N. 105 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 23 settembre 2011

Ricorso per questione di  legittimita'  costituzionale  depositato in
cancelleria il 23 settembre 2011 (della Regione Basilicata) . 
 
Istruzione - Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni  urgenti
  per   la   stabilizzazione   finanziaria   -    Misure    per    la
  razionalizzazione   della   spesa    relativa    all'organizzazione
  scolastica - Riduzione, a decorrere dall'anno scolastico 2011-2012,
  del numero di scuole dell'infanzia, primarie e secondarie  mediante
  la formazione di istituti comprensivi, nonche' previsione  che  gli
  stessi acquisiscano l'autonomia se aventi  almeno  1.000  alunni  -
  Riduzione del numero di posti di dirigente scolastico e reggenza in
  luogo dell'assegnazione di apposito dirigente per le istituzioni di
  dimensioni minori - Lamentato intervento puntuale e  di  dettaglio,
  in     prossimita'      dell'inizio      dell'anno      scolastico,
  sull'organizzazione scolastica e  sul  dimensionamento  della  rete
  scolastica, assenza di concertazione, discriminazione tra dirigenti
  scolastici  -  Ricorso  della  Regione  Basilicata   -   Denunciata
  violazione   della   competenza   legislativa,   regolamentare    e
  amministrativa regionale nella materia concorrente dell'istruzione,
  violazione dei principi di ragionevolezza, di proporzionalita',  di
  leale collaborazione. 
- Decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con  modificazioni,
  in legge 15 luglio 2011, n. 111, art. 19, commi 4 e 5. 
- Costituzione, artt. 117, commi terzo e sesto, 118 e 120. 
(GU n.47 del 9-11-2011 )
    Ricorso della Regione Basilicata  (80002950766)  in  persona  del
legale rappresentante, il Presidente della giunta regionale, dr. Vito
De Filippo, autorizzato a proporre il presente ricorso  con  delibera
di giunta regionale n. 1257 del 9  settembre  2011,  rappresentato  e
difeso dall'avv.  Valerio  Di  Giacomo,  dell'Ufficio  legale  e  del
contenzioso dell'Ente, giusta procura speciale ad litem a margine del
presente atto, con  il  quale  e'  elettivamente  domiciliato  presso
l'Ufficio rappresentanza in Roma, alla via Nizza n. 56; 
    Nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri, con sede
in Roma, piazza Colonna n. 370, Palazzo Chigi, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura Generale dello Stato, con sede in Roma, alla via  dei
Portoghesi n. 12, presso cui e' per legge domiciliato; 
    Per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale,  ai  sensi
degli artt. 127 Cost. e 32 legge n.  87  dell'11  marzo  1953,  della
legge n. 111 del 15 luglio 2011 di  «conversione  con  modifiche  del
decreto-legge n. 98 del 6 luglio 2011  recante  disposizioni  urgenti
per  la  stabilizzazione  finanziaria»,  pubblicata  nella   Gazzetta
Ufficiale della  Repubblica  n.  164  del  16  luglio  2011,  ed,  in
particolare, dell'art. 19, comma 4, della suddetta legge, che recita:
«per garantire un processo di continuita' didattica nell'ambito dello
stesso  ciclo  di  istruzione,  a  decorrere   dall'anno   scolastico
2011-2012 la scuola dell'infanzia, la scuola  primaria  e  la  scuola
secondaria di primo grado sono aggregate in istituti comprensivi, con
la conseguente soppressione delle  istituzioni  scolastiche  autonome
costituite separatamente da direzioni didattiche e scuole  secondarie
di I grado; gli istituti comprensivi per acquisire l'autonomia devono
essere costituiti con  meno  1.000  alunni,  ridotti  a  500  per  le
istituzioni site nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle  aree
geografiche caratterizzate da specificita' linguistiche»; 
    E dell'art. 19, comma 5, della suddetta legge, che recita:  «alle
istituzioni scolastiche autonome costituite con un numero  di  alunni
inferiore a 500 unita', ridotto fino a 300 per  le  istituzioni  site
nelle piccole isole,  nei  comuni  montani,  nelle  aree  geografiche
caratterizzate da specificita'  linguistiche  ,  non  possono  essere
assegnati dirigenti scolastici con incarico a tempo indeterminato. Le
stesse sono conferite in reggenza a dirigenti scolastici con incarico
su altre istituzioni scolastiche autonome». 
 
                               Motivi 
 
    A. quanto all'art. 19,  comma  4,  della  legge  n.  111/2001  si
prospettano le seguenti censure: 
        I) violazione dell'art. 117, commi 3 e 6, Costituzione; 
        II) violazione dell'art. 118 Costituzione; 
        III) violazione del principio  di  leale  collaborazione  fra
Stato e Regioni, di cui all'art. 120, Costituzione; 
        IV)   violazione   dei   principi   di    ragionevolezza    e
proporzionalita'. 
    I. L'art. 117,  comma  3  della  Costituzione  comprende  tra  le
materie  di  competenza  legislativa  concorrente   quella   relativa
all'«istruzione, salva l'autonomia delle  istituzioni  scolastiche  e
con esclusione della istruzione e  della  formazione  professionale»;
puntualizza che: «Nelle materie di  legislazione  concorrente  spetta
alle Regioni la potesta' legislativa, salvo che per la determinazione
dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato». 
    Il precedente comma 2, lett. n),  dell'art.  117  Cost.,  invece,
affida esclusivamente al legislatore statale la determinazione  delle
«norme generali sull'istruzione». 
    Ha sostenuto la Consulta che «In particolare, sono norme generali
all'istruzione  quelle  disposizioni  statali  che   definiscono   la
struttura  portante  del  sistema  nazionale  di  istruzione  e   che
richiedono di essere applicate in modo  necessariamente  unitario  ed
uniforme in tutto il territorio nazionale, assicurando, mediante  una
offerta formativa omogenea, la sostanziale parita' di trattamento tra
gli utenti che fruiscono del  servizio  dell'istruzione,  nonche'  la
liberta' di istituire scuole e la parita' tra le scuole statali e non
statali in possesso dei requisiti richiesti dalla legge, ivi compresa
la   disciplina   relativa   alla   ''autonomia   delle   istituzioni
scolastiche'', facenti parte del sistema nazionale  di  istruzione.».
Si tratta, dunque, di norme e discipline che «sono funzionali,  anche
nei loro profili di rilevanza organizzativa, ad assicurare,  mediante
-  si   ribadisce   -   la   previsione   di   un'offerta   formativa
necessariamente uniforme sull'intero territorio nazionale, l'dentita'
culturale del paese, nel rispetto della liberta' di  insegnamento  di
cui  all'art.  33,  primo   comma   Cost.»   (cfr.   sentenza   Corte
costituzionale n. 200 del 2009, p. 24). 
    Infine, un ambito di  legislazione  statale  esclusiva  che  puo'
incidere sulla materia  istruzione  riguarda  la  determinazione  dei
livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti  civili  e
sociali da garantire su tutto  il  territorio  nazionale  (art.  117,
comma 2, lett. m), Cost.): tra i diritti suddetti e' compreso  quello
all'istruzione, per  cui  la  suddetta  competenza  e'  funzionale  a
garantire a tutti gli utenti del  servizio  scolastico  «un  adeguato
livello di  fruizione  delle  prestazioni  formative  sulla  base  di
standards  uniformi  applicabili  sull'intero  territorio  nazionale,
ferma comunque la possibilita'  delle  singole  regioni,  nell'ambito
della  loro  competenza  concorrente  in  materia,  di  migliorare  i
suddetti livelli di prestazione e, dunque, il contenuto  dell'offerta
formativa  ed  adeguandola  in  particolare  alle  esigenze   locali.
Tuttavia la fissazione dei  livelli  essenziali  di  prestazione  del
servizio scolastico non  puo'  includere  l'assetto  organizzativo  e
gestorio del servizio (sent. n. 120 del 2005 cit.) che  comunque  non
rileva nella specie.» (cfr. Corte cost., sent. n. 200/2009, p. 27). 
    In sostanza, gli ambiti di competenza  legislativa  statale  sono
riconducibili  alla  fondamentale  esigenza  di  garantire   l'eguale
diritto all'istruzione di tutti gli utenti dei servizi  scolastici  e
formativi, si'  da  giustificare  la  necessita'  di  una  disciplina
uniforme  sull'intero  territorio   della   Repubblica,   mentre   la
competenza legislativa regionale deve essere garantita in ordine alla
determinazione degli assetti organizzativi e gestionali del  servizio
istruzione, suscettivi di adattamento alle esigenze  locali  ed  alle
realta' sociali ivi insistenti. 
    A tali  ambiti  riservati  alla  competenza  legislativa  statale
certamente non  attengono  le  disposizioni  contenute  nel  comma  4
dell'art.  19  legge  n.  111/2011,  il  quale  disponendo  che  «per
garantire un processo  di  continuita'  didattica  nell'ambito  dello
stesso  ciclo  di  istruzione,  a  decorrere   dall'anno   scolastico
2011-2012 la scuola dell'infanzia, la scuola  primaria  e  la  scuola
secondaria di primo grado sono aggregate in istituti comprensivi, con
la conseguente soppressione delle  istituzioni  scolastiche  autonome
costituite separatamente da direzioni didattiche e scuole  secondarie
di I grado; gli istituti comprensivi per acquisire l'autonomia devono
essere costituiti con almeno 1.000  alunni,  ridotti  a  500  per  le
istituzioni site nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle  aree
geografiche caratterizzate da  specificita'  linguistiche»  pone  una
previsione normativa di dettaglio in materia di «istruzione». 
    Infine, rientrano nella competenza esclusiva  statale,  ai  sensi
dell'art. 117, secondo comma, lettere g)  ed  l),  Cost.  le  materie
dell'organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici,
nazionali e dell'ordinamento civile che rileva in particolare, per la
disciplina privatistica del rapporto di lavoro  del  personale  della
scuola. 
    Certamente le disposizioni normative contenute nel  citato  comma
dell'art. 19 legge  n.  111/2011  non  costituiscono  norme  generali
sull'istruzione,  bene,  quest'ultimo,   inteso   come   fondamentale
diritto, collettivo ed individuale di ogni cittadino, da garantire in
eguale misura, si' da legittimare un intervento normativo uniforme su
tutto il territorio della Repubblica italiana. 
    In sostanza non si tratta di «... disposizioni che contribuiscono
a delineare la struttura di base del sistema di istruzione», che «...
non necessitano di un'ulteriore normazione  a  livello  regionale,  e
dunque, non possono essere qualificate come  espressive  di  principi
fondamentali della materia  dell'istruzione.»,  vale  a  dire  quella
struttura basilare del sistema istruzione che si  evince  dal  quadro
delle disposizioni di cui agli artt. 33 e 34 Cost. ed in  prospettiva
dei diritti la cui tutela e' in quelle sottesa (come  si  esprime  la
Consulta, nella sentenza n. 200/2009 «il  legislatore  costituzionale
ha assegnato alle prescrizioni contenute nei citati  artt.  33  e  34
valenza necessariamente generale ed unitaria che identifica un ambito
di competenza esclusivamente statale.»). 
    Soccorre,  appunto,  la  ricostruzione   normativa   del   quadro
legislativo   relativo   alla   normativa   a   carattere    generale
sull'istruzione che la Consulta, nella citata decisione, ha  operato,
evidenziando che la fondamentale legge 28 marzo 2003, n.  53  (Delega
al Governo per la definizione delle norme generali sull'istruzione  e
dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di  istruzione  e
formazione  professionale)  abbia  ricompreso  nelle  norme  generali
sull'istruzione: «la definizione generale e complessiva  del  sistema
educativo  di  istruzione  e  formazione,  delle  sue   articolazioni
cicliche  e  delle  sue   finalita'   ultime;   la   regolamentazione
dell'accesso al sistema ed i  termini  del  diritto-dovere  alla  sua
fruizione; la previsione generale del contenuto dei  programmi  delle
varie fasi e dei vari cicli del sistema e del nucleo  essenziale  dei
piani di studio scolastici per la ''quota nazionale''; la  previsione
e la regolamentazione delle prove  che  consentono  il  passaggio  ai
diversi  cicli;  la  definizione  degli  standard  minimi  formativi,
richiesti per la spendibilita'  nazionale  dei  titoli  professionali
conseguiti all'esito dei percorsi formativi, nonche' per il passaggio
ai percorsi scolastici; la definizione generale dei ''percorsi''  tra
istruzione e formazione che  realizzano  diversi  profili  educativi,
culturali  e  professionali  (cui   conseguono   diversi   titoli   e
qualifiche, riconoscibili sul piano nazionale) e la  possibilita'  di
passare da un percorso  all'altro;  la  valutazione  periodica  degli
apprendimenti  e  del  comportamento  degli  studenti   del   sistema
educativo di istruzione  e  formazione,  attribuito  agli  insegnanti
della stessa istituzione scolastica;  i  principi  della  valutazione
complessiva del sistema; il modello di alternanza  scuola-lavoro,  al
fine di acquisire competenze spendibili anche nel mercato del lavoro;
i principi di formazione degli insegnanti.». 
    La  Consulta  ha  anche  puntualizzato  che  «Inoltre,   in   via
interpretativa,  sono,  in  linea  di  principio,  considerate  norme
generali sull'istruzione anche quelle sull'autonomia funzionale delle
istituzioni scolastiche, di cui all'art.  21  della  legge  15  marzo
1997, n. 59 (Delega al Governo per  il  conferimento  di  funzioni  e
compiti alle regioni ed enti locali, per la  riforma  della  Pubblica
Amministrazione e  per  la  semplificazione  amministrativa),  quelle
sull'assetto degli organi collegiali, di cui al  decreto  legislativo
30 giugno 1999, n. 233 (Riforma degli organi collegiali  territoriali
della scuola, a norma dell'articolo 21 della legge 15 marzo 1997,  n.
59), nonche' quelle sulla  parita'  scolastica  e  sul  diritto  allo
studio e all'istruzione, di cui alla  legge  10  marzo  2000,  n.  62
(Norme per la parita' scolastica  e  disposizioni  sul  diritto  allo
studio e all'istruzione). 
    Il complesso delle suindicate fonti legislative rappresenta,  per
la sua valenza sistematica volta a  definire  espressamente  l'ambito
materiale di  intervento  esclusivo  dello  Stato,  un  significativo
termine di riferimento per valutare se nuove disposizioni,  contenute
in altre leggi, possano essere qualificate allo stesso modo.». 
    La norma censurata, invece, imponendo la formazione  di  istituti
comprensivi per «la scuola dell'infanzia, la  scuola  primaria  e  la
scuola  secondaria  di primo  grado»,  sopprimendo  «le   istituzioni
scolastiche autonome costituite separatamente da direzioni didattiche
e scuole secondarie di I grado» e condizionando solo relativamente  a
detti   istituti   comprensivi   il   riconoscimento   dell'autonomia
scolastica ad un dimensionamento di «almeno 1.000 alunni,  ridotti  a
500 per le istituzioni site nelle piccole isole, nei comuni  montani,
nelle aree geografiche caratterizzate da specificita'  linguistiche»,
per un verso esorbita dal novero di quelle disposizioni che la  Corte
costituzionale  ha  indicato  come  norme  generali  in  materia   di
istruzione, per altro verso, pone  una  norma  di  sicuro  dettaglio,
idonea  ad  incidere  in  modo  vincolante  sulle  scelte   regionali
concernenti la definizione degli assetti  programmatico-organizzativi
della  rete  scolastica  e  ad  elidere  competenze   ineludibilmente
assegnate alle Regioni, le piu' idonee a conoscere ed operare  scelte
politiche rispondenti alle caratteristiche ed  esigenze  del  proprio
territorio e della popolazione ivi residente. 
    La  disposizione,  infatti,  prevedendo  in  modo  vincolante  il
siffatto accorpamento verticale delle scuole dell'infanzia,  primarie
e secondarie di I grado ed il limite minimo del loro dimensionamento,
preclude alle Regioni di  adeguare  la  rete  scolastica  ed  il  suo
dimensionamento, alle esigenze e particolarita' del suo territorio. 
    Il legislatore, dunque, non ha riformato il «sistema basilare  di
istruzione» riguardo al primo ciclo, ma  ha  solamente  previsto  una
necessaria aggregazione di scuole di infanzia, di scuola  primaria  e
scuola  secondaria  di  I  grado  (che  restano  tali)  in   istituti
comprensivi,  che  attiene  sicuramente  ad  aspetti   organizzativo-
gestionali inerenti la programmazione ed  organizzazione  della  rete
scolastica (gia' riferito alla competenza regionale dalla sentenza 13
gennaio 2004, n. 13 della Corte costituzionale) ed il dimensionamento
delle istituzioni (pure riferito alla competenza regionale da Codesta
Corte, con sentenza n. 34 del 2005), che non puo'  prescindere  dalle
realta' ed esigenze  sociali  del  territorio.  La  scelta  obbligata
impedisce,   infatti,   alle   singole   regioni,   di    considerare
nell'effettuazione delle scelte programmatorie ed organizzative della
rete scolastica, la composizione e  la  dislocazione  sul  territorio
della popolazione scolastica e delle strutture e servizi  locali,  la
realta' geografica e la composizione orografica del  suo  territorio,
la  composizione  demografica   della   popolazione   regionale,   la
dislocazione  e   consistenza   di   strutture   ed   infrastrutture,
particolarmente quelle relative ai trasporti ed  ogni  altro  aspetto
che deve  essere  demandato  alle  autonome  scelte  politiche  delle
regioni, invece ridotte a  ben  poca  cosa  con  siffatti  pesanti  e
spropositati condizionamenti. 
    Trattasi di scelte che fino a prima dell'emanazione  della  norme
censurate   venivano   effettuate   dalla   regioni   in    occasione
dell'adozione dei piani di dimensionamento scolastico. 
    Richiamando la sua  giurisprudenza,  nella  citata  sentenza,  la
Corte ha avuto modo di chiarire che «Con la sentenza n. 13 del  2004,
piu' volte richiamata dalle stesse ricorrenti, la Corte ha  affermato
che «nel complesso  intrecciarsi  in  una  stessa  materia  di  norme
generali, principi fondamentali,  leggi  regionali  e  determinazioni
autonome delle istituzioni scolastiche, si puo'  assumere  per  certo
che il prescritto ambito di legislazione regionale sta proprio  nella
programmazione della rete scolastica. E' infatti implausibile che  il
legislatore costituzionale abbia voluto spogliare le Regioni  di  una
funzione che era gia' ad esse conferita nella forma della  competenza
delegata dall'art. 138 del decreto legislativo n. 112 del 1998. 
    Successivamente, con la sentenza n. 34 del  2005  la  Corte,  nel
richiamare la suindicata sentenza n. 13 del 2004,  ha  affermato  che
l'ampio decentramento delle funzioni amministrative  delineato  dalla
legge n. 59 del 1997, ed attuato con il decreto  legislativo  n.  112
del  1998,  ha   visto   delegare   importanti   e   nuove   funzioni
amministrative  alle   Regioni,   fra   cui   anzitutto   quelle   di
programmazione dell'offerta  formativa  integrata  tra  istruzione  e
formazione professionale (art.  138,  comma  1,  lettera  a)),  e  di
programmazione della rete scolastica  (art.  138,  comma  1,  lettera
b)).». 
    Nella  sentenza  n.  200/2011,  punto  38.1,  Codesta  Corte   ha
evidenziato: «Sul punto, infatti,  questa  Corte  ha  avuto  modo  di
rilevare che, da un lato, l'art. 138, comma 1, lettere a) e  b),  del
decreto legislativo n. 112 del 1998 aveva gia' delegato alle Regioni,
nei limiti sopra esposti, funzioni  amministrative  in  materia,  tra
l'altro,  di  programmazione  dell'offerta  formativa  integrata  tra
istruzione e  formazione  professionale,  nonche'  di  programmazione
della  rete  scolastica;  dall'altro,  l'art.  3  del   decreto   del
Presidente della  Repubblica 18  giugno  1998,  n.  233  (Regolamento
recante norme  per  il  dimensionamento  ottimale  delle  istituzioni
scolastiche e per la determinazione  degli  organici  funzionali  dei
singoli istituti, a norma dell'articolo 21 della legge 15 marzo 1997,
n.  59)  aveva  disposto  che  «i  piani  di  dimensionamento   delle
istituzioni scolastiche (..) sono definiti in conferenze  provinciali
di organizzazione della rete scolastica, nel rispetto degli indirizzi
di programmazione e dei criteri generali, riferiti anche agli  ambiti
territoriali, preventivamente adottati dalle Regioni» (sentenza n. 34
del 2005). 
    Avendo riguardo alle riportate disposizioni legislative, la Corte
ha cosi' ritenuto, con la citata sentenza, che «proprio alla luce del
fatto che gia' la normativa antecedente alla  riforma  del  Titolo  V
prevedeva la competenza regionale in materia di dimensionamento delle
istituzioni scolastiche,  e  quindi  postulava  la  competenza  sulla
programmazione  scolastica  di   cui   all'art.   138   del   decreto
legislativo n. 112 del 1998, e'  da  escludersi  che  il  legislatore
costituzionale del 2001 abbia voluto  spogliare  le  Regioni  di  una
funzione che era gia' ad esse conferita» sia pure soltanto sul  piano
meramente amministrativo. 
    In altri termini, la definizione  del  riparto  delle  competenze
amministrative attuato con il citato decreto legislativo fornisce  un
tendenziale   criterio   utilizzabile   per   la   individuazione   e
interpretazione degli ambiti materiali che la riforma del Titolo V ha
attribuito alla potesta' legislativa concorrente  o  residuale  delle
Regioni. 
    Ed in effetti, se si ha riguardo all'obiettivo  perseguito  dalla
disposizione in esame, si deve constatare che la  preordinazione  dei
criteri volti alla attuazione di tale dimensionamento ha una  diretta
ed immediata incidenza su situazioni strettamente legate  alle  varie
realta' territoriali ed alle connesse  esigenze  socio-economiche  di
ciascun territorio, che ben possono e  devono  essere  apprezzate  in
sede regionale, con la precisazione che non possono venire in rilievo
aspetti  che  ridondino  sulla  qualita'  dell'offerta  formativa  e,
dunque, sulla didattica. 
    E non e' senza significato che il  comma  4-quater  dello  stesso
art.  64,  introdotto  dall'art.   3,   comma   1,   del   successivo
decreto-legge n. 154 del 2008, come convertito nella legge n. 189 del
2008, abbia previsto  -  in  sostanziale  discontinuita'  con  quanto
contenuto nella disposizione censurata - che le Regioni  e  gli  enti
locali, «nell'ambito delle rispettive competenze (...) assicurano  il
dimensionamento delle istituzioni scolastiche». 
    La Corte costituzionale ha avuto anche modo  di  evidenziare  che
«Appartengono invece alla categoria delle disposizioni espressive  di
principi fondamentali della  materia  dell'istruzione,  anch'esse  di
competenza statale quelle norme che  nel  fissare  criteri  obiettivi
direttive o  discipline  pur  tese  ad  assicurare  la  esistenza  di
elementi di base comuni  sul  territorio  nazionale  in  ordine  alle
modalita' di fruizione del servizio dell'istruzione, da un lato,  non
sono  riconducibili  a  quella  struttura  essenziale   del   sistema
d'istruzione che  caratterizza  le  norme  generali  sull'istruzione,
dall'altro, necessitano, per la loro attuazione (e non  gia'  per  la
loro semplice esecuzione) dell'intervento del  legislatore  regionale
il quale deve conformare la sua azione  all'osservanza  dei  principi
fondamentali stessi. 
    In particolare, lo svolgimento attuativo dei predetti principi e'
necessario quando si  tratta  di  disciplinare  situazioni  legate  a
valutazioni coinvolgenti le  specifiche  realta'  territoriali  delle
Regioni,  anche  sotto  il   profilo   socio-economico.   In   questa
prospettiva viene in rilievo, come si dira' oltre nell'analisi  delle
specifiche censure prospettate, sia il settore  della  programmazione
scolastica regionale  sia  quello  inerente  al  dimensionamento  sul
territorio della rete scolastica. 
    La relazione tra normativa di principio e normativa di dettaglio,
negli ambiti sopra indicati, va intesa, come questa  Corte  ha  avuto
modo di affermare,  nel  senso  che  alla  prima  spetta  prescrivere
criteri ed obiettivi, essendo riservata alla seconda l'individuazione
degli strumenti concreti da utilizzare per aggiungere detti obiettivi
(sentenze n. 430 del 2007 e n. 181 del 2006). In  altri  termini,  la
funzione dei principi fondamentali e' quella di costituire  un  punto
di  riferimento  in  grado  di  orientare  l'esercizio   del   potere
legislativo regionale (sentenza n. 177 del 1988). Cio' implica, nella
concreta attuazione,  che  i  principi  fondamentali  della  materia,
operando sostanzialmente da raccordo  tra  le  ''norme  generali''  e
quelle  di  competenza  regionale  in  tema  di  istruzione,  passano
attraverso  il  termine  medio  della  legislazione  delle   Regioni,
adottata  nell'ambito   di   scelte   riservate   all'autonomia   del
legislatore regionale; scelte che, legate a valutazioni  coinvolgenti
le specifiche realta' territoriali  delle  Regioni,  anche  sotto  il
profilo socio-economico, operino nel quadro di  una  discrezionalita'
volta a garantire la diretta presenza delle  Regioni  medesime  nella
disciplina del servizio scolastico sul territorio, nel  rispetto  dei
principi  fondamentali  fissati  dal  legislatore  statale,  nonche',
ovviamente,  delle  ''norme  generali  sull'istruzione''.  In  questa
prospettiva, dunque, la legislazione di principio svolge una funzione
di coordinamento e collegamento tra il sistema scolastico  nazionale,
nella sua essenza strutturale, e gli ambiti di  disciplina,  connessi
alle  specificita'  territoriali,  demandati  alla  competenza  delle
Regioni (sul rapporto tra  diversi  livelli  di  competenza  e  sulla
funzione dei principi fondamentali si veda, sia pure con  riferimento
a fattispecie diversa da quella in esame,  la  sentenza  n.  102  del
2008).». 
    Trova conferma l'orientamento di Codesta Corte, secondo  cui  «la
relazione tra normativa di principio e normativa di  dettaglio  (...)
va intesa (...) nel senso che alla prima spetta  prescrivere  criteri
ed obiettivi, essendo riservata alla seconda  l'individuazione  degli
strumenti concreti da  utilizzare  per  raggiungere  detti  obiettivi
(sentenze nn. 430 del 2007 e 181 del  2006).  In  altri  termini,  la
funzione dei principi fondamentali e' quella di costituire  un  punto
di  riferimento  in  grado  di  orientare  l'esercizio   del   potere
legislativo regionale (sentenza n. 177 del 1988)». 
    II. Il carattere di dettaglio  della  norma  legislativa  statale
censurata, inoltre, condiziona pesantemente, menomandola, la funzione
di programmazione della rete scolastica, funzione gia' assegnata alle
competenze regionali dall'art. 138, comma 1, lett.  b),  del  decreto
legislativo n. 112/1998, cosi' violando anche l'art.  117,  comma  6,
Cost., secondo cui «La potesta' regolamentare spetta allo Stato nelle
materie di legislazione esclusiva,  salva  delega  alle  Regioni.  La
potesta' regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra  materia.  I
Comuni,  le  Province  e  le  Citta'  metropolitane  hanno   potesta'
regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione  e  dello
svolgimento delle funzioni loro attribuite.» e l'art. 118  Cost.  che
assegna le funzioni amministrative alle autonomie locali, in  ragione
dei prinicipi di sussidiarieta' ed adeguatezza. 
    III. Violato risulta, altresi', il canone di leale collaborazione
sancito dall'art. 120 Cost.,  secondo  cui  «La  legge  definisce  le
procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano  esercitati
nel rispetto del principio di sussidiarieta' e del principio di leale
collaborazione.»:  la  normativa  e'   giunta   a   sorpresa,   senza
interessare i necessari organismi e momenti di intesa e concertazione
fra lo Stato ed il sistema delle Autonomie locali. 
    Come ha precisato codesta Corte (sent. n. 51/2005)  «l'intervento
legislativo dello  Stato  -  proprio  perche'  incidente  su  plurime
competenze tra loro  inestricabilmente  correlate  -  deve  prevedere
strumenti  idonei  a  garantire  una  leale  collaborazione  con   le
regioni.». 
    IV.  L'espediente  giustificativo   celato   sotto   la   formula
«garantire un processo di  continuita'  didattica  nell'ambito  dello
stesso  ciclo  di  istruzione,  a  decorrere   dall'anno   scolastico
2011-2012» non deve trarre in inganno: a parte l'assoluta novita'  di
tale «esigenza», invero, mai avvertita prima di oggi dal  legislatore
nazionale e, comunque, avvertita solo per le scuole del  primo  ciclo
scolastico   comprendente    scuole    eterogenee,    quali    quella
dell'infanzia, quelle primarie e quelle secondarie di I grado, e'  il
caso di evidenziare che la scelta organizzativa imposta alle regioni,
per un verso discrimina tra istituzioni pubbliche e private, tra  «la
scuola dell'infanzia, la scuola primaria e la  scuola  secondaria  di
primo grado» a cui  impone  un  modulo  organizzativo  di  necessaria
aggregazione verticale e dimensionamento di almeno 1000  alunni  (500
per le istituzioni site nelle  piccole  isole,  nei  comuni  montani,
nelle aree geografiche caratterizzate da  specificita'  linguistiche)
ed altre scuole, a cui non impone alcun modulo aggregativo e consente
un'autonomia che prescinde  dai  precitati  dati  dimensionali  (come
ampliamente si osservera' anche in seguito,  sviluppando  le  censure
relative al  successivo  comma);  per  altro  verso  costituisce  una
soluzione non necessitata vale a dire che  essa  non  trova  risposta
obbligata  e  congrua   nell'aggregazione   verticale   in   istituti
comprensivi, ma, anzi, si presta a comprimere anche  la  liberta'  di
scelta degli utenti, rivelandosi poco logica e sproporzionata. 
    Invero, l'occultamento della sottesa reale volonta' di  rinvenire
soluzioni per comprimere ulteriormente le risorse umane e finanziarie
destinate all'istruzione pubblica (che si evince dal tenore dell'art.
19  in  esame,  intitolato  appunto  razionalizzazione  della   spesa
relativa all'organizzazione scolastica.) non  trovano  legittimazione
neanche  alla  luce  delle  competenza  concorrente  in  materia   di
coordinamento della finanza pubblica. 
    A riguardo la  Corte  costituzionale  ha  infatti  precisato  che
«Nella  giurisprudenza  di  questa   Corte   e'   ormai   consolidato
l'orientamento  per  il  quale  il  legislatore  statale,   con   una
''disciplina di principio'', puo' legittimamente ''imporre agli  enti
autonomi,  per  ragioni  di  coordinamento  finanziario  connesse  ad
obiettivi nazionali, condizionati anche  dagli  obblighi  comunitari,
vincoli alle politiche di bilancio, anche  se  questi  si  traducono,
inevitabilmente, in  limitazioni  indirette  all'autonomia  di  spesa
degli enti'' (sentenze n. 417 del 2005 e n.  36  del  2004).  Perche'
detti vincoli possano considerarsi  rispettosi  dell'autonomia  delle
Regioni e degli enti locali, essi debbono  riguardare  l'entita'  del
disavanzo di parte corrente oppure - ma solo ''in via transitoria  ed
in vista degli specifici  obiettivi  di  riequilibrio  della  finanza
pubblica perseguiti dal legislatore  statale'' -  la  crescita  della
spesa corrente degli  enti  autonomi.  In  altri  termini,  la  legge
statale puo' stabilire solo un «limite complessivo, che  lascia  agli
enti stessi ampia liberta' di allocazione delle risorse fra i diversi
ambiti e obiettivi di spesa» (sentenze n. 88 del 2006, n.  449  e  n.
417 del 2005, n. 36 del 2004)» (sentenza n. 169/2007). 
    Pertanto «norme statali che fissano limiti  alla  spesa  di  enti
pubblici regionali  possono  qualificarsi  principi  fondamentali  di
coordinamento  della   finanza   pubblica   alla   seguente   duplice
condizione: in primo luogo, che si  limitino  a  porre  obiettivi  di
riequilibrio della medesima,  intesi  nel  senso  di  un  transitorio
contenimento  complessivo,  anche  se  non  generale,   della   spesa
corrente; in secondo luogo,  che  non  prevedano  in  modo  esaustivo
strumenti o modalita' per il  perseguimento  dei  suddetti  obiettivi
(sentenze n. 120 del 2008; n. 412 e n. 169 del 2007; n. 88 del 2006)»
(sentenza n. 289/2008). 
    In conclusione, la Corte costituzionale con la  recente  sentenza
n. 182 del 2001 ha ribadito che «la legge statale puo' stabilire solo
un ''limite complessivo, che lascia agli enti stessi  ampia  liberta'
di allocazione delle risorse fra i  diversi  ambiti  e  obiettivi  di
spesa''» (sentenze n. 417 del 2005 e n. 36 del 2004; si vedano  anche
le sentenze n. 88 del 2006 e n. 449 del 2005). 
    Emerge,  pertanto,  un  ulteriore   aspetto   di   illegittimita'
costituzionale. 
    Ancor piu'  evidente  si  palesa  la  violazione  dei  canoni  di
proporzione e  ragionevolezza,  ove  si  consideri  che  l'intervento
legislativo  si  riferisce  all'anno   scolastico   2011-2012,   gia'
interessato  dalla  programmazione  dell'organizzazione  della   rete
scolastica e del dimensionamento delle istituzioni  effettuata  dalla
regione Basilicata, che,  appunto,  ha  gia'  approvato  i  piani  di
dimensionamento scolastico  relativo  al  suddetto  anno  scolastico:
l'improvvisata   normativa   statale   inficia   tutto   lo    sforzo
programmatico operato dalle regioni, bruciando le energie  e  risorse
occorse,  anche  a  detrimento  dell'esigenza   di   buon   andamento
dell'azione amministrativa pubblica. 
    B) Anche riguardo all'art. 19, comma 5, della legge  n.  111/2001
si prospettano le censure formulate riguardo al precedente comma 4. 
    Le censure prospettate in ordine al comma 4 dell'art.  19,  legge
n. 111/2011 valgono, mutatis mutandis, per la  norma  del  successivo
comma 5; questa dispone che «alle  istituzioni  scolastiche  autonome
costituite con un numero di alunni inferiore a  500  unita',  ridotto
fino a 300 per le istituzioni site nelle piccole  isole,  nei  comuni
montani,  nelle  aree  geografiche  caratterizzate  da   specificita'
linguistiche , non possono essere assegnati dirigenti scolastici  con
incarico a tempo indeterminato. Le stesse sono conferite in  reggenza
a dirigenti scolastici con incarico su altre istituzioni  scolastiche
autonome». 
    La norma, legando la condizione di assegnazione  della  dirigenza
scolastica  con  incarico  a   tempo   indeterminato   all'autonomia,
discrimina tra istituti necessariamente comprensivi del  primo  ciclo
scolastico,  per  i  quali  condiziona  l'autonomia  scolastica  alla
necessaria configurazione e  dimensionamento  di  cui  al  precedente
comma, che ne costituisce, quindi, logico  presupposto,  e  le  altre
istituzioni scolastiche, a  cui  sembrerebbe  consentire  l'autonomia
rapportata ad  un  differente  dimensionamento  (anche  meno  di  500
alunni); pertanto, in quanto necessariamente correlata al  precedente
capoverso e per le conseguenze che implica  in  termini  di  illogica
discriminazione - di cui si dira' in seguito -, la  norma  merita  le
censure gia' prospettate riguardo al precedente  comma  del  medesimo
art. 19. 
    Non s'intende  contestare  la  competenza  esclusiva  statale  in
ordine  alla  disciplina  del  rapporto  di  lavoro  della  dirigenza
scolastica, quanto a requisiti, titoli  e  contenuti,  ma  la  scelta
organizzativa a monte, che - come innanzi illustrato -  sottrae  alle
singole  regioni  scelte  relative  all'organizzazione   della   rete
scolastica  ed  al  dimensionamento  delle  istituzioni  scolastiche,
determinando anche un'inaccettabile discriminazione  tra  scuole  del
primo ciclo scolastico  (dell'infanzia,  primaria,  secondaria  di  I
grado)  a  cui  e'  imposta  l'aggregazione  verticale  in   istituti
comprensivi ed un dimensionamento minimo di 1000 alunni (500  per  le
istituzioni site nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle  aree
geografiche caratterizzate da specificita'  linguistiche)  per  poter
acquisire l'autonomia e, dunque, ottenere l'assegnazione di dirigenti
conincarico  a  tempo  indeterminato,   che   implica -   come   gia'
sostenuto -  l'estromissione  delle  regioni  dalle  scelte  di  loro
competenza relative  agli  assetti  organizzativo-dimensionali  della
rete scolastica, imprescindibilmente correlate alle concrete  realta'
sociali e territoriali delle singole regioni. 
    La  norma,  quindi,  finisce   per   determinare   senza   logica
giustificazione differenti trattamenti e discriminazioni,  anche  tra
dirigenti scolastici, distinguendo tra quelli assegnati  ad  istituti
necessariamente comprensivi e con almeno 1000 alunnidelle scuole  del
primo  ciclo  scolastico  e  quelli  asseganti  agli  altri  istituti
autonomi con almeno 500 alunni (300 per  le  istituzioni  site  nelle
piccole     isole,     nei     comuni     montani,     nelle     aree
geografichecaratterizzate da specificita' linguistiche), tra  l'altro
incaricati di reggenza presso  istituti  con  popolazione  scolastica
inferiore a 500 alunni (300 per le  istituzioni  site  nelle  piccole
isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche  caratterizzate  da
specificita'   linguistiche)   sebbene    anch'essi    autonomi    e,
ciononostante,  loro  malgrado  incomprensibilmente  privi  di   loro
dirigenza. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Voglia l'Ecc.ma Corte costituzionale adita, contrariis  reiectis,
ritenere contrarie alla Costituzione ed illegittime le norme  di  cui
ai commi 4 e 5 dell'art. 19 della legge n. 111 del 15 luglio 2011  di
«conversione con modifiche del decreto-legge n. 98 del 6 luglio  2011
recante disposizioni urgenti  per  la  stabilizzazione  finanziaria»,
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.  164  del  16
luglio   2011,   perche'   lesive   delle   competenze   legislative,
regolamentari ed amministrative riconosciute alle Regioni e,  dunque,
alla ricorrente Regione Basilicata, dagli artt. 117 e 118 e 120 della
Costituzione italiana e dei principi indicati nei motivi di censura. 
      Potenza, 12 settembre 2011 
 
                       L'Avvocato: Di Giacomo