N. 9 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 20 dicembre 2011

Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (merito)
depositato in canelleria il 20 dicembre 2011. 
 
Reati ministeriali - Procedimento penale a  carico  dell'ex  Ministro
  della giustizia Roberto Castelli per i  reati  di  diffamazione  ed
  ingiuria aggravati dall'uso del mezzo televisivo ai danni  dell'on.
  Oliviero Diliberto - Deliberazione  del  Senato  della  Repubblica,
  Camera di appartenenza dell'ex Ministro  della  giustizia,  con  la
  quale si dichiara la natura ministeriale dei reati in  questione  -
  Ricorso per  conflitto  di  attribuzione  tra  poteri  dello  Stato
  sollevato dalla Corte di cassazione -  Denunciata  invasione  delle
  attribuzioni del potere giudiziario, nella specie del Tribunale dei
  ministri, che gia' si era pronunciato in  ordine  alla  valutazione
  della natura non ministeriale dei reati ascritti all'imputato. 
- Deliberazione del Senato della Repubblica del 22 luglio 2009. 
- Costituzione, art. 96; legge costituzionale 16 gennaio 1989, n.  1,
  art. 9. 
(GU n.2 del 11-1-2012 )
 
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza  sul  ricorso  proposto  dal
Procuratore Generale presso Corte d'appello di Roma; 
    Nei confronti di 1) Castelli Roberto nato il 12 luglio 1946 *  C/
avverso la sentenza n. 9019/2008 tribunale di Roma,  del  6  novembre
2009; 
    Visti gli atti, la sentenza e il ricorso; 
    Udita in pubblica udienza del 5 maggio 2011  la  relazione  fatta
dal consigliere dott. Maria Vessichelli; 
    Udito il  Procuratore  Generale  in  persona  del  dott.  Carmine
Stabile  che  ha  concluso  per  l'annullamento  senza  rinvio  della
sentenza impugnata con adozione delle  statuizioni  consequenziali  e
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; 
    Udito, per la parte civile; 
    Udito i difensori avv. Gasparro; 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    che il Procuratore Generale della Repubblica presso la  Corte  di
appello di  Roma  ha  proposto  ricorso  per  cassazione  avverso  la
sentenza del tribunale di Roma in data 6 novembre 2009 con  la  quale
Roberto  Castelli  e  stato  assolto  dai  reati  di  ingiuria  e  di
diffamazione commessi con il mezzo televisivo ai  danni  di  Oliviero
Diliberto, con  la  formula  «perche'  non  punibile  trattandosi  di
opinioni espresse per il perseguimento  di  un  preminente  interesse
pubblico nell'esercizio della  funzione  di  governo».  Castelli  era
stato  invero  imputato  di  avere  pronunciato  espressioni   lesive
dell'onore e della reputazione dell'on.  Diliberto  nel  corso  della
trasmissione televisiva Telecamere trasmessa il 21  marzo  2004,  sul
tema  della  riforma  dell'ordinamento  giudiziario,  cui  il   primo
partecipava, assieme  a  Diliberto  e  ad  altri  ospiti,  ricoprendo
all'epoca la carica di Ministro della giustizia dopo la rielezione al
Parlamento. 
    In particolare,  in  risposta  alla  richiesta  di  Diliberto  di
chiarire i motivi della presenza ad  una  manifestazione  di  giovani
padani nel quale aveva pronunciato la frase «chi non  salta  italiano
e'», Castelli aveva  replicato  «piuttosto  che  mandare  in  giro  a
sprangare come  fai  tu  preferisco  saltare».  Nel  prosieguo  della
trasmissione Castelli aveva detto  a  Diliberto:  «fascisti  borghesi
ancora pochi mesi ti ricordi? Poi hanno sparato e i tuoi  amici  sono
in Francia». In una terza occasione aveva accusato Diliberto di avere
operato illegalmente per favorire il rientro in Italia di  terroristi
allorche' aveva svolto le funzioni di Ministro della giustizia; 
    che, proseguiva il Procuratore Generale,  il  Pubblico  ministero
aveva investito il  Tribunale  dei  Ministri  della  questione  della
ministerialita' del reato in esame, trasmettendo gli  atti  ai  sensi
dell'art. 6 legge cost. n. 1 del 1989, ma il Collegio  (ord.  del  13
dicembre 2004) aveva declinato la  propria  competenza  ritenendo  le
frasi espressione di un personale convincimento del Castelli che,  in
quel momento,  aveva  parlato  come  cittadino  comune  e  non  quale
rappresentante del Governo; 
    che il procedimento aveva subito una sospensione  quando  si  era
appreso che il Senato, con deliberazione del  30  giugno  2004  aveva
dichiarato la insindacabilita' ex art. 68  Cost.,  delle  espressioni
del sen. Castelli, ai sensi della legge n. 140 del 2003 affermando la
estensibilita' della delibera tanto alla causa civile  intentata  dal
Diliberto  quanto  al  procedimento  penale  vertente  sul   medesimo
oggetto: il Gip aveva quindi sollevato il conflitto  di  attribuzioni
fra  poteri  dello  Stato  chiedendo  alla  Corte  costituzionale  di
pronunciarsi sulla delibera della Camera di appartenenza. 
    La Corte costituzionale con sentenza del 10 luglio 2007, n.  304,
aveva accolto il ricorso. Ne era conseguito il rinvio a giudizio  del
sen. Castelli ma il 30 ottobre 2008 egli aveva  adito  il  Presidente
del Senato chiedendo che la vicenda  venisse  riesaminata  alla  luce
dell'art. 96 Cost. in quanto le dichiarazioni  incriminate  sarebbero
state connesse con la sua attivita' di Ministro della  giustizia  pro
tempore. E, nella seduta del 22 luglio 2009, il Senato accoglieva  le
conclusioni, a maggioranza,  della  Giunta  delle  elezioni  e  delle
immunita' parlamentari, dichiarando  il  carattere  ministeriale  dei
reati contestati  al  sen.  Castelli,  ministro  pro  tempore,  e  la
sussistenza, in ordine ai medesimi, della finalita' di cui all'art. 9
comma 3 legge cost. n 1 del 1989. 
    Il Tribunale, dinanzi al quale il processo aveva  alfine  ripreso
il suo  corso,  pur  rilevando  una  serie  di  anomalie  procedurali
destinate pero' a non produrre effetti nel  caso  concreto,  ribadiva
che le frasi pronunciate dal sen. Castelli erano state ispirate dalla
necessita' di difendere le sue funzioni  ministeriali  e  la  riforma
dell'ordinamento  giudiziario  dagli  attacchi  provocatori   portati
dall'on.  Diliberto:  pertanto  osservava  ancora  il   Giudice   che
ricorrevano effettivamente  i  presupposti  per  ritenere  la  natura
ministeriale  del  reato  attribuito  al  Castelli  ed   altresi'   i
presupposti per la applicazione immediata e diretta della guarentigia
prevista dall'art. 9 comma 3 legge n. 1 del 1989 ossia  l'avere  egli
agito per  il  perseguimento  di  un  preminente  interesse  pubblico
nell'esercizio  della  funzione  di   governo.   Assolveva   pertanto
l'imputato ai sensi dell'art. 96 Cost.; 
    che il Procuratore generale,  come  anticipato  in  premessa,  ha
quindi denunciato con ricorso a questa Corte la violazione  dell'art.
96 Cost. in relazione alla corretta interpretazione  della  categoria
di reato ministeriale; la violazione della legge Cost. n. 1 del  1989
in relazione alla individuazione dell'organo cui spetta stabilire  la
ministerialita' dei reati;  la  erronea  applicazione  dell'art.  134
Cost.  sulla  individuazione  dell'organo  cui  e'  riconosciuta   la
competenza a dirimere i conflitti di attribuzione  tra  poteri  dello
Stato; 
    che la difesa ha chiesto,  durante  la  discussione  in  udienza,
dichiararsi inammissibile il ricorso perche' sarebbero da considerare
precluse le questioni in esame, non rappresentate in primo  grado  ed
inoltre in quanto le stesse comunque erano state dedotte nella  forma
del vizio di  motivazione,  con  ricorso  per  saltum,  e  quindi  in
violazione dell'art. 569 cpp. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    che il ricorso non appare  inammissibile  atteso  che  il  PG  ha
denunciato violazioni di legge - deducibili con ricorso per saltum  -
peraltro gia' proposte al giudice di primo grado; 
    che la sentenza impugnata, fondata su una  autonoma  applicazione
delle guarentigie ex art. 96 Cost., appare censurabile in  quanto  in
primo luogo il Tribunale  non  ha  fatto  corretta  applicazione  dei
principi normativi che sovrintendono alla  individuazione  del  reato
ministeriale  ed  alla  differenza  rispetto  al  reato  comune,  pur
ipotizzato in presenza  dei  requisiti  soggettivi  in  capo  al  suo
presunto autore. Costituisce invero  orientamento  consolidato  nella
giurisprudenza di questa Corte, tanto da costituire diritto  vivente,
quello secondo cui ai sensi dell'art. 96 Cost. e  dell'art.  1  della
legge 16 gennaio 1989, n.  1,  gli  elementi  che  caratterizzano  la
categoria dei «reati ministeriali» sono la particolare qualificazione
giuridica soggettiva dell'autore del reato nel momento in cui  questo
e commesso e il rapporto di connessione fra la condotta  integratrice
dell'illecito e le funzioni esercitate  dal  ministro,  rapporto  che
sussiste tutte le volte in cui l'atto o la  condotta  siano  comunque
riferibili alla competenza funzionale  del  soggetto.  Deve,  quindi,
ritenersi che siano esclusi dalla categoria in questione  quei  reati
in cui sia ravvisabile un mero  rapporto  di  occasionalita'  tra  la
condotta illecita del ministro e l'esercizio delle funzioni (Sez.  U,
Sentenza n. 14 del 20 luglio 1994 Cc. , Rv.  198223;  conf.  Sez.  6,
Sentenza n. 8854 del 20 maggio 1998,  Rv.  211998),  Si  ritiene,  in
altri termini, che soltanto il rapporto oggettivo e  strumentale  con
l'esercizio delle funzioni, possa essere il criterio utilizzabile per
la delimitazione  della  categoria  dei  reati  ministeriali.  E  con
riferimento al caso concreto risulta dunque in violazione di legge la
decisione del tribunale di Roma che  ha  ritenuto  espressione  delle
funzioni proprie del Ministro della giustizia quantomeno la  condotta
contestata  al  sen.  Castelli,  consistita  nell'apostrofare   l'on.
Diliberto con la frase «piuttosto che mandare  in  giro  a  sprangare
come fai tu preferisco saltare»: espressione in relazione alla  quale
si rileva un nesso  di  mera  occasionalita'  con  l'esercizio  delle
funzioni proprie del ministro. Funzioni che, per quanto  ben  possano
consistere nella illustrazione e nella difesa,  in  una  trasmissione
televisiva, di un progetto di legge o di  una  legge  e  della  linea
politica che con essa si intende esprimere, restano pero' estranee  a
tematiche  coinvolgenti  contestazioni   personali   o   attacchi   a
comportamenti che  nulla  hanno  a  che  vedere  con  lo  svolgimento
dell'incarico ministeriale; 
    che la conseguenza diretta di tali rilievi, e cioe' la previsione
dell'annullamento della sentenza impugnata da parte di  questa  Corte
di  legittimita',  rende  pero'  rilevante  considerare  la  avvenuta
adozione della delibera del Senato del 22 luglio 2009, con la quale e
stato  parimenti  dichiarato  il  carattere  ministeriale  dei  reati
contestati al seri. Castelli, ministro pro  tempore,  delibera  sulla
quale e poi stata fondata la ulteriore decisione  sulla  sussistenza,
in ordine ai medesimi reati, della finalita' di cui all'art. 9  comma
3 legge  Cost.  n.  1  del  1989.  Si  intende  cioe'  affermare,  in
accoglimento della richiesta del Procuratore generale impugnante, che
viene qui in considerazione il fatto che e'  stata  formalizzata  dal
Senato una delibera di diniego di autorizzazione a  procedere,  ossia
di una condizione di procedibilita' del processo penate in corso,  in
assenza  dei  presupposti  previsti  dall'art.  96  Costituzione  per
l'esercizio di tale prerogativa, dal momento  che,  in  base  a  tale
norma  ed  alla  disciplina  prevista  dalla   legge   costituzionale
n.1/1989, non spettava  all'Organo  parlamentare  la  valutazione  in
ordine alla natura ministeriale del reato,  rimessa  invece  in  modo
esclusivo alla Autorita' giudiziaria; 
    che pertanto  la  delibera  del  Senato  che  ha  qualificato  le
condotte del sen. Castelli  come  reato  ministeriale,  essendo  atto
posto  in  essere  in  assenza  dei  poteri  legittimanti   data   la
attribuzione al Senato di prerogative non spettanti, si ritiene debba
essere fatta  oggetto  di  specifico  vaglio  da  parte  della  Corte
costituzionale sollevando conflitto di attribuzioni tra poteri  dello
Stato, ai sensi dell'art. 37, legge n. 87/1953. Invero, il potere  di
negare l'autorizzazione a procedere, che  pure  e'  qualificato  come
insindacabile dall'art. 9, comma 3, legge Cost. n, 1/1989, e peraltro
previsto, sulla base dell'art. 96  Costituzione  e  della  disciplina
contenuta nella legge costituzionale n. 1/1989, soltanto nel caso  di
reato avente natura ministeriale, cioe'  commesso  nell'esercizio  di
tali funzioni. E la presupposta valutazione sulla natura ministeriale
o  meno  del  reato  ipotizzato  a  carico  del  ministro,  ossia  la
qualificazione della condotta come commessa «nell'esercizio delle sue
funzioni», ai fini del processo, rientra nei poteri  esclusivi  della
autorita' giudiziaria procedente e non del Parlamento. 
    Tale assunto e  stato  affermato  non  solo,  di  recente,  dalla
giurisprudenza di questa Corte (vedi Sez. 6, Sentenza n. 10130 del  3
marzo 2011 Cc. (dep. 11 marzo 2011 ) Rv. 249234), ma,  ancora  prima,
dalla Corte costituzionale (cent. n. 241 del 2009). Il Giudice  delle
leggi ha infatti posto in evidenza che nel caso in cui  il  Tribunale
dei ministri abbia espresso la propria determinazione  escludendo  la
natura  ministeriale  del  reato  oggetto  di  indagini,  la   Camera
competente, ove non condivida, ha solo la possibilita'  di  sollevare
il  conflitto  di  attribuzione  davanti  alla  Corte  costituzionale
assumendo di essere  stata  menomata,  per  effetto  della  decisione
giudiziaria, della potesta' riconosciutale dall'art. 96 Cost.; 
    che  nel  caso  di  specie,  proprio  quella  descritta  era   la
situazione  verificatasi,  posto  che  il  Collegio   per   i   reati
ministeriali di Roma, con provvedimento in data 13 dicembre 2004, pur
con  una  motivazione  comprensiva  anche  di  altri  profili,  aveva
comunque declinato la  propria  competenza  rilevando  come  i  fatti
contestati al sen. Castelli integrassero ipotesi di  reati  comuni  e
non ministeriali e restituendo gli atti al PM per il prosieguo; 
    che a cio' consegue, pertanto, che, nella  descritta  situazione,
il Senato,  a  fronte  della  valutazione  giudiziale  da  parte  del
tribunale dei ministri di Roma in ordine alla natura non ministeriale
del reato ascritto all'imputato, non aveva il  potere  di  negare  la
autorizzazione a procedere. Ne' risulta che il medesimo organo  o  la
Giunta nelle conclusioni poi recepite dal  Senato  abbiano  in  alcun
modo valutato e tanto meno motivato in merito allo specifico  profilo
in discussione,  emergendo,  dalla  lettura  della  Relazione  e  dei
resoconti  stenografici  delle  sedute  che,  della   decisione   del
tribunale dei ministri, e' stato  considerato  e  censurato  solo  il
merito del provvedimento adottato. 
    Da  cio',  conclusivamente,  discende  la  illegittimita'   della
delibera stessa e il suo carattere invasivo  delle  attribuzioni  del
potere  giudiziario,  che  induce  questo  Collegio  a  sollevare  il
presente conflitto; 
    che l'esercizio di  un  potere  non  spettante  ben  puo'  essere
dedotto alla Corte costituzionale direttamente  da  parte  di  questa
Corte di Cassazione, anziche' esserne rimessa la deduzione al giudice
a quo, posto che il rinvio a quest'ultimo e' superfluo in  ogni  caso
in  cui  possa  essere  la  Corte  medesima  a  darei   provvedimenti
necessari. 
 
                                P.Q.M. 
 
    Visti l'art. 134 Cost. e legge 11 marzo 1953,  n.  87,  art.  37;
dispone la sospensione del procedimento  penale  iscritto  al  n.r.g.
22611\2010 su  ricorso  del  Procuratore  Generale  della  Repubblica
presso la Corte di appello di Roma; 
    ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale, sollevando conflitto di attribuzione tra poteri dello
Stato e chiede che la Corte: 
    dichiari ammissibile il presente conflitto; 
    e,  nel  merito,  dichiari  che  non  spettava  alla  Camera   di
appartenenza deliberare, ai fini dell'esercizio della prerogativa  di
cui all'art. 96 Cost., che le frasi pronunciate dall'allora  ministro
della giustizia Roberto Castelli nella trasmissione «Telecamere»  del
21 marzo 2004, oggetto del procedimento penale in relazione al  quale
pende ricorso per cassazione,  integravano  un  reato  avente  natura
ministeriale essendo commessi nell'esercizio delle funzioni. 
    Ordina che a cura della cancelleria la su  estesa  ordinanza  sia
notificata alle parti in causa ed al Pubblico Ministero,  nonche'  al
Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai  Presidenti
delle due Camere del Parlamento. 
    Cosi' deciso in Roma, il 5 maggio 2011 
 
                      Il Presidente: Calabrese 
 
 
                                Il consigliere estensore: Vessichelli