N. 192 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 febbraio 2011
Ordinanza del 24 febbraio 2011 emessa dal giudice dell'esecuzione del tribunale di Reggio Emilia nel procedimento civile promosso da Equitalia Emilia Nord S.p.a. contro Contini Contino. Imposte e tasse - Riscossione delle imposte - Esecuzione esattoriale - Esito negativo del terzo incanto nell'espropriazione forzata immobiliare - Assegnazione dell'immobile allo Stato "per il minor prezzo tra il prezzo base del terzo incanto e la somma per la quale si procede", anziche' "per il prezzo base del terzo incanto" - Violazione del principio di ragionevolezza rispetto ai mezzi giuridici e allo scopo pratico, nonche' del principio di uguaglianza in se' e in relazione al principio di capacita' contributiva - Violazione dei principi di eguaglianza, ragionevolezza e determinatezza delle prestazioni imposte, pur nell'ipotesi in cui il criterio della "minor somma" abbia natura sanzionatoria - Irragionevole determinazione del prezzo per l'assegnazione coattiva in misura pari alla "minor ... somma per la quale si procede", non collegata in alcun modo al valore di mercato dell'immobile. - Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, art. 85, comma 1. - Costituzione, artt. 3, 42 e 53.(GU n.41 del 28-9-2011 )
IL TRIBUNALE Nella procedura esecutiva esattoriale n. 353/2009 R.G. Esec. promossa da Equitalia Emilia Nord S.p.a. (Agente per la riscossione tributi) contro Contini Contino. Il giudice dell'esecuzione sciogliendo la riserva formulata all'udienza del 22/2/2011, Equitalia Emilia Nord ha intrapreso la procedura di riscossione esattoriale nei confronti del debitore Contini Contino per un credito di complessivi euro 38.611,20, di cui euro 479,60 per «tributo erariale», compreso mora, compensi e spese di procedura (v. istanza depositata da Equitalia il 25/3/2010). Nella procedura hanno avuto luogo e sono andati deserti tre esperimenti di incanto sull'immobile pignorato alle date del 18/11/2009, 9/12/2009, 13/1/2010. Con istanza in data 25/3/2010 Equitalia Emilia Nord richiedeva l'assegnazione allo Stato ai sensi dell'art. 85 D.P.R. 29/9/1973 n. 602 («Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito») al minor prezzo tra la base d'asta del terzo incanto, pari ad euro 72.275,00 e la somma per la quale si procede (sopra indicata). All'udienza del 22/2/2011, fissata per l'audizione delle parti in ordine all'istanza ex art. 85 D.P.R. 29/9/1973 n. 602, il giudice dell'esecuzione si riservava la decisione. Come gia' ritenuto da altri Tribunali (Tribunale di Forli' - Reg. ord. n. 380 del 2010; Tribunale di Torino - Reg. ord. n. 5 del 2011), si reputa che: 1) esistano fondati motivi per dubitare della legittimita' costituzionale dell'art. 85 comma 1° D.P.R. 29/9/1973 n. 602 (per quanto di seguito esposto); 2) la questione sia rilevante nella procedura de qua, poiche' da essa dipende l'accoglimento o il rigetto dell'istanza di assegnazione e comunque la misura del prezzo da fissare perche' lo Stato italiano acquisisca la proprieta' dell'immobile pignorato; 3) sia necessario disporre la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale ai sensi dell'art. 23 legge 11/3/1953 n. 87 perche' si pronunci sulla questione, sospendendo nelle more l'esecuzione. Analisi del testo normativo L'art. 85 D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, nel testo attualmente vigente, prevede: 1. Se il terzo incanto ha esito negativo, il concessionario, nei dieci giorni successivi, chiede al giudice dell'esecuzione l'assegnazione dell'immobile allo Stato per il minor prezzo tra il prezzo base del terzo incanto e la somma per la quale si procede, depositando nella cancelleria del giudice dell'esecuzione gli atti del procedimento. 2. Il giudice dell'esecuzione dispone l'assegnazione, secondo la procedura prevista dall'art. 590 del codice di procedura civile. Il termine per il versamento del prezzo per il quale e' stata disposta l'assegnazione non puo' essere inferiore a sei mesi. 3. In caso di mancato versamento del prezzo di assegnazione nel termine, il processo esecutivo si estingue se il concessionario, nei trenta giorni successivi alla scadenza di tale termine, non dichiara, su indicazione dell'ufficio che ha formato il ruolo, di voler procedere a un ulteriore incanto per un prezzo base inferiore di un terzo rispetto a quello dell'ultimo incanto. Il processo esecutivo si estingue comunque se anche tale incanto ha esito negativo. La norma riguarda la riscossione delle sole entrate dello Stato di natura tributaria e non puo', dunque, applicarsi ad entrate patrimoniali dello Stato, ne' ad entrate di enti impositori diversi dallo Stato, per i quali e' prevista ope legis la (o che sono comunque ammessi ad avvalersi della) procedura di riscossione mediante ruolo disciplinata dal d.lgs. 26/2/1999 n. 46. La limitazione alle sole entrate tributarie e' prevista dall'art. 30 d.lgs. 26/2/1999 n. 46. L'art. 85 attribuisce al giudice dell'esecuzione l'adozione dei provvedimenti necessari a far acquistare la proprieta' dell'immobile allo Stato: l'istanza del concessionario e' rivolta al giudice dell'esecuzione; il giudice dispone l'assegnazione, fissando allo Stato il termine, non inferiore a sei mesi, per il versamento del prezzo di assegnazione; avvenuto il versamento, il giudice pronuncia il decreto di trasferimento a norma dell'art. 586, secondo quanto prevede l'art. 590 c.p.c. Rispetto alla devoluzione dei beni allo Stato, gia' prevista dall'art. 87 D.P.R. 29/9/1973 n. 602 (testo abrogato dal d.lgs. 26/2/1999 n. 46) e' venuto meno ogni automatismo nell'acquisto dell'immobile da parte dello Stato. La norma, infatti, prevedeva che - in caso di diserzione del terzo incanto (o mancata autorizzazione dell'intendente di finanza al suo svolgimento) - «l'immobile e' devoluto di diritto allo Stato» e il comma 2°, coerentemente, individuava nel «verbale di esito negativo del terzo incanto, corredato dal provvedimento autorizzativo dell'intendente di finanza» il titolo per la trascrizione della devoluzione nei registri immobiliari. Attualmente, il giudice non ha alcun potere discrezionale di non far luogo all'assegnazione allo Stato quando ne ricorrano i presupposti (terzo incanto deserto, istanza del concessionario, la quale e', peraltro, atto dovuto), ne' di rifiutare, poi, l'emissione del decreto di trasferimento quando lo Stato ha versato il prezzo nel termine assegnatogli. Che il giudice abbia un potere discrezionale nel decidere su istanze di assegnazione proposte in un'esecuzione ordinaria e' questione dubbia, visto che - da un lato - l'art. 589 c.p.c. indica il valore per il quale puo' essere chiesta l'assegnazione e - dall'altro - l'art. 591 c.p.c. consente al giudice di «decidere di non accoglierle» facendo luogo a nuovo incanto. Con riguardo all'art. 85 de quo questi dubbi interpretativi non sussistono: I) la norma chiaramente indica che «Il giudice dell'esecuzione dispone l'assegnazione» (e non «puo' disporre»); II) non rientra nei poteri del giudice disporre lo svolgimento di ulteriore incanto, in luogo dell'accoglimento dell'istanza di assegnazione allo Stato (il potere di ordinare un quarto e ultimo esperimento di asta spetta soltanto all'ente impositore). L'assegnazione e' dunque un atto necessario - ma dovuto - affinche' lo Stato ottenga il trasferimento di proprieta' previo versamento del prezzo. L'assegnazione prevista dall'art. 85 de quo ha natura c.d. «sostitutiva» della vendita forzata. Infatti, l'assegnazione viene fatta per un prezzo - pari alla minor misura tra la base d'asta del terzo incanto e il credito tributario per cui l'esattore procede - e questo prezzo deve essere interamente versato dallo Stato all'effetto di ottenere il trasferimento della proprieta', tanto che e' regolato il caso del mancato versamento del prezzo. Al versamento segue l'acquisizione del prezzo alla massa attiva (art. 509 c.c.) e la sua assegnazione all'esattore se non vi sono concorrenti (artt. 84 D.P.R. 29/9/1973 n. 602 e 510 c.p.c.); in caso di intervento di altri creditori, deve procedersi alla distribuzione in ragione delle rispettive cause di prelazione tra esattore e altri concorrenti, secondo quanto previsto dagli artt. 84 D.P.R. 29/9/1973 n. 602 e 596 c.p.c. Implicitamente (ma inequivocamente), l'art. 85 D.P.R. 29/9/1973 n. 602 esclude la possibilita' per l'esattore di chiedere l'assegnazione a favore dello Stato a soddisfacimento del credito erariale (c.d. assegnazione «satisfattiva» o datio in solutum giudiziale) e la possibilita' per lo Stato di limitarsi al versamento del solo eventuale conguaglio tra il prezzo di assegnazione e il credito per cui puo' utilmente collocarsi in sede di riparto (c.d. assegnazione mista). Non a caso, l'art. 3 comma 40° d.l. 30/9/2005 n. 203 (convertito in legge 2/12/2005 n. 248) ha sostituito ai commi 2° e 3° dell'art. 85 de quo le parole «dell'eventuale conguaglio» con le parole «del prezzo per il quale e' stata disposta l'assegnazione». Il prezzo di assegnazione e' pari alla minor somma tra il credito tributario per cui si procede e la base d'asta del terzo incanto andato deserto: su questo punto v'e' continuita' con quanto era previsto per la devoluzione allo Stato ex art. 87 D.P.R. 29/9/1973 n. 602. Cosi', ad esempio, se il credito erariale per cui si procede pari ad euro 50.000,00 e la base d'asta del terzo incanto pari ad euro 200.000,00, l'assegnazione deve farsi al prezzo di euro 50.000,00; se l'esattore procede per un credito tributario pari ad euro 300.000,00, l'assegnazione dello stesso identico immobile dovrebbe farsi per la minor somma e quindi per euro 200.000,00. Poiche' non e' previsto - e, anzi, e' chiaramente escluso, a seguito della modifica apportata dall'art. 3 comma 40° d.1. 30/9/2005 n. 203 - il versamento di alcun «conguaglio», la norma deve interpretarsi nel senso che il prezzo di assegnazione e' definitivamente fissato nella minor somma tra il credito e la base d'asta (la terza) e che l'eventuale differenza tra base d'asta e credito non da' luogo ad alcun obbligo di conguaglio ne' a incremento del prezzo di assegnazione. La stessa Corte, pronunciandosi sulla devoluzione allo Stato, interpreto' a suo tempo l'art. 87 D.P.R. 29/9/1973 n. 602 nel senso che la norma consente «che la procedura esattoriale possa concludersi con la devoluzione del bene allo Stato per il minor prezzo tra quello dell'incanto e l'ammontare dell'imposta per cui ha avuto luogo l'esecuzione» (Corte Cost. ord. 31/3/1988 n. 383). Non e' neppure rilevante, ai fini della determinazione del prezzo di assegnazione, l'entita' dei crediti concorrenti al riparto (art. 54 D.P.R. 29/9/1973 n. 602) aventi prelazione anteriore a quella dell'esattore: I) l'art. 85 de quo, facendo riferimento alla «somma per la quale si procede» riguarda evidentemente il solo credito tributario; II) l'art. 85 non rinvia all'art. 589 c.p.c. secondo cui «l'istanza di assegnazione deve contenere l'offerta di pagamento di una somma non inferiore a quella prevista nell'art. 506», ne' all'art. 506 c.p.c. che indica per l'assegnazione «un valore non inferiore alte spese di esecuzione e ai crediti aventi diritto a prelazione anteriore a quello dell'offerente». Il rimettente non ignora che, tra due interpretazioni egualmente possibili, rientra nei poteri del giudice ordinario scegliere quella «costituzionalmente orientata» perche' rispondente al canone di ragionevolezza e uguaglianza, e che pertanto non puo' essere sollevata questione di legittimita' costituzionale quando il giudice rimettente - utilizzando i suoi poteri ordinari di interpretazione della norma - e' in grado di fornire un'interpretazione della norma conforme a Costituzione (ex multis Corte Cost. 19/4/2007 n. 128). Tuttavia, l'interpretazione della norma, cosi' come ora illustrata, pare essere l'unica possibile utilizzando gli ordinari strumenti ermeneutici di cui dispone il giudice ordinario. Violazione dei principi di ragionevolezza rispetto ai mezzi e allo scopo e di eguaglianza in se' e in relazione al principio di capacita' contributiva (artt. 3 e 53 Cost.) Dei due scenari possibili che l'art. 85 prospetta, interessa il solo caso in cui l'assegnazione debba farsi per un prezzo pari al minor credito tributario, e quindi «a sconto» rispetto alla base d'asta dell'ultimo incanto, la quale a sua volta corrisponde, per effetto dei ribassi progressivi di un terzo, ai 4/9 del prezzo iniziale fissato dal concessionario (artt. 79 e 81 D.P.R. 29/9/1973 n. 602). Non e' dunque in questione il caso opposto - prezzo pari alla base del terzo incanto - poiche' la regola che puo' estrarsi dall'art. 85 coincide, con buona approssimazione, con quella applicabile secondo il diritto comune (art. 589 e 568 c.p.c.) e non genera perplessita': se l'immobile pignorato per crediti tributari risulta invendibile col mezzo ordinario dell'incanto, e' legittima la previsione che consente allo Stato di acquistarne la proprieta', poiche' con l'ordinanza 13/3/1988 n. 383, la Corte ha gia' ritenuto che la devoluzione e' «la conseguenza dell'oggettiva impossibilita' di vendere il bene esecutato, impossibilita' dimostrata dall'esito negativo di piu' incanti caratterizzati da ribassi particolarmente elevati». Si nutre pero' il sospetto che lo «sconto da assegnazione» - il differenziale tra la maggior base d'asta e il minor tributo - previsto dall'art. 85 de quo non sia conforme ai fondamenti costituzionali del prelievo tributario e comunque generi intrinsecamente irrazionalita' e ineguaglianze tra casi omogenei. Si osserva in proposito: A) L'art. 85 D.P.R. 29/9/1973 n. 602 riguarda la riscossione dei soli tributi dello Stato (art. 30 d.lgs. 26/2/1999 n. 46) ed e' quindi norma che - pur non riguardando i presupposti imponibili, i soggetti debitori, le modalita' di determinazione o accertamento dell'imposta - rientra comunque (in senso ampio) nel campo delle norme tributarie (settore dell'ordinamento che disciplina, tra l'altro, l'esazione delle imposte). Nello scenario qui contemplato, l'obbligazione tributaria non e' ai margini dell'istituto (come scopo per il quale si svolge la procedura di riscossione) ma entra direttamente nel testo della norma e nel contenuto del provvedimento che il giudice deve adottare perche', essendo di ammontare inferiore alla base d'asta, determina sia la misura del prezzo di assegnazione, sia l'entita' del sacrificio patrimoniale imposto al debitore (rispetto alla somma che potrebbe ricavarsi se l'assegnazione dovesse farsi, in ogni caso, per un prezzo pari alla base dell'ultimo esperimento d'asta). Si osserva inoltre che: a) l'assegnazione fatta «a sconto» sulla base d'asta rappresenta per il debitore una perdita patrimoniale e, in modo perfettamente complementare, un lucro per lo Stato in misura pari alla differenza tra i due parametri (base d'asta e credito tributario); b) perdita e lucro, quasi per definizione, non trovano la propria causa giustificativa nell'adempimento dell'obbligazione tributaria poiche' anzi il contribuente esecutato perde in termini patrimoniali il surplus rispetto all'entita' del tributo rimasto insoluto; tenuto a corrispondere (come in specie) la somma di euro 479,60, viene privato a favore dello Stato di un bene che, a seguito di consistenti ribassi, e' stato messo in vendita l'ultima volta a un prezzo non inferiore a euro 72.275,00; c) causa efficiente di perdita e lucro e' percio' il fatto accidentale e casuale che il pignoramento esattoriale e' caduto su un bene che, nonostante i ribassi d'asta, ancora esprime un valore patrimoniale superiore a quello del credito; B) L'aggancio del prezzo all'entita' del tributo insoluto genera ictu oculi ineguaglianze e aporie, sintomatiche dell'irrazionalita' degli esiti applicativi della norma: il valore di assegnazione dello stesso immobile varia in funzione dell'entita' del credito tributario per cui si procede a esecuzione. Difatti, se - ad esempio - il credito erariale per cui si procede e' pari ad euro 50.000,00 e la base d'asta del terzo incanto pari ad euro 200.000,00, l'assegnazione deve farsi al prezzo di euro 50.000,00; di contro, se si procede per un credito tributario pari ad euro 300.000,00, l'assegnazione dello stesso identico immobile dovrebbe farsi per la minor somma tra i due parametri e quindi per euro 200.000,00. Le conseguenze paiono incongruenti: 1) l'assegnazione e' sostitutiva della vendita (ossia ha una causa venditionis) e il prezzo d'acquisto - pure «a sconto» e tenuto conto delle forti e condivise esigenze pubblicistiche che s'esprimono nella disciplina della riscossione delle imposte erariali - non puo' essere razionalmente determinato se non in funzione di un parametro che riguarda l'immobile (cioe' il prezzo ribassato che funge da base d'asta del terzo incanto: tale opzione, rientrante nella discrezionalita' legislativa, non desta sospetti di incostituzionalita'); invece, l'altro parametro - qui censurato - e' costituito dalla misura del tributo per cui si procede, la quale non soltanto rappresenta una variabile indipendente dal valore dell'immobile, ma non v'e' neppure indirettamente collegata visto che l'art. 76 D.P.R. 29/9/1973 n. 602 prevede la misura minima del credito per procedere ad espropriazione immobiliare (euro 8.000,00), ma non un criterio di proporzionalita' tra il credito e il valore dell'immobile che il concessionario puo' legittimamente pignorare. Per neutralizzare le irrazionalita' denunciate sarebbe sufficiente espungere dall'art. 85 D.P.R. 29/9/1973 n. 602 la parte che aggancia il prezzo di assegnazione alla «minor somma per la quale si procede»; 2) l'aggancio al «minor prezzo tra il prezzo base del terzo incanto e la somma per la quale si procede» implica che, a parita' di valore dell'immobile, riceva un trattamento migliore il contribuente che ha verso lo Stato un debito tributario piu' elevato del valore (pur ribassato) dell'immobile. Infatti, se il tributo insoluto e' di entita' inferiore alla base d'asta, l'esecutato ricevera', per effetto del versamento del prezzo e sia pure per pagare lo Stato e gli altri suoi creditori eventualmente intervenuti, una somma pari alla sola entita' del credito (euro 50.000,00 nell'esempio suesposto) e subira' quindi la perdita patrimoniale «differenziale» che e' stata sopra evidenziata. Viceversa, se il contribuente (per negligenza, opportunismo o altri motivi) ha accumulato un piu' consistente debito tributario (di ammontare superiore alla base d'asta), ricevera', per effetto del versamento del prezzo, quella stessa somma che avrebbe potuto ricevere se il terzo incanto fosse andato a buon fine (euro 200.000,00 secondo l'esempio) e non subira' perdite ulteriori. In questo modo, una norma che plausibilmente ha lo scopo di contrastare, disincentivare l'inadempienza dei cittadini alle obbligazioni tributarie finisce per sortire un risultato pratico che e' diametralmente opposto, perche' ceteris paribus premia l'accumulazione del debito o, quantomeno, evita al «grosso» debitore di subire, oltre alla perdita dell'immobile, anche l'ulteriore falcidia rappresentata dalla differenza tra base d'asta e tributo insoluto. Questa irrazionalita' dei mezzi giuridici rispetto allo scopo pratico della norma si verifica solo e soltanto per effetto dell'aggancio, qui censurato, al «minor prezzo tra il prezzo base del terzo incanto e la somma per la quale si procede», poiche' se invece l'assegnazione dovesse farsi - in base al diritto comune - per una somma non inferiore alla base d'asta dell'ultimo incanto, non si verificherebbe nessuna irrazionalita' ne' disparita' di trattamento in funzione del minore o maggiore tributo insoluto. Per le stesse aporie gia' segnalate, l'aggancio del prezzo di assegnazione alla «minor ... somma per la quale si procede» entra inoltre in conflitto con il principio cardine del prelievo tributario secondo il quale «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacita' contributiva» (art. 53 comma 1° Cost.). Secondo stabile insegnamento della Consulta, il principio di capacita' contributiva «va interpretato quale specificazione del generale principio di uguaglianza, nel senso che a situazioni uguali devono corrispondere uguali regimi impositivi e, correlativamente, a situazioni diverse un trattamento tributario differenziato» (Corte Cost. 6/7/1972 n. 120; conformi, ex multis, Corte Cost. 4/2/2000 n. 25; Corte Cost. 13/12/1963 n. 155) e che, ancora, le differenze di trattamento tributario per essere giustificate devono appoggiarsi su un motivo razionalmente apprezzabile (Corte Cost. 14/7/1976 n. 167) o, evidentemente, su situazioni obiettivamente diverse (Corte Cost. 12/7/1965 n. 59), il ragionamento svolto sulla violazione del principio di capacita' contributiva da parte dell'art. 85 D.P.R. 29/9/1973 n. 602 puo' saldarsi senza difficolta' con il discorso gia' svolto in merito alla violazione dell'art. 3 Cost. sotto i profili: a) dell'irrazionalita' con riguardo al mezzo giuridico perche' il parametro del credito non puo' ragionevolmente servire a stabilire il prezzo di acquisto coattivo di un immobile; b) dell'irrazionalita' con riguardo allo scopo pratico perche' la norma premia, ceteris paribus, l'accumulazione del debito tributario; C) Ancor piu' nello specifico, l'art. 85 e' norma sulla riscossione delle imposte dovute allo Stato: la capacita' di concorrere alle spese pubbliche e' gia' definita secundum legem in misura pari all'obbligazione tributaria, cosi' come e' stata accertata e risulta dall'estratto di ruolo. Ben puo' dirsi dunque che l'entita' del tributo rappresenta la misura entro la quale e' accettabile e costituzionalmente legittimo imporre al cittadino un sacrificio patrimoniale per «concorrere alle spese pubbliche». Al contrario, un sacrificio piu' ampio di quello definito dall'obbligazione tributaria (salvi accessori, sanzioni, costi di riscossione, ecc.) non soltanto non trova un fondamento di legittimita' costituzionale nell'art. 53 Cost., ma anzi risulta implicitamente vietato dalla stessa norma, visto che in tal modo verrebbe fatto carico al cittadino di concorrere alle spese pubbliche in misura maggiore della sua capacita' contributiva. Anche l'art. 85 menzionato deve sottostare al principio di capacita' contributiva, sia perche' l'art. 53 comma 1° Cost. non distingue il momento fisiologico dell'adempimento dalle patologie del rapporto di imposta, sia perche' non puo' ammettersi che il principio di capacita' contributiva si applichi soltanto agli atti di imposizione e perda rilevanza nel momento della riscossione (il concorso alle spese pubbliche si attua con l'adempimento, spontaneo o coattivo, della pretesa tributaria). L'art. 85 - segnatamente col criterio della «minor ... somma per la quale si procede» - non rispetta il principio che commisura alla capacita' contributiva il sacrificio patrimoniale che puo' legittimamente esigersi dal cittadino in relazione all'adempimento del tributo. Al contrario, I) l'obbligazione tributaria serve a determinare il prezzo di acquisto del bene; II) con cio' assoggetta, per definizione, il contribuente espropriato a una perdita patrimoniale pari al surplus della base d'asta rispetto al credito, la quale perdita si aggiunge all'onere economico del tributo; III) in quanto onere aggiuntivo, lo stesso non riceve copertura costituzionale nell'art. 53 comma 1° Cost. visto che la capacita' contributiva sussiste nei limiti dell'obbligazione tributaria o, in sede di riscossione coattiva, dalla «somma per la quale si procede». Concludendo, quest'onere aggiuntivo e' imposto al contribuente dal fatto che il pignoramento esattoriale e' accidentalmente caduto su un immobile che, nonostante i ribassi, ha una base d'asta superiore alla misura del credito. Pertanto, l'art. 85 D.P.R. 29/9/1973 n. 602 si palesa sospetto di illegittimita' costituzionale per violazione dell'art. 53 Cost. perche' consente che in sede di riscossione esattoriale il contribuente moroso sia sottoposto - e peraltro secondo un criterio di pura casualita' - a un sacrificio patrimoniale di entita' piu' ampia di quello definito dall'obbligazione tributaria (e relativi accessori, soprattasse, sanzioni, costi di riscossione etc.); D) Non si ignora che, secondo la giurisprudenza, il principio della capacita' contributiva non puo' applicarsi alle prestazioni patrimoniali con funzione sanzionatoria di violazioni tributarie (ex multis Corte Cost. 30/7/1997 n. 291; Corte Cost. 17/7/1980 n. 119). Tuttavia, anche sotto questa prospettiva, si dubita legittimita' dell'art. 85 D.P.R. 29/9/1973 n. 602 ove si voglia attribuire all'assegnazione per la «minor ... somma per la quale si procede» - e quindi «a sconto» sulla base d'asta - una natura sanzionatoria dell'inadempienza del contribuente e, quindi, sottratta all'applicazione dell'art. 53 Cost. In primo luogo, il criterio della «minor somma» risponde ictu oculi a un'esigenza di risparmio dello Stato nell'acquisto della proprieta' mediante assegnazione forzata e non a fini di sanzione. Quest'esigenza puo' astrattamente condividersi, salvo che per il parametro rappresentato dalla misura del credito tributario, che non ha alcun apprezzabile e ragionevole collegamento con il valore del bene. In secondo luogo, se anche si trattasse di sanzione imposta per il perdurante inadempimento del debitore, la sua operativita' sarebbe oltremodo singolare, visto che: a) essa andrebbe a colpire - con palese violazione del principio di eguaglianza - non tutti i contribuenti morosi che vengono espropriati del bene a favore dello Stato, ma soltanto una parte di essi, ossia coloro che hanno casualmente subito il pignoramento di un bene che, pur dopo i ribassi, ha una base d'asta superiore all'entita' del credito per cui si procede; b) la sanzione non sarebbe qui neppure ragguagliata alla misura del tributo rimasto insoluto o a una somma fissa predeterminata dalla legge (come normalmente avviene nelle sanzioni pecuniarie di diritto tributario), ma risulterebbe a priori indeterminabile e indeterminata dalla legge perche' dipendente dalla differenza tra base d'asta e credito, ossia da un elemento (valore dell'immobile ai fini dell'esecuzione esattoriale: art. 79 D.P.R. 29/9/1973 n. 602) che rappresenta una variabile indipendente rispetto al credito per cui si procede. In conclusione, il criterio della «minor ... somma per la quale si procede» non puo' interpretarsi come sanzione e, quindi, non si sottrae alla censura basata sull'art. 53 Cost. e, se anche lo fosse, risulterebbe comunque costituzionalmente illegittimo per violazione dei principi di eguaglianza, ragionevolezza (art. 3 Cost.) e determinatezza delle prestazioni patrimoniali imposte per legge (art. 23 Cost.). Violazione degli artt. 3 e 42 Cost.: irragionevole determinazione del prezzo per l'assegnazione coattiva in misura pari alla «minor ... somma per la quale si procede» Si e' finora attribuita natura tributaria all'art. 85 D.P.R. 29/9/1973 n. 602 e, quindi, si sono richiamati i principi costituzionali che regolano il prelievo tributario (la perdita patrimoniale non trova giustificazione nell'adempimento dell'obbligazione tributaria, riguardando infatti il surplus e, quindi, neppure copertura costituzionale nell'art. 53 comma l° Cost. del quale rappresenta, al contrario, una violazione). L'assegnazione ex art. 85 menzionato e' anche, pero', un mezzo sostitutivo della vendita forzata: occorre percio' chiedersi se, in ipotesi, la perdita (e il correlativo lucro) differenziale tra base d'asta e «minor ... somma per la quale si procede» non possa trovare un fondamento alternativo di legittimita' proprio nella causa venditionis ossia nel rapporto di scambio «cosa contro prezzo» a cui da' luogo l'assegnazione sostitutiva. Al quesito pare potersi dare risposta negativa. Pronunciandosi sull'art. 42 comma 3° Cost., la Corte costituzionale ha piu' volte espresso l'indirizzo che l'indennizzo «deve rappresentare un serio ristoro. Perche' cio' possa realizzarsi, occorre far riferimento, per la determinazione dell'indennizzo, al valore del bene in relazione alle sue caratteristiche essenziali, fatte palesi dalla potenziale utilizzazione economica di esso, secondo legge. Solo in tal modo puo' assicurarsi la congruita' del ristoro spettante all'espropriato ed evitare che esso sia meramente apparente o irrisorio rispetto al valore del bene» (ex multis Corte Cost. 30/1/1980 n. 5); piu' di recente, si e' affermato che «un'indennita' congrua, seria ed adeguata non puo' adottare il valore di mercato del bene come mero punto di partenza per calcoli successivi che si avvalgono di elementi del tutto sganciati da tale dato, concepiti in modo tale da lasciare alle spalle la valutazione iniziale» (Corte Cost. 24/10/2007 n. 348). Se e' pacifico che l'art. 85 D.P.R. 29/9/1973 n. 602 non rientra nel novero dell'espropriazione per pubblica utilita', ne' di altri atti ablatori disposti dalla pubblica amministrazione, l'assegnazione ivi prevista e' comunque un trasferimento coattivo di una proprieta' privata, sia pur subordinato al versamento del prezzo da parte dello Stato (art. 85 comma 3°). L'impiego della parola «prezzo» piuttosto che «indennizzo» non e' ragione decisiva per negare l'applicazione del principio generale ricavabile dall'art. 42 Cost. nei termini in cui e' stato interpretato dalla Corte: quando lo Stato esercita la potesta', con determinazione ex uno latere e fuori da un contesto negoziale, di acquistare un bene privato, il corrispettivo dello scambio deve essere «congruo, serio e adeguato» ossia deve assumere a parametro - pur potendo discostarsene al ribasso per contemperare interessi pubblici e privati - «il valore del bene in relazione alle sue caratteristiche essenziali, fatte palesi dalla potenziale utilizzazione economica di esso». (Corte Cost. 30/1/1980 n. 5) e non puo' legittimamente basarsi su «elementi del tutto sganciati da tale dato» (Corte Cost. 24/10/2007 n. 348). L'art. 85 de quo deve prima facie ritenersi legittimo nella parte in cui fissa il valore di assegnazione nel «prezzo base del terzo incanto», poiche' tale dato soddisfa al contempo l'interesse pubblico al risparmio di spesa e la giurisprudenza costituzionale che assegna al valore del bene la funzione di parametro su cui calcolare la misura del ristoro (o corrispettivo) da versare al privato per la perdita della proprieta'. Anche sotto quest'ultimo profilo si palesa, per contro, l'illegittimita' del rinvio alla «minor ... somma per la quale si procede» visto che la misura del tributo insoluto e' una variabile indipendente dal valore di mercato dell'immobile e non e' neppure un criterio razionalmente accettabile per stabilire «d'autorita'» il corrispettivo di uno scambio imposto. La questione proposta nella presente ordinanza e' rilevante ai fini delle determinazioni dello scrivente giudice dell'esecuzione nel processo esecutivo esattoriale indicato in epigrafe. Infatti: a) l'esecuzione e' stata avviata dal concessionario Equitalia Emilia Nord per crediti tributari dello Stato; b) hanno avuto svolgimento e sono andati deserti i tre incanti previsti dalla legge; c) Equitalia Emilia Nord ha avanzato rituale istanza di assegnazione dell'immobile allo Stato ai sensi dell'art. 85 menzionato; d) nell'istanza ha richiesto, seppure implicitamente, l'assegnazione al prezzo corrispondente alla «minor ... somma per la quale si procede» e cioe' per il credito tributario di euro 479,60; e) l'istanza e' conforme al dettato normativo dell'art. 85 poiche', come si verifica negli atti depositati dal concessionario, il terzo incanto ha avuto luogo in data 13/1/2010 con base d'asta pari ad euro 72.275,00 (di molto superiore all'entita' del credito tributario insoluto). Ritiene pertanto lo scrivente che esistano, ai sensi dell'art. 85 D.P.R. 29/9/1973 n. 602, tutte le condizioni per far luogo all'assegnazione allo Stato dell'immobile per un prezzo pari alla «somma per la quale si procede», a meno che la Corte costituzionale dichiari l'illegittimita' della norma denunciata nella parte in cui ammette che l'assegnazione abbia luogo «per il minor prezzo tra il prezzo base del terzo incanto e la somma per la quale si procede», anziche' «per ... il prezzo base del terzo incanto». La rilevanza e' ancor piu' evidente se si considera che l'eventuale pronuncia di illegittimita' costituzionale della disposizione comporterebbe il rigetto dell'istanza di assegnazione oppure il suo accoglimento ma al «prezzo base del terzo incanto».
P.Q.M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 85 comma 1° D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 nella parte in cui prevede che l'assegnazione allo Stato abbia luogo «per il minor prezzo tra il prezzo base del terzo incanto e la somma per la quale si procede», anziche' «per ... il prezzo base del terzo incanto», per contrasto con gli artt. 3, 42 e 53 Cost. nei termini indicati nella suestesa motivazione; Sospende la presente controversia; Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata al Presidente del Senato ed al Presidente della Camera dei deputati. Reggio Emilia, addi' 23 febbraio 2011 Il Giudice: Fanticini