N. 143 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 23 novembre 2011

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 23 novembre 2011 (della Regione Trentino-Alto Adige). 
 
Regioni a statuto speciale - Finanza regionale -  Riserva  all'erario
  statale delle maggiori entrate derivanti dall'accisa  sui  tabacchi
  lavorati  e  da  altre  entrate  tributarie  previste  dal  decreto
  impugnato nonche' dalla lotta all'evasione fiscale - Previsione  di
  un  decreto   ministeriale   che   stabilisca   le   modalita'   di
  individuazione   del   maggior   gettito,    attraverso    separata
  contabilizzazione - Contrasto  con  il  contenuto  e  le  modalita'
  procedurali di cui all'accordo Stato-Regione Trentino-Alto Adige in
  attuazione del «federalismo fiscale», quale prefigurato dalla legge
  delega n.  42  del  2009,  lamentata  deroga  con  legge  ordinaria
  unilaterale al sistema di concorso della Regione agli obiettivi  di
  finanza pubblica, indebita sottrazione all'erario  regionale  delle
  entrate gia' di sua spettanza derivanti dalla  lotta  all'evasione,
  mancata  previsione  di   intesa   -   Ritenuta   possibilita'   di
  interpretare   le   norme   censurate   nel   senso   della    loro
  inapplicabilita' alle Province autonome  -  Ricorso  della  Regione
  Trentino-Alto  Adige   -   Denunciata   violazione   dell'autonomia
  finanziaria speciale della Regione Trentino-Alto Adige,  violazione
  dei principi di leale collaborazione e ragionevolezza. 
- Decreto-legge   13   agosto   2011,   n.   138,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148, art. 2, commi
  3, ultimo periodo, e 36. 
- Statuto della Regione Trentino-Alto Adige, artt. 69, comma 2, lett.
  c) e b), 79, 103, 104 e 107; legge 23 dicembre 2009, n.  191,  art.
  2, commi 107-125; d.lgs. 16 marzo 1992,  n.  268,  artt.  9,  10  e
  10-bis. 
Regioni a statuto speciale - Disposizioni sui consiglieri regionali -
  Determinazione del numero massimo dei consiglieri e degli assessori
  regionali, previsione di un limite massimo degli emolumenti e delle
  indennita', commisurazione del trattamento economico alla effettiva
  partecipazione  ai   lavori   del   Consiglio,   introduzione   del
  trattamento previdenziale contributivo, istituzione e disciplina di
  un organo regionale denominato «Collegio dei revisori dei conti»  -
  Necessita' di adeguamento anche per le Regioni a  statuto  speciale
  ai  fini  dell'applicazione  di  misure  premiali  o  sanzionatorie
  previste dalla normativa vigente - Contrasto con lo speciale regime
  organizzativo e finanziario riconosciuto alla Regione Trentino-Alto
  Adige, deroga unilaterale con fonte ordinaria a norme statutarie  -
  Ricorso della Regione Trentino-Alto Adige -  Denunciata  violazione
  della speciale autonomia organizzativa e finanziaria della Regione,
  violazione dei principi di leale collaborazione e ragionevolezza. 
- Decreto-legge   13   agosto   2011,   n.   138,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 14 agosto 2011, n. 148, art.  14,  comma
  2. 
- Costituzione, artt. 117, comma sesto, e 119;  legge  costituzionale
  18 ottobre 2001, n. 3, art. 10; statuto della Regione Trentino-Alto
  Adige, artt. 4, n.1, 25, 36, 48, 79, 103,  104  e  107;  d.lgs.  16
  marzo 1992, n. 266, art. 2; d.P.R. 15 luglio 1988, n. 305, artt. 2,
  6 e 10. 
(GU n.54 del 28-12-2011 )
della regione Trentino-Alto Adige/Autonome  region  Trentino-Südtirol
(codice fiscale n. 80003690221),  in  persona  del  Presidente  della
Giunta  regionale  pro-tempore  Lorenzo   Dellai,   autorizzato   con
deliberazione della Giunta regionale n. 237 del 26 ottobre 2011 (doc.
1), rappresentata e difesa, come da procura speciale numero rep. 3028
del 4 novembre 2011 (doc. 2), rogata dall'avv. Edith Engl,  ufficiale
rogante della Regione, dal prof. avv. Giandomenico Falcon  di  Padova
(codice fiscale n. FLCGDM45C06L736E) e dall'avv. Luigi Manzi di  Roma
(codice fiscale n. MNZLGU34E15H501Y),  con  domicilio  eletto  presso
quest'ultimo in Roma, via Confalonieri n. 5, contro il Presidente del
Consiglio  dei  Ministri  per  la  dichiarazione  di   illegittimita'
costituzionale: 
        dell'art. 2, comma 3, ultimo periodo, e comma 36, se ritenuti
applicabili alla Regione; 
        dell'art. 14, comma 2, 
del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito nella  legge  14
settembre 2011, n. 148, conversione in legge, con modificazioni,  del
decreto-legge 13  agosto  2011,  n.  138,  recante  ulteriori  misure
urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo.  Delega
al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio
degli uffici giudiziari, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  n.  216
del 16 settembre 2011, per violazione: 
        degli articoli 4, n. 1, 25, 36 e 48 dello Statuto speciale; 
        del Titolo VI dello Statuto speciale, e in particolare  degli
articoli 69 e 79; 
        degli articoli 103, 104 e 107 del medesimo Statuto speciale; 
        delle relative norme di attuazione, tra le quali  il  decreto
legislativo 16 marzo 1992,  n.  266  (in  particolare,  art.  2),  il
decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (in particolare articoli 9,
10 e 10-bis), ed il decreto del Presidente della repubblica 15 luglio
1988, n. 305; 
        dell'art.  117,  comma  6,  Cost.,  dell'art.  119  Cost.   e
dell'art. 10 1. cost. n. 3/2001; 
        nonche'   dei   principi   di    leale    collaborazione    e
ragionevolezza, 
per i profili di seguito illustrati. 
 
                                Fatto 
 
    Il  presente  ricorso  riguarda   due   distinti   ambiti   delle
disposizioni  di  cui  al  decreto-legge  13  agosto  2011,  n.  138,
convertito nella legge 14 settembre 2011, n. 148: da  un  lato  -  se
ritenute applicabili alla Regione  -  le  disposizioni  dell'art.  2,
comma 3, ultimo periodo, e comma 36, relative alla riserva all'erario
statale  delle  maggiori  entrate  derivanti  dal   decreto   stesso,
dall'altro l'applicazione alla Regione delle  disposizioni  dell'art.
14, comma 1, relative ai consiglieri regionali  e  ad  altri  aspetti
dell'organizzazione regionale, nei termini in cui  essa  e'  disposta
dal comma 2 dello stesso articolo. 
    Quanto alla riserva delle entrate all'erario, conviene  in  primo
luogo ricordare lo speciale regime  di  autonomia  finanziaria  della
Regione autonoma Trentino-Alto  Adige,  disciplinato  dal  Titolo  VI
dello Statuto di autonomia. 
    In particolare, l'art. 69  stabilisce  che  «sono  devoluti  alla
regione  i  proventi  delle  imposte  ipotecarie  percette  nel   suo
territorio,  relative  ai  beni  situati  nello  stesso»  (comma  1).
Inoltre, in base al comma 2, «sono altresi' devolute alla regione  le
seguenti quote del gettito  delle  sottoindicate  entrate  tributarie
dello Stato, percette nel territorio  regionale:  a)  i  nove  decimi
delle imposte sulle  successioni  e  donazioni  e  sul  valore  netto
globale delle successioni; b) i due decimi  dell'imposta  sul  valore
aggiunto, esclusa quella relativa all'importazione  ...;  c)  i  nove
decimi del provento del lotto, al netto delle vincite». 
    Accanto a tale  attribuzione  di  entrate,  il  Titolo  VI  dello
Statuto regola anche altri profili dell'autonomia  finanziaria  della
Regione: e per molti di tali  profili  la  disciplina  statutaria  e'
stata da poco modificata per meglio armonizzare la speciale autonomia
della Regione Trentino-Alto Adige e delle Province autonome di Trento
e di Bolzano con le esigenze della situazione finanziaria dello Stato
italiano,  anche  nel  quadro  degli  impegni   assunti   nell'ambito
dell'Unione  europea,  e  per  tenere   conto   delle   esigenze   di
solidarieta'  derivanti  anche  dalla  attuazione  del   «federalismo
fiscale», quale prefigurato dalla legge di delega n. 42 del 2009. 
    Le modifiche hanno formato oggetto di uno specifico  accordo  tra
lo Stato e la Regione e le Province autonome, e sono state  adottate,
con  la  procedura  di  cui  all'art.  104  dello  Statuto  speciale,
attraverso l'art. 2, commi da 107 a 125, della legge n. 191 del 2009.
In particolare, il comma 107, lettera h) della legge n.  191/2009  ha
introdotto un nuovo testo dell'art. 79 dello Statuto,  il  quale  ora
stabilisce al comma 1 che «la regione e  le  province  concorrono  al
conseguimento degli obiettivi di perequazione  e  di  solidarieta'  e
all'esercizio dei diritti e dei doveri dagli stessi derivanti nonche'
all'assolvimento  degli  obblighi  di  carattere  finanziario   posti
dall'ordinamento comunitario, dal patto di stabilita' interno e dalle
altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite  dalla
normativa statale» nei modi che di seguito sono elencati e descritti. 
    Il comma 2 dell'art. 79 aggiunge che «le misure di cui al comma 1
possono essere modificate esclusivamente con  la  procedura  prevista
dall'art. 104 e fino alla loro eventuale modificazione  costituiscono
il concorso agli obiettivi di finanza pubblica di cui al comma 1». 
    Il comma 3 dispone poi che, «al fine di  assicurare  il  concorso
agli  obiettivi  di  finanza  pubblica,  la  regione  e  le  province
concordano con il Ministro dell'economia e delle finanze gli obblighi
relativi al patto di stabilita' interno con riferimento ai  saldi  di
bilancio da conseguire in ciascun periodo». 
    Il comma  4  ribadisce  che  «le  disposizioni  statali  relative
all'attuazione degli obiettivi di  perequazione  e  di  solidarieta',
nonche' al rispetto degli obblighi derivanti dal patto di  stabilita'
interno, non trovano applicazione con riferimento alla regione e alle
province e sono in  ogni  caso  sostituite  da  quanto  previsto  dal
presente articolo». 
    Infine, per i  rapporti  con  le  norme  statali  che  non  siano
direttamente misure di finanza pubblica, lo stesso  comma  4  precisa
che  «la  regione  e  le  province  provvedono  alle   finalita'   di
coordinamento  della  finanza  pubblica   contenute   in   specifiche
disposizioni  legislative   dello   Stato,   adeguando   la   propria
legislazione ai principi costituenti limiti ai sensi degli articoli 4
e 5», cioe' secondo le regole ordinarie dei rapporti tra legislazione
regionale e legislazione statale. 
    Le previsioni del sopra citato art. 69 dello Statuto  sono  state
completate e meglio definite dalle norme  di  attuazione  di  cui  al
decreto legislativo n. 268/1992. Per quanto qui rileva, l'art.  9  di
tale decreto dispone che «il gettito derivante  da  maggiorazioni  di
aliquote o dall'istituzione di nuovi tributi, se destinato per legge,
per finalita' diverse da quelle di cui al comma 6 dell'art. 10  e  al
comma 1, lettera b),  dell'art.  10-bis,  alla  copertura,  ai  sensi
dell'art.  81  della  Costituzione,  di  nuove  specifiche  spese  di
carattere  non  continuativo  che  non  rientrano  nelle  materie  di
competenza della  regione  o  delle  province,  ivi  comprese  quelle
relative a calamita'  naturali,  e'  riservato  allo  Stato,  purche'
risulti    temporalmente    delimitato,    nonche'     contabilizzato
distintamente nel  bilancio  statale  e  quindi  quantificabile»;  si
aggiunge poi che «fuori dei casi contemplati nel presente articolo si
applica quanto disposto dagli articoli 10 e 10-bis». 
    L'art. 10 regola la quota variabile  di  cui  all'art.  78  dello
Statuto (ora soppressa; essa, comunque, riguardava solo le  province)
ed il comma 6 stabilisce che «una quota del previsto  incremento  del
gettito tributario,  escludendo  comunque  gli  incrementi  derivanti
dall'evoluzione  tendenziale,  spettante  alle  province  autonome  e
derivante dalle manovre correttive di finanza pubblica previste dalla
legge finanziaria e dai  relativi  provvedimenti  collegati,  nonche'
dagli altri provvedimenti legislativi aventi le medesime finalita'  e
non considerati ai fini della  determinazione  dell'accordo  relativo
all'esercizio finanziario precedente, da  valutarsi  al  netto  delle
eventuali   previsioni   di   riduzione   di   gettito    conseguenti
all'applicazione  di   norme   connesse,   puo'   essere   destinata,
limitatamente agli esercizi previsti dall'accordo, al  raggiungimento
degli obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica  previsti  dai
precedenti provvedimenti». 
    A sua volta, l'art. 10-bis dispone che «entro la data di  cui  al
comma 2 dell'art. 10 e' altresi' definito l'accordo tra il Governo  e
il presidente della giunta regionale che individua: a)  la  quota  da
destinare al bilancio dello Stato del gettito tributario derivante da
maggiorazioni di aliquote di  tributi  o  dall'istituzione  di  nuovi
tributi, se destinato per legge alla copertura, ai sensi dell'art. 81
della Costituzione,  delle  spese  di  cui  all'art.  9,  qualora  il
predetto  gettito  non  risulti  distintamente   contabilizzato   nel
bilancio dello Stato, ovvero temporalmente delimitato; b) l'eventuale
quota delle spese derivanti  dall'esercizio  delle  funzioni  statali
delegate alla regione, che rimane a carico del bilancio della regione
medesima, in relazione alle disposizioni di cui al comma 6  dell'art.
10, da determinarsi nei limiti del previsto  incremento  del  gettito
tributario derivante dalle manovre correttive  di  finanza  pubblica,
nonche' tenuto conto della quota di cui alla lettera a)». 
    Sulla base  di  tali  premesse  e  regole,  la  Regione  autonoma
Trentino-Alto Adige deve contestare - almeno in via cautelativa, come
di seguito meglio si dira' - la legittimita' costituzionale dei commi
3 e 36 dell'art. 2 del decreto-legge n. 138/2011, inserito nel Titolo
I,  Disposizioni  per  la  stabilizzazione  finanziaria,  che   detta
Disposizioni in materia di entrate. 
    Il comma 3 riguarda le entrate derivanti da giochi pubblici. 
    Esso statuisce in primo luogo che «il Ministero  dell'economia  e
delle finanze - Amministrazione autonoma dei monopoli  di  Stato  ...
emana tutte le disposizioni in materia di giochi  pubblici  utili  al
fine di assicurare maggiori entrate, potendo tra  l'altro  introdurre
nuovi giochi, indire nuove lotterie, anche ad estrazione  istantanea,
adottare nuove modalita' di  gioco  del  Lotto,  nonche'  dei  giochi
numerici a totalizzazione  nazionale,  variare  l'assegnazione  della
percentuale della posta di gioco a montepremi  ovvero  a  vincite  in
denaro, la misura del prelievo erariale unico, nonche' la percentuale
del compenso per le attivita' di gestione ovvero per quella dei punti
vendita». 
    Stabilito  poi  il  possibile  aumento  dell'aliquota   di   base
dell'accisa sui tabacchi lavorati, si precisa che «l'attuazione delle
disposizioni del presente comma assicura maggiori entrate  in  misura
non inferiore a 1.500 milioni di euro  annui  a  decorrere  dall'anno
2012» e di seguito dispone che «le  maggiori  entrate  derivanti  dal
presente comma sono integralmente attribuite allo Stato». 
    Dunque, quest'ultima norma riserva integralmente  allo  Stato  le
maggiori entrate derivanti dalle nuove  disposizioni  in  materia  di
giochi pubblici emanate al fine di assicurare maggiori  entrate,  fra
le quali quelle relative al gioco del Lotto. 
    Mentre il comma 3 ha lo specifico oggetto  sopra  illustrato,  il
comma 36 dell'art.  3  si  riferisce  a  tutte  le  maggiori  entrate
derivanti dalle disposizioni del decreto legislativo n. 149 del 2011,
come quelle derivanti dall'art. 2  (che  aumenta  l'aliquota  IVA  al
21%). 
    In termini generali,  infatti,  esso  dispone  che  «le  maggiori
entrate derivanti dal presente decreto sono riservate all'Erario, per
un periodo  di  cinque  anni,  per  essere  destinate  alle  esigenze
prioritarie di raggiungimento degli  obiettivi  di  finanza  pubblica
concordati in sede europea,  anche  alla  luce  della  eccezionalita'
della situazione economica internazionale»,  aggiungendo  in  termini
attuativi che «con apposito decreto  del  Ministero  dell'economia  e
delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata
in vigore della legge  di  conversione  del  presente  decreto,  sono
stabilite  le  modalita'  di  individuazione  del  maggior   gettito,
attraverso separata contabilizzazione». 
    Ancora, il comma 36 prevede che, «a partire  dall'anno  2014,  il
Documento di economia  e  finanza  conterra'  una  valutazione  delle
maggiori entrate derivanti, in termini permanenti, dall'attivita'  di
contrasto all'evasione», e di seguito  dispone  che  «dette  maggiori
entrate, al netto di quelle necessarie al mantenimento  del  pareggio
di bilancio ed alla riduzione del debito, confluiranno  in  un  Fondo
per la  riduzione  strutturale  della  pressione  fiscale  e  saranno
finalizzate  alla  riduzione  degli  oneri  fiscali  e   contributivi
gravanti sulle famiglie e sulle imprese». 
    Anche il comma 36, dunque, riserva allo Stato le maggiori entrate
di natura tributaria risultanti o dalle  nuove  norme  contenute  nel
decreto o dalla lotta all'evasione. 
    Peraltro, l'art. 19-bis dello stesso  decreto-legge  n.  138/2011
dispone che «l'attuazione delle  disposizioni  del  presente  decreto
nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di  Trento
e di Bolzano avviene nel rispetto dei loro statuti e  delle  relative
norme di attuazione e secondo  quanto  previsto  dall'art.  27  della
legge 5 maggio 2009, n. 42». 
    Il comma  1  di  quest'ultima  disposizione  stabilisce  che  «le
regioni a statuto speciale e le province  autonome  di  Trento  e  di
Bolzano,  nel  rispetto  degli  statuti   speciali,   concorrono   al
conseguimento degli obiettivi di perequazione e  di  solidarieta'  ed
all'esercizio dei diritti e doveri  da  essi  derivanti,  nonche'  al
patto di stabilita' interno e all'assolvimento degli  obblighi  posti
dall'ordinamento comunitario, secondo criteri e  modalita'  stabiliti
da norme di attuazione dei rispettivi statuti, da  definire,  con  le
procedure previste  dagli  statuti  medesimi,  entro  il  termine  di
ventiquattro mesi stabilito per l'emanazione dei decreti  legislativi
di cui all'art. 2 e secondo il principio del graduale superamento del
criterio della spesa storica di cui all'art. 2, comma 2, lettera m)». 
    Non e' esclusa, dunque, un'interpretazione delle disposizioni  in
questione nel senso che la riserva all'Erario non operi per le  somme
relative   alla    regione    Trentino-Alto    Adige.    Nel    senso
dell'interpretazione  «adeguatrice»  potrebbe   far   concludere   il
principio di specialita',  confortato  anche  da  quanto  considerato
nella sentenza di codesta Corte n. 152  del  2011,  che  ha  ritenuto
l'applicabilita' anche nella Regione  siciliana  di  norme  simili  a
quelle qui  impugnate,  che  riservavano  all'erario  il  gettito  di
tributi  compartecipati  dalla  regione  Sicilia,   «posto   che   il
decreto-legge  in  esame  non  contiene  alcuna  formula  che   possa
configurarsi quale clausola di salvaguardia delle attribuzioni  delle
regioni  ad  autonomia  speciale»:  clausola  che  invece,  come  ora
esposto, in questo caso esiste. 
    Tuttavia, la drastica formulazione del comma 3  (secondo  cui  le
maggiori entrate derivanti  dal  presente  comma  sono  integralmente
attribuite allo Stato) e l'assonanza di alcune delle regole del comma
36 con le condizioni che  potrebbero  legittimare  una  riserva  allo
Stato ai sensi dell'art. 9 del decreto legislativo  n.  268/1992  (la
limitazione  della  durata  a  cinque  anni  e  la  contabilizzazione
separata) inducono a temere che l'art. 2, commi 3 e 36, possa  essere
inteso nel senso della riserva allo Stato anche nei  confronti  della
ricorrente Regione autonoma. 
    Ove cosi' intese, le norme in questione sarebbero  illegittime  e
lesive delle prerogative di questa Regione. 
    Il  secondo  aspetto  della  presente  impugnazione  e'  relativo
all'art. 14 del decreto-legge n. 138/2011, che e' inserito nel Titolo
IV,  Riduzione  dei  costi  degli  apparati  istituzionali,   ed   e'
intitolato Riduzione del numero dei consiglieri e assessori regionali
e relative indennita'. Misure premiali. 
    Il comma 1 dispone che, «per  il  conseguimento  degli  obiettivi
stabiliti nell'ambito del coordinamento della  finanza  pubblica,  le
Regioni, ai fini della collocazione nella classe di enti territoriali
piu' virtuosa di cui all'art. 20, comma 3, del decreto-legge 6 luglio
2011, n. 98, convertito, con modificazioni,  dalla  legge  15  luglio
2011, n. 111, oltre al  rispetto  dei  parametri  gia'  previsti  dal
predetto  art.  20,  debbono  adeguare,  nell'ambito  della   propria
autonomia statutaria e  legislativa,  i  rispettivi  ordinamenti»  ad
«ulteriori  parametri»,  che  riguardano:  il  numero   massimo   dei
consiglieri regionali, in proporzione alla popolazione regionale;  il
numero massimo degli assessori regionali, in  proporzione  al  numero
dei consiglieri; la riduzione  dell'indennita'  dei  consiglieri;  la
previsione che il trattamento economico dei consiglieri regionali sia
commisurato all'effettiva  partecipazione  ai  lavori  del  Consiglio
regionale; l'istituzione di un Collegio dei revisori  dei  conti;  il
passaggio al sistema previdenziale  contributivo  per  i  consiglieri
regionali. 
    Tale disposizione riguarda le sole Regioni ordinarie. 
    Tuttavia, in base al comma 2, «l'adeguamento ai parametri di  cui
al comma 1 da parte delle Regioni a Statuto speciale e delle province
autonome  di  Trento  e  di  Bolzano   costituisce   condizione   per
l'applicazione dell'art. 27 della legge 5 maggio  2009,  n.  42,  nei
confronti di quelle Regioni a statuto speciale  e  province  autonome
per le quali lo Stato, ai sensi  del  citato  art.  27,  assicura  il
conseguimento degli obiettivi costituzionali  di  perequazione  e  di
solidarieta', ed elemento di riferimento per l'applicazione di misure
premiali o sanzionatorie previste dalla normativa vigente». 
    L'art. 14, comma 2, dunque, richiama espressamente le  Regioni  a
statuto speciale e, pretendendo  di  imporre  loro  l'adeguamento  ai
parametri fissati nel primo comma, si pone in contrasto con  numerose
norme statutarie e di attuazione. 
    Anche tale  disposizione,  ad  avviso  della  ricorrente  Regione
autonoma, risulta illegittimamente lesiva della propria autonomia. 
 
                               Diritto 
 
    1) Illegittimita' costituzionale dell'art.  2,  comma  3,  ultimo
periodo, e comma 36, se ritenuti applicabili alla Regione. 
    a. Illegittimita' costituzionale dell'art.  2,  comma  3,  ultimo
periodo, e comma 36, primo periodo. 
    Come sopra esposto, l'art. 2, comma 3, decreto-legge n.  138/2011
prevede  che  «il  Ministero  dell'economia   e   delle   finanze   -
Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato  ...  emana  tutte  le
disposizioni  in  materia  di  giochi  pubblici  utili  al  fine   di
assicurare maggiori entrate, potendo  tra  l'altro  introdurre  nuovi
giochi,  indire  nuove  lotterie,  anche  ad  estrazione  istantanea,
adottare nuove modalita' di  gioco  del  Lotto,  nonche'  dei  giochi
numerici a totalizzazione  nazionale,  variare  l'assegnazione  della
percentuale della posta di gioco a montepremi  ovvero  a  vincite  in
denaro, la misura del prelievo erariale unico, nonche' la percentuale
del compenso per le attivita' di gestione ovvero per quella dei punti
vendita»; si aggiunge poi che «l'attuazione  delle  disposizioni  del
presente comma assicura maggiori entrate in misura  non  inferiore  a
1.500 milioni di euro annui a decorrere dall'anno  2012»  e  che  «le
maggiori entrate derivanti  dal  presente  comma  sono  integralmente
attribuite allo Stato». Si e' anche ricordato che, in  base  all'art.
69 dello Statuto, spettano alla Regione «i nove decimi  del  provento
del lotto, al netto delle vincite». 
    Ne risulta chiaramente il contrasto fra l'art. 2, comma 3, ultimo
periodo (qualora ritenuto applicabile  alla  Regione)  e  l'art.  69,
comma 2, lettera  c)  dello  Statuto  speciale.  Mentre  quest'ultima
disposizione riserva alla Regione «i nove  decimi  del  provento  del
Lotto, al  netto  delle  vincite»,  la  norma  impugnata  attribuisce
«integralmente ... allo Stato» le  «maggiori  entrate  derivanti  dal
presente comma». E' da notare che la norma impugnata non contiene una
delimitazione temporale della riserva ne' una destinazione  specifica
delle risorse, dato che il suo  carattere  di  specialita'  induce  a
ritenere che essa prevalga, in relazione ai proventi del Lotto, sulla
disciplina «generale» di cui all'art. 2, comma 36, prima parte. 
    D'altronde anche il comma 36, primo  periodo,  seppur  differente
rispetto al comma 3, ultimo periodo, risulta contrastante con  l'art.
69, comma 2, lettera b), dello Statuto, che riserva alla  Regione  «i
due decimi dell'imposta sul valore aggiunto, esclusa quella  relativa
all'importazione». Esso, infatti, riserva all'Erario, per un  periodo
di cinque anni, «le maggiori entrate derivanti dal presente decreto»,
per destinarle «alle esigenze  prioritarie  di  raggiungimento  degli
obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, anche  alla
luce della eccezionalita' della situazione economica internazionale».
Si rinvia poi ad un  decreto  del  Ministero  dell'economia  e  delle
finanze, per stabilire «le modalita' di  individuazione  del  maggior
gettito, attraverso separata contabilizzazione». 
    Ne'  e'  possibile  sostenere  che  le  norme   censurate   siano
giustificate in virtu' del decreto  legislativo  n.  268/1992.  Esse,
infatti, non rispettano affatto i requisiti posti dall'art. 9 decreto
legislativo n.  268/1992  per  la  riserva  all'Erario  del  «gettito
derivante da maggiorazioni di aliquote o  dall'istituzione  di  nuovi
tributi». Tali requisiti sono stati sintetizzati  dalla  sentenza  di
codesta Corte n. 182/2010, secondo la quale «tale articolo  richiede,
per la legittimita' della riserva statale, che: a) detta riserva  sia
giustificata da «finalita' diverse  da  quelle  di  cui  al  comma  6
dell'art. 10 e al comma 1, lettera b), dell'art. 10-bis» dello stesso
decreto legislativo n. 268 del 1992, e  cioe'  da  finalita'  diverse
tanto dal  «raggiungimento  degli  obiettivi  di  riequilibrio  della
finanza pubblica» (art. 10, comma 6) quanto dalla copertura di «spese
derivanti  dall'esercizio  delle  funzioni  statali   delegate   alla
regione» (art. 10-bis,  comma  1,  lettera  b);  b)  il  gettito  sia
destinato per legge «alla copertura,  ai  sensi  dell'art.  81  della
Costituzione, di nuove specifiche spese di carattere non continuativo
che non rientrano nelle materie di competenza della regione  o  delle
province, ivi comprese quelle relative a calamita' naturali»;  c)  il
gettito  sia  «temporalmente   delimitato,   nonche'   contabilizzato
distintamente nel bilancio statale e quindi quantificabile». 
    L'assenza di tali requisiti e' evidente per  il  gettito  di  cui
all'art. 2, comma 3,  dato  che  mancano  la  destinazione  a  «nuove
specifiche spese di carattere  non  continuativo»,  la  delimitazione
temporale e la contabilita' distinta. Ma anche  il  comma  36,  primo
periodo,  non  rispetta  le  condizioni  poste  dall'art.  9  decreto
legislativo n. 268/1992 e riassunte nella sent. 182/2010. 
    Infatti, la prima parte  del  comma  36  riserva  all'Erario  «le
maggiori entrate derivanti dal presente decreto» (per un  periodo  di
cinque anni, attraverso separata  contabilizzazione)  per  destinarle
«alle esigenze  prioritarie  di  raggiungimento  degli  obiettivi  di
finanza pubblica concordati in sede europea, anche  alla  luce  della
eccezionalita' della situazione economica internazionale». In  questi
termini, la norma censurata ha la medesima finalita' di cui  all'art.
10, comma 6, decreto legislativo n. 268/1992  («raggiungimento  degli
obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica»), il  che  gia'  da
se' esclude la sussistenza del requisito indicato sub a) nella  sent.
182/2010 (che la riserva sia giustificata  da  finalita'  diverse  da
quelle di cui al comma 6 dell'art. 10  e  al  comma  1,  lettera  b),
dell'art. 10-bis» dello stesso decreto legislativo n. 268 del 1992). 
    Ugualmente la disposizione impugnata non  soddisfa  il  requisito
sub b), in quanto il comma 36, prima parte, non destina  le  maggiori
entrate a «nuove specifiche spese»: e'  da  ricordare  che  la  sent.
182/2010 fece salva la norma  impugnata  in  quell'occasione  (l'art.
13-bis, comma 8, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78) proprio  in
quanto essa destinava il gettito dell'imposta «al finanziamento della
ripresa economica, quali: il sostegno alle imprese, anche  attraverso
il finanziamento del fondo di garanzia e l'alleggerimento del  carico
fiscale ...; gli interventi sul mercato del lavoro, anche  attraverso
il finanziamento del fondo per l'occupazione  ...;  il  finanziamento
degli  investimenti   pubblici,   con   particolare   riguardo   alle
infrastrutture e  alle  attivita'  di  ricerca  e  sviluppo  ...;  il
supporto  alle  famiglie,  con  misure  di  salvaguardia  del  potere
d'acquisto,  di  tutela  dei  piccoli  risparmiatori,   di   risposta
all'emergenza abitativa  ...;  il  finanziamento  della  cooperazione
internazionale allo sviluppo ...; il  finanziamento  delle  opere  di
ricostruzione dell'Abruzzo». Si tratta, come si puo' vedere, di spese
e finalita' ben diverse dal mero  e  generale  «raggiungimento  degli
obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea». 
    Escluso che il comma 36, prima parte,  possa  trovare  fondamento
nell'art. 9 decreto legislativo n. 268/1992, e'  anche  da  escludere
che esso possa ricondursi all'art. 10 e all'art. 10-bis del  medesimo
decreto. 
    In primo luogo, la disciplina dell'art.  10  riguardava  la  c.d.
quota variabile e, quindi, solo le Province, per cui essa e' a priori
inapplicabile alla Regione (che, infatti, non e' menzionata nell'art.
10, comma 6). 
    Inoltre, abrogato l'art. 78 dello Statuto e  soppressa  la  somma
spettante in base ad esso (v. anche l'art. 79, comma 1, St.), sono da
ritenere comunque inapplicabili  le  norme  attuative  dell'art.  78,
quale l'art. 10 decreto legislativo n. 268/1992 ... Questo vale anche
per  l'art.  10,  comma  6,  strettamente  connesso  alla  disciplina
dell'accordo (menzionato in due punti  del  comma  6)  relativo  alla
determinazione della quota variabile, ora soppressa. 
    Infine, l'art. 10, comma 6, prevedeva un  meccanismo  consensuale
per far partecipare le Province «al raggiungimento degli obiettivi di
riequilibrio della finanza pubblica» che e' stato ora  sostituito  da
quelli, sempre consensuali, regolati dall'art. 79: anche sotto questo
profilo, dunque, il meccanismo precedente non risulta piu' operativo.
Conferma espressa di cio' si ricava dal testo attuale  dell'art.  79,
comma 4, secondo cui «le disposizioni statali relative all'attuazione
degli  obiettivi  di  perequazione  e  di  solidarieta',  nonche'  al
rispetto degli obblighi derivanti dal patto  di  stabilita'  interno,
non trovano applicazione con riferimento alla regione e alle province
e sono in ogni  caso  sostituite  da  quanto  previsto  dal  presente
articolo». 
    Qualora, in denegata ipotesi, non si  ritenesse  superato  l'art.
10, comma 6 e -  contro  l'evidenza  del  testo  -  lo  si  ritenesse
applicabile anche alla Regione, si dovrebbe perlomeno riconoscere che
la determinazione  della  quota  in  questione  dovrebbe  pur  sempre
rispettare il principio di leale collaborazione e, in particolare, il
principio consensuale che domina  le  relazioni  finanziarie  fra  lo
Stato e le Regioni speciali.  In  altre  parole,  anche  venuto  meno
l'accordo per la  determinazione  della  quota  variabile,  lo  Stato
avrebbe pur sempre dovuto cercare  l'accordo  con  la  Regione  e  le
Province,  non  potendo  unilateralmente  alterare  le  regole  sulle
compartecipazioni e gli strumenti con cui  la  Regione  partecipa  al
risanamento finanziario, disciplinati dall'art. 79 dello Statuto. 
    Del resto, tutto il regime dei rapporti finanziari  fra  Stato  e
Regioni speciali e' dominato dal principio  dell'accordo,  pienamente
riconosciuto nella giurisprudenza costituzionale. 
    Cosi', ad esempio, la sent. n. 82 del 2007  ha  riconosciuto  che
«la previsione normativa del metodo dell'accordo  tra  le  Regioni  a
statuto speciale e il Ministero dell'economia e delle finanze, per la
determinazione delle spese correnti e in conto capitale, nonche'  dei
relativi pagamenti, deve considerarsi un'espressione» della «speciale
autonomia in materia finanziaria di cui godono le  predette  Regioni,
in forza dei loro statuti» (punto 6 del Diritto); e  nella  sent.  n.
353 del 2004 la Corte ha affermato che il metodo dell'accordo (sempre
per la determinazione delle spese), introdotto  per  la  prima  volta
dalla legge finanziaria per il 1998 e riprodotto in  tutte  le  leggi
finanziarie successivamente  adottate,  deve  essere  tendenzialmente
preferito ad altri, dato che «la necessita'  di  un  accordo  tra  lo
Stato e  gli  enti  ad  autonomia  speciale  nasce  dall'esigenza  di
rispettare l'autonomia finanziaria di questi ultimi». 
    Si puo' ricordare anche la sent. n. 39 del 1984, che ha annullato
un atto ministeriale che aveva  unilateralmente  modificato  l'elenco
delle imposte ai fini dell'art. 49 dello Statuto, precisando che  «il
legislatore  statale  ben  potrebbe  intervenire,  se  lo   ritenesse
opportuno, nell'ambito della sua specifica competenza in materia:  ma
dovrebbe farlo, comunque, dopo  aver  sentito  la  Regione  (art.  65
Statuto Friuli-Venezia Giulia) e avendo i poteri per  mettere  ordine
nella complessa vicenda senza turbare i delicati  rapporti  coll'Ente
Regione». 
    Pertinente e' anche il richiamo alla sent. n. 98 del 2000, che ha
giudicato di alcune norme  legislative  statali  che  disponevano  la
riserva  a  favore  dell'erario  delle  entrate  derivanti  da  altre
disposizioni e che erano  contestate  per  violazione  dello  Statuto
siciliano  e  delle  relative  norme  di  attuazione.  La  Corte   ha
riconosciuto l'esistenza del «principio ... di leale cooperazione fra
Stato e Regione, che domina le relazioni fra i livelli di governo la'
dove si verifichino, come in queste ipotesi accade, interferenze  fra
le  rispettive  sfere  e  i  rispettivi  ambiti  finanziari»,  e   ha
sottolineato che «sono espressioni significative di tale esigenza  le
norme di attuazione di  altri  statuti  speciali,  le  quali,  a  tal
proposito, contemplano procedimenti cui sono chiamate  a  partecipare
le Regioni». La Corte ha, dunque, statuito  che  le  norme  impugnate
dovevano prevedere «procedimenti non unilaterali, ma che  contemplino
una partecipazione della Regione direttamente interessata». 
    Il principio consensuale e' stato ribadito piu'  di  recente,  in
relazione  alla  Provincia  di  Trento,  dalla  sent.  133/2010.   La
Provincia aveva impugnato l'art. 9-bis,  comma  5,  decreto-legge  n.
78/2009, che attribuiva al Presidente del Consiglio dei  ministri  il
potere di fissare «i criteri per  la  rideterminazione,  a  decorrere
dall'anno 2009, dell'ammontare dei proventi  spettanti  a  regioni  e
province autonome, compatibilmente con gli statuti di autonomia delle
regioni ad autonomia speciale e delle citate province  autonome,  ivi
compresi quelli afferenti alla compartecipazione ai tributi  erariali
statali». La Corte ha accolto le  questioni  sollevate  nel  ricorso,
ritenendo  che  tale  norma   incidesse   sui   rapporti   finanziari
intercorrenti tra lo Stato, la Regione e le Province autonome, e  che
«pertanto  avrebbe  dovuto  essere  approvata  con  il   procedimento
previsto dal citato art. 104 dello Statuto speciale, ove e' richiesto
il necessario accordo preventivo di Stato e Regione». 
    In effetti, e' assolutamente inaccettabile che lo Stato, con  una
fonte  primaria  unilateralmente  adottata,  alteri  in  modo   cosi'
rilevante l'assetto dei  rapporti  finanziari  tra  Stato  e  Regione
autonoma, laddove il principio consensuale e' da  tempo  riconosciuto
in questa materia ed e' stato ribadito proprio con la recente riforma
statutaria. 
    Inoltre, la norma  impugnata  non  rispetta  Part.  10,  comma  6
(sempre nella denegata ipotesi che essi  sia  ritenuto  applicabile),
anche perche' riserva all'erario tutte «le maggiori entrate»,  mentre
la norma di attuazione limita ad «una quota del  previsto  incremento
del  gettito  tributario»  la  possibilita'   di   destinazione   «al
raggiungimento  degli  obiettivi  di   riequilibrio   della   finanza
pubblica». 
    Ancora, l'art. 2, comma 36, primo periodo  del  decreto-legge  n.
138/2011 si pone in contrasto con l'art. 79 dello Statuto, che - come
visto - definisce le modalita' con  cui  la  Regione  e  le  Province
concorrono «all'assolvimento degli obblighi di carattere  finanziario
posti dall'ordinamento comunitario, dal patto di stabilita' interno e
dalle altre misure di coordinamento della finanza pubblica  stabilite
dalla normativa statale» (comma 1), e aggiunge che «le misure di  cui
al comma 1 possono essere modificate esclusivamente con la  procedura
prevista dall'art. 104  e  fino  alla  loro  eventuale  modificazione
costituiscono il concorso agli obiettivi di finanza pubblica  di  cui
al comma 1» (comma 2), e che, «al fine di assicurare il concorso agli
obiettivi di finanza pubblica, la regione e  le  province  concordano
con il Ministro dell'economia e delle finanze gli  obblighi  relativi
al patto di stabilita' interno con riferimento ai saldi  di  bilancio
da conseguire in ciascun periodo» (comma 3). 
    Sia il comma 3 («Non si  applicano  le  misure  adottate  per  le
regioni e per gli altri enti nel restante territorio nazionale»)  che
il comma 4, poi, stabiliscono la non applicazione alla Regione e alle
Province delle norme statali che,  in  questa  materia,  valgono  per
altre Regioni. 
    Poiche' l'art. 2, comma  36,  prima  parte  riserva  le  maggiori
entrate «alle esigenze prioritarie di raggiungimento degli  obiettivi
di finanza  pubblica  concordati  in  sede  europea»,  ne  deriva  la
violazione delle norme - sopra citate - contenute nell'art.  79  St.,
che configurano un sistema completo di concorso della Regione e delle
Province agli obiettivi di finanza pubblica, non  derogabile  se  non
con le modalita' previste dallo Statuto. 
    Infine, proprio perche' agli articoli 69 e 79 St. si e'  derogato
con una fonte primaria  «ordinaria»  (in  realta',  un  decreto-legge
convertito), l'art. 2, commi 3 e 36, prima parte, violano  anche  gli
articoli 103 (che prevede il procedimento di revisione costituzionale
per le modifiche dello Statuto), 104 (che prevede la possibilita'  di
modificare «le norme del titolo VI  ...  con  legge  ordinaria  dello
Stato su concorde richiesta del Governo e, per quanto  di  rispettiva
competenza, della regione o delle due province») e  l'art.  107  (che
disciplina la  speciale  procedura  per  l'adozione  delle  norme  di
attuazione dello Statuto) dello Statuto speciale. 
    b. Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma  36,  secondo
periodo. 
    Il secondo periodo del comma 36  dell'art.  2  dispone  che  «con
apposito decreto del Ministero  dell'economia  e  delle  finanze,  da
emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in  vigore  della
legge  di  conversione  del  presente  decreto,  sono  stabilite   le
modalita' di individuazione del maggior gettito, attraverso  separata
contabilizzazione». Si tratta dunque di una norma  volta  a  regolare
l'attuazione del primo periodo: la quale, pertanto,  e'  affetta  dai
medesimi vizi sopra illustrati. 
    In  subordine,  essa  e'  poi   censurabile   specificamente   ed
autonomamente sotto  un  ulteriore  aspetto,  cioe'  per  la  mancata
previsione  dell'intesa  con  la  Regione  Trentino-Alto   Adige   in
relazione al decreto che stabilisce le  modalita'  di  individuazione
del maggior gettito. Infatti, poiche' si  tratta  di  intervenire  in
relazione a risorse che spetterebbero alla Regione,  in  una  materia
dominata   dal   principio   consensuale,   risulta    specificamente
illegittima, per violazione del principio di leale collaborazione, la
previsione di  un  decreto  ministeriale.  senza  intesa  con  questa
Regione. 
    c. Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 36,  terzo  e
quarto periodo. 
    Il  terzo  ed  il  quarto  periodo  del  comma  36  dell'art.   2
dispongono,  rispettivamente,  che  «a  partire  dall'anno  2014,  il
Documento di economia  e  finanza  conterra'  una  valutazione  delle
maggiori entrate derivanti, in termini permanenti, dall'attivita'  di
contrasto all'evasione» e che «dette maggiori entrate,  al  netto  di
quelle necessarie al mantenimento del pareggio di  bilancio  ed  alla
riduzione del debito, confluiranno  in  un  Fondo  per  la  riduzione
strutturale  della  pressione  fiscale  e  saranno  finalizzate  alla
riduzione degli oneri fiscali e contributivi gravanti sulle  famiglie
e sulle imprese». 
    Il quarto periodo risulta, ad  avviso  della  ricorrente  Regione
autonoma, del tutto illegittimo, mentre il terzo periodo e' impugnato
solo in  quanto  l'attivita'  di  rilevazione  in  esso  prevista  e'
finalizzata all'attuazione del quarto periodo. 
    Si  tratta,  infatti,  di  maggiori  entrate  che  non   derivano
dall'aumento delle aliquote o dall'introduzione di nuovi tributi,  ma
semplicemente dalla lotta all'evasione, cioe'  da  un  piu'  rigoroso
accertamento degli obblighi tributari preesistenti. 
    Le maggiori entrate che  ne  derivano  sono  pur  sempre  entrate
connesse alle aliquote e ai tributi esistenti, quelli il cui  gettito
spetta in parte alla  Regione,  secondo  le  disposizioni  statutarie
sopra citate (art. 69). 
    Manca dunque qualunque fondamento per la destinazione ad un Fondo
statale di tali maggiori entrate, che risulta  pertanto  in  frontale
contrasto con lo Statuto. 
    La fondatezza di tale censura e' confermata anche  dalla  recente
sent. 152/2011, che  ha  dichiarato  «costituzionalmente  illegittimo
l'art. 1, comma 6, del decreto-legge n. 40 del 2010, nella  parte  in
cui stabilisce che le entrate  derivanti  dal  recupero  dei  crediti
d'imposta "sono riversate all'entrata  del  bilancio  dello  Stato  e
restano  acquisite  all'erario",  anche  con  riferimento  a  crediti
d'imposta inerenti a tributi che avrebbero dovuto essere riscossi nel
territorio della Regione siciliana». La sentenza stabilisce  che  «e'
alla 'Regione siciliana ... che spetta, non solo provvedere al  detto
recupero, ma anche acquisire il gettito da esso derivante, posto  che
tale gettito, lungi  dal  costituire  frutto  di  una  nuova  entrata
tributaria erariale, non e' altro che l'equivalente del  gettito  del
tributo previsto (al di fuori dei  casi  nei  quali  e'  concesso  il
credito d'imposta), che compete alla Regione sulla base e nei  limiti
dell'art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica n.  1074  del
1965». 
    La medesima sent. 152/2011  ha  poi  annullato  l'art.  3,  comma
2-bis, decreto-legge n.  40/2010,  in  quanto  «la  previsione  della
esclusiva destinazione a fondi erariali del gettito  derivante  dalla
definizione   agevolata   di   tali   controversie   inerenti    alla
contestazione  di  tributi  erariali  che  avrebbero  dovuto   essere
riscossi nel  territorio  regionale  si  pone  in  contrasto  con  il
principio di cui all'art. 2 delle norme di  attuazione,  non  potendo
peraltro neppure ritenersi che le entrate derivanti dalla  richiamata
definizione agevolata delle controversie  tributarie  siano  "entrate
nuove"». 
    Per quanto riguarda poi il terzo periodo del comma  36,  esso  e'
affetto dagli stessi vizi  appena  illustrati  (essendo  strettamente
collegato al quarto periodo). 
    Inoltre, ove in denegata ipotesi dovesse risultare  legittimo  il
trattenimento delle somme in questione al bilancio dello Stato,  esso
risulterebbe  illegittimo  per  violazione  del  principio  di  leale
collaborazione, perche' la  quantificazione  delle  maggiori  entrate
derivanti dalla lotta all'evasione viene operata senza intesa con  la
Regione autonoma, benche' tale quantificazione incida direttamente  e
negativamente  sulla  dimensione  delle  risorse  che  spettano  alla
Regione. 
    2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 2. 
    L'art. 14, comma 1, subordina la  collocazione  di  ogni  singola
Regione ordinaria nella classe di enti territoriali piu' virtuosa  di
cui all'art. 20, comma 3, del decreto-legge 6  luglio  2011,  n.  98,
convertito, con modificazioni, dalla legge 15  luglio  2011,  n.  11,
all'ottemperanza ad una serie di criteri e parametri riguardanti:  il
numero  massimo  dei  consiglieri  regionali,  in  proporzione   alla
popolazione regionale (lettera a); il numero massimo degli  assessori
(lettera b); la riduzione dell'indennita'  dei  consiglieri  (lettera
c); la  previsione  che  il  trattamento  economico  dei  consiglieri
regionali sia commisurato all'effettiva partecipazione ai lavori  del
Consiglio regionale (lettera d); l'istituzione  di  un  Collegio  dei
revisori dei conti (lettera e); il passaggio al sistema previdenziale
contributivo per i consiglieri regionali (lettera f). 
    In  base  all'art.  14,  comma  2,  decreto-legge  n.   138/2011,
«l'adeguamento ai parametri di cui al comma 1 da parte delle  Regioni
a Statuto speciale e delle province autonome di Trento e  di  Bolzano
costituisce condizione per l'applicazione dell'art. 27 della legge  5
maggio 2009, n.  42,  nei  confronti  di  quelle  Regioni  a  statuto
speciale e province autonome per le quali  lo  Stato,  ai  sensi  del
citato  art.  27,   assicura   il   conseguimento   degli   obiettivi
costituzionali di perequazione e  di  solidarieta',  ed  elemento  di
riferimento per l'applicazione di  misure  premiali  o  sanzionatorie
previste dalla normativa vigente». 
    L'art. 14, comma 2, dunque,  richiama  espressamente  le  Regioni
speciali e  pretende  di  imporre  loro  l'adeguamento  ai  parametri
fissati nel primo comma. 
    Tale imposizione e' tuttavia costituzionalmente  illegittima  per
le ragioni di seguito esposte. 
    Premesso che la disposizione del comma 2 (come quella del comma 1
per le Regioni ordinarie) e' chiaramente una norma sanzionatoria -  e
non una  norma  premiale  come  vorrebbe  far  intendere  la  rubrica
dell'articolo  -  e'  in  primo  luogo   clamorosamente   illegittima
l'imposizione del dovere di  adeguamento  al  numero  di  consiglieri
previsto dal comma 1, per violazione degli articoli  25  e  48  dello
Statuto. 
    L'art. 25, infatti, statuisce  che  «il  Consiglio  regionale  e'
composto dai membri dei Consigli provinciali di Trento e di Bolzano»,
e l'art.  48  dispone  che  «ciascun  Consiglio  provinciale  ...  e'
composto di trentacinque consiglieri e dura in carica cinque anni». 
    Il  numero  dei  consiglieri  regionali,   dunque,   e'   fissato
direttamente dal combinato disposto degli  articoli  25  e  48  dello
Statuto. Sembra impossibile dover ricordare che  lo  Statuto  e'  una
legge costituzionale dello Stato, e che dunque ne' la legge ordinaria
ne' atti di qualunque natura della stessa Regione  autonoma  sono  in
grado di mutarlo. 
    Per quanto riguarda il numero massimo degli assessori  regionali,
occorre ricordare che, in base all'art. 36 St., «la giunta  regionale
e' composta del Presidente della Regione, che  la  presiede,  di  due
vice Presidenti e di assessori effettivi e supplenti» (comma  1).  Il
Presidente, i vice  Presidenti  e  gli  assessori  «sono  eletti  dal
Consiglio regionale nel suo seno a scrutinio segreto ed a maggioranza
assoluta» (comma 2). Il comma 3  dispone  poi  che  «la  composizione
della giunta regionale deve adeguarsi  alla  consistenza  dei  gruppi
linguistici quali sono rappresentati nel  Consiglio  della  regione»,
che  «i  vice  Presidenti  appartengono  uno  al  gruppo  linguistico
italiano e l'altro al gruppo linguistico tedesco», e che  «al  gruppo
linguistico  ladino  e'  garantita  la  rappresentanza  nella  Giunta
regionale anche in deroga alla rappresentanza proporzionale». 
    La  Regione  Trentino-Alto  Adige  e'  poi  dotata  di   potesta'
legislativa primaria in materia di organizzazione interna (art. 4, n.
1, St.). L'art. 12 legge regionale n.  25/1952  dispone  che,  «nella
stessa seduta nella quale e' avvenuta l'elezione del Presidente della
Giunta regionale, o nella prossima seduta del Consiglio, si  delibera
anzitutto il numero  degli  assessori  effettivi  e  degli  assessori
supplenti, che devono comporre la Giunta regionale». 
    Il dovere di adeguamento imposto dall'art. 14, comma 2, in merito
al numero degli assessori, dunque, viola l'art. 36 dello Statuto, che
regola la Giunta  regionale  senza  porre  limiti  massimi  alla  sua
composizione,  lasciando  quindi  liberta'  sul  punto  alla  Regione
stessa; e' poi violato, l'art. 4, n. 1, St., che attribuisce potesta'
primaria alla  Regione  in  materia  di  organi  regionali  (potesta'
soggetta  al  solo  limite  della  Costituzione,  che  vale  per   la
corrispondente autonomia delle Regioni  ordinarie;  comunque,  l'art.
14, comma 2, non risulta idoneo ad integrare nessuno  dei  limiti  di
cui all'art. 4 St., non potendosi certo definire  norma  fondamentale
delle riforme economico-sociali della Repubblica). 
    Anche i doveri di adeguamento imposti dall'art. 14, comma  2,  in
relazione al trattamento economico dei consiglieri  regionali  ledono
l'autonomia organizzativa regionale (art. 4, n. 1, St.), soggetta  al
solo limite della Costituzione ex art. 10 l. cost. n. 3/2001. 
    Appare dunque evidente che l'imposizione, diretta o indiretta, di
qualunque ulteriore limite,  sia  pure  sotto  forma  di  «onere»  di
adeguamento, costituisce una illegittima interferenza  nell'autonomia
costituzionalmente   garantita   alla   Regione,   con    conseguente
illegittimita' costituzionale dell'intero art. 14, comma 2. 
    Ugualmente  illegittima  appare  l'impugnata   disposizione   ove
considerata  dal  punto  di  vista   della   lesione   dell'autonomia
finanziaria garantita dal Titolo VI dello Statuto  nonche'  dall'art.
119 della Costituzione. 
    La  disposizione  qui  impugnata  viola  l'autonomia  finanziaria
comminando conseguenze finanziariamente negative a comportamenti  che
costituiscono esercizio dei diritti statutari della Regione. 
    Ne' la disposizione impugnata potrebbe essere  giustificata  come
principio di coordinamento della finanza pubblica. 
    Lo esclude, sul piano generale, il  carattere  dettagliato  delle
misure imposte, che vanno a limitare voci minute di spesa e,  dunque,
non costituiscono  principi  idonei  a  far  scattare  un  dovere  di
adeguamento.  Con  specifico   riferimento   alla   riduzione   delle
indennita' di organi  regionali,  si  puo'  ricordare  che  la  Corte
costituzionale ha gia' dichiarato illegittimo  l'art.  1,  comma  54,
legge n. 266/05, che riduceva del 10% le  indennita'  corrisposte  ai
titolari degli organi politici regionali (sentenza n. 157 del 2007). 
    Per quanto riguarda la Regione  Trentino-Alto  Adige,  oltre  che
l'art. 119 Cost.  risulta  specificamente  violato  l'art.  79  dello
Statuto, introdotto dalla legge n. 191  del  2009  con  la  procedura
prevista dall'art. 104 dello Statuto, che  disciplina  esaustivamente
il concorso  della  Regione  «al  conseguimento  degli  obiettivi  di
perequazione e di solidarieta' e  all'esercizio  dei  diritti  e  dei
doveri dagli stessi derivanti nonche' all'assolvimento degli obblighi
di carattere  finanziario  posti  dall'ordinamento  comunitario,  dal
patto di stabilita' interno e dalle  altre  misure  di  coordinamento
della finanza pubblica stabilite dalla normativa statale» (comma  1),
e che per il rimanente esonera espressamente la Regione e le Province
dall'applicazione delle misure di coordinamento che  valgono  per  le
altre Regioni. 
    Il comma 2, infatti, dispone che «le misure di  cui  al  comma  1
possono essere modificate esclusivamente con  la  procedura  prevista
dall'art. 104 e fino alla loro eventuale modificazione  costituiscono
il concorso agli obiettivi di finanza pubblica di cui  al  comma  1»,
fra i quali «l'assolvimento degli obblighi di  carattere  finanziario
posti ... dalle altre misure di coordinamento della finanza  pubblica
stabilite dalla normativa statale». 
    Il comma 3 aggiunge che «non si applicano le misure adottate  per
le regioni e per gli altri enti nel restante territorio nazionale» ed
il  comma  4  ribadisce  che  «le   disposizioni   statali   relative
all'attuazione degli obiettivi di  perequazione  e  di  solidarieta',
nonche' al rispetto degli obblighi derivanti dal patto di  stabilita'
interno, non trovano applicazione con riferimento alla regione e alle
province e sono in  ogni  caso  sostituite  da  quanto  previsto  dal
presente articolo». 
    Infine, lo stesso comma 4 precisa, per i rapporti  con  le  norme
statali che non siano direttamente misure di  finanza  pubblica,  che
«la regione e le province provvedono alle finalita' di  coordinamento
della  finanza  pubblica   contenute   in   specifiche   disposizioni
legislative  dello  Stato,  adeguando  la  propria  legislazione   ai
principi costituenti limiti ai sensi degli articoli 4 e 5». 
    Dunque, poiche' l'art. 14,  comma  1,  contiene  norme  che  sono
espressamente volte al coordinamento finanziario,  l'applicazione  di
esse a questa Regione e' esclusa dai primi tre commi dell'art. 79 St. 
    L'art. 14, comma 1, contempla concrete misure  di  riduzione  dei
costi di funzionamento degli organi rappresentativi regionali che  lo
Stato pone come  condizione  per  la  valutazione  della  virtuosita'
dell'ente ai fini della determinazione del concorso agli obiettivi di
finanza pubblica. In questo senso, la disposizione introdurrebbe  per
la   Regione   Trentino-Alto   Adige   un   ulteriore   elemento   di
determinazione  del  concorso  agli  obiettivi  di  finanza  pubblica
diverso ed aggiuntivo rispetto a quello previsto  dal  predetto  art.
79, e quindi in sua violazione. Il generico riferimento  alle  misure
premiali o sanzionatone previste dalla  normativa  vigente  introduce
una condizione di virtuosita' che e'  in  contrasto  con  il  sistema
delle relazioni finanziarie con lo Stato definito nel nuovo Titolo VI
dello Statuto, ed in particolare nel predetto art. 79. 
    Il contrasto tra l'art. 14, comma 2,  e  l'art.  79  St.  implica
anche la violazione degli articoli 103, 104 e 107 dello Statuto e del
principio  di  leale  collaborazione,  perche'  una  fonte   primaria
ordinaria,  adottata  unilateralmente,  ha  derogato  ad  una   norma
statutaria, adottata con la speciale procedura di  cui  all'art.  104
St. 
    In subordine, una ulteriore specifica  censura  la  Regione  deve
svolgere in  relazione  alla  disciplina  relativa  al  Collegio  dei
revisori dei conti, che dovrebbe essere istituito a decorrere dal  1°
gennaio 2012 «quale organo di vigilanza sulla regolarita'  contabile,
finanziaria ed economica della gestione dell'ente». 
    Il comma 1, lettera e) prevede che  «il  Collegio,  ai  fini  del
coordinamento della  finanza  pubblica,  opera  in  raccordo  con  le
sezioni regionali di controllo della  Corte  dei  conti»,  e  che  «i
componenti di tale Collegio sono scelti  mediante  estrazione  da  un
elenco, i cui iscritti devono  possedere  i  requisiti  previsti  dai
principi contabili internazionali, avere  la  qualifica  di  revisori
legali  ...,  ed  essere  in  possesso  di  specifica  qualificazione
professionale  in  materia  di  contabilita'  pubblica   e   gestione
economica e finanziaria anche  degli  enti  territoriali,  secondo  i
criteri individuati dalla Corte dei conti». 
    In tal modo l'art. 14 non tiene conto  della  circostanza  che  -
comunque la norma possa essere valutata  in  relazione  alle  Regioni
ordinarie - il ruolo e  le  funzioni  della  Corte  dei  conti  nella
regione Trentino-Alto Adige sono compiutamente definiti  dal  decreto
del Presidente della Repubblica n. 305/1988. L'art. 14, dunque, sotto
questo profilo  invade  un  settore  di  competenza  delle  norme  di
attuazione, violando l'art. 107 St.  ed  il  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 305/1988 (v. soprattutto gli articoli 2, 6 e  10,
che individuano le funzioni della Corte dei conti in  relazione  alla
Regione Trentino-Alto Adige). 
    In particolare, la previsione del dovere del Collegio di  operare
«in raccordo con le sezioni regionali di controllo  della  Corte  dei
conti» viola l'art. 10, comma 3-ter,  decreto  del  Presidente  della
Repubblica  n.  305/1988  (introdotto  dal  decreto  legislativo   n.
166/2011), che considera come facoltativa la richiesta  di  ulteriori
forme di collaborazione alle sezioni della Corte  dei  conti  (3-ter.
«La Regione e le  Province  possono  richiedere  ulteriori  forme  di
collaborazione alle sezioni della  Corte  dei  conti  ai  fini  della
regolare  gestione  finanziaria  e   dell'efficienza   ed   efficacia
dell'azione amministrativa, nonche' pareri in materia di contabilita'
pubblica anche per conto degli enti locali, singoli  o  associati,  e
degli altri enti e organismi individuati dall'art. 79, comma  3,  del
decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670»). 
    Ancora piu' invasiva e' la previsione del potere della Corte  dei
conti di definire  i  criteri  di  qualificazione  professionale  dei
membri del Collegio: si tratta, in sostanza, di un  potere  normativo
secondario in materia  di  competenza  regionale  (ordinamento  degli
uffici: art. 4, n. 1, St.), dato che il Collegio  sarebbe  un  organo
interno della Regione. 
    E' da precisare che i componenti di tale  Collegio  gia'  «devono
possedere i requisiti previsti dai principi contabili internazionali»
e  «avere  la  qualifica  di  revisori  legali  di  cui  al   decreto
legislativo 27 gennaio 2010, n. 39» (art. 14,  comma  1,  lettera  e)
decreto-legge n. 138/2011),  per  cui  la  «specifica  qualificazione
professionale  in  materia  di  contabilita'  pubblica   e   gestione
economica e  finanziaria  anche  degli  enti  territoriali»  dovrebbe
essere  regolata  dalla   Regione,   nell'esercizio   della   propria
competenza  in  materia  di   organizzazione   interna.   E'   dunque
illegittima l'attribuzione di un potere normativo  secondario  ad  un
organo statale, per contrasto con l'art. 117, comma 6, Cost. e l'art.
2  decreto  legislativo  n.  266/1992,  che  ritiene  solo  gli  atti
legislativi statali idonei a far sorgere un dovere di adeguamento. 
    L'art. 2 decreto legislativo n. 266/1992 e' violato anche perche'
l'art. 14, comma 2, non pone un termine per l'adeguamento, per cui e'
da ritenere che valgano i termini fissati dal  comma  1,  alcuni  dei
quali (lettere c), d) ed e)  sono  inferiori  ai  sei  mesi  previsti
dall'art. 2 decreto legislativo n. 266/1992. 
    Per  le  esposte  ragioni,  la  Regione  autonoma   Trentino-Alto
Adige/Autonome Region Trentino-Siidtirol, come sopra rappresentata  e
difesa, chiede voglia codesta Ecc.ma Corte costituzionale  accogliere
il ricorso, dichiarando l'illegittimita' costituzionale dell'art.  2,
comma 3, ultimo periodo, e comma 36,  se  ritenuti  applicabili  alla
Regione; dell'art. 14, comma 2, del decreto-legge 13 agosto 2011,  n.
138, convertito nella legge 14 settembre 2011, n. 148, Conversione in
legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011,  n.  138,
recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e
per lo sviluppo. Delega al  Governo  per  la  riorganizzazione  della
distribuzione sul territorio degli uffici  giudiziari,  nelle  parti,
nei termini e sotto i profili esposti nel presente ricorso. 
        Padova-Roma, 14 novembre 2011 
 
                   Prof. avv. Giandomenico Falcon 
 
 
                          Avv. Luigi Manzi 
 
 
                                                             Allegati 
    1) Deliberazione della Giunta regionale n.  237  del  26  ottobre
2011. 
    2) Procura speciale n. rep. 3028 del 4 novembre 2011.