N. 160 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 24 novembre 2011
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 24 novembre 2011 (della Regione autonoma della Sardegna). Regioni a statuto speciale - Finanza regionale - Riserva all'erario statale, per un periodo di cinque anni, delle maggiori entrate derivanti dall'accisa sui tabacchi lavorati e da altre entrate tributarie previste dal decreto impugnato nonche' dalla lotta all'evasione fiscale - Finalizzazione delle entrate medesime alle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, e alla riduzione degli oneri fiscali e contributivi gravanti su famiglie e imprese - Lamentata acquisizione allo Stato di entrate di spettanza regionale, elusione delle previsioni statutarie sull'ordinamento finanziario della regione, lamentata genericita' dello scopo nonche' eccessiva durata del tempo di applicazione delle misure - Ricorso della Regione Sardegna - Denunciata violazione delle attribuzioni e della particolare autonomia economico-finanziaria della Regione, violazione della competenza legislativa regionale nella materia concorrente del coordinamento della finanza pubblica, irragionevolezza. - Decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148, art. 2, comma 36. - Costituzione, artt. 3, 117 e 119; statuto della Regione Sardegna, artt. 7 e 8. Iniziativa economica privata - Finanza regionale - Obbligo per gli enti locali di adeguare, entro un anno, i rispettivi ordinamenti al principio c.d. della liberalizzazione delle attivita' economiche, secondo cui l'iniziativa e l'attivita' economica privata sono libere ed e' permesso tutto cio' che non e' espressamente vietato dalla legge - Elemento per la valutazione della c.d. "virtuosita'" degli enti territoriali, secondo il meccanismo introdotto dall'art. 20 del d.l. n. 98/2011 - Lamentata incidenza su materie riconducibili alla competenza legislativa regionale concorrente e residuale, ulteriore pregiudizio per la mancata esecuzione della novella statutaria del 2006 sul regime delle entrate - Ricorso della Regione Sardegna - Denunciata violazione dell'autonomia legislativa e finanziaria della Regione, lesione del principio di ragionevolezza. - Decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148, art. 3, comma 4. - Costituzione, artt. 3, 117 e 119; statuto della Regione Sardegna, artt. 3, 4 e 7. Enti locali - Servizi pubblici locali - Gestione e affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica - Previsione che gli enti locali verifichino la realizzabilita' di una gestione concorrenziale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, liberalizzando tutte le attivita' economiche e limitando l'attribuzione di diritti di esclusiva alle ipotesi in cui, in base ad una analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunita' - Lamentata attribuzione agli enti locali di competenze proprie della Regione, lamentata esorbitanza del legislatore dalla sua competenza riguardante il solo profilo dell'affidamento del servizio pubblico locale, con invasione di ambiti regionali, ulteriore pregiudizio per la mancata esecuzione della novella statutaria del 2006 sul regime delle entrate - Ricorso della Regione Sardegna - Denunciata violazione della competenza legislativa della Regione in materia di ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi regionali, ordinamento degli enti locali, trasporti su linee automobilistiche e tranviarie, assunzione di pubblici servizi, linee marittime ed aeree di cabotaggio fra i porti e gli scali della Regione, lesione dell'autonomia finanziaria della Regione, lesione del principio del finanziamento integrale delle funzioni pubbliche. - Decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148, art. 4. - Costituzione, art. 119; statuto della Regione Sardegna, artt. 3, comma 1, lett. a), b) e g), e 4, comma 1, lett. f) e g). Bilancio e contabilita' pubblica - Regione Sardegna - Disposizioni per garantire l'efficacia delle misure finanziarie gia' previste nell'ambito del c.d. "Obiettivo Convergenza" dell'Unione europea e nell'ambito del "Piano per il Sud" - Lamentata penalizzazione della Regione Sardegna, rientrante nel Piano per il Sud, ma non inserita nell'Obiettivo Convergenza, e dunque tenuta a finanziare gli investimenti nelle Regioni in esso (Obiettivo Convergenza) inserite - Lamentato ulteriore pregiudizio per la mancata esecuzione della novella statutaria del 2006 sul regime delle entrate - Ricorso della Regione Sardegna - Denunciata violazione dei principi di eguaglianza, di ragionevolezza, di perequazione, coesione e solidarieta' sociale, lesione dell'autonomia finanziaria della Regione. - Decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148, art. 5-bis. - Costituzione, artt. 3 e 119. Istruzione - Istruzione e formazione professionale - Disciplina dei tirocini formativi e di orientamento non curricolari - Prevista applicazione del regolamento di attuazione dell'art. 18 della legge n. 196 del 2007 - Lamentata interferenza nella materia della formazione professionale di competenza esclusiva regionale, lamentata applicazione di regolamento statale - Ricorso della Regione Sardegna - Denunciata violazione della potesta' legislativa primaria della Regione in materia di formazione professionale. - Decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148, art. 11. - Costituzione, art. 117; legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, art. 10. Regioni a statuto speciale - Disposizioni sui consiglieri regionali - Determinazione del numero massimo dei consiglieri e degli assessori regionali, previsione di un limite massimo degli emolumenti e delle indennita', commisurazione del trattamento economico alla effettiva partecipazione ai lavori del Consiglio, introduzione del trattamento previdenziale contributivo, istituzione e disciplina di un organo regionale denominato "Collegio dei revisori dei conti" - Necessita' di adeguamento anche per le Regioni autonome ai fini dell'attuazione degli obiettivi costituzionali di perequazione e di solidarieta', nonche' dell'applicazione di misure premiali o sanzionatorie previste dalla normativa vigente - Contrasto con lo speciale regime organizzativo e finanziario riconosciuto alla Regione autonoma, lamentata subordinazione della perequazione alla rinuncia alla autonomia costituzionalmente garantita, irragionevolezza per indisponibilita' da parte della Regione del procedimento di revisione statutaria - Ricorso della Regione Sardegna - Denunciata violazione della autonomia e delle attribuzioni regionali, irragionevolezza. - Decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148, art. 14. - Costituzione, artt. 3, 116 e 119; statuto della Regione Sardegna, artt. 15 e 16. Enti locali - Unioni di comuni - Comuni fino a 1000 abitanti - Esercizio necessario di tutte le funzioni, incluse quelle delegate o attribuite dalle Regioni, attraverso la forma associativa dell'Unione dotata di propri organi e potesta' statutaria, e titolare di rapporti giuridici e di risorse - Previsione di poteri regolamentari e amministrativi statali - Lamentata interferenza in ambiti settoriali di competenza legislativa e amministrativa regionale - Lamentato ulteriore pregiudizio per la mancata esecuzione della novella statutaria del 2006 sul regime delle entrate - Ricorso della Regione Sardegna - Denunciata violazione della competenza legislativa esclusiva regionale in materia di ordinamento degli enti locali, lesione dell'autonomia finanziaria della Regione. - Decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148, art. 16. - Costituzione, artt. 117 e 119; statuto della Regione Sardegna, art. 3. Regione Sardegna - Bilancio e contabilita' pubblica - Modifica del comma 3 dell'art. 20, del decreto legge n. 98 del 2011, concernente il nuovo patto di stabilita' interno e la partecipazione al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica - Riproposizione da parte della Regione Sardegna delle censure gia' prospettate avverso il predetto art. 20, nella sua formulazione originaria, con il Ricorso n. 96 del 2011 - Lamentata applicazione alla Regione Sardegna del generale regime premiale e sanzionatorio connesso al rispetto del patto di stabilita', ancorche' la Regione versi in situazione di indisponibilita' di risorse adeguate per l'assolvimento delle funzioni istituzionali per la mancata esecuzione della novella statutaria del 2006 sul regime delle entrate - Lamentata iniquita' del sistema di compartecipazione a vantaggio delle Regioni ordinarie e in danno delle autonomie speciali - Lamentata interferenza statale nell'ordinamento degli enti locali - Ricorso della Regione Sardegna - Denunciata lesione della speciale autonomia finanziaria della Regione, violazione del principio del necessario equilibrio tra funzioni e risorse assegnate, violazione della potesta' legislativa esclusiva della Regione in materia di ordinamento degli enti locali, indebita equiparazione di situazioni diverse, irragionevolezza. - Decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148, art. 1, comma 9, lett. b). - Costituzione, artt. 3, 5, 116, 117 e 119; statuto della Regione Sardegna, artt. 1, 3, 4, 5, 7 e 8.(GU n.4 del 25-1-2012 )
Ricorso della Regione autonoma della Sardegna (cod. fisc. 80002870923), in persona del Presidente pro tempore Dott. Ugo Cappellacci, rappresentata e difesa, giusta procura a margine del presente atto e di deliberazione della Giunta della Regione Autonoma della Sardegna, dagli Avv.ti Tiziana Ledda (cod. fisc. LDDTZN52T59B354Q, PEC - Posta Elettronica Certificata tledda@pec.regione.sardegna.it) e Prof. Massimo Luciani (cod. fisc. LCNMSM52L23H501G, PEC - Posta Elettronica Certificata massimoluciani@ordineavvocatiroma.org), ed elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo in Roma, Via Bocca di Leone, n. 78, Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente pro tempore, per la dichiarazione dell'illegittimita' costituzionale degli artt. 1, comma 9, lett. b), 2, comma 36, 3, comma 4, 4, 5-bis, 11, 14 e 16 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 13 agosto 2011, n. 188, convertito con modificazioni in legge 14 settembre 2011, n. 148, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 16 settembre 2011, n. 216. 1. - Debbono essere qui riassunte le vicende delle disposizioni oggetto del presente ricorso. 1.1. - L'originaria formulazione delle disposizioni indicate in epigrafe (precisato che l'art. 5-bis non era presente nell'originaria formulazione del decreto ed e' stato introdotto in sede di conversione) era la seguente: «Articolo 1. Disposizioni per la riduzione della spesa. - [...] 9. All'articolo 20, del citato decreto-legge n. 98 del 2011 convertito con legge n. 111 del 2011, sono apportate le seguenti modificazioni: b) al comma 3, le parole: "a decorrere dall'anno 2013", sono sostituite dalle seguenti: "a decorrere dall'anno 2012"; nel medesimo comma, il secondo periodo e' soppresso; nel medesimo comma, al terzo periodo sostituire le parole "di cui a primi due periodi" con le seguenti: "di cui al primo periodo"». «Articolo 2. Disposizioni in materia di entrate. - [...] 36. Le maggiori entrate derivanti dal presente decreto sono riservate all'Erario, per essere destinate alle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, anche alla luce della eccezionalita' della situazione economica internazionale». «Articolo 3. Abrogazione delle indebite restrizioni all'accesso e all'esercizio delle professioni e delle attivita' economiche. - [...] 4. L 'adeguamento di Comuni, Province e Regioni all'obbligo di cui al comma 1 costituisce elemento di valutazione della virtuosita' dei predetti enti ai sensi dell'art. 20, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111». «Articolo 4. Adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dell'unione europea. - 1. Gli enti locali, nel rispetto dei principi di concorrenza, di liberta' di stabilimento e di libera prestazione dei servizi, verificano la realizzabilita' di una gestione concorrenziale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, di seguito "servizi pubblici locali", liberalizzando tutte le attivita' economiche compatibilmente con le caratteristiche di universalita' e accessibilita' del servizio e limitando, negli altri casi, l'attribuzione di diritti di esclusiva alle ipotesi in cui, in base ad una analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunita'. 2. All'esito della verifica l'ente adotta una delibera quadro che illustra l'istruttoria compiuta ed evidenzia, per i settori sottratti alla liberalizzazione, i fallimenti del sistema concorrenziale e, viceversa, i benefici per la stabilizzazione, lo sviluppo e l'equita' all'interno della comunita' locale derivanti dal mantenimento di un regime di esclusiva del servizio. 3. Alla delibera di cui al comma precedente e' data adeguata pubblicita'; essa e' inviata all'Autorita' garante della concorrenza e del mercato ai fini della relazione al Parlamento di cui alla legge 10 ottobre 1990, n. 287. 4. La verifica di cui al comma 1 e' effettuata entro dodici mesi dall'entrata in vigore del presente decreto e poi periodicamente secondo i rispettivi ordinamenti degli enti locali; essa e' comunque effettuata prima di procedere al conferimento e al rinnovo della gestione dei servizi. 5. Gli enti locali, per assicurare agli utenti l'erogazione di servizi pubblici che abbiano ad oggetto la produzione di beni e attivita' rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunita' locali, definiscono preliminarmente, ove necessario, gli obblighi di servizio pubblico, prevedendo le eventuali compensazioni economiche alle aziende esercenti i servizi stessi, tenendo conto dei proventi derivanti dalle tariffe e nei limiti della disponibilita' di bilancio destinata allo scopo. 6. All'attribuzione di diritti di esclusiva ad un'impresa incaricata della gestione di servizi pubblici locali consegue l'applicazione di quanto disposto dall'articolo 9 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, e successive modificazioni. 7. I soggetti gestori di servizi pubblici locali, qualora intendano svolgere attivita' in mercati diversi da quelli in cui sono titolari di diritti di esclusiva, sono soggetti alla disciplina prevista dall'articolo 8, commi 2-bis e 2-quater, della legge 10 ottobre 1990, n. 287, e successive modificazioni. 8. Nel caso in cui l'ente locale, a seguito della verifica di cui al comma 1, intende procedere all'attribuzione di diritti di esclusiva, il conferimento della gestione di servizi pubblici locali avviene in favore di imprenditori o di societa' in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicita', imparzialita', trasparenza, adeguata pubblicita', non discriminazione, parita' di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalita'. Le medesime procedure sono indette nel rispetto degli standard qualitativi, quantitativi, ambientali, di equa distribuzione sul territorio e di sicurezza definiti dalla legge, ove esistente, dalla competente autorita' di settore o, in mancanza di essa, dagli enti affidanti. 9. Le societa' a capitale interamente pubblico possono partecipare alle procedure competitive ad evidenza pubblica, sempre che non vi siano specifici divieti previsti dalla legge. 10. Le imprese estere, non appartenenti a Stati membri dell'Unione europea, possono essere ammesse alle procedure competitive ad evidenza pubblica per l'affidamento di servizi pubblici locali a condizione che documentino la possibilita' per le imprese italiane di partecipare alle gare indette negli Stati di provenienza per l'affidamento di omologhi servizi. 11. Al fine di promuovere e proteggere l'assetto concorrenziale dei mercati interessati, il bando di gara o la lettera di invito relative alle procedure di cui ai commi 8, 9, 10: a) esclude che la disponibilita' a qualunque titolo delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali non duplicabili a costi socialmente sostenibili ed essenziali per l'effettuazione del servizio possa costituire elemento discriminante per la valutazione delle offerte dei concorrenti; b) assicura che i requisiti tecnici ed economici di partecipazione alla gara siano proporzionati alle caratteristiche e al valore del servizio e che la definizione dell'oggetto della gara garantisca la piu' ampia partecipazione e il conseguimento di eventuali economie di scala e di gamma; c) indica, ferme restando le discipline di settore, la durata dell'affidamento commisurata alla consistenza degli investimenti in immobilizzazioni materiali previsti nei capitolati di gara a carico del soggetto gestore. In ogni caso la durata dell'affidamento non puo' essere superiore al periodo di ammortamento dei suddetti investimenti; d) puo' prevedere l'esclusione di forme di aggregazione o di collaborazione tra soggetti che possiedono singolarmente i requisiti tecnici ed economici di partecipazione alla gara, qualora, in relazione alla prestazione oggetto del servizio, l'aggregazione o la collaborazione sia idonea a produrre effetti restrittivi della concorrenza sulla base di un'oggettiva e motivata analisi che tenga conto di struttura, dimensione e numero degli operatori del mercato di riferimento; e) prevede che la valutazione delle offerte sia effettuata da una commissione nominata dall'ente affidante e composta da soggetti esperti nella specifica materia; f) indica i criteri e le modalita' per l'individuazione dei beni di cui al comma 29, e per la determinazione dell'eventuale importo spettante al gestore al momento della scadenza o della cessazione anticipata della gestione ai sensi del comma 30; g) prevede l'adozione di carte dei servizi al fine di garantire trasparenza informativa e qualita' del servizio. 12. Fermo restando quanto previsto ai commi 8, 9, 10 e 11, nel caso di procedure aventi ad oggetto, al tempo stesso, la qualita' di socio, al quale deve essere conferita una partecipazione non inferiore al 40 per cento, e l'attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio, il bando di gara o la lettera di invito assicura che: a) i criteri di valutazione delle offerte basati su qualita' e corrispettivo del servizio prevalgano di norma su quelli riferiti al prezzo delle quote societarie; b) il socio privato selezionato svolga gli specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio per l'intera durata del servizio stesso e che, ove cio' non si verifica, si proceda a un nuovo affidamento; c) siano previsti criteri e modalita' di liquidazione del socio privato alla cessazione della gestione. 13. In deroga a quanto previsto dai commi 8, 9, 10, 11 e 12 se il valore economico del servizio oggetto dell'affidamento e' pari o inferiore alla somma complessiva di 900.000 euro annui, l'affidamento puo' avvenire a favore di societa' a capitale interamente pubblico che abbia i requisiti richiesti dall'ordinamento europeo per la gestione cosiddetta "in house". 14. Le societa' cosiddette "in house" affidatarie dirette della gestione di servizi pubblici locali sono assoggettate al patto di stabilita' interno secondo le modalita' definite, con il concerto del Ministro per le riforme per il federalismo, in sede di attuazione dell'articolo 18, comma 2-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni. Gli enti locali vigilano sull'osservanza, da parte dei soggetti indicati al periodo precedente al cui capitale partecipano, dei vincoli derivanti dal patto di stabilita' interno. 15. Le societa' cosiddette "in house" e le societa' a partecipazione mista pubblica e privata, affidatarie di servizi pubblici locali, applicano, per l'acquisto di beni e servizi, le disposizioni di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni. 16. L'articolo 32, comma 3, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, limitatamente alla gestione del servizio per il quale le societa' di cui al comma 1, lettera c), del medesimo articolo sono state specificamente costituite, si applica se la scelta del socio privato e' avvenuta mediante procedure competitive ad evidenza pubblica le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualita' di socio e l'attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio. Restano ferme le altre condizioni stabilite dall'articolo 32, comma 3, numeri 2) e 3), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni. 17. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 18, comma 2-bis, primo e secondo periodo, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, le societa' a partecipazione pubblica che gestiscono servizi pubblici locali adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalita' per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui al comma 3 dell'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Fino all'adozione dei predetti provvedimenti, e' fatto divieto di procedere al reclutamento di personale ovvero di conferire incarichi. Il presente comma non si applica alle societa' quotate in mercati regolamentati. 18. In caso di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali a societa' cosiddette "in house" e in tutti i casi in cui il capitale sociale del soggetto gestore e' partecipato dall'ente locale affidante, la verifica del rispetto del contratto di servizio nonche' ogni eventuale aggiornamento e modifica dello stesso sono sottoposti, secondo modalita' definite dallo statuto dell'ente locale, alla vigilanza dell'organo di revisione di cui agli articoli 234 e seguenti del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni. Restano ferme le disposizioni contenute nelle discipline di settore vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto. 19. Gli amministratori, i dirigenti e i responsabili degli uffici o dei servizi dell'ente locale, nonche' degli altri organismi che espletano funzioni di stazione appaltante, di regolazione, di indirizzo e di controllo di servizi pubblici locali, non possono svolgere incarichi inerenti la gestione dei servizi affidati da parte dei medesimi soggetti. Il divieto si applica anche nel caso in cui le dette funzioni sono state svolte nei tre anni precedenti il conferimento dell'incarico inerente la gestione dei servizi pubblici locali. Alle societa' quotate nei mercati regolamentati si applica la disciplina definita dagli organismi di controllo competenti. 20. Il divieto di cui al comma 19 opera anche nei confronti del coniuge, dei parenti e degli affini entro il quarto grado dei soggetti indicati allo stesso comma, nonche' nei confronti di coloro che prestano, o hanno prestato nel triennio precedente, a qualsiasi titolo attivita' di consulenza o collaborazione in favore degli enti locali o dei soggetti che hanno affidato la gestione del servizio pubblico locale. 21. Non possono essere nominati amministratori di societa' partecipate da enti locali coloro che nei tre anni precedenti alla nomina hanno ricoperto la carica di amministratore, di cui all'articolo 77 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, negli enti locali che detengono quote di partecipazione al capitale della stessa societa'. 22. I componenti della commissione di gara per l'affidamento della gestione di servizi pubblici locali non devono aver svolto ne' svolgere alcun'altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente alla gestione del servizio di cui si tratta. 23. Coloro che hanno rivestito, nel biennio precedente, la carica di amministratore locale, di cui al comma 21, non possono essere nominati componenti della commissione di gara relativamente a servizi pubblici locali da affidare da parte del medesimo ente locale. 24. Sono esclusi da successivi incarichi di commissario coloro che, in qualita' di componenti di commissioni di gara, abbiano concorso, con dolo o colpa grave accertati in sede giurisdizionale con sentenza non sospesa, all'approvazione di atti dichiarati illegittimi. 25. Si applicano ai componenti delle commissioni di gara le cause di astensione previste dall'articolo 51 del codice di procedura civile. 26. Nell'ipotesi in cui alla gara concorre una societa' partecipata dall'ente locale che la indice, i componenti della commissione di gara non possono essere ne' dipendenti ne' amministratori dell'ente locale stesso. 27. Le incompatibilita' e i divieti di cui ai commi dal 19 al 26 si applicano alle nomine e agli incarichi da conferire successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto. 28. Ferma restando la proprieta' pubblica delle reti, la loro gestione puo' essere affidata a soggetti privati. 29. Alla scadenza della gestione del servizio pubblico locale o in caso di sua cessazione anticipata, il precedente gestore cede al gestore subentrante i beni strumentali e le loro pertinenze necessari, in quanto non duplicabili a costi socialmente sostenibili, per la prosecuzione del servizio, come individuati, ai sensi del comma 11, lettera f), dall'ente affidante, a titolo gratuito e liberi da pesi e gravami. 30. Se, al momento della cessazione della gestione, i beni di cui al comma 1 non sono stati interamente ammortizzati, il gestore subentrante corrisponde al precedente gestore un importo pari al valore contabile originario non ancora ammortizzato, al netto di eventuali contributi pubblici direttamente riferibili ai beni stessi. Restano ferme le disposizioni contenute nelle discipline di settore, anche regionali, vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonche' restano salvi eventuali diversi accordi tra le parti stipulati prima dell'entrata in vigore del presente decreto. 31. L'importo di cui al comma 30 e' indicato nel bando o nella lettera di invito relativi alla gara indetta per il successivo affidamento del servizio pubblico locale a seguito della scadenza o della cessazione anticipata della gestione. 32. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 14, comma 32, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, come modificato dall'articolo 1, comma 117, della legge 13 dicembre 2010, n. 220, e successive modificazioni, il regime transitorio degli affidamenti non conformi a quanto stabilito dal presente decreto e' il seguente: a) gli affidamenti diretti relativi a servizi il cui valore economico sia superiore alla somma di cui al comma 13, nonche' gli affidamenti diretti che non rientrano nei casi di cui alle successive lettere da b) a d) cessano, improrogabilmente e senza necessita' di apposita deliberazione dell'ente affidante, alla data del 31 marzo 2012; b) le gestioni affidate direttamente a societa' a partecipazione mista pubblica e privata, qualora la selezione del socio sia avvenuta mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui al comma 8, le quali non abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la qualita' di socio e l'attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio, cessano, improrogabilmente e senza necessita' di apposita deliberazione dell'ente affidante, alla data del 30 giugno 2012; c) le gestioni affidate direttamente a societa' a partecipazione mista pubblica e privata, qualora la selezione del socio sia avvenuta mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui al comma 8, le quali abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la qualita' di socio e l'attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio, cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio; d) gli affidamenti diretti assentiti alla data del 1° ottobre 2003 a societa' a partecipazione pubblica gia' quotate in borsa a tale data e a quelle da esse controllate ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile, cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio, a condizione che la partecipazione pubblica si riduca anche progressivamente, attraverso procedure ad evidenza pubblica ovvero forme di collocamento privato presso investitori qualificati e operatori industriali, ad una quota non superiore al 40 per cento entro il 30 giugno 2013 e non superiore al 30 per cento entro il 31 dicembre 2015; ove siffatte condizioni non si verifichino, gli affidamenti cessano, improrogabilmente e senza necessita' di apposita deliberazione dell'ente affidante, rispettivamente, alla data del 30 giugno 2013 o del 31 dicembre 2015. 33. Le societa', le loro controllate, controllanti e controllate da una medesima controllante, anche non appartenenti a Stati membri dell'Unione europea, che, in Italia o all'estero, gestiscono di fatto o per disposizioni di legge, di atto amministrativo o per contratto servizi pubblici locali in virtu' di affidamento diretto, di una procedura non ad evidenza pubblica ovvero ai sensi del comma 12, nonche' i soggetti cui e' affidata la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali degli enti locali, qualora separata dall'attivita' di erogazione dei servizi, non possono acquisire la gestione di servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali diversi, ne' svolgere servizi o attivita' per altri enti pubblici o privati, ne' direttamente, ne' tramite loro controllanti o altre societa' che siano da essi controllate o partecipate, ne' partecipando a gare. Il divieto di cui al primo periodo opera per tutta la durata della gestione e non si applica alle societa' quotate in mercati regolamentati e alle societa' da queste direttamente o indirettamente controllate ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile, nonche' al socio selezionato ai sensi del comma 12. I soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali possono comunque concorrere su tutto il territorio nazionale alla prima gara successiva alla cessazione del servizio, svolta mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica, avente ad oggetto i servizi da essi forniti. 34. Sono esclusi dall'applicazione del presente articolo il servizio idrico integrato, ad eccezione di quanto previsto dai commi 19 a 27, il servizio di distribuzione di gas naturale, di cui al decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, il servizio di distribuzione di energia elettrica, di cui al decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 e alla legge 23 agosto 2004, n. 239, il servizio di trasporto ferroviario regionale, di cui al decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, nonche' la gestione delle farmacie comunali, di cui alla legge 2 aprile 1968, n. 475. 35. Restano salve le procedure di affidamento gia' avviate all'entrata in vigore del presente decreto»; l'articolo 5-bis non era presente nell'originaria formulazione del decreto ed e' stato introdotto in sede di conversione. «Articolo 11. Livelli di tutela essenziali per l'attivazione dei tirocini. - 1. I tirocini formativi e di orientamento possono essere promossi unicamente da soggetti in possesso degli specifici requisiti preventivamente determinati dalle normative regionali in funzione di idonee garanzie all'espletamento delle iniziative medesime. Fatta eccezione per i disabili, gli invalidi fisici, psichici e sensoriali, i soggetti in trattamento psichiatrico, i tossicodipendenti, gli alcolisti e i condannati ammessi a misure alternative di detenzione, i tirocini formativi e di orientamento non curriculari non possono avere una durata superiore a sei mesi, proroghe comprese, e possono essere promossi unicamente a favore di neo-diplomati o neo-laureati entro e non oltre dodici mesi dal conseguimento dei relativo titolo di studio. 2. In assenza di specifiche regolamentazione regionali trovano applicazione, per quanto compatibili con le disposizioni di cui al comma che precede, l'articolo 18 della legge 24 giugno 1997, n. 196 e il relativo regolamento di attuazione». «Articolo 14. Riduzione del numero dei consiglieri e assessori regionali e relative indennita'. Misure premiali. - 1. Per il conseguimento degli obiettivi stabiliti nell'ambito del coordinamento della finanza pubblica, le Regioni, ai fini della collocazione nella classe di enti territoriali piu' virtuosa di cui all'articolo 20, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, oltre al rispetto dei parametri gia' previsti dal predetto articolo 20, debbono adeguare, nell'ambito della propria autonomia statutaria e legislativa, i rispettivi ordinamenti ai seguenti ulteriori parametri: a) previsione che il numero massimo dei consiglieri regionali, ad esclusione del Presidente della Giunta regionale, sia uguale o inferiore a 20 per le Regioni con popolazione fino ad un milione di abitanti; a 30 per le Regioni con popolazione fino a due milioni di abitanti; a 40 per le Regioni con popolazione fino a quattro milioni di abitanti; a 50 per le Regioni con popolazione fino a sei milioni di abitanti; a 70 per le Regioni con popolazione fino ad otto milioni di abitanti; a 80 per le Regioni con popolazione superiore ad otto milioni di abitanti. La riduzione del numero dei consiglieri regionali rispetto a quello attualmente previsto e' adottata da ciascuna Regione entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e deve essere efficace dalla prima legislatura regionale successiva a quella della data di entrata in vigore del presente decreto. Le Regioni che, alla data di entrata in vigore del presente decreto, abbiano un numero di consiglieri regionali inferiore a quello previsto nella presente lettera, non possono aumentarne il numero; b) previsione che il numero massimo degli assessori regionali sia pari o inferiore ad un quinto del numero dei componenti del Consiglio regionale, con arrotondamento all'unita' superiore. La riduzione deve essere operata entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e deve essere efficace, in ciascuna regione, dalla prima legislatura regionale successiva a quella in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto; c) riduzione a decorrere dal 1° gennaio 2012, in attuazione di quanto previsto dall'articolo 3 del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 marzo 2010, n. 42, degli emolumenti e delle utilita', comunque denominati, previsti in favore dei consiglieri regionali entro il limite dell'indennita' massima spettante ai membri del Parlamento, cosi' come rideterminata ai sensi dell'articolo 1 del presente decreto; d) previsione che il trattamento economico dei consiglieri regionali sia commisurato all'effettiva partecipazione ai lavori del Consiglio regionale; e) istituzione, a decorrere dal 1° gennaio 2012, di un Collegio dei revisori dei conti, quale organo di vigilanza sulla regolarita' contabile, finanziaria ed economica della gestione dell'ente; i componenti tale Collegio sono scelti mediante estrazione da un elenco nel quale possono essere inseriti, a richiesta, i soggetti iscritti, a livello regionale, nel Registro dei revisori legali di cui al decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39, in possesso di specifica qualificazione professionale in materia di contabilita' pubblica e gestione economica e finanziaria degli enti territoriali; f) passaggio, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e con efficacia a decorrere dalla prima legislatura regionale successiva a quella in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, al sistema previdenziale contributivo per i consiglieri regionali. 2. L'adeguamento ai parametri di cui al comma 1 da parte delle Regioni a Statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano costituisce condizione per l'applicazione dell'articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, nei confronti di quelle Regioni a statuto speciale e province autonome per le quali lo Stato, ai sensi del citato articolo 27, assicura il conseguimento degli obiettivi costituzionali di perequazione e di solidarieta', ed elemento di riferimento per l'applicazione di misure premiali o sanzionatorie previste dalla normativa vigente». «Articolo 16. Riduzione dei costi relativi alla rappresentanza politica nei comuni. - 1. Al fine di assicurare il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, l'ottimale coordinamento della finanza pubblica, il contenimento delle spese degli enti territoriali e il migliore svolgimento delle funzioni amministrative, a decorrere dal primo rinnovo successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto, nei Comuni con popolazione pari o inferiore a 1.000 abitanti, il Sindaco e' il solo organo di governo e sono soppressi la Giunta ed il Consiglio comunale. Tutte le funzioni amministrative sono esercitate obbligatoriamente in forma associata con altri Comuni contermini con popolazione pari o inferiore a 1.000 abitanti mediante la costituzione, nell'ambito del territorio di una provincia, salvo quanto previsto dall'articolo 15 del presente decreto, dell'unione municipale. 2. Nei Comuni di cui al comma 1, il Sindaco e' eletto a suffragio universale e diretto. Ciascun elettore ha diritto di votare per un candidato alla carica di Sindaco, segnando il relativo contrassegno o il nominativo sulla scheda elettorale. E' proclamato eletto Sindaco il candidato alla carica che ottiene il maggior numero di voti. In caso di parita' di voti, si applica l'articolo 71 del Testo unico degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Restano ferme le norme vigenti in materia di ineleggibilita', incandidabilita' e incompatibilita' e per la presentazione della candidatura previste per i Sindaci dei comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti. 3. L'unione municipale e' costituita dai comuni contermini con popolazione pari o inferiore a 1.000 abitanti al fine dell'esercizio in forma associata di tutte le funzioni amministrative e dei servizi pubblici di spettanza comunale. La complessiva popolazione residente nel territorio dell'unione municipale e' pari almeno a 5.000 abitanti, salvo diverso limite demografico individuato con delibera della Giunta regionale. 4. Nel caso in cui non vi siano altri Comuni contermini con popolazione inferiore a 1000 abitanti, a tali Comuni si applicano, ai fini della composizione degli organi di governo, le norme previste per i Comuni con popolazione fino a 3.000 abitanti di cui al comma 9, lettera a). I comuni di cui al primo periodo costituiscono, con i comuni contermini, unioni di comuni, ai sensi dell'articolo 32 del citato Testo unico al fine di ridurre le spese complessive. 5. Gli organi dell'unione municipale sono l'assemblea municipale, il presidente dell'unione municipale e la giunta municipale. L'assemblea municipale e' costituita dai sindaci dei comuni costituenti l'unione municipale ed esercita, sul territorio dell'unione municipale, le competenze attribuite dal citato Testo unico ai Consigli comunali. L'assemblea municipale elegge, nel suo seno, il Presidente dell'unione municipale, al quale spettano, sul territorio dell'unione municipale, le competenze del Sindaco stabilite dall'articolo 50 del citato Testo unico. Spettano ai Sindaci dei comuni facenti parte dell'unione municipale le attribuzioni di cui all'articolo 54 del citato Testo unico. Il Presidente dell'unione municipale nomina, fra i componenti l'assemblea municipale, la giunta municipale, composta da un numero di assessori non superiore a quello previsto per i comuni con popolazione uguale a quella complessiva dell'unione municipale. La Giunta esercita, sul territorio dell'unione municipale, le competenze di cui all'articolo 48 del citato Testo unico. 6. Lo statuto dell'unione municipale individua le modalita' di funzionamento degli organi di cui al comma 5 e ne disciplina i rapporti. 7. Con regolamento da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro per le riforme per il federalismo, e' disciplinato il procedimento di prima costituzione dell'unione municipale, prevedendo in ogni caso che, nel caso in cui siano decorsi sei mesi dalla data di rinnovo dei comuni di cui al comma 1 e la costituzione dell'unione municipale non sia avvenuta, il Prefetto stabilisca per i Comuni interessati un termine per adempiere. Decorso inutilmente detto termine, il Prefetto nomina un commissario ad acta al fine di provvedere alla convocazione dell'Assemblea municipale per gli adempimenti previsti. 8. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni in materia di ordinamento e funzionamento dei Comuni. 9. A decorrere dal primo rinnovo di ciascun consiglio comunale successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto: a) per i comuni con popolazione superiore a 1000 e fino a 3000 abitanti, il consiglio comunale e' composto, oltre al Sindaco, da cinque consiglieri ed il numero massimo degli assessori e' stabilito in due; b) per i comuni con popolazione superiore a 3000 e fino a 5000 abitanti, il consiglio comunale e' composto, oltre al Sindaco, da sette consiglieri ed il numero massimo degli assessori e' stabilito in tre; c) per i comuni con popolazione superiore a 5.000 e fino a 10.000 abitanti, il consiglio comunale e' composto, oltre al Sindaco, da nove consiglieri ed il numero massimo degli assessori e' stabilito in quattro. 10. All'articolo 14, comma 31, alinea, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni, le parole: "5.000 abitanti o nel quadruplo del numero degli abitanti del comune demograficamente piu' piccolo tra quelli associati", sono sostituite dalle seguenti: "10.000 abitanti, salvo diverso limite demografico individuato con delibera della Giunta regionale,"; le lettere b) e c) del medesimo comma 31 sono sostituite dalla seguente: "b) entro il 31 dicembre 2012 con riguardo a tutte le sei funzioni fondamentali loro spettanti ai sensi dell'articolo 21, comma 5, della citata legge n. 42 del 2009". 11. A decorrere dal primo rinnovo del collegio dei revisori successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto, i revisori dei conti dei Comuni sono scelti mediante estrazione da un elenco nel quale possono essere inseriti, a richiesta, i soggetti iscritti, a livello provinciale, nel Registro dei revisori legali di cui al decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39, in possesso di specifica qualificazione professionale in materia di contabilita' pubblica e gestione economica e finanziaria degli enti territoriali. Con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono stabilite le modalita' di attuazione del presente comma. 12. Le spese di rappresentanza sostenute dagli organi di governo degli enti locali sono elencate, per ciascun anno, in apposito prospetto allegato al rendiconto di cui all'articolo 227 del Testo unico degli enti locali di cui al 18 agosto 2000, n. 267. Tale prospetto e' trasmesso alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti ed e' pubblicato, entro dieci giorni dall'approvazione del rendiconto, sul sito internet dell'ente locale. Con atto di natura non regolamentare, adottato d'intesa con la Conferenza Stato - citta' ed autonomie locali ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, il Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, adotta uno schema tipo del prospetto di cui al primo periodo. 13. All'articolo 14, comma 32, alinea del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, le parole "31 dicembre 2013" sono sostituite dalle seguenti: "31 dicembre 2012"; alla lettera a), del medesimo comma 32, le parole "31 dicembre 2013" sono sostituite dalle seguenti: "31 dicembre 2012". 14. Al fine di verificare il perseguimento degli obiettivi di semplificazione e di riduzione delle spese da parte degli enti locali, il Prefetto accerta che gli enti territoriali interessati abbiano attuato, entro i termini stabiliti, quanto previsto dall'articolo 2, comma 186, lettera e) della legge 23 dicembre 2009, n. 191, e successive modificazioni, e dell'articolo 14, comma 32, del citato decreto-legge n. 78 del 2010. Nel caso in cui, all'esito dell'accertamento, il Prefetto rilevi la mancata attuazione di quanto previsto dalle disposizioni di cui al primo periodo, assegna agli enti inadempienti un termine perentorio entro il quale provvedere. Decorso inutilmente detto termine, il Prefetto nomina un commissario ad acta per l'adozione dei provvedimenti necessari». 1.2. - Il decreto-legge n. 138 del 2011 e' stato convertito, con modificazioni, nella legge n. 148 del 2011. Il testo delle disposizioni impugnate e' ora, a seguito della conversione in legge, il seguente. «Articolo 1. Disposizioni per la riduzione della spesa pubblica. [...] - 9. All'articolo 20, del citato decreto-legge n. 98 del 2011 convertito con legge n. 111 del 2011, sono apportate le seguenti modificazioni: [...] b) al comma 3, le parole: "a decorrere dall'anno 2013", sono sostituite dalle seguenti: "a decorrere dall'anno 2012"; nel medesimo comma, il secondo periodo e' soppresso; nel medesimo comma, al terzo periodo sostituire le parole "di cui ai primi due periodi" con le seguenti: "di cui al primo periodo"». «Articolo 2. Disposizioni in materia di entrate. [...] - 36. Le maggiori entrate derivanti dal presente decreto sono riservate all'Erario, per un periodo di cinque anni, per essere destinate alle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, anche alla luce della eccezionalita' della situazione economica internazionale. Con apposito decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono stabilite le modalita' di individuazione del maggior gettito, attraverso separata contabilizzazione. A partire dall'anno 2014, il Documento di economia e finanza conterra' una valutazione delle maggiori entrate derivanti, in termini permanenti, dall'attivita' di contrasto all'evasione. Dette maggiori entrate, al netto di quelle necessarie al mantenimento del pareggio di bilancio ed alla riduzione del debito, confluiranno in un Fondo per la riduzione strutturale della pressione fiscale e saranno finalizzate alla riduzione degli oneri fiscali e contributivi gravanti sulle famiglie e sulle imprese». «Articolo 3. Abrogazione delle indebite restrizioni all'accesso e all'esercizio delle professioni e delle attivita' economiche. [...] - 4. L'adeguamento di Comuni, Province e Regioni all'obbligo di cui al comma 1 costituisce elemento di valutazione della virtuosita' dei predetti enti ai sensi dell'art. 20, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111». «Art. 4. Adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dall'Unione europea. - 1. Gli enti locali, nel rispetto dei principi di concorrenza, di liberta' di stabilimento e di libera prestazione dei servizi, verificano la realizzabilita' di una gestione concorrenziale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, di seguito "servizi pubblici locali", liberalizzando tutte le attivita' economiche compatibilmente con le caratteristiche di universalita' e accessibilita' del servizio e limitando, negli altri casi, l'attribuzione di diritti di esclusiva alle ipotesi in cui, in base ad una analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunita'. 2. All'esito della verifica di cui al comma 1 l'ente adotta una delibera quadro che illustra l'istruttoria compiuta ed evidenzia, per i settori sottratti alla liberalizzazione, le ragioni della decisione e i benefici per la comunita' locale derivanti dal mantenimento di un regime di esclusiva del servizio. 3. Alla delibera di cui al comma precedente e' data adeguata pubblicita'; essa e' inviata all'Autorita' garante della concorrenza e del mercato ai fini della relazione al Parlamento di cui alla legge 10 ottobre 1990, n. 287. 4. La verifica di cui al comma 1 e' effettuata entro dodici mesi dall'entrata in vigore del presente decreto e poi periodicamente secondo i rispettivi ordinamenti degli enti locali; essa e' comunque effettuata prima di procedere al conferimento e al rinnovo della gestione dei servizi. 5. Gli enti locali, per assicurare agli utenti l'erogazione di servizi pubblici che abbiano ad oggetto la produzione di beni e attivita' rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunita' locali, definiscono preliminarmente, ove necessario, gli obblighi di servizio pubblico, prevedendo le eventuali compensazioni economiche alle aziende esercenti i servizi stessi, tenendo conto dei proventi derivanti dalle tariffe e nei limiti della disponibilita' di bilancio destinata allo scopo. 6. All'attribuzione di diritti di esclusiva ad un'impresa incaricata della gestione di servizi pubblici locali consegue l'applicazione di quanto disposto dall'articolo 9 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, e successive modificazioni. 7. I soggetti gestori di servizi pubblici locali, qualora intendano svolgere attivita' in mercati diversi da quelli in cui sono titolari di diritti di esclusiva, sono soggetti alla disciplina prevista dall'articolo 8, commi 2-bis e 2-quater, della legge 10 ottobre 1990, n. 287, e successive modificazioni. 8. Nel caso in cui l'ente locale, a seguito della verifica di cui al comma 1, intende procedere all'attribuzione di diritti di esclusiva, il conferimento della gestione di servizi pubblici locali avviene in favore di imprenditori o di societa' in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicita', imparzialita', trasparenza, adeguata pubblicita', non discriminazione, parita' di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalita'. Le medesime procedure sono indette nel rispetto degli standard qualitativi, quantitativi, ambientali, di equa distribuzione sul territorio e di sicurezza definiti dalla legge, ove esistente, dalla competente autorita' di settore o, in mancanza di essa, dagli enti affidanti. 9. Le societa' a capitale interamente pubblico possono partecipare alle procedure competitive ad evidenza pubblica, sempre che non vi siano specifici divieti previsti dalla legge. 10. Le imprese estere, non appartenenti a Stati membri dell'Unione europea, possono essere ammesse alle procedure competitive ad evidenza pubblica per l'affidamento di servizi pubblici locali a condizione che documentino la possibilita' per le imprese italiane di partecipare alle gare indette negli Stati di provenienza per l'affidamento di omologhi servizi. 11. Al fine di promuovere e proteggere l'assetto concorrenziale dei mercati interessati, il bando di gara o la lettera di invito relative alle procedure di cui ai commi 8, 9, 10: a) esclude che la disponibilita' a qualunque titolo delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali non duplicabili a costi socialmente sostenibili ed essenziali per l'effettuazione del servizio possa costituire elemento discriminante per la valutazione delle offerte dei concorrenti; b) assicura che i requisiti tecnici ed economici di partecipazione alla gara siano proporzionati alle caratteristiche e al valore del servizio e che la definizione dell'oggetto della gara garantisca la piu' ampia partecipazione e il conseguimento di eventuali economie di scala e di gamma; c) indica, ferme restando le discipline di settore, la durata dell'affidamento commisurata alla consistenza degli investimenti in immobilizzazioni materiali previsti nei capitolati di gara a carico del soggetto gestore. In ogni caso la durata dell'affidamento non puo' essere superiore al periodo di ammortamento dei suddetti investimenti; d) puo' prevedere l'esclusione di forme di aggregazione o di collaborazione tra soggetti che possiedono singolarmente i requisiti tecnici ed economici di partecipazione alla gara, qualora, in relazione alla prestazione oggetto del servizio, l'aggregazione o la collaborazione sia idonea a produrre effetti restrittivi della concorrenza sulla base di un'oggettiva e motivata analisi che tenga conto di struttura, dimensione e numero degli operatori del mercato di riferimento; e) prevede che la valutazione delle offerte sia effettuata da una commissione nominata dall'ente affidante e composta da soggetti esperti nella specifica materia; f) indica i criteri e le modalita' per l'individuazione dei beni di cui al comma 29, e per la determinazione dell'eventuale importo spettante al gestore al momento della scadenza o della cessazione anticipata della gestione ai sensi del comma 30; g) prevede l'adozione di carte dei servizi al fine di garantire trasparenza informativa e qualita' del servizio. 12. Fermo restando quanto previsto ai commi 8, 9, 10 e 11, nel caso di procedure aventi ad oggetto, al tempo stesso, la qualita' di socio, al quale deve essere conferita una partecipazione non inferiore al 40 per cento, e l'attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio, il bando di gara o la lettera di invito assicura che: a) i criteri di valutazione delle offerte basati su qualita' e corrispettivo del servizio prevalgano di norma su quelli riferiti al prezzo delle quote societarie; b) il socio privato selezionato svolga gli specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio per l'intera durata del servizio stesso e che, ove cio' non si verifica, si proceda a un nuovo affidamento; c) siano previsti criteri e modalita' di liquidazione del socio privato alla cessazione della gestione. 13. In deroga a quanto previsto dai commi 8, 9, 10, 11 e 12 se il valore economico del servizio oggetto dell'affidamento e' pari o inferiore alla somma complessiva di 900.000 euro annui, l'affidamento puo' avvenire a favore di societa' a capitale interamente pubblico che abbia i requisiti richiesti dall'ordinamento europeo per la gestione cosiddetta "in house". 14. Le societa' cosiddette "in house" affidatarie dirette della gestione di servizi pubblici locali sono assoggettate al patto di stabilita' interno secondo le modalita' definite, con il concerto del Ministro per le riforme per il federalismo, in sede di attuazione dell'articolo 18, comma 2-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni. Gli enti locali vigilano sull'osservanza, da parte dei soggetti indicati al periodo precedente al cui capitale partecipano, dei vincoli derivanti dal patto di stabilita' interno. 15. Le societa' cosiddette «in house» e le societa' a partecipazione mista pubblica e privata, affidatarie di servizi pubblici locali, applicano, per l'acquisto di beni e servizi, le disposizioni di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni. 16. L'articolo 32, comma 3, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, limitatamente alla gestione del servizio per il quale le societa' di cui al comma 1, lettera c), del medesimo articolo sono state specificamente costituite, si applica se la scelta del socio privato e' avvenuta mediante procedure competitive ad evidenza pubblica le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualita' di socio e l'attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio. Restano ferme le altre condizioni stabilite dall'articolo 32, comma 3, numeri 2) e 3), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni. 17. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 18, comma 2-bis, primo e secondo periodo, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, le societa' a partecipazione pubblica che gestiscono servizi pubblici locali adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalita' per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui al comma 3 dell'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Fino all'adozione dei predetti provvedimenti, e' fatto divieto di procedere al reclutamento di personale ovvero di conferire incarichi. Il presente comma non si applica alle societa' quotate in mercati regolamentati. 18. In caso di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali a societa' cosiddette "in house" e in tutti i casi in cui il capitale sociale del soggetto gestore e' partecipato dall'ente locale affidante, la verifica del rispetto del contratto di servizio nonche' ogni eventuale aggiornamento e modifica dello stesso sono sottoposti, secondo modalita' definite dallo statuto dell'ente locale, alla vigilanza dell'organo di revisione di cui agli articoli 234 e seguenti del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni. Restano ferme le disposizioni contenute nelle discipline di settore vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto. 19. Gli amministratori, i dirigenti e i responsabili degli uffici o dei servizi dell'ente locale, nonche' degli altri organismi che espletano funzioni di stazione appaltante, di regolazione, di indirizzo e di controllo di servizi pubblici locali, non possono svolgere incarichi inerenti la gestione dei servizi affidati da parte dei medesimi soggetti. Il divieto si applica anche nel caso in cui le dette funzioni sono state svolte nei tre anni precedenti il conferimento dell'incarico inerente la gestione dei servizi pubblici locali. Alle societa' quotate nei mercati regolamentati si applica la disciplina definita dagli organismi di controllo competenti. 20. Il divieto di cui al comma 19 opera anche nei confronti del coniuge, dei parenti e degli affini entro il quarto grado dei soggetti indicati allo stesso comma, nonche' nei confronti di coloro che prestano, o hanno prestato nel triennio precedente, a qualsiasi titolo attivita' di consulenza o collaborazione in favore degli enti locali o dei soggetti che hanno affidato la gestione del servizio pubblico locale. 21. Non possono essere nominati amministratori di societa' partecipate da enti locali coloro che nei tre anni precedenti alla nomina hanno ricoperto la carica di amministratore, di cui all'articolo 77 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, negli enti locali che detengono quote di partecipazione al capitale della stessa societa'. 22. I componenti della commissione di gara per l'affidamento della gestione di servizi pubblici locali non devono aver svolto ne' svolgere alcun'altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente alla gestione del servizio di cui si tratta. 23. Coloro che hanno rivestito, nel biennio precedente, la carica di amministratore locale, di cui al comma 21, non possono essere nominati componenti della commissione di gara relativamente a servizi pubblici locali da affidare da parte del medesimo ente locale. 24. Sono esclusi da successivi incarichi di commissario coloro che, in qualita' di componenti di commissioni di gara, abbiano concorso, con dolo o colpa grave accertati in sede giurisdizionale con sentenza non sospesa, all'approvazione di atti dichiarati illegittimi. 25. Si applicano ai componenti delle commissioni di gara le cause di astensione previste dall'articolo 51 del codice di procedura civile. 26. Nell'ipotesi in cui alla gara concorre una societa' partecipata dall'ente locale che la indice, i componenti della commissione di gara non possono essere ne' dipendenti ne' amministratori dell'ente locale stesso. 27. Le incompatibilita' e i divieti di cui ai commi dal 19 al 26 si applicano alle nomine e agli incarichi da conferire successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto. 28. Ferma restando la proprieta' pubblica delle reti, la loro gestione puo' essere affidata a soggetti privati. 29. Alla scadenza della gestione del servizio pubblico locale o in caso di sua cessazione anticipata, il precedente gestore cede al gestore subentrante i beni strumentali e le loro pertinenze necessari, in quanto non duplicabili a costi socialmente sostenibili, per la prosecuzione del servizio, come individuati, ai sensi del comma 11, lettera f), dall'ente affidante, a titolo gratuito e liberi da pesi e gravami. 30. Se, al momento della cessazione della gestione, i beni di cui al comma 29 non sono stati interamente ammortizzati, il gestore subentrante corrisponde al precedente gestore un importo pari al valore contabile originario non ancora ammortizzato, al netto di eventuali contributi pubblici direttamente riferibili ai beni stessi. Restano ferme le disposizioni contenute nelle discipline di settore, anche regionali, vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonche' restano salvi eventuali diversi accordi tra le parti stipulati prima dell'entrata in vigore del presente decreto. 31. L'importo di cui al comma 30 e' indicato nel bando o nella lettera di invito relativi alla gara indetta per il successivo affidamento del servizio pubblico locale a seguito della scadenza o della cessazione anticipata della gestione. 32. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 14, comma 32, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, come modificato dall'articolo 1, comma 117, della legge 13 dicembre 2010, n. 220, e successive modificazioni, il regime transitorio degli affidamenti non conformi a quanto stabilito dal presente decreto e' il seguente: a) gli affidamenti diretti relativi a servizi il cui valore economico sia superiore alla somma di cui al comma 13, nonche' gli affidamenti diretti che non rientrano nei casi di cui alle successive lettere da b) a d) cessano, improrogabilmente e senza necessita' di apposita deliberazione dell'ente affidante, alla data del 31 marzo 2012; b) le gestioni affidate direttamente a societa' a partecipazione mista pubblica e privata, qualora la selezione del socio sia avvenuta mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui al comma 8, le quali non abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la qualita' di socio e l'attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio, cessano, improrogabilmente e senza necessita' di apposita deliberazione dell'ente affidante, alla data del 30 giugno 2012; c) le gestioni affidate direttamente a societa' a partecipazione mista pubblica e privata, qualora la selezione del socio sia avvenuta mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui al comma 8, le quali abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la qualita' di socio e l'attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio, cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio; d) gli affidamenti diretti assentiti alla data del 1° ottobre 2003 a societa' a partecipazione pubblica gia' quotate in borsa a tale data e a quelle da esse controllate ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile, cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio, a condizione che la partecipazione pubblica si riduca anche progressivamente, attraverso procedure ad evidenza pubblica ovvero forme di collocamento privato presso investitori qualificati e operatori industriali, ad una quota non superiore al 40 per cento entro il 30 giugno 2013 e non superiore al 30 per cento entro il 31 dicembre 2015; ove siffatte condizioni non si verifichino, gli affidamenti cessano, improrogabilmente e senza necessita' di apposita deliberazione dell'ente affidante, rispettivamente, alla data del 30 giugno 2013 o del 31 dicembre 2015. 33. Le societa', le loro controllate, controllanti e controllate da una medesima controllante, anche non appartenenti a Stati membri dell'Unione europea, che, in Italia o all'estero, gestiscono di fatto o per disposizioni di legge, di atto amministrativo o per contratto servizi pubblici locali in virtu' di affidamento diretto, di una procedura non ad evidenza pubblica ovvero ai sensi del comma 12, nonche' i soggetti cui e' affidata la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali degli enti locali, qualora separata dall'attivita' di erogazione dei servizi, non possono acquisire la gestione di servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali diversi, ne' svolgere servizi o attivita' per altri enti pubblici o privati, ne' direttamente, ne' tramite loro controllanti o altre societa' che siano da essi controllate o partecipate, ne' partecipando a gare. Il divieto di cui al primo periodo opera per tutta la durata della gestione e non si applica alle societa' quotate in mercati regolamentati e alle societa' da queste direttamente o indirettamente controllate ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile, nonche' al socio selezionato ai sensi del comma 12. I soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali possono comunque concorrere su tutto il territorio nazionale alla prima gara successiva alla cessazione del servizio, svolta mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica, avente ad oggetto i servizi da essi forniti. 34. Sono esclusi dall'applicazione del presente articolo il servizio idrico integrato, ad eccezione di quanto previsto dai commi da 19 a 27, il servizio di distribuzione di gas naturale, di cui al decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, il servizio di distribuzione di energia elettrica, di cui al decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 e alla legge 23 agosto 2004, n. 239, il servizio di trasporto ferroviario regionale, di cui al decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, nonche' la gestione delle farmacie comunali, di cui alla legge 2 aprile 1968, n. 475. E' escluso dall'applicazione dei commi 19, 21 e 27 del presente articolo quanto disposto dall'articolo 2, comma 42, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10. 35. Restano salve le procedure di affidamento gia' avviate all'entrata in vigore del presente decreto». «Articolo 5-bis. Sviluppo delle regioni dell'obiettivo convergenza e realizzazione del Piano Sud. - 1. Al fine di garantire l'efficacia delle misure finanziarie per lo sviluppo delle regioni dell'obiettivo convergenza e l'attuazione delle finalita' del Piano per il Sud, a decorrere dall'anno finanziario in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, i in termini di competenza e di cassa effettuata annualmente da c delle predette regioni a valere sulle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 31 maggio 88, sui cofinanziamenti nazionali dei fondi comunitari a , strutturale, nonche' sulle risorse individuate ai sensi di quanto 1 dall'articolo 6-sexies del decreto-legge 25 giugno 2008, r convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, puo' eccedere i limiti di cui all'articolo 1, commi 126 e 127, della legge 13 dicembre 2010, n. 220, nel rispetto, comunque, delle condizioni e dei limiti finanziari stabiliti ai sensi del comma 2 del presente articolo. 2. Al fine di salvaguardare gli equilibri di finanza pubblica, con del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale e di intesa Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano da adottare entro settembre di ogni anno, sono stabiliti i limiti finanziari per l'attuazione del comma 1, nonche' le modalita' di attribuzione allo Stato ed alle regioni dei relativi maggiori oneri, garantendo in ogni caso il rispetto dei tetti complessivi, fissati dalla legge per il concorso dello Stato predette regioni alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per l'anno di riferimento». «Articolo 11. Livelli di tutela essenziali per l'attivazione dei tirocini. - 1. I tirocini formativi e di orientamento possono essere promossi unicamente da soggetti in possesso degli specifici requisiti preventivamente determinati dalle normative regionali in funzione di idonee garanzie all'espletamento delle iniziative medesime. Fatta eccezione per i disabili, gli invalidi fisici, psichici e sensoriali, i soggetti in trattamento psichiatrico, i tossicodipendenti, gli alcolisti e i condannati ammessi a misure alternative di detenzione, i tirocini formativi e di orientamento non curriculari non possono avere una durata superiore a sei mesi, proroghe comprese, e possono essere promossi unicamente a favore di neo-diplomati o neo-laureati entro e non oltre dodici mesi dal conseguimento del relativo titolo di studio. 2. In assenza di specifiche regolamentazioni regionali trovano applicazione, per quanto compatibili con le disposizioni di cui al comma che precede, l'articolo 18 della legge 24 giugno 1997 n. 196 e il relativo regolamento di attuazione». «Articolo 14. Riduzione del numero dei consiglieri e assessori regionali e relative indennita'. Misure premiali. - 1. Per il conseguimento degli obiettivi stabiliti nell'ambito del coordinamento della finanza pubblica, le Regioni, ai fini della collocazione nella classe di enti territoriali piu' virtuosa di cui all'articolo 20, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, oltre al rispetto dei parametri gia' previsti dal predetto articolo 20, debbono adeguare, nell'ambito della propria autonomia statutaria e legislativa, i rispettivi ordinamenti ai seguenti ulteriori parametri: a) previsione che il numero massimo dei consiglieri regionali, ad esclusione del Presidente della Giunta regionale, sia uguale o inferiore a 20 per le Regioni con popolazione fino ad un milione di abitanti; a 30 per le Regioni con popolazione fino a due milioni di abitanti; a 40 per le Regioni con popolazione fino a quattro milioni di abitanti; a 50 per le Regioni con popolazione fino a sei milioni di abitanti; a 70 per le Regioni con popolazione fino ad otto milioni di abitanti; a 80 per le Regioni con popolazione superiore ad otto milioni di abitanti. La riduzione del numero dei consiglieri regionali rispetto a quello attualmente previsto e' adottata da ciascuna Regione entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e deve essere efficace dalla prima legislatura regionale successiva a quella della data di entrata in vigore del presente decreto. Le Regioni che, alla data di entrata in vigore del presente decreto, abbiano un numero di consiglieri regionali inferiore a quello previsto nella presente lettera, non possono aumentarne il numero; b) previsione che il numero massimo degli assessori regionali sia pari o inferiore ad un quinto del numero dei componenti del Consiglio regionale, con arrotondamento all'unita' superiore. La riduzione deve essere operata entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e deve essere efficace, in ciascuna regione, dalla prima legislatura regionale successiva a quella in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto; c) riduzione a decorrere dal 1° gennaio 2012, in attuazione di quanto previsto dall'articolo 3 del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 marzo 2010, n. 42, degli emolumenti e delle utilita', comunque denominati, previsti in favore dei consiglieri regionali entro il limite dell'indennita' massima spettante ai membri del Parlamento, cosi' come rideterminata ai sensi dell'articolo 13 del presente decreto; d) previsione che il trattamento economico dei consiglieri regionali sia commisurato all'effettiva partecipazione ai lavori del Consiglio regionale; e) istituzione, a decorrere dal 1° gennaio 2012, di un Collegio dei revisori dei conti, quale organo di vigilanza sulla regolarita' contabile, finanziaria ed economica della gestione dell'ente; il Collegio, ai fini del coordinamento della finanza pubblica, opera in raccordo con le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti; i componenti di tale Collegio sono scelti mediante estrazione da un elenco, i cui iscritti devono possedere i requisiti previsti dai principi contabili internazionali, avere la qualifica di revisori legali di cui al decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39, ed essere in possesso di specifica qualificazione professionale in materia di contabilita' pubblica e gestione economica e finanziaria anche degli enti territoriali, secondo i criteri individuati dalla Corte dei conti sono scelti mediante estrazione da un elenco nel quale possono essere inseriti, a richiesta, i soggetti iscritti, a livello regionale, nel Registro dei revisori legali di cui al decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39, in possesso di specifica qualificazione professionale in materia di contabilita' pubblica e gestione economica e finanziaria degli enti territoriali; f) passaggio, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e con efficacia a decorrere dalla prima legislatura regionale successiva a quella in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, al sistema previdenziale contributivo per i consiglieri regionali. 2. L'adeguamento ai parametri di cui al comma 1 da parte delle Regioni a Statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano costituisce condizione per l'applicazione dell'articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, nei confronti di quelle Regioni a statuto speciale e province autonome per le quali lo Stato, ai sensi del citato articolo 27, assicura il conseguimento degli obiettivi costituzionali di perequazione e di solidarieta', ed elemento di riferimento per l'applicazione di misure premiali o sanzionatorie previste dalla normativa vigente». «Articolo 16. Riduzione dei costi relativi alla rappresentanza politica nei comuni e razionalizzazione dell'esercizio delle funzioni comunali. - 1. Al fine di assicurare il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, l'ottimale coordinamento della finanza pubblica, il contenimento delle spese degli enti territoriali e il migliore svolgimento delle funzioni amministrative e dei servizi pubblici, a decorrere dalla data di cui al comma 9, i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti esercitano obbligatoriamente in forma associata tutte le funzioni amministrative e tutti i servizi pubblici loro spettanti sulla base della legislazione vigente mediante un'unione di comuni ai sensi dell'articolo 32 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano ai comuni il cui territorio coincide integralmente con quello di una o di piu' isole, nonche' al comune di Campione d'Italia. 2. A ciascuna unione di cui al comma l hanno facolta' di aderire anche comuni con popolazione superiore a 1.000 abitanti, al fine dell'esercizio in forma associata di tutte le funzioni fondamentali loro spettanti sulla base della legislazione vigente e dei servizi ad esse inerenti, anche al fine di dare attuazione alle disposizioni di cui all'articolo 14, commi 28, 29, 30 e 31, del citato decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010. 1 comuni di cui al primo periodo hanno, in alternativa, facolta' di esercitare mediante tale unione tutte le funzioni e tutti i servizi pubblici loro spettanti sulla base della legislazione vigente. 3. All'unione di cui al comma 1, in deroga all'articolo 32, commi 2, 3 e 5, secondo periodo, del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, si applica la disciplina di cui al presente articolo. 4. Sono affidate all'unione, per conto dei comuni che ne sono membri, la programmazione economico-finanziaria e la gestione contabile di cui alla parte II del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, con riferimento alle funzioni da essi esercitate per mezzo dell'unione. I comuni che sono membri dell'unione concorrono alla predisposizione del bilancio di previsione dell'unione per l'anno successivo mediante la deliberazione, da parte del consiglio comunale, da adottare annualmente, entro il 30 novembre, di un documento programmatico, nell'ambito del piano generale di indirizzo deliberato dall'unione entro il precedente 15 ottobre. Con regolamento da adottare, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, su proposta del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro per le riforme per il federalismo, sono disciplinati il procedimento amministrativo-contabile di formazione e di variazione del documento programmatico, i poteri di vigilanza sulla sua attuazione e la successione nei rapporti amministrativo-contabili tra ciascun comune e l'unione. 5. L'unione succede a tutti gli effetti nei rapporti giuridici in essere alla data di cui al comma 9 che siano inerenti alle funzioni ed ai servizi ad essa affidati ai sensi dei commi 1, 2 e 4, ferme restando le disposizioni di cui all'articolo 111 del codice di procedura civile. Alle unioni di cui al comma l sono trasferite tutte le risorse umane e strumentali relative alle funzioni ed ai servizi loro affidati ai sensi dei commi 1, 2 e 4, nonche' i relativi rapporti finanziari risultanti dal bilancio. A decorrere dall'anno 2014, le unioni di comuni di cui al comma 1 sono soggette alla disciplina del patto di stabilita' interno per gli enti locali prevista per i comuni aventi corrispondente popolazione. 6. Le unioni di cui al comma 1 sono istituite in modo che la complessiva popolazione residente nei rispettivi territori, determinata ai sensi dell'articolo 156, comma 2, del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, sia di norma superiore a 5.000 abitanti, ovvero a 3.000 abitanti qualora i comuni che intendono comporre una medesima unione appartengano o siano appartenuti a comunita' montane. Entro due mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ciascuna regione ha facolta' di individuare diversi limiti demografici. 7. Le unioni di comuni che risultino costituite alla data di cui al comma 9 e di cui facciano parte uno o piu' comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti, entro i successivi quattro mesi adeguano i rispettivi ordinamenti alla disciplina delle unioni di cui al presente articolo. I comuni appartenenti a forme associative di cui agli articoli 30 e 31 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000 cessano di diritto di farne parte alla data in cui diventano membri di un'unione di cui al comma 1. 8. Nel termine perentorio di sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, i' comuni di cui al comma 1, con deliberazione del consiglio comunale, da adottare, a maggioranza dei componenti, conformemente alle disposizioni di cui al comma 6, avanzano alla regione una proposta di aggregazione, di identico contenuto, per l'istituzione della rispettiva unione. Nel termine perentorio del 31 dicembre 2012, la regione provvede, secondo il proprio ordinamento, a sancire l'istituzione di tutte le unioni del proprio territorio come determinate nelle proposte di cui al primo periodo e sulla base dell'elenco di cui al comma 16. La regione provvede anche qualora la proposta di aggregazione manchi o non sia conforme alle disposizioni di cui al presente articolo. 9. A decorrere dal giorno della proclamazione degli eletti negli organi di governo del comune che, successivamente al 13 agosto 2012, sia per primo interessato al rinnovo, nei comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti che siano parti della stessa unione, nonche' in quelli con popolazione superiore che esercitino mediante tale unione tutte le proprie funzioni, gli organi di governo sono il sindaco ed il consiglio comunale, e le giunte in carica decadono di diritto. Ai consigli dei comuni che sono membri di tale unione competono esclusivamente poteri di indirizzo nei confronti del consiglio dell'unione, ferme restando le funzioni normative che ad essi spettino in riferimento alle attribuzioni non esercitate mediante l'unione. 10. Gli organi dell'unione di cui al comma 1 sono il consiglio, il presidente e la giunta. 11. Il consiglio e' composto da tutti i sindaci dei comuni che sono membri dell'unione nonche', in prima applicazione, da due consiglieri comunali per ciascuno di essi. I consiglieri di cui al primo periodo sono eletti, non oltre venti giorni dopo la data di istituzione dell'unione ai sensi del comma 9, in tutti i comuni che sono membri dell'unione dai rispettivi consigli comunali, con la garanzia che uno dei due appartenga alle opposizioni. Fino all'elezione del presidente dell'unione ai sensi del comma 12, primo periodo, il sindaco del comune avente il maggior numero di abitanti tra quelli che sono membri dell'unione esercita tutte le funzioni di competenza dell'unione medesima. La legge dello Stato puo' stabilire che le successive elezioni avvengano a suffragio universale e diretto contestualmente alle elezioni per il rinnovo degli organi di governo di ciascuno dei comuni appartenenti alle unioni. La legge dello Stato di cui al quarto periodo disciplina conseguentemente il sistema di elezione; l'indizione delle elezioni avviene ai sensi dell'articolo 3 della legge 7 giugno 1991, n. 182, e successive modificazioni. Al consiglio spettano le competenze attribuite dal citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000 al consiglio comunale, fermo restando quanto previsto dai commi 4 e 9 del presente articolo. 12. Entro trenta giorni dalla data di istituzione dell'unione ai sensi del comma 9, il consiglio e' convocato di diritto ed elegge il presidente dell'unione tra i propri componenti. Al presidente, che dura in carica due anni e mezzo ed e' rinnovabile, spettano le competenze attribuite al sindaco dall'articolo 50 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, ferme restando in capo ai sindaci di ciascuno dei comuni che sono membri dell'unione le attribuzioni di cui all'articolo 54 del medesimo testo unico. 13. La giunta dell'unione e' composta dal presidente, che la presiede, e dagli assessori, nominati dal medesimo fra i sindaci componenti il consiglio in numero non superiore a quello previsto per i comuni aventi corrispondente popolazione. Alla giunta spettano le competenze di cui all'articolo 48 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000; essa decade contestualmente alla cessazione del rispettivo presidente. 14. Lo statuto dell'unione individua le modalita' di funzionamento dei propri organi e ne disciplina i rapporti. Il consiglio adotta lo statuto dell'unione, con deliberazione a maggioranza assoluta dei propri componenti, entro venti giorni dalla data di istituzione dell'unione ai sensi del comma 9. 15. Ai consiglieri, al presidente ed agli assessori dell'unione si applicano le disposizioni di cui agli articoli 82 e 86 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, ed ai relativi atti di attuazione, in riferimento al trattamento spettante, rispettivamente, ai consiglieri, al sindaco ed agli assessori dei comuni aventi corrispondente popolazione. Agli amministratori dell'unione che risultino percepire emolumenti di ogni genere in qualita' di amministratori locali ai sensi dell'articolo 77, comma 2, del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, fino al momento dell'esercizio dell'opzione, non spetta alcun trattamento per la carica sopraggiunta. 16. L'obbligo di cui al comma 1 non trova applicazione nei riguardi dei comuni che, alla data del 30 settembre 2012, risultino esercitare le funzioni amministrative e i servizi pubblici di cui al medesimo comma 1 mediante convenzione ai sensi dell'articolo 30 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000. Ai fini di cui al primo periodo, tali comuni trasmettono al Ministero dell'interno, entro il 15 ottobre 2012, un'attestazione comprovante il conseguimento di significativi livelli di efficacia ed efficienza nella gestione, mediante convenzione, delle rispettive attribuzioni. Con decreto del Ministro dell'interno, da adottare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono determinati contenuti e modalita' delle attestazioni di cui al secondo periodo. Il Ministero dell'interno, previa valutazione delle attestazioni ricevute, adotta con proprio decreto, da pubblicare entro il 30 novembre 2012 nel proprio sito internet, l'elenco dei comuni obbligati e di quelli esentati dall'obbligo di cui al comma 1. 17. A decorrere dal primo rinnovo di ciascun consiglio comunale successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto: a) per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti, il consiglio comunale e' composto, oltre che dal sindaco, da sei consiglieri; b) per i comuni con popolazione superiore a 1.000 e fino a 3.000 abitanti, il consiglio comunale e' composto, oltre che dal sindaco, da sei consiglieri ed il numero massimo degli assessori e' stabilito in due; c) per i comuni con popolazione superiore a 3.000 e fino a 5.000 abitanti, il consiglio comunale e' composto, oltre che dal sindaco, da sette consiglieri ed il numero massimo degli assessori e' stabilito in tre; d) per i comuni con popolazione superiore a 5.000 e fino a 10.000 abitanti, il consiglio comunale e' composto, oltre che dal sindaco, da dieci consiglieri ed il numero massimo degli assessori e' stabilito in quattro. 18. A decorrere dalla data di cui al comma 9, ai consiglieri dei comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti non sono applicabili le disposizioni di cui all'articolo 82 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000; non sono altresi' applicabili, con l'eccezione del primo periodo del comma 1, le disposizioni di cui all'articolo 80 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000. 19. All'articolo 38, comma 7, del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, dopo le parole: «previsti dal regolamento», sono aggiunte le seguenti: «e, nei comuni con popolazione fino a 15.000 abitanti, si tengono preferibilmente in un arco temporale non coincidente con l'orario di lavoro dei partecipanti». 20. All'articolo 48, comma 1, del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, e' aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Nei comuni con popolazione fino a 15.000 abitanti, le riunioni della giunta si tengono preferibilmente in un arco temporale non coincidente con l'orario di lavoro dei partecipanti». 21. All'articolo 79, comma 1, del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, le parole: «per l'intera giornata in cui sono convocati i rispettivi consigli» sono sostituite dalle seguenti: «per il tempo strettamente necessario per la partecipazione a ciascuna seduta dei rispettivi consigli e per il raggiungimento del luogo di suo svolgimento». 22. All'articolo 14, comma 28, del citato decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, le parole: «fino a 5.000 abitanti, esclusi le isole monocomune» sono sostituite dalle seguenti: «superiore a 1.000 e fino a 5.000 abitanti, esclusi i comuni il cui territorio coincide integralmente con quello di una o di piu' isole». 23. All'articolo 2, comma 7, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, le parole: «le isole monocomune» sono sostituite dalle seguenti: «i comuni il cui territorio coincide integralmente con quello di una o di piu' isole». 24. All'articolo 14, comma 31, alinea, del citato decreto-legge n. 78 del 2010, le parole: «5.000 abitanti o nel quadruplo del numero degli abitanti del comune demograficamente piu' piccolo tra quelli associati» sono sostituite dalle seguenti: «10.000 abitanti, salvo diverso limite demografico individuato dalla regione entro due mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138»; al medesimo comma 31, la lettera c) e' abrogata e la lettera b) e' sostituita dalla seguente: «b) entro il 31 dicembre 2012 con riguardo a tutte le sei funzioni fondamentali loro spettanti ai sensi dell'articolo 21, comma 3, della citata legge n. 42 del 2009». 25. A decorrere dal primo rinnovo dell'organo di revisione successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto, i revisori dei conti degli enti locali sono scelti mediante estrazione da un elenco nel quale possono essere inseriti, a richiesta, i soggetti iscritti, a livello regionale, nel Registro dei revisori legali di cui al decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39, nonche' gli iscritti all'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. Con decreto del Ministro dell'interno, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono stabiliti criteri per l'inserimento degli interessati nell'elenco di cui al primo periodo, nel rispetto dei seguenti principi: a) rapporto proporzionale tra anzianita' di iscrizione negli albi e registri di cui al presente comma e popolazione di ciascun comune; b) previsione della necessita', ai fini dell'iscrizione nell'elenco di cui al presente comma, di aver in precedenza avanzato richiesta di svolgere la funzione nell'organo di revisione degli enti locali; c) possesso di specifica qualificazione professionale in materia di contabilita' pubblica e gestione economica e finanziaria degli enti pubblici territoriali. 26. Le spese di rappresentanza sostenute dagli organi di governo degli enti locali sono elencate, per ciascun anno, in apposito prospetto allegato al rendiconto di cui all'articolo 227 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000. Tale prospetto e' trasmesso alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti ed e' pubblicato, entro dieci giorni dall'approvazione del rendiconto, nel sito internet dell'ente locale. Con atto di natura non regolamentare, adottato d'intesa con la Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, il Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, adotta uno schema tipo del prospetto di cui al primo periodo. 27. All'articolo 14, comma 32, alinea, del citato decreto-legge n. 78 del 2010, le parole: «31 dicembre 2013» sono sostituite dalle seguenti: «31 dicembre 2012»; alla lettera a) del medesimo comma 32, le parole «31 dicembre 2013» sono sostituite dalle seguenti: «31 dicembre 2012». 28. Al fine di verificare il perseguimento degli obiettivi di semplificazione e di riduzione delle spese da parte degli enti locali, il prefetto accerta che gli enti territoriali interessati abbiano attuato, entro i termini stabiliti, quanto previsto dall'articolo 2, comma 186, lettera e), della legge 23 dicembre 2009, n. 191, e successive modificazioni, e dall'articolo 14, comma 32, primo periodo, del citato decreto-legge n. 78 del 2010, come da ultimo modificato dal comma 27 del presente articolo. Nel caso in cui, all'esito dell'accertamento, il prefetto rilevi la mancata attuazione di quanto previsto dalle disposizioni di cui al primo periodo, assegna agli enti inadempienti un termine perentorio entro il quale provvedere. Decorso inutilmente detto termine, fermo restando quanto previsto dal secondo periodo, trova applicazione l'articolo 8, commi 1, 2, 3 e 5 della legge 5 giugno 2003, n. 131. 29. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano ai comuni appartenenti alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano nel rispetto degli statuti delle regioni e province medesime, delle relative norme di attuazione e secondo quanto previsto dall'articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42. 30. Dall'applicazione di ciascuna delle disposizioni di cui al presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. 31. A decorrere dall'anno 2013, le disposizioni vigenti in materia di patto di stabilita' interno per i comuni trovano applicazione nei riguardi di tutti i comuni con popolazione superiore a 1.000 abitanti». Gli articoli 1, comma 9, lettera b), 2, comma 36, 3, comma 4, 4, 5-bis, 11, 14 e 16 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 13 agosto 2011, n. 188, convertito, con modificazioni, in legge 14 settembre 2011, n. 148, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 16 settembre 2011, n. 216, sono incostituzionali e gravemente lesivi delle attribuzioni della Regione Autonoma della Sardegna, per i seguenti Motivi 1. - Preliminarmente, e' opportuno ricordare che le disposizioni oggi impugnate irrompono in un contesto normativo nel quale, per quanto specificamente riguarda la Regione Autonoma della Sardegna (hinc inde: Regione o Sardegna), campeggia l'art. 1, comma 834, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, che ha modificato alcune delle disposizioni piu' qualificanti del Titolo III dello Statuto, recate dall'art. 8, in materia di fonti delle entrate regionali. In base alle disposizioni cosi' novellate, le entrate della Regione Sardegna derivano «a) dai sette decimi del gettito delle imposte sul reddito delle persone fisiche e sul reddito delle persone giuridiche riscosse nel territorio della regione; b) dai nove decimi del gettito delle imposte sul bollo, di registro, ipotecarie, sul consumo dell'energia elettrica e delle tasse sulle concessioni governative percette nel territorio della regione; c) dai cinque decimi delle imposte sulle successioni e donazioni riscosse nel territorio della regione; d) dai nove decimi dell'imposta di fabbricazione su tutti i prodotti che ne siano gravati, percetta nel territorio della regione; e) dai nove decimi della quota fiscale dell'imposta erariale di consumo relativa ai prodotti dei monopoli dei tabacchi consumati nella regione; f) dai nove decimi del gettito dell'imposta sul valore aggiunto generata sul territorio regionale da determinare sulla base dei consumi regionali delle famiglie rilevati annualmente dall'ISTAT; g) dai canoni per le concessioni idroelettriche; h) da imposte e tasse sul turismo e da altri tributi propri che la regione ha facolta' di istituire con legge in armonia con i principi del sistema tributario dello Stato; i) dai redditi derivanti dal proprio patrimonio e dal proprio demanio; l) da contributi straordinari dello Stato per particolari piani di opere pubbliche e di trasformazione fondiaria; m) dai sette decimi di tutte le entrate erariali, dirette o indirette, comunque denominate, ad eccezione di quelle di spettanza di altri enti pubblici». L'art. 8 dello Statuto, nella sua formulazione originaria, disponeva invece che le entrate della Regione fossero costituite: «dai nove decimi del gettito delle imposte erariali sui terreni e sui fabbricati situati nel territorio della Regione e dell'imposta sui redditi agrari dei terreni situati nello stesso territorio; dai nove decimi dell'imposta di ricchezza mobile riscossa nel territorio della Regione; dai nove decimi del gettito delle tasse di bollo, sulla manomorta, in surrogazione del registro e del bollo, sulle concessioni governative, dell'imposta ipotecaria, dell'imposta di fabbricazione del gas e dell'energia elettrica, percette nel territorio della Regione; dai nove decimi della quota fiscale dell'imposta erariale di consumo relativa ai prodotti dei monopoli del tabacchi consumati nella Regione; da una quota dell'imposta generale sull'entrata di competenza dello Stato, riscossa nella Regione, da determinarsi preventivamente per ciascun anno finanziario d'accordo fra lo Stato e la Regione, in relazione alle spese necessarie ad adempiere le funzioni normali della Regione; dai canoni per le concessioni idroelettriche; dai contributi di miglioria ed a spese per opere determinate, da imposte e tasse sul turismo e da altri tributi propri, che la Regione ha facolta' di istituire con legge, in armonia coi principi del sistema tributario dello Stato; da redditi patrimoniali; da contributi straordinari dello Stato per particolari piani di opere pubbliche e di trasformazioni fondiarie». Le misure previste dalle nuove disposizioni statutarie non hanno avuto ancora piena e corretta esecuzione per la colpevole inerzia dello Stato, inerzia che la Regione Sardegna ha gia' censurato promuovendo i giudizi pendenti dinanzi codesta Ecc.ma Corte costituzionale e iscritti al n. 8 Reg. Confl. Enti 2011 e al n. 96 Reg. Ric. 2011. Proprio quelle previsioni, pero', sono di centrale importanza anche nella presente controversia, in una con gli altri parametri che verranno appresso richiamati. 1.1. - La riforma dell'art. 8 dello Statuto si e' resa necessaria per permettere alla Regione di far fronte all'evoluzione complessiva della realta' economico-finanziaria territoriale e nazionale. Di questo e' testimonianza il carteggio intervenuto tra il Ragioniere Generale dello Stato e la medesima Regione tra l'agosto e il settembre del 2005, relativamente alla misura delle entrate di maggiore rilevanza per le finanze regionali: la compartecipazione all'imposta sul reddito e la compartecipazione all'I.V.A. Con nota del 3 agosto 2005, prot. n. 0102482, il Ragioniere Generale rappresentava di aver presentato, nell'ambito del precedente sistema di compartecipazione al gettito d'imposta, che prevedeva una determinazione annuale in merito, una proposta di quantificazione delle quote di compartecipazione I.V.A. «nell'attesa che si proceda alla revisione dell'ordinamento finanziario che consenta di trasformare la compartecipazione IVA da quota variabile a quota fissa», e che tale proposta era stata predisposta «abbandonando [...] il criterio incrementale del tasso di inflazione che, comportando nel tempo la progressiva svalutazione in termini reali del cespite regionale, ha di fatto svilito lo strumento di garanzia previsto dallo Statuto, che mirava a consentire il tempestivo adeguamento delle entrate regionali alle mutevoli necessita' di spesa derivanti dall'espletamento delle funzioni normali della Regione». Con nota del 2 settembre 2005, prot. n. 0112371, ancora il Ragioniere Generale rappresentava che «il gettito IRPEF regionale [...] registra una crescita, nell'arco temporale considerato [1991-2003], pari all'1,9%, avallando, pertanto, la tesi della Regione circa l'anomalo trend dell'IRPEF regionale rispetto a quello nazionale». E' proprio in considerazione della palese insufficienza (esplicitamente riconosciuta dallo Stato) del quadro finanziario delle entrate regionali che si e' addivenuti alla seconda modifica dell'art. 8 dello Statuto, intervenuta, come si e' gia' detto, nel 2006, con la quale - fra l'altro - si e' aggiunto il canale di finanziamento relativo ai «sette decimi di tutte le entrate erariali, dirette o indirette, comunque denominate, ad eccezione di quelle di spettanza di altri enti pubblici» e - per l'appunto in coerenza con i rilievi sopra riportati - si e' introdotta la quota fissa di compartecipazione all'I.V.A. maturata nella Regione Sardegna (v., rispettivamente, lettere m) ed f) dell'art. 8, comma 1, nella formulazione vigente). Risulta dunque per tabulas, sia dalla posizione assunta dallo Stato nell'interlocuzione con la Regione, sia (e soprattutto) dal contenuto normativo della novella statutaria del 2006, che il regime delle entrate regionali e' stato modificato al fine permettere alla Sardegna di assolvere ai propri compiti istituzionali, in considerazione delle condizioni fattuali e normative maturate nel tempo. Come la Regione Sardegna ha lamentato nei gia' menzionati ricorsi iscritti al n. 8 del Reg. Confl. Enti 2011 e al n. 96 Reg. Ric. 2011, lo Stato, dopo aver riconosciuto l'inadeguatezza del vecchio regime, si e' illegittimamente sottratto al procedimento necessario per dare esecuzione al nuovo, arrecando un nuovo vulnus all'autonomia regionale. 1.2. - Ancora in via preliminare, e' opportuno precisare che la violazione dell'art. 8 dello Statuto di autonomia puo' e deve essere censurata (anche in questa sede, come gia' nei menzionati ricorsi numeri 8 Reg. Confl. Enti 2011 e 96 Reg. Ric. 2011) sebbene l'art. 8 di tale Statuto sia stato modificato con legge ordinaria, ai sensi del successivo art. 54. La qualita' di parametri dei giudizi di legittimita' costituzionale, invero, deve essere riconosciuta anche alle disposizioni del Titolo III dello Statuto speciale della Sardegna che, ai sensi dell'art. 54, comma 5, dello Statuto medesimo, possono essere modificate con legge ordinaria, previo parere della Regione. Tali disposizioni, infatti, sebbene sottoposte a quello che e' stato definito un processo di «decostituzionalizzazione» (come codesta Ecc.ma Corte ha affermato nella sentenza n. 70 del 1987), costituiscono pur sempre precetti che il legislatore statale deve rispettare, in quanto il procedimento di modificazione della norma statutaria e' comunque «assistito da una garanzia del tutto peculiare a favore della Regione sarda», sicche' la legge statale non puo' derogare la norma in questione, ma puo' solo modificarla con lo speciale procedimento di cui all'art. 54 dello Statuto (cosi' ancora la cit. sent. n. 70 del 1987, cui adde le pur meno dirette affermazioni della sent. n. 215 del 1996). 2. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 36, del d.l. n. 138 del 2011, per come convertito in legge n. 148 del 2011, per violazione degli artt. 7 e 8 della legge cost. n. 3 del 1948, recante Statuto speciale per la Sardegna e degli artt. 3, 117 e 119 della Costituzione. Come si e' gia' detto in narrativa, l'art. 2, comma 36, del d.l. n. 138 del 2011, per come convertito in legge n. 148 del 2011, stabilisce che «Le maggiori entrate derivanti dal presente decreto sono riservate all'Erario, per un periodo di cinque anni, per essere destinate alle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, anche alla luce della eccezionalita' della situazione economica internazionale. Con apposito decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono stabilite le modalita' di individuazione del maggior gettito, attraverso separata contabilizzazione. A partire dall'anno 2014, il Documento di economia e finanza conterra' una valutazione delle maggiori entrate derivanti, in termini permanenti, dall'attivita' di contrasto all'evasione. Dette maggiori entrate, al netto di quelle necessarie al mantenimento del pareggio di bilancio ed alla riduzione del debito, confluiranno in un Fondo per la riduzione strutturale della pressione fiscale e saranno finalizzate alla riduzione degli oneri fiscali e contributivi gravanti sulle famiglie e sulle imprese». Tale previsione appare illegittima, per violazione degli artt. 7 e 8 dello Statuto e 3, 117 e 119 della Costituzione per i motivi di seguito specificati. 2.1. - In primo luogo, la disposizione censurata acquisisce alla disponibilita' dello Stato maggiori entrate che dovrebbero essere di sicura spettanza regionale, quanto meno in notevole misura. In particolare, lo sono le maggiori entrate derivanti dal contributo di solidarieta' sui redditi eccedenti € 300.000,00, atteso che alle imposte sui redditi la Regione compartecipa nella misura del 70% (art. 8, comma 1, lettera a), Statuto); lo sono le maggiori entrate derivanti dall'incremento dell'I.V.A., atteso che a tale imposta la Regione compartecipa nella misura del 90% (art. 8, comma 1, lettera f), Statuto); lo sono le maggiori entrate derivanti da giochi pubblici, atteso che a tali entrate la Regione compartecipa nella misura del 70% (art. 8, comma 1, lettera m), Statuto); lo sono le maggiori entrate derivanti dal recupero dell'evasione fiscale previsto dall'art. 2, commi 5-bis e 5-ter dello stesso d.l. n. 138 del 2011, atteso che si trattava comunque di entrate spettanti alla Regione, che solo per una patologia del sistema non sono state acquisite e che ora non possono essere distratte in favore dello Stato (a tutto concedere, lo Stato potrebbe trattenere il costo del recupero dell'evasione, ma non certo le intere somme recuperate); lo sono le entrate derivanti dagli aumenti delle aliquote sui redditi da capitale previsti dall'art. 2, commi 6 e 9, dello stesso d.l. n. 138 del 2011, atteso che a tali entrate la Regione compartecipa nella misura del 70% (art. 8, comma 1, lettera m), Statuto); lo sono le entrate derivanti dall'anticipazione delle riduzioni delle esenzioni, stabilita dall'art. 1, comma 6, dello stesso d.l. n. 138 del 2011, entrate alle quali la Regione compartecipa nella misura di ciascun tributo, sempre ai sensi dell'art. 8 dello Statuto (per quanto riguarda, in particolare, l'IRAP e l'Addizionale regionale IRPEF, la partecipazione e' totale). In materia valgono, anzitutto, i principi stabiliti dalla sent. n. 198 del 1999 di codesta Ecc.ma Corte costituzionale. In quel caso la Regione Sardegna censurava gli artt. 1, comma 3, e 7, del d.l. n. 669 del 1996 che, rispettivamente, prevedevano l'obbligo di un versamento del 20% a titolo di acconto per i «redditi sottoposti a tassazione separata non soggetti a ritenuta alla fonte» e la riserva all'erario delle entrate dell'intero cit. d.l. n. 669 del 1996. L'illegittimita' delle menzionate disposizioni fu esclusa solo perche' - disse codesta Ecc.ma Corte costituzionale - «l'art. 1, comma 3, del decreto-legge impugnato non da' luogo ad entrate aggiuntive per il fisco: esso si limita a imporre una diversa modalita' di riscossione per una quota dell'imposta dovuta [...] Non si avranno comunque entrate "nuove", diverse e aggiuntive rispetto a quelle derivanti dall'applicazione della legislazione tributaria previgente, e alle quali lo statuto prevede la compartecipazione della Regione in quote prefissate. Se non vi sono nuove entrate derivanti dall'applicazione dell'art. 1 , comma 3, del decreto, l'art. 7 del medesimo, che dispone la riserva allo Stato delle sole entrate che derivano da esso, cioe' che in esso trovano la loro fonte, non puo' trovare applicazione agli importi riscossi a titolo di acconto sull'imposta dovuta in relazione ai redditi a tassazione separata». Cio' considerato, codesta Ecc.ma Corte costituzionale affermo' in maniera cristallina che «una diversa interpretazione porterebbe, del resto, ad una palese elusione delle previsioni degli statuti speciali, che prevedono, come nel caso della Regione Sardegna, la partecipazione delle Regioni al gettito di determinate imposte. Se bastasse, infatti, la modifica delle modalita' e quindi del tempo della riscossione, senza alcun aumento del gettito complessivo, per consentire l'avocazione allo Stato di quote del gettito medesimo, si verificherebbe [l'effetto] di avocare allo Stato l'intero importo di un gettito tributario (corrispondente agli acconti versati) in precedenza ripartito fra lo Stato stesso e la Regione. All'aumento delle entrate a favore dello Stato, derivante da tale avocazione, farebbe riscontro una diminuzione del gettito a favore della Regione, la quale verrebbe a partecipare al gettito della sola quota di imposte riscossa, a conguaglio, sulla base della liquidazione effettuata dagli uffici, e non piu', come per il passato, dell'intero importo di esse. Cio' [...] si tradurrebbe in una modifica surrettizia dell'ordinamento finanziario della Regione, garantito sul piano costituzionale dalle disposizioni dello statuto, e modificabile, bensi', con legge ordinaria, ma solo previa consultazione della Regione stessa (art. 54 stat. spec. per la Regione Sardegna)». Ora, non e' dubbio che almeno le entrate derivanti dal contrasto all'evasione non possano essere acquisite al patrimonio dello Stato, se non si vogliono violare i principi stabiliti dalla pronuncia ora riportata. Tali entrate, infatti, non derivano da alcuna modificazione normativa della disciplina dei singoli tributi, ma semplicemente dalla messa in opera dei meccanismi di lotta alla sottrazione al dovere di solidarieta' fiscale. La Regione, pertanto, subirebbe, paradossalmente, la diminuzione di entrate cui avrebbe avuto diritto qualora le relative somme fossero state regolarmente versate. Acquisire tali entrate allo Stato, in definitiva, significherebbe ridurre le entrate regionali, proprio come la sent. n. 198 del 1999 aveva escluso si potesse fare. Nemmeno la previsione di riserva allo Stato delle altre entrate, pero', nel caso di specie, si sottrae a censura. Si deve considerare, infatti, che, per le ragioni gia' sopra esposte, l'attuale regime delle risorse della Regione Sardegna e' riconosciuto come insufficiente. E' pertanto illegittimo, per violazione degli artt. 7 e 8 dello Statuto, e 117 e 119 della Costituzione, riservare allo Stato entrate che, invece, debbono essere destinate almeno alla riduzione di tali insufficienze, constatate addirittura da una norma statutaria (l'art. 8). Ed e' specificamente irragionevole (eppercio' violativo dell'art. 3 Cost., in combinato disposto con i summenzionati parametri) disporre di risorse pubbliche in modo tale da distrarle alla destinazione che sarebbe stata la piu' logica e coerente, onde impiegarle al generico fine di raggiungere vaghi obiettivi di finanza pubblica. 2.2. - Per le ragioni anzidette, l'art. 2, comma 36 del d.l. n. 138 del 2011 viola l'art. 8 dello Statuto, che, come indicato, attribuisce alla Regione una partecipazione maggioritaria o addirittura totalitaria alle entrate che lo Stato, ora, vorrebbe riservarsi. E' parimenti violato, pero', anche l'art. 7 dello Statuto, che garantisce alla Regione un'adeguata autonomia finanziaria, e sono parimenti violati gli artt. 117 e 119 della Costituzione, che confermano la tutela della particolare autonomia economico-finanziaria della Regione e attribuiscono alla Sardegna la competenza concorrente nella materia del coordinamento della finanza pubblica. Violato, altresi', e' l'art. 3 Cost., per l'evidente irragionevolezza della scelta di acquisire allo Stato risorse che per definizione (in base, cioe', alle stesse previsioni statutarie e alla logica, visto che le entrate cui esse si riferiscono erano state destinate a coprire il fabbisogno regionale) sono funzionali al soddisfacimento di esigenze che statali non sono, tanto piu' che e' parimenti irragionevole perseguire l'intento di raggiungere obiettivi di finanza pubblica dello Stato, sacrificando quelli delle Regioni, quasi che l'equilibrio finanziario non fosse affare dell'intera Repubblica. 2.3.- Ulteriore motivo di illegittimita', di nuovo per violazione dei parametri gia' invocati, sta nel fatto che la norma impugnata non prevede uno scopo specifico al quale destinare il sacrificio imposto alla Regione (limitandosi ad invocare generiche esigenze di finanza pubblica) e stabilisce un periodo di tempo lunghissimo (cinque anni!) di applicazione delle penalizzanti misure qui contestate. Se ne evince l'assoluta irragionevolezza della previsione, che non tiene minimamente conto delle esigenze regionali e opera come se esse - assieme alle norme di rango costituzionale che, garantendo l'autonomia regionale, le tutelano - non esistessero. 3. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 4, del d.l. n. 138 del 2011, per come convertito in legge n. 148 del 2011, per violazione degli artt. 3, 4 e 7 della legge cost. n. 3 del 1948, recante Statuto speciale per la Sardegna, e degli artt. 3, 117 e 119 della Costituzione. Come gia' riportato, l'art. 3, comma 4, del d.l. n. 138 del 2011, per come convertito in legge n. 148 del 2011, stabilisce che «L'adeguamento di Comuni, Province e Regioni all'obbligo di cui al comma 1 costituisce elemento di valutazione della virtuosita' dei predetti enti ai sensi dell'art. 20, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111». A sua volta, il comma 1 stabilisce che «Comuni, Province, Regioni e Stato, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, adeguano i rispettivi ordinamenti al principio secondo cui l'iniziativa e l'attivita' economica privata sono libere ed e' permesso tutto cio' che non e' espressamente vietato dalla legge nei soli casi di [seguono alcune fattispecie esonerative]». La disposizione indicata in epigrafe appare in contrasto con gli artt. 3, 4 e 7 dello Statuto e con gli artt. 3, 117 e 119 della Costituzione. 3.1. - L'art. 3, comma 4, del d.l. n. 138 del 2011 trasforma in pretesi vincoli di finanza pubblica degli adempimenti di carattere sostanziale che con la finanza pubblica non hanno nulla a che vedere. Con questo artifizio lo Stato condiziona, fino ad annullare, la discrezionalita' del legislatore regionale in tutte le materie di sua competenza, concorrente o addirittura esclusiva, ingabbiandolo in un meccanismo perverso per cui ogni opzione legislativa, anche in materie che nulla hanno a che valere con la finanza pubblica, che non fosse pedissequamente conseguente alle indicazioni qui censurate, determinerebbe un grave pregiudizio sul piano delle prerogative finanziarie della Regione. Ci si trova di fronte, dunque, ad un caso paradigmatico di eccesso di potere legislativo e, comunque, di violazione del principio di ragionevolezza. Tanto, con frontale contrasto con l'art. 3 Cost., in combinato disposto con gli artt. 117 e 119 Cost. che non prevedono una simile competenza statale. Il meccanismo dell'art. 3, comma 4, del d.l. n. 138 del 2011: i) in primo luogo permette allo Stato, attraverso il grimaldello della valutazione delle prestazioni delle Regioni nell'adempimento dei loro obblighi di finanza pubblica, di esorbitare dall'ambito di competenze definito dall'artt. 117, commi 2 e 3, Cost. e contestualmente di impingere nelle attribuzioni regionali, condizionando le scelte legislative del legislatore regionale; ii) in secondo luogo vincola le Regioni - tra le quali l'odierna ricorrente - nelle materie di competenza concorrente senza aver dettato, come vorrebbe l'art. 117, comma 3, Cost., i principi fondamentali della materia, a meno di non voler ritenere che costituisca un autentico principio la generica indicazione del comma 1 dell'art. 3, che, come la dottrina ha subito messo in luce, e' di ben scarsa pregnanza normativa. 3.2. - L'art. 3, comma 4, del d.l. n. 138 del 2011 viola altresi' lo Statuto sardo, ed in particolare gli artt. 3, 4 e 7, perche' la disposizione in questione limita indebitamente, nei modi sopra descritti, l'autonomia della Regione Sardegna, sia nelle materie di competenza esclusiva che in quelle di competenza concorrente, nonche' nell'esercizio delle sue prerogative in ambito di bilancio. Non v'e' dubbio, infatti, che la regolamentazione dell'iniziativa e dell'attivita' economica privata interessi, oltre che gli ambiti materiali enumerati all'art. 117, comma 3, Cost. (si pensi, a titolo esemplificativo, alla tutela e sicurezza del lavoro, al sostegno all'innovazione per i settori produttivi, alla tutela della salute, alla produzione, al trasporto e alla distribuzione nazionale dell'energia, etc.), anche gli ambiti di attribuzione specificamente elencati negli artt. 3 e 4 dello Statuto, ed in particolare le materie «agricoltura e foreste», «edilizia e urbanistica», «trasporti su linee automobilistiche e tranviarie», «artigianato», «turismo, industria alberghiera» (art. 3, comma 1, lettere d), f), g), o), p), dello Statuto) nonche' le materie «industria, commercio ed esercizio industriale delle miniere, cave e saline», «istituzione ed ordinamento degli enti di credito fondiario ed agrario, delle casse di risparmio [...]», «produzione e distribuzione dell'energia elettrica», «linee marittime ed aeree di cabotaggio fra i porti e gli scali della regione», «pubblici spettacoli» (art. 4, comma 1, lettere a), b), e), f), m) dello Statuto). Una volta di piu', la minaccia della sanzione finanziaria opera, indebitamente e illegittimamente, come strumento per condizionare e resecare, con generale estensione, l'autonomia regionale. 4. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 4 del d.l. n. 138 del 2011, per come convertito in legge n. 148 del 2011, per violazione degli articoli 3 (spec. comma 1, lettere a, b e g) e 4 (spec. comma 1, lettere f e g) della legge cost. n. 3 del 1948, recante Statuto speciale per la Sardegna. L'art. 4 del d.l. n. 138 del 2011, per come convertito in legge n. 148 del 2011, al comma 1 stabilisce che «Gli enti locali, nel rispetto dei principi di concorrenza, di liberta' di stabilimento e di libera prestazione dei servizi, verificano la realizzabilita' di una gestione concorrenziale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, di seguito "servizi pubblici locali", liberalizzando tutte le attivita' economiche compatibilmente con le caratteristiche di universalita' e accessibilita' del servizio e limitando, negli altri casi, l'attribuzione di diritti di esclusiva alle ipotesi in cui, in base ad una analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunita'». I commi che seguono, poi, dettano una disciplina estremamente dettagliata relativa non solo all'affidamento dei servizi pubblici locali a rilevanza economica, bensi' anche alla gestione dei medesimi e al controllo operato dall'ente appaltante (comma 5), alla composizione degli uffici degli enti appaltanti nonche' degli organi societari delle imprese appaltatrici (commi 19 sgg.), all'impatto della gestione del servizio sulla finanza dell'ente ed in particolare al patto di stabilita' (comma 14), all'approvvigionamento di beni e servizi da parte delle societa' c.d. «in house» (comma 15) nonche' al reclutamento del personale (comma 16). L'art. 4 del d.l. n. 138 del 2011 viola gli artt. 3 e 4 della legge cost. n. 3 del 1948. E' evidente, infatti, che lo Stato, nell'esercizio della potesta' esclusiva in materia di tutela della concorrenza, ha dettato il principio generale della verifica della realizzabilita' di una gestione concorrenziale dei servizi locali. Nell'ambito di questo principio, pero', spetta in primo luogo alla Regione Sardegna, non certo direttamente ai suoi enti locali, la verifica in questione, che essa deve poter legislativamente disciplinare. L'art. 4, comma 1 (ma tanto vale anche per i commi da 2 a 4, nei quali si prevede che la verifica sopra menzionata sia incorporata in un provvedimento amministrativo, sia trasmessa all'Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato e sia periodicamente riformulata), nell'attribuire direttamente agli enti locali la competenza a determinare le modalita' di erogazione dei servizi pubblici, ha leso le competenze della Regione Sardegna, alla quale lo Statuto ha conferito in via esclusiva (art. 3, comma 1, lettere a, b e g) le attribuzioni relative alle materie «ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed economico del personale», «ordinamento degli Enti Locali», «trasporti su linee automobilistiche e tranviarie», nonche' la competenza concorrente (art. 4, comma 1, lettere f e g) nelle materie «assunzione di pubblici servizi» e «linee marittime ed aeree di cabotaggio fra i porti e gli scali della Regione». La disciplina in esame, paradossalmente, attribuisce ad un livello di autonomia inferiore cio' che toglie ad un livello superiore, le cui attribuzioni sono tutelate da disposizioni di rango costituzionale, che qui restano del tutto inosservate. L'illegittimita' del comma 1 comporta, per le medesime ragioni, l'illegittimita' dell'intero art. 4, poiche' i commi successivi dettano, come si e' visto in narrativa, disposizioni ancillari di quelle dettate dal primo, nel senso che si tratta di disposizioni strumentali all'operativita' del meccanismo di affidamento agli enti locali del potere di scegliere una gestione concorrenziale dei servizi. 4.2. - Non basta. Nella pur breve ricognizione della materia oggetto di regolamentazione da parte dell'art. 4 sopra menzionato, si e' messo in luce che il legislatore statale ha piu' volte esorbitato dalla sua competenza in materia di tutela della concorrenza, la quale comprende, come affermato da codesta Ecc.ma Corte costituzionale nella sent. n. 325 del 2010, il solo profilo dell'affidamento del servizio pubblico locale. Ancora una volta, invece, il legislatore statale ha debordato dai limiti assegnatigli fino a dettare norme in materie connesse eppur distinte, come, ad esempio, lo svolgimento del servizio pubblico (comma 5, in tema di definizione degli obblighi di servizio pubblico) di rispetto del patto di stabilita' da parte delle aziende appaltanti (comma 14), di assunzione di personale e acquisizione di beni e servizi da parte delle imprese aggiudicatarie del servizio, infine di organizzazione del controllo, da parte dell'ente appaltante, sul servizio pubblico erogato. In questa maniera lo Stato ha senza alcun dubbio invaso le competenze della Regione Sardegna garantite in particolare dagli artt. 3, comma 1, lettere a), b) e g), e 4, comma 1, lettere f) e g) dello Statuto. I parametri statutari invocati, lo si ribadisce, attribuiscono alla Regione la competenza esclusiva nelle materie «ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed economico del personale», «ordinamento degli Enti Locali», «trasporti su linee automobilistiche e tranviarie», nonche' la competenza concorrente nelle materie «assunzione di pubblici servizi» e «linee marittime ed aeree di cabotaggio fra i porti e gli scali della Regione». Ferma restando, per i profili sopra individuati, l'illegittimita' dell'intero articolo 4, a piu' forte ragione si deve insistere per l'incostituzionalita' delle disposizioni che non attengono strettamente al profilo dell'affidamento dei servizi pubblici, in quanto invadono le competenze esclusive della Regione e, nelle materie di competenza concorrente, impediscono alla Sardegna l'esercizio delle sue attribuzioni anche a fronte dell'estremo dettaglio della disciplina, che certo non si e' limitata a dettare i principi fondamentali della materia, ma ha regolato tutti gli aspetti, anche i piu' minuti, della gestione dei servizi pubblici locali. 5. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 5-bis, del d.l. n. 138 del 2011, per come convertito in legge n. 148 del 2011, per violazione degli artt. 3 e 119 Cost. L'art. 5-bis del d.l. 138 del 2011, per come convertito in legge n. 148 del 2011, stabilisce che, «al fine di garantire l'efficacia delle misure finanziarie per lo sviluppo delle regioni dell'obiettivo convergenza e l'attuazione delle finalita' del Piano per il Sud, a decorrere dall'anno finanziario in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, la spesa in termini di competenza e di cassa effettuata annualmente da ciascuna delle predette regioni a valere sulle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, sui cofinanziamenti nazionali dei fondi comunitari a finalita' strutturale, nonche' sulle risorse individuate ai sensi di quanto previsto dall'articolo 6-sexies del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, puo' eccedere i limiti di cui all'articolo 1, commi 126 e 127, della legge 13 dicembre 2010, n. 220, nel rispetto, comunque, delle condizioni e dei limiti finanziari stabiliti ai sensi del comma 2 del presente articolo» (comma 1) e che, «al fine di salvaguardare gli equilibri di finanza pubblica, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale e di intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano da adottare entro il 30 settembre di ogni anno, sono stabiliti i limiti finanziari per l'attuazione del comma 1, nonche' le modalita' di attribuzione allo Stato ed alle restanti regioni dei relativi maggiori oneri, garantendo in ogni caso il rispetto dei tetti complessivi, fissati dalla legge per il concorso dello Stato e delle predette regioni alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per l'anno di riferimento» (comma 2). La disposizione in esame viola gli artt. 3 e 119 della Costituzione. 5.1. - La Regione Sardegna e' tra le otto Regioni incluse nel c.d. «Piano per il Sud», ossia nel programma di attivita' strategiche che il Governo ha varato nel novembre del 2010 proponendosi il fine di «creare nel Mezzogiorno un ambiente favorevole e pre-condizioni adeguate al pieno dispiegamento delle sue potenzialita' di sviluppo», a fronte del «divario di sviluppo tra il Mezzogiorno ed il resto del Paese [...] da oltre 40 anni immutato nelle sue dimensioni quantitative» e del «divario nel Pil pro capite del Mezzogiorno rispetto al Centro Nord [...] oggi all'incirca uguale a quello degli anni '60» (cosi' si legge nella relazione esplicativa del Piano). Al contrario, la Regione Sardegna non e' inclusa tra le Regioni che possono partecipare al c.d. «Obiettivo Convergenza» dell'Unione Europea, che e' stato varato con il Regolamento CE n. 1083 del 2006 al fine di promuovere una maggiore armonizzazione e coerenza nell'utilizzo dei fondi strutturali europei (si veda, a questo proposito, il Considerando n. 9 del cit. Regolamento), in quanto non rientra nei parametri che individuano le Regioni e gli ambiti territoriali ammissibili, stabiliti in base al «sistema comune di classificazione delle regioni» introdotto dal Regolamento CE n. 1059 del 2003 (cfr. art. 5 del Reg. CE n. 1083 del 2006; si veda anche il documento della Commissione Europea «European Cohesion in Italy - Cohesion policy 2007-2013»). 5.2. - La disposizione in esame prevede che le Regioni non inserite nell'«Obiettivo Convergenza», ma che presentano, comunque, quella situazione di mancato sviluppo che ne ha determinato l'inserimento nel Piano per il Sud, come e' la Regione Sardegna, non solo non si vedono riconoscere i benefici di cui al comma 1 dell'articolo 5-bis, ma subiscono anche i pregiudizi derivanti dal comma 2, essendo obbligate a cofinanziare le risorse destinate al sostegno di altre Regioni alle quali, comunque, sono accomunate da una condizione di arretratezza rispetto agli indicatori di sviluppo nazionali. Pertanto la disposizione in esame: i) viola l'art. 3 della Costituzione pel profilo della disparita' di trattamento, in quanto considera in maniera diversa Regioni e aree del paese che, pure, presentano gli stessi gravi problemi di mancato sviluppo sociale ed economico; ii) viola l'art. 3 pel profilo dell'irragionevolezza, in quanto, al fine di colmare le diseguaglianze strutturali tra le diverse aree del Paese, richiede maggiori oneri a Regioni che lo stesso Stato ha ritenuto, con il «Piano Sud» meritevoli di beneficiare di un particolare sforzo di sostegno sociale ed economico; iii) viola l'art. 119 Cost., ed in particolare il terzo e il quinto comma, in quanto aggrava le diseguaglianze tra Regioni ed aree del Paese arretrate quanto alle condizioni di sviluppo, contrastando in maniera frontale con il principio di perequazione, coesione e solidarieta' sociale ivi previsto. 6. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 11 del d.l. n. 138 del 2011, per come convertito in legge n. 148 del 2011, per violazione dell'art. 117 della Costituzione, in combinato disposto con l'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. L'art. 11 del d.l. n. 138 del 2011, per come convertito in legge n. 148 del 2011, concerne la fattispecie dei tirocini formativi. Essa attiene alla materia della formazione professionale, che, ai sensi del combinato disposto dell'art. 117, comma 3, e 117, comma 4, della Costituzione appartiene alla competenza residuale della Regione, in quanto la formazione professionale e' esplicitamente esclusa dall'ambito applicativo dell'art. 117, comma 3, Cost. Come e' ben noto, l'art. 10 della 1. cost. n. 3 del 2001, a tenor del quale «Sino all'adeguamento dei rispettivi statuti, le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano anche alle Regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomie piu' ampie rispetto a quelle gia' attribuite». Cio' significa che, appartenendo la formazione professionale alla competenza residuale delle Regioni ordinarie, tale materia non puo' non avere almeno il medesimo regime nel caso della Regione Sardegna. Che sia cosi' e' stato puntualmente verificato dalla giurisprudenza costituzionale. Ad esempio, nella sent. n. 271 del 2009, codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha affermato che «in materia di professioni, la giurisprudenza della Corte e' ferma nel senso che compete allo Stato l'individuazione dei profili professionali e dei requisiti necessari per il relativo esercizio. Se [...] rientrano certamente nella competenza statale l'individuazione delle figure professionali, e i relativi profili ed ordinamenti didattici, non si spiega per quale motivo le Regioni, dotate di potesta' primaria in materia di formazione professionale, non possano regolare corsi di formazione relativi alle professioni turistiche gia' istituite dallo Stato. In base alla giurisprudenza costituzionale, "in materia di formazione professionale, la definizione dei programmi e l'organizzazione dei corsi spetta alla sfera delle attribuzioni regionali, salva la presenza di possibili forme di coordinamento e controllo centrale" (sentenza n. 372 del 1989, nonche' sentenza n. 50 del 2005)». La disposizione censurata (in particolar modo il comma 1, secondo periodo), attiene proprio alla organizzazione dei programmi e dei corsi di tirocinio professionale, in quanto ne definisce la durata massima e i soggetti che ne possono essere beneficiari. Palese, dunque, la sua illegittimita'. 6.1. - Il comma 2 dell'art. 11 in questione, infine, prevedendo l'applicazione del regolamento di attuazione dell'art. 18 della legge n. 196 del 2007, viola anche l'art. 117, comma 6, Cost., che vieta l'adozione di regolamenti statali in materie di competenza regionale (principio ribadito di recente da codesta Ecc.ma Corte costituzionale nella sent. n. 325 del 2010, punto 12.6 del Considerato in diritto). Ne' si potrebbe obiettare che la disposizione potrebbe andare esente da censure perche' il legislatore ha previsto l'applicazione del regolamento statale solo «in assenza di specifiche regolamentazioni regionali». Infatti, la forma regolamentare e' comunque illegittima e non puo' trovare fondamento in una legge statale che, a sua volta, e' viziata proprio perche' pretende di consentire ai regolamenti di estendersi ad un dominio che e' loro sottratto. 7. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 14 del d.l. n. 138 del 2011, per come convertito in legge n. 148 del 2011, per violazione degli artt. 15 e 16 della legge cost. n. 3 del 1948, recante Statuto speciale per la Sardegna, e degli artt. 3, 116 e 119 Cost. L'art. 14 del d.l. n. 138 del 2011, come convertito in legge n. 148 del 2011, impone alle Regioni, compresa la Sardegna, di ridurre il numero dei consiglieri regionali e degli assessori, nonche' i loro emolumenti, per poter essere collocate nella classe di enti territoriali piu' virtuosa, al fine della distribuzione degli oneri di partecipazione agli obiettivi di' finanza pubblica nazionale, giusta l'art. 20, comma 3, del d.l. n. 98 del 2011. Il secondo comma dell'articolo in esame prevede, poi, che la riduzione di assessori e consiglieri regionali e delle loro indennita' sia anche una condizione necessaria per gli interventi di perequazione e solidarieta' in favore delle Regioni a statuto speciale previsti dall'art. 27, comma 2 cpv., della legge n. 42 del 2009. 7.1. - La disposizione in esame viola, anzitutto, l'art. 16 dello Statuto sardo, che stabilisce direttamente il numero dei componenti del Consiglio regionale della Sardegna. Violato e' anche l'art. 15 dello Statuto, che affida alla legge regionale la determinazione della forma di governo della Regione e dei rapporti fra i suoi organi. Non v'e' dubbio, infatti, che anche la determinazione del numero (e degli stessi emolumenti) dei consiglieri e degli assessori regionali incide sui rapporti tra gli organi istituzionali che ne qualificano la forma di governo. Piu' in generale, e' violata l'autonomia della Regione Sardegna nella determinazione della propria organizzazione interna, garantita dall'art. 116 Cost. Infine, sono violati anche gli artt. 3 e 119 Cost., perche' la doverosa applicazione del principio di perequazione e' irragionevolmente subordinata alla rinuncia della Regione alla sua autonomia costituzionalmente garantita. Non basta. Considerato che lo Statuto, ai sensi dell'art. 54 dello stesso, si puo' riformare solo con il procedimento stabilito per la revisione costituzionale, l'adeguamento ai parametri dell'art. 14, comma 1, del d.l. n. 138 del 2011 non e' nella disponibilita' della Regione Sardegna, che puo' solamente avviare il procedimento di revisione, ma non puo' portarlo a compimento (tanto e' vero che sono stati presentati al Senato due disegni di legge costituzionale - A.S. 2923, d'iniziativa del sen. Sanna e altri; A.S. 2976, d'iniziativa del sen. Cabras e altri - per la riforma, tra gli altri, dell'art. 16 dello Statuto sardo e la conseguente riduzione del numero dei consiglieri regionali). Questo elemento aggrava i profili di illegittimita' e di irragionevolezza della disposizione censurata, che, ancora una volta, contribuisce a creare un meccanismo perverso di distribuzione degli oneri di finanza pubblica tra gli enti territoriali, che non tiene in alcun conto la specifica situazione della Regione Sardegna, determinata, nel caso di specie, dalle regole che disciplinano le fonti dell'autonomia speciale. Si giunge cosi' ad un duplice paradosso. Anzitutto, la Sardegna e' resa responsabile per scelte (come quelle relative al numero dei consiglieri regionali) delle quali non ha la disponibilita'. In secondo luogo, essa, pur essendo ad autonomia speciale (cosa che importa, di conseguenza, una maggiore autonomia anche finanziaria e di bilancio), e pur essendo una Regione che (come si e' visto nelle censure relative all'art. 5-bis) necessita di provvedimenti straordinari per il proprio sviluppo socio-economico, in forza dell'art. 14 qui censurato non puo' ottenere la migliore classe di merito nel riparto di cui all'art. 20 del d.l. n. 98 del 2011, o beneficiare degli interventi di perequazione previsti dall'art. 27 della legge n. 42 del 2009, se non in ragione dell'intervento di fonti non proprie, ovvero della rinuncia ad attribuzioni che le sono garantite a livello costituzionale. 8. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011, per come convertito in legge n. 148 del 2011, per violazione dell'art. 3 della legge cost. n. 3 del 1948, recante Statuto speciale per la Sardegna, e dell'art. 117 della Costituzione. L'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011, come convertito in legge n. 148 del 2011, regola la costituzione, le attribuzioni, l'organizzazione e il funzionamento delle unioni di comuni, e detta ulteriori norme sui comuni stessi, fissando una disciplina di estremo dettaglio e particolarmente stringente. In particolare, l'articolo in esame stabilisce i criteri per la costituzione obbligatoria e facoltativa delle unioni (commi da 1 a 3) e per l'esercizio obbligatorio in forma associata delle funzioni fondamentali dei comuni (commi 22 e 24), il procedimento per la redazione dei bilanci di previsione (comma 4), il procedimento per la costituzione dell'unione stessa (commi 8 e 9), gli organi di governo dell'unione e le rispettive competenze, (commi 10 sgg.). I commi da 17 a 21, 25 e 26, invece, dettano disposizioni relative alla composizione degli organi di governo e di controllo dei comuni che non sono obbligati a costituire un'unione, nonche' allo svolgimento delle loro funzioni istituzionali e alla rendicontazione delle spese di rappresentanza. Il comma 27 stabilisce i nuovi criteri di definizione degli enti locali cui e' fatto divieto di costituire societa'. Il comma 28 prevede la verifica, da parte del Prefetto, dell'avvenuta soppressione dei consorzi di funzioni tra gli enti locali, di cui all'art. 2, comma 186, lettera e), della legge n. 191 del 2009, e l'eventuale esercizio di poteri sostitutivi da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri. I commi 30 e 31 prevedono che l'applicazione dell'articolo non debba produrre nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e che siano assoggettati al patto di stabilita' interno tutti i comuni con popolazione superiore a 1000 abitanti. L'intero articolo in esame, il cui contenuto precettivo e' stato qui brevemente riassunto, viola l'art. 3, comma 1, lett. b) dello Statuto della Sardegna, nonche', limitatamente al comma 4, ult. cpv., anche l'art. 117, comma 6, Cost. 8.1. - La Regione non ignora che il comma 29 del cit. art. 16 prevede che «le disposizioni [...] si applicano ai comuni appartenenti alla regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e Bolzano nel rispetto degli statuti delle regioni e province medesime, delle relative norme di attuazione e secondo quanto previsto dall'articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42». Tuttavia quella che sembra una disposizione di salvaguardia delle competenze delle autonomie speciali, a ben vedere, non esclude la lesione delle attribuzioni della Sardegna, per due ordini di motivi. In primo luogo si deve considerare che l'art. 3, comma 1, lettera b), dello Statuto della Sardegna dispone che «In armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonche' delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica, la Regione ha potesta' legislativa nelle seguenti materie: [...] b) ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni». E' dunque evidente che, essendo garantito dall'art. 3, comma 1, lettera b) dello Statuto alla Regione Sardegna una sfera di autonomia legislativa esclusiva in materia di «ordinamento degli Enti Locali e delle relative circoscrizioni», la semplice applicazione dell'art. 16 agli enti territoriali sardi, ancorche' nelle modalita' di cui al comma 29, e' gia' di per se' lesiva dell'autonomia regionale. La previsione del comma 29 appare, dunque, meramente di stile, perche' la normativa statale, nella materia di cui al citato art. 3, comma 1, lettera b), dello Statuto, non puo' avere alcun ingresso, nemmeno nelle forme cautelative della previsione qui censurata. In secondo luogo, l'articolo in esame non introduce una normativa di carattere generale o limitata ai principi di semplificazione, accorpamento di funzioni e riduzione degli enti non necessari, bensi' un'autoritativa e unilaterale determinazione del livello demografico della c.d. intercomunalita', cui segue una regolamentazione di estremo dettaglio, della quale la Regione, anche attivando le procedure necessarie per il rispetto del proprio Statuto, e pur applicandosi quanto previsto dall'art. 27 della legge n. 42 del 2009, non potrebbe che prendere atto e recepire in via automatica. Proprio per questa ragione non si potrebbe obiettare che la norma impugnata appartenga a quelle «fondamentali» delle «riforme economico-sociali della Repubblica», poiche' essa regola con estremo dettaglio l'ordinamento degli enti locali, senza che cio' risulti necessario per la realizzazione degli obiettivi di maggiore efficienza perseguiti dal legislatore statale (ben si sarebbe potuto e dovuto lasciare alla Regione il potere di determinare le modalita' di concreta attuazione del principio dell'intercomunalita', adattandolo alle variegate realta' locali). Per queste ragioni, l'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011, nonostante la (pretesa) formula di salvaguardia del comma 29, lede le attribuzioni conferite alla Sardegna dall'art. 3, comma 1, lettera b), dello Statuto. 8.2. - In particolare, con la disposizione in esame il legislatore statale ha invaso le competenze della Regione Sardegna attraverso l'imposizione di forme associate di esercizio non solo delle funzioni statali delegate agli enti locali, ma anche delle funzioni proprie dei comuni, nonche' di quelle ad essi assegnate dalle leggi regionali. Tale circostanza consente di affermare che l'istituzione obbligatoria di unioni di comuni, la contestuale riduzione dei consigli comunali a puri organi di partecipazione e del sindaco a semplice ufficiale di Governo producono l'effetto di determinare di fatto la soppressione dei comuni che partecipano a questa forma associativa e la loro sostituzione con un nuovo tipo di ente territoriale, in violazione esplicita della competenza in materia di «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni» di cui al piu' volte citato art. 3, comma 1, lettera b), dello Statuto. Quanto ora affermato trova conferma nella giurisprudenza costituzionale, in cui a piu' riprese si e' statuito che alla disposizione statutaria ora richiamata si deve dare l'interpretazione piu' ampia che sia consentita, tanto che in essa deve essere ricompresa anche la potesta' di istituire nuove province (sent. n. 230 del 2001), nonche' quella di regolare la finanza locale (sent. n. 275 del 2007). 8.3. - Si deve aggiungere, infine, che il comma 4, ult. cpv., dell'articolo in esame e' specificamente illegittimo, in quanto prevede un regolamento statale in materia di competenza regionale (cio' quanto al «procedimento amministrativo-contabile di formazione e di variazione del documento programmatico», ai «poteri di vigilanza sulla sua attuazione» e alla «successione nei rapporti amministrativo-contabili tra ciascun comune e l'unione», tutti ambiti ricompresi nella materia «ordinamento degli enti locali»), in violazione dell'art. 117, comma 6, Cost., che esclude la potesta' regolamentare dello Stato nelle materie di competenza regionale. 9. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 9, lettera b), del d.l. n. 138 del 2011, per come convertito in legge n. 148 del 2011, per violazione degli artt. 5, 116, 117 e 119 della Costituzione, 1, 3, 4, 5, 7 e 8 della legge cost. n. 3 del 1948, recante Statuto speciale per la Sardegna. E' gia' stato oggetto di impugnazione da parte della Regione Sardegna (con il citato ricorso iscritto al n. 96/2011 R. Ric.) l'art. 3, comma 20, del d.l. n. 98 del 2011. Detta disposizione e' stata impugnata nel testo risultante dall'art. 1, comma 9, lettera b), del d.l. n. 138 del 2011 nella sua formulazione originaria, antecedente - cioe' - la conversione ad opera della legge n. 148 del 2011. Ora, come si e' gia' detto in narrativa, la legge n. 148 del 2011 ha disposto che l'art. 1, comma 9, lettera b), del d.l. n. 138 del 2011 sia convertito in legge con la seguente modificazione: «al comma 9, lettera b), le parole: "di cui a primi due periodi" sono sostituite dalle seguenti: "di cui ai primi due periodi"». Si tratta, con tutta evidenza, di una semplice correzione del testo originario del decreto, ma fosse pure per tuziorismo e' qui necessario impugnare anche la nuova versione della disposizione contestata. Poiche' i vizi non sono - ovviamente - diversi da quelli gia' lamentati con il precedente gravame, devono essere qui replicate le medesime censure gia' articolate nel citato ric. n. 96 del 2011. 9.1. - Nel testo emendato dall'art. 1, comma 9, lettera b), del d.l. n. 138 del 2011, come convertito in legge n. 148 del 2011, l'art. 3, comma 20, del d.l. n. 98 del 2011 dispone quanto segue: «Gli enti che, in esito a quanto previsto dal comma 2, risultano collocati nella classe piu' virtuosa, fermo l'obiettivo del comparto, non concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica fissati, a decorrere dall'anno 2012, dal comma 5, nonche' dall'articolo 14 del decreto-legge n. 78 del 2010. Gli enti locali di cui al primo periodo conseguono l'obiettivo strutturale realizzando un saldo finanziario pari a zero. Le regioni di cui al primo periodo conseguono un obiettivo pari a quello risultante dall'applicazione alle spese finali medie 2007-2009 della percentuale annua di riduzione stabilita per il calcolo dell'obiettivo 2011 dal decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. [...]» (la sottolineatura segnala la sostituzione intervenuta con l'art. 1, comma 9, lettera b), del d.l. n. 138 del 2011, come conv. in legge n. 148 del 2011, oggetto della presente impugnazione). La disposizione in esame stabilisce le premialita' assegnate agli enti che ottengono la migliore classe di merito nella valutazione di cui all'art. 20, comma 2, del d.l. n. 98 del 2011. Il meccanismo regolato dal cit. comma 2, invero, e' anch'esso illegittimo, in quanto l'attribuzione della classe di merito e' stabilita in ragione di criteri (stabiliti dai commi 2, 2-bis e 2-ter dell'art. 20) che sono del tutto incongruenti con la modifica dell'art. 8 dello Statuto della Sardegna intervenuta nel 2006, della quale non tengono alcun conto, con conseguente grave lesione dell'autonomia della Regione Sardegna. Per comodita' d'esposizione, si riportano di seguito i commi 2, 2-bis e 2-ter dell'art. 20 del d.l. n. 98 del 2011, nei quali sono stabiliti, come si e' detto, i criteri mediante i quali si determina la virtuosita' economico-finanziaria degli enti territoriali assoggettati al patto di stabilita'. «2. Ai fini di ripartire l'ammontare del concorso alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica fissati, a decorrere dall'anno 2012, dal comma 5, nonche' dall'articolo 14 del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, tra gli enti del singolo livello di governo, i predetti enti sono ripartiti con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell'interno e con il Ministro per gli affari regionali e per la coesione territoriale, d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, in quattro classi, sulla base dei seguenti parametri di virtuosita': a) prioritaria considerazione della convergenza tra spesa storica e costi e fabbisogni standard; b) rispetto del patto di stabilita' interno; c) incidenza della spesa del personale sulla spesa corrente dell'ente in relazione al numero dei dipendenti in rapporto alla popolazione residente, alle funzioni svolte anche attraverso esternalizzazioni nonche' all'ampiezza del territorio; la valutazione del predetto parametro tiene conto del suo valore all'inizio della legislatura o consiliatura e delle sue variazioni nel corso delle stesse ai fini dell'applicazione del comma 2-ter; d) autonomia finanziaria; e) equilibrio di parte corrente; f) tasso di copertura dei costi dei servizi a domanda individuale per gli enti locali; g) rapporto tra gli introiti derivanti dall'effettiva partecipazione all'azione di contrasto all'evasione fiscale e i tributi erariali, per le regioni; h) effettiva partecipazione degli enti locali all'azione di contrasto all'evasione fiscale; i) rapporto tra le entrate di parte corrente riscosse e accertate; l) operazione di dismissione di partecipazioni societarie nel rispetto della normativa vigente. 2-bis. A decorrere dalla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni e dalla definizione degli obiettivi di servizio cui devono tendere gli enti territoriali nell'esercizio delle funzioni riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali, tra i parametri di virtuosita' di cui al comma 2 sono compresi indicatori quantitativi e qualitativi relativi agli output dei servizi resi, anche utilizzando come parametro di riferimento realta' rappresentative dell'offerta di prestazioni con il miglior rapporto qualita-costi. 2-ter. Il decreto di cui al comma 2 individua un coefficiente di correzione connesso alla dinamica nel miglioramento conseguito dalle singole amministrazioni rispetto alle precedenti con riguardo ai parametri di cui al citato comma 2». I criteri ora riportati sono illegittimi per le ragioni di seguito indicate, gia' messe in luce nel cit. ric. n. 96 del 2011 e ora, per tuziorismo, qui ribadite a fronte della (pur meramente formale) modificazione della norma censurata. i) Il criterio di cui alla lettera a), convergenza tra spesa storica e costi e fabbisogni standard, pone la Regione Sardegna sullo stesso piano degli altri Enti territoriali. Cio' appare doppiamente lesivo dell'autonomia della ricorrente. Anzitutto, e' lo stesso criterio generale del costo standard che risulta inapplicabile alla Regione Sardegna, le cui spese, in ragione dell'insularita', sono caratterizzate da una curva dei costi diversa da quella ordinaria. Non tenendo conto di questo dato il legislatore statale ha violato, all'un tempo, l'art. 3 della Costituzione, pei profili dell'indebita equiparazione fra situazioni diverse e dell'irragionevolezza delle sue scelte, e gli artt. 5, 116, 117 e 119, che garantiscono l'autonomia della Regione Sardegna, con particolare riferimento (quanto all'art. 116) alla sua specialita' e (quanto all'art. 119) alla sua autonomia finanziaria. Violato, altresi', e' lo Statuto di autonomia, con particolare riferimento agli artt. 1 (che costituisce la Sardegna in Regione autonoma), 3, 4 e 5 (che elencano le funzioni regionali, il cui esercizio e' palesemente pregiudicato dall'adozione del criterio ora descritto) e 7 (che riconosce l'autonomia finanziaria della Regione). Specificamente violato, pero', e' il gia' piu' volte ricordato art. 8 dello Statuto. Esso, infatti, e' stato modificato proprio perche' si e' constatata l'inadeguatezza delle entrate regionali rispetto alle spese necessarie per l'assolvimento delle funzioni, con la conseguenza che e' la stessa norma statutaria (che il d.l. n. 98 - ora novellato con la norma censurata - avrebbe dovuto rispettare) a presuppone che la spesa regionale dovesse essere finanziata con un maggiore ammontare delle entrate. Ora, aver imposto alla Regione Sardegna la convergenza sui costi standard senza alcun adattamento alle condizioni peculiari dell'ente, connesse all'insularita', ma anche e soprattutto al regime normativo dettato dallo Statuto, e' violativo dell'art. 8 dello Statuto e irragionevole. ii) Anche il criterio di cui alla lettera b), rispetto del patto di stabilita' interno, e' illegittimo. E' ovvio che la Regione Sardegna non puo' essere sottratta al rispetto del patto di stabilita', ne' essa lo pretende. Nondimeno, e' ben diversa la condizione delle Regioni che posseggono risorse adeguate all'assolvimento delle funzioni istituzionali e quella delle Regioni che, per esplicito riconoscimento statutario, tali risorse non posseggono (sicche' possono essere costrette a ricorrere all'indebitamento). La mancata considerazione della peculiare situazione della Regione Sardegna risulta violativa di tutti i parametri invocati al precedente numero. iii) Il criterio di cui alla lettera d) del comma 2, ossia l'autonomia finanziaria dell'ente, sarebbe, di per se', ragionevole. Nondimeno, nel caso specifico della Sardegna, per le ragioni piu' volte indicate, finisce per essere illogico, atteso che la vicenda dell'art. 8 dello Statuto dimostra come la Regione non avesse (e non abbia, visto che alla novella statutaria non si e' data piena e corretta esecuzione) alcuna possibilita' di esercitare correttamente la propria autonomia finanziaria, a causa della riconosciuta insufficienza delle risorse. Anche qui, dunque, abbiamo violazione degli artt. 3 (pei profili dell'irragionevolezza e della disparita' di trattamento) 5, 116, 117 e 119 della Costituzione (pel profilo della garanzia dell'autonomia della Regione Sardegna, con particolare riferimento alla sua specialita' e alla sua autonomia finanziaria), 1 (pel profilo della costituzione della Sardegna in Regione autonoma), 3, 4 e 5 (pel profilo del riconoscimento delle funzioni regionali), 7 (pel profilo del riconoscimento dell'autonomia finanziaria della Regione) e 8 (pel profilo della mancata considerazione del nuovo regime finanziario della Regione, che avrebbe imposto un trattamento differenziato della ricorrente) dello Statuto di autonomia. iv) Il criterio di cui alla lettera e), ossia l'equilibrio di parte corrente nel bilancio dell'Ente, e' anch'esso irragionevole in quanto non considera che l'equilibrio della spesa corrente della Sardegna puo' essere conseguito solamente attraverso la piena entrata a regime del nuovo sistema di compartecipazione alle entrate erariali disposto dall'art. 8 dello Statuto, che - come detto - lo stesso legislatore statale ha ritenuto essenziale. Anche in questo caso, la mancata considerazione della specificita' della ricorrente determina la violazione dei parametri piu' volte invocati (che qui si danno per interamente richiamati). v) I commi 2-bis e 2-ter dell'art. 20 stabiliscono criteri connessi alla qualita' dei servizi (il comma 2-bis) o al miglioramento dei paradigmi di virtuosita' di cui al comma 2 (il comma 2-ter) che la Regione Sardegna non e' in grado di osservare con le medesime chances di successo delle altre Regioni, a causa, ancora una volta, della conclamata insufficienza delle risorse attribuite. Ne derivano, di bel nuovo, irragionevolezza e disparita' di trattamento (nei confronti delle altre Regioni) e violazione dei gia' invocati parametri costituzionali e statutari che tutelano l'autonomia della Regione. 9.3. - Dall'illegittimita', per le ragioni anzidette, dei criteri di distinzione degli enti territoriali nelle diverse classi di merito, deriva l'illegittimita' della stessa misura premiale per gli enti piu' virtuosi stabilita dal comma 3 dell'art. 20. Ne consegue che il cit. comma 3 viola gli artt. 3 (pei profili dell'irragionevolezza e della disparita' di trattamento) 5, 116, 117 e 119 della Costituzione (pel profilo della garanzia dell'autonomia della Regione Sardegna, con particolare riferimento alla sua specialita' e alla sua autonomia finanziaria), 1 (pel profilo della costituzione della Sardegna in Regione autonoma), 3, 4 e 5 (pel profilo del riconoscimento delle funzioni regionali, pregiudicate dall'assoggettamento ad una competizione unfair), 7 (pel profilo del riconoscimento dell'autonomia finanziaria della Regione) e 8 (pel profilo della mancata considerazione del nuovo regime finanziario della Regione, che avrebbe imposto un trattamento differenziato della ricorrente) dello Statuto di autonomia. 9.4. - Tutto questo dimostra - si confida - che la nuova versione dell'art. 1, comma 9, lettera b), del d.l. n. 138 del 2011, per come conv. in legge n. 148 del 2011, e' essa pure costituzionalmente illegittima, soffrendo dei medesimi vizi che gia' affliggevano la versione precedente e che si sono lamentati con il ric. n. 96 del 2011, e sono stati ora ribaditi in riferimento alla presente impugnazione. 10. - Illegittimita' costituzionale degli artt. 1, comma 9, lettera b), 2, comma 36, 3, comma 4, 4, 5-bis, 14 e 16 del d.l. n. 138 del 2011 come conv. in legge n. 138 del 2011, per violazione degli artt. 3, 117 e 119 della Costituzione, e agli artt. 3, 7 e 8 della legge cost. n. 3 del 1948, recante Statuto speciale per la Sardegna. L'illegittimita' costituzionale degli artt. 1, comma 9, lettera b), 2, comma 36, 3, comma 4, 4, 5-bis, 14 e 16 del d.l. n. 138 del 2011, per come convertiti dalla legge n. 148 del 2011, censurati per le ragioni elencate nei paragrafi precedenti, ridonda anche nella lesione complessiva della sfera di autonomia regionale in ragione del pregiudizio che la Sardegna subisce a causa della mancata considerazione del novellato art. 8 dello Statuto e della specifica situazione economico-finanziaria della Regione Sardegna che ha indotto il legislatore statale ad approvare l'art. 1, comma 834, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, che ha novellato l'art. 8 dello Statuto ampliando le fonti delle entrate della Regione Sardegna. Le disposizioni che concernono le entrate tributarie ed erariali nonche' le spese degli enti territoriali, infatti, non solo non prevedono - illegittimamente - l'entrata a regime del nuovo sistema di entrate regionali della Sardegna, ma addirittura ne pregiudicano gli effetti, penalizzando la Regione anche rispetto alla sua (gia' deteriore) condizione anteriore alla revisione dello Statuto. Si e' gia' ricordato in premessa che la stessa Ragioneria Generale dello Stato, nell'imminenza della riforma dell'art. 8 dello Statuto, ha affermato la necessita' di modificare e comunque aumentare le fonti delle entrate regionali, in modo da evitare l'elusione delle garanzie statutarie dell'autonomia economica della Regione e da consentire «il tempestivo adeguamento delle entrate regionali alle mutevoli necessita' di spesa derivanti dall'espletamento delle funzioni normali della Regione» (cit. Nota 0102482 del 2005 del Ragioniere Generale dello Stato). Con le disposizioni in epigrafe citate del d.l. n. 138 del 2011 si produce, ancora una volta, proprio lo svilimento dell'autonomia di bilancio della Sardegna e il peggioramento del quadro normativo entro cui la Regione e' costretta a muoversi per rispettare gli obblighi di finanza pubblica e per adempiere alle funzioni istituzionali attribuite dallo Statuto. In particolare: l'art. 1, comma 9, lettera b), del d.l. n. 138 del 2011, come convertito in legge n. 148 del 2011, pur introducendo una semplice correzione formale al testo originario, per cio' stesso conferma la soggezione della Regione Sardegna ad un meccanismo di sanzioni e premialita' connesso al patto di stabilita' interno che e' caratterizzato da criteri irragionevoli se applicati ad un Ente, qual e' la Sardegna, che e' in attesa di ottenere le risorse cui ha diritto in forza del proprio Statuto; l'art. 2, comma 36, del d.l. n. 138 del 2011 distoglie dalla finanza regionale rilevantissime risorse, alle quali la Regione avrebbe diritto perche' ricomprese nelle entrate tributarie ed erariali menzionate nell'art. 8 dello Statuto. Tale manovra in danno delle casse regionali deve essere censurata anche, in relazione al principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., in quanto determina un livello delle risorse regionali incoerente con la novella dell'art. 8 dello Statuto, con la conseguenza che la disposizione impugnata risulta censurabile anche in riferimento al principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., per l'intima contraddittorieta' che l'affligge; l'art. 3, comma 4, e l'art. 14 del d.l. n. 138 del 2011 aggiungono ulteriori criteri per la classificazione degli enti territoriali in distinte classi di merito rilevanti per la distribuzione degli oneri necessari al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica. In questo modo, in considerazione del fatto che la Sardegna ancora non beneficia dell'entrata a regime del nuovo sistema di entrate regionali di cui all'art. 8 dello Statuto, l'illegittimo pregiudizio per la Regione gia' introdotto con l'art. 20 del d.l. n. 98 del 2011 e' ancor piu' aggravato. Il danno per l'autonomia e la finanza regionale aumenta ancor piu' anche in ragione del fatto che il criterio di valutazione della finanza territoriale di cui all'art. 3, comma 4, del d.l. n. 138 del 2011 utilizza indici totalmente estranei, come si e' visto, al sistema della finanza pubblica, mentre l'abbattimento dei c.d. «costi della politica» della Regione e' in una parte essenziale sottratto alla disponibilita' della Sardegna, dato che per la riforma dello Statuto si procede nelle modalita' della revisione costituzionale; l'art. 4 del d.l. n. 138 del 2011, nonostante attenga alla materia dei servizi pubblici locali, non lede l'autonomia regionale per i soli profili gia' esaminati al motivo n. 5 del presente ricorso, ma produce anch'esso effetti sull'autonomia finanziaria della Regione. Questo sia perche' il comma 14 impone alle societa' c.d. «in house» affidatarie dirette della gestione di servizi pubblici locali l'assoggettamento al patto di stabilita', sia perche' l'esercizio dei servizi pubblici locali importa senz'altro lo svolgimento di funzioni pubbliche che necessitano di specifiche risorse. Cio' considerato, da una parte l'affidamento, la gestione e il controllo sui servizi pubblici locali e' impedito o comunque reso piu' difficoltoso dal fatto che la Regione Sardegna non ha ancora ottenuto le risorse cui ha diritto in forza dell'art. 8 dello Statuto, dall'altra l'imposizione di specifiche modalita' per l'erogazione dei servizi pubblici determinata dal cit. art. 4 aggrava la condizione economico-finanziaria della Regione. Nel complesso, dunque, risulta violato anche il principio del finanziamento integrale delle funzioni pubbliche (definito non a caso «principio-cardine del nuovo sistema finanziario» in dottrina) di cui all'art. 119 Cost., in quanto la mancata esecuzione dell'art. 8 dello Statuto impedisce che la Regione abbia a disposizione, come dovrebbe essere in ossequio a detto principio, risorse idonee a «finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite» (come stabilito dall'art. 119, comma 3, Cost.), tra cui vi e' l'esercizio dei servizi pubblici locali, e che l'Ente possa adempiere alle proprie funzioni senza essere condizionato da vincoli eterodeterminati alla capacita' di spesa; l'art. 5-bis del d.l. n. 138 del 2011, come si e' gia' detto, risulta illegittimo nella misura in cui impone anche alle Regioni inserite nel «Piano per il Sud» di finanziare, per quanto di competenza, gli investimenti nelle Regioni inserite nell'«Obiettivo Convergenza». Anche in questo caso i profili di irragionevolezza della disposizione, e dunque di incostituzionalita', risultano aggravati dalla circostanza per cui la Regione non ha ancora ottenuto le risorse economiche cui ha diritto in forza dell'art. 8 dello Statuto. Non basta. L'imposizione di oneri finanziari destinati a finanziare progetti di coesione per altre Regioni non solo e' particolarmente odiosa per un Ente che non ha ancora ottenuto quanto di spettanza, ma e' anche idonea a vanificare ex ante l'entrata a regime del nuovo sistema di compartecipazione della Sardegna alle entrate erariali, in quanto le maggiori economie richieste alla Regione necessariamente si traducono nell'annullamento, almeno parziale, del beneficio che l'art. 8 dello Statuto avrebbe dovuto produrre. Al contrario, logica avrebbe voluto che, al fine di conciliare gli interventi di coesione territoriale e la doverosa osservanza dell'art. 8 dello Statuto sardo con la tenuta dei saldi della finanza pubblica nazionale, il legislatore statale avesse distribuito su stesso e sulle altre Regioni, in maniera equa, gli oneri conseguenti; anche l'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011, infine, non solo viola la competenza regionale di cui all'art. 3, comma 1, lettera b) dello Statuto, per le ragioni gia' dette al punto n. 8 del presente ricorso, ma, considerata la particolare situazione della Regione Sardegna, e' idoneo ad incidere sulla autonomia complessiva e in particolare economico-finanziaria della Regione, in quanto incide, seppure indirettamente e intervenendo sull'organizzazione degli enti locali, sull'adempimento delle funzioni pubbliche delegate dalla Regione agli Enti locali. Per tutte le ragioni anzidette, le menzionate disposizioni del d.l. n. 138 del 2011, anche per quest'ulteriore profilo legato in punto di fatto e di diritto alla novella dell'art. 8 dello Statuto e alla mancata esecuzione dello stesso da parte dello Stato, violano l'art. 3 della Costituzione pel profilo sia del principio di ragionevolezza sia del principio di uguaglianza, e ledono l'autonomia della Regione Sardegna sia per quanto riguarda le competenze legislative (con violazione degli artt. 117 Cost. e 3 e 4 dello Statuto), sia per quanto riguarda le competenze amministrative (con violazione ancora dell'art. 117, nonche' dell'art. 119 Cost.), sia per quanto riguarda l'autonomia economico-finanziaria (con violazione ancora dell'art. 119 Cost., ma anche degli artt. 7 e 8 dello Statuto).
P.Q.M. Chiede che, in accoglimento del presente ricorso, codesta Ecc.ma Corte costituzionale voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale degli artt. 1, comma 9, lettera b), 2, comma 36, 3, comma 4, 4, 5-bis, 11, 14 e 16 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 13 agosto 2011, n. 188, convertito, con modificazioni, in legge 14 settembre 2011, n. 148, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 16 settembre 2011, n. 216. Si produrranno i seguenti documenti: Copia conforme all'originale della Delibera - di ricorso - della Giunta della Regione Autonoma della Sardegna n. 45/1 del 10 novembre 2011, con allegato estratto del relativo processo verbale; Nota del Ragioniere Generale dello Stato del 3 agosto 2005, prot. 0102482; Nota del Ragioniere Generale dello Stato del 2 settembre 2005, prot. 0112371; Comunicato Stampa della Presidenza del Consiglio dei ministri n. 116 del 26 novembre 2010, con allegata Nota «Piano Nazionale per il Sud - le priorita' per la strategia di ripresa-sviluppo del mezzogiorno»; Relazione della Commissione Europea «European Cohesion Policy in Italy - Cohesion Policy 2007-13»; Disegno di legge costituzionale d'iniziativa dei senatori Sanna e altri, recante «Modifica degli articoli 15 e 16 dello Statuto speciale per la Sardegna [...]», A.S. 2923; Disegno di legge costituzionale d'iniziativa dei senatori Cabras e altri, recante «Modifiche agli statuti delle regioni a statuto speciale in materia di riduzione del numero dei componenti dei consigli regionali», A.S. 2976. Cagliari-Roma, 14 novembre 2011 Avv. Ledda - Avv. Prof. Luciani