N. 290 ORDINANZA 18 ottobre - 4 novembre 2011

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Processo penale - Dibattimento - Richieste di prova - Consenso  delle
  parti all'acquisizione al fascicolo del dibattimento di  tutti  gli
  atti contenuti nel  fascicolo  del  pubblico  ministero  -  Mancata
  previsione della diminuzione della pena  stabilita  dall'art.  442,
  comma 2, cod. proc. pen. con riferimento al giudizio  abbreviato  -
  Denunciate disparita' di trattamento e violazione del principio  di
  uguaglianza e del diritto  di  difesa  -  Asserita  violazione  dei
  principi  del  giusto  processo  e  della  ragionevole  durata  del
  processo - Esclusione - Manifesta infondatezza della questione. 
- Cod. proc. pen., art. 493, comma 3. 
- Costituzione, artt. 3, 24, secondo comma, e 111. 
(GU n.47 del 9-11-2011 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Alfonso QUARANTA; 
Giudici: Alfio FINOCCHIARO, Franco  GALLO,  Luigi  MAZZELLA,  Gaetano
  SILVESTRI,  Sabino   CASSESE,   Giuseppe   TESAURO,   Paolo   Maria
  NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO,  Alessandro  CRISCUOLO,  Paolo  GROSSI,
  Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA; 
ha pronunciato la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo 493,  comma
3, del codice di procedura penale, promosso dal  Tribunale  di  Como,
sezione distaccata di Menaggio, nel procedimento penale a  carico  di
D'A. G. con ordinanza del 12 gennaio 2011,  iscritta  al  n.  81  del
registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 20, 1ª serie speciale, dell'anno 2011. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 5  ottobre  2011  il  Giudice
relatore Alessandro Criscuolo. 
    Ritenuto  che  il  Tribunale  di  Como,  sezione  distaccata   di
Menaggio,  con  l'ordinanza  indicata  in  epigrafe,   ha   sollevato
questione  di  legittimita'  costituzionale,  in   riferimento   agli
articoli  3,  24,  secondo   comma,   e   111   della   Costituzione,
dell'articolo 493, comma 3, del codice di procedura penale, «la' dove
non prevede - in caso di consenso all'acquisizione di tutti gli  atti
del fascicolo del PM - la diminuzione della pena stabilita  dall'art.
442, comma 2, del codice di procedura penale»; 
        che il giudice a quo, chiamato a  pronunciarsi  nel  processo
penale a carico di D'A. G., riferisce che all'udienza del 24 novembre
2010 il difensore di ufficio  dell'imputato,  dopo  aver  inutilmente
tentato di prendere contatto con il proprio assistito, ha  dichiarato
di  prestare  il  consenso  per  l'acquisizione  al   fascicolo   del
dibattimento di tutti gli atti contenuti nel fascicolo  del  pubblico
ministero, a norma dell'art. 493,  comma  3,  cod.  proc.  pen.,  con
conseguente  rinuncia  di  tutte  le  parti  a  formulare   ulteriori
richieste di prove; 
        che, secondo il rimettente, la scelta compiuta dal difensore,
non munito di procura speciale, determina  un  processo  da  definire
allo stato degli atti, analogamente a quanto previsto dall'art.  438,
comma 1, cod. proc. pen., con riferimento al giudizio abbreviato; 
        che, in particolare, il giudice a quo pone in rilievo come il
giudizio abbreviato sia  un  "rito  premiale"  poiche',  in  caso  di
condanna, la pena e' diminuita di un terzo, e «cio' in  virtu'  della
semplificazione processuale che consente di pervenire alla decisione,
senza alcuna attivita' probatoria dibattimentale»; 
        che  il  rimettente  osserva  come  il  medesimo   "risparmio
processuale" si realizzi anche nell'ipotesi in esame ed in  tutte  le
ipotesi in cui il difensore, a norma dell'art.  493,  comma  3,  cod.
proc.  pen.,  consenta  all'acquisizione  degli  atti  contenuti  nel
fascicolo  del  pubblico  ministero,  senza,  pero',  conseguire   la
medesima diminuzione di pena; 
        che, pertanto, ad avviso del giudice a quo,  la  disposizione
censurata si pone in contrasto  con  l'art.  3  Cost.,  in  quanto  a
«parita' di  semplificazione  processuale  si  determina  un'evidente
disparita' di trattamento tra le due identiche situazioni»; 
        che, inoltre, la norma impugnata violerebbe anche  gli  artt.
24, primo comma, e 111 Cost., sotto il profilo della  violazione  del
diritto  di  difesa,  del  principio  del  giusto  processo  e  della
ragionevole durata dello stesso, in quanto  «l'assenza  di  qualsiasi
premialita' a parita' di condizioni (decisione allo stato degli atti)
rende il procedimento non giusto e, piu' in generale,  non  incentiva
il difensore ad optare per un rito semplificato (decisione allo stato
degli atti) piu' agevole per l'amministrazione della giustizia e piu'
favorevole per l'imputato in caso di condanna»; 
        che, in punto di rilevanza, il rimettente  riferisce  che  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 493, comma 3, cod.
proc. pen. risulta determinante per  la  decisione  del  giudizio  in
atto, incidendo concretamente  sulla  quantificazione  dell'eventuale
pena da irrogare; 
        che, infine, il giudice a quo, pur non ignorando  l'ordinanza
n. 182 del 2001, con la quale la Corte  ha  escluso  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 493, comma 3,  cod.  proc.  pen.  «sotto  il
diverso profilo  della  necessita'  della  procura  speciale  per  il
giudizio abbreviato e della diversita' ontologica  relativa  al  rito
processuale prescelto e all'accordo sull'acquisizione  della  prova»,
ritiene che la questione possa essere nuovamente  valutata  sotto  il
profilo dell'entita' della pena e della semplificazione del rito; 
        che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con atto  depositato  il
31 maggio 2011, e' intervenuto nel giudizio  ed  ha  chiesto  che  la
questione sia dichiarata non fondata; 
        che, al riguardo, l'Avvocatura pone in rilievo come la  Corte
costituzionale si sia gia' espressa in detta materia con  l'ordinanza
n. 182 del 2001, nella quale ha affermato l'assoluta disomogeneita' e
non  assimilabilita'  degli   istituti   processuali   del   giudizio
abbreviato e dell'accordo sulla prova; 
        che, in particolare, la difesa dello Stato osserva come,  nel
caso di accordo sulla prova, non  risulti  vulnerato  il  diritto  di
difesa dell'imputato, posto  che  la  richiesta  del  difensore,  non
munito di procura speciale, proviene da un soggetto che  si  presenta
come «il garante  dell'autonomia  e  dell'indipendenza  dell'imputato
nella condotta di causa», in quanto in grado di assicurargli  «quelle
cognizioni tecnico-giuridiche, quell'esperienza processuale e  quella
distaccata serenita' che gli consentono di valutare adeguatamente  le
situazioni di causa» (sentenza n. 498 del 1989); 
        che, inoltre, non vi e'  contrasto  con  i  principi  di  cui
all'art. 111 Cost., in quanto la normativa  di  attuazione  di  detta
disposizione  costituzionale  -  la  legge  1°  marzo  2001,  n.   63
(Modifiche al codice penale  e  al  codice  di  procedura  penale  in
materia di formazione e valutazione della prova in  attuazione  della
legge costituzionale di riforma dell'articolo 111 della Costituzione)
-  ha  introdotto  una  serie  di  negoziazioni  sul  rito  e   sulla
utilizzabilita'  probatoria  di  elementi  raccolti  in  assenza   di
contraddittorio,  proprio  per  dare  prevalenza  alla  esigenza   di
celerita' del processo, rispetto al principio del contraddittorio; 
        che, infine, sotto il profilo dell'incentivo  per  l'imputato
al consenso alla acquisizione di atti delle indagini preliminari,  si
sottolinea  come  lo  stesso   possa   essere   rappresentato   dalla
valutazione  di  detto  accordo   nell'ottica   di   un   trattamento
sanzionatorio mitigato, attraverso la  concessioni  delle  attenuanti
generiche, quale conseguenza del comportamento processuale del reo. 
    Considerato che il  Tribunale  di  Como,  sezione  distaccata  di
Menaggio, ha sollevato, in riferimento agli articoli  3,  24  secondo
comma,  e  111  della   Costituzione,   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'articolo 493, comma 3, del  codice  di  procedura
penale, «la' dove non prevede - in caso di consenso  all'acquisizione
di tutti gli atti del fascicolo del PM - la  diminuzione  della  pena
stabilita dall'art. 442, comma 2, del codice di procedura penale»; 
        che  la   questione   di   legittimita'   costituzionale   e'
manifestamente infondata; 
        che e' consolidato  l'orientamento  della  giurisprudenza  di
questa Corte secondo cui in  tema  di  conformazione  degli  istituti
processuali il legislatore gode di  ampia  discrezionalita',  con  il
solo limite della irragionevolezza delle scelte compiute (ex  multis:
sentenze n. 229 e n. 50 del 2010; n. 221 del 2008; ordinanza  n.  134
del 2009); 
        che il legislatore, attraverso la  disposizione  censurata  e
quella di cui all'art. 442, comma 2, cod. proc. pen,  invocata  quale
tertium comparationis, ha disciplinato in modo differente  situazioni
processuali eterogenee, quali sono il rito del giudizio abbreviato  e
l'istituto della acquisizione della prova su accordo delle parti; 
        che, con specifico riferimento alla differenza di  disciplina
tra i due istituti, questa Corte, con l'ordinanza n. 182 del 2001, ha
gia' affermato che «non  sussiste  la  violazione  del  principio  di
eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione,  per  irragionevole
disparita' di disciplina del  meccanismo  processuale  oggetto  della
censura rispetto ai presupposti di  accesso  ed  agli  effetti  della
disciplina  del  rito  abbreviato;  che,  infatti,  i  due   istituti
processuali posti a raffronto -  rito  abbreviato  ed  accordo  sulla
prova - risultano assolutamente disomogenei e non assimilabili, posto
che gli accordi che possono intervenire tra le parti in  ordine  alla
formazione del fascicolo per il dibattimento non escludono affatto il
diritto di ciascuna di esse ad  articolare  pienamente  i  rispettivi
mezzi di prova, secondo l'ordinario, ampio potere loro assegnato  per
la fase dibattimentale; cio' a differenza di quanto  avviene  per  il
rito abbreviato, la cui peculiarita' consiste proprio  nel  fatto  di
essere un modello alternativo al dibattimento che - oltre a  fondarsi
sull'intero  materiale  raccolto  nel   corso   delle   indagini,   a
prescindere da qualsiasi meccanismo di tipo pattizio -  consente  una
limitata acquisizione di elementi  integrativi,  che  lo  configurano
quale rito a "prova contratta"»; 
        che, dunque, nel caso in esame,  va  ribadito  come  non  sia
riscontrabile  la  lamentata  disparita'  di   trattamento   tra   la
disciplina di cui all'art. 493, comma 3, cod.  proc.  pen.  e  quella
prevista per il giudizio abbreviato, con riferimento all'assenza, nel
primo caso, della riduzione di un terzo della  pena,  trattandosi  di
due istituti disomogenei e non assimilabili; 
        che, peraltro,  questa  Corte  ha  piu'  volte  affermato  la
differenza tra il rito abbreviato  ed  il  rito  ordinario  (nel  cui
ambito trova applicazione l'istituto di cui all'art.  493,  comma  3,
cod. proc. pen.), evidenziando che  il  richiamo  al  diverso  regime
previsto per il giudizio abbreviato e' da ritenersi improprio al fine
di fondare su di esso un pertinente termine di raffronto,  in  quanto
la natura di procedimento speciale, che  lo  caratterizza,  lo  rende
disomogeneo rispetto al rito ordinario e, quindi, non comparabile (ex
multis: sentenza n.184 del 2009, ordinanze n. 125 del 2005 e  n.  326
del 2001); 
        che, del pari, non e' riscontrabile la  violazione,  peraltro
evocata in termini del tutto generici, degli artt.  24  e  111  della
Costituzione; 
        che, infatti, dalla disposizione censurata non deriva  alcuna
"compressione" dell'esercizio del diritto di difesa, dal momento  che
l'assenza di previsione della riduzione di pena,  non  impedisce  che
l'imputato possa esercitare detto diritto con  pienezza  di  garanzie
nel corso del dibattimento; 
        che, infine, la disposizione in esame  non  e'  lesiva  delle
regole del giusto  processo,  ne'  del  principio  della  ragionevole
durata del processo, dal momento che il  rilievo  per  cui  l'assenza
della riduzione della pena non indurrebbe il difensore e/o l'imputato
a prestare il consenso affinche' gli atti del fascicolo del  pubblico
ministero confluiscano in quello del dibattimento, cosi' determinando
una maggiore durata del processo, e' un mero  accadimento  di  fatto,
ricollegato ad una scelta processuale, che  non  comporta,  per  cio'
solo, una durata non ragionevole del processo. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale. 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita' costituzionale dell'articolo 493, comma 3, del codice di
procedura penale, sollevata, in  riferimento  agli  articoli  3,  24,
secondo comma, e 111  della  Costituzione,  dal  Tribunale  di  Como,
sezione distaccata di Menaggio, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 18 ottobre 2011. 
 
                       Il Presidente: Quaranta 
 
 
                       Il redattore: Criscuolo 
 
 
                       Il cancelliere: Melatti 
 
    Depositata in cancelleria il 4 novembre 2011. 
 
               Il direttore della cancelleria: Melatti