N. 133 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 10 - 17 novembre 2011

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 17 novembre 2011 (della Regione Toscana). 
 
Iniziativa economica privata - Finanza regionale - Adeguamento  degli
  ordinamenti regionali al  principio  della  liberalizzazione  delle
  attivita'  economiche,  secondo  cui  l'iniziativa  e   l'attivita'
  economica privata sono libere ed e' permesso tutto cio' che non  e'
  espressamente vietato dalla legge -  Elemento  per  la  valutazione
  della  c.d.  "virtuosita'"  degli  enti  territoriali,  secondo  il
  meccanismo introdotto dall'art. 20 del d.l. n. 98/2011 -  Lamentata
  introduzione di un parametro di virtuosita' del tutto estraneo alle
  finalita' di coordinamento della finanza pubblica, con  effetti  di
  coartazione  della  volonta'  regionale  -  Ricorso  della  Regione
  Toscana -  Denunciata  violazione  delle  attribuzioni  legislative
  regionali concorrenti e residuali. 
- Decreto-legge   13   agosto   2011,   n.   138,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148, art. 3, comma
  4. 
- Costituzione, artt. 117, commi terzo e quarto, e 119. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Finanza regionale - Sviluppo delle
  Regioni dell'obiettivo convergenza e realizzazione del Piano Sud  -
  Previsione che la spesa  delle  cinque  Regioni  del  Sud  inserite
  nell'obiettivo convergenza possa eccedere i limiti di spesa imposti
  dal Patto di stabilita' interno - Previsione di una  compensazione,
  al fine di assicurare gli equilibri di finanza pubblica, attraverso
  la maggiorazione degli oneri posti  a  carico  di  tutte  le  altre
  regioni - Lamentata  disparita'  di  trattamento  -  Ricorso  della
  Regione   Toscana   -   Denunciata   violazione   degli    istituti
  costituzionali previsti per la realizzazione della solidarieta' tra
  le Regioni,  elusione  da  parte  dello  Stato  dei  propri  doveri
  costituzionali per lo sviluppo delle Regioni meno avanzate. 
- Decreto-legge   13   agosto   2011,   n.   138,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148, art. 5-bis. 
- Costituzione, art. 119, commi terzo e quinto. 
Lavoro e occupazione - Contrattazione  collettiva  di  prossimita'  -
  Previsione  di  specifiche   intese   a   livello   aziendale   e/o
  territoriale  volte  a  promuovere  la  maggiore  occupazione,   la
  partecipazione dei lavoratori, la gestione delle crisi aziendali  e
  occupazionali, gli investimenti con  riguardo  all'introduzione  di
  nuove tecnologie - Possibilita' di concludere dette intese,  aventi
  efficacia generale, anche in deroga alle leggi statali e  regionali
  nonche' ai contratti collettivi nazionali - Lamentata  interferenza
  e vanificazione della legislazione regionale in materia  di  tutela
  del lavoro, rovesciamento del  rapporto  tra  contratti  collettivi
  nazionali e contratti territoriali e aziendali, costituzione di una
  fonte  extra   ordinem,   mancata   previsione   di   un   adeguato
  coinvolgimento  regionale  -  Ricorso  della  Regione   Toscana   -
  Denunciata violazione della competenza legislativa regionale  nella
  materia concorrente  della  tutela  del  lavoro,  contrasto  con  i
  principi costituzionali in materia  di  contrattazione  collettiva,
  lesione del principio di leale collaborazione. 
- Decreto-legge   13   agosto   2011,   n.   138,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148, art. 8, commi
  1, 2 e 2-bis. 
- Costituzione, artt. 39, 117, comma terzo, e 118. 
Istruzione - Istruzione e formazione professionale -  Disciplina  dei
  tirocini formativi e di orientamento non curricolari -  Durata  non
  superiore  a  sei  mesi  -  Beneficiari  esclusivi  neodiplomati  o
  neolaureati non oltre 12  mesi  dal  conseguimento  del  titolo  di
  studio - Lamentata  interferenza  nella  materia  della  formazione
  esterna all'azienda di competenza esclusiva regionale, mancanza  di
  coinvolgimento delle Regioni -  Ricorso  della  Regione  Toscana  -
  Denunciata  violazione  della  competenza   legislativa   regionale
  residuale in  materia  di  formazione  professionale,  lesione  del
  principio di leale collaborazione. 
- Decreto-legge   13   agosto   2011,   n.   138,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148, art. 11. 
- Costituzione, artt. 117, comma quarto, e 118. 
Enti locali - Unioni di comuni  -  Comuni  fino  a  1000  abitanti  -
  Esercizio necessario di tutte le funzioni, incluse quelle  delegate
  o  attribuite  dalle  Regioni,  attraverso  la  forma   associativa
  dell'Unione dotata  di  propri  organi  e  potesta'  statutaria,  e
  titolare di rapporti giuridici e  di  risorse  -  Previsione  della
  forma  alternativa  della  convenzione,   rimessa   ai   Comuni   e
  all'apprezzamento   del   Ministero   dell'interno   -    Lamentata
  soppressione e fusione dei piccoli Comuni senza l'osservanza  delle
  procedure costituzionali e creazione di nuovi enti territoriali  in
  violazione del quadro costituzionale, interferenza attraverso norme
  puntuali in ambiti settoriali di competenza regionale,  discrepanza
  fra i due modelli alternativi - Ricorso  della  Regione  Toscana  -
  Denunciata esorbitanza dello Stato dal proprio ambito di competenza
  in materia di enti locali, violazione della competenza  legislativa
  e amministrativa regionale  residuale  in  materia  di  ordinamento
  degli enti locali e di forme  associative  tra  enti,  lesione  dei
  principi  di  ragionevolezza,   buon   andamento   della   pubblica
  amministrazione, leale collaborazione. 
- Decreto-legge   13   agosto   2011,   n.   138,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 14 settembre  2011,  n.  148,  art.  16,
  commi 1, 3, 4, 5, 7, 8, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17,  lett.  a),
  19, 20 e 21. 
- Costituzione, artt. 3, 97, 114, 117, commi secondo, lett. p), terzo
  e quarto, 118, e 133, comma secondo. 
Enti locali - Comuni che alla data del 30  settembre  2012  risultino
  esercitare le funzioni amministrative e i servizi pubblici mediante
  convenzione - Previsione del controllo statale sulla  efficacia  ed
  efficienza della gestione - Contrasto con lo spirito della  riforma
  del Titolo V della Costituzione che prevede la rafforzata autonomia
  degli enti locali - Ricorso  della  Regione  Toscana  -  Denunciata
  violazione delle prerogative  delle  autonomie  locali,  violazione
  delle  competenze  regionali,  lesione  del  principio   di   leale
  collaborazione. 
- Decreto-legge   13   agosto   2011,   n.   138,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 14 settembre  2011,  n.  148,  art.  16,
  comma 16. 
- Costituzione, artt. 114, 117, commi terzo e quarto, 118 e 119. 
Enti locali - Previsione di un potere sostitutivo  straordinario  del
  prefetto al fine di verificare il perseguimento degli obiettivi  di
  semplificazione e di riduzione delle  spese  da  parte  degli  enti
  locali - Lamentata previsione di  un  potere  sostitutivo  estraneo
  allo schema costituzionale e  non  rispettoso  della  posizione  di
  autonomia  costituzionale  dell'ente  sostituito  -  Ricorso  della
  Regione Toscana - Denunciata esorbitanza  dello  Stato  dai  limiti
  costituzionali  alla   potesta'   sostitutiva,   violazione   della
  competenza legislativa regionale in materia  di  ordinamento  degli
  enti locali. 
- Decreto-legge   13   agosto   2011,   n.   138,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 14 settembre  2011,  n.  148,  art.  16,
  comma 28. 
- Costituzione, artt.  117,  commi  terzo  e  quarto,  e  120,  comma
  secondo. 
(GU n.52 del 14-12-2011 )
    Ricorso della Regione Toscana,  in  persona  del  Presidente  pro
tempore, autorizzato con delibere della Giunta regionale n. 833 del 3
ottobre 2011 e n. 962 del 9 novembre 2011,  rappresentato  e  difeso,
per  mandato  in  calce  al  presente  atto,  dall'avv.  Lucia  Bora,
domiciliato presso lo studio dell'avv. Marcello Cecchetti,  in  Roma,
via A. Mordini 14. 
    Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore  (per
la dichiarazione di  illegittimita'  costituzionale  degli  artt.  3,
comma 4; 5-bis; 8, commi 1, 2 e 2-bis; 11; 16, commi 1, 3, 4,  5,  7,
8, da 10 a 15, 16, 17 lett. a), 19, 20, 21 e 28, del decreto-legge n.
138/2011,  cosi'  come  convertito  dalla  legge  di  conversione  14
settembre 2011 n. 148, per violazione degli artt.  3,  39,  97,  114,
117, 118, 119 e 120 e 133 cost. anche sotto il profilo di  violazione
del principio della leale collaborazione. 
    Sulla Gazzetta Ufficiale - serie generale n. 216 del 16 settembre
2011 e' stata pubblicata  la  legge  14  settembre  2011  n.  111  di
conversione, con modificazioni, del decreto legge 13 agosto  2011  n.
138  recante  Ulteriori  misure  urgenti   per   la   stabilizzazione
finanziaria e per lo sviluppo. 
    La Regione con delibera della Giunta  regionale  n.  833/2011  ha
deciso di impugnare gli artt. 3, comma 4; 5-bis;  8,  commi  1,  2  e
2-bis; 11 e 16, commi 1, 3, 4, 5, 7, 8, da 10  a  15,  16  e  28,  in
quanto    direttamente    lesivi    delle    prerogative    regionali
costituzionalmente garantite. 
    Il Consiglio delle Autonomie locali della Toscana, istituito  con
l.r. n. 36 del 21 marzo 2000, con risoluzione  del  3  novembre  2011
(doc. n. 1) ha avanzato - ai  sensi  e  per  gli  effetti  di  quanto
disposto dall'art. 9, comma secondo, della legge  n.  131/2003  -  al
Presidente della Giunta regionale la proposta di impugnare alla Corte
costituzionale l'art. 16, commi 1, 3, 4, 5, 7, 8, da 10 a 15, 16, 17,
18, 19, 20, 21, con analitiche e puntuali motivazioni che  la  Giunta
regionale ha condiviso, come risulta dalla deliberazione n.  962/2011
che autorizza la  proposizione  del  presente  ricorso  anche  per  i
profili evidenziati dal predetto Consiglio. Cio' in quanto l'art.  16
citato prevede, in modo  del  tutto  illegittimo  ed  illogico,  come
verra' dimostrato, forme associate obbligatorie  per  l'esercizio  di
tutte le  funzioni  ed  i  servizi  con  riferimento  ai  Comuni  con
popolazione inferiore a 1000 abitanti, cosi'  violando  non  solo  le
competenze regionali esclusive in materia di ordinamento  degli  enti
locali e  ledendo  le  prerogative  regionali  con  riferimento  alle
funzioni amministrative spettanti alle Regioni nelle materie  di  cui
all'art.  117,  commi  3  e   4,   ma   ledendo   anche   l'autonomia
costituzionalmente garantita degli enti locali. 
    La Regione  e'  quindi  sicuramente  legittimata  a  proporre  la
presente impugnativa  per  la  lesione  diretta  subita  dalle  norme
contestate, ma lo e' anche per le incidenze che  detta  normativa  ha
sull'azione degli enti locali (si veda in tal senso la sentenza della
Corte costituzionale n. 417/2005).  Sotto  questo  profilo,  infatti,
l'art. 118 cost. attribuisce alla  Regione  il  ruolo  (insieme  allo
Stato) di «allocatore» delle funzioni  amministrative,  per  cui  una
norma che ponga vincoli incostituzionali all'esercizio delle funzioni
degli enti locali incide illegittimamente su detto  ruolo  regionale,
oltre che sul ruolo della Regione di  rappresentante  generale  degli
interessi della popolazione regionale. Piu' in particolare,  poiche',
in  applicazione  dell'art.  118  Cost.,  la  Regione  e'  tenuta   a
trasferire agli enti  locali  le  funzioni  amministrative,  restando
titolare del potere di legislazione e programmazione, e' evidente che
l'autonomia    regionale     e'     collegata     alla     efficienza
dell'amministrazione locale, restandone  a  sua  volta  condizionata.
Percio' ogni limite  all'efficienza  dell'amministrazione  locale  si
riflette negativamente sull'attuazione delle politiche della  Regione
e quindi sulla sua autonomia. 
    Tanto Premesso, le disposizioni impugnate  sono  incostituzionali
per i seguenti motivi di 
 
                               Diritto 
 
    1) Illegittimita' costituzionale  dell'art.  3,  comma  4,  nella
parte in cui prevede che l'adeguamento degli ordinamenti regionali al
principio   della   liberalizzazione   delle   attivita'   economiche
costituisca elemento di valutazione della  virtuosita'  ex  art.  20,
comma 3, del d.l. 98/2011, per violazione degli artt. 117, commi 3  e
4 e 119 Cost. 
    L'art. 3, comma 4 stabilisce che l'adeguamento delle  Regioni  al
principio  liberista  previsto  dallo  stesso  art.   3,   comma   1,
rappresenti un ulteriore parametro  per  la  valutazione  della  c.d.
«virtuosita'»  degli  Enti  territoriali,   secondo   il   meccanismo
introdotto per la prima volta dal combinato disposto dei commi 2 e  3
dell'art. 20, d.l. 98/2011, in base al quale - al fine  di  ripartire
l'ammontare  del  concorso  alla  realizzazione  degli  obiettivi  di
finanza pubblica fissati, a decorrere dall'anno 2012,  tra  gli  enti
del singolo livello di governo - i predetti enti sono ripartiti  (con
decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di  concerto  con
il Ministro dell'interno e con il Ministro per gli affari regionali e
per la coesione territoriale, d'intesa con la  Conferenza  unificata)
in quattro  classi,  sulla  base  di  parametri  di  virtuosita'  ivi
stabiliti. 
    Secondo il citato art. 20 comma 3, in particolare, «gli enti che,
in esito a quanto previsto dal comma  2,  risultano  collocati  nella
classe piu' virtuosa, fermo l'obiettivo del comparto, non  concorrono
alla realizzazione degli obiettivi di  finanza  pubblica  fissati,  a
decorrere dall'anno 2012, dal  comma  5,  nonche'  dall'art.  14  del
decreto-legge n. 78 del 2010. Gli enti locali di cui al primo periodo
conseguono l'obiettivo strutturale realizzando un  saldo  finanziario
pari a zero. Le  regioni  di  cui  al  primo  periodo  conseguono  un
obiettivo pari  a  quello  risultante  dall'applicazione  alle  spese
finali medie 2007-2009 della percentuale annua di riduzione stabilita
per il calcolo dell'obiettivo 2011 dal decreto-legge 25 giugno  2008,
n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008,  n.
133. Le spese finali medie di cui al periodo precedente  sono  quelle
definite dall'articolo 1 commi 128 e  129  della  legge  13  dicembre
2010, n. 220. Inoltre, il contributo dei predetti enti  alla  manovra
per l'anno 2012 e' ridotto con decreto del Ministro  dell'economia  e
delle  finanze,  d'intesa  con  la  Conferenza   unificata   di   cui
all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto  1997,  n.  281,  in
modo  tale  che  non  derivino  effetti  negativi,  in   termini   di
indebitamento netto e fabbisogno, superiori a 200 milioni di euro». 
    Ebbene, nel caso di specie, come  detto,  l'articolo  3  comma  4
prevede che l'adeguamento di Comuni, Province e Regioni al  principio
(stabilito al comma 1 della stesso  articolo  3  del  d.l.  138/2011)
secondo cui «l'iniziativa e l'attivita' economica privata sono libere
ed e' permesso tutto cio' che  non  e'  espressamente  vietato  dalla
legge», costituisca elemento di  valutazione  della  virtuosita'  dei
predetti enti: e' di tutta evidenza che il legislatore, con l'art. 3,
comma 4 qui contestato, ha individuato, quale ulteriore parametro  di
virtuosita',  un  elemento  del  tutto  estraneo  alle  finalita'  di
coordinamento della finanza pubblica  ed  ha  quindi  esorbitato  dai
limiti che il legislatore statale incontra in tale  materia.  Infatti
l'istituto della virtuosita', nato  nell'ambito  del  contenimento  e
razionalizzazione della spesa pubblica, nel caso in esame diviene uno
strumento  di  «coartazione»  della  volonta'  delle   Regioni,   che
prescinde totalmente dalle finalita' di coordinamento  della  finanza
pubblica. In altri termini, con la  disposizione  in  oggetto  si  ha
l'effetto  di  vincolare  l'esercizio  della   potesta'   legislativa
regionale, in materia di competenza delle Regioni, per finalita'  del
tutto estranee all'obiettivo di contenimento della spesa, in tal modo
realizzandosi una surrettizia ed inammissibile ingerenza dello  Stato
nella sfera delle attribuzioni legislative regionali, sia concorrenti
che esclusive; cio' in violazione degli artt. 117, commi 3 e 4, e 119
Cost. 
    2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 5 bis nella  parte  in
cui prevede che le maggiori possibilita'  di  spesa  riconosciute  ad
alcune regioni del  Sud  (c.d.  Regioni  dell'obiettivo  convergenza)
siano compensate con maggiorazione degli  oneri  posti  a  carico  di
tutte le altre regioni, per violazione dell'art. 119, comma  3  e  5,
Cost. 
    L'art. 5-bis del  d.l.  138/2011,  introdotto  con  la  legge  di
conversione,  rubricato  «Sviluppo   delle   regioni   dell'obiettivo
convergenza e realizzazione del Piano Sud» stabilisce che la spesa in
termini di competenza e di cassa effettuata annualmente  da  ciascuna
delle cinque Regioni inserite nell'obiettivo convergenza (Basilicata,
Calabria, Campania, Puglia e Sicilia)  a  valere  sulle  risorse  del
fondo  per  lo  sviluppo  e  la  coesione   (ex   fondi   FAS),   sui
cofinanziamenti  nazionali   dei   fondi   comunitari   a   finalita'
strutturale, nonche' sulle risorse nazionali  per  la  programmazione
unitaria sulle risorse per la programmazione unitaria di cui all'art.
6-sexies  del  decreto-legge  112/2008  (inserito  dalla   legge   di
conversione 6 agosto 2008, n. 133), possa eccedere i limiti di  spesa
imposti dal Patto di stabilita' Interno (comma 1). 
    In conseguenza di  cio',  al  successivo  comma  2  dello  stesso
articolo, e' previsto che «al fine di salvaguardare gli equilibri  di
finanza pubblica, con decreto  del  Ministro  dell'economia  e  delle
finanze, di concerto con il Ministro per i rapporti con le regioni  e
per la coesione territoriale e di intesa con la Conferenza permanente
per i rapporti tra lo Stato, le regioni e  le  province  autonome  di
Trento e di Bolzano da adottare entro il 30 settembre di  ogni  anno,
sono stabiliti i limiti finanziari  per  l'attuazione  del  comma  1,
nonche' le modalita' di attribuzione  allo  Stato  ed  alle  restanti
regioni dei relativi maggiori  oneri,  garantendo  in  ogni  caso  il
rispetto dei tetti complessivi, fissati dalla legge per  il  concorso
dello  Stato  e  delle  predette  regioni  alla  realizzazione  degli
obiettivi di finanza pubblica per l'anno di riferimento». 
    E' evidente che tale  disposizione,  oltre  a  creare  una  forte
disparita' tra le regioni che potranno  e  quelle  che  non  potranno
escludere dal Patto  di  stabilita'  le  spese  a  valere  sui  fondi
suddetti, compie una operazione incostituzionale,  allorche'  prevede
che  i  maggiori  oneri  derivanti  dall'applicazione  del  comma   1
dell'art. 5 bis siano posti a  carico  anche  delle  regioni  escluse
dall'obiettivo convergenza. 
    La norma in esame infatti conferma  in  ogni  caso  l'obbligo  di
garantire gli equilibri di finanza pubblica, cosicche' le piu'  ampie
possibilita' di spesa riconosciute alle cinque regioni  in  obiettivo
convergenza  andranno  compensate  con  i  maggiori  oneri  che  sono
accollati anche alle restasti regioni. 
    La previsione in esame si traduce  in  una  violazione  dell'art.
119, commi 3 e 5, cost. perche': 
    l'incidenza della spesa per i fondi FAS e' molto piu' elevata per
le cinque Regioni dell'obiettivo convergenza rispetto a quella  delle
altre Regioni (12.350.636 milioni di euro per le cinque  Regioni,  di
contro a 4.675.955 per tutto il Centro-Nord,  come  si  evince  dalla
delibera CIPE 11.1.2011 - pubblicata in Gazzetta  Ufficiale  7.4.2011
n. 80 - che contiene la tabella delle risorse FAS  2007-2013  per  le
varie Regioni). Percio' riequilibrare lo  sforamento  del  tetto  del
Patto di  stabilita'  rispetto  a  tale  ingente  cifra  determinera'
rilevanti  oneri  per  le  Regioni  del  Centro-Nord,  in  violazione
dell'art. 119, comma 3, Cost.; 
    inoltre, lo Stato impone, illegittimamente, una forma  del  tutto
impropria di solidarieta' tra le Regioni, al di fuori dello strumento
della perequazione, cosi' come disciplinato dal comma 3 dell'articolo
119,  secondo  cui:  «la  legge  dello  Stato  istituisce  un   fondo
perequativo, senza vincoli  di  destinazione,  per  i  territori  con
minore capacita' fiscale per abitante», strumento gia'  compiutamente
delineato  dalla  legge  42/2009  per  l'attuazione  del  federalismo
fiscale. 
    Lo Stato ai sensi dell'art. 119, comma 5, della Costituzione,  ha
il potere-dovere di promuovere lo sviluppo economico e  di  rimuovere
gli  squilibri  economici  e  sociali  che   affliggono   determinati
territori, e proprio a questi scopi puo' destinare risorse aggiuntive
ed effettuare interventi speciali. 
    E tuttavia gli strumenti  per  l'attuazione  dell'art.  119  sono
stati piu' correttamente definiti dall'art. 16 della legge  5  maggio
2009, n. 42, che infatti, al comma 1, lettere  a)  ed  e)  -  laddove
detta i limiti per il legislatore delegato  -  stabilisce  che  detti
contributi speciali siano  utilizzati  secondo  obiettivi  e  criteri
definiti d'intesa con la Conferenza Unificata, ma pur sempre restando
a carico del bilancio dello Stato.  Ne'  il  decreto  legislativo  31
maggio 2011, n. 88, emanato nell'esercizio della delega  legislativa,
prevede meccanismi di  redistribuzione  degli  oneri  finanziari,  in
alcun  modo  assimilabili   a   quelli   oggetto   della   contestata
disposizione. 
    E' del tutto evidente che con  l'art.  5  bis  del  decreto-legge
138/2011, viene costruito un meccanismo negativo, in cui la spesa per
gli investimenti finalizzati allo sviluppo di alcune Regioni e' posta
a carico delle altre Regioni. 
    Secondo  il  dettato  costituzionale,  gli  oneri   (siano   essi
finanziari, o come in questo caso, in termini di minori  possibilita'
di spesa) necessari allo sviluppo delle Regioni meno avanzate  devono
essere sostenuti dallo Stato, ai sensi dell'art. 119, comma  5  della
Costituzione; la solidarieta' tra le  Regioni  puo'  e  deve  trovare
realizzazione  mediante   uno   strumento   ben   preciso,   indicato
dall'articolo 119, comma 3, ossia il fondo perequativo. 
    L'art. 5-bis qui contestato  contrasta  con  entrambe  le  citate
disposizioni. 
    La rilevata incostituzionalita' della norma non  appare  superata
ne' superabile per il fatto che - in base  a  quanto  disposto  dalla
norma che qui si contesta - anche lo Stato  concorrera'  ai  maggiori
oneri, ne'  tanto  meno  dalla  previsione  dell'intesa  in  sede  di
Conferenza Stato - Regioni per il riparto tra  le  varie  Regioni  di
detti oneri: a quest'ultimo proposito infatti si Osserva che l'intesa
non  interviene  sull'an  dell'attribuzione  alle  Regioni   estranee
all'obiettivo   convergenza   dei   maggiori   oneri   ma    riguarda
esclusivamente le modalita' di attribuzione  a  ciascuna  Regione  di
detti maggiori oneri, vertendosi quindi solo  in  punto  di  quantum,
fermo restando, in ogni caso, «il  rispetto  dei  tetti  complessivi,
fissati dalla legge per il concorso  dello  Stato  e  delle  predette
regioni alla realizzazione degli obiettivi di  finanza  pubblica  per
l'anno  di  riferimento».  In  altri  termini,  non  puo'   ritenersi
sufficiente la previsione da parte dello  Stato  dell'intesa  con  le
Regioni in quanto, nel caso di specie, l'intesa consente alle  stesse
di intervenire solo sulle modalita' di attribuzione alle Regioni  dei
maggiori   oneri,   mentre   sono   proprio    questi    ad    essere
costituzionalmente illegittimi. 
    Non  e'  ammissibile  che,  ricorrendo  ad  uno  strumento  quale
l'intesa in Conferenza Stato-Regioni (sede  in  cui  si  realizza  la
collaborazione  e  la  concertazione  istituzionale,  non  pero'   lo
stravolgimento di ogni regola e competenza), lo Stato possa eludere i
propri doveri costituzionali, riversandone la  responsabilita'  sulle
Regioni, e ponendole  in  competizione  tra  loro  sul  delicatissimo
terreno dello sviluppo. 
    3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 8, commi 1, 2 e 2-bis,
nella parte in cui prevede la realizzazione di  specifiche  intese  a
livello aziendale e/o territoriale che possono operare in deroga alle
leggi statali e regionale nonche' ai contratti collettivi  nazionali,
per violazione degli artt. 39,  117,  comma  3  e  118  cost.  e  per
violazione del principio di leale collaborazione. 
    L'art. 8 del decreto legge in esame,  cosi'  come  risulta  dalla
legge di conversione, e'  inserito  nel  Titolo  III  concernente  le
misure a sostegno dell'occupazione e si  occupa  in  particolare  del
sostegno alla contrattazione collettiva di  prossimita'.  Per  quanto
qui rileva, la  norma  dispone  «I  contratti  collettivi  di  lavoro
sottoscritti a livello aziendale o territoriale da  associazioni  dei
lavoratori comparativamente piu' rappresentative sul piano  nazionale
o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in
azienda  ai  sensi  della  normativa  di  legge   e   degli   accordi
interconfederali vigenti, compreso l'accordo interconfederale del  28
giugno 2011, possono realizzare specifiche intese con  efficacia  nei
confronti di tutti i lavoratori interessati a  condizione  di  essere
sottoscritte sulla base di un criterio  maggioritario  relativo  alle
predette  rappresentanze   sindacali,   finalizzate   alla   maggiore
occupazione, alla qualita' dei contratti di lavoro,  all'adozione  di
forme di partecipazione dei lavoratori,  alla  emersione  del  lavoro
irregolare, agli incrementi di  competitivita'  e  di  salario,  alla
gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli  investimenti  e
all'avvio di nuove attivita'. 
    Le specifiche intese di cui al  comma  1  possono  riguardare  la
regolazione delle materie  inerenti  l'organizzazione  del  lavoro  e
della produzione con riferimento: 
    a)  agli  impianti  audiovisivi  e  alla  introduzione  di  nuove
tecnologie; 
    b)  alle  mansioni  del  lavoratore,   alla   classificazione   e
inquadramento del personale; 
    c) ai  contratti  a  termine,  ai  contratti  a  orario  ridotto,
modulato o flessibile, al regime della solidarieta' negli  appalti  e
ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro; 
    d) alla disciplina dell'orario di lavoro; 
    e) alle modalita' di assunzione  e  disciplina  del  rapporto  di
lavoro,  comprese  le  collaborazioni  coordinate  e  continuative  a
progetto e le partite IVA,  alla  trasformazione  e  conversione  dei
contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso  dal  rapporto  di
lavoro, fatta eccezione  per  il  licenziamento  discriminatorio,  il
licenziamento della lavoratrice in concomitanza  del  matrimonio,  il
licenziamento della lavoratrice dall'inizio del periodo di gravidanza
fino al termine dei periodi di interdizione al lavoro,  nonche'  fino
ad un anno di  eta'  del  bambino,  il  licenziamento  causato  dalla
domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del
bambino  da  parte  della  lavoratrice  o  del   lavoratore   ed   il
licenziamento in caso di adozione o affidamento. 
    2-bis. Fermo restando il rispetto della Costituzione,  nonche'  i
vincoli derivanti dalle normative  comunitarie  e  dalle  convenzioni
internazionali sul lavoro, le specifiche intese di  cui  al  comma  1
operano anche in deroga alle disposizioni di legge  che  disciplinano
le materie richiamate dal comma 2 ed alle  relative  regolamentazioni
contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro. 
    3. Le disposizioni contenute in  contratti  collettivi  aziendali
vigenti, approvati e sottoscritti prima dell'accordo interconfederale
del 28 giugno 2011 tra le parti sociali, sono efficaci nei  confronti
di tutto il personale delle unita' produttive cui il contratto stesso
si riferisce a condizione che sia stato  approvato  con  votazione  a
maggioranza dei lavoratori.» 
    In sostanza, la novita' introdotta dalla  disposizione  in  esame
riguarda  la  possibilita'  che  i  contratti  collettivi  di  lavoro
sottoscritti  a  livello  aziendale   e/o   territoriale   realizzino
specifiche intese, aventi ad  oggetto,  tra  le  altre  cose,  azioni
preordinate alla maggiore occupazione,  la  promozione  di  forme  di
partecipazione dei lavoratori, la gestione delle  crisi  aziendali  e
occupazionali, gli investimenti e l'avvio di nuove  attivita'  (comma
1). 
    Al  comma  2  vengono  inoltre  specificati  i  profili  inerenti
l'organizzazione del lavoro e della  produzione  che  possono  essere
disciplinati con dette intese. Va preliminarmente evidenziato che non
e' dato sapere se  detta  elencazione  possa  considerarsi  esaustiva
ovvero meramente esemplificativa. 
    E' in ogni caso rilevante sin da subito  sottolineare  che  dette
specifiche intese possono derogare alle disposizioni di legge  (anche
regionali) vigenti nelle materie oggetto della loro  disciplina,  con
la conseguenza che tali intese potranno  vanificare  la  legislazione
regionale emanata in materia di tutela del lavoro. 
    La giurisprudenza della Corte costituzionale ha chiarito che  una
normativa che intervenga a disciplinare la materia lavoro  non  possa
non tenere conto dell'intreccio di materie su cui detta disciplina va
ad incidere, con specifico riferimento  alla  competenza  concorrente
delle Regioni appunto in ordine alla tutela  del  lavoro,  competenza
che e' stata confermata dalla Corte con riguardo in particolare  alla
formazione esterna  all'azienda,  in  materia  di  collocamento,  con
riguardo agli strumenti ed alle modalita' d'inserimento  di  soggetti
svantaggiati nel mondo del lavoro,  in  riferimento  alle  norme  che
pongono  limiti  quantitativi  alle  imprese  nelle   assunzioni   di
apprendisti  ed  alle  funzioni  di  programmazione,  monitoraggio  e
verifica nell'ambito del mercato del lavoro di rispettiva  competenza
etc. (sentenza n. 50/2005)  e,  in  generale,  con  riferimento  alle
politiche attive volte a favorire l'occupazione ed il lavoro. 
    In tale contesto quindi incidono le  intese  derogatorie  di  cui
all'art. 8, volte - tra le altre cose  -  a  promuovere  la  maggiore
occupazione e la partecipazione dei lavoratori,  ad  occuparsi  della
gestione  delle  crisi  aziendali  e  occupazionali   nonche'   degli
investimenti anche con riguardo all'introduzione di nuove tecnologie:
tutte queste finalita' involgono  senz'altro  aspetti  oggetto  anche
delle azioni di politica attiva del lavoro, riconducibili quindi alla
potesta' concorrente delle Regioni. 
    La su rilevata interferenza risulta ancora piu' evidente se si ha
riguardo alla normativa che la Regione Toscana ha adottato in materia
di lavoro, e cioe' la l.r. 32/2002 e ss. mm. ii, secondo cui tra  gli
obiettivi delle politiche di intervento  della  Regione  figura:  «d)
sviluppare e promuovere le politiche del lavoro al fine  di  favorire
l'incontro fra la domanda e l'offerta; 
    e) prevenire la disoccupazione incentivando intese e accordi  tra
soggetti pubblici  e  privati  per  la  realizzazione  di  iniziative
locali; 
    f) favorire  azioni  di  pari  opportunita'  volte  a  migliorare
l'accesso e la partecipazione delle donne al mercato del  lavoro  con
interventi  specifici  per  sostenere  l'occupazione  femminile,   ad
eliminare la disparita' nell'accesso al lavoro, favorendo i  percorsi
di  carriera,  e  a  conciliare  la   vita   familiare   con   quella
professionale; 
    g) promuovere l'inserimento o il reinserimento  nel  mercato  del
lavoro  delle  persone  esposte  al  rischio  di  esclusione  sociale
attraverso percorsi di sostegno e accesso alle misure di politica del
lavoro; 
    h) sviluppare le azioni volte a garantire ai  disabili  il  pieno
accesso agli interventi previsti dalla presente legge; 
    i) promuovere l'innovazione, sviluppando con le parti  sociali  i
necessari  accordi,  al  fine  di  raggiungere  elevati  livelli   di
sicurezza e qualita' del lavoro, come fondamento  necessario  per  la
competizione qualitativa e l'incremento della produttivita'; 
    i-bis) promuovere il rafforzamento delle  politiche  di  sostegno
alla continuita' lavorativa al fine di favorire condizioni lavorative
stabili; 
    i-ter) promuovere azioni di pari opportunita'  e  qualita'  delle
condizioni lavorative dei cittadini immigrati innanzitutto». 
    Ed ancora, ai sensi dell'art. 19 della stessa l.r. 32 «Al fine di
rendere effettivo il diritto  al  lavoro,  la  Regione  definisce  le
strategie  e  individua  le  proprie  politiche  in  linea  con   gli
orientamenti in materia di occupazione definiti dall'Unione europea. 
    2. La Regione promuove il diritto e  l'accesso  al  lavoro  delle
persone  disabili  favorendo,  attraverso  il  collocamento   mirato,
l'incontro tra  le  esigenze  dei  datori  di  lavoro  e  quelle  dei
lavoratori  disabili;  ed  in  particolare  «La  Regione  sviluppa  e
promuove  politiche  del  lavoro  per  prevenire  la  disoccupazione,
evitare la disoccupazione di lunga  durata,  agevolare  l'inserimento
lavorativo,  favorendo  la  stabilita'  del  lavoro,   la   mobilita'
professionale e le carriere individuali, sostenere  il  reinserimento
nella vita professionale, in particolare  di  gruppi  svantaggiati  a
rischio di esclusione sociale. 2. Per il conseguimento  del  fine  di
cui al comma 1, la Regione: 
    a) sostiene azioni positive per le pari opportunita'  finalizzate
all'occupazione femminile e mirate al  superamento  degli  stereotipi
sulle scelte formative, sui mestieri e sulle professioni  ritenuti  a
prevalente concentrazione femminile o maschile; 
    b)  promuove  la  diffusione  della  cultura  di   impresa,   con
particolare  riferimento  alla  cultura   cooperativa,   e   promuove
l'imprenditoria giovanile e  femminile  favorendo  l'avvio  di  nuove
imprese con interventi  di  agevolazione  e  di  sostegno  alla  loro
creazione anche in forma cooperativa; 
    c) sostiene politiche contro l'esclusione  sociale,  al  fine  di
favorire l'inserimento dei disabili e delle categorie svantaggiate; 
    d) promuove l'inserimento e il reinserimento dei  disoccupati  di
lunga durata; 
    d-bis) promuove la stabilizzazione dei rapporti di lavoro,  anche
con incentivi per l'occupazione. 
    d-ter) interviene  finanziariamente  al  fine  di  assicurare  la
continuita'  delle  erogazioni   ai   lavoratori   posti   in   cassa
integrazione guadagni straordinaria; 
    2-bis.   La   Regione   valorizza   la   bilateralita'   fra   le
organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei  lavoratori  come
libera forma di collaborazione tra le parti» (art. 21 l.r. 32/2002). 
    E'  infine  prevista   una   Commissione   regionale   permanente
tripartita proprio per lo svolgimento di «compiti  di  progettazione,
proposta  in  tema  di  orientamento,   formazione,   mediazione   di
manodopera e politiche del lavoro,  limitatamente  alle  funzioni  di
competenza regionale, nonche' di valutazione e verifica dei risultati
rispetto alle linee programmatiche e agli indirizzi  elaborati  dalla
Regione» (art. 23, comma 2). 
    Le intese in esame, dunque, non solo interferiscono nei  suddetti
ambiti,  gia'  oggetto  di  disciplina  regionale,  ma,  addirittura,
possono derogare a quest'ultima.  Si  viene  cosi'  a  verificare  la
situazione per cui un accordo tra datore di lavoro ed  organizzazione
sindacale (oltretutto solo aziendale) puo' determinare il superamento
della disciplina legislativa regionale. 
    Cio' pero' non appare conforme a Costituzione: gli accordi  e  le
intese infatti non  possono  limitare,  vincolare  ed  esautorare  il
legislatore  ne'  statale   ne'   regionale,   in   quanto   l'ordine
costituzionale delle competenze legislative e'  indisponibile  e  non
puo'  dipendere  da  accordi  (Corte  Cost.  24.4.1996  n.  126;   n.
437/2001). 
    Per tali motivi puo' ravvisarsi la violazione dell'art. 117 terzo
comma Cost., sotto  il  profilo  della  violazione  delle  competenze
regionali in materia di tutela del lavoro. 
    Inoltre si evidenzia che molte disposizioni legislative regionali
rinviano  all'Osservanza  dei  contratti  collettivi  di  lavoro  per
definire i requisiti necessari per la concessione di contributi o per
la  collaborazione  a  diverso  titolo  all'esercizio   di   funzioni
regionali; ebbene la  disciplina  qui  contestata  incide  del  tutto
illegittimamente sull'operativita'  di  dette  disposizioni,  fino  a
snaturarla. 
    Cosi', ad es.: 
    l'art 15 della l.r. 31.07.1998 n. 42,  «Norme  per  il  trasporto
pubblico  locale»,  secondo  cui  «la  violazione   dell'obbligo   di
applicazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro  di  lavoro
autoferrotranvieri e ferrovieri, di cui all'art. 19, comma 3, lettera
l), d.lgs. n. 422/1997, (...) costituisce causa  di  risoluzione  del
contratto»; 
    l'art. 25  della  l.r.  03.08.2004  n.  43  per  il  «Riordino  e
trasformazione  delle   istituzioni   pubbliche   di   assistenza   e
beneficenza (IPAB). Norme sulle aziende  pubbliche  di  servizi  alla
persona.  Disposizioni  particolari  per  la  IPAB  "Istituto   degli
Innocenti di Firenze"», secondo il quale il rapporto  di  lavoro  del
personale  delle  aziende  di  servizi   alla   persona   ha   natura
privatistica  e,  pertanto,  e'  disciplinato  dalla   contrattazione
collettiva; 
    l'art. 13 della l.r. 17.01.2005  n.  14,  «Modifiche  alla  legge
regionale23 marzo 2000, n. 42» (Testo unico delle leggi regionali  in
materia di turismo), il quale dispone che l'esercizio delle attivita'
ricettive e'  subordinato  all'Osservanza  dei  contratti  collettivi
nazionali di lavoro e  degli  accordi  sindacali  siglati  a  livello
territoriale; 
    gli artt. 45 e 46 della l.r. 05.06.2007 n.  34,  «Modifiche  alla
legge regionale 7 febbraio 2005, n. 28» (Codice del commercio.  Testo
unico in materia di commercio  in  sede  fissa,  su  aree  pubbliche,
somministrazione di alimenti e bevande, vendita di stampa  quotidiana
e periodica e distribuzione di carburanti), secondo cui  in  caso  di
trasferimento dell'attivita' (subingresso) e/o affidamento di  uno  o
piu'  reparti  di  un  esercizio   commerciale,   colui   che   entra
nell'attivita'  deve  garantire  il  rispetto   sia   dei   contratti
«collettivi» di lavoro che  di  quelli  «integrativi»  siglati  dalle
organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative; 
    l'art. 5 della l.r.  30.04.2008  n.  22,  «Modifiche  alla  legge
regionale  20  marzo  2000,  n.  35»  (Disciplina  degli   interventi
regionali in materia di attivita' produttive), il quale indica tra  i
criteri generali da seguire per  l'assegnazione  degli  interventi  a
favore delle imprese, anche l'applicazione dei  contratti  collettivi
di lavoro; 
    l'art. 10 della l.r. 03.06.2008  n.  33,  «Modifiche  alla  legge
regionale 27 luglio 2004, n.  38»  (Norme  per  la  disciplina  della
ricerca,  della  coltivazione  e   dell'utilizzazione   delle   acque
minerali,  di   sorgente   e   termali),   il   quale   prevede   che
l'inadempimento  degli  obblighi  derivanti  dai  relativi  contratti
collettivi di lavoro applicabili comporta il mancato  rilascio  della
concessione mineraria; 
    l'art. 1 della l.r.  22.10.2008  n.  53,  «Norme  in  materia  di
artigianato», secondo cui, nell'ambito della  competenza  legislativa
di cui all'art. 117, comma 4 della Costituzione, tutela,  sviluppo  e
valorizzazione dell'artigianato anche nelle sue  diverse  espressioni
territoriali, tradizionali e artistiche, la Regione Toscana favorisce
«il consolidamento e lo  sviluppo  delle  imprese  artigiane,  (...),
nonche'  la  salvaguardia  e  lo  sviluppo  qualificato  dei  livelli
occupazionali con particolare  riguardo  al  rispetto  dei  contratti
collettivi nazionali di lavoro (...)»; 
    l'art. 2 della l.r. n. 73 del 2008, «Norme in materia di sostegno
alla innovazione delle  attivita'  professionali  intellettuali»,  il
quale definisce  l'«associazione  sindacale  datoriale»  come  quella
«associazione che sottoscrive i  contratti  collettivi  nazionali  di
lavoro»; 
    l'art. 3 della 1.r.  31.07.2009  n.  44,  «Modifiche  alla  legge
regionale 24 dicembre 2008, n.  69»  (Legge  finanziaria  per  l'anno
2009), il quale, per il finanziamento dei processi di  innovazione  e
di riorganizzazione della struttura regionale e di miglioramento  dei
servizi,  fa  riferimento  alle  risorse  individuate  nel  contratto
collettivo nazionale; 
    art. 57 della l.r.  14.12.2009  n.  75,  «Legge  di  manutenzione
dell'ordinamento  regionale  2009»,  che,  in  materia  di   sviluppo
economico, prevede che:  «L'Azienda  assume  personale,  compreso  il
direttore tecnico di cui all'art. 5-bis,  con  contratto  di  diritto
privato  conformemente  alla   disciplina   portata   dal   contratto
collettivo nazionale di lavoro per i dirigenti, gli impiegati  e  gli
operai agricoli e dal contratto integrativo provinciale»; 
    ed, infine, l'art. 40 della 1.r. 25.02.2010 n. 21,  «Testo  unico
delle  disposizioni  in  materia  di  beni,  istituti   e   attivita'
culturali», che  individua  il  rispetto  dei  «contratti  collettivi
nazionali» quale criterio di  ammissibilita'  e  di  valutazione  dei
progetti   nelle   attivita'   teatrali,    musicali,    di    danza,
cinematografiche ed audiovisive. 
    Tutte  queste  norme  regionali  vengono  incise   e   vanificate
dall'art. 8 del  decreto-legge  n.  138  del  2001,  la'  dove  rende
«derogabili»  i   contratti   collettivi   nazionali,   rovesciandone
sostanzialmente il rapporto  con  la  contrattazione  territoriale  e
aziendale. 
    Pertanto, alla luce di tutto quanto sopra detto l'art.  8,  commi
1, 2 e 2-bis nella parte in cui impone di considerare  preminente  il
contratto  aziendale  e/o  territoriale  sul   contratto   collettivo
nazionale e sulla legislazione statale e regionale lede la competenza
concorrente delle Regioni in materia di tutela del  lavoro,  cio'  in
contrasto con l'art. 117, comma 3, Cost. 
    Ma la  norma  appare  incostituzionale  anche  per  un  ulteriore
profilo. Secondo l'insegnamento della Corte  Costituzionale,  qualora
sussista un'interferenza di materie,  riguardo  alle  quali  esistono
competenze legislative diverse,  come  e'  nel  caso  di  specie,  e'
necessario procedere alla loro composizione con gli  strumenti  della
leale collaborazione (cfr., anche sul punto, sentenza n.  50/2005  in
tema di crediti formativi e di qualifiche professionali). 
    In merito si osserva ulteriormente che  la  Corte  costituzionale
(sentenza n. 176/2010) ha dichiarato l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 23, comma 2, del decreto-legge  n.  112  del  2008  che  ha
aggiunto all'art. 49 del d.lgs. n. 276 del 2003  il  seguente  comma:
«"5-ter. In caso di formazione  esclusivamente  aziendale  non  opera
quanto previsto dal comma 5. In questa ipotesi  i  profili  formativi
dell'apprendistato professionalizzante sono rimessi integralmente  ai
contratti  collettivi  di  lavoro  stipulati  a  livello   nazionale,
territoriale o aziendale da associazioni dei datori e  prestatori  di
lavoro comparativamente  piu'  rappresentative  sul  piano  nazionale
ovvero agli enti  bilaterali.  I  contratti  collettivi  e  gli  enti
bilaterali  definiscono  la  nozione  di   formazione   aziendale   e
determinano, per ciascun profilo formativo, la durata e le  modalita'
di erogazione della formazione, le modalita' di riconoscimento  della
qualifica professionale ai fini contrattuali e la  registrazione  nel
libretto formativo". 
    La  su  citata  disposizione  dichiarava  quindi  inoperante   la
previsione del precedente comma 5 dello stesso articolo per il  quale
"la  regolamentazione  dei   profili   formativi   dell'apprendistato
professionalizzante e' rimessa alle Regioni e alle Province  autonome
di Trento e Bolzano, d'intesa  con  le  associazioni  dei  datori  di
lavoro e prestatori di lavoro comparativamente  piu'  rappresentative
sul piano regionale"». 
    Anche in quel caso, come nella fattispecie  in  esame  (nel  caso
dell'art.  8  in   esame   il   riferimento   e'   addirittura   alla
contrattazione aziendale e/o territoriale), la norma  assegnava  alla
contrattazione collettiva la funzione di fonte  esclusiva,  anche  in
luogo di quella regionale, anche su aspetti di  competenza  regionale
e/o  che  comunque  si  intrecciavano  con  profili  attribuiti  alla
potesta' delle Regioni, cio'  senza  prevedere  alcuno  strumento  di
concertazione. 
    La Corte costituzionale con la citata sentenza  n.  176/2010,  in
particolare, ha  sottolineato  che  «La  formazione  aziendale,  come
ritenuto dalla citata sentenza  di  questa  Corte  n.  50  del  2005,
"rientra nel sinallagma contrattuale e quindi nelle competenze  dello
Stato in materia di ordinamento civile". Peraltro, nella pronuncia si
afferma altresi' che "se e' vero che la formazione all'interno  delle
aziende inerisce al rapporto contrattuale, sicche' la sua  disciplina
rientra nell'ordinamento civile, e che spetta invece alle  Regioni  e
alle Province autonome disciplinare quella pubblica, non e' men  vero
che nella regolamentazione dell'apprendistato ne' l'una  ne'  l'altra
appaiono allo stato puro, ossia separate nettamente tra di loro e  da
altri aspetti dell'istituto", con la conseguenza che "occorre percio'
tener conto di tali interferenze". 
    Interferenze  che  sono  correlative  alla  naturale   proiezione
esterna dell'apprendistato professionalizzante e all'acquisizione  da
parte  dell'apprendista  dei  crediti  formativi,  utilizzabili   nel
sistema  dell'istruzione  -  la  cui  disciplina  e'  di   competenza
concorrente - per l'eventuale conseguimento di titoli di studio. 
    Nella specie, di tali interferenze non si e' tenuto conto e  cio'
determina l'illegittimita' costituzionale della norma - per contrasto
con gli artt. 117 e 120 cost.  nonche'  con  il  principio  di  leale
collaborazione [...] occorre  parimenti  dichiarare  l'illegittimita'
costituzionale  della  norma  de  qua   limitatamente   alla   parola
"integralmente",  la  quale  rimette  esclusivamente   ai   contratti
collettivi di lavoro o  agli  enti  bilaterali  i  profili  formativi
dell'apprendistato professionalizzante, nonche' alle parole, riferite
ai contratti collettivi e agli enti bilaterali, secondo le quali essi
"definiscono la nozione di formazione aziendale e". 
    Le su indicate espressioni,  infatti,  escludendo  l'applicazione
del precedente comma 5, sono anch'esse lesive dei suddetti  parametri
costituzionali, perche' si  traducono  in  una  totale  estromissione
delle  Regioni  dalla  disciplina  de  qua.  Esse,   anzi,   appaiono
particolarmente lesive in quanto  la  definizione  della  nozione  di
formazione aziendale costituisce il  presupposto  della  applicazione
della normativa di cui si tratta  e  il  fatto  che  lo  Stato  abbia
stabilito  come  tale   definizione   debba   avvenire   e,   quindi,
implicitamente  come  vada  definita  la   formazione   esterna   (di
competenza  regionale),  denota  che  esso  si  e'   attribuito   una
"competenza sulle competenze" estranea al nostro ordinamento. 
    Infatti, cosi' come le Regioni non possono, nell'esercizio  delle
proprie  competenze,  svuotare  sostanzialmente   di   contenuto   la
competenza statale -  come  e'  stato  sottolineato,  in  materia  di
apprendistato,  fra  l'altro,  nella  sentenza  n.  418  del  2006  -
analogamente non e' ammissibile riconoscere allo Stato la potesta' di
comprimere senza alcun limite il potere legislativo regionale. 
    Nella specie lo Stato si e' unilateralmente attribuito il  potere
di disciplinare le fonti normative per identificare il discrimine tra
formazione aziendale (la cui  disciplina  gli  spetta)  e  formazione
professionale  extra  aziendale  (di   competenza   delle   Regioni),
escludendo cosi' qualsiasi partecipazione di queste ultime. 
    In sintesi, anche nell'ipotesi di apprendistato,  con  formazione
rappresentata come esclusivamente aziendale, deve essere riconosciuto
alle  Regioni  un  ruolo  rilevante,  di  stimolo  e   di   controllo
dell'attivita' formativa [...]». 
    Anche nella fattispecie in parola, come nel citato precedente, si
registrala totale assenza di strumenti di concertazione, rimanendo le
Regioni del tutto estranee alle intese di  cui  si  tratta;  cio'  e'
ancor piu' grave, in quanto si prevede  che  dette  intese  deroghino
alle disposizioni di legge, senza esclusione per quelle regionali. 
    Percio' puo' ravvisarsi l'ulteriore lesione dell'art.  117  terzo
comma Cost., nonche' dell'art. 118 anche per violazione del principio
della leale  collaborazione,  stante  la  mancata  previsione  di  un
adeguato coinvolgimento regionale, pur a fronte di una normativa  che
presenta molteplici interferenze con le competenze regionali. 
    La disposizione in esame e' poi incostituzionale sotto  ulteriore
profilo. Essa contrasta con l'art. 39 della Costituzione, secondo cui
il contratto collettivo di lavoro ha efficacia generale  solo  se  il
sindacato e' registrato e, quindi, data la non  attuazione  dell'art.
39 Cost., il contratto collettivo e le specifiche intese  di  cui  si
tratta  non  possono  avere  efficacia  generale   ne'   tanto   meno
derogatoria rispetto a norme di legge, anche regionali. Nel  caso  di
specie la disposizione impugnata si traduce in una delega di funzioni
paralegislative (per usare un'espressione della sentenza n.  344  del
1996)  addirittura  ai  contratti  collettivi  di  lavoro  e/o   alle
specifiche intese sottoscritte a livello  aziendale  o  territoriale,
cio' determinando una palese violazione dell'art. 39 cost. in  quanto
detti  contratti  e/o  intese   sono   trasformati   in   una   fonte
extra-ordinem, ed operano in deroga ai contratti collettivi nazionali
e alle disposizioni di legge statale e regionale. 
    Attraverso questa violazione  si  produce  -  come  visto  -  una
menomazione delle competenze  regionali  in  materia  di  tutela  del
lavoro, di  competenza  regionale  concorrente;  sussistono  pertanto
tutti gli elementi della lesione di competenza indiretta,  nel  senso
che la violazione dell'art. 117,  terzo  comma,  cost.  si  determina
anche attraverso la violazione dell'art. 39 cost. (cfr.  le  sentenze
n. 206 del 2001, punti 15, 16 e 34, n. 110 del 2001, n. 303 del 2003,
punto 35, n. 280 del 2004, n. 355 del 1993). Di qui la legittimazione
regionale a far valere anche la violazione dell'art.  39  e,  tramite
questa, della propria potesta' legislativa in materia di  tutela  del
lavoro (in tal senso si richiama la sentenza n. 219 del 1984). 
    4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 11 nella parte in  cui
detta la disciplina relativa ai tirocini formativi e di  orientamento
non curriculari, per violazione degli artt. 117, comma 4, e 118 Cost. 
    L'art.  11  in  esame  riguarda  i  tirocini   formativi   e   di
orientamento non curriculari; il legislatore statale, nel  dichiarato
intento di fissare i livelli  minimi  essenziali,  stabilisce  che  i
medesimi possono essere promossi solo a favore di neo diplomati o neo
laureati non oltre 12 mesi dal conseguimento del titolo di  studio  e
non possono avere durata superiore a sei mesi (proroghe comprese). 
    Inoltre, il successivo  comma  2,  prevede  che  «in  assenza  di
specifiche  regolamentazioni  regionali  trovano  applicazione,   per
quanto compatibili con le disposizioni di cui al comma  che  precede,
l'art.  18  della  legge  24  giugno  1997,  n.  196  e  il  relativo
regolamento di attuazione». La norma, nel dettare regole relative  ai
tirocini formativi, incide evidentemente sulle  competenze  regionali
in materia di formazione professionale, ossia  una  materia  affidata
alla competenza residuale delle Regioni con violazione dell'art. 117,
quarto comma, e dell'art. 118 Cost., nella parte in cui la disciplina
si riferisce anche a quei tirocini che non abbiano alcun collegamento
con i rapporti di lavoro e/o non siano preordinati in  via  immediata
ad eventuali assunzioni. 
    Come chiarito  dalla  Corte  costituzionale  nella  pronuncia  n.
50/2005, infatti, «La competenza esclusiva delle Regioni  in  materia
di istruzione e formazione professionale riguarda la istruzione e  la
formazione professionale pubbliche che possono essere  impartite  sia
negli istituti scolastici a cio' destinati,  sia  mediante  strutture
proprie che le singole Regioni possano approntare in  relazione  alle
peculiarita' delle realta' locali, sia in  organismi  privati  con  i
quali vengano stipulati accordi. 
    La disciplina della istruzione e della  formazione  professionale
che i privati datori di lavoro somministrano in ambito  aziendale  ai
loro dipendenti [...]» ossia «La formazione aziendale rientra  invece
nel sinallagma contrattuale e quindi nelle competenze dello Stato  in
materia  di  ordinamento  civile  [...]»   Cio'   posto,   la   Corte
costituzionale ha ritenuto  fondata  «la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 60 del d.lgs. n. 276, proposta dalle Regioni
Emilia-Romagna, Marche e Toscana in riferimento all'art. 117, terzo e
quarto comma, della Costituzione. 
    Infatti, la  disciplina  dei  tirocini  estivi  di  orientamento,
dettata senza alcun  collegamento  con  rapporti  di  lavoro,  e  non
preordinata in via immediata ad eventuali  assunzioni,  attiene  alla
formazione professionale di competenza esclusiva delle  Regioni"  (la
distinzione tra formazione interna e formazione esterna  all'azienda,
nonche' il riconoscimento della competenza  esclusiva  regionale  con
riguardo a quest'ultima e' stata ribadita dalla Corte  costituzionale
anche con la successiva sentenza n. 176/2010). 
    Ed ancora, con la sentenza n. 269/2010, la  Corte  costituzionale
ha affermato la legittimita' costituzionale del comma 43 dell'art.  6
legge della  Regione  Toscana  9  giugno  2009,  n.  29,  proprio  in
considerazione del fatto che «l'obiettivo della norma e'  chiaramente
quello di consentire alla Regione di promuovere intese  (al  fine  di
agevolare  la  frequenza  degli  stranieri  ai  corsi  di  formazione
professionale o tirocini formativi), che si riferiscono ad un  ambito
di competenza legislativa regionale residuale, corrispondente appunto
alla formazione professionale». 
    Si osserva a tal proposito che il  Ministero  del  Lavoro  e'  di
recente  intervenuto  in  merito  con   la   circolare   n.   24/2011
sottolineando che l'ambito di applicazione della norma in esame  deve
considerarsi limitato ai soli tirocini formativi  e  di  orientamento
cioe' quegli attualmente disciplinati a livello nazionale dalla legge
196/1997, che sono finalizzati ad agevolare le scelte professionali e
la occupabilita' dei giovani nella fase di transizione  dalla  scuola
al lavoro mediante la formazione  in  ambiente  produttivo,  restando
esclusi i  tirocini  di  inserimento/reinserimento  al  lavoro  ed  i
tirocini curricolari a  prescindere  che  gli  stessi  siano  o  meno
direttamente finalizzati al riconoscimento dei crediti formativi. 
    Pur a fronte dei chiarimenti  forniti  dal  Ministero,  la  norma
appare comunque lesiva delle prerogative regionali costituzionalmente
garantite in tema di  formazione  professionale  perche'  i  tirocini
formativi  rientrano  nella  formazione   esterna   all'azienda,   di
competenza   esclusiva   regionale   come   affermato   dalla   Corte
costituzionale con la sentenza n. 50/2005; inoltre non viene  neppure
prevista alcuna forma di collaborazione con la Regione. 
    La disposizione in esame non puo' neppure ritenersi  giustificata
con il richiamo alla competenza statale in materia di  determinazione
dei livelli minimi essenziali di cui all'art. 117 secondo comma lett.
m), perche' questa puo'  essere  invocata  esclusivamente  quando  si
fissano livelli delle prestazioni. Nel  caso  in  esame,  invece,  la
disposizione  non  fissa  affatto  gli  standards   minimi,   ed   e'
sostanzialmente  diverso  determinare  i  livelli   essenziali,   nel
rispetto dei quali le  Regioni  ben  potranno  determinare  standards
qualitatitivi  dei  servizi  superiori  rispetto  ai  minimi,   dalla
minuziosa regolamentazione  dell'esercizio  della  concreta  potesta'
amministrativa. 
    Si ribadisce pertanto la violazione degli artt. 117, comma  4,  e
118 cost. nonche' del principio di leale collaborazione. 
    5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 16, commi 1, 3, 4,  5,
7, 8 e da 10 a 15, nonche' commi 16, 17 lett. a) e commi da 19 a  21,
nella parte in cui prevede e disciplina  le  Unioni  di  Comuni,  per
violazione degli artt. 3, 97, 114, 117, commi 2 lett. p), 3 e 4,  118
e 133, comma 2, Cost. nonche' per violazione del principio  di  leale
collaborazione. L'art. 16,  nella  versione  di  cui  alla  legge  di
conversione, prevede una disciplina puntuale in materia di Unioni  di
Comuni, ben al di la' delle competenze statali di cui  all'art.  117,
comma 2, lett. p): 
    a) Si rileva innanzitutto la violazione dell'art. 133,  comma  2,
anche in relazione agli artt. 114 e 117, comma 4, Cost.: la normativa
in  esame  prevede  infatti  per  i  Comuni  fino  a  1000   abitanti
l'esercizio necessario attraverso la forma associativa dell'Unione di
tutte  le  funzioni,  non  solo  quelle  fondamentali,  anche  quelle
delegate e/o  attribuite  dalle  Regioni  (comma  1);  dal  combinato
disposto  dei  commi  4  e  5  emerge  che  i  margini  di  autonomia
(riconosciuta costituzionalmente ai sensi dell'art.  114  Cost.)  che
residuano ai Comuni sono marginali se non  addirittura  simbolici;  i
predetti commi infatti prevedono che le  funzioni  di  programmazione
economico-finanziaria e la gestione contabile sia di competenza delle
Unioni, inoltre e' sancita la  successione  dell'Unione  in  tutti  i
rapporti  giuridici  in  essere  in  capo  ai  Comuni,   nonche'   il
trasferimento alle stesse di tutte le  risorse  umane  e  strumentali
relative alle funzioni ed ai servizi loro affidati ai sensi dei commi
1, 2 e 4, nonche'  i  relativi  rapporti  finanziari  risultanti  dal
bilancio; infine a decorrere dall'anno 2014, le Unioni di comuni sono
soggette alla disciplina del patto di stabilita' interno per gli enti
locali prevista per i comuni aventi corrispondente popolazione. 
    Ed ancora i commi da 10  a  15  della  stessa  norma  individuano
puntualmente gli organi ed il  funzionamento  di  dette  Unioni  alla
stregua di vere e proprie fusioni di Comuni  (basti  pensare  che  il
comma 14 assegna a dette Unioni anche l'autonomia statutaria). 
    Infine al comma 8 si stabilisce che «Nel  termine  perentorio  di
sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge  di  conversione
del presente decreto, i comuni di cui al comma 1 (rectius quei Comuni
con  popolazione  fino  a  1000  abitanti),  con  deliberazione   del
consiglio  comunale,  da  adottare,  a  maggioranza  dei  componenti,
conformemente alle disposizioni di cui  al  comma  6,  avanzano  alla
regione una proposta di  aggregazione,  di  identico  contenuto,  per
l'istituzione della rispettiva unione. Nel termine perentorio del  31
dicembre 2012, la regione provvede, secondo il proprio ordinamento, a
sancire l'istituzione di tutte le unioni del proprio territorio  come
determinate nelle proposte di cui  al  primo  periodo  e  sulla  base
dell'elenco di cui al comma 16. La regione provvede anche qualora  la
proposta di aggregazione manchi o non sia conforme alle  disposizioni
di cui al presente articolo». 
    Alla luce della disciplina  su  richiamata  e'  evidente  che  la
norma, di fatto, prevede  la  fusione  dei  piccoli  Comuni,  con  la
conseguente  modifica  delle   circoscrizioni   comunali,   cio'   in
violazione della procedura prevista dall'art. 133,  comma  2,  Cost.,
secondo il quale «La Regione,  sentite  le  popolazioni  interessate,
puo' con sue leggi istituire nel proprio territorio  nuovi  Comuni  e
modificare le loro circoscrizioni e  denominazioni».  A  tale  ultimo
proposito si Osserva che  la  Corte  costituzionale  con  la  recente
sentenza n. 261/2011, nel confutare  le  argomentazioni  del  Giudice
rimettente in ordine alla affermata competenza statale relativa  alle
circoscrizioni comunali,  ha  ribadito  che  -  fatta  eccezione  per
l'ambito di competenza  esclusiva  statale  delineato  all'art.  117,
comma 2, lett. p) cost. che delimita specificatamente  sia  gli  enti
che i profili ordinamentali degli stessi  rimessi  alla  legislazione
nazionale - l'ordinamento degli enti locali e' materia di  competenza
regionale  esclusiva,  competenza  esclusiva  che,  con  riguardo  al
mutamento delle circoscrizioni comunali  trova  specifico  fondamento
nell'art. 133, comma 2, Cost. 
    Per contro, si ribadisce, appare evidente che l'Unione di cui  si
tratta, proprio in quanto si configura come ente, con propri organi e
che subentra ai comuni minori non solo nella  gestione  di  tutte  le
loro funzioni e servizi ma anche in tutti  i  rapporti  giuridici,  e
acquisisce le risorse umane e strumentali connesse alle funzioni e ai
servizi trasferiti, si presenta  in  realta'  come  un  ente  la  cui
istituzione determina il venir meno per i comuni che ne  sono  membri
di alcuni elementi essenziali propri di un ente, e in particolare  di
un ente territoriale. 
    Inoltre le  Unioni  sono  dotate  di  propri  organi,  del  tutto
distinti da quelli dei comuni e si prevede persino che in futuro  gli
organi dell'unione possano essere eletti  a  suffragio  universale  e
diretto,  assumendo  cosi'  una  legittimazione  democratica  che  e'
propria degli enti territoriali, espressione di proprie comunita'. 
    Pertanto, la istituzione di Unioni  obbligatorie  cosi'  fatte  e
cosi' organizzate, e la contestuale riduzione dei consigli comunali a
puri organi di partecipazione hanno l'effetto di determinare di fatto
la soppressione dei Comuni che partecipano a questa forma associativa
e la loro sostituzione  con  l'unione  stessa,  nuovo  tipo  di  ente
territoriale. 
    Di fatto, ma anche di diritto, l'Unione cosi'  come  disciplinata
dalla  norma  in  esame  implica,  innanzitutto,  una   inaccettabile
differenziazione fra Comuni che ne fanno parte  e  tutti  gli  altri,
cio' in violazione dell'art. 114  cost.  il  quale  prevede  solo  le
cinque forme di enti territoriali obbligatorie,  configurandole  come
elementi tutti costitutivi, a pari titolo, della Repubblica. 
    In ogni caso, non e' in alcun modo ammissibile che il legislatore
statale, senza alcuna competenza legislativa a tal fine  prevista  in
Costituzione, possa creare un nuovo ente territoriale che subentra ai
Comuni in ogni loro rapporto; si ribadisce a  tal  proposito  che  la
potesta' legislativa in materia  di  ordinamento  degli  enti  locali
spetta in via esclusiva alle Regioni. 
    A questo punto si sottolinea nuovamente che, come  non  e'  nella
competenza del legislatore statale creare nuovi livelli di governo  a
natura obbligatoria e «sostitutivi» di quelli previsti dall'art.  114
Cost., egualmente non e' nelle  competenze  del  legislatore  statale
modificare la circoscrizione dei Comuni o istituirne di nuovi. 
    A tal fine - si ripete - la  Costituzione  contiene  un  apposito
articolo, il 133, che definisce un procedimento specifico, prevedendo
anche  l'obbligo  di  sottoporre  a  referendum   delle   popolazioni
interessate le scelte, che poi sono rimesse alla legge regionale. 
    Dunque, da questo punto di vista,  la  disciplina  relativa  alle
Unioni di Comuni di cui si tratta (commi da 1 a 15  dell'art.  16  in
parola) appare in netto contrasto  il  quadro  costituzionale  ed  in
particolare con gli artt. 114, 117, comma 4 e 133 Cost. 
    b) Ed ancora, l'art. 16 comma 1, nella parte in cui  pretende  di
allocare tutte le funzioni amministrative, anche  quelle  in  materie
residuali o concorrenti regionali, in capo alle Unioni di Comuni,  si
pone in contrasto con gli artt. 117, commi 2 lett. p), 3 e 4,  e  118
Cost. 
    La norma in esame  infatti  si  riferisce  a  tutte  le  funzioni
amministrative  esercitate  dagli  enti  locali  in   questione,   in
qualunque materia esse si  collochino;  dunque,  e'  incostituzionale
nella parte in cui ha ad oggetto anche le funzioni amministrative che
ricadono nelle materie di cui ai commi terzo e quarto  dell'art.  117
Cost.; del pari e' incostituzionale  la  previsione  in  esame  nella
parte in cui pretende di allocare tutte  le  funzioni  amministrative
che riguardano i «servizi pubblici» svolti dagli enti locali, i quali
per  pacifica  giurisprudenza  costituzionale  rientrano  nell'ambito
affidato alla competenza legislativa residuale regionale (si veda per
tutte  per  questo   ultimo   profilo   la   sentenza   della   Corte
costituzionale n. 272/2004). 
    In particolare, preme ribadire che la legge statale e' competente
in via esclusiva per quanto riguarda le sole  funzioni  fondamentali;
deve invece escludersi che possa imporre forme associate di esercizio
anche  delle  funzioni  proprie  dei  comuni  (che  cioe'   rientrano
nell'autonomia organizzativa degli stessi) e comunque  di  quelle  ad
essi assegnate da leggi regionali. Con riguardo a quest'ultime spetta
al legislatore regionale, sulla base di quanto previsto dall'art. 118
cost. in termini di differenziazione e adeguatezza,  prevedere  forme
di associazione come condizione  per  l'attribuzione  delle  funzioni
stesse. 
    In ogni caso  non  ha  fondamento  costituzionale  che  la  legge
statale possa  imporre  forme  di  gestione  associata  di  tutte  le
funzioni e di tutti i servizi dei comuni. 
    c) Ma l'art. 16 (commi 1, 3, 4, 5, 7, 8 e  da  10  a  15)  appare
lesivo anche sotto l'ulteriore profilo della violazione dell'art. 114
e 117, comma 4 Cost., in quanto interviene con una normativa puntuale
in materia di disciplina delle forme associative degli  enti  locali,
materia  che   secondo   il   pacifico   orientamento   della   Corte
costituzionale rientra nella competenza esclusiva delle Regioni. 
    In particolare la Corte ha affermato che  l'art.  117,  comma  2,
lett. p) Cost. deve essere interpretato in maniera restrittiva e  non
puo'  essere  invocato  in  ordine  alla  scelta   in   merito   alla
costituzione e/o alla soppressione  di  forme  associative  tra  enti
locali. In tal senso la giurisprudenza costituzionale ha chiarito che
la disciplina delle forme associative tra enti locali  rientra  nella
potesta' legislativa residuale delle Regioni ai sensi dell'art.  117,
comma 4, cost. (cfr. le  sentenze  n.  27/2010;  237/2009;  sent.  n.
244/2005; 456/2005). Specificatamente, con la pronuncia  n.  244/2055
la Corte costituzionale, dopo aver affermato che le Comunita' Montane
altro non sono che «"un caso speciale di unioni di Comuni, "create in
vista  della  valorizzazione  delle  zone  montane,  allo  scopo   di
esercitare, in modo piu' adeguato  di  quanto  non  consentirebbe  la
frammentazione dei  comuni  montani,  "funzioni  proprie",  "funzioni
conferite" e  funzioni  comunali"»,  ha  ribadito  che  1'«art.  117,
secondo comma, lettera p), della Costituzione,  nella  parte  in  cui
prevede, tra l'altro, che rientra nella  competenza  esclusiva  dello
Stato la materia  relativa  alla  "legislazione  elettorale"  e  agli
"organi di  governo".  Cio'  in  quanto  la  citata  disposizione  fa
espresso  riferimento  ai  Comuni,  alle  Province  e   alle   Citta'
metropolitane e l'indicazione deve ritenersi  tassativa.  Da  qui  la
conseguenza  che  la  disciplina  delle  Comunita'  montane,  pur  in
presenza della loro qualificazione come  enti  locali  contenuta  nel
d.lgs.  n.  267  del  2000,  rientra  nella  competenza   legislativa
residuale delle Regioni ai sensi dell'art. 117, quarto  comma,  della
Costituzione».  Il  suddetto  principio  peraltro  era   gia'   stato
affermato anche nella giurisprudenza precedente, perche' gia' con  la
pronuncia n. 343/1991, la  Regione  e'  stata  individuata  come  «il
centro  propulsore  e  di  coordinamento  dell'intero  sistema  delle
autonomie locali», necessario a fronte di  un  tessuto  organizzativo
degli enti locali cosi' diversificato da richiedere un incisivo ruolo
di coordinamento delle Regioni,  nelle  materie  di  loro  spettanza,
anche  per  quanto  attiene  all'organizzazione  delle   funzioni   e
all'individuazione, quindi, del livello ottimale di esercizio. 
    La norma in esame, per contro, contiene una  puntuale  disciplina
della forma associativa ivi prevista, illegittima, perche' non lascia
alcuno spazio al legislatore regionale, cosi' come evidenziato  dalla
Corte costituzionale nella sentenza n. 237 del 2009 in  relazione  ad
analoga  norma.  Nella  citata  pronuncia   e'   infatti   affermato:
«Quest'ultimo,  pero',  contiene  una  disciplina  di  dettaglio   ed
auto-applicativa  che  non  puo'  essere  ricondotta  all'alveo   dei
principi fondamentali della materia del coordinamento  della  finanza
pubblica, in quanto non lascia alle Regioni alcuno spazio di autonoma
scelta e dispone, in via  principale,  direttamente  la  conseguenza,
anche molto incisiva,  della  soppressione  delle  comunita'  che  si
trovino nelle specifiche e puntuali condizioni  ivi  previste».  Tale
principio vale anche  per  la  norma  impugnata  che  contiene,  come
rilevato, un'analitica e dettagliata disciplina degli  effetti  della
costituzione delle Unioni di comuni. 
    Alla  luce  delle  pronunce  della  Corte  costituzionale  citate
appaiono    senz'altro    lesive    delle    prerogative    regionali
costituzionalmente garantite le disposizioni di cui ai  commi  1,  3,
4,5, 7 e 8 ed i commi da 10 a  15,  innanzitutto  in  relazione  alla
competenza esclusiva delle Regioni in materia  di  ordinamento  degli
enti locali ed in particolare in relazione alle forme associative tra
enti per violazione degli artt. 117, comma 4 e 118 Cost. 
    In particolare i commi 1, 3, 4, 7 e 8, in  quanto  prevedono  una
disciplina specifica ed auto-applicativa delle Unioni di  Comuni  (in
merito alle modalita' di costituzione e funzionamento delle  stesse),
derogatoria  della  normativa  vigente  statale  e  non,  che  appare
senz'altro invasiva della competenza legislativa regionale in  ordine
alle forme associative degli enti locali ex art. 117, comma 4, Cost. 
    Stesse considerazioni valgono in ordine al comma 5 che dispone la
successione ex lege dei rapporti gia' in capo ai Comuni relativi alle
funzioni ed ai servizi affidati alle  Unioni  (quindi  per  i  comuni
sotto i 1000 abitanti, tutte le funzioni). 
    Del pari in contrasto con gli artt. 117, comma 4 e 118 Cost., per
lesione dell'ambito di competenza  regionale  in  ordine  alle  forme
associative  di  cui  si  tratta,  sono  i  commi  da  10  a  15  che
disciplinano nel dettaglio gli organi e la potesta' statutaria  delle
Unioni di Comuni. 
    Sotto altro  profilo  si  osserva  che,  come  evidenziato  dalla
risoluzione del  Consiglio  delle  Autonomie  Locali  depositata,  la
disciplina contestata, nel prevedere una forma  associativa  titolare
della gestione di ogni funzione e servizio assegnato ai Comuni membri
e della quale questi  Comuni  sono  tenuti  obbligatoriamente  a  far
parte, impone a  questa  particolare  categoria  di  comuni  (rectius
quelli fino a 1000 abitanti) vincoli e limiti  che  li  differenziano
completamente dagli altri Comuni  ai  quali  questi  vincoli  non  si
applicano. 
    Detta differenziazione appare in netto contrasto tanto con l'art.
114 (il quale assegna pari dignita' costituzionale a Comuni, Province
e Citta' metropolitane ponendole sullo  stesso  piano  di  Regioni  e
Stato, dando  cosi'  successivo  svolgimento  ai  principi  contenuti
nell'art. 5 della  Costituzione  secondo  «una  visione  massimamente
pluralistica dell'ordinamento, riconoscendone una  propria  autonomia
che si estrinseca nella potesta' statutaria, nell'esercizio di poteri
e funzioni autonome secondo i principi fissati  dalla  Costituzione»)
quanto anche con l'art. 118 cost. che fissa i principi costituzionale
a cui  la  legge  deve  attenersi  nell'attribuzione  delle  funzioni
amministrative. 
    La disciplina impugnata crea,  infatti,  due  diverse  classi  di
Comuni con caratteristiche istituzionali diverse, articolando in  tal
modo in maniera rigida, netta e definitiva  un  livello  di  governo,
quello comunale appunto, che l'art. 114 cost. vuole  invece  ispirato
al  principio  di  eguaglianza  e  di  pari  dignita'  istituzionale,
principi validi a maggior ragione con riferimento allo stesso livello
di governo. 
    In altri termini, il quadro costituzionale non tollera una  forma
di differenziazione generale e  onnipervasiva  dei  Comuni,  tale  da
irrigidire in due categorie distinte l'unitaria categoria del  comune
come livello territoriale  di  governo.  E  cio'  tanto  piu'  se  si
considera il ruolo generale riconosciuto  al  Comune,  dal  combinato
disposto degli artt. 114 e 118,  quale  soggetto  titolare  in  prima
istanza  di  ogni  funzione  amministrativa,  proprio   quel   potere
amministrativo  che  in  definitiva  viene  sottratto   dalla   norma
censurata ad una categoria specifica di comuni. 
    Si evidenzia, poi, un ulteriore  profilo  di  incostituzionalita'
della  norma  in   quanto   la   predetta   disciplina   e'   imposta
unilateralmente  dallo  Stato,  cio'  in  violazione   altresi'   del
principio di leale collaborazione di cui all'art. 118 Cost. 
    Infine, la norma in esame appare anche in contrasto con gli artt.
117, comma 3, e 119 Cost., non potendo il legislatore - nel  caso  di
specie - utilmente  invocare  la  propria  competenza  a  determinare
(solo) i principi fondamentali in materia di finanza  pubblica  (come
invece sembra ipotizzarsi dall'esplicito richiamo contenuto al  comma
1), materia  di  competenza  concorrente  regionale,  posto  che,  si
ripete, la normativa in esame ha carattere dettagliato e puntuale (si
vedano in tal senso le sentenze n. 88 del 2006, n. 449 e n.  417  del
2005, n. 36 del 2004; n. 169 del 2007). 
    d) Il comma 16 dell'art. 16 in esame, per la parte in cui prevede
l'alternativita'  delle  forme  associative   possibili,   unione   e
convenzione, rimessa ai  comuni  e  all'apprezzamento  del  Ministero
dell'Interno appare contrastare con il principio di ragionevolezza  e
di  buon  andamento,  cosi'  come  rilevato  nella  risoluzione   del
Consiglio delle Autonomie Locali depositata. 
    Essa, infatti, configura come forme alternative per  la  medesima
gestione onnicomprensiva delle funzioni  e  dei  servizi:  una  forma
associativa configurata come ente, dotato di  propri  organi,  di  un
proprio bilancio, di una propria dimensione territoriale  e  di  ogni
altro elemento costitutivo di una  persona  giuridica;  e  una  forma
associativa estremamente flessibile, variabile nel tempo,  facilmente
modificabile scaduti i  termini  previsti  dalla  legge  per  la  sua
adozione, che comunque non si configura ne'  puo'  configurarsi  come
ente. 
    La discrepanza fra i due modelli e' tale da far ritenere  che  la
norma chela prevede e ne dispone  la  alterita'  risulta  viziata  da
illogicita',  irragionevolezza  e  lesione  del  principio  di   buon
andamento. 
    Non sembra potersi sostenere  che  due  forme  associative  cosi'
diverse  possano  svolgere  con  efficacia  ed  effetti  analoghi  il
medesimo compito di assicurare la gestione di tutte le funzioni e  di
tutti i servizi dei comuni che ne fanno parte, secondo le modalita' e
i vincoli previsti dall'articolo  in  questione.  Cio'  evidentemente
incide  anche  sulle  funzioni  di  competenza  regionale  ai   sensi
dell'art. 117, commi 3 e 4, Cost. 
    Si rileva pertanto per questo profilo la violazione dei  principi
di ragionevolezza e di buon andamento ai sensi degli  artt.  3  e  97
cost. anche in relazione all'art. 117, commi 3 e 4 Cost. 
        e) Infine si rileva l'incostituzionalita': 
    del comma 17 lett. a) dell'art. 16,  che  ridefinisce  il  numero
degli organi  e  dei  loro  componenti  rispetto  ai  comuni  fino  a
diecimila abitanti, articolandone numero e  composizione  sulla  base
delle  soglie  demografiche,  stabilendo  che  quelli  fino  a  mille
abitanti hanno solo consiglio e sindaco; 
    dei commi 19, 20, 21 i  quali  pongono  vincoli  di  orari  e  di
modalita' di svolgimento delle sedute  degli  organi  collegiali  dei
comuni fino a quindicimila abitanti; 
    In particolare, l'art. 16, comma 17 lett. a), nella parte in  cui
non prevede piu' la giunta municipale  per  i  comuni  fino  a  mille
abitanti, anche ove detti  Comuni  esercitino  le  loro  funzioni  in
convenzione, appare in contrasto con il principio  di  ragionevolezza
di cui all'art. 3 cost. e con il principio di buon andamento ai sensi
dell'art. 97, anche in relazione alle competenze  regionali  ex  art.
117, commi 3 e 4, Cost., in  quanto  incide  sulla  funzionalita'  di
dette forme associative e quindi  sullo  svolgimento  delle  funzioni
amministrative che la Regione ha attribuito ai comuni.  E'  evidente,
infatti, che la Convenzione ex art. 30 TUEL e' una  forma  flessibile
di gestione associata, che non ha un  organo  esecutivo  per  cui  e'
illogico eliminare gli esecutivi dei singoli comuni. 
    Infine, con riferimento ai commi 19, 20, 21, che pongono  vincoli
in ordine  alle  modalita'  temporali  e  alle  sedute  degli  organi
collegiali di governo degli enti territoriali, si  osserva  che  essi
ledono la autonomia organizzativa dei comuni, cio' in  contrasto  con
l'art. 117, sesto comma, ultima parte, cost. che recita «i comuni, le
province, le citta' metropolitane  hanno  potesta'  regolamentare  in
ordine alla disciplina della loro organizzazione e dello  svolgimento
delle funzioni loro attribuite»; in ogni caso la disciplina di cui ai
commi 19, 20 e 21 in esame incide in  materia  di  ordinamento  degli
enti locali di competenza esclusiva regionale ai sensi dell'art. 117,
comma 4, Cost. 
    6) Illegittimita' costituzionale dell'art. 16,  comma  16,  nella
parte  in  cui  prevede  un  controllo  statale  sulla  efficacia  ed
efficienza della  gestione  delle  forme  associative  diverse  dalle
Unioni di Comuni, per violazione degli artt. 114 e 117, commi 3 e  4,
118 e 119 Cost., nonche' del principio di leale collaborazione. 
    Il comma 16 dell'art. 16 viola ulteriormente gli artt. 114 e 117,
comma 4, cost. in quanto «reintroduce»  un  controllo  statale  sulla
efficacia  ed  efficienza  della  gestione  delle  forme  associative
diverse dalle Unioni. In particolare, la  norma  dopo  aver  previsto
l'esenzione dall'obbligo di associarsi in Unione di cui  al  comma  1
per quei comuni che, alla  data  del  30  settembre  2012,  risultino
esercitare le funzioni amministrative e i servizi pubblici di cui  al
medesimo comma 1 (quindi anche in ambiti  di  competenza  legislativa
regionale) mediante convenzione ai sensi  dell'art.  30  del  decreto
legislativo n. 267 del 2000, stabilisce che «Ai fini di cui al  primo
periodo, tali comuni trasmettono al Ministero dell'interno, entro  il
15 ottobre 2012,  un'attestazione  comprovante  il  conseguimento  di
significativi livelli di  efficacia  ed  efficienza  nella  gestione,
mediante convenzione, delle rispettive attribuzioni. Con decreto  del
Ministro dell'interno, da adottare  entro  tre  mesi  dalla  data  di
entrata in vigore della legge di conversione  del  presente  decreto,
sono determinati contenuti e modalita' delle attestazioni di  cui  al
secondo periodo. Il Ministero dell'interno, previa valutazione  delle
attestazioni ricevute, adotta  con  proprio  decreto,  da  pubblicare
entro il 30 novembre 2012 nel proprio  sito  internet,  l'elenco  dei
comuni obbligati e di quelli esentati dall'obbligo di  cui  al  comma
1». 
    Il controllo ministeriale ivi  previsto  evidentemente  contrasta
innanzitutto con  lo  spirito  della  modifica  del  Titolo  V  della
Costituzione, con il quale sono state soppresse le  funzioni  statali
di controllo sugli Enti locali in ragione della rafforzata  autonomia
prevista oggi dall'art. 114 cost. ed in ogni caso la  norma  prevede,
in via unilaterale e senza delineare alcun ruolo  delle  Regioni,  un
inammissibile controllo sulle forme associative di  enti  locali,  la
cui disciplina - come visto - e' riservata alla competenza  esclusiva
delle regioni; cio' in violazione dell'art. 117,  comma  4,  cost.  e
dell'art. 118 cost. nonche' del principio di leale collaborazione. 
    A seguito della riforma  del  Titolo  V  della  Costituzione,  la
materia dei controlli e' estranea alla sfera  di  competenza  statale
essendo riservata alla potesta' legislativa regionale  e/o  a  quella
regolamentare degli enti locali; conformemente a detta tesi la  Corte
costituzionale ha  affermato  la  legittimita'  costituzionale  delle
(sole) norme che disciplinano «gli obblighi di trasmissione  di  dati
(rectius  alla  Corte  dei  Conti)  finalizzati   a   consentire   il
funzionamento del sistema dei controlli sulla finanza di  regioni  ed
enti locali, riconducendole ai principi fondamentali di coordinamento
della finanza pubblica, con  funzione  regolatrice  della  cosiddetta
"finanza pubblica allargata", allo scopo di  assicurare  il  rispetto
del patto di stabilita'» (sentenza n. 417/2005). 
    Non puo' superare il vaglio  di  costituzionalita',  invece,  una
norma  -  come  e'  quella  in  esame  -  che  prevede  una  puntuale
valutazione da parte  del  Ministero  degli  Interni  della  gestione
svolta dagli enti locali tramite le convenzioni  ex  art.  30  d.lgs.
267/2000. 
    L'intervento statale de quo non si giustifica neppure  alla  luce
della nella competenza statale a definire dei  principi  fondamentali
in tema di coordinamento della finanza  pubblica.  La  disciplina  e'
infatti una disciplina di dettaglio e sotto questo profilo si profila
l'ulteriore violazione dell'art. 117, comma 3 e 119  Cost.  (cfr.  in
tal senso la gia' citata sentenza della Corte costituzionale  n.  237
del 2009). 
    7) Illegittimita' costituzionale dell'art. 16,  comma  28,  nella
parte  in  cui  autorizza  l'esercizio  di  un   potere   sostitutivo
straordinario da parte del Prefetto, cio'  in  contrasto  con  l'art.
117, commi 3 e 4, e con l'art. 120, comma 2, Cost. 
    Infine appare lesivo anche il comma 28 dell'art. 16 in parola, il
quale dispone che «Al  fine  di  verificare  il  perseguimento  degli
obiettivi di semplificazione e di  riduzione  delle  spese  da  parte
degli enti locali, il prefetto  accerta  che  gli  enti  territoriali
interessati  abbiano  attuato,  entro  i  termini  stabiliti,  quanto
previsto dall'articolo 2, comma  186,  lettera  e),  della  legge  23
dicembre 2009, n. 191, e successive  modificazioni,  e  dall'articolo
14, comma 32, primo periodo, del citato decreto-legge n. 78 del 2010,
come da ultimo modificato dal comma 27  del  presente  articolo.  Nel
caso in cui,  all'esito  dell'accertamento,  il  prefetto  rilevi  la
mancata attuazione di quanto previsto dalle disposizioni  di  cui  al
primo periodo, assegna agli enti inadempienti un  termine  perentorio
entro il quale provvedere. Decorso inutilmente detto  termine,  fermo
restando quanto previsto  dal  secondo  periodo,  trova  applicazione
l'articolo 8, commi 1, 2, 3 e 5 della legge 5 giugno 2003, n.  131.»:
la norma prevede un potere sostitutivo dello Stato, allocato in  capo
ai prefetti, al di fuori dello schema di cui all'art. 120,  comma  2,
cost. e comunque ben al di  la'  dei  limiti  stabiliti  dalla  Corte
costituzionale con la sentenza n. 43/2004. 
    Con  la  su  richiamata  sentenza,  la  Corte  costituzionale  ha
chiarito innanzitutto che il potere  sostitutivo  previsto  ai  sensi
dell'art.  120,  secondo  comma,  Cost.,  dovendosi   rispettare   la
posizione  di  autonomia   costituzionalmente   garantita   dell'ente
sostituendo,  ha  carattere  eccezionale  e  quindi  puo'   svolgersi
esclusivamente nelle ipotesi  tassativamente  indicate  nello  stesso
articolo. 
    Osserva la Corte «Il nuovo articolo  120,  secondo  comma,  della
Costituzione si inserisce  in  questo  contesto,  con  la  previsione
esplicita del potere del  Governo  di  "sostituirsi  a  organi  delle
Regioni, delle Citta' metropolitane, delle Province e dei Comuni"  in
determinate ipotesi, sulla base di presupposti che  vengono  definiti
nella stessa norma costituzionale. L'ultimo periodo del comma prevede
che sia la legge a  definire  le  procedure,  relative  evidentemente
all'esercizio dei poteri sostitutivi previsti dal periodo precedente. 
    La  nuova  norma  deriva  palesemente  dalla  preoccupazione   di
assicurare comunque, in un sistema di  piu'  largo  decentramento  di
funzioni quale quello delineato dalla  riforma,  la  possibilita'  di
tutelare, anche al  di  la'  degli  specifici  ambiti  delle  materie
coinvolte   e   del   riparto   costituzionale   delle   attribuzioni
amministrative, taluni  interessi  essenziali  -  il  rispetto  degli
obblighi    internazionali    e    comunitari,    la     salvaguardia
dell'incolumita' e della sicurezza pubblica, la tutela  in  tutto  il
territorio  nazionale  dei  livelli  essenziali   delle   prestazioni
concernenti  i  diritti  civili  e   sociali   -   che   il   sistema
costituzionale attribuisce alla  responsabilita'  dello  Stato  (cfr.
infatti  l'articolo  117,  quinto   comma,   ultimo   inciso,   della
Costituzione,  per  gli   obblighi   internazionali   e   comunitari;
l'articolo 117, secondo comma, lettere h) e m),  rispettivamente  per
l'ordine e la sicurezza pubblica e per  i  livelli  essenziali  delle
prestazioni  concernenti  i  diritti  civili   e   sociali).   Quanto
all'unita' giuridica" e all'"unita' economica", quale che ne  sia  il
significato (che qui non occorre indagare),  si  tratta  all'evidenza
del richiamo ad interessi "naturalmente"  facenti  capo  allo  Stato,
come  ultimo   responsabile   del   mantenimento   della   unita'   e
indivisibilita' della  Repubblica  garantita  dall'articolo  5  della
Costituzione.[...] l'articolo 120, secondo  comma,  prevede  solo  un
potere sostitutivo straordinario, in capo al Governo, da  esercitarsi
sulla base dei presupposti  e  per  la  tutela  degli  interessi  ivi
esplicitamente  indicati   [...]   Il   carattere   straordinario   e
"aggiuntivo" degli interventi governativi previsti dall'articolo 120,
secondo comma, risulta sia dal fatto  che  esso  allude  a  emergenze
istituzionali di  particolare  gravita',  che  comportano  rischi  di
compromissione relativi ad interessi essenziali della Repubblica». 
    E se e'  pur  vero  che  la  Corte  con  la  stessa  sentenza  ha
sottolineato che la norma di cui all'art. 120, secondo  comma,  cost.
«lascia impregiudicata ammissibilita' e la disciplina di  altri  casi
di  interventi  sostitutivi,  configurabili  dalla  legislazione   di
settore, statale o regionale, in capo ad organi dello Stato  o  delle
Regioni o di altri enti territoriali, in correlazione con il  riparto
delle funzioni amministrative da essa realizzato  e  con  le  ipotesi
specifiche che li possano rendere  necessari»,  la  stessa  Corte  ha
chiarito che «Poiche'  pero',  come  si  e'  detto,  tali  interventi
sostitutivi  costituiscono  una   eccezione   rispetto   al   normale
svolgimento di attribuzioni dei Comuni de mite dalla le e sulla  base
di criteri o assistiti da garanzia costituzionale, debbono valere nei
confronti di essi condizioni e limiti non  diversi  (essendo  fondati
sulla medesima ragione  costituzionale)  da  quelli  elaborati  nella
ricordata giurisprudenza di  questa  Corte  in  relazione  ai  poteri
sostitutivi dello Stato nei confronti delle Regioni. 
    In primo luogo, le ipotesi di  esercizio  di  poteri  sostitutivi
debbono essere previste e disciplinate dalla legge (cfr. sentenza  n.
338 del  1989),  che  deve  definirne  i  presupposti  sostanziali  e
procedurali. 
    In secondo luogo, la sostituzione puo' prevedersi  esclusivamente
per il compimento di atti o di attivita' "prive  di  discrezionalita'
nell'an (anche se  non  necessariamente  nel  quid  o  nel  quomodo)"
(sentenza n. 177 del 1988), la cui obbligatorieta'  sia  il  riflesso
degli interessi unitari alla cui salvaguardia  provvede  l'intervento
sostitutivo: e cio' affinche'  essa  non  contraddica  l'attribuzione
della funzione amministrativa all'ente locale sostituito. 
    Il potere sostitutivo deve essere poi esercitato da un organo  di
governo della Regione o sulla base di una decisione di  questo  (cfr.
sentenze n. 460 del 1989, n. 342 del 1994, n. 313 del 2003): cio' che
e'  necessario  stante  l'attitudine  dell'intervento   ad   incidere
sull'autonomia, costituzionalmente rilevante, dell'ente sostituito. 
    La legge deve, infine, apprestare congrue garanzie procedimentali
per l'esercizio del potere sostitutivo, in conformita'  al  principio
di leale collaborazione (cfr. ancora sentenza n. 177 del 1988), non a
caso espressamente richiamato anche dall'articolo 120, secondo comma,
ultimo periodo, della Costituzione a proposito del potere sostitutivo
"straordinario"  del  Governo,  ma  operante  piu'  in  generale  nei
rapporti fra enti dotati di autonomia  costituzionalmente  garantita.
Dovra' dunque prevedersi un procedimento nel quale l'ente  sostituito
sia comunque messo in grado di  evitare  la  sostituzione  attraverso
l'autonomo adempimento, e di interloquire nello  stesso  procedimento
(cfr. sentenze n. 153 del 1986, n. 416 del 1995; ordinanza n. 53  del
2003)» (nello stesso senso si vedano le  sentenze  n.  69/2004  e  n.
165/2011). 
    Ebbene,  alla  luce  dell'orientamento   espresso   dalla   Corte
costituzionale con le su citate pronunce, e' di tutta  evidenza  come
il comma 28  in  esame  non  e'  conforme  alla  Costituzione  ed  in
particolare contrasta con l'art. 120, comma  2,  anche  in  combinato
disposto con l'art. 117, commi 3 e 4, cost. Non solo  si  prevede  un
potere sostitutivo in assenza dei presupposti tassativamente indicati
dall'art. 120, comma 2, Cost., ma si ammette l'esercizio  del  potere
sostitutivo da parte dello Stato con riguardo a materie  che  esulano
dalla competenza statale, essendo gli obblighi invocati  dalla  norma
in parola (il cui inadempimento sta alla base del potere  sostitutivo
di cui si tratta) riconducibili nell'ambito materiale  di  competenza
esclusiva delle Regioni, con  particolare  riferimento  alla  materia
ordinamento degli enti locali, cio' in ulteriore violazione dell'art.
117, commi 3 e 4 Cost. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Si conclude affinche'  piaccia  all'ecc.ma  Corte  costituzionale
dichiarare l'illegittimita' costituzionale degli  art.  3,  comma  4;
art. 5-bis; art. 8, commi 1, 2 e 2-bis; art. 11 e art.16, commi 1, 3,
4, 5, 7, 8, da 10 a 15, 16, 17 lett. a) nonche' commi da 19  a  21  e
comma 28, del decreto-legge n. 138/2011, cosi' come convertito  dalla
legge di conversione 14 settembre 2011 n. 148, per  violazione  degli
artt. 3; 39; 97; 114; 117, commi 2 lett. p), 3 e 4;  118;  119;  120,
comma 2, e 133, comma 2, cost. anche sotto il profilo  di  violazione
del principio della leale cooperazione. 
    Si deposita la risoluzione del Consiglio delle  Autonomie  locali
della Toscana del 3 novembre 2011 (doc. n.  1)  nonche'  le  delibere
della Giunta Regionale n. 833 del 3 ottobre  2011  e  n.  962  del  9
novembre 2011. 
        Firenze-Roma, addi' 10 novembre 2011 
 
                            L'avv.: Bora