»
(come gia' statuito nella  sentenza  della  Corte  costituzionale  n.
287/2007), deve allora ritenersi che  l'equo  contemperamento  tra  i
contrapposti valori costituzionali di cui all'art. 108 comma 2  Cost.
e 24 Cost., sia sufficientemente garantito  dagli  istituti  generali
dell'astensione e  ricusazione,  senza  necessita'  di  deroghe  alle
ordinarie  regole  di  individuazione  del  giudice  competente.   Ne
consegue che l'estensione anche a tali ipotesi del  foro  derogatorio
di cui all'art. 3 della legge n. 89/2001 realizza automaticamente uno
sbilanciamento, non necessario, in  favore  dell'interesse  garantito
dall'art.  108  comma  2  Cost.  e  dunque   una   non   giustificata
compressione del diritto di difesa sancito dall'art. 24 Cost. per  il
ricorrente che, per azionare il suo diritto al  risarcimento  per  la
violazione del termine di durata ragionevole del  processo,  si  vede
costretto ad adire la Corte d'appello, geograficamente piu' distante,
individuata ex art. 11 c.p.p., anziche' la Corte d'appello in cui  ha
sede la tesoreria provinciale  nella  cui  circoscrizione  lo  stesso
ricorrente ha il proprio domicilio. 
    In conclusione, si ritiene di rimettere la questione  incidentale
di costituzionalita', che non appare  manifestamente  infondata,  per
contrasto con gli artt. 3, 24, 25 e 111  Cost.,  dell'art.  3,  comma
primo,  della  legge  n.  89/2001,  nella  parte  in   cui,   secondo
l'interpretazione delle Sezioni unite della Corte di  cassazione,  il
criterio di collegamento stabilito dall'art.  11  e.p.p.  si  applica
anche ai procedimenti presupposti  pendenti  o  svoltisi  innanzi  al
giudice speciale. 
    La questione di costituzionalita' prospettata, oltre a non essere
manifestamente infondata per le ragioni sopra evidenziate, ad  avviso
della Corte e' anche rilevante per il giudizio in corso, in quanto se
fosse  ritenuta  fondata  la  questione,   questo   giudice   sarebbe
incompetente.  
 
                               P.Q.M. 
 
    Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 3, primo comma, legge 24  marzo
2001,  n.  89,  nella  parte  in  cui  dispone  che   la   competenza
territoriale funzionale della Corte di appello determinata  ai  sensi
dell'art. 11 e.p.p. si estende anche ai procedimenti iniziati  avanti
alla Corte dei conti ed alle altre giurisdizioni di cui all'art.  103
Cost. per contrasto con gli artt. 3, primo  comma,  24  e  25,  primo
comma, 111, 2° comma, della Costituzione della Repubblica italiana. 
    Sospende il giudizio in corso. 
    Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e  la
notifica della presente ordinanza alle parti in causa, al  Presidente
del Consiglio dei ministri ed ai  Presidenti  delle  due  Camere  del
Parlamento. 
        Caltanissetta, addi' 7 aprile 2011 
 
                       Il Presidente: Perriera