N. 278 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 luglio 2011
Ordinanza del 19 luglio 2011 emessa dal Tribunale di Urbino nel procedimento civile promosso da Darhnami Hadda contro I.N.P.S.. Straniero e apolide - Assegno sociale ex art. 3 legge n. 335/1995 - Condizione - Possesso del permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno - Violazione del principio di uguaglianza sotto il profilo della disparita' di trattamento di situazioni omogenee a seguito della giurisprudenza della Corte costituzionale - Violazione del principio di tutela della salute - Violazione di obblighi internazionali derivanti dalla CEDU - Richiamo alle sentenze della Corte costituzionale nn. 11/2009 e 178/2010. - Legge 23 dicembre 2000, n. 388, art. 80, comma 19. - Costituzione, artt. 3, 32 e 117, primo comma, in relazione all'art. 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali.(GU n.2 del 11-1-2012 )
IL TRIBUNALE A scioglimento della riserva assunta all'udienza del 15 giugno 2011, pronuncia la seguente ordinanza. 1. Con ricorso depositato in data 19 ottobre 2010, Darhnani Hadda esponeva di essere titolare di un regolare permesso di soggiorno valido sino al 1° febbraio 2012 e di essersi vista revocare con provvedimento Inps del 3 marzo 2009 il beneficio dell'assegno sociale ex art. 3 legge n. 335/95 di cui sino ad allora aveva goduto per mancanza del requisito della permanenza minima in Italia. La ricorrente deduceva tuttavia di essere titolare di una regolare permesso di soggiorno rilasciatole in quanto madre convivente della figlia El Hannaoui Fatima. cittadina italiana, e che, anche ai fini di cui alla legge 338/00, art. 80 comma 19, tale permesso doveva essere considerato l'unico valido ai fini della regolarita' del soggiorno in Italia per i familiari conviventi di cittadini italiani, con la conseguenza che a nulla poteva rilevare il requisito della permanenza minima in Italia richiesto dall'Inps e posto a fondamento della revoca dell'assegno gia' goduto. Si costituiva tempestivamente in giudizio I'Inps, rilevando che l'art. 80, comma 19, legge 338/00 richiede per la concessione dell'assegno sociale il possesso della carta di soggiorno o permesso di soggiorno di lungo periodo, non posseduto dalla ricorrente. L'Inps, dunque, ha dedotto la mancanza del requisito previsto dalla norma citata e la sostanziale difformita' tra il permesso di soggiorno concessole, a durata limitata, e la carta di soggiorno richiesta dalla norma, a durata illimitata e concessa sul presupposto della permanenza in Italia da almeno 5 anni. L'Inps ha dunque osservato che le sentenze della Corte costituzionale emesse in materia non hanno dichiarato la totale illegittimita' costituzionale dell'art. 80, c. 19. legge cit., essendosi piuttosto limitate a dichiarare tale illegittimita' costituzionale, per quanto qui di interesse, solo con riferimento al possesso del requisito reddituale richiesto per il rilascio del permesso di soggiorno di lunga durata con riguardo alla indennita' di accompagnamento ed al possesso del permesso medesimo con riguardo ad altre prestazioni di tipo assistenziale. 2. Ritiene questo Giudice che, all'esito della instaurazione del contraddittorio tra le parti sul punto, debba sollevarsi questione di legittimita' costituzionale dell'art. 80, comma 19, legge 388 del 2000 nella parte in cui subordina la concessione dell'assegno sociale ex art. 3 legge 335/95 al possesso della carta di soggiorno ed, in particolare, al requisito della durata della permanenza in Italia. 3. In punto di rilevanza della questione occorre premettere che, a norma dell'art. 80, comma 19, legge 388/00, "ai sensi dell'articolo 41 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, l'assegno sociale e le provvidenze economiche che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di servizi sociali sono concesse alle condizioni previste dalla legislazione medesima, agli stranieri che siano titolari di carta di soggiorno; per le altre prestazioni e servizi sociali l'equiparazione con i cittadini italiani e' consentita a favore degli stranieri che siano almeno titolari di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno. Sono fatte salve le disposizioni previste dal decreto legislativo 18 giugno 1998, n. 237, e dagli articoli 65 e 66 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e successive modificazioni." La carta di soggiorno e' ora denominata permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo a norma dell'art. 9 del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, come modificato dall'art. 1 del D.Lgs. 3/07: "Lo straniero in possesso, da almeno cinque anni, di un permesso di soggiorno in corso di validita', che dimostra la disponibilita' di un reddito non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale e, nel caso di richiesta relativa ai familiari, di un reddito sufficiente secondo i parametri indicati nell'articolo 29, comma 3, lettera b) e di un alloggio idoneo che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica ovvero che sia fornito dei requisiti di idoneita' igienico-sanitaria accertati dall'Azienda unita' sanitaria locale competente per territorio, puo' chiedere al questore il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, per se e per i familiari di cui all'articolo 29, comma 1". Dunque, a norma dell'art. 80, comma 19, legge 388/00, al fine di ottenere l'assegno sociale lo straniero deve essere titolare della carta di soggiorno, ora permesso di soggiorno di lungo periodo, i cui requisiti sono di tipo reddituale (ed a tal proposito vi e' gia' pronuncia di illegittimita' costituzionale della Corte Costituzionale, con riferimento alla sola indennita' di accompagnamento) e di durata, richiedendosi altresi' che lo straniero possieda un permesso di soggiorno in corso di validita' da almeno cinque anni. Nel caso di specie, non e' contestata la sussistenza del requisito sanitario in capo a Darhnani Hadda (come si evince dalla memoria difensiva Inps e dagli atti di causa). Piuttosto, la revoca dell'assegno sociale consegue al solo mancato possesso del permesso di soggiorno di lungo periodo, essendo la ricorrente in possesso del solo permesso di soggiorno per familiari conviventi di cittadini italiani, rilasciato in data 7 febbraio 2007 dalla Questura di Pesaro - Urbino, ed in particolare alla mancanza del requisito della permanenza in Italia da almeno 5 anni. Peraltro, il soggiorno della ricorrente nello Stato italiano non puo' reputarsi meramente episodico, proprio in virtu' della convivenza con la figlia, divenuta cittadina italiana, sin dall'anno 2007. E' dunque da escludere che, nel caso di specie, manchi il presupposto del soggiorno in Italia di carattere non episodico, che legittimerebbe il legislatore, anche secondo la interpretazione resa dal giudice delle leggi, a negare la prestazione di tipo assistenziale. Poiche' la previsione del possesso del permesso di soggiorno di lungo periodo (sul presupposto tra l'altro della permanenza in Italia da almeno 5 anni) preclude in questa sede alla ricorrente di ottenere il ripristino dell'assegno sociale gia' in godimento, si ritiene la rilevanza del vaglio costituzionale dell'art. 80, comma 19, della legge 388/00 nel presente giudizio. 4. In punto di non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale della norma richiamata occorre rilevare quanto segue. Ha osservato la Corte costituzionale con sentenza n. 306/08 che "l'indennita' di accompagnamento - spettante ai disabili non autonomamente deambulanti, o che non siano in grado di compiere da soli gli atti quotidiani della vita, per il solo fatto delle minorazioni e, quindi, indipendentemente da qualsiasi requisito reddituale - rientra nelle prestazioni assistenziali e, piu' in generale, anche nella terminologia adottata dalla Corte di Strasburgo, attiene alla "sicurezza o assistenza sociale". In tale ambito, questa corte ha affermato che «le scelte connesse alla individuazione delle categorie dei beneficiari - necessariamente da circoscrivere in ragione della limitatezza delle risorse finanziarie - debbano essere operate, sempre e comunque, in ossequio al principio di ragionevolezza», ma anche che al legislatore e' consentito «introdurre regimi differenziati, circa il trattamento da riservare ai singoli consociati, soltanto in presenza di una "causa" normativa non palesemente irrazionale o, peggio, arbitraria» (sentenza n. 432 del 2005). Tutto cio' premesso, la Corte ritiene che sia manifestamente irragionevole subordinare l'attribuzione di una prestazione assistenziale quale l'indennita' di accompagnamento - i cui presupposti sono, come si e' detto, la totale disabilita' al lavoro, nonche' l'incapacita' alla deambulazione autonoma o al compimento da soli degli atti quotidiani della vita - al possesso di un titolo di legittimazione alla permanenza del soggiorno in Italia che richiede per il suo rilascio, tra l'altro, la titolarita' di un reddito. Tale irragionevolezza incide sul diritto alla salute, inteso anche come diritto ai rimedi possibili e, come nel caso, parziali, alle menomazioni prodotte da patologie di non lieve importanza. Ne consegue il contrasto delle disposizioni censurate non soltanto con l'art. 3 Cost., ma anche con gli artt. 32 e 38 Cost., nonche' - tenuto conto che quello alla salute e' diritto fondamentale della persona (vedi, per tutte, le sentenze n. 252 del 2001 e n. 432 del 2005) - con l'art. 2 della Costituzione. Sotto tale profilo e per i medesimi motivi, la normativa censurata viola l'art. 10, primo comma, della Costituzione, dal momento che tra le norme del diritto internazionale generalmente riconosciute rientrano quelle che, nel garantire i diritti fondamentali della persona indipendentemente dall'appartenenza a determinate entita' politiche, vietano discriminazioni nei confronti degli stranieri, legittimamente soggiornanti nel territorio dello Stato. Al legislatore italiano e' certamente consentito dettare norme, non palesemente irragionevoli e non contrastanti con obblighi internazionali, che regolino l'ingresso e la permanenza di extracomunitari in Italia (da ultimo, sentenza n. 148 del 2008). E' possibile, inoltre, subordinare, non irragionevolmente, l'erogazione di determinate prestazioni - non inerenti a rimediare a gravi situazioni di urgenza - alla circostanza che il titolo di legittimazione dello straniero al soggiorno nel territorio dello Stato ne dimostri il carattere non episodico e di non breve durata; una volta, pero', che il diritto a soggiornare alle condizioni predette non sia in discussione, non si possono discriminare gli stranieri, stabilendo, nei loro confronti, particolari limitazioni per il godimento dei diritti fondamentali della persona, riconosciuti invece ai cittadini. Le disposizioni censurate sono, pertanto, illegittime nella parte in cui - oltre ai requisiti sanitari e di durata del soggiorno in Italia e comunque attinenti alla persona, gia' stabiliti per il rilascio della carta di soggiorno ed ora (per effetto del d.lgs. n. 3 del 2007) del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, non sospettati di illegittimita' dal remittente - esigono, ai fini dell'attribuzione dell'indennita' di accompagnamento, anche requisiti reddituali, ivi compresa la disponibilita' di un alloggio, avente le caratteristiche indicate dal nuovo testo dell'art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998." Nel caso esaminato dalla Corte costituzionale con tale sentenza, il giudice remittente aveva sospettato della illegittimita' costituzionale della norma con esclusivo riguardo alla previsione di un limite di reddito, posto a discriminare gli stranieri dai cittadini italiani nella fruizione della indennita' di accompagnamento. Dunque, la Corte costituzionale ha effettivamente riconosciuto la illegittimita' costituzionale della norma richiamata sotto il limitato profilo della previsione di un requisito reddituale, mentre la pronuncia non si e' estesa alla previsione degli ulteriori requisiti richiesti per ottenere il permesso di soggiorno di lungo periodo, tra cui la durata del soggiorno stesso. Tale questione e' invece stata valutata con sentenze successive, in cui la Corte costituzionale si e' occupata della legittimita' della norma in esame con riguardo alle diverse prestazioni dell'assegno mensile di assistenza e della pensione di inabilita' (rispettivamente, sentenze n. ri 187/10 ed 11/09). In particolare, con sentenza n. 187/10, che ha dichiarato la illegittimita' costituzionale della norma in esame nella parte in cui subordina la concessione dell'assegno mensile di assistenza al possesso del permesso di soggiorno di lunga durata, la Corte costituzionale ha osservato (con respiro piu' ampio rispetto alla precedente pronuncia, che riguardava la sola previsione del requisito reddituale) che "La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo ha, in varie occasioni, avuto modo di sottolineare come la Convenzione non sancisca un obbligo per gli Stati membri di realizzare un sistema di protezione sociale o di assicurare un determinato livello delle prestazioni assistenziali; tuttavia, una volta che tali prestazioni siano state istituite e concesse, la relativa disciplina non potra' sottrarsi al giudizio di compatibilita' con le norme della Convenzione e, in particolare, con l'art. 14 che vieta la previsione di trattamenti discriminatori (in tal senso, Stec ed altri contro Regno Unito, decisione sulla ricevibilita' del 6 luglio 2005; Koua Poirrez contro Francia, sentenza del 30 settembre 2003; Gaygusuz contro Austria, sentenza del 16 settembre 1996; Salesi contro Italia, sentenza del 26 febbraio 1993). Al tempo stesso, la Corte di Strasburgo ha anche sottolineato l'ampio margine di apprezzamento di cui i singoli Stati godono in materia di prestazioni sociali, in particolare rilevando come le singole autorita' nazionali, in ragione della conoscenza diretta delle peculiarita' che caratterizzano le rispettive societa' ed i correlativi bisogni, si trovino, in linea di principio, in una posizione privilegiata rispetto a quella del giudice internazionale per determinare quanto risulti di pubblica utilita' in materia economica e sociale. Da qui l'assunto secondo il quale la Corte rispetta, in linea di massima, le scelte a tal proposito operate dal legislatore nazionale, salvo che la relativa valutazione si riveli manifestamente irragionevole (Carson ed altri contro Regno Unito, sentenza del 16 marzo 2010; Luczak contro Polonia, sentenza del 27 novembre 2007). A proposito, poi, dei limiti entro i quali opera il divieto di trattamenti discriminatori stabilito dall'art. 14 della Convenzione, la stessa Corte non ha mancato di segnalare il carattere relazionale che contraddistingue il principio, nel senso che lo stesso non assume un risalto autonomo, «ma gioca un importante ruolo di complemento rispetto alle altre disposizioni della Convenzione e dei suoi protocolli, perche' protegge coloro che si trovano in situazioni analoghe da discriminazioni nel godimento dei diritti garantiti da altre disposizioni» (da ultimo, Orsus ed altri contro Croazia, sentenza del 16 marzo 2010). Il trattamento diviene dunque discriminatorio - ha puntualizzato la giurisprudenza della Corte - ove esso non trovi una giustificazione oggettiva e ragionevole; non realizzi, cioe', un rapporto di proporzionalita' tra i mezzi impiegati e l'obiettivo perseguito (ad es., Niedzwiecki contro Germania, sentenza del 25 ottobre 2005). Non senza l'ulteriore puntualizzazione secondo la quale soltanto «considerazioni molto forti potranno indurre a far ritenere compatibile con la Convenzione una differenza di trattamento fondata esclusivamente sulla nazionalita'» (da ultimo, Si Amer contro Francia, sentenza del 29 ottobre 2009, ed i precedenti ivi citati). Poste tali premesse, la Corte ha evidenziato che la norma scrutinata e' evidentemente finalizzata a ridurre l'accesso alle prestazioni sociali da parte dei cittadini extracomunitari. Interrogandosi dunque sulla ragionevolezza del criterio di contenimento di tale accesso, con specifico riguardo alla prestazione consistente nell'assegno mensile di assistenza, il giudice delle leggi ha evidenziato che "Occorre accertare se, alla luce della configurazione normativa e della finzione sociale che e' chiamato a svolgere nel sistema, lo specifico "assegno" che viene qui in discorso integri o meno un rimedio destinato a consentire il concreto soddisfacimento dei "bisogni primari" inerenti alla stessa sfera di tutela della persona umana, che e' compito della Repubblica promuovere e salvaguardare; rimedio costituente, dunque, un diritto fondamentale perche' garanzia per la stessa sopravvivenza del soggetto. D'altra parte, la giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha sottolineato come, «in uno Stato democratico moderno, molti individui, per tutta o parte della loro vita, non possono assicurare il loro sostentamento che grazie a delle prestazioni di sicurezza o di previdenza sociale». Sicche', «da parte di numerosi ordinamenti giuridici nazionali viene riconosciuto che tali individui sono bisognosi di una certa sicurezza e prevedono, dunque, il versamento automatico di prestazioni, a condizione che siano soddisfatti i presupposti stabiliti per il riconoscimento dei diritti in questione» (la gia' citata decisione sulla ricevibilita' del 6 luglio 2005, Staic ed altri contro Regno Unito). Ove, pertanto, si versi in tema di provvidenza destinata a far fronte al "sostentamento" della persona, qualsiasi discrimine tra cittadini e stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato, fondato su requisiti diversi dalle condizioni soggettive, finirebbe per risultare in contrasto con il principio sancito dall'art. 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, avuto riguardo alla relativa lettura che, come si e' detto, e' stata in piu' circostanze offerta dalla Corte di Strasburgo." Esaminando dunque la funzione essenziale di sostentamento per soggetti invalidi ricoperta dall'assegno mensile di assistenza, la Corte ha reputato costituzionalmente illegittima in quanto irragionevolmente discriminatoria la norma che qui si esamina. In particolare, la Corte costituzionale ha ritenuto che, avuto riguardo alla essenziali funzione di sostentamento della prestazione in esame, la previsione dell'ulteriore requisito richiesto rispetto alla esistenza di un valido titolo di soggiorno (cioe' il possesso della carta di soggiorno, oggi permesso di soggiorno di lungo periodo) risulti discriminatoria e dunque in contrasto con l'art. 14 della CEDU, con conseguente violazione dell'art. 117 comma 1 della Costituzione. Tali principi devono essere applicati anche nella presente sede. Infatti, anche nell'assegno sociale di cui si discute si ravvisa la essenziale funzione di sostentamento degli anziani che percepiscono un basso reddito, con ogni conseguenza in ordine alla applicabilita' al caso di specie dei sopra riportati rilievi del Giudice delle leggi formulati con riguardo all'assegno mensile di assistenza. Dunque, anche con riguardo alla provvidenza in esame si reputa che la norma che subordina la concessione della indennita' per gli stranieri all'ulteriore requisito della permanenza in Italia per almeno 5 anni e, dunque, al possesso della carta di soggiorno (ora permesso di soggiorno di lungo periodo), non afferente alle mere condizioni soggettive, si ponga in contrasto con l'art. 14 CEDU come interpretato dalla Corte di Strasburgo e, quindi, con l'art. 117 primo comma Cost. 5. Peraltro, a fronte del chiaro ed inequivocabile tenore letterale dell'art. 80, comma 19, legge 388/00, non e' possibile fornire una interpretazione costituzionalmente orientata della norma, ne' tantomeno ritenere che la stessa sia stata gia' espunta dall'ordinamento giuridico sulla base delle pronunce emesse sino ad ora dal Giudice delle leggi, sempre aventi efficacia limitata alle prestazioni di volta in volta esaminate. Piuttosto, per tutti i motivi esposti, deve dubitarsi della legittimita' costituzionale della norma nella parte in cui subordina la concessione dell'assegno sociale agli stranieri al possesso del permesso della carta di soggiorno (ora permesso CE di lungo periodo), concedibile se la permanenza in Italia si protrae da almeno 5 anni, non solo per contrasto con l'art. 117 primo comma Cost., ma anche per contrasto con l'art. 3 Cost. (ponendo in essere una evidente ed ingiustificata disparita' di trattamento in ordine a diritti fondamentali della persona tra cittadini italiani e stranieri) e con l'art. 32 della Costituzione (negando la tutela del diritto alla salute a parita' di condizioni ai cittadini stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato). 6. Non si reputa peraltro possibile procedere alla disapplicazione della norma interna in contrasto con la disciplina comunitaria, senza ricorrere all'intervento del Giudice delle leggi, anche a seguito della entrata in vigore del Trattato di Lisbona che ha riconosciuto i principi fondamentali di cui alla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo come principi interni al diritto dell'Unione. Infatti, le disposizioni della CEDU hanno natura di norme di principio, con la conseguenza che non possono considerarsi direttamente applicabili negli Stati membri. Tale conclusione deve rimanere invariata anche a seguito della entrata in vigore del Trattato di Lisbona, e la stessa Corte costituzionale ha ribadito, anche con sentenza n. 93 del 2010, i principi in proposito enucleati sin dalle sentenze n. ri 348/349 del 2007: "le norme della CEDU - nel significato loro attribuito dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, specificamente istituita per dare ad esse interpretazione ed applicazione (art. 32, paragrafo 1, della Convenzione) - integrano, quali «norme interposte», il parametro costituzionale espresso dall'art. 117, primo comma, Cost., nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli «obblighi internazionali» (sentenze n. 317 e n. 311 del 2009, n. 39 del 2008). Nel caso in cui si profili un eventuale contrasto tra una norma interna e una norma della CEDU, il giudice nazionale comune deve, quindi, preventivamente verificare la praticabilita' di una interpretazione della prima conforme alla norma convenzionale, ricorrendo a tutti i normali strumenti di ermeneutica giuridica (sentenza n. 239 del 2009), e, ove tale soluzione risulti impercorribile (non potendo egli disapplicare la norma interna contrastante), deve denunciare la rilevata incompatibilita' proponendo questione di legittimita' costituzionale in riferimento al parametro dianzi indicato." In virtu' di tutte le considerazioni su esposte questo Giudice ritiene non manifestamente infondata e rilevante nel giudizio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 80, comma 19, legge 388/00 per contrasto con gli artt. 3, 32, 117 comma 1 Cost., nella parte in cui subordina la concessione dell'assegno sociale al possesso della carta di soggiorno, e dunque anche al requisito della durata del soggiorno medesimo nel territorio dello Stato.
P.Q.M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 80, comma 19, legge 388/00 per contrasto con gli artt. 3, 32, 117 comma 1 Cost., nella parte in cui subordina la concessione dell'assegno sociale al possesso della carta di soggiorno, e dunque anche al requisito della durata del soggiorno medesimo nel territorio dello Stato; Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio nonche' comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Sospende il giudizio in corso. Urbino, addi' 19 luglio 2011 Il giudice: Marrone