N. 90 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 14 settembre 2011
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 14 settembre 2011 (del Presidente del Consiglio dei ministri) . Istruzione - Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria - Misure per la razionalizzazione della spesa relativa all'organizzazione scolastica - Riduzione del numero di scuole dell'infanzia, primarie e secondarie mediante la formazione di istituti comprensivi, nonche' riduzione del numero di posti di dirigente scolastico - Lamentato intervento sull'organizzazione scolastica e sul dimensionamento della rete scolastica sul territorio senza un adeguato coinvolgimento delle Regioni - Ricorso della Regione Toscana - Denunciata violazione della competenza legislativa regionale nelle materie concorrenti dell'istruzione e del coordinamento della finanza pubblica, violazione dell'autonomia finanziaria regionale, violazione del principio di leale collaborazione. - Decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111, art. 19, commi 4 e 5. - Costituzione, artt. 117, comma terzo, 118 e 119. Regioni (in genere) - Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria - Esecuzione delle sentenze della Corte costituzionale da parte delle Regioni - Previsione di obblighi informativi in capo alle Regioni in ordine all'esecuzione delle sentenze - Previsione, in caso di mancata o non esatta conformazione, del potere sostitutivo del Governo ai sensi dell'art. 120, secondo comma, Cost. - Lamentata natura di dettaglio delle previsioni, nonche' mancanza dei presupposti per l'esercizio del potere sostitutivo previsto - Ricorso della Regione Toscana - Denunciata violazione della competenza legislativa regionale nella materia concorrente del coordinamento della finanza pubblica, violazione dell'autonomia finanziaria regionale, violazione del principio di leale collaborazione, esorbitanza dai limiti costituzionali entro cui e' ammesso il potere sostitutivo del Governo. - Decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111, art. 20, commi 14 e 15. - Costituzione, artt. 117, 118, 119 e 120. Commercio - Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria - Attivita' commerciali e attivita' di somministrazione di alimenti e bevande nei comuni inclusi negli elenchi regionali delle localita' turistiche o citta' d'arte - Esenzione dal rispetto dei limiti e prescrizioni sugli orari di apertura e chiusura, sull'obbligo della chiusura domenicale, festiva e della mezza giornata infrasettimanale - Obbligo di adeguamento normativo da parte delle Regioni entro un anno - Ricorso della Regione Toscana - Denunciata violazione della competenza legislativa regionale residuale nelle materie del commercio e del turismo. - Decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111, art. 35, commi 6 e 7. - Costituzione, artt. 117, comma quarto, e 118.(GU n.45 del 26-10-2011 )
Ricorso della Regione Toscana, in persona del Presidente pro tempore, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n. 764 del 5 settembre 2011, rappresentato e difeso, per mandato in calce al presente atto, dall' Avv. Lucia Bora, domiciliato presso lo studio dell'Avv. Marcello Cecchetti; in Roma, Via A. Mordini 14; Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli artt. 19, commi 4 e 5; 20, commi 14 e 15; e 35, commi 6 e 7, del decreto-legge n. 98/2011, cosi' come convertito dalla legge di conversione 15 luglio 2011 n. 111, per violazione degli artt. 117, 118 , 119 e 120 Cost. anche sotto il profilo di violazione del principio della leale collaborazione. Nella G.U. - Serie generale - n. 164 del 16 luglio 2011 e' stata pubblicata la legge 15 luglio 2010, n. 111 di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, recante Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria. Le impugnate disposizioni sono lesive delle competenze regionali per i seguenti motivi di Diritto 1) Illegittimita' costituzionale dell'articolo 19, commi 4 e 5, nella parte in cui dispone la riduzione del numero di scuole dell'infanzia, primarie e secondarie mediante la formazione di istituti comprensivi nonche' nella parte in cui prevede, di conseguenza, la riduzione del numero di posti di dirigente scolastico, per violazione dell'art. 117, comma 3, dell'art. 118 e dell'art. 119 Cost. La disposizione in esame si occupa della razionalizzazione della spesa relativa all'organizzazione scolastica. Per quanto qui rileva, i commi evidenziati prevedono la riduzione del numero di scuole dell'infanzia, primarie e secondarie mediante la formazione di istituti comprensivi; in conseguenza di detta previsione, il numero di autonomie si ridurra' di 1.130 unita', comportando, ulteriormente, una riduzione del numero di posti di dirigente scolastico. In base alla norma in esame, gli istituti comprensivi potranno avere autonomia solo se avranno un numero di iscritti pari almeno a 1000 unita' (ovvero 500 unita' per le istituzioni site nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche con specificita' linguistiche); le scuole con meno di 500 alunni non avranno diritto a un preside. Secondo le stime, contenute nella relazione illustrativa alla legge, l'applicazione di tali disposizioni contribuira' al conseguimento e consolidamento delle economie di spesa, gia' previste per il triennio 2009-2011 dall'art. 64 del d.l. n. 112 del 2008, in materia di dimensionamento della rete scolastica. Il comma 4 all'odierno esame, in particolare, appare indubbiamente pervasivo in quanto interviene con disposizioni puntuali in ordine al dimensionamento delle reti scolastiche: esso infatti generalizza l'aggregazione della scuola dell'infanzia, primaria e secondaria di primo grado in istituti comprensivi, che per acquisire l'autonomia devono contare almeno 1.000 alunni (ridotti a 500 per le istituzioni site nelle piccole isole e nei comuni montani). La Corte costituzionale, con la sentenza n. 200 del 2009 si e' gia' espressa in merito ai profili organizzativi del servizio scolastico ed in ordine all'articolazione dell'azione di ridimensionamento della rete scolastica: con riguardo alla questione di costituzionalita' dell'art. 64, comma 4 lett. f) e f-bis), del decreto-legge n. 112/2008, ha chiarito espressamente che il dimensionamento scolastico spetta senz'altro alle Regioni ai sensi dell'art. 117, comma 3, Cost. Seppur non rinvii ad alcun regolamento, e' evidente che il comma 4 dell'articolo 19, oggi in esame, tende ai medesimi fini di cui alle disposizioni gia' censurate dalla Corte con la sentenza n. 200 del 2009, disposizioni alle quali era stata negata la qualificazione di «norme generali sull'istruzione», e quindi la riconducibilita' alla competenza legislativa esclusiva statale di cui all'articolo 117, comma 2, lettera n) della Costituzione, riguardando le stesse direttamente l'assetto del sistema scolastico e dunque la materia concorrente dell'istruzione. In particolare, la giurisprudenza costituzionale ha chiarito che «nel quadro costituzionale definito dalla riforma del titolo V la materia istruzione (salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione dell'istruzione e formazione professionale) forma oggetto di potesta' concorrente (art. 117 terzo comma Cost.), mentre allo Stato e' riservata soltanto la potesta' legislativa esclusiva in materia di norme generali sull'istruzione (art. 117 secondo comma lett. n)»... «Nel complesso intrecciarsi in una stessa materia di nonne generali, principi fondamentali, leggi regionali e determinazioni autonome delle istituzioni scolastiche, si puo' assumere per certo che il prescritto ambito di legislazione regionale sta proprio nella programmazione della rete scolastica. E' infatti implausibile che il legislatore costituzionale abbia voluto spogliare le regioni di una funzione che era gia' ad esse conferita nella forma della competenza delegata dell'art. 138 del decreto legislativo n. 112 del 1998 ... Una volta attribuita l'istruzione alla competenza concorrente , il riparto imposto dall'art. 117 postula che, in tema di programmazione scolastica e di gestione amministrativa del relativo servizio, compito dello Stato sia solo quello di fissare principi». Tali principi e la competenza regionale concorrente in materia di istruzione sono stati confermati nelle ulteriori sentenze n. 423/2004; n. 34/2005; n. 50/2008; significativamente, poi, nella pronuncia n. 279/2005, la Corte costituzionale ha chiarito che le nonne generali in materia di istruzione di cui alla lett. n) del secondo comma dell'art. 117 Cost. «sono quelle sorrette, in relazione al loro contenuto, da esigenze unitarie e quindi applicabili indistintamente al di la' dell'ambito propriamente regionale»; esse si distinguono dai principi fondamentali in materia di istruzione, rilevanti ai sensi dell'art. 117 terzo comma Cost., in quanto questi ultimi «pur sorretti da esigenze unitarie non esauriscono in se stessi la loro operativita', ma informano altre norme, piu' o meno numerose» (sentenza n. 200/2009). Per contro, le norme in esame non esprimono esigenze di carattere unitario alla stregua dei valori da tutelare, che sole legittimano l'intervento statale, non riguardano norme generali sull'istruzione ne' principi generali della materia; dette norme, infatti, non contengono «le indicazioni delle finalita'» della scuola, non pongono «condizioni minime di uniformita' in materia scolastica», ne' esprimono quegli essenziali interventi volti a garantire l'uguaglianza sostanziale nell'accesso e nella fruizione della cultura, tali da doversi applicare indistintamente su tutto il territorio nazionale (come, ad esempio, la tipologia e la durata dei corsi di istruzione, le modalita' di passaggio tra i diversi ordini di scuola, la valutazione degli apprendimenti, il riconoscimento dei titoli di studio, i criteri di selezione e di reclutamento del personale). Nonostante il generico ed immotivato richiamo ad esigenze di «continuita' didattica», con le disposizioni censurate, viene disposta di fatto la soppressione di scuole di infanzia, primarie e secondarie, e la formazione di istituti comprensivi; cio' facendo lo Stato interviene direttamente nell'ambito della programmazione e dell'organizzazione della rete scolastica. Come evidenziato dalla Corte, le Regioni erano gia' titolari di dette competenze a seguito del decreto legislativo n. 112 del 1998 e, in particolare, con riferimento alle funzioni, di «programmazione dell'offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale» (art. 138, comma 1, lett. a), di «programmazione della rete scolastica» (art. 138, comma 1, lett. b), di «contributi alle scuole non statali» (art. 138, comma 1, lett. c) e di formazione professionale (art. 143). Del resto, esaminando il contenuto sostanziale di queste funzioni, puo' agevolmente rilevarsi che, fermo restando il rispetto degli standard minimi, la rete scolastica e il dimensionamento degli istituti sono piu' efficacemente organizzati se tengono conto delle diverse realta' territoriali, realta' che meglio sono conosciute dalle Amministrazioni regionali. Alle Regioni, pertanto, erano gia' state affidate le competenze sull'organizzazione scolastica e sul dimensionamento degli istituti, mentre con le norme in esame si prevede una disciplina puntuale ed autoapplicativa in relazione alla quale le Regioni non sono chiamate a svolgere alcun ruolo. La disciplina in parola rappresenta pertanto un inammissibile passo indietro rispetto alle prerogative riconosciute alle Regioni, cio' che rende evidente la violazione delle attribuzioni regionali di cui all'art. 117 Cost. in materia di istruzione. Si ripete, l'art. 19 che qui si contesta disciplina aspetti organizzativi, con riferimento alla determinazione ed articolazione dell'azione di ridimensionamento della rete scolastica, senza prevedere un adeguato coinvolgimento delle Regioni. A tal riguardo, e a rafforzamento della fondatezza dei motivi di ricorso, si rileva che la Regione Toscana ha compiutamente disciplinato l'aspetto dell'organizzazione scolastica e del dimensionamento degli istituti (cfr. la legge regionale 26 luglio 2002 n. 32 e successive modificazioni ed integrazioni, che ha dettato le norme per la programmazione della rete scolastica regionale, nonche' il piano di indirizzo generale integrato, approvato con delibera del Consiglio regionale n. 93 del 20 settembre 2006, valevole per il periodo 2006-2010, con il quale la Regione Toscana ha dettato i criteri, nel rispetto dei principi indicati nel d.P.R. n. 233 del 1998, per la programmazione della rete scolastica e quindi per il dimensionamento e la localizzazione degli istituti scolastici). Le disposizioni in esame non possono ritenersi giustificate con il richiamo all'art. 117 secondo comma lett. m), perche' questa puo' essere invocata esclusivamente quando si fissano livelli delle prestazioni. Nel caso in esame, invece, la disposizione non fissa affatto gli standards minimi, ed e' sostanzialmente diverso determinare i livelli essenziali, nel rispetto dei quali le Regioni ben potranno determinare standards qualitatitivi dei servizi superiori rispetto ai minimi, dalla minuziosa regolamentazione dell'esercizio della concreta potesta' amministrativa. In conclusione, si rileva che dette previsioni concernono il medesimo ambito dell'art. 64, comma 4, lett. f-bis), come gia' visto, dichiarato incostituzionale con la sentenza n. 200/2009. In particolare, con riguardo a tale norma la Corte ha affermato principi riferibili anche alle disposizioni del decreto-legge in esame, censurate in questa sede; la Corte costituzionale ha infatti chiarito che «Quanto, infatti, alla lettera f-bis), e' pure vero che essa prevede che, con atto regolamentare, si dovra' provvedere alla "definizione di criteri, tempi e modalita' per la determinazione e l'articolazione dell'azione di ridimensionamento della rete scolastica"; tuttavia, agli effetti del riparto di competenza legislativa tra lo Stato e le Regioni, cio' che rileva e' il riferimento al dimensionamento della rete delle istituzioni scolastiche, vale a dire ad un ambito che deve ritenersi di spettanza regionale. Sul punto, infatti, questa Corte ha avuto modo di rilevare che, da un lato, l'art. 138, comma 1, lettere a) e b), del d.lgs. n. 112 del 1998 aveva gia' delegato alle Regioni, nei limiti sopra esposti, funzioni amministrative in materia, tra l'altro, di programmazione dell'offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale, nonche' di programmazione della rete scolastica; dall'altro, l'art. 3 del d.P.R. 18 giugno 1998 n. 233 (Regolamento recante norme per il dimensionamento ottimale delle istituzioni scolastiche e per la determinazione degli organici funzionali dei singoli istituti, a norma dell'articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59) aveva disposto che «i piani di dimensionamento delle istituzioni scolastiche (..) sono definiti in conferenze provinciali di organizzazione della rete scolastica, nel rispetto degli indirizzi di programmazione e dei criteri generali, riferiti anche agli ambiti territoriali, preventivamente adottati dalle Regioni» (sentenza n. 34 del 2005). Avendo riguardo alle riportate disposizioni legislative, la Corte ha cosi' ritenuto, con la citata sentenza, che "proprio alla luce del fatto che gia' la normativa antecedente alla riforma del Titolo V prevedeva la competenza regionale in materia di dimensionamento delle istituzioni scolastiche, e quindi postulava la competenza sulla programmazione scolastica di cui all'art. 138 del d.lgs. n. 112 del 1998, e' da escludersi che il legislatore costituzionale del 2001 abbia voluto spogliare le Regioni di una funzione che era gia' ad esse conferita" sia pure soltanto sul piano meramente amministrativo. In altri termini, la definizione del riparto delle competenze amministrative attuato con il citato decreto legislativo fornisce un tendenziale criterio utilizzabile per la individuazione e interpretazione degli ambiti materiali che la riforma del titolo V ha attribuito alla potesta' legislativa concorrente o residuale delle Regioni. Ed in effetti, se si ha riguardo all'obiettivo perseguito dalla disposizione in esame, si deve constatare che la preordinazione dei criteri volti alla attuazione di tale dimensionamento ha una diretta ed immediata incidenza su situazioni strettamente legate alle varie realta' territoriali ed alle connesse esigenze socio-economiche di ciascun territorio, che ben possono e devono essere apprezzate in sede regionale, con la precisazione che non possono venire in rilievo aspetti che ridondino sulla qualita' dell'offerta formativa e, dunque, sulla didattica. E non e' senza significato che il comma 4-quater dello stesso art. 64, introdotto dall'art. 3, comma 1, del successivo decreto-legge n. 154 del 2008, come convertito nella legge n. 189 del 2008, abbia previsto - in sostanziale discontinuita' con quanto contenuto nella disposizione censurata - che le Regioni e gli enti locali, "nell'ambito delle rispettive competenze (...) assicurano il dimensionamento delle istituzioni scolastiche". La disposizione in questione, pertanto, lungi dal poter essere qualificata come "norma generale sull'istruzione» nel senso prima precisato, invade spazi riservati alla potesta' legislativa delle Regioni relativi alla competenza alle stesse spettanti nella disciplina dell'attivita' di dimensionamento della rete scolastica sul territorio.". Alla luce dell'orientamento su espresso dalla Corte costituzionale le norme in esame, nella parte in cui direttamente dispongono la formazione di istituti comprensivi, fissando direttamente il numero minimo di iscritti (1000 e/o 500) degli stessi, intervengono con una normativa puntuale in materia di dimensionamento e di organizzazione della rete scolastica, cio' in contrasto con l'art. 117, comma 3, Cost. Infine, dette previsioni non trovano giustificazione neppure alla luce delle competenza concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica per finalita' di contenimento della spesa come sembra ipotizzarsi dal tenore dell'art. 19 in esame, intitolato appunto razionalizzazione della spesa relativa all'organizzazione scolastica. Anzi, proprio in relazione alla su richiamata materia, si evidenzia un ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale. A riguardo la Corte costituzionale ha infatti precisato che «Nella giurisprudenza di questa Corte e' ormai consolidato l'orientamento per il quale il legislatore statale, con una «disciplina di principio», puo' legittimamente «imporre agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti» (sentenze n. 417 del 2005 e n. 36 del 2004). Perche' detti vincoli possano considerarsi rispettosi dell'autonomia delle Regioni e degli enti locali, essi debbono riguardare l'entita' del disavanzo di parte corrente oppure - ma solo «in via transitoria ed in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale» - la crescita della spesa corrente degli enti autonomi. In altri termini, la legge statale puo' stabilire solo un «limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia liberta' di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa» (sentenze n. 88 del 2006, n. 449 e n. 417 del 2005, n. 36 del 2004)» (sentenza n. 169/2007). Pertanto «norme statali che fissano limiti alla spesa di enti pubblici regionali possono qualificarsi principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica alla seguente duplice condizione: in primo luogo, che si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente; in secondo luogo, che non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalita' per il perseguimento dei suddetti obiettivi (sentenze n. 120 del 2008; n. 412 e n. 169 del 2007; n. 88 del 2006)» (sentenza n. 289/2008). In conclusione la Corte costituzionale con la recente sentenza n. 182 del 2011 ha ribadito che «la legge statale puo' stabilire solo un «limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia liberta' di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa» (sentenze n. 417 del 2005 e n. 36 del 2004; si vedano anche le sentenze n. 88 del 2006 e n. 449 del 2005). Poste tali premesse, e' da aggiungere che interventi analoghi per i contenuti a quelli operati dalle diverse disposizioni dell'art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010, disposti negli anni trascorsi dal legislatore statale, non sono stati in grado di superare il vaglio di legittimita' costituzionale, data l'indebita compressione dell'autonomia finanziaria delle Regioni che con essi veniva realizzata. In particolare, sono state ritenute illegittime, nella parte in cui pretendevano di imporsi al sistema regionale, rigide misure concernenti la spesa per studi, consulenze, missioni all'estero, rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni (sentenza n. 417 del 2005); la spesa per viaggi in aereo (sentenza n. 449 del 2005); i compensi e il numero massimo degli amministratori di societa' partecipate dalla Regione (sentenza n. 159 del 2008); le spese per autovetture (sentenza n. 297 del 2009). A fronte di tale consolidato indirizzo della giurisprudenza costituzionale, il legislatore statale, con l'art. 6 citato, ha mostrato di saper superare la tecnica normativa in origine adottata, ai fini del contenimento della spesa pubblica, preferendo agire direttamente sulla spesa delle proprie amministrazioni con norme puntuali, delle quali si e' invece dichiarata l'efficacia nei confronti delle Regioni esclusivamente quali principi di coordinamento della finanza pubblica, escludendone l'applicabilita' diretta (sentenza n. 289 del 2008). Va da se' che tale operazione puo' rispettare il riparto concorrente della potesta' legislativa in tema di coordinamento della finanza pubblica, solo a condizione di permettere l'estrapolazione, dalle singole disposizioni statali, di principi rispettosi di uno spazio aperto all'esercizio dell'autonomia regionale. In caso contrario, la disposizione statale non potra' essere ritenuta di principio (sentenza n. 159 del 2008), quale che ne sia l'eventuale autoqualificazione operata dal legislatore nazionale (sentenza n. 237 del 2009)». Ebbene, la disposizione in esame non risponde alle predette condizioni. Come gia' detto, la competenza statale in materia di coordinamento della finanza pubblica consiste nel dettare principi fondamentali, pertanto, nell'esercizio di tale competenza lo Stato puo' porre limiti alla spesa complessiva, ma non puo' decidere in luogo delle Regioni quali specifiche voci di spesa devono essere eliminate per rispettare tali limiti poiche' cio' rientra nell'ambito dell'autonomia delle Regioni. Le limitazioni poste dalla norma qui censurata all'articolazione e/o organizzazione scolastica (rectius la formazione di istituti comprensivi con un minimo di 1000/500 iscritti e la riduzione dei dirigenti scolastici) ledono ulteriormente la competenza regionale, questa volta in materia di coordinamento della finanza pubblica, posto che non residua alle Regioni alcun margine di scelta, cio' traducendosi in un ingiustificato vincolo all'autonomia finanziaria delle Regioni, cio' in violazione degli artt. 117, comma 3, e 119 Cost. Infine, le norme sono ulteriormente incostituzionali poiche', disciplinano unilateralmente ambiti di competenza regionale, senza alcuna concertazione con le Regioni. Le norme in questione sono quindi incostituzionali anche per violazione dell'art. 118 Cost. e del principio della leale collaborazione: anche volendo invocare il principio di sussidiarieta' (in senso ascendente), infatti - come insegnato dalla Corte costituzionale nella nota sentenza n. 303/2003 - avrebbero dovuto essere comunque previste adeguate forme di concertazione, al fine di tutelare le istanze regionali costituzionalmente garantite, in un ambito che involge profili di competenza concorrente delle Regioni. 2) Illegittimita' costituzionale dell'articolo 20, commi 14 e 15 nella parte in cui stabilisce puntuali obblighi informativi in capo alle Regioni in ordine all'esecuzione delle sentenze della Corte costituzionale e nella parte in cui prevede in caso di mancata e/o non esatta conformazione alle decisioni della Corte, il potere sostitutivo del Governo ai sensi dell'art. 120, secondo comma, Cost.; cio' in contrasto con l'art. 117, comma 3, con l'art. 118, anche sotto il profilo della violazione del principio della leale cooperazione nonche' con l'art. 119 Cost. e per violazione dell'art. 120, comma 2, Cost. Le norme in esame si occupano della esecuzione delle sentenze della Corte costituzionale da parte delle Regioni, cio' - per quanto qui interessa - al dichiarato scopo di perseguire finalita' di coordinamento della finanza pubblica. In particolare, con il comma 14 si impone alle Regioni di comunicare, entro tre mesi dalla pubblicazione della decisione nella Gazzetta Ufficiale, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per gli affari regionali, tutte le attivita' intraprese, gli atti giuridici posti in essere e le spese affrontate o preventivate ai fini dell'esecuzione delle sentenza della Corte costituzionale. Al successivo comma 15 e' ulteriormente previsto che, in caso di mancata e/o non esatta conformazione alle decisioni della Corte, il Governo - (solo) sentito il Presidente della Regione interessata - esercita il proprio potere sostitutivo ai sensi dell'art. 120, secondo comma, Cost. (secondo le procedure stabilite dall'art. 8 della legge n. 131/2003). Innanzitutto si osserva che la disposizione di cui al comma 14 nella parte in cui impone precisi e puntuali adempimenti informativi in relazione alle azioni intraprese per l'esecuzione di sentenze della Corte costituzionale si pone in contrasto con l'art. 117, comma 3, e con l'art. 119 Cost. Infatti, gli incombenti a carico delle Regioni descritti dalla norma in parola dovrebbero giustificarsi, secondo le intenzioni espresse dallo stesso legislatore statale, per esigenze connesse alla materia di coordinamento della finanza pubblica. Ebbene, come noto, detta materia e' ricompresa tra le materie a competenza concorrente delle Regioni elencate dall'art. 117, comma 3, Cost., in relazione alla quale lo Stato puo' intervenire esclusivamente dettando principi fondamentali della materia ed e' evidente che le previsioni in esame non possono essere qualificate quali norme di principio, in applicazione degli insegnamenti della Corte costituzionale (sentenze nn. 88/2006, 169/2007, 412/2007, 120/2008, 289/2008 e 182/2011 gia' citate al precedente punto 1 del presente ricorso). Ed ancora, il comma 15 dello stesso art. 20 prevede che in caso di mancata e/o difforme esecuzione delle decisioni della Corte costituzionale il Governo avvia le procedure del potere sostitutivo di cui al secondo comma dell'art. 120 Cost., cio' in evidente assenza dei presupposti per l'esercizio del potere sostitutivo ivi previsto. A riguardo, la Corte costituzionale (si veda per tutte la sentenza n. 43/2004) ha chiarito innanzitutto che il potere sostitutivo previsto ai sensi dell'art. 120, secondo comma, Cost., dovendosi rispettare la posizione di autonomia costituzionalmente garantita dell'ente sostituendo, ha carattere eccezionale e quindi puo' svolgersi esclusivamente nelle ipotesi tassativamente indicate nello stesso articolo. Osserva la Corte «Il nuovo articolo 120, secondo comma, della Costituzione si inserisce in questo contesto, con la previsione esplicita del potere del Governo di "sostituirsi a organi delle Regioni, delle Citta' metropolitane, delle Province e dei Comuni" in determinate ipotesi, sulla base di presupposti che vengono definiti nella stessa norma costituzionale. L'ultimo periodo del comma prevede che sia la legge a definire le procedure, relative evidentemente all'esercizio dei poteri sostitutivi previsti dal periodo precedente. La nuova norma deriva palesemente dalla preoccupazione di assicurare comunque, in un sistema di piu' largo decentramento di funzioni quale quello delineato dalla riforma, la possibilita' di tutelare, anche al di la' degli specifici ambiti delle materie coinvolte e del riparto costituzionale delle attribuzioni amministrative, taluni interessi essenziali - il rispetto degli obblighi internazionali e comunitari, la salvaguardia dell'incolumita' e della sicurezza pubblica, la tutela in tutto il territorio nazionale dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali - che il sistema costituzionale attribuisce alla responsabilita' dello Stato (cfr. infatti l'articolo 117, quinto comma, ultimo inciso, della Costituzione, per gli obblighi internazionali e comunitari; l'articolo 117, secondo comma, lettere h) e m), rispettivamente per l'ordine e la sicurezza pubblica e per i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali). Quanto all'"unita' giuridica" e all'"unita' economica", quale che ne sia il significato (che qui non occorre indagare), si tratta all'evidenza del richiamo ad interessi "naturalmente" facenti capo allo Stato, come ultimo responsabile del mantenimento della unita' e indivisibilita' della Repubblica garantita dall'articolo 5 della Costituzione. [..] l'articolo 120, secondo comma, prevede solo un potere sostitutivo straordinario, in capo al Governo, da esercitarsi sulla base dei presupposti e per la tutela degli interessi ivi esplicitamente indicati [...] Il carattere straordinario e "aggiuntivo" degli interventi governativi previsti dall'articolo 120, secondo comma, risulta sia dal fatto che esso allude a emergenze istituzionali di particolare gravita', che comportano rischi di compromissione relativi ad interessi essenziali della Repubblica». E se e' pur vero che la Corte con la stessa sentenza ha sottolineato che la norma di cui all'art. 120, secondo comma, Cost. «lascia impregiudicata l'ammissibilita' e la disciplina di altri casi di interventi sostitutivi, configurabili dalla legislazione di settore, statale o regionale, in capo ad organi dello Stato o delle Regioni o di altri enti territoriali, in correlazione con il riparto delle funzioni amministrative da essa realizzato e con le ipotesi specifiche che li possano rendere necessari», la stessa Corte ha chiarito che «Poiche' pero', come si e' detto, tali interventi sostitutivi costituiscono una eccezione rispetto al normale svolgimento di attribuzioni dei Comuni definite dalla legge, sulla base di criteri oggi assistiti da garanzia costituzionale, debbono valere nei confronti di essi condizioni e limiti non diversi (essendo fondati sulla medesima ragione costituzionale) da quelli elaborati nella ricordata giurisprudenza di questa Corte in relazione ai poteri sostitutivi dello Stato nei confronti delle Regioni. In primo luogo, le ipotesi di esercizio di poteri sostitutivi debbono essere previste e disciplinate dalla legge (cfr. sentenza n. 338 del 1989), che deve definirne i presupposti sostanziali e procedurali. In secondo luogo, la sostituzione puo' prevedersi esclusivamente per il compimento di atti o di attivita' "prive di discrezionalita' nell'an (anche se non necessariamente nel quid o nel quomodo)" (sentenza n. 177 del 1988), la cui obbligatorieta' sia il riflesso degli interessi unitari alla cui salvaguardia provvede l'intervento sostitutivo: e cio' affinche' essa non contraddica l'attribuzione della funzione amministrativa all'ente locale sostituito. Il potere sostitutivo deve essere poi esercitato da un organo di governo della Regione o sulla base di una decisione di questo (cfr. sentenze n. 460 del 1989, n. 342 del 1994, n. 313 del 2003): cio' che e' necessario stante l'attitudine dell'intervento ad incidere sull'autonomia, costituzionalmente rilevante, dell'ente sostituito. La legge deve, infine, apprestare congrue garanzie procedimentali per l'esercizio del potere sostitutivo, "in conformita' al principio di leale collaborazione (cfr. ancora sentenza n.. 177 del 1988), non a caso espressamente richiamato anche dall'articolo 120, secondo comma, ultimo periodo, della Costituzione a proposito del potere sostitutivo straordinario" del Governo, ma operante piu' in generale nei rapporti fra enti dotati di autonomia costituzionalmente garantita. Dovra' dunque prevedersi un procedimento nel quale l'ente sostituito sia comunque messo in grado di evitare la sostituzione attraverso l'autonomo adempimento, e di interloquire nello stesso procedimento (cfr. sentenze n. 153 del 1986, n. 416 del 1995; ordinanza n. 53 del 2003)» (nello stesso senso si vedano le sentenze n. 69/2004 e n. 165/2011). Ebbene nel caso di specie il potere sostitutivo ex art. 120, secondo comma, Cost. e' previsto dalla norma qui censurata al di fuori degli ambiti materiali tassativamente elencati dal citato art. 120 il quale prevede: mancato rispetto di norme, e trattati internazionali o della normativa comunitaria, pericolo grave per l'incolumita' e la sicurezza pubblica, tutela dell'unita' giuridica o dell'unita' economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. In altri termini non possono ravvisarsi quelle emergenze istituzionali di particole gravita', nella mancata ed ancor di piu' nella difforme (a giudizio di chi? dello Stato che unilateralmente decide?) esecuzione delle sentenze della Corte costituzionale: e' quindi evidente la lesione dell'art. 120, secondo comma, Cost., in quanto il potere sostitutivo previsto dal suddetto comma 15 si pone al di fuori delle condizioni stabilite dalla Carta fondamentale. La fattispecie in esame contempla infatti un potere sostitutivo generalizzato che contrasta evidentemente con il principio di specialita' e tassativita' invocato piu' volte dalla Corte, cio' in violazione dell'art. 120, secondo comma, Cost. Inoltre, la Corte costituzionale ha ulteriormente osservato che, al fine di ammettere l'esercizio del potere sostitutivo, deve trattarsi di atti e/o attivita' prive di discrezionalita' nell'an: anche detta condizione non sembra essere soddisfatta nel caso di specie con particolare riguardo all'ipotesi di «non esatta conformazione alle decisioni» della Corte, presupposto invece previsto dalla norma censurata come legittimante l'intervento sostitutivo del Governo, anche se in tal caso si vengono a sindacare le modalita' con cui e' stata data esecuzione alle sentenze della Corte costituzionale. Infine, sempre secondo quanto evidenziato dalla Corte costituzionale la legge che prevede il potere sostitutivo deve apprestare congrue garanzie procedimentali per l'esercizio dello stesso, in conformita' del principio di leale collaborazione: appare quindi necessaria la previsione di un procedimento nel quale l'ente sostituito sia comunque messo in grado di evitare la sostituzione attraverso l'autonomo adempimento e di interloquire nello stesso procedimento. Ebbene anche sotto questo profilo si evidenzia un'ulteriore violazione dell'art. 118 Cost. per contrasto con il principio di leale collaborazione, posto che la nonna in esame - nonostante il richiamo puramente formale alle procedure di cui all'art. 8 legge n. 131/2003 - si limita a prevedere un mero parere del Presidente della Regione interessata. Le disposizioni in esame appaiono pertanto in contrasto con l'art. 117, comma 3, art. 118, art. 119 e con l'art. 120, comma 2, Cost., nonche' lesive del principio di leale collaborazione. 3) Illegittimita' costituzionale dell'articolo 35, commi 6 e 7, nella parte in cui prevedono che le attivita' commerciali possono essere svolte senza i limiti e le prescrizioni aventi ad oggetto gli orari di apertura e di chiusura, l'obbligo della chiusura domenicale e festiva nonche' quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale, cio' in violazione dell'art. 117, comma 4, e dell'art. 118 Cost. La norma in esame, nel testo introdotto dal decreto-legge n. 98/2011, stabilisce che le attivita' commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e le attivita' di somministrazione di alimenti e bevande, sono svolte senza il limite, tra gli altri, del «rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l'obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonche' quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell'esercizio ubicato nei comuni inclusi negli elenchi regionali delle localita' turistiche o citta' d'arte» (comma 6). A tal fine, al successivo comma 7, si prevede inoltre che le Regioni e gli enti locali adeguino le proprie disposizioni legislative e regolamentari entro la fine del corrente anno. E' evidente che la disciplina in esame concerne la materia del commercio la quale e' attribuita alle Regioni in via esclusiva e quindi, la stessa si pone in contrasto con la normativa regionale in materia: in particolare, la legge regionale n. 28/2005, fin dal 2009 (cioe' dall'anno di entrata in vigore del Regolamento di attuazione della citata legge regionale 28), prevede l'esclusione delle limitazioni sopra dette per le attivita' commerciali, tuttavia non facendo piu' riferimento agli elenchi regionali dei comuni turistici e d'arte (in origine previsti dal d.lgs. n. 114/1998). Il legislatore toscano ha infatti demandato ai Comuni stessi - previa concertazione con le organizzazioni di categoria delle imprese del commercio, dei lavoratori dipendenti, le associazioni dei consumatori e delle altre parti sociali interessate - la definizione degli orari e delle aperture domenicali e festive (cfr. art. 80 l.r. n. 28/2005). Peraltro gli elenchi richiamati dalla normativa statale citata non corrispondono neanche a quelli a suo tempo previsti dall'art. 12 d.lgs. n. 114/1998 (recante la disciplina specifica relativa al settore del commercio); la dizione di cui all'art. 35, comma 6 del d.l. n. 98/2011 e' stata infatti mutuata dall'art. 4 d.lgs. n. 23/2011, che riguarda la diversa materia del federalismo fiscale municipale e della imposta di soggiorno nei comuni inseriti in detti elenchi (che evidentemente rispondono a finalita' affatto analoghe a quelle relative alla regolamentazione degli orari di apertura delle attivita' commerciali). La norma appare quindi lesiva della competenza regionale esclusiva ex art. 117, comma 4, della Costituzione in materia di commercio. Non puo', per contro, essere invocata la competenza statale in materia di concorrenza e di livelli minimi essenziali come sembrerebbe ipotizzare il legislatore statale che, con l'art. 35, comma 6, in parola, ha infatti inserito la lettera d-bis) nella elencazione di cui all'art. 3, comma 1, del d.l. n. 223/2006 (convertito con legge n. 248/2006), ove si legge appunto «Ai sensi delle disposizioni dell'ordinamento comunitario in materia di tutela della concorrenza e libera circolazione delle merci e dei servizi ed al fine di garantire la liberta' di concorrenza secondo condizioni di pari opportunita' ed il corretto ed uniforme funzionamento del mercato, nonche' di assicurare ai consumatori finali un livello minimo ed uniforme di condizioni di accessibilita' all'acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale, ai sensi dell'articolo 117, comma secondo, lettere e) ed m), della Costituzione, le attivita' economiche di distribuzione commerciale, ivi comprese la somministrazione di alimenti e bevande, sono svolte senza i seguenti limiti e prescrizioni», tra cui appunto - a seguito degli interventi normativi in esame - le limitazione relative agli orari ed ai giorni di apertura. In particolare, con riguardo alla tutela della concorrenza la Corte costituzionale, con la sentenza n. 288 del 2010, ha respinto la prospettazione del TAR Lombardia secondo il quale una legge della Regione Lombardia avente ad oggetto orari e chiusura domenicale e festiva degli esercizi commerciali, distinguendo tra esercizi con superficie inferiore e/o superiore a 250 mq, avrebbe inciso «sull'assetto concorrenziale all'interno del mercato regionale ponendo limiti ulteriori rispetto a quelli previsti dal legislatore statale con il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio), con cio' violando la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza di cui all'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.», dovendo detta disciplina essere inquadrata, sempre secondo la tesi del Giudice rimettente, «nell'ambito della materia «tutela della concorrenza», di competenza esclusiva dello Stato, e non in quello della materia «commercio», di competenza residuale delle Regioni". La Corte ha dichiarato non fondata la questione nei termini rilevati dal Giudice a quo evidenziando che «con specifico riferimento al d.lgs. n. 114 del 1998, questa Corte ha affermato che: "a seguito della modifica del Titolo V della Parte II della Costituzione, la materia 'commercio' rientra nella competenza esclusiva residuale delle Regioni, ai sensi del quarto comma dell'art. 117 Cost.; [...] pertanto, il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell'art. 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), di cui il giudice rimettente lamenta la violazione, si applica, ai sensi dell'art. 1, comma 2, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), soltanto alle Regioni che non abbiano emanato una propria legislazione nella suddetta materia, mentre la Regione Lombardia ha gia' provveduto a disciplinare in modo autonomo la materia stessa" (ordinanza n. 199 del 2006). In altra occasione si e' poi avuto modo di precisare che la disciplina degli orari degli esercizi commerciali rientra nella materia "commercio" di cui all'art. 117, quarto comma, Cost. (sentenza n. 350 del 2008) [...] Va, poi, detto che questa Corte ha gia' riconosciuto la legittimita' di leggi regionali che operano delle differenziazioni, anche con specifico riferimento alla dimensione dell'attivita' dell'esercente commerciale, al fine di tutelare la piccola e media impresa. In particolare si e' ritenuto legittimo tutelare (sia pure con riferimento a censure relative agli artt. 3 e 41 Cost.) «l'esigenza di interesse generale - peraltro espressamente richiamata dal citato art. 6, comma 1, lettera del d.lgs. n. 114 del 1998 - di riconoscimento e valorizzazione del ruolo delle piccole e medie imprese gia' operanti sul territorio regionale» (sentenza n. 64 del 2007). Infine, una volta stabilito che la disciplina degli orari degli esercizi commerciali e' ascrivibile alla materia «commercio» di cui all'art. 117, quarto comma, Cost., non risulta di per se' lesiva di parametri costituzionali la scelta del legislatore regionale di regolamentare il settore operando delle differenziazioni non solo in relazione alla dimensione dell'esercizio commerciale ma anche, come si e' detto, tenendo conto di altri fattori tra i quali il settore merceologico di appartenenza e gli effetti sull'occupazione». Neppure puo' ritenersi utilmente invocata la materia di cui all'art. 117, comma 2, lett. m), Cost.: anche in tal senso la Corte costituzionale ha avuto modo di chiarire che «nell'attivita' posta in essere dai centri di telefonia sono rinvenibili alcuni degli elementi tipici degli esercizi commerciali, tant'e' vero, ad esempio, che l'art. 6 della legge regionale in questione si occupa proprio degli orari e delle modalita' di esercizio di tale attivita' (profili ascrivibili alla materia del «commercio»: si vedano le sentenze n. 243 del 2005 e n. 76 del 1972). [...] Non e' invece pertinente, in questa sede, l'evocazione dell'art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, in quanto la disciplina regionale dei centri di telefonia non incide sulla "determinazione degli standard strutturali e qualitativi di prestazioni che, concernendo il soddisfacimento di diritti civili e sociali, devono essere garantiti, con carattere di generalita', a tutti gli aventi diritto" (sentenza n. 168 del 2008; si vedano altresi' le sentenze n. 50 del 2008; n. 387 del 2007 e n. 248 del 2006)». Infine, la Corte costituzionale con la recentissima sentenza n. 150/2011 ha ribadito espressamente che «la disciplina degli orari degli esercizi commerciali rientra nella materia "commercio" (sentenze n. 288 del 2010 e n. 350 del 2008), di competenza esclusiva residuale delle Regioni, ai sensi del quarto comma dell'art. 117 Cost., e che "il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell'art. 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), [...], si applica, ai sensi dell'art. 1, comma 2, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), soltanto alle Regioni che non abbiano emanato una propria legislazione nella suddetta materia» (sentenze n. 288 e n. 247 del 2010, ordinanza n. 199 del 2006)». Inoltre, prevedere - come fa la norma in esame - una disciplina specifica per i Comuni turistici, incide ulteriormente sulla materia del turismo, anch'essa di competenza esclusiva regionale, cosi' come espressamente affermato dalla Corte costituzionale, secondo cui «La competenza legislativa residuale delle Regioni in materia di turismo, ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost., e' pacifica» (sentenza n. 94/2009; si vedano in tal senso anche le sentenze nn. 197/2003, 90/2006, 214/2006 e 76/2009). E' pertanto evidente l'illegittima invasione dell'ambito di competenza regionale costituzionalmente garantito in materia di commercio e di turismo, ai sensi dell'art. 117, comma 4, Cost. In conclusione, la norma in esame interviene su materie di competenza residuale, con conseguente illegittima compressione delle prerogative regionali costituzionalmente garantite.
P.Q.M. Si conclude affinche' piaccia all'ecc.ma Corte costituzionale dichiarare l'illegittimita' costituzionale degli artt. 19, commi 4 e 5; 20, commi 14 e 15; e 35, commi.6 e 7, del decreto-legge n. 98/2011, cosi' come convertito dalla legge di conversione 15 luglio 2011, n. 111, per contrasto con gli artt. 117, terzo e quarto comma, 118, 119 e 120 Cost. anche sotto il profilo di violazione del principio della leale cooperazione. Firenze - Roma, 12 settembre 2011 Avv. Bora