N. 90 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 14 settembre 2011

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 14 settembre 2011 (del Presidente  del  Consiglio  dei
ministri) . 
 
Istruzione - Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni  urgenti
  per   la   stabilizzazione   finanziaria   -    Misure    per    la
  razionalizzazione   della   spesa    relativa    all'organizzazione
  scolastica - Riduzione del numero di scuole dell'infanzia, primarie
  e  secondarie  mediante  la  formazione  di  istituti  comprensivi,
  nonche' riduzione del numero di posti  di  dirigente  scolastico  -
  Lamentato   intervento   sull'organizzazione   scolastica   e   sul
  dimensionamento della  rete  scolastica  sul  territorio  senza  un
  adeguato coinvolgimento  delle  Regioni  -  Ricorso  della  Regione
  Toscana  -  Denunciata  violazione  della  competenza   legislativa
  regionale  nelle  materie   concorrenti   dell'istruzione   e   del
  coordinamento della  finanza  pubblica,  violazione  dell'autonomia
  finanziaria  regionale,   violazione   del   principio   di   leale
  collaborazione. 
- Decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 15 luglio 2011, n. 111, art. 19, commi 4 e 5. 
- Costituzione, artt. 117, comma terzo, 118 e 119. 
Regioni (in genere) - Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni
  urgenti per  la  stabilizzazione  finanziaria  -  Esecuzione  delle
  sentenze della  Corte  costituzionale  da  parte  delle  Regioni  -
  Previsione di obblighi informativi in capo alle Regioni  in  ordine
  all'esecuzione delle sentenze - Previsione, in caso  di  mancata  o
  non esatta conformazione, del potere  sostitutivo  del  Governo  ai
  sensi dell'art. 120, secondo comma, Cost.  -  Lamentata  natura  di
  dettaglio delle previsioni, nonche' mancanza  dei  presupposti  per
  l'esercizio del potere sostitutivo previsto - Ricorso della Regione
  Toscana  -  Denunciata  violazione  della  competenza   legislativa
  regionale nella materia concorrente del coordinamento della finanza
  pubblica,   violazione   dell'autonomia   finanziaria    regionale,
  violazione del principio di leale collaborazione,  esorbitanza  dai
  limiti costituzionali entro cui e' ammesso  il  potere  sostitutivo
  del Governo. 
- Decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 15 luglio 2011, n. 111, art. 20, commi 14 e 15. 
- Costituzione, artt. 117, 118, 119 e 120. 
Commercio - Bilancio e contabilita' pubblica -  Disposizioni  urgenti
  per  la  stabilizzazione  finanziaria  -  Attivita'  commerciali  e
  attivita' di somministrazione di  alimenti  e  bevande  nei  comuni
  inclusi negli elenchi regionali delle localita' turistiche o citta'
  d'arte - Esenzione dal rispetto dei  limiti  e  prescrizioni  sugli
  orari  di  apertura  e  chiusura,   sull'obbligo   della   chiusura
  domenicale, festiva  e  della  mezza  giornata  infrasettimanale  -
  Obbligo di adeguamento normativo da parte delle  Regioni  entro  un
  anno - Ricorso della Regione Toscana - Denunciata violazione  della
  competenza  legislativa  regionale  residuale  nelle  materie   del
  commercio e del turismo. 
- Decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 15 luglio 2011, n. 111, art. 35, commi 6 e 7. 
- Costituzione, artt. 117, comma quarto, e 118. 
(GU n.45 del 26-10-2011 )
     Ricorso della Regione Toscana, in  persona  del  Presidente  pro
tempore, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n.  764
del 5 settembre 2011, rappresentato e difeso, per mandato in calce al
presente atto, dall' Avv. Lucia Bora, domiciliato  presso  lo  studio
dell'Avv. Marcello Cecchetti; in Roma, Via A. Mordini 14; 
    Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro  tempore  per
la dichiarazione di illegittimita'  costituzionale  degli  artt.  19,
commi 4 e 5; 20, commi 14 e 15; e 35, commi 6 e 7, del  decreto-legge
n. 98/2011, cosi' come  convertito  dalla  legge  di  conversione  15
luglio 2011 n. 111, per violazione degli artt. 117, 118 , 119  e  120
Cost. anche sotto il profilo di violazione del principio della  leale
collaborazione. 
    Nella G.U. - Serie generale - n. 164 del 16 luglio 2011 e'  stata
pubblicata la legge 15  luglio  2010,  n.  111  di  conversione,  con
modificazioni, del  decreto-legge  6  luglio  2011,  n.  98,  recante
Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria. 
    Le impugnate disposizioni sono lesive delle competenze  regionali
per i seguenti motivi di 
 
                               Diritto 
 
1) Illegittimita' costituzionale dell'articolo 19, commi 4 e 5, nella
parte in cui dispone la riduzione del numero di scuole dell'infanzia,
primarie e secondarie mediante la formazione di istituti  comprensivi
nonche' nella parte in cui prevede, di conseguenza, la riduzione  del
numero di posti di dirigente  scolastico,  per  violazione  dell'art.
117, comma 3, dell'art. 118 e dell'art. 119 Cost. 
    La disposizione in esame si occupa della razionalizzazione  della
spesa relativa all'organizzazione scolastica. Per quanto qui  rileva,
i commi evidenziati prevedono  la  riduzione  del  numero  di  scuole
dell'infanzia,  primarie  e  secondarie  mediante  la  formazione  di
istituti comprensivi; in conseguenza di detta previsione,  il  numero
di autonomie si ridurra' di 1.130 unita', comportando, ulteriormente,
una riduzione del numero di posti di dirigente  scolastico.  In  base
alla  norma  in  esame,  gli  istituti  comprensivi  potranno   avere
autonomia solo se avranno un numero di iscritti pari  almeno  a  1000
unita' (ovvero 500 unita'  per  le  istituzioni  site  nelle  piccole
isole, nei comuni montani, nelle aree  geografiche  con  specificita'
linguistiche); le scuole con meno di 500 alunni non avranno diritto a
un preside. Secondo le stime, contenute nella relazione  illustrativa
alla legge,  l'applicazione  di  tali  disposizioni  contribuira'  al
conseguimento e consolidamento delle economie di spesa, gia' previste
per il triennio 2009-2011 dall'art. 64 del d.l. n. 112 del  2008,  in
materia di dimensionamento della rete scolastica. 
    Il  comma   4   all'odierno   esame,   in   particolare,   appare
indubbiamente  pervasivo  in  quanto  interviene   con   disposizioni
puntuali in ordine al dimensionamento delle  reti  scolastiche:  esso
infatti  generalizza  l'aggregazione  della   scuola   dell'infanzia,
primaria e secondaria di primo grado in istituti comprensivi, che per
acquisire l'autonomia devono contare almeno 1.000 alunni  (ridotti  a
500 per  le  istituzioni  site  nelle  piccole  isole  e  nei  comuni
montani). 
    La Corte costituzionale, con la sentenza n. 200 del  2009  si  e'
gia'  espressa  in  merito  ai  profili  organizzativi  del  servizio
scolastico   ed   in   ordine   all'articolazione   dell'azione    di
ridimensionamento della rete scolastica: con riguardo alla  questione
di costituzionalita' dell'art. 64, comma 4 lett.  f)  e  f-bis),  del
decreto-legge  n.  112/2008,  ha  chiarito   espressamente   che   il
dimensionamento scolastico spetta senz'altro alle  Regioni  ai  sensi
dell'art. 117, comma 3, Cost. Seppur non rinvii ad alcun regolamento,
e' evidente che il comma 4 dell'articolo 19, oggi in esame, tende  ai
medesimi fini di cui alle disposizioni gia' censurate dalla Corte con
la sentenza n. 200 del 2009, disposizioni alle quali era stata negata
la qualificazione di «norme generali sull'istruzione»,  e  quindi  la
riconducibilita' alla competenza legislativa esclusiva statale di cui
all'articolo 117, comma 2, lettera n) della Costituzione, riguardando
le stesse direttamente l'assetto del sistema scolastico e  dunque  la
materia concorrente dell'istruzione. 
    In particolare, la giurisprudenza costituzionale ha chiarito  che
«nel quadro costituzionale definito dalla riforma  del  titolo  V  la
materia istruzione (salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e
con esclusione  dell'istruzione  e  formazione  professionale)  forma
oggetto di potesta' concorrente (art. 117 terzo comma Cost.),  mentre
allo Stato e' riservata soltanto la potesta' legislativa esclusiva in
materia di norme generali sull'istruzione  (art.  117  secondo  comma
lett. n)»... «Nel complesso intrecciarsi in  una  stessa  materia  di
nonne   generali,   principi   fondamentali,   leggi   regionali    e
determinazioni  autonome  delle  istituzioni  scolastiche,  si   puo'
assumere per certo che il prescritto ambito di legislazione regionale
sta proprio nella programmazione della rete  scolastica.  E'  infatti
implausibile che il legislatore costituzionale abbia voluto spogliare
le regioni di una funzione che era gia' ad esse conferita nella forma
della competenza delegata dell'art. 138 del  decreto  legislativo  n.
112 del 1998 ... Una volta attribuita  l'istruzione  alla  competenza
concorrente , il riparto imposto dall'art. 117 postula che,  in  tema
di  programmazione  scolastica  e  di  gestione  amministrativa   del
relativo servizio, compito dello Stato sia  solo  quello  di  fissare
principi». 
    Tali principi e la competenza regionale concorrente in materia di
istruzione  sono  stati  confermati  nelle  ulteriori   sentenze   n.
423/2004; n. 34/2005;  n.  50/2008;  significativamente,  poi,  nella
pronuncia n. 279/2005, la Corte costituzionale  ha  chiarito  che  le
nonne generali in materia di istruzione di  cui  alla  lett.  n)  del
secondo comma dell'art. 117 Cost. «sono quelle sorrette, in relazione
al  loro  contenuto,  da  esigenze  unitarie  e  quindi   applicabili
indistintamente al di la' dell'ambito propriamente  regionale»;  esse
si distinguono dai principi fondamentali in  materia  di  istruzione,
rilevanti ai sensi dell'art. 117 terzo comma Cost., in quanto  questi
ultimi «pur sorretti da  esigenze  unitarie  non  esauriscono  in  se
stessi la loro operativita', ma informano altre norme,  piu'  o  meno
numerose» (sentenza n. 200/2009). 
    Per contro, le norme in esame non esprimono esigenze di carattere
unitario alla stregua dei valori da tutelare,  che  sole  legittimano
l'intervento statale, non riguardano norme  generali  sull'istruzione
ne' principi  generali  della  materia;  dette  norme,  infatti,  non
contengono «le indicazioni delle finalita'» della scuola, non pongono
«condizioni  minime  di  uniformita'  in  materia  scolastica»,   ne'
esprimono   quegli   essenziali   interventi   volti   a    garantire
l'uguaglianza  sostanziale  nell'accesso  e  nella  fruizione   della
cultura, tali  da  doversi  applicare  indistintamente  su  tutto  il
territorio nazionale (come, ad esempio, la tipologia e la durata  dei
corsi di istruzione, le modalita' di passaggio tra i  diversi  ordini
di scuola, la valutazione degli apprendimenti, il riconoscimento  dei
titoli di studio, i  criteri  di  selezione  e  di  reclutamento  del
personale). 
    Nonostante il generico ed  immotivato  richiamo  ad  esigenze  di
«continuita'  didattica»,  con  le  disposizioni   censurate,   viene
disposta di fatto la soppressione di scuole di infanzia,  primarie  e
secondarie, e la formazione di istituti comprensivi; cio' facendo  lo
Stato interviene  direttamente  nell'ambito  della  programmazione  e
dell'organizzazione della rete scolastica. 
    Come evidenziato dalla Corte, le Regioni erano gia'  titolari  di
dette competenze a seguito del decreto legislativo n. 112 del 1998 e,
in particolare, con riferimento  alle  funzioni,  di  «programmazione
dell'offerta  formativa  integrata  tra   istruzione   e   formazione
professionale» (art. 138, comma 1, lett. a), di «programmazione della
rete scolastica» (art. 138, comma 1, lett. b),  di  «contributi  alle
scuole non statali» (art. 138, comma 1,  lett.  c)  e  di  formazione
professionale (art. 143). 
    Del  resto,  esaminando  il  contenuto  sostanziale   di   queste
funzioni, puo' agevolmente rilevarsi che, fermo restando il  rispetto
degli standard minimi, la rete scolastica e il dimensionamento  degli
istituti sono piu' efficacemente organizzati se tengono  conto  delle
diverse realta' territoriali,  realta'  che  meglio  sono  conosciute
dalle Amministrazioni regionali. 
    Alle Regioni, pertanto, erano gia' state affidate  le  competenze
sull'organizzazione scolastica e sul dimensionamento degli  istituti,
mentre con le norme in esame si prevede una  disciplina  puntuale  ed
autoapplicativa in relazione alla quale le Regioni non sono  chiamate
a svolgere alcun ruolo. 
    La disciplina in parola  rappresenta  pertanto  un  inammissibile
passo indietro rispetto alle prerogative riconosciute  alle  Regioni,
cio' che rende evidente la violazione delle attribuzioni regionali di
cui all'art. 117 Cost. in materia di istruzione. 
    Si ripete, l'art. 19  che  qui  si  contesta  disciplina  aspetti
organizzativi, con riferimento alla determinazione  ed  articolazione
dell'azione  di  ridimensionamento  della  rete   scolastica,   senza
prevedere un adeguato coinvolgimento delle Regioni. 
    A tal riguardo, e a rafforzamento della fondatezza dei motivi  di
ricorso,  si  rileva  che  la  Regione   Toscana   ha   compiutamente
disciplinato   l'aspetto   dell'organizzazione   scolastica   e   del
dimensionamento degli istituti (cfr. la  legge  regionale  26  luglio
2002 n. 32 e successive modificazioni ed integrazioni, che ha dettato
le norme per  la  programmazione  della  rete  scolastica  regionale,
nonche' il piano  di  indirizzo  generale  integrato,  approvato  con
delibera del  Consiglio  regionale  n.  93  del  20  settembre  2006,
valevole per il periodo 2006-2010, con il quale la Regione Toscana ha
dettato i criteri, nel rispetto dei principi indicati nel  d.P.R.  n.
233 del 1998, per la programmazione della rete  scolastica  e  quindi
per  il  dimensionamento   e   la   localizzazione   degli   istituti
scolastici). 
    Le disposizioni in esame non possono ritenersi  giustificate  con
il richiamo all'art. 117 secondo comma lett. m), perche' questa  puo'
essere  invocata  esclusivamente  quando  si  fissano  livelli  delle
prestazioni. Nel caso in esame, invece,  la  disposizione  non  fissa
affatto  gli  standards  minimi,  ed   e'   sostanzialmente   diverso
determinare i livelli essenziali, nel rispetto dei quali  le  Regioni
ben  potranno  determinare  standards   qualitatitivi   dei   servizi
superiori  rispetto  ai  minimi,  dalla  minuziosa   regolamentazione
dell'esercizio della concreta potesta' amministrativa. 
    In conclusione, si rileva  che  dette  previsioni  concernono  il
medesimo ambito dell'art. 64, comma 4, lett. f-bis), come gia' visto,
dichiarato incostituzionale con la sentenza n. 200/2009. 
    In particolare, con riguardo a tale norma la Corte  ha  affermato
principi riferibili anche  alle  disposizioni  del  decreto-legge  in
esame, censurate in questa sede; la Corte costituzionale  ha  infatti
chiarito che «Quanto, infatti, alla lettera f-bis), e' pure vero  che
essa prevede che, con atto regolamentare, si dovra'  provvedere  alla
"definizione di criteri, tempi e modalita' per  la  determinazione  e
l'articolazione   dell'azione   di   ridimensionamento   della   rete
scolastica";  tuttavia,  agli  effetti  del  riparto  di   competenza
legislativa tra lo  Stato  e  le  Regioni,  cio'  che  rileva  e'  il
riferimento  al  dimensionamento   della   rete   delle   istituzioni
scolastiche, vale a dire ad un ambito che deve ritenersi di spettanza
regionale. 
    Sul punto, infatti, questa Corte ha avuto modo di  rilevare  che,
da un lato, l'art. 138, comma 1, lettere a) e b), del d.lgs.  n.  112
del 1998 aveva gia' delegato alle Regioni, nei limiti sopra  esposti,
funzioni amministrative in materia, tra  l'altro,  di  programmazione
dell'offerta  formativa  integrata  tra   istruzione   e   formazione
professionale,  nonche'  di  programmazione  della  rete  scolastica;
dall'altro, l'art. 3 del d.P.R. 18 giugno 1998  n.  233  (Regolamento
recante norme  per  il  dimensionamento  ottimale  delle  istituzioni
scolastiche e per la determinazione  degli  organici  funzionali  dei
singoli istituti, a norma dell'articolo 21 della legge 15 marzo 1997,
n.  59)  aveva  disposto  che  «i  piani  di  dimensionamento   delle
istituzioni scolastiche (..) sono definiti in conferenze  provinciali
di organizzazione della rete scolastica, nel rispetto degli indirizzi
di programmazione e dei criteri generali, riferiti anche agli  ambiti
territoriali, preventivamente adottati dalle Regioni» (sentenza n. 34
del 2005). 
    Avendo riguardo alle riportate disposizioni legislative, la Corte
ha cosi' ritenuto, con la citata sentenza, che "proprio alla luce del
fatto che gia' la normativa antecedente alla  riforma  del  Titolo  V
prevedeva la competenza regionale in materia di dimensionamento delle
istituzioni scolastiche,  e  quindi  postulava  la  competenza  sulla
programmazione scolastica di cui all'art. 138 del d.lgs. n.  112  del
1998, e' da escludersi che il  legislatore  costituzionale  del  2001
abbia voluto spogliare le Regioni di una funzione  che  era  gia'  ad
esse conferita" sia pure soltanto sul piano meramente amministrativo. 
    In altri termini, la definizione  del  riparto  delle  competenze
amministrative attuato con il citato decreto legislativo fornisce  un
tendenziale   criterio   utilizzabile   per   la   individuazione   e
interpretazione degli ambiti materiali che la riforma del titolo V ha
attribuito alla potesta' legislativa concorrente  o  residuale  delle
Regioni. 
    Ed in effetti, se si ha riguardo all'obiettivo  perseguito  dalla
disposizione in esame, si deve constatare che la  preordinazione  dei
criteri volti alla attuazione di tale dimensionamento ha una  diretta
ed immediata incidenza su situazioni strettamente legate  alle  varie
realta' territoriali ed alle connesse  esigenze  socio-economiche  di
ciascun territorio, che ben possono e  devono  essere  apprezzate  in
sede regionale, con la precisazione che non possono venire in rilievo
aspetti  che  ridondino  sulla  qualita'  dell'offerta  formativa  e,
dunque, sulla didattica. 
    E non e' senza significato che il  comma  4-quater  dello  stesso
art.  64,  introdotto  dall'art.   3,   comma   1,   del   successivo
decreto-legge n. 154 del 2008, come convertito nella legge n. 189 del
2008, abbia previsto  -  in  sostanziale  discontinuita'  con  quanto
contenuto nella disposizione censurata - che le Regioni  e  gli  enti
locali, "nell'ambito delle rispettive competenze (...) assicurano  il
dimensionamento delle istituzioni scolastiche". 
    La disposizione in questione, pertanto, lungi  dal  poter  essere
qualificata come "norma generale  sull'istruzione»  nel  senso  prima
precisato, invade spazi riservati  alla  potesta'  legislativa  delle
Regioni  relativi  alla  competenza  alle  stesse   spettanti   nella
disciplina dell'attivita' di dimensionamento  della  rete  scolastica
sul territorio.". 
    Alla   luce   dell'orientamento   su   espresso    dalla    Corte
costituzionale le norme in esame, nella  parte  in  cui  direttamente
dispongono  la   formazione   di   istituti   comprensivi,   fissando
direttamente il numero  minimo  di  iscritti  (1000  e/o  500)  degli
stessi,  intervengono  con  una  normativa  puntuale  in  materia  di
dimensionamento e di organizzazione della rete  scolastica,  cio'  in
contrasto con l'art. 117, comma 3, Cost. 
    Infine, dette previsioni non trovano giustificazione neppure alla
luce delle competenza concorrente in materia di  coordinamento  della
finanza pubblica per  finalita'  di  contenimento  della  spesa  come
sembra ipotizzarsi dal  tenore  dell'art.  19  in  esame,  intitolato
appunto razionalizzazione  della  spesa  relativa  all'organizzazione
scolastica. Anzi, proprio in relazione alla su richiamata materia, si
evidenzia un ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale. 
    A riguardo la  Corte  costituzionale  ha  infatti  precisato  che
«Nella  giurisprudenza  di  questa   Corte   e'   ormai   consolidato
l'orientamento  per  il  quale  il  legislatore  statale,   con   una
«disciplina di principio», puo'  legittimamente  «imporre  agli  enti
autonomi,  per  ragioni  di  coordinamento  finanziario  connesse  ad
obiettivi nazionali, condizionati anche  dagli  obblighi  comunitari,
vincoli alle politiche di bilancio, anche  se  questi  si  traducono,
inevitabilmente, in  limitazioni  indirette  all'autonomia  di  spesa
degli enti» (sentenze n. 417 del 2005 e  n.  36  del  2004).  Perche'
detti vincoli possano considerarsi  rispettosi  dell'autonomia  delle
Regioni e degli enti locali, essi debbono  riguardare  l'entita'  del
disavanzo di parte corrente oppure - ma solo «in via  transitoria  ed
in vista degli specifici  obiettivi  di  riequilibrio  della  finanza
pubblica perseguiti dal legislatore  statale»  -  la  crescita  della
spesa corrente degli  enti  autonomi.  In  altri  termini,  la  legge
statale puo' stabilire solo un «limite complessivo, che  lascia  agli
enti stessi ampia liberta' di allocazione delle risorse fra i diversi
ambiti e obiettivi di spesa» (sentenze n. 88 del 2006, n.  449  e  n.
417 del 2005, n. 36 del 2004)» (sentenza n. 169/2007). 
    Pertanto «norme statali che fissano limiti  alla  spesa  di  enti
pubblici regionali  possono  qualificarsi  principi  fondamentali  di
coordinamento  della   finanza   pubblica   alla   seguente   duplice
condizione: in primo luogo, che si  limitino  a  porre  obiettivi  di
riequilibrio della medesima,  intesi  nel  senso  di  un  transitorio
contenimento  complessivo,  anche  se  non  generale,   della   spesa
corrente; in secondo luogo,  che  non  prevedano  in  modo  esaustivo
strumenti o modalita' per il  perseguimento  dei  suddetti  obiettivi
(sentenze n. 120 del 2008; n. 412 e n. 169 del 2007; n. 88 del 2006)»
(sentenza n. 289/2008). 
    In conclusione la Corte costituzionale con la recente sentenza n.
182 del 2011 ha ribadito che «la legge statale puo' stabilire solo un
«limite complessivo, che lascia agli enti stessi  ampia  liberta'  di
allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di  spesa»
(sentenze n. 417 del 2005 e n.  36  del  2004;  si  vedano  anche  le
sentenze n. 88 del 2006 e n. 449 del 2005). 
    Poste tali premesse, e' da aggiungere che interventi analoghi per
i contenuti a quelli operati dalle diverse disposizioni  dell'art.  6
del decreto-legge n. 78 del 2010, disposti negli anni  trascorsi  dal
legislatore statale, non sono stati in grado di superare il vaglio di
legittimita'    costituzionale,    data    l'indebita    compressione
dell'autonomia  finanziaria  delle  Regioni  che  con   essi   veniva
realizzata. In particolare, sono state  ritenute  illegittime,  nella
parte in cui pretendevano di imporsi  al  sistema  regionale,  rigide
misure  concernenti  la  spesa  per   studi,   consulenze,   missioni
all'estero, rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni  (sentenza
n. 417 del 2005); la spesa per viaggi in aereo (sentenza n.  449  del
2005); i  compensi  e  il  numero  massimo  degli  amministratori  di
societa' partecipate dalla Regione (sentenza n.  159  del  2008);  le
spese per autovetture (sentenza n. 297 del 2009). 
    A fronte  di  tale  consolidato  indirizzo  della  giurisprudenza
costituzionale, il legislatore  statale,  con  l'art.  6  citato,  ha
mostrato di saper superare la tecnica normativa in origine  adottata,
ai fini del  contenimento  della  spesa  pubblica,  preferendo  agire
direttamente sulla spesa  delle  proprie  amministrazioni  con  norme
puntuali,  delle  quali  si  e'  invece  dichiarata  l'efficacia  nei
confronti   delle   Regioni   esclusivamente   quali   principi    di
coordinamento della finanza pubblica,  escludendone  l'applicabilita'
diretta (sentenza n. 289 del 2008). 
    Va  da  se'  che  tale  operazione  puo'  rispettare  il  riparto
concorrente della potesta' legislativa in tema di coordinamento della
finanza pubblica, solo a condizione di  permettere  l'estrapolazione,
dalle singole disposizioni statali, di  principi  rispettosi  di  uno
spazio  aperto  all'esercizio  dell'autonomia  regionale.   In   caso
contrario, la disposizione statale  non  potra'  essere  ritenuta  di
principio (sentenza n. 159 del 2008), quale che  ne  sia  l'eventuale
autoqualificazione operata dal legislatore nazionale (sentenza n. 237
del 2009)». Ebbene,  la  disposizione  in  esame  non  risponde  alle
predette condizioni.  Come  gia'  detto,  la  competenza  statale  in
materia di coordinamento della finanza pubblica consiste nel  dettare
principi fondamentali, pertanto, nell'esercizio di tale competenza lo
Stato puo' porre limiti alla spesa complessiva, ma non puo'  decidere
in luogo delle Regioni quali specifiche voci di spesa  devono  essere
eliminate per rispettare tali limiti poiche' cio' rientra nell'ambito
dell'autonomia delle Regioni. 
    Le limitazioni poste dalla norma qui censurata  all'articolazione
e/o organizzazione scolastica  (rectius  la  formazione  di  istituti
comprensivi con un minimo di 1000/500 iscritti  e  la  riduzione  dei
dirigenti scolastici) ledono ulteriormente la  competenza  regionale,
questa volta in materia  di  coordinamento  della  finanza  pubblica,
posto che non residua alle Regioni  alcun  margine  di  scelta,  cio'
traducendosi in un ingiustificato vincolo  all'autonomia  finanziaria
delle Regioni, cio' in violazione degli artt. 117,  comma  3,  e  119
Cost. 
    Infine, le norme  sono  ulteriormente  incostituzionali  poiche',
disciplinano unilateralmente ambiti di  competenza  regionale,  senza
alcuna concertazione con le  Regioni.  Le  norme  in  questione  sono
quindi incostituzionali anche per violazione dell'art.  118  Cost.  e
del principio della leale collaborazione: anche volendo  invocare  il
principio di sussidiarieta' (in senso  ascendente),  infatti  -  come
insegnato dalla Corte costituzionale nella nota sentenza n.  303/2003
-  avrebbero  dovuto  essere  comunque  previste  adeguate  forme  di
concertazione,   al   fine   di   tutelare   le   istanze   regionali
costituzionalmente garantite, in un ambito  che  involge  profili  di
competenza concorrente delle Regioni. 
2) Illegittimita' costituzionale dell'articolo  20,  commi  14  e  15
nella parte in cui stabilisce puntuali obblighi informativi  in  capo
alle Regioni in ordine  all'esecuzione  delle  sentenze  della  Corte
costituzionale e nella parte in cui prevede in caso  di  mancata  e/o
non esatta  conformazione  alle  decisioni  della  Corte,  il  potere
sostitutivo del Governo ai sensi dell'art. 120, secondo comma, Cost.;
cio' in contrasto con l'art. 117, comma  3,  con  l'art.  118,  anche
sotto  il  profilo  della  violazione  del  principio   della   leale
cooperazione nonche' con l'art. 119 Cost. e per violazione  dell'art.
120, comma 2, Cost. 
    Le norme in esame si occupano  della  esecuzione  delle  sentenze
della Corte costituzionale da parte delle Regioni, cio' - per  quanto
qui interessa -  al  dichiarato  scopo  di  perseguire  finalita'  di
coordinamento della finanza pubblica. In particolare, con il comma 14
si  impone  alle  Regioni  di  comunicare,  entro  tre   mesi   dalla
pubblicazione  della  decisione  nella   Gazzetta   Ufficiale,   alla
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento  per  gli  affari
regionali, tutte le attivita' intraprese, gli atti giuridici posti in
essere e le spese affrontate o preventivate ai  fini  dell'esecuzione
delle sentenza della Corte costituzionale. Al successivo comma 15  e'
ulteriormente previsto  che,  in  caso  di  mancata  e/o  non  esatta
conformazione alle decisioni della Corte, il Governo - (solo) sentito
il Presidente della Regione interessata - esercita il proprio  potere
sostitutivo ai sensi dell'art. 120, secondo comma, Cost. (secondo  le
procedure stabilite dall'art. 8 della legge n. 131/2003). 
    Innanzitutto si osserva che la disposizione di cui  al  comma  14
nella parte in cui impone precisi e puntuali adempimenti  informativi
in relazione alle azioni  intraprese  per  l'esecuzione  di  sentenze
della Corte costituzionale si pone in contrasto con l'art. 117, comma
3, e con l'art. 119 Cost. 
    Infatti, gli incombenti a carico delle  Regioni  descritti  dalla
norma in  parola  dovrebbero  giustificarsi,  secondo  le  intenzioni
espresse dallo stesso legislatore statale, per esigenze connesse alla
materia di coordinamento della finanza pubblica. 
    Ebbene, come noto, detta materia e' ricompresa tra le  materie  a
competenza concorrente delle Regioni elencate dall'art. 117, comma 3,
Cost.,  in  relazione  alla   quale   lo   Stato   puo'   intervenire
esclusivamente dettando principi fondamentali  della  materia  ed  e'
evidente che le previsioni in esame non  possono  essere  qualificate
quali norme di principio, in applicazione  degli  insegnamenti  della
Corte  costituzionale  (sentenze  nn.  88/2006,  169/2007,  412/2007,
120/2008, 289/2008 e 182/2011 gia' citate al precedente punto  1  del
presente ricorso). 
    Ed ancora, il comma 15 dello stesso art. 20 prevede che  in  caso
di mancata  e/o  difforme  esecuzione  delle  decisioni  della  Corte
costituzionale il Governo avvia le procedure del  potere  sostitutivo
di cui al secondo comma dell'art. 120 Cost., cio' in evidente assenza
dei presupposti per l'esercizio del potere sostitutivo ivi previsto. 
    A riguardo,  la  Corte  costituzionale  (si  veda  per  tutte  la
sentenza  n.  43/2004)  ha  chiarito  innanzitutto  che   il   potere
sostitutivo previsto ai sensi dell'art. 120,  secondo  comma,  Cost.,
dovendosi rispettare la  posizione  di  autonomia  costituzionalmente
garantita dell'ente sostituendo, ha carattere  eccezionale  e  quindi
puo' svolgersi esclusivamente nelle ipotesi  tassativamente  indicate
nello stesso articolo. 
    Osserva la Corte «Il nuovo articolo  120,  secondo  comma,  della
Costituzione si inserisce  in  questo  contesto,  con  la  previsione
esplicita del potere del  Governo  di  "sostituirsi  a  organi  delle
Regioni, delle Citta' metropolitane, delle Province e dei Comuni"  in
determinate ipotesi, sulla base di presupposti che  vengono  definiti
nella stessa norma costituzionale. L'ultimo periodo del comma prevede
che sia la legge a  definire  le  procedure,  relative  evidentemente
all'esercizio dei poteri sostitutivi previsti dal periodo precedente. 
    La  nuova  norma  deriva  palesemente  dalla  preoccupazione   di
assicurare comunque, in un sistema di  piu'  largo  decentramento  di
funzioni quale quello delineato dalla  riforma,  la  possibilita'  di
tutelare, anche al  di  la'  degli  specifici  ambiti  delle  materie
coinvolte   e   del   riparto   costituzionale   delle   attribuzioni
amministrative, taluni  interessi  essenziali  -  il  rispetto  degli
obblighi    internazionali    e    comunitari,    la     salvaguardia
dell'incolumita' e della sicurezza pubblica, la tutela  in  tutto  il
territorio  nazionale  dei  livelli  essenziali   delle   prestazioni
concernenti  i  diritti  civili  e   sociali   -   che   il   sistema
costituzionale attribuisce alla  responsabilita'  dello  Stato  (cfr.
infatti  l'articolo  117,  quinto   comma,   ultimo   inciso,   della
Costituzione,  per  gli   obblighi   internazionali   e   comunitari;
l'articolo 117, secondo comma, lettere h) e m),  rispettivamente  per
l'ordine e la sicurezza pubblica e per  i  livelli  essenziali  delle
prestazioni  concernenti  i  diritti  civili   e   sociali).   Quanto
all'"unita' giuridica" e all'"unita' economica", quale che ne sia  il
significato (che qui non occorre indagare),  si  tratta  all'evidenza
del richiamo ad interessi "naturalmente"  facenti  capo  allo  Stato,
come  ultimo   responsabile   del   mantenimento   della   unita'   e
indivisibilita' della  Repubblica  garantita  dall'articolo  5  della
Costituzione. [..] l'articolo 120, secondo  comma,  prevede  solo  un
potere sostitutivo straordinario, in capo al Governo, da  esercitarsi
sulla base dei presupposti  e  per  la  tutela  degli  interessi  ivi
esplicitamente  indicati   [...]   Il   carattere   straordinario   e
"aggiuntivo" degli interventi governativi previsti dall'articolo 120,
secondo comma, risulta sia dal fatto  che  esso  allude  a  emergenze
istituzionali di  particolare  gravita',  che  comportano  rischi  di
compromissione relativi ad interessi essenziali della Repubblica». 
    E se e'  pur  vero  che  la  Corte  con  la  stessa  sentenza  ha
sottolineato che la norma di cui all'art. 120, secondo  comma,  Cost.
«lascia impregiudicata l'ammissibilita' e la disciplina di altri casi
di  interventi  sostitutivi,  configurabili  dalla  legislazione   di
settore, statale o regionale, in capo ad organi dello Stato  o  delle
Regioni o di altri enti territoriali, in correlazione con il  riparto
delle funzioni amministrative da essa realizzato  e  con  le  ipotesi
specifiche che li possano rendere  necessari»,  la  stessa  Corte  ha
chiarito che «Poiche'  pero',  come  si  e'  detto,  tali  interventi
sostitutivi  costituiscono  una   eccezione   rispetto   al   normale
svolgimento di attribuzioni dei Comuni definite  dalla  legge,  sulla
base di criteri oggi assistiti da  garanzia  costituzionale,  debbono
valere nei confronti di essi condizioni e limiti non diversi (essendo
fondati sulla medesima ragione costituzionale)  da  quelli  elaborati
nella ricordata giurisprudenza di questa Corte in relazione ai poteri
sostitutivi dello Stato nei confronti delle Regioni. 
    In primo luogo, le ipotesi di  esercizio  di  poteri  sostitutivi
debbono essere previste e disciplinate dalla legge (cfr. sentenza  n.
338 del  1989),  che  deve  definirne  i  presupposti  sostanziali  e
procedurali. 
    In secondo luogo, la sostituzione puo' prevedersi  esclusivamente
per il compimento di atti o di attivita' "prive  di  discrezionalita'
nell'an (anche se  non  necessariamente  nel  quid  o  nel  quomodo)"
(sentenza n. 177 del 1988), la cui obbligatorieta'  sia  il  riflesso
degli interessi unitari alla cui salvaguardia  provvede  l'intervento
sostitutivo: e cio' affinche'  essa  non  contraddica  l'attribuzione
della funzione amministrativa all'ente locale sostituito. 
    Il potere sostitutivo deve essere poi esercitato da un organo  di
governo della Regione o sulla base di una decisione di  questo  (cfr.
sentenze n. 460 del 1989, n. 342 del 1994, n. 313 del 2003): cio' che
e'  necessario  stante  l'attitudine  dell'intervento   ad   incidere
sull'autonomia, costituzionalmente rilevante, dell'ente sostituito. 
    La legge deve, infine, apprestare congrue garanzie procedimentali
per l'esercizio del potere sostitutivo, "in conformita' al  principio
di leale collaborazione (cfr. ancora sentenza n.. 177 del 1988),  non
a caso espressamente  richiamato  anche  dall'articolo  120,  secondo
comma, ultimo periodo, della  Costituzione  a  proposito  del  potere
sostitutivo straordinario" del Governo, ma operante piu' in  generale
nei  rapporti  fra  enti  dotati  di   autonomia   costituzionalmente
garantita. Dovra' dunque prevedersi un procedimento nel quale  l'ente
sostituito sia comunque messo in grado  di  evitare  la  sostituzione
attraverso l'autonomo adempimento, e  di  interloquire  nello  stesso
procedimento (cfr. sentenze  n.  153  del  1986,  n.  416  del  1995;
ordinanza n. 53 del 2003)» (nello stesso senso si vedano le  sentenze
n. 69/2004 e n. 165/2011). 
    Ebbene nel caso di specie il  potere  sostitutivo  ex  art.  120,
secondo comma, Cost. e' previsto dalla  norma  qui  censurata  al  di
fuori degli ambiti materiali tassativamente elencati dal citato  art.
120 il quale prevede: 
        mancato rispetto di norme, e trattati internazionali o  della
normativa  comunitaria,  pericolo  grave  per  l'incolumita'   e   la
sicurezza  pubblica,  tutela  dell'unita'  giuridica  o   dell'unita'
economica e in particolare la tutela  dei  livelli  essenziali  delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. 
    In  altri  termini  non  possono  ravvisarsi   quelle   emergenze
istituzionali di particole gravita', nella mancata ed ancor  di  piu'
nella difforme (a giudizio di chi? dello  Stato  che  unilateralmente
decide?) esecuzione delle sentenze  della  Corte  costituzionale:  e'
quindi evidente la lesione dell'art. 120, secondo  comma,  Cost.,  in
quanto il potere sostitutivo previsto dal suddetto comma 15  si  pone
al di fuori delle condizioni stabilite dalla Carta fondamentale. 
    La fattispecie in esame contempla infatti un  potere  sostitutivo
generalizzato  che  contrasta  evidentemente  con  il  principio   di
specialita' e tassativita' invocato piu' volte dalla Corte,  cio'  in
violazione dell'art. 120, secondo  comma,  Cost.  Inoltre,  la  Corte
costituzionale ha ulteriormente osservato che, al fine  di  ammettere
l'esercizio del  potere  sostitutivo,  deve  trattarsi  di  atti  e/o
attivita' prive di discrezionalita' nell'an: anche  detta  condizione
non sembra essere soddisfatta nel  caso  di  specie  con  particolare
riguardo all'ipotesi di «non  esatta  conformazione  alle  decisioni»
della Corte, presupposto invece previsto dalla norma  censurata  come
legittimante l'intervento sostitutivo del Governo, anche  se  in  tal
caso si vengono a sindacare  le  modalita'  con  cui  e'  stata  data
esecuzione alle sentenze della Corte costituzionale. 
    Infine,   sempre   secondo   quanto   evidenziato   dalla   Corte
costituzionale la  legge  che  prevede  il  potere  sostitutivo  deve
apprestare congrue  garanzie  procedimentali  per  l'esercizio  dello
stesso, in conformita' del principio di leale collaborazione:  appare
quindi necessaria la previsione di un procedimento nel  quale  l'ente
sostituito sia comunque messo in grado  di  evitare  la  sostituzione
attraverso l'autonomo adempimento  e  di  interloquire  nello  stesso
procedimento. 
    Ebbene anche  sotto  questo  profilo  si  evidenzia  un'ulteriore
violazione dell'art. 118 Cost. per  contrasto  con  il  principio  di
leale collaborazione, posto che la nonna in  esame  -  nonostante  il
richiamo puramente formale alle procedure di cui all'art. 8 legge  n.
131/2003 - si limita a prevedere un mero parere del Presidente  della
Regione interessata. 
    Le disposizioni in  esame  appaiono  pertanto  in  contrasto  con
l'art. 117, comma 3, art. 118, art. 119 e con l'art.  120,  comma  2,
Cost., nonche' lesive del principio di leale collaborazione. 
3) Illegittimita' costituzionale dell'articolo 35, commi 6 e 7, nella
parte in cui prevedono che le attivita'  commerciali  possono  essere
svolte senza i limiti e le prescrizioni aventi ad oggetto  gli  orari
di apertura e di chiusura,  l'obbligo  della  chiusura  domenicale  e
festiva   nonche'   quello   della   mezza   giornata   di   chiusura
infrasettimanale, cio'  in  violazione  dell'art.  117,  comma  4,  e
dell'art. 118 Cost. 
    La norma in esame, nel  testo  introdotto  dal  decreto-legge  n.
98/2011, stabilisce che le attivita'  commerciali,  come  individuate
dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n.  114,  e  le  attivita'  di
somministrazione di alimenti e bevande, sono svolte senza il  limite,
tra gli altri, del «rispetto degli orari di apertura e  di  chiusura,
l'obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonche'  quello  della
mezza giornata di chiusura  infrasettimanale  dell'esercizio  ubicato
nei comuni inclusi negli elenchi regionali delle localita' turistiche
o citta' d'arte» (comma 6). 
    A tal fine, al successivo comma 7,  si  prevede  inoltre  che  le
Regioni  e  gli  enti  locali  adeguino   le   proprie   disposizioni
legislative e regolamentari entro la fine del corrente anno. 
    E' evidente che la disciplina in esame concerne  la  materia  del
commercio la quale e' attribuita alle  Regioni  in  via  esclusiva  e
quindi, la stessa si pone in contrasto con la normativa regionale  in
materia: in particolare, la legge regionale n. 28/2005, fin dal  2009
(cioe' dall'anno di entrata in vigore del Regolamento  di  attuazione
della  citata  legge  regionale  28),  prevede   l'esclusione   delle
limitazioni sopra dette per le attivita'  commerciali,  tuttavia  non
facendo piu' riferimento agli elenchi regionali dei comuni  turistici
e d'arte (in origine previsti dal d.lgs. n. 114/1998). 
    Il legislatore toscano ha infatti demandato ai  Comuni  stessi  -
previa concertazione con le organizzazioni di categoria delle imprese
del  commercio,  dei  lavoratori  dipendenti,  le  associazioni   dei
consumatori e delle altre parti sociali interessate - la  definizione
degli orari e delle aperture domenicali e festive (cfr. art. 80  l.r.
n. 28/2005). 
    Peraltro gli elenchi richiamati dalla  normativa  statale  citata
non corrispondono neanche a quelli a suo tempo previsti dall'art.  12
d.lgs. n. 114/1998  (recante  la  disciplina  specifica  relativa  al
settore del commercio); la dizione di cui all'art. 35,  comma  6  del
d.l. n. 98/2011 e'  stata  infatti  mutuata  dall'art.  4  d.lgs.  n.
23/2011, che riguarda la  diversa  materia  del  federalismo  fiscale
municipale e della imposta di soggiorno nei comuni inseriti in  detti
elenchi (che evidentemente rispondono a finalita' affatto analoghe  a
quelle relative alla regolamentazione degli orari di  apertura  delle
attivita' commerciali). 
    La  norma  appare  quindi  lesiva  della   competenza   regionale
esclusiva ex art. 117, comma 4,  della  Costituzione  in  materia  di
commercio. 
    Non puo', per contro, essere invocata la  competenza  statale  in
materia  di  concorrenza  e  di  livelli   minimi   essenziali   come
sembrerebbe ipotizzare il legislatore statale  che,  con  l'art.  35,
comma 6, in parola, ha  infatti  inserito  la  lettera  d-bis)  nella
elencazione di  cui  all'art.  3,  comma  1,  del  d.l.  n.  223/2006
(convertito con legge n. 248/2006), ove si legge  appunto  «Ai  sensi
delle disposizioni dell'ordinamento comunitario in materia di  tutela
della concorrenza e libera circolazione delle merci e dei servizi  ed
al fine di garantire la liberta' di concorrenza secondo condizioni di
pari opportunita'  ed  il  corretto  ed  uniforme  funzionamento  del
mercato, nonche' di  assicurare  ai  consumatori  finali  un  livello
minimo ed uniforme di condizioni di  accessibilita'  all'acquisto  di
prodotti e servizi sul territorio nazionale, ai  sensi  dell'articolo
117,  comma  secondo,  lettere  e)  ed  m),  della  Costituzione,  le
attivita' economiche di distribuzione commerciale,  ivi  comprese  la
somministrazione di alimenti e bevande, sono svolte senza i  seguenti
limiti e prescrizioni», tra cui appunto - a seguito degli  interventi
normativi in esame - le limitazione relative agli orari ed ai  giorni
di apertura. 
    In particolare, con riguardo alla  tutela  della  concorrenza  la
Corte costituzionale, con la sentenza n. 288 del 2010, ha respinto la
prospettazione del TAR Lombardia secondo il  quale  una  legge  della
Regione Lombardia avente ad oggetto orari  e  chiusura  domenicale  e
festiva degli esercizi commerciali,  distinguendo  tra  esercizi  con
superficie  inferiore  e/o  superiore  a  250  mq,   avrebbe   inciso
«sull'assetto  concorrenziale  all'interno  del   mercato   regionale
ponendo limiti ulteriori rispetto a quelli previsti  dal  legislatore
statale con il decreto legislativo 31 marzo  1998,  n.  114  (Riforma
della  disciplina  relativa  al  settore  del  commercio),  con  cio'
violando la competenza legislativa esclusiva dello Stato  in  materia
di tutela della concorrenza  di  cui  all'art.  117,  secondo  comma,
lettera e),  Cost.»,  dovendo  detta  disciplina  essere  inquadrata,
sempre secondo la tesi del  Giudice  rimettente,  «nell'ambito  della
materia «tutela della concorrenza»,  di  competenza  esclusiva  dello
Stato, e non in  quello  della  materia  «commercio»,  di  competenza
residuale delle Regioni". La  Corte  ha  dichiarato  non  fondata  la
questione nei termini rilevati dal Giudice  a  quo  evidenziando  che
«con specifico riferimento al d.lgs. n. 114 del 1998, questa Corte ha
affermato che: "a seguito della modifica del Titolo V della Parte  II
della Costituzione, la materia 'commercio' rientra  nella  competenza
esclusiva  residuale  delle  Regioni,  ai  sensi  del  quarto   comma
dell'art. 117 Cost.; [...] pertanto, il decreto legislativo 31  marzo
1998, n. 114  (Riforma  della  disciplina  relativa  al  settore  del
commercio, a norma dell'art. 4, comma 4, della legge 15  marzo  1997,
n. 59), di cui  il  giudice  rimettente  lamenta  la  violazione,  si
applica, ai sensi dell'art. 1, comma 2, della legge 5 giugno 2003, n.
131 (Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica
alla legge costituzionale 18  ottobre  2001,  n.  3),  soltanto  alle
Regioni che  non  abbiano  emanato  una  propria  legislazione  nella
suddetta materia, mentre la Regione Lombardia ha  gia'  provveduto  a
disciplinare in modo autonomo la materia stessa"  (ordinanza  n.  199
del 2006). 
    In altra occasione si e' poi  avuto  modo  di  precisare  che  la
disciplina degli  orari  degli  esercizi  commerciali  rientra  nella
materia  "commercio"  di  cui  all'art.  117,  quarto  comma,   Cost.
(sentenza n. 350 del 2008) [...] 
    Va,  poi,  detto  che  questa  Corte  ha  gia'  riconosciuto   la
legittimita' di leggi regionali che operano  delle  differenziazioni,
anche  con  specifico  riferimento  alla  dimensione   dell'attivita'
dell'esercente commerciale, al fine di tutelare la  piccola  e  media
impresa. In particolare si e' ritenuto legittimo tutelare  (sia  pure
con  riferimento  a  censure  relative  agli  artt.  3  e  41  Cost.)
«l'esigenza di interesse generale - peraltro espressamente richiamata
dal citato art. 6, comma 1, lettera del d.lgs. n. 114 del 1998  -  di
riconoscimento e valorizzazione  del  ruolo  delle  piccole  e  medie
imprese gia' operanti sul territorio regionale» (sentenza n.  64  del
2007). 
    Infine, una volta stabilito che la disciplina degli  orari  degli
esercizi commerciali e' ascrivibile alla materia «commercio»  di  cui
all'art. 117, quarto comma, Cost., non risulta di per se'  lesiva  di
parametri costituzionali  la  scelta  del  legislatore  regionale  di
regolamentare il settore operando delle differenziazioni non solo  in
relazione alla dimensione dell'esercizio commerciale ma  anche,  come
si e' detto, tenendo conto di altri fattori tra i  quali  il  settore
merceologico di appartenenza e gli effetti sull'occupazione». 
    Neppure puo' ritenersi  utilmente  invocata  la  materia  di  cui
all'art. 117, comma 2, lett. m), Cost.: anche in tal senso  la  Corte
costituzionale ha avuto modo di chiarire che «nell'attivita' posta in
essere dai centri di telefonia sono rinvenibili alcuni degli elementi
tipici degli esercizi commerciali,  tant'e'  vero,  ad  esempio,  che
l'art. 6 della legge regionale in questione si occupa  proprio  degli
orari e delle modalita'  di  esercizio  di  tale  attivita'  (profili
ascrivibili alla materia del «commercio»: si vedano  le  sentenze  n.
243 del 2005 e n. 76 del 1972). [...] Non e'  invece  pertinente,  in
questa sede, l'evocazione dell'art. 117, secondo comma,  lettera  m),
della Costituzione, in quanto la disciplina regionale dei  centri  di
telefonia non incide sulla "determinazione degli standard strutturali
e qualitativi di prestazioni che, concernendo il  soddisfacimento  di
diritti civili e sociali, devono essere garantiti, con  carattere  di
generalita', a tutti gli aventi diritto" (sentenza n. 168  del  2008;
si vedano altresi' le sentenze n. 50 del 2008; n. 387 del 2007  e  n.
248 del 2006)». 
    Infine, la Corte costituzionale con la recentissima  sentenza  n.
150/2011 ha ribadito espressamente che  «la  disciplina  degli  orari
degli  esercizi  commerciali  rientra   nella   materia   "commercio"
(sentenze n. 288 del 2010 e n. 350 del 2008), di competenza esclusiva
residuale delle Regioni, ai sensi  del  quarto  comma  dell'art.  117
Cost., e che "il decreto legislativo 31 marzo 1998, n.  114  (Riforma
della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell'art.
4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), [...], si applica,  ai
sensi dell'art. 1, comma  2,  della  legge  5  giugno  2003,  n.  131
(Disposizioni per  l'adeguamento  dell'ordinamento  della  Repubblica
alla legge costituzionale 18  ottobre  2001,  n.  3),  soltanto  alle
Regioni che  non  abbiano  emanato  una  propria  legislazione  nella
suddetta materia» (sentenze n. 288 e n. 247 del  2010,  ordinanza  n.
199 del 2006)». 
    Inoltre, prevedere - come fa la norma in esame -  una  disciplina
specifica per i Comuni turistici, incide ulteriormente sulla  materia
del turismo, anch'essa di competenza esclusiva regionale, cosi'  come
espressamente affermato dalla Corte costituzionale, secondo  cui  «La
competenza legislativa residuale delle Regioni in materia di turismo,
ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost., e'  pacifica»  (sentenza
n. 94/2009; si vedano in tal senso anche le  sentenze  nn.  197/2003,
90/2006, 214/2006 e 76/2009). 
    E'  pertanto  evidente  l'illegittima  invasione  dell'ambito  di
competenza  regionale  costituzionalmente  garantito  in  materia  di
commercio e di turismo, ai sensi dell'art. 117, comma 4, Cost. 
    In conclusione, la  norma  in  esame  interviene  su  materie  di
competenza residuale, con conseguente illegittima compressione  delle
prerogative regionali costituzionalmente garantite. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Si conclude affinche'  piaccia  all'ecc.ma  Corte  costituzionale
dichiarare l'illegittimita' costituzionale degli artt. 19, commi 4  e
5; 20, commi 14 e 15;  e  35,  commi.6  e  7,  del  decreto-legge  n.
98/2011, cosi' come convertito dalla legge di conversione  15  luglio
2011, n. 111, per contrasto con gli artt. 117, terzo e quarto  comma,
118, 119 e 120  Cost.  anche  sotto  il  profilo  di  violazione  del
principio della leale cooperazione. 
        Firenze - Roma, 12 settembre 2011 
 
                              Avv. Bora