N. 101 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 21 settembre 2011

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 21 settembre 2011 (della Regione Umbria). 
 
Istruzione - Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni  urgenti
  per   la   stabilizzazione   finanziaria   -    Misure    per    la
  razionalizzazione   della   spesa    relativa    all'organizzazione
  scolastica - Riduzione, a decorrere dall'anno scolastico 2011-2012,
  del numero di scuole dell'infanzia, primarie e secondarie  mediante
  la formazione di istituti comprensivi, nonche' previsione  che  gli
  stessi acquisiscano l'autonomia se aventi  almeno  1.000  alunni  -
  Riduzione del numero di posti di dirigente scolastico e reggenza in
  luogo dell'assegnazione di apposito dirigente per le istituzioni di
  dimensioni minori - Lamentato intervento puntuale  e  di  dettaglio
  sull'organizzazione scolastica e  sul  dimensionamento  della  rete
  scolastica senza un adeguato coinvolgimento delle Regioni - Ricorso
  della Regione  Umbria  -  Denunciata  violazione  della  competenza
  legislativa regionale nelle materie concorrenti  dell'istruzione  e
  del coordinamento della finanza pubblica, violazione dell'autonomia
  finanziaria  regionale,   violazione   del   principio   di   leale
  collaborazione. 
- Decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con  modificazioni,
  in legge 15 luglio 2011, n. 111, art. 19, commi 4 e 5. 
- Costituzione, artt. 117, comma terzo, 118, primo comma, e 119. 
(GU n.47 del 9-11-2011 )
    Ricorso  della  Regione  Umbria,  in  persona  della   Presidente
pro-tempore della Giunta Regionale dott.ssa Catiuscia Marini  (codice
fiscale 80000130544), rappresentata e difesa per delega a margine del
presente atto dall'avv. Paola Manuali in forza di D.G.R. n. 914 del 6
settembre     2011     (codice     fiscale     MNLPLA53H68G478X     -
paola.manuali@avvocatiperugiapec.it - fax 075/5043625), elettivamente
domiciliata in Roma, via  Maria  Cristina  n.  8,  presso  lo  studio
dell'avv. Goffredo Gobbi - goffredogobbi@ordineavvocatiroma.org - fax
06/3216130; 
    Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri  pro-tempore  per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 19, commi
4 e 5 del decreto-legge 6 luglio 2011, n.  98  «Disposizioni  urgenti
per  la  stabilizzazione  finanziaria»,  pubblicato  nella   Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 155 del 6 luglio  2011,  convertito  in
legge dall'art. 1 della legge 15 luglio 2011, n. 111 «Conversione  in
legge, con modificazioni, del decreto-legge 6  luglio  2011,  n.  98,
recante disposizioni urgenti  per  la  stabilizzazione  finanziaria»,
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.  164  del  16
luglio 2011 per violazione degli articoli 117, comma 3, 118, comma 1,
anche sotto il  profilo  della  violazione  del  principio  di  leale
collaborazione, e 119 della Costituzione. 
    Nell'ambito della «manovra» di «stabilizzazione  finanziaria»  di
cui al decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito  con  legge  15
luglio  2011,  n.  111,  e'  inserito  l'art.  19,   rubricato   come
«Razionalizzazione   della    spesa    relativa    all'organizzazione
scolastica», i cui commi 4 e 5 cosi' letteralmente recitano: 
    «4.  Per  garantire  un   processo   di   continuita'   didattica
nell'ambito dello stesso ciclo di istruzione, a  decorrere  dall'anno
scolastico 2011-2012 la scuola dell'infanzia, la scuola primaria e la
scuola  secondaria  di  primo  grado  sono  aggregate   in   istituti
comprensivi,  con  la  conseguente  soppressione  delle   istituzioni
scolastiche autonome costituite separatamente da direzioni didattiche
e  scuole  secondarie  di  I  grado;  gli  istituti  comprensivi  per
acquisire l'autonomia  devono  essere  costituiti  con  almeno  1.000
alunni, ridotti a 500 per le istituzioni site  nelle  piccole  isole,
nei  comuni  montani,  nelle  aree  geografiche   caratterizzate   da
specificita' linguistiche. 
    5. Alle istituzioni scolastiche autonome costituite con un numero
di alunni  inferiore  a  500  unita',  ridotto  fino  a  300  per  le
istituzioni site nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle  aree
geografiche caratterizzate da specificita' linguistiche, non  possono
essere  assegnati  dirigenti  scolastici   con   incarico   a   tempo
indeterminato. Le stesse  sono  conferite  in  reggenza  a  dirigenti
scolastici con incarico su altre istituzioni scolastiche autonome». 
    La riduzione del numero delle  istituzioni  scolastiche  autonome
prevista dal comma 4 (con  la  conseguente  riduzione  dei  posti  di
dirigente scolastico) e la «reggenza» in luogo  dell'assegnazione  di
apposito dirigente  prevista  dal  comma  5  per  le  istituzioni  di
dimensioni «minori» ivi indicate, sono volte, secondo quanto si legge
nella relazione illustrativa della legge di conversione del  decreto,
al conseguimento degli obiettivi finanziari  previsti  dall'art.  64,
comma 6, della legge 6 agosto 2008, n. 133. 
    Le indicate  norme,  che  intervengono  in  modo  puntuale  sulla
organizzazione e sul dimensionamento della  istituzioni  scolastiche,
sono illegittime per violazione degli artt. 117, comma 3, 118  e  119
della Costituzione. 
    a) Con le norme qui impugnate, ed in particolare con il  comma  4
dell'art.  19,  il  legislatore  nazionale  detta   disposizioni   di
dettaglio  nella  materia  della  «istruzione»,   appartenente   alla
competenza legislativa concorrente delle Regioni, ai sensi  dell'art.
117, comma 3 della Costituzione. Il legislatore nazionale,  non  solo
«impone» l'accorpamento generalizzato delle «direzioni didattiche»  e
delle «scuole secondarie di primo grado» in  «istituti  comprensivi»,
ma interviene altresi' sul «dimensionamento  minimo»  delle  indicate
istituzioni  scolastiche  (1000  alunni,  ridotti  a   500   per   le
istituzioni site in zone disagiate o caratterizzate  da  specificita'
linguistiche),  senza  lasciare  alcuno  spazio  all'autonomia  delle
Regioni. 
    Va in proposito rilevato che codesta Ecc.ma Corte,  gia'  con  la
sentenza n. 13/2004 - dopo aver rilevato il  «complesso  intrecciarsi
...di  norme  generali,  principi  fondamentali,  leggi  regionali  e
determinazioni autonome delle istituzioni scolastiche»  determinatosi
nella materia dell'«istruzione» a seguito della riforma del titolo  V
parte II della Costituzione - affermava che «il prescritto ambito  di
legislazione  regionale  sta  ...  nella  programmazione  della  rete
scolastica. E' infatti implausibile che il legislatore costituzionale
abbia voluto spogliare le Regioni di una funzione  che  era  gia'  ad
esse conferita nella forma della competenza  delegata  dall'art.  138
del decreto legislativo n. 112 del 1998. Questo, per la parte che qui
rileva, disponeva che  alle  Regioni  fossero  delegate  le  funzioni
amministrative relative alla  programmazione  dell'offerta  formativa
integrata   tra   istruzione   e   formazione   professionale,   alla
suddivisione,  sulla  base   delle   proposte   degli   enti   locali
interessati,  del  territorio  regionale  in  ambiti  funzionali   al
miglioramento   dell'offerta   formativa   e,    soprattutto,    alla
programmazione, sul piano regionale, nei limiti delle  disponibilita'
delle risorse umane e finanziarie, della rete scolastica, sulla  base
dei  piani  provinciali,  assicurando   il   coordinamento   con   la
programmazione  dell'offerta   formativa   integrata...   Una   volta
attribuita  l'istruzione  alla  competenza  concorrente,  il  riparto
imposto  dall'art.  117  postula  che,  in  tema  di   programmazione
scolastica  e  di  gestione  amministrativa  del  relativo  servizio,
compito dello Stato sia solo quello  di  fissare  principi  (punto  3
della parte in diritto). 
    La giurisprudenza successiva di codesta Corte ha riconfermato  le
competenze regionali in materia di «programmazione  scolastica».  Con
la sentenza n. 34/2005, ad esempio, e' stata  riconosciuta,  in  base
alle motivazioni gia'  espresse  con  la  pronuncia  n.  13/2004,  la
legittimita' costituzionale dell'art. 44, comma 1, lettera  c)  della
L. R. Emilia-Romagna n. 12/2003, relativo al potere -  attribuito  al
Consiglio regionale - di approvare, tra l'altro, «i  criteri  per  la
definizione dell'organizzazione della rete scolastica, ivi compresi i
parametri   dimensionali   delle   istituzioni    scolastiche».    Le
disposizioni impugnate con il presente  ricorso  non  possano  essere
ricomprese  tra  le  «norme  generali  in  materia  di   istruzione»,
riservate alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi
dell'art. 117, comma 2, lettera n)  della  Costituzione,  ne'  tra  i
«principi fondamentali della materia» di cui all'art.  117,  comma  3
della Costituzione stessa. 
    Codesta Corte,  con  la  sentenza  n.  200/2009,  riprendendo  ed
approfondendo i concetti gia' in proposito espressi con decisione  n.
279/2005,  ha  precisato  che  appartengono  alla  prima  delle   due
categorie suindicate «quelle disposizioni statali che definiscono  la
struttura  portante  del  sistema  nazionale  di  istruzione  e   che
richiedono di essere applicate in modo  necessariamente  unitario  ed
uniforme in tutto  il  territorio  nazionale,  assicurando,  mediante
un'offerta formativa omogenea, la sostanziale parita' di  trattamento
tra gli utenti  che  fruiscono  del  servizio  dell'istruzione  (...)
nonche' la liberta' di istituire scuole e la parita'  tra  le  scuole
statali e non statali  in  possesso  dei  requisiti  richiesti  dalla
legge». E' stato precisato altresi' che appartengono  alla  categoria
dei «principi fondamentali dell'istruzione» «quelle  norme  che,  nel
fissare criteri,  obiettivi,  direttive  o  discipline,  pur  tese  a
dimostrare la esistenza di elementi di  base  comuni  sul  territorio
nazionale  in  ordine  alle  modalita'  di  fruizione  del   servizio
dell'istruzione, da un lato non sono riconducibili a quella struttura
essenziale  del  sistema  d'istruzione  che  caratterizza  le   norme
generali  sull'istruzione,  dall'altro  necessitano,  per   la   loro
attuazione  (e  non   gia'   per   la   loro   semplice   esecuzione)
dell'intervento del legislatore regionale il quale deve conformare la
sua azione all'osservanza dei principi fondamentali stessi» (punto 25
in diritto). 
    Le  norme  oggetto  del  presente  ricorso  non  possono   essere
ricondotte a nessuna delle due  indicate  categorie,  in  quanto  non
«definiscono  la  struttura  portante  del   sistema   nazionale   di
istruzione», non «richiedono di essere applicate in maniera  unitaria
in tutto il territorio nazionale»,  non  riguardano  la  «sostanziale
parita' di trattamento tra gli utenti», ne' la «liberta' di istituire
scuole e la «parita' tra le scuole». 
    In particolare, il comma 4 in commento non si limita a fissare  i
criteri, le  direttive,  gli  obiettivi  e  le  discipline  «relativi
all'esistenza di elementi di base comuni sul  territorio  nazionale»,
propri  dei  «principi  fondamentali  della  materia»,   come   sopra
definiti, ma si configura come  norma  di  dettaglio  in  materia  di
organizzazione e di  dimensionamento  delle  istituzioni  scolastiche
relative alla scuola dell'infanzia,  alla  scuola  primaria  ed  alla
scuola secondaria di primo grado. 
    Ne' puo' valere a giustificare la  competenza  legislativa  dello
Stato  il  richiamo  all'art.  117,  comma  2,   lettera   m)   della
Costituzione. 
    Le norme qui  impugnate,  infatti,  regolano  in  modo  minuzioso
l'esercizio dell'attivita' amministrativa delle Regioni nella materia
ivi trattata, mentre la  fissazione  dei  «livelli  essenziali  delle
prestazioni» si  puo'  concretizzare  solo  nella  individuazione  di
standards qualitativi minimi dei  servizi,  che  ben  possono  essere
migliorati dalle Regioni. 
    Non puo' revocarsi in dubbio, d'altra parte, che - fermo restando
il rispetto degli  standards  minimi  -  la  rete  scolastica  ed  il
dimensionamento degli istituti sono piu' efficacemente organizzati in
riferimento alle  diverse  realta'  territoriali,  meglio  conosciute
dalle Regioni. 
    Le  norme  impugnate,  invece,   non   lasciano   alcuno   spazio
all'autonomia di queste ultime. 
    D'altra parte, codesta Corte ha avuto  modo  di  pronunciarsi  di
recente (con la sentenza n. 200/2009, gia' sopra citata) in ordine  a
norme statali aventi la finalita' di ricondurre in capo allo Stato le
funzioni di ridimensionamento della rete scolastica, dichiarandone la
incostituzionalita'. 
    Con  la  decisione  de  qua  e'  stata  infatti   dichiarata   la
illegittimita' costituzionale dell'art. 64, comma 4, lettere f-bis ed
f-ter del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, come  convertito  con
modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, le quali prevedevano
rispettivamente  che,  con   atto   regolamentare,   avrebbe   dovuto
provvedersi alla «definizione di criteri, tempi e  modalita'  per  la
determinazione l'articolazione dell'azione di ridimensionamento della
rete scolastica» (f- bis) e demandavano al regolamento governativo di
prevedere, nel caso di chiusura  o  di  accorpamento  degli  istituti
scolastici  aventi  sede  nei  piccoli  comuni,   specifiche   misure
finalizzate alla riduzione del disagio degli utenti (f-ter). 
    Codesta Corte ha precisato quanto segue: «Quanto,  infatti,  alla
lettera  f-bis),  e'  pure  vero  che  essa  prevede  che,  con  atto
regolamentare, si dovra' provvedere  alla  "definizione  di  criteri,
tempi e modalita' per la determinazione e l'articolazione dell'azione
di  ridimensionamento  della  rete  delle  istituzioni  scolastiche";
tuttavia, agli effetti del riparto di competenza legislativa  tra  lo
Stato  e  le  Regioni,  cio'  che  rileva  e'   il   riferimento   al
dimensionamento della rete delle istituzioni scolastiche, vale a dire
ad un ambito che deve ritenersi di spettanza regionale. 
    Sul punto, infatti, questa Corte ha avuto modo di  rilevare  che,
da un lato, l'art. 138, comma 1, lettere a) e b), del d.lgs.  n.  112
del 1998 aveva gia' delegato alle Regioni, nei limiti sopra  esposti,
funzioni amministrative in materia, tra  l'altro,  di  programmazione
formativa  dell'offerta  formativa   integrata   tra   istruzione   e
formazione  professionale,  nonche'  di  programmazione  della   rete
scolastica; dall'altro, l'art. 3 del D.P.R. 18 giugno  1998,  n.  233
(Regolamento recante norme  per  il  dimensionamento  ottimale  delle
istituzioni  scolastiche  e  per  la  determinazione  degli  organici
funzionali dei singoli istituti, a norma dell'articolo 21 della legge
15 marzo 1997, n. 59) aveva disposto che "i piani di  dimensionamento
delle istituzioni  scolastiche  (...)  sono  definiti  in  conferenze
provinciali di organizzazione della  rete  scolastica,  nel  rispetto
degli indirizzi di programmazione e dei  criteri  generali,  riferiti
anche  agli  ambiti  territoriali,  preventivamente  adottati   dalle
Regioni" (sentenza n. 34 del 2005). 
    Avendo riguardo alle riportate disposizioni legislative, la Corte
ha cosi' ritenuto, con la citata sentenza, che «proprio alla luce del
fatto che gia' la normativa antecedente alla  riforma  del  titolo  V
della Costituzione prevedeva la competenza regionale  in  materia  di
dimensionamento delle istituzioni scolastiche, e quindi postulava  la
competenza sulla programmazione scolastica di cui  all'art.  138  del
d.lgs.  n.  112  del  1998,  e'  da  escludersi  che  il  legislatore
costituzionale del 2001 abbia voluto  spogliare  le  Regioni  di  una
funzione che era gia' ad esse conferita" sia pure sul piano meramente
amministrativo. 
    In altri termini, la definizione  del  riparto  delle  competenze
amministrative attuato con il citato decreto legislativo fornisce  un
tendenziale  criterio  utilizzabile  per  la  individuazione   e   la
interpretazione degli ambiti materiali che la riforma del titolo V ha
attribuito alla potesta' legislativa concorrente  o  residuale  delle
Regioni. 
    Ed in effetti, se si ha riguardo all'obiettivo  perseguito  dalla
disposizione in esame, si deve constatare che la predisposizione  dei
criteri volti alla attuazione di tale dimensionamento ha una  diretta
ed immediata incidenza su situazioni strettamente legate  alle  varie
realta' territoriali ed alle  connesse  esigenze  socioeconomiche  di
ciascun territorio, che ben possono e  devono  essere  apprezzate  in
sede regionale. 
    E non e' senza significato che il  comma  4-quater  dello  stesso
art.  64,  introdotto  dall'art.   3,   comma   1,   del   successivo
decreto-legge n. 154 del 2008, come convertito con legge n.  189  del
2008, abbia previsto  -  in  sostanziale  discontinuita'  con  quanto
contenuto nella disposizione censurata - che le Regioni  e  gli  Enti
locali "nell'ambito delle rispettive competenze (...)  assicurano  il
dimensionamento delle istituzioni scolastiche". 
    La disposizione in questione, pertanto, lungi  dal  poter  essere
qualificata come "norma generale  sull'istruzione"  nel  senso  prima
precisato, invade spazi riservati  alla  potesta'  legislativa  delle
regioni  relativi  alla  competenza  alle  stesse   spettanti   nella
disciplina dell'attivita' di dimensionamento  della  rete  scolastica
sul territorio» (punto 38.1 in diritto). 
    Il comma 4 dell'art. 19 in commento contiene scelte  coinvolgenti
le specifiche realta' territoriali delle  Regioni  e  riservate  alla
competenza di queste  ultime,  privandole  del  ruolo  primario  loro
assegnato nella istituzione e nella  organizzazione  delle  scuole  e
sottraendo loro competenze gia' ad esse affidate  (sia  pure  solo  a
titolo di delega) addirittura prima della riforma del titolo V  della
Costituzione. 
    Sul piano concreto, peraltro, in Umbria le norme  indicate  vanno
ad incidere su situazioni gia' disciplinate dalla Regione, la  quale,
non solo con D.G.R. n. 1666 del 23 novembre 2009 ha fissato le «Linee
guida per la definizione dei piani regionali di programmazione  della
rete scolastica», ma ha altresi'  approvato  fin  dal  dicembre  2010
(del. Cons. Reg. n. 38 del 21  dicembre  2010)  il  «Piano  regionale
dell'offerta formativa e della programmazione della  rete  scolastica
anno 2011-2012». 
    b) Le disposizioni indicate non possono  trovare  giustificazione
neppure  alla  luce  della  competenza  concorrente  in  materia   di
«coordinamento della finanza pubblica», giustificata da finalita'  di
contenimento  della  spesa,  come  sembra  ricavarsi  dalla   rubrica
dell'art.    19    («Razionalizzazione    della    spesa     relativa
all'organizzazione scolastica»). 
    Anzi,  anche  sotto  tale  profilo  si  evidenzia   ulteriormente
l'illegittimita' costituzionale della norma. 
    A riguardo la  Corte  costituzionale  ha  infatti  precisato  che
«Nella  giurisprudenza  di  questa   Corte   e'   ormai   consolidato
l'orientamento  per  il  quale  il  legislatore  statale,   con   una
"disciplina di principio", puo'  legittimamente  "imporre  agli  enti
autonomi,  per  ragioni  di  coordinamento  finanziario  connesse  ad
obiettivi nazionali, condizionati anche  dagli  obblighi  comunitari,
vincoli alle politiche di bilancio, anche  se  questi  si  traducono,
inevitabilmente, in  limitazioni  indirette  all'autonomia  di  spesa
degli enti" (sentenze n. 417 del 2005 e  n.  36  del  2004).  Perche'
detti vincoli possano considerarsi  rispettosi  dell'autonomia  delle
Regioni e degli enti locali, essi debbono  riguardare  l'entita'  del
disavanzo di parte corrente oppure - ma solo "in via  transitoria  ed
in vista degli specifici  obiettivi  di  riequilibrio  della  finanza
pubblica perseguiti dal legislatore  statale"  -  la  crescita  della
spesa corrente degli  enti  autonomi.  In  altri  termini,  la  legge
statale puo' stabilire solo un "limite complessivo, che  lascia  agli
enti stessi ampia liberta' di allocazione delle risorse fra i diversi
ambiti e obiettivi di spesa"» (sentenze n. 88 del 2006, n. 449  e  n.
417 del 2005, n. 36 del 2004 (sentenza n. 169/2007). 
    Pertanto «norme statali che fissano limiti  alla  spesa  di  enti
pubblici regionali  possono  qualificarsi  principi  fondamentali  di
coordinamento  della   finanza   pubblica   alla   seguente   duplice
condizione: in primo luogo, che si  limitino  a  porre  obiettivi  di
riequilibrio della medesima,  intesi  nel  senso  di  un  transitorio
contenimento  complessivo,  anche  se  non  generale,   della   spesa
corrente; in secondo luogo,  che  non  prevedano  in  modo  esaustivo
strumenti o modalita' per il  perseguimento  dei  suddetti  obiettivi
(sentenze n. 120 del 2008; n. 412 e n. 169 del 2007; n. 88  del  2006
(sentenza n. 289/2008). 
    Con la recente sentenza n. 182 del 2011, codesta Ecc.ma ha infine
ribadito che  «la  legge  statale  puo'  stabilire  solo  un  "limite
complessivo,  che  lascia  agli  enti  stessi   ampia   liberta'   di
allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa"»
(sentenze n. 417 del 2005 e n.  36  del  2004;  si  vedano  anche  le
sentenze n. 88 del 2006 e n. 449 del 2005). 
    Poste tali premesse, e' da aggiungere che interventi analoghi per
i contenuti a quelli operati dalle diverse disposizioni  dell'art.  6
del decreto-legge n. 78 del 2010, disposti negli anni  trascorsi  dal
legislatore statale, non sono stati in grado di superare il vaglio di
legittimita'    costituzionale,    data    l'indebita    compressione
dell'autonomia  finanziaria  delle  Regioni  che  con   essi   veniva
realizzata. In particolare, sono state  ritenute  illegittime,  nella
parte in cui pretendevano di imporsi  al  sistema  regionale,  rigide
misure  concernenti  la  spesa  per   studi,   consulenze,   missioni
all'estero, rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni  (sentenza
n. 417 del 2005); la spesa per viaggi in aereo (sentenza n.  449  del
2005); i  compensi  e  il  numero  massimo  degli  amministratori  di
societa' partecipate dalla Regione (sentenza n.  159  del  2008);  le
spese per autovetture (sentenza n. 297 del 2009). 
    A fronte  di  tale  consolidato  indirizzo  della  giurisprudenza
costituzionale, il legislatore  statale,  con  l'art.  6  citato,  ha
mostrato di saper superare la tecnica normativa in origine  adottata,
ai fini del  contenimento  della  spesa  pubblica,  preferendo  agire
direttamente sulla spesa  delle  proprie  amministrazioni  con  norme
puntuali,  delle  quali  si  e'  invece  dichiarata  l'efficacia  nei
confronti   delle   Regioni   esclusivamente   quali   principi    di
coordinamento della finanza pubblica,  escludendone  l'applicabilita'
diretta (sentenza n. 289 del 2008). 
    Va  da  se'  che  tale  operazione  puo'  rispettare  il  riparto
concorrente della potesta' legislativa in tema di coordinamento della
finanza pubblica, solo a condizione di  permettere  l'estrapolazione,
dalle singole disposizioni statali, di  principi  rispettosi  di  uno
spazio  aperto  all'esercizio  dell'autonomia  regionale.   In   caso
contrario, la disposizione statale  non  potra'  essere  ritenuta  di
principio (sentenza n. 159 del 2008), quale che  ne  sia  l'eventuale
auto qualificazione operata dal legislatore  nazionale  (sentenza  n.
237 del 2009). 
    Le disposizioni impugnate con il presente ricorso non  rispondono
alle predette condizioni, in quanto  -  anziche'  limitarsi  a  porre
limiti alla spesa complessiva - decidono in luogo delle Regioni quali
specifiche voci di spesa devono essere eliminate per rispettarli. 
    Le  limitazioni  poste   all'articolazione   e/o   organizzazione
scolastica (rectius la formazione  di  istituti  comprensivi  con  un
minimo di 1000/500 iscritti e la conseguente riduzione dei  dirigenti
scolastici) ledono pertanto ulteriormente  le  competenze  regionali,
sotto  il  profilo  della  competenza  concorrente  in   materia   di
«coordinamento della finanza pubblica», posto che  non  residua  alle
Regioni alcun  margine  di  scelta,  con  conseguente  ingiustificato
vincolo all'autonomia finanziaria delle Regioni, in violazione  degli
artt. 117, comma 3, e 119 Cost. 
    c) Va infine evidenziato - in  via  subordinata  -  un  ulteriore
profilo di illegittimita' delle norme impugnate, le quali si  pongono
in contrasto anche  con  l'art.  118  della  Costituzione  e  con  il
principio di leale collaborazione, in quanto disciplinano  ambiti  di
competenza regionale senza alcuna concertazione con le Regioni. 
    Infatti, secondo  la  giurisprudenza  di  codesta  Ecc.ma  Corte,
consolidata a partire dalla fondamentale decisione n. 303/2003, nelle
materie riconducibili  alla  competenza  legislativa  delle  Regioni,
l'intervento  dello  Stato  in  «sussidiarieta'»  volto  a  garantire
esigenze di unitarieta', e'  giustificato  solo  se  «la  valutazione
dell'interesse   pubblico   ...sia   proporzionata,   assistita    da
ragionevolezza   alla   stregua   di   uno   scrutinio   stretto   di
costituzionalita' e sia  previsto  un  coinvolgimento  delle  Regioni
interessate» (sentenza n. 88/2007). 
    Nel caso di specie, anche qualora si  volessero  ravvisare  nelle
norme  impugnate  esigenze  di  unitarieta'   tali   da   legittimare
l'intervento in «sussidiarieta'» da parte dello  Stato,  quest'ultimo
avrebbe dovuto prevedere comunque adeguate  forme  di  collaborazione
con le Regioni. 
 
                                P.Q.M. 
 
    Si conclude perche' l'Ill.ma Corte  adita  voglia  dichiarare  la
illegittimita'  costituzionale  dell'art.  19,  commi  4  e   5   del
decreto-legge 6 luglio  2011,n.  98  («Disposizioni  urgenti  per  la
stabilizzazione finanziaria»), pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica n. 155  del  6  luglio  2011,  convertito  in  legge
dall'art. 1 della legge 15  luglio  2011,  n.  111  («Conversione  in
legge, con modificazioni, del decreto-legge 6  luglio  2011,  n.  98,
recante disposizioni urgenti per  la  stabilizzazione  finanziaria»),
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.  164  del  16
luglio 2011 per violazione degli articoli 117, comma  3,  118,  anche
sotto il profilo della violazione del principio di collaborazione,  e
119 della Costituzione. 
    Si allegano: 
        copia conforme D.G.R. n. 914 del 6 settembre 2011; 
        copia art. 19, decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98; 
        copia art. 1, legge 15 luglio 2011, n. 111; 
        copia D.G.R. n. 1666 del 23 novembre 2009; 
        copia Del. Cons. Reg. Umbria n. 38 del 21 dicembre 2010. 
    Perugia-Roma 12 settembre 2011 
 
                            Avv. Manuali