N. 191 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 aprile 2011
Ordinanza del 20 aprile 2011 emessa dalla Corte d'appello di Caltanissetta nel procedimento civile promosso da Morreale Stefania ed altri contro Ministero economia e finanze. Procedimento civile - Domande di equa riparazione dell'irragionevole durata dei processi - Competenza territoriale funzionale della Corte d'appello determinata ai sensi dell'art. 11 del codice di procedura penale - Applicabilita' (secondo il nuovo orientamento delle Sezioni unite civili della Cassazione, considerato "diritto vivente") anche se i procedimenti presupposti, di cui si lamenta l'irragionevole durata, siano iniziati davanti alla Corte dei Conti o alle altre giurisdizioni speciali di cui all'art. 103 della Costituzione - Contrasto con il principio del giudice naturale precostituito per legge - Irragionevolezza - Incidenza sull'applicazione del principio di ragionevole durata del processo - Violazione del diritto di difesa. - Legge 24 marzo 2001, n. 89, art. 3, comma 1. - Costituzione, artt. 3, primo comma, 24, 25, primo comma, e 111, comma secondo.(GU n.41 del 28-9-2011 )
LA CORTE DI APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza. Nel procedimento per equa riparazione iscritto al n. 601/2010 R.G.C., promosso da Morreale Stefania, Morreale Antonino, Morreale Giuseppe, Morreale Rosario, nella qualita' di eredi di Galiano Calogera, elettivamente domiciliati in Caltanissetta, presso lo studio dell'avv. Alfredo Saia, rappresentati e difesi dagli avv.ti Girolamo Rubino e Laura Rollini, contro il Ministero dell'economia e delle finanze (Avvocatura distrettuale dello Stato). Letti gli atti, a scioglimento della riserva assunta all'udienza del 14 marzo 2011, osserva: In fatto Con il ricorso in riassunzione in esame gli odierni ricorrenti chiedevano che venisse accertata la violazione dell'art. 6 parte I, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali in relazione al procedimento giudiziario avviato dalla loro dante causa innanzi al TAR di Palermo, con ricorso del 5.06.1996, non ancora definito, con conseguente condanna dell'amministrazione convenuta al pagamento della somma spettante a titolo di equa riparazione per l'irragionevole durata del processo. Premettevano, al riguardo, di avere presentato l'odierna istanza avanti la Corte di appello di Palermo che, tuttavia, dichiarava la propria incompetenza territoriale a seguito dell'ordinanza delle SS.UU. n. 6306 con cui veniva totalmente innovato il precedente consolidato indirizzo che applicava ai giudizi amministrativi o contabili presupposti le regole ordinarie per quanto concerne la competenza per territorio per i ricorsi ex art. 2 legge n. 89/2001. Il Ministero dell'economia e delle finanze, ritualmente costituitosi, segnalava l'opportunita' di una rimeditazione delle indicazioni fornite dalla Sezioni unite della Suprema Corte nell'ordinanza n. 6306/2010 e chiedeva di sollevare d'ufficio conflitto di competenza ai sensi dell'art. 50 c.p.c. Questa Corte, formulata riserva di decisione, ritiene di dovere sollevare, d'ufficio, questione incidentale di costituzionalita' dell'art. 3 della legge n. 89/2001, il cui vaglio di legittimita' costituzionale e' rilevante per il giudizio in corso. In diritto L'art. 3, primo comma, della legge n. 89/2001 prevede che «la domanda di equa riparazione si propone dinanzi alla Corte di appello del distretto in cui ha sede il giudice competente ai sensi dell'art. 11 del codice di procedura penale a giudicare nei procedimenti riguardanti i magistrati nel cui distretto e' concluso o estinto relativamente ai gradi di merito ovvero pende il procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata». Questa Corte di appello ha piu' volte in passato sostenuto, in conformita' del resto all'orientamento dei giudici di legittimita' all'epoca vigente in materia, che in ipotesi, come quella in esame, di giudizi presupposti celebrati davanti a giudici non ordinari - e, quindi, non articolati su base distrettuale - non sussistesse la propria competenza per territorio ex art. 11 c.p.p. a decidere in merito al diritto all'equa riparazione del ricorrente, dovendo la competenza territoriale in tali casi essere individuata non gia' secondo il criterio stabilito dall'art. 3 della legge 24 marzo 2001 n. 89, ma in base ai principi generali di cui all'art. 25 c.p.c., alla stregua del quale, quando l'amministrazione dello Stato e' convenuta, la competenza appartiene inderogabilmente alla Corte d'appello nel cui distretto si trova il luogo in cui e' sorta o deve eseguirsi l'obbligazione (rispettivamente, luogo in cui e' stato commesso l'illecito, ovvero luogo in cui ha sede la tesoreria provinciale nella cui circoscrizione ha domicilio il creditore). Tuttavia, con la recente decisione n. 6306/2010 pronunciata a Sezioni unite, la Suprema Corte ha totalmente innovato il precedente consolidato indirizzo, stabilendo doversi applicare il criterio di cui alla legge n. 89 del 2001, art. 3, comma 1, ed al richiamato art. 11 c.p.c. anche ai procedimenti presupposti svoltisi innanzi al giudice speciale. Secondo questa interpretazione della Suprema Corte, che oggi ben puo' considerarsi diritto vivente (vedasi le sentenze della Suprema Corte nn. 22930, 24171 e 24286 del 2010), la suddetta disposizione normativa andrebbe letta nel senso di assicurare una uniforme applicazione per tutta l'area del contenzioso originato dalla legge n. 89/2001. Piu' precisamente, secondo la Corte di cassazione, occorrerebbe considerare in modo unitario il giudizio presupposto nel quale si e' determinato il superamento della durata ragionevole, assumere a fattore rilevante della sua localizzazione la sede del giudice di merito distribuito sul territorio, sia esso ordinario o speciale, davanti al quale il giudizio e' iniziato, ed al luogo cosi' individuato attribuire la funzione di attivare criterio di collegamento della competenza e di individuazione del giudice competente sulla domanda di equa riparazione, che e' stabilito dall'art. 11 del c.p.p. ed e' richiamato nell'art. 3, comma 1, della legge n. 89/2001. Tutto cio' non troverebbe ostacolo sul piano lessicale, ad avviso delle Sezioni unite della Corte di cassazione, nel fatto che la disposizione faccia uso di un termine (distretto), che e' proprio della distribuzione sul territorio delle Corti di appello, atteso che il termine distretto apparterrebbe alla descrizione del criterio di collegamento che il legislatore importa dalla disposizione processuale penale e che la sua valenza di delimitare un certo ambito territoriale potrebbe funzionare in modo identico, quale che sia l'ufficio giudiziario davanti al quale il giudizio presupposto e' iniziato e l'ordine giudiziario cui appartiene, perche' dell'ufficio giudiziario verrebbe in rilievo la sede e non l'ambito territoriale di competenza. Infine, sempre secondo le Sezioni unite, il dilatarsi del contenzioso innescato dalla legge n. 89 del 2001, che fa ricadere sul bilancio dello Stato un onere sempre piu' gravoso a causa del perdurare del fenomeno della eccessiva durata del processo, in diverso modo comune alle varie giurisdizioni, renderebbe ragionevole l'interpretazione accolta, secondo cui i giudici ordinari che debbono deciderne non siano prossimi a quelli speciali davanti ai quali il ritardo si manifesta e consentirebbe di ritenere superate le considerazioni svolte nella sentenza 17 luglio 2007 n. 287, dove la Corte costituzionale ha ritenuto non fondate le preoccupazioni, che invece danno ragione del perche' la norma speciale debba applicarsi al posto di quelle ordinarie. Questa Corte sospetta di incostituzionalita' l'art. 3, comma primo, della legge 24 marzo 2001 n. 89, nella parte in cui, secondo l'interpretazione delle Sezioni unite della Corte di cassazione costituente ormai diritto vivente, viene stabilito che il criterio di collegamento stabilito dall'art. 11 c.p.p. si applica anche con riferimento al luogo in cui ha sede il giudice speciale dinanzi al quale si e' celebrato il giudizio presupposto. 1. Innanzitutto, il testo dell'art. 3, comma primo, della legge 24 marzo 2001 n. 89 - come sopra interpretato - e', ad avviso della Corte, in contrasto con il principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge dettato dall'art. 25, primo comma, della Costituzione. E' pacifico nella giurisprudenza della Corte costituzionale che alla nozione del giudice naturale precostituito per legge non e' affatto estranea la ripartizione della competenza territoriale tra giudici (Corte costituzionale, 08/02/2006, n. 41) e che le norme generali della competenza territoriale uniformemente previste, pur con la pluralita' dei fori alternativi, vanno a garantire la sussistenza del giudice naturale stesso, inteso non solo come giudice di tutti previamente individuato e stabilito, ma anche come giudice previamente individuato ed individuabile in relazione agli ordinari criteri previsti dalla legge processuale italiana o dalle leggi che via via regolano la materia. Conseguentemente, ogni previsione normativa di deroga alla competenza territoriale (soprattutto ove si ponga piu' gravosa per l'esercizio dell'azione) deve non porsi in contrasto con il principio di ragionevolezza. La stessa Corte costituzionale non manca di sottolineare, infatti, che il principio della precostituzione del giudice, sancito dall'art. 25 Cost., si deve intendere rispettato quando l'organo giudicante sia stato istituito dalla legge sulla base di criteri generali fissati in anticipo e non in vista di singole controversie, mentre la nozione di giudice naturale non si cristallizza soltanto nella determinazione di una competenza generale, ma si forma anche a seguito di tutte le disposizioni di legge che possano derogare a tale competenza in base a criteri che ragionevolmente valutino i disparati interessi coinvolti nel processo (Corte costituzionale, 30/12/1997, n. 452). Ebbene, posto che l'art. 3 della legge Pinto non prevede espressamente lo spostamento di competenza per le cause presupposte delle giurisdizioni non ordinarie, che viene desunto solo in via interpretativa dalle Sezioni unite, e' necessario che tale spostamento di competenza territoriale (rispetto al criterio generale previsto dall'art. 25 c.p.c.) si presenti, pero', ragionevole per non porsi in conflitto con l'articolato Costituzionale. Ad avviso di questa Corte di appello, lo spostamento di competenza territoriale applicato anche ai giudizi presupposti, definiti innanzi alle giurisdizioni non ordinarie, non pare rispettare il parametro di ragionevolezza., non essendo supportato, in realta', da alcun motivo prevalente e giustificativo dello spostamento stesso, se non la ricostruzione teorica ontologicamente unitaria della competenza operata dalle Sezioni unite. Manca nel caso in specie, infatti, il primo supporto posto a fondamento dello spostamento della competenza territoriale, vale a dire l'imparzialita' e terzieta' del giudice dell'equa riparazione, non potendo verificarsi alcuna interferenza tra giudici ordinari e le altre giurisdizioni. E' opportuno ricordare che il medesimo concetto, se pure con riferimento ad altra ipotesi, e' stato affermato da Cass. sez. un. pen. 15 dicembre 2004 n. 292, che trattando la questione relativa all'applicabilita' dell'art. 11 cod. proc. pen. alla figura del vice pretore onorario, ha evidenziato che tale disciplina riguardava «solo i magistrati operanti nell'ambito della giurisdizione ordinaria - alla quale soltanto si confa' il riferimento al distretto di Corte d'appello in cui sono esercitate le funzioni ..., onde da essa sicuramente esulano i magistrati delle giurisdizioni speciali...». E', altresi', opportuno ricordare che tale impostazione interpretativa ha trovato l'avallo della Corte costituzionale, che - con la ricordata sentenza n. 287 del 17 luglio 2007 - non si e' limitata a prendere atto della effettivita' dell'interpretazione (allora) costituente diritto vivente, ma (e cio' e' rilevante per sostenere il sospetto di costituzionalita' della diversa interpretazione successivamente propugnata dalle Sezioni unite della Suprema Corte con l'ord. n. 6307/2010) ha espressamente formulato adesione al principio. Invero, la Corte costituzionale - chiamata a rispondere sul dubbio di legittimita' costituzionale dell'art. 3 in esame, nella parte in cui non dispone che la competenza territoriale funzionale della Corte di appello, cosi' come regolata dall'art. 11 cod. proc. pen., per i giudizi di equa riparazione si estenda anche ai procedimenti, di cui si lamenti l'irragionevole durata, svoltisi davanti alla Corte dei conti ed alle altre giurisdizioni di cui all'art. 103 della Costituzione - ha cosi' ritenuto che l'art. 3 in oggetto, nel prescrivere che la domanda si propone alla Corte di appello del distretto ove ha sede il giudice competente ai sensi dell'art. 11 c.p.p.: «fa riferimento alla sola articolazione territoriale della giurisdizione ordinaria, e che il carattere eccezionale della norma ne impedisce ogni interpretazione estensiva o applicazione analogica, con la conseguenza che, nel caso in cui il giudizio si sia svolto innanzi a giudici non ordinari - siano essi il TAR o una sezione giurisdizionale della Corte dei conti, i cui magistrati non fanno parte di alcun distretto di Corte d'appello, al di la' della coincidenza di mero fatto, tra ambito del distretto ed ambito della circoscrizione della sezione, quanto al territorio regionale - il giudice competente va individuato secondo gli ordinari criteri dettati dal codice di procedura civile e, in particolare, essendo convenuta una amministrazione dello Stato, dall'art. 25 cod. proc. civ.». Non solo, ma ha, altresi', sottolineato che: «l'estensione dell'art. 11 cod. proc. pen. ad ogni procedimento civile non solo non e' costituzionalmente obbligata, ma comporterebbe una deroga generalizzata a plurime specifiche regole di competenza, ciascuna adeguata a garantire il pieno esercizio del diritto delle parti di agire e di difendersi in un singolo tipo di controversia, con il rischio di gravi compressioni di tale diritto (sentenza n. 51 del 1998). Ne consegue che il legislatore deve procedere (secondo ragionevolezza e nel rispetto dei principi costituzionali) ad un bilanciamento fra l'interesse alla imparzialita-terzieta' del giudice civile e quello alla pienezza ed effettivita' della tutela giurisdizionale, con riguardo non al processo civile in genere, ma alle sue singole tipologie, nel senso che e' a lui rimesso di stabilire quando ricorra quell'identita' di ratio che imponga l'estensione del criterio di cui si tratta, e quando invece cio' non avvenga affatto o la stessa finalita' sia realizzabile attraverso la previsione di un foro derogatorio appropriato alla specifica materia (sentenze n. 332 del 2003 e n. 458 del 2000). Alla generalita' di tale principio non sfugge la competenza per le cause di equa riparazione, il cui carattere derogatorio ha indotto la Corte di cassazione a circoscrivere l'applicazione della norma censurata alle ipotesi di appartenenza dei giudici chiamati a giudicare sul diritto a tale riparazione allo stesso ordine dei giudici dalla cui attivita' sia derivato il danno per l'eventuale irragionevole durata del processo. Il dubbio di costituzionalita', relativamente ai giudici amministrativi, non e' formulabile sul mero dato della appartenenza degli stessi giudici alla medesima sede di Corte d'appello; ne' e' formulabile nei confronti dei giudici contabili, (....) ... Il pericolo per l'imparzialita' del giudice e' talmente ipotetico che e' giustificato rimetterne comunque la valutazione alla discrezionalita' del legislatore, cui e' tradizionalmente attribuito l'apprestamento di misure idonee a salvaguardare tale valore costituzionale, ove non ritenga che esso sia sufficientemente assicurato dagli istituti dell'astensione e della ricusazione, ferma restando la ragionevolezza dell'art. 3 della legge n. 89 del 2001, nell'interpretazione restrittiva oggi diritto vivente ... non puo' inferirsi che l'appartenenza ad altro distretto sia l'unica e insostituibile garanzia d'imparzialita', sia perche' quella giurisprudenza ha comunque ricordato gli istituti dell'astensione e della ricusazione, sia perche', nel caso di specie, e' assorbente la considerazione dell'appartenenza di giudici controllanti e controllori ad ordini giurisdizionali diversi». Sotto altro (e non meno rilevante) profilo, nemmeno puo' considerarsi esatta la notazione della Suprema Corte secondo cui l'aumento del contenzioso originato dalla legge Pinto rende opportuno che i giudici ordinari che debbono deciderne non siano prossimi a quelli speciali davanti ai quali il ritardo si manifesta. Infatti l'eventuale interferenza - che la Corte costituzionale esclude in radice nella citata sentenza n. 287/2007 - potrebbe, comunque, verificarsi in ogni caso, data la diversa strutturazione territoriale dei giudici non ordinari. Quanto precede viene rafforzato da un esempio che rende plasticamente l'inutilita', ai fini in esame, dello spostamento territoriale per i giudizi presupposti in cui il ritardo si verifica presso la Corte dei conti. Ebbene, data la competenza regionale della Corte dei conti, che copre territorialmente tutti i distretti di Corte di appello ordinari, qualunque Corte d'appello decida sul ritardo, i giudici medesimi, in ipotesi di apertura di procedimenti di responsabilita', saranno soggetti al giudice contabile e dunque nessun spostamento di competenza, entro il territorio regionale, evita astrattamente l'interferenza stessa. Manca ancora qualsivoglia ragione legata al rispetto della previsione costituzionale della ragionevole durata del processo di equa riparazione, anzi lo spostamento allunga i tempi di definizione del giudizio stesso. E' evidente, infatti, che, ad esempio, lo spostamento territoriale dalla Corte d'appello di Palermo a quella di Caltanissetta, per giudizi presupposti, come quello odierno celebratosi al TAR, sede di Palermo, comporti un abnorme allungamento dei tempi di definizione del processo per due distinte ragioni: a) le parti hanno facolta' di richiedere che la Corte disponga l'acquisizione in tutto o in parte degli atti e dei documenti del procedimento in cui si assume essersi verificata la violazione di cui all'art. 2. Facolta' questa esercitata nella generalita' dei casi (dato che quasi mai l'incartamento e' nella piena disponibilita' delle parti richiedenti l'indennizzo) e circostanza che ritarda, data la distanza geografica ed i tempi occorrenti, il ricevimento dell'incartamento processuale del giudizio presupposto con allungamento dei termini; b) lo spostamento di tutti i giudizi presupposti celebratisi innanzi le giurisdizioni non ordinarie presso il distretto (inteso nel senso voluto dalle Sezioni unite) di Palermo, vale a dire TARS, Corte dei conti (primo e secondo grado), Commissione tributaria centrale e Consiglio di giustizia amministrativa, confluendo in numero assai elevato presso una piccola Corte d'appello come quella di Caltanissetta comporta la paradossale conseguenza dell'ulteriore disfunzione dello stesso giudizio che deve riparare all'irragionevole durata del processo presupposto. Lo spostamento di competenza, poi, oltre a porsi in conflitto con i principi di ragionevolezza e di ragionevole durata del processo si pone in ulteriore contrasto con la stessa previsione del n. 6 dell'art. 3 secondo cui la Corte pronuncia, entro quattro mesi dal deposito del ricorso, decreto impugnabile per cassazione. Invero, lo spostamento territoriale, proprio per gli inconvenienti sopra indicati, non consente il rispetto da parte della Corte di tale termine ponendosi in insanabile contrasto con la stessa centrale finalita' del giudizio di equa riparazione. Parimenti criticabile e' l'assunto secondo cui l'interpretazione operata dalle Sezione unite favorirebbe l'intera diffusione del contenzioso presso tutte le Corti d'appello alleggerendo il distretto di Roma ove si trovano gli organi di vertice. Cio' per due ragioni: a) per i giudizi amministrativi presupposti, lo spostamento (a prescindere dalla peculiare e paradossale situazione della Corte d'appello di Caltanissetta ove confluiscono la quasi totalita' dei giudizi promossi in Sicilia) comporta, dato la sede regionale dei TARS - che ha giurisdizione per l'intero territorio regionale - che l'intero carico dei giudizi per il ritardo confluisca solo presso una Corte d'appello e non presso le altre (nelle regioni ove esistono due Corti d'appello; e l'effetto e' ancor piu' devastante, e, quindi, irragionevole, in Sicilia ove pur esistendo quattro distretti di Corte d'appello, si ha, in concreto, la concentrazione di quasi tutti i giudizi presupposti trattati dai giudici speciali presso questa Corte d'appello di Caltanissetta, peraltro, gia' sottodimensionata rispetto al bacino di utenza del distretto di Corte d'appello di Palermo, da cui provengono i procedimenti ordinari oggetto di domanda per equa riparazione devoluti alla competenza di' questa Corte); b) anche la ragione dell'alleggerimento della Corte d'appello di Roma posta a base dell'ordinanza delle Sezioni unite non appare esatta, laddove un segmento del ritardo sia relativo al giudizio di Cassazione e/o al giudizio presso altri organi di vertice delle altre Giurisdizioni. Cio' per la palmare circostanza che applicando gli ordinari criteri (per come indicati nelle sentenza delle sezioni semplici prima del revirement) la competenza territoriale andrebbe determinata applicando o il foro del luogo ove e' sorta l'obbligazione ovvero quello del luogo in cui deve eseguirsi (la Corte d'appello che si trova ed ha competenza nel luogo di residenza del richiedente l'indennizzo). Dunque, applicando gli ordinari criteri di competenza territoriale, si verificherebbe proprio il risultato voluto dalla Corte di cassazione dell'estensione territoriale - della competenza - di tutte le Corti d'appello in relazione ai giudizi celebratisi innanzi le giurisdizioni speciali e ai segmenti di giudizio celebrati innanzi la stessa Corte di cassazione. In conclusione, sul punto, se il giudice naturale precostituito per legge e' quello individuato da criteri generali o da singole disposizioni di legge che possano derogare a tale competenza in base a criteri che ragionevolmente valutino i disparati interessi coinvolti nel processo, non puo' ritenersi costituzionalmente conforme al dettato dell'art. 25 Cost. la formulazione dell'art. 3, comma primo, legge n. 89/2001, come vive nell'interpretazione ormai costante della Corte di cassazione con riferimento allo spostamento di competenza per i giudizi presupposti celebratisi innanzi a giudici non ordinari, trattandosi di una deroga che, per le ragioni sin qui prospettate, si pone in contrasto con il principio di ragionevolezza. 2. L'interpretazione dell'art. 3, primo comma, della legge n. 89/2001 formulata dalle Sezioni unite della Corte di cassazione pone, altresi', dei dubbi di legittimita' costituzionale anche in riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione. E' noto, infatti, che la deroga alla competenza territoriale di cui all'art. 11 e.p.p. non e', nella sede penale, estensibile ai magistrati non ordinari e che deroghe alla competenza territoriale non risultano previste neppure nelle vicende processuali civili o amministrative aventi a protagonisti i magistrati amministrativi e contabile (si ricordi, sul punto, il conforme orientamento espresso dalle Sezioni unite penali della Corte di cassazione con la menzionata sentenza 15 dicembre 2004, n. 292). Pertanto, a parere di questo Collegio, e' irragionevole e non conforme al disposto dell'art. 3 della Costituzione, da un lato (si ribadisce) ritenere che la deroga alla competenza territoriale di cui all'art. 11 e.p.p. non e', nella sede penale, estensibile ai magistrati non ordinari; dall'altro, ritenere, invece, applicabile tale deroga unicamente per le cause di equa riparazione e prevedere un foro derogatorio solo per tale contenzioso. 3. Inoltre, l'interpretazione accolta da Cass. sez. un. civ. ord. 16 marzo 2010 n. 6307 dell'art. 3 della legge n. 89/2001, costituente diritto vivente, si ritiene contraria all'art. 111, 2° comma, della Costituzione perche' impedisce, in concreto, la generale applicazione del principio della ragionevole durata del processo. Questa Corte di appello, infatti, cosi' come le altre Corti di appello che hanno visto aumentare a dismisura il contenzioso in materia di equa riparazione a causa della mole di procedimenti relativi a giudizi innanzi a giudici speciali, non solo non e' in condizioni di assicurarne la definizione nei tempi previsti dall'art. 3, 6° comma, della legge n. 89 del 2001 (quattro mesi), ma e' costretta a dilatarne i tempi di trattazione con il rischio concreto di alimentare ulteriore contenzioso per durata irragionevole sugli stessi procedimenti ex legge Pinto. Il paradosso e' ancor piu' stridente se si consideri che gli effetti della suddetta trasmigrazione di procedimenti (determinata dall'avversata interpretazione dell'art. 3 di cui si discute) rischiano di ripercuotersi, anche, sulla durata dei procedimenti «ordinari» pendenti presso questa Corte di appello, a causa dell'aumento complessivo degli affari da trattare (ma trattasi, come gia' detto, di situazione facilmente rilevabile nelle altre Corti di appello sottodimensionate rispetto agli ulteriori carichi di lavoro derivanti dalla trattazione dei procedimenti per la non ragionevole durata dei giudizi svoltisi innanzi ai giudici speciali). Naturalmente, qui non si discute (ne' si potrebbe) di questioni di politica giudiziaria, ma degli effetti di un interpretazione di una norma, determinanti, a parere di questo Collegio, la lesione di principi costituzionalmente garantiti e cio', si ritiene, costituisce dimostrazione della non conformita' ai parametri costituzionali di una siffatta interpretazione. 4. Infine, sembra altresi' sussistere un contrasto con 1'art. 24 della Costituzione per violazione del diritto di difesa. Se, infatti, nella fattispecie in cui il giudizio presupposto si sia svolto davanti a giudice speciale, l'interesse alla terzieta' del giudice e' gia' sufficientemente garantito dall'«appartenenza dei giudici controllori e controllati ad ordini giurisdizionali diversi» (come gia' statuito nella sentenza della Corte costituzionale n. 287/2007), deve allora ritenersi che l'equo contemperamento tra i contrapposti valori costituzionali di cui all'art. 108 comma 2 Cost. e 24 Cost., sia sufficientemente garantito dagli istituti generali dell'astensione e ricusazione, senza necessita' di deroghe alle ordinarie regole di individuazione del giudice competente. Ne consegue che l'estensione anche a tali ipotesi del foro derogatorio di cui all'art. 3 della legge n. 89/2001 realizza automaticamente uno sbilanciamento, non necessario, in favore dell'interesse garantito dall'art. 108 comma 2 Cost. e dunque una non giustificata compressione del diritto di difesa sancito dall'art. 24 Cost. per il ricorrente che, per azionare il suo diritto al risarcimento per la violazione del termine di durata ragionevole del processo, si vede costretto ad adire la Corte d'appello, geograficamente piu' distante, individuata ex art. 11 c.p.p., anziche' la Corte d'appello in cui ha sede la tesoreria provinciale nella cui circoscrizione lo stesso ricorrente ha il proprio domicilio. In conclusione, si ritiene di rimettere la questione incidentale di costituzionalita', che non appare manifestamente infondata, per contrasto con gli artt. 3, 24, 25 e 111 Cost., dell'art. 3, comma primo, della legge n. 89/2001, nella parte in cui, secondo l'interpretazione delle Sezioni unite della Corte di cassazione, il criterio di collegamento stabilito dall'art. 11 e.p.p. si applica anche ai procedimenti presupposti pendenti o svoltisi innanzi al giudice speciale. La questione di costituzionalita' prospettata, oltre a non essere manifestamente infondata per le ragioni sopra evidenziate, ad avviso della Corte e' anche rilevante per il giudizio in corso, in quanto se fosse ritenuta fondata la questione, questo giudice sarebbe incompetente.
P.Q.M. Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, primo comma, legge 24 marzo 2001, n. 89, nella parte in cui dispone che la competenza territoriale funzionale della Corte di appello determinata ai sensi dell'art. 11 e.p.p. si estende anche ai procedimenti iniziati avanti alla Corte dei conti ed alle altre giurisdizioni di cui all'art. 103 Cost. per contrasto con gli artt. 3, primo comma, 24 e 25, primo comma, 111, 2° comma, della Costituzione della Repubblica italiana. Sospende il giudizio in corso. Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la notifica della presente ordinanza alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei ministri ed ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Caltanissetta, addi' 7 aprile 2011 Il Presidente: Perriera