N. 101 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 21 settembre 2011
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 21 settembre 2011 (della Regione Umbria). Istruzione - Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria - Misure per la razionalizzazione della spesa relativa all'organizzazione scolastica - Riduzione, a decorrere dall'anno scolastico 2011-2012, del numero di scuole dell'infanzia, primarie e secondarie mediante la formazione di istituti comprensivi, nonche' previsione che gli stessi acquisiscano l'autonomia se aventi almeno 1.000 alunni - Riduzione del numero di posti di dirigente scolastico e reggenza in luogo dell'assegnazione di apposito dirigente per le istituzioni di dimensioni minori - Lamentato intervento puntuale e di dettaglio sull'organizzazione scolastica e sul dimensionamento della rete scolastica senza un adeguato coinvolgimento delle Regioni - Ricorso della Regione Umbria - Denunciata violazione della competenza legislativa regionale nelle materie concorrenti dell'istruzione e del coordinamento della finanza pubblica, violazione dell'autonomia finanziaria regionale, violazione del principio di leale collaborazione. - Decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011, n. 111, art. 19, commi 4 e 5. - Costituzione, artt. 117, comma terzo, 118, primo comma, e 119.(GU n.47 del 9-11-2011 )
Ricorso della Regione Umbria, in persona della Presidente pro-tempore della Giunta Regionale dott.ssa Catiuscia Marini (codice fiscale 80000130544), rappresentata e difesa per delega a margine del presente atto dall'avv. Paola Manuali in forza di D.G.R. n. 914 del 6 settembre 2011 (codice fiscale MNLPLA53H68G478X - paola.manuali@avvocatiperugiapec.it - fax 075/5043625), elettivamente domiciliata in Roma, via Maria Cristina n. 8, presso lo studio dell'avv. Goffredo Gobbi - goffredogobbi@ordineavvocatiroma.org - fax 06/3216130; Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 19, commi 4 e 5 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 «Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 155 del 6 luglio 2011, convertito in legge dall'art. 1 della legge 15 luglio 2011, n. 111 «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, recante disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 164 del 16 luglio 2011 per violazione degli articoli 117, comma 3, 118, comma 1, anche sotto il profilo della violazione del principio di leale collaborazione, e 119 della Costituzione. Nell'ambito della «manovra» di «stabilizzazione finanziaria» di cui al decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito con legge 15 luglio 2011, n. 111, e' inserito l'art. 19, rubricato come «Razionalizzazione della spesa relativa all'organizzazione scolastica», i cui commi 4 e 5 cosi' letteralmente recitano: «4. Per garantire un processo di continuita' didattica nell'ambito dello stesso ciclo di istruzione, a decorrere dall'anno scolastico 2011-2012 la scuola dell'infanzia, la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado sono aggregate in istituti comprensivi, con la conseguente soppressione delle istituzioni scolastiche autonome costituite separatamente da direzioni didattiche e scuole secondarie di I grado; gli istituti comprensivi per acquisire l'autonomia devono essere costituiti con almeno 1.000 alunni, ridotti a 500 per le istituzioni site nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche caratterizzate da specificita' linguistiche. 5. Alle istituzioni scolastiche autonome costituite con un numero di alunni inferiore a 500 unita', ridotto fino a 300 per le istituzioni site nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche caratterizzate da specificita' linguistiche, non possono essere assegnati dirigenti scolastici con incarico a tempo indeterminato. Le stesse sono conferite in reggenza a dirigenti scolastici con incarico su altre istituzioni scolastiche autonome». La riduzione del numero delle istituzioni scolastiche autonome prevista dal comma 4 (con la conseguente riduzione dei posti di dirigente scolastico) e la «reggenza» in luogo dell'assegnazione di apposito dirigente prevista dal comma 5 per le istituzioni di dimensioni «minori» ivi indicate, sono volte, secondo quanto si legge nella relazione illustrativa della legge di conversione del decreto, al conseguimento degli obiettivi finanziari previsti dall'art. 64, comma 6, della legge 6 agosto 2008, n. 133. Le indicate norme, che intervengono in modo puntuale sulla organizzazione e sul dimensionamento della istituzioni scolastiche, sono illegittime per violazione degli artt. 117, comma 3, 118 e 119 della Costituzione. a) Con le norme qui impugnate, ed in particolare con il comma 4 dell'art. 19, il legislatore nazionale detta disposizioni di dettaglio nella materia della «istruzione», appartenente alla competenza legislativa concorrente delle Regioni, ai sensi dell'art. 117, comma 3 della Costituzione. Il legislatore nazionale, non solo «impone» l'accorpamento generalizzato delle «direzioni didattiche» e delle «scuole secondarie di primo grado» in «istituti comprensivi», ma interviene altresi' sul «dimensionamento minimo» delle indicate istituzioni scolastiche (1000 alunni, ridotti a 500 per le istituzioni site in zone disagiate o caratterizzate da specificita' linguistiche), senza lasciare alcuno spazio all'autonomia delle Regioni. Va in proposito rilevato che codesta Ecc.ma Corte, gia' con la sentenza n. 13/2004 - dopo aver rilevato il «complesso intrecciarsi ...di norme generali, principi fondamentali, leggi regionali e determinazioni autonome delle istituzioni scolastiche» determinatosi nella materia dell'«istruzione» a seguito della riforma del titolo V parte II della Costituzione - affermava che «il prescritto ambito di legislazione regionale sta ... nella programmazione della rete scolastica. E' infatti implausibile che il legislatore costituzionale abbia voluto spogliare le Regioni di una funzione che era gia' ad esse conferita nella forma della competenza delegata dall'art. 138 del decreto legislativo n. 112 del 1998. Questo, per la parte che qui rileva, disponeva che alle Regioni fossero delegate le funzioni amministrative relative alla programmazione dell'offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale, alla suddivisione, sulla base delle proposte degli enti locali interessati, del territorio regionale in ambiti funzionali al miglioramento dell'offerta formativa e, soprattutto, alla programmazione, sul piano regionale, nei limiti delle disponibilita' delle risorse umane e finanziarie, della rete scolastica, sulla base dei piani provinciali, assicurando il coordinamento con la programmazione dell'offerta formativa integrata... Una volta attribuita l'istruzione alla competenza concorrente, il riparto imposto dall'art. 117 postula che, in tema di programmazione scolastica e di gestione amministrativa del relativo servizio, compito dello Stato sia solo quello di fissare principi (punto 3 della parte in diritto). La giurisprudenza successiva di codesta Corte ha riconfermato le competenze regionali in materia di «programmazione scolastica». Con la sentenza n. 34/2005, ad esempio, e' stata riconosciuta, in base alle motivazioni gia' espresse con la pronuncia n. 13/2004, la legittimita' costituzionale dell'art. 44, comma 1, lettera c) della L. R. Emilia-Romagna n. 12/2003, relativo al potere - attribuito al Consiglio regionale - di approvare, tra l'altro, «i criteri per la definizione dell'organizzazione della rete scolastica, ivi compresi i parametri dimensionali delle istituzioni scolastiche». Le disposizioni impugnate con il presente ricorso non possano essere ricomprese tra le «norme generali in materia di istruzione», riservate alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell'art. 117, comma 2, lettera n) della Costituzione, ne' tra i «principi fondamentali della materia» di cui all'art. 117, comma 3 della Costituzione stessa. Codesta Corte, con la sentenza n. 200/2009, riprendendo ed approfondendo i concetti gia' in proposito espressi con decisione n. 279/2005, ha precisato che appartengono alla prima delle due categorie suindicate «quelle disposizioni statali che definiscono la struttura portante del sistema nazionale di istruzione e che richiedono di essere applicate in modo necessariamente unitario ed uniforme in tutto il territorio nazionale, assicurando, mediante un'offerta formativa omogenea, la sostanziale parita' di trattamento tra gli utenti che fruiscono del servizio dell'istruzione (...) nonche' la liberta' di istituire scuole e la parita' tra le scuole statali e non statali in possesso dei requisiti richiesti dalla legge». E' stato precisato altresi' che appartengono alla categoria dei «principi fondamentali dell'istruzione» «quelle norme che, nel fissare criteri, obiettivi, direttive o discipline, pur tese a dimostrare la esistenza di elementi di base comuni sul territorio nazionale in ordine alle modalita' di fruizione del servizio dell'istruzione, da un lato non sono riconducibili a quella struttura essenziale del sistema d'istruzione che caratterizza le norme generali sull'istruzione, dall'altro necessitano, per la loro attuazione (e non gia' per la loro semplice esecuzione) dell'intervento del legislatore regionale il quale deve conformare la sua azione all'osservanza dei principi fondamentali stessi» (punto 25 in diritto). Le norme oggetto del presente ricorso non possono essere ricondotte a nessuna delle due indicate categorie, in quanto non «definiscono la struttura portante del sistema nazionale di istruzione», non «richiedono di essere applicate in maniera unitaria in tutto il territorio nazionale», non riguardano la «sostanziale parita' di trattamento tra gli utenti», ne' la «liberta' di istituire scuole e la «parita' tra le scuole». In particolare, il comma 4 in commento non si limita a fissare i criteri, le direttive, gli obiettivi e le discipline «relativi all'esistenza di elementi di base comuni sul territorio nazionale», propri dei «principi fondamentali della materia», come sopra definiti, ma si configura come norma di dettaglio in materia di organizzazione e di dimensionamento delle istituzioni scolastiche relative alla scuola dell'infanzia, alla scuola primaria ed alla scuola secondaria di primo grado. Ne' puo' valere a giustificare la competenza legislativa dello Stato il richiamo all'art. 117, comma 2, lettera m) della Costituzione. Le norme qui impugnate, infatti, regolano in modo minuzioso l'esercizio dell'attivita' amministrativa delle Regioni nella materia ivi trattata, mentre la fissazione dei «livelli essenziali delle prestazioni» si puo' concretizzare solo nella individuazione di standards qualitativi minimi dei servizi, che ben possono essere migliorati dalle Regioni. Non puo' revocarsi in dubbio, d'altra parte, che - fermo restando il rispetto degli standards minimi - la rete scolastica ed il dimensionamento degli istituti sono piu' efficacemente organizzati in riferimento alle diverse realta' territoriali, meglio conosciute dalle Regioni. Le norme impugnate, invece, non lasciano alcuno spazio all'autonomia di queste ultime. D'altra parte, codesta Corte ha avuto modo di pronunciarsi di recente (con la sentenza n. 200/2009, gia' sopra citata) in ordine a norme statali aventi la finalita' di ricondurre in capo allo Stato le funzioni di ridimensionamento della rete scolastica, dichiarandone la incostituzionalita'. Con la decisione de qua e' stata infatti dichiarata la illegittimita' costituzionale dell'art. 64, comma 4, lettere f-bis ed f-ter del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, come convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, le quali prevedevano rispettivamente che, con atto regolamentare, avrebbe dovuto provvedersi alla «definizione di criteri, tempi e modalita' per la determinazione l'articolazione dell'azione di ridimensionamento della rete scolastica» (f- bis) e demandavano al regolamento governativo di prevedere, nel caso di chiusura o di accorpamento degli istituti scolastici aventi sede nei piccoli comuni, specifiche misure finalizzate alla riduzione del disagio degli utenti (f-ter). Codesta Corte ha precisato quanto segue: «Quanto, infatti, alla lettera f-bis), e' pure vero che essa prevede che, con atto regolamentare, si dovra' provvedere alla "definizione di criteri, tempi e modalita' per la determinazione e l'articolazione dell'azione di ridimensionamento della rete delle istituzioni scolastiche"; tuttavia, agli effetti del riparto di competenza legislativa tra lo Stato e le Regioni, cio' che rileva e' il riferimento al dimensionamento della rete delle istituzioni scolastiche, vale a dire ad un ambito che deve ritenersi di spettanza regionale. Sul punto, infatti, questa Corte ha avuto modo di rilevare che, da un lato, l'art. 138, comma 1, lettere a) e b), del d.lgs. n. 112 del 1998 aveva gia' delegato alle Regioni, nei limiti sopra esposti, funzioni amministrative in materia, tra l'altro, di programmazione formativa dell'offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale, nonche' di programmazione della rete scolastica; dall'altro, l'art. 3 del D.P.R. 18 giugno 1998, n. 233 (Regolamento recante norme per il dimensionamento ottimale delle istituzioni scolastiche e per la determinazione degli organici funzionali dei singoli istituti, a norma dell'articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59) aveva disposto che "i piani di dimensionamento delle istituzioni scolastiche (...) sono definiti in conferenze provinciali di organizzazione della rete scolastica, nel rispetto degli indirizzi di programmazione e dei criteri generali, riferiti anche agli ambiti territoriali, preventivamente adottati dalle Regioni" (sentenza n. 34 del 2005). Avendo riguardo alle riportate disposizioni legislative, la Corte ha cosi' ritenuto, con la citata sentenza, che «proprio alla luce del fatto che gia' la normativa antecedente alla riforma del titolo V della Costituzione prevedeva la competenza regionale in materia di dimensionamento delle istituzioni scolastiche, e quindi postulava la competenza sulla programmazione scolastica di cui all'art. 138 del d.lgs. n. 112 del 1998, e' da escludersi che il legislatore costituzionale del 2001 abbia voluto spogliare le Regioni di una funzione che era gia' ad esse conferita" sia pure sul piano meramente amministrativo. In altri termini, la definizione del riparto delle competenze amministrative attuato con il citato decreto legislativo fornisce un tendenziale criterio utilizzabile per la individuazione e la interpretazione degli ambiti materiali che la riforma del titolo V ha attribuito alla potesta' legislativa concorrente o residuale delle Regioni. Ed in effetti, se si ha riguardo all'obiettivo perseguito dalla disposizione in esame, si deve constatare che la predisposizione dei criteri volti alla attuazione di tale dimensionamento ha una diretta ed immediata incidenza su situazioni strettamente legate alle varie realta' territoriali ed alle connesse esigenze socioeconomiche di ciascun territorio, che ben possono e devono essere apprezzate in sede regionale. E non e' senza significato che il comma 4-quater dello stesso art. 64, introdotto dall'art. 3, comma 1, del successivo decreto-legge n. 154 del 2008, come convertito con legge n. 189 del 2008, abbia previsto - in sostanziale discontinuita' con quanto contenuto nella disposizione censurata - che le Regioni e gli Enti locali "nell'ambito delle rispettive competenze (...) assicurano il dimensionamento delle istituzioni scolastiche". La disposizione in questione, pertanto, lungi dal poter essere qualificata come "norma generale sull'istruzione" nel senso prima precisato, invade spazi riservati alla potesta' legislativa delle regioni relativi alla competenza alle stesse spettanti nella disciplina dell'attivita' di dimensionamento della rete scolastica sul territorio» (punto 38.1 in diritto). Il comma 4 dell'art. 19 in commento contiene scelte coinvolgenti le specifiche realta' territoriali delle Regioni e riservate alla competenza di queste ultime, privandole del ruolo primario loro assegnato nella istituzione e nella organizzazione delle scuole e sottraendo loro competenze gia' ad esse affidate (sia pure solo a titolo di delega) addirittura prima della riforma del titolo V della Costituzione. Sul piano concreto, peraltro, in Umbria le norme indicate vanno ad incidere su situazioni gia' disciplinate dalla Regione, la quale, non solo con D.G.R. n. 1666 del 23 novembre 2009 ha fissato le «Linee guida per la definizione dei piani regionali di programmazione della rete scolastica», ma ha altresi' approvato fin dal dicembre 2010 (del. Cons. Reg. n. 38 del 21 dicembre 2010) il «Piano regionale dell'offerta formativa e della programmazione della rete scolastica anno 2011-2012». b) Le disposizioni indicate non possono trovare giustificazione neppure alla luce della competenza concorrente in materia di «coordinamento della finanza pubblica», giustificata da finalita' di contenimento della spesa, come sembra ricavarsi dalla rubrica dell'art. 19 («Razionalizzazione della spesa relativa all'organizzazione scolastica»). Anzi, anche sotto tale profilo si evidenzia ulteriormente l'illegittimita' costituzionale della norma. A riguardo la Corte costituzionale ha infatti precisato che «Nella giurisprudenza di questa Corte e' ormai consolidato l'orientamento per il quale il legislatore statale, con una "disciplina di principio", puo' legittimamente "imporre agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti" (sentenze n. 417 del 2005 e n. 36 del 2004). Perche' detti vincoli possano considerarsi rispettosi dell'autonomia delle Regioni e degli enti locali, essi debbono riguardare l'entita' del disavanzo di parte corrente oppure - ma solo "in via transitoria ed in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale" - la crescita della spesa corrente degli enti autonomi. In altri termini, la legge statale puo' stabilire solo un "limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia liberta' di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa"» (sentenze n. 88 del 2006, n. 449 e n. 417 del 2005, n. 36 del 2004 (sentenza n. 169/2007). Pertanto «norme statali che fissano limiti alla spesa di enti pubblici regionali possono qualificarsi principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica alla seguente duplice condizione: in primo luogo, che si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente; in secondo luogo, che non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalita' per il perseguimento dei suddetti obiettivi (sentenze n. 120 del 2008; n. 412 e n. 169 del 2007; n. 88 del 2006 (sentenza n. 289/2008). Con la recente sentenza n. 182 del 2011, codesta Ecc.ma ha infine ribadito che «la legge statale puo' stabilire solo un "limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia liberta' di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa"» (sentenze n. 417 del 2005 e n. 36 del 2004; si vedano anche le sentenze n. 88 del 2006 e n. 449 del 2005). Poste tali premesse, e' da aggiungere che interventi analoghi per i contenuti a quelli operati dalle diverse disposizioni dell'art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010, disposti negli anni trascorsi dal legislatore statale, non sono stati in grado di superare il vaglio di legittimita' costituzionale, data l'indebita compressione dell'autonomia finanziaria delle Regioni che con essi veniva realizzata. In particolare, sono state ritenute illegittime, nella parte in cui pretendevano di imporsi al sistema regionale, rigide misure concernenti la spesa per studi, consulenze, missioni all'estero, rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni (sentenza n. 417 del 2005); la spesa per viaggi in aereo (sentenza n. 449 del 2005); i compensi e il numero massimo degli amministratori di societa' partecipate dalla Regione (sentenza n. 159 del 2008); le spese per autovetture (sentenza n. 297 del 2009). A fronte di tale consolidato indirizzo della giurisprudenza costituzionale, il legislatore statale, con l'art. 6 citato, ha mostrato di saper superare la tecnica normativa in origine adottata, ai fini del contenimento della spesa pubblica, preferendo agire direttamente sulla spesa delle proprie amministrazioni con norme puntuali, delle quali si e' invece dichiarata l'efficacia nei confronti delle Regioni esclusivamente quali principi di coordinamento della finanza pubblica, escludendone l'applicabilita' diretta (sentenza n. 289 del 2008). Va da se' che tale operazione puo' rispettare il riparto concorrente della potesta' legislativa in tema di coordinamento della finanza pubblica, solo a condizione di permettere l'estrapolazione, dalle singole disposizioni statali, di principi rispettosi di uno spazio aperto all'esercizio dell'autonomia regionale. In caso contrario, la disposizione statale non potra' essere ritenuta di principio (sentenza n. 159 del 2008), quale che ne sia l'eventuale auto qualificazione operata dal legislatore nazionale (sentenza n. 237 del 2009). Le disposizioni impugnate con il presente ricorso non rispondono alle predette condizioni, in quanto - anziche' limitarsi a porre limiti alla spesa complessiva - decidono in luogo delle Regioni quali specifiche voci di spesa devono essere eliminate per rispettarli. Le limitazioni poste all'articolazione e/o organizzazione scolastica (rectius la formazione di istituti comprensivi con un minimo di 1000/500 iscritti e la conseguente riduzione dei dirigenti scolastici) ledono pertanto ulteriormente le competenze regionali, sotto il profilo della competenza concorrente in materia di «coordinamento della finanza pubblica», posto che non residua alle Regioni alcun margine di scelta, con conseguente ingiustificato vincolo all'autonomia finanziaria delle Regioni, in violazione degli artt. 117, comma 3, e 119 Cost. c) Va infine evidenziato - in via subordinata - un ulteriore profilo di illegittimita' delle norme impugnate, le quali si pongono in contrasto anche con l'art. 118 della Costituzione e con il principio di leale collaborazione, in quanto disciplinano ambiti di competenza regionale senza alcuna concertazione con le Regioni. Infatti, secondo la giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte, consolidata a partire dalla fondamentale decisione n. 303/2003, nelle materie riconducibili alla competenza legislativa delle Regioni, l'intervento dello Stato in «sussidiarieta'» volto a garantire esigenze di unitarieta', e' giustificato solo se «la valutazione dell'interesse pubblico ...sia proporzionata, assistita da ragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalita' e sia previsto un coinvolgimento delle Regioni interessate» (sentenza n. 88/2007). Nel caso di specie, anche qualora si volessero ravvisare nelle norme impugnate esigenze di unitarieta' tali da legittimare l'intervento in «sussidiarieta'» da parte dello Stato, quest'ultimo avrebbe dovuto prevedere comunque adeguate forme di collaborazione con le Regioni.
P.Q.M. Si conclude perche' l'Ill.ma Corte adita voglia dichiarare la illegittimita' costituzionale dell'art. 19, commi 4 e 5 del decreto-legge 6 luglio 2011,n. 98 («Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria»), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 155 del 6 luglio 2011, convertito in legge dall'art. 1 della legge 15 luglio 2011, n. 111 («Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, recante disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria»), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 164 del 16 luglio 2011 per violazione degli articoli 117, comma 3, 118, anche sotto il profilo della violazione del principio di collaborazione, e 119 della Costituzione. Si allegano: copia conforme D.G.R. n. 914 del 6 settembre 2011; copia art. 19, decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98; copia art. 1, legge 15 luglio 2011, n. 111; copia D.G.R. n. 1666 del 23 novembre 2009; copia Del. Cons. Reg. Umbria n. 38 del 21 dicembre 2010. Perugia-Roma 12 settembre 2011 Avv. Manuali