N. 36 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 novembre 2011

Ordinanza del 3 novembre 2011  emessa  dal  Tribunale  di  Lecce  nel
procedimento penale a carico di Gallo Vincenzo ed altri. 
 
Processo penale - Procedimento a carico di piu' persone -  Competenza
  per territorio determinata dalla connessione - Caso di  connessione
  teleologica tra reati  -  Competenza,  per  tutti  i  reati  e  nei
  confronti di tutti gli imputati, del giudice del luogo  in  cui  e'
  stato commesso  il  reato  piu'  grave,  anche  se  di  questo  non
  rispondano tutti gli imputati del reato meno grave - Disparita'  di
  trattamento tra imputati - Violazione  del  principio  del  giudice
  naturale precostituito per legge. 
- Codice di procedura penale, art.  16,  in  relazione  all'art.  12,
  comma 1, lett. c), dello stesso codice. 
- Costituzione, artt. 3 e 25. 
(GU n.12 del 21-3-2012 )
 
                            IL TRIBUNALE 
 
    All'udienza  del  giorno  3  novembre  2011,  nel  processo   nei
confronti di Guagnano Pietro piu' altri,  decidendo  in  ordine  alle
questioni preliminari sollevate dalla difesa degli imputati,  sentite
le parti, e sciogliendo la riserva di cui al verbale dell'udienza del
20 ottobre 2011, il Tribunale ha pronunziato la seguente ordinanza. 
    Le  difese  degli  imputati  hanno  sollevato  diverse  questioni
preliminari relativamente in particolare: 
        a) alla necessita' di procedere all'esclusione  dal  processo
delle parti civili  Assoconsum  Onlus,  Amministrazione  Comunale  di
Lecce, e Selmabipiemme Leasing spa, perche' prive  di  legittimazione
sostanziale alla costituzione di parte civile nel presente processo; 
        b)  alla  nullita'  del  decreto  che  dispone  il  giudizio,
lamentata da Selma Bipiemme nella sua veste di ente  responsabile  ai
sensi della legge  n.  231/2001,  per  nullita'  dell'avviso  di  cui
all'art. 415-bis c.p.p. e di tutti gli atti conseguenti; 
        c)  alla  nullita'  del  decreto  che  dispone  il  giudizio,
lamentata  dalle  difese  degli  imputati  Guagnano,   Solombrino   e
Naccarelli, per  violazione  del  disposto  dell'art.  429  lett.  c)
c.p.p.; 
        d)  al  contenuto  del   fascicolo   per   il   dibattimento,
contestando la difesa la legittimita'  della  presenza  dei  numerosi
documenti ivi allegati, peraltro senza indicazione ne'  di  dettaglio
ne' di genere; 
        e) alla incompetenza territoriale del Tribunale di Lecce  nei
confronti degli imputati Gallo, Kobau e Mungai (gli unici, tra coloro
che sono imputati solo del reato di truffa di  cui  al  capo  C,  che
hanno sollevato la questione di incompetenza territoriale), in quanto
imputati unicamente del reato  di  truffa  di  cui  al  capo  C),  da
ritenersi consumato in Milano, con asserita conseguente  attribuzione
della competenza territoriale  al  Tribunale  avente  sede  in  detta
citta'; in subordine, questione di incostituzionalita'  dell'art.  16
c.p.p., per violazione del principio del giudice naturale ex art.  25
Cost.,  laddove  la  norma  processuale  debba  essere  intesa   come
applicabile anche nei confronti di chi non  sia  imputato  del  reato
esercitante vis adtractiva. 
    Va rilevato che, non essendo  in  discussione  la  competenza  di
questo tribunale  in  ordine  all'intera  materia  del  processo,  la
questione relativa alla eventuale incompetenza  territoriale  non  ha
carattere  di  pregiudizialita'   rispetto   alle   altre   questioni
preliminari e non si pone pertanto quale antecedente logico  rispetto
alle altre; queste, peraltro, essendo  tutte  questioni  preliminari,
sono soggette al principio della simultanea trattazione,  atteso  che
l'art. 491 c.p.p. impone che vengano sollevate e discusse subito dopo
il compimento dell'accertamento in  ordine  alla  costituzione  delle
parti; pertanto, verificata la rituale citazione degli  imputati,  la
presenza dei difensori e delle parti  civili,  dette  questioni  sono
state sollecitate e discusse senza ordine di pregiudizialita'. 
    Affrontando pertanto dette  questioni  nell'ordine  in  cui  sono
state sollevate, il  Tribunale  ritiene  di  dover  osservare  quanto
segue. 
A) In ordine alla esclusione delle parti civili. 
    Preliminarmente, il Tribunale Ritiene di dover premettere  alcune
riflessioni di carattere generale, il cui richiamo appare utile ad un
migliore  inquadramento  della  fondatezza  o  meno  delle  questioni
sollevate e che di seguito si andra' ad esaminare. 
    Come noto, l'art. 185 comma 2 c.p. stabilisce che «ogni reato che
abbia cagionato un danno, patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al
risarcimento il colpevole e le  persone  che,  a  norma  delle  leggi
civili, debbono rispondere per il fatto di lui»;  l'art.  74  c.p.p.,
conseguentemente, attribuisce la legittimazione alla costituzione  di
parte civile per il risarcimento del danno  nel  processo  penale  al
«soggetto cui il reato ha arrecato danno nei confronti  dell'imputato
e del responsabile civile»; l'art. 76 comma 1 lett. d) c.p.p. prevede
poi  come  necessaria   formalita',   da   osservarsi   a   pena   di
inammissibilita' della  costituzione  di  parte  civile,  che  questa
avvenga mediante deposito di un atto che contenga, tra le altre cose,
«l'esposizione delle ragioni che giustificano la domanda», mentre dal
tenore dell'art. 429 lett. c) c.p.p. e dell'art. 521 comma  2  c.p.p.
si evince peraltro che il reato  oggetto  della  cognizione  e  della
pronunzia del giudice nel processo penale non puo' che essere  quello
puntualmente  descritto  nell'imputazione,  come   desumibile   dalla
circostanza  che  le  suddette  norme  prescrivono   la   necessita',
rispettivamente, di una descrizione chiara e precisa  del  fatto  nel
capo di imputazione, e della restituzione degli atti al p.m.  laddove
il fatto emerso dal processo appaia differente da quello  oggetto  di
contestazione. 
    Dalla lettura combinata di tali disposizioni, si  evince  quindi,
ricapitolando, che  la  legittimazione  alla  costituzione  di  parte
civile spetta a chi lamenti un danno -  e  cioe'  la  lesione  di  un
diritto proprio - subito  quale  conseguenza  dello  specifico  fatto
reato per come oggetto  di  contestazione  nel  processo;  e  che  la
ricorrenza  di  tali  requisiti  possa   essere   indagata   in   via
preliminare, ai fini delle eventuali valutazioni sulla ammissibilita'
della costituzione di p.c., solo  attraverso  l'esame  delle  ragioni
esposte nell'atto di costituzione, non  essendo  infatti  concepibile
che il giudice operi diversamente alcun preliminare  sindacato  sulla
fondatezza  della  domanda,  che  costituisce  invece  l'oggetto  del
giudizio di merito. La ricorrenza delle condizioni di  legittimazione
alla costituzione di parte civile va quindi compiuta alla stregua dei
fatti indicati  nell'atto  di  costituzione,  che  non  a  caso,  per
espressa previsione di  legge,  deve  contenere  l'indicazione  delle
ragioni che giustificano la domanda che si intende far  valere  (cfr.
art. 78 comma 1 lett. d) c.p.p.). Il giudice non deve cioe'  valutare
la fondatezza della pretesa, che e' questione  di  merito  risolubile
solo in esito all'esaurimento dell'istruzione, una volta acquisite  e
valutate le prove offerte dalle parti, ma deve piuttosto valutare se,
sulla base di quanto  rappresentato  dalla  parte  nel  suo  atto  di
costituzione, e quindi in via del tutto astratta, in capo ad essa sia
configurabile la titolarita' di un diritto leso dalla condotta reato.
Per quanto astratta, tale valutazione non puo' tuttavia fermarsi alla
verifica circa la sussistenza di una mera enunciazione  assertiva  di
un danno ascrivibile  all'autore  del  fatto-reato,  contenuta  nella
pretesa, ma deve verificarne la teorica fondatezza alla  stregua  dei
fatti costitutivi in essa indicati e valutati alla luce  delle  norme
di diritto che delimitano il  caso  in  cui  ricorra  una  situazione
soggettiva tutelata come diritto, e  quando  un  danno  possa  essere
inteso  come  ingiusto,   e   pertanto   fonte   di   responsabilita'
risarcitoria ai sensi dell'art. 2043 c.c. 
    Tanto premesso, puo' quindi osservarsi che: 
        A.1) le difese  sostengono  in  primo  luogo  la  carenza  di
legittimazione sostanziale di Assoconsum Onlus, trattandosi  di  ente
non godente di riconoscimento ministeriale prima dell'epoca dei fatti
per cui e' processo, e che comunque nessun danno avrebbe ricevuto dai
reati per cui e' processo, stante anche l'onnicomprensivita' dei fini
perseguiti, inidonei a caratterizzare l'ente in oggetto rispetto agli
interessi tutelati ed ad attribuirgli una posizione, rispetto a detti
interessi, differenziata  rispetto  a  quella  propria  di  qualsiasi
consociato  rispetto  ad  un  interesse  diffuso.  Assoconsum   Onlus
obbietta, per contro, di non aver  bisogno  di  alcun  riconoscimento
ministeriale, atteso  che  agisce  non  gia'  ex  art.  91  c.p.p.  a
soddisfazione del diritto di una parte offesa altra  da  se',  ma  in
tutela risarcitoria di un proprio diretto interesse leso dal reato. 
    In merito a tale questione, il tribunale osserva che: 
        A.l.a) come previsto espressamente  dall'art.  74  c.p.p.,  e
come gia' si e' accennato, nel processo  penale  la  costituzione  di
parte civile  e'  ammessa  al  solo  fine  di  ottenere  la  condanna
dell'imputato al risarcimento del danno di cui all'art.  185  c.p.  o
alle restituzioni; il danno di cui  all'art.  185  c.p.,  pur  esteso
dalla norma al danno non patrimoniale,  e'  comunque  sempre  e  solo
quello che, conseguente al reato, attiene alla lesione di un  diritto
soggettivo, salve le limitate ipotesi (che in  questo  caso  comunque
non rilevano) in cui la giurisprudenza  riconosce  la  risarcibilita'
della lesione di interessi legittimi, nel  caso  in  cui  gli  stessi
avrebbero  sicuramente  dovuto  svilupparsi  in  diritti   soggettivi
perfetti, e detta evoluzione sia stata impedita  dal  fatto  illecito
altrui. E' pertanto  certo  che  ex  art.  74  segg.  c.p.p.  non  e'
possibile agire in  giudizio  ne'  per  realizzare  forme  di  tutela
diverse da quelle risarcitorie o restitutorie, ne'  per  ottenere  il
risarcimento di interessi diffusi o di  mero  fatto;  e  pertanto  la
possibilita' che enti esponenziali ed  associazioni  private  possano
costituirsi parte civile, nonche' le norme di cui  agli  artt.  91  e
segg., che prevedono l'attribuzione - agli enti e delle  associazioni
cui sono state riconosciute con legge, in epoca antecedente al reato,
finalita' di tutela degli interessi offesi dal reato - del diritto di
esercitare i diritti e le facolta' attribuiti  alla  persona  offesa,
devono necessariamente essere interpretati all'interno della suddetta
cornice normativa; e' quindi possibile il verificarsi di due casi che
legittimino l'intervento di tali associazioni, e cioe' allorche':  a)
esse agiscano per la tutela di un diritto  soggettivo  proprio,  leso
dal reato; b) oppure, allorche', col consenso della p.o.  ritualmente
espresso (ex art. 92 c.p.p.), ne esercitino i diritti e  le  facolta'
previste  dalla  legge,  tra  le  quali  e'  dubitatile  possa  farsi
rientrare il diritto di costituirsi parte civile in  vece  di  quella
(si noti che l'art.  93  c.p.p.  disciplina  le  forme  dell'atto  di
intervento, e mai menziona un possibile atto di costituzione di parte
civile); 
        A.1.b) escluso, in base alla sessa prospettazione operata  da
Assoconsum Onlus, che essa operi ai sensi  dell'art.  91  c.p.p.,  la
legittimazione della suddetta parte  civile  va  pertanto  verificata
alla stregua di quanto esposto nell'atto di costituzione, e vagliando
la corrispondenza delle ragioni ivi rappresentate a quanto necessario
ad individuare la titolarita'  di  un  diritto  proprio  della  p.c.,
tenendo conto della corrente giurisprudenza, che riconosce un diritto
soggettivo di natura  morale  alle  associazioni  costituite  per  la
tutela di interessi diffusi solo subordinatamente alla ricorrenza  di
condizioni consistenti:  a)  nella  anteriorita'  della  costituzione
rispetto al fatto reato lesivo, e b) nella concretezza  del  rapporto
ricorrente tra associazione  e  situazione  lesiva,  avendo  riguardo
all'oggetto   statutario   dell'associazione,   alla   natura   della
situazione lesiva ed alla preesistenza di legami concreti e specifici
tra l'associazione e la situazione oggetto di lesione. 
    Si richiamano in proposito: 
        Sez. 3, Sentenza n. 38290 del  3  ottobre  2007  «Le  persone
giuridiche e gli enti di fatto sono legittimati a  costituirsi  parte
civile non soltanto quando il danno  riguardi  un  bene  su  cui  gli
stessi vantino un diritto patrimoniale, ma piu' in generale quando il
danno coincida con la lesione di un diritto soggettivo, come  avviene
nel caso in cui offeso sia l'interesse perseguito da  un'associazione
in riferimento ad una situazione storicamente circostanziata, assunto
nello statuto a ragione stessa della propria esistenza e azione,  con
l'effetto che ogni attentato  a  tale  interesse  si  configura  come
lesione della personalita' o identita' del  sodalizio».  (Fattispecie
nella quale alla Federazione Pirateria Audiovisiva, avente come scopo
primario ed autonomo la prevenzione e repressione di ogni  violazione
delle  norme  poste  a  tutela  del  diritto   d'autore,   e'   stata
riconosciuta  la  legittimazione  a  costituirsi  parte  civile,   in
procedimento per il reato di cui all'art. 171-ter legge  n.  633  del
1941, sia per la tutela del diritto collettivo degli autori  sia  per
la protezione  del  diritto  alla  personalita'  in  conseguenza  del
discredito derivante alla propria  sfera  funzionale  dalla  condotta
illecita). 
    Nonche': 
        Sez.  3,  Sentenza  n.  46746  del  21   ottobre   2004   «Le
associazioni ecologiste sono legittimate alla costituzione  di  parte
civile nei procedimenti per reati che offendono l'ambiente, anche  se
non riconosciute ai sensi dell'art. 13 della legge 8 luglio 1986,  n.
349, a condizione che abbiano direttamente subito un danno di  natura
patrimoniale (come puo' avvenire per i costi di attivita' finalizzate
a prevenire il pregiudizio ambientale) o non patrimoniale  (che  puo'
connettersi al  discredito  derivante  dalla  frustrazione  dei  fini
istituzionali), e non si atteggino semplicemente a soggetti portatori
di un interesse diffuso». (In motivazione la Corte ha rilevato  come,
affinche' una associazione possa ritenersi  titolare  di  un  proprio
diritto  soggettivo,  sia  necessario  che  la  tutela  dell'ambiente
costituisca il suo essenziale fine statutario, che sia  radicata  sul
territorio anche mediante sedi  locali,  che  rappresenti  un  gruppo
significativo di consociati e che abbia dato prova della  continuita'
e della rilevanza del suo contributo alla difesa dell'ambiente). 
    Le massime che precedono appaiono  espressione  di  un  indirizzo
maggioritario e che, a parere di questo  tribunale,  deve  senz'altro
essere seguito, atteso che, altrimenti, si amplierebbe a dismisura il
novero dei soggetti legittimati ad instare per il risarcimento di  un
danno, a fronte della  mera  lesione  di  un  interesse  diffuso;  ed
addirittura si stimolerebbe per  tal  via  la  creazione  di  persone
giuridiche con apparente finalita' di tutela della legalita', ma  con
effettivo fine di lucrare, attraverso la costituzione di parte civile
in ogni processo penale, somme a titolo di risarcimento di un preteso
danno a fronte, invece, di una mera lesione di un interesse diffuso o
al piu' di fatto. 
    Alla stregua delle  osservazioni  che  precedono,  appare  quindi
conclusivamente da affermarsi che: 
        a)  le  associazioni   che   intervengano   per   la   tutela
dell'interesse diffuso  che  costituisce  il  loro  oggetto  sociale,
possono in primo luogo intervenire nelle forme e  condizioni  di  cui
agli artt. 91 segg., e quindi col consenso della  p.o.  eventualmente
identificabile; 
        b) possono poi sempre intervenire - anche costituendosi parte
civile  -  per  la  tutela  di  un   diritto   patrimoniale   proprio
eventualmente leso dal reato; 
        c) possono inoltre intervenire costituendosi parte civile per
la tutela di diritti propri anche di natura non patrimoniale ai quali
il reato abbia recato offesa; deve  pero'  trattarsi  di  un  vero  e
proprio diritto proprio, che potra' essere  e  normalmente  sara'  di
natura morale, o comunque di natura  non  economica,  come  nel  caso
della  lesione  dell'immagine  dell'associazione,  che  e'  integrato
allorche'  la  grave  violazione  dell'interesse   perseguito   possa
arrecare discredito all'associazione, ad es. gettando ombra sulla sua
capacita' di operare fattivamente  ed  efficacemente  per  la  tutela
degli interessi statutari, o sulla effettiva volonta'  di  adoperarsi
per  evitare  la  consumazione  di  simili  reati:   danno   peraltro
ravvisabile solo laddove  l'associazione  sia  stata  particolarmente
attiva, nel territorio interessato, proprio nella lotta e prevenzione
del tipo di fatti lesivi oggetto del processo  penale;  ancora,  puo'
ammettersi  la  costituzione  di  parte  civile  delle  associazioni,
preesistenti alla commissione del reato, quando quest'ultimo realizzi
la lesione dello specifico e concreto interesse costituente l'oggetto
sociale, storicamente identificabile con riferimento ad una specifica
situazione concreta verificatasi e posta a  fondamento  della  ragion
d'essere della stessa  associazione  (come  ad  es.  e'  il  caso  di
associazioni costituitesi per la tutela di uno specifico interesse  -
ad es. ambientale, paesaggistico, monumentale ecc. - proprio  di  uno
specifico e delimitato territorio). 
    Diverse interpretazioni frustrerebbero la stessa ragion  d'essere
dell'introduzione dell'art. 91  c.p.p.,  che  ha  chiaramente  inteso
escludere una generalizzata legittimazione  delle  associazioni  alla
costituzione di parte civile, cosi' disciplinando una materia rimessa
a  confuse  e   non   sempre   coerenti   scelte   giurisprudenziali,
sottoponendo  a  precise  condizioni  la  possibilita'  di  un   loro
intervento e quindi senz'altro limitando le ipotesi di ammissibilita'
dell'agire delle associazioni nel processo penale; 
        A.1.c) Nel caso in  esame,  appare  pacifico  che  Assoconsum
Onlus si sia costituita parte civile in proprio, asserendo la lesione
di una situazione propria in relazione ai propri fini statutari e non
gia' quale mero «sostituto processuale ad adiuvandum»  delle  ragioni
della  p.o.  (ravvisabile  quest'ultima   nel   Comune   di   Lecce);
ovviamente, a prescindere dall'esame  del  merito  circa  l'effettiva
verificazione del danno prospettato (che e' questione di merito ed e'
riservata all'esito del  processo),  tale  enunciazione  va  valutata
anche in via preliminare,  con  riferimento  in  primis  alla  stessa
titolarita' della situazione soggettiva  di  cui  si  rappresenta  il
danno  in  base  a  quanto  rappresentato  dalla  stessa  p.c.,  onde
verificare se Assoconsum Onlus lamenti  effettivamente  non  gia'  la
lesione di un mero  interesse  diffuso  coincidente  con  il  proprio
oggetto sociale, ma in concreto l'offesa ad un diritto proprio,  come
ad es. quello alla immagine o morale derivante dalla commissione  dei
delitti per cui e'  processo,  ed  abbia  pertanto  legittimazione  a
costituirsi. Orbene, Assoconsum rappresenta che, in base  al  proprio
atto di costituzione, tra i propri fini primeggiano  quelli  relativi
alla tutela dei consumatori nei confronti  dei  soggetti  pubblici  e
privati produttori ed erogatori di servizi  al  fine  di  tutelare  i
consumatori in materia di servizi pubblici e  di  pubblico  interesse
(art. 4 dello Statuto, allegato all'atto  di  costituzione  di  parte
civile).  Va  tuttavia  rilevato   che   nel   concreto   Assoconsum,
nell'esposizione   delle   ragioni    giustificatrici    della    sua
costituzione,  lamenta  la  lesione  dell'interesse   alla   corretta
erogazione del servizio giustizia che si svolgeva nelle palazzine  di
via  Brenta,  nonche'  l'interesse  ad  una  gestione  di  appalti  e
contratti pubblici caratterizzata da correttezza che eviti lo  spreco
di risorse pubbliche,  la  cui  provvista  ricade  sulle  tasche  dei
cittadini: appare quindi evidente al tribunale  come  tanto  valga  a
manifestare come Assoconsum Onlus stia in realta' agendo a tutela  di
un interesse diffuso, proprio di tutti i cittadini, e  non  gia'  dei
consumatori, e peraltro  estraneo  al  proprio  oggetto  sociale.  Va
infatti in primo luogo premesso che oggetto del presente processo non
e' la correttezza e liceita', e tanto  meno  l'opportunita'  o  meno,
della scelta dei  palazzi  di  via  Brenta  come  sede  degli  uffici
giudiziari civili: questioni queste che potrebbero assumere rilevanza
nell'evidenziare un interesse alla corretta erogazione dei servizi di
giustizia nei confronti dei cittadini  mediante  l'apprestamento  di'
strutture  idonee,  e   varrebbero   ad   evidenziare   una   materia
riconducibile all'oggetto statutario  dell'ente  ed  al  suo  proprio
interesse morale. Invero, oggetto del processo e' la falsita' o  meno
di determinate statuizioni e stime che hanno funto da  premessa  alla
decisione - che si assume truffaldina perche'  foriera  di  danno  al
Comune di Lecce con ingiusto  profitto  altrui  -  di  trasformare  i
contratti di  locazione  in  contratti  di  leasing  con  obbligo  di
acquisto alla scadenza, in relazione a palazzine che gia' erano state
scelte  come  sede  degli   uffici   giudiziari,   per   effetto   di
determinazioni la  cui  legittimita'  e  liceita'  e'  estranea  alle
imputazioni. 
    Inoltre, e' bene notare,  pur  risultando  costituita  nel  2002,
occorre  rilevare  come  non  risulti  alcun  tipo  di  attivita'  di
Assoconsum Onlus  nel  territorio  leccese  prima  del  2005;  e  che
comunque tali  attivita'  siano  state  assolutamente  estranee  alla
tutela degli  interessi  diffusi  coinvolti  dal  presente  processo:
dall'esame della documentazione  offerta  dalla  p.c.,  invero,  puo'
rilevarsi che negli anni 2005-2006 - e cioe' negli anni che precedono
o coincidono con la perfezione dei delitti  per  cui  e'  processo  -
l'Assoconsum, in  questa  provincia,  abbia  solo  tenuto  conferenze
aventi ad oggetto temi neanche tangenzialmente riconducibili a quelli
afferenti i fatti oggetto di causa,  avendo  ad  es.  trattato  della
portabilita' dei mutui, o del costo  degli  sms,  e  nel  2007  abbia
tenuto conferenze sull'utilizzo  delle  lampadine  a  basso  consumo,
sulle acque e sistemi di  depurazione  delle  stesse,  sulle  tariffe
Enel. 
    In realta', Assoconsum Onlus non appare quindi intervenire per il
perseguimento dei propri fini istituzionali di tutela  dell'interesse
dei consumatori (il che di per  se'  nemmeno  sarebbe  sufficiente  a
rappresentare la tutela giudiziaria di un  diritto  proprio),  quanto
piuttosto piu' propriamente per la tutela dei  cittadini  interessati
alla legalita' dei comportamenti delle PP.AA. e dei  loro  organi,  e
quindi non gia' per conseguire il risarcimento di un danno patito  in
proprio; in parole povere, quella  esercitata  da  Assoconsum  appare
essere molto piu' vicina ad  una  azione  proposta  ex  art.  140-bis
codice del consumo, che tuttavia e' estranea al processo  penale.  Ed
invero, l'art. 140-bis del codice del consumo non disciplina forme di
azione a tutela  di  un  interesse  proprio  delle  associazioni  dei
consumatori;  detta  norma  invece  prevede  che  dette  associazioni
possano agire in giudizio nell'interesse  dei  suddetti  consumatori,
per  ottenere  il  riconoscimento  del  diritto   degli   stessi   al
risarcimento del danno,  allorche'  gli  stessi  siano  conseguiti  a
comportamenti scorretti  lesivi  dell'interesse  di  una  consistente
pluralita' di consumatori; si tratta cioe'  di  forme  di  intervento
previste dalla legge al fine di agevolare la tutela risarcitoria  dei
consumatori,  mediante  un'azione  giudiziaria  collettiva,  atta  ad
evidenziare piu' agevolmente la prova dell'illecito  ed  a  stimolare
l'azione giudiziaria dei singoli,  cosi'  al  tempo  stesso  operando
remore a comportamenti scorretti delle imprese; si tratta inoltre  di
un'azione che,  per  le  forme  che  la  legge  assegna  al  relativo
procedimento, non si presta ad essere esercitata nel giudizio  penale
(si pensi ad es. alla previsione ex art. 140-bis comma  3  citato  di
un'udienza di delibazione  dell'ammissibilita',  da  dichiararsi  con
ordinanza reclamabile davanti alla Corte di Appello, e con  la  quale
il   tribunale   dovrebbe   disporsi   darsi   adeguata   pubblicita'
all'iniziativa collettiva). 
    Difettano  pertanto  tutti   gli   elementi   individuati   dalla
giurisprudenza e dal testo delle norme, atti a  qualificare  in  capo
alla  costituita  p.c.  la  rappresentazione  della  lesione  di  una
situazione qualificabile come di diritto soggettivo proprio. 
    Va conseguentemente dichiara l'esclusione di detta p.c. 
        A.2) Si contesta poi la legittimazione del Comune  di  Lecce,
poiche'  lo  stesso  risulta  aver  operato   una   transazione   con
Selmabipiemme, in forza della quale: 
          ha  rinunziato  alla  costituzione  di  parte  civile   nei
confronti degli imputati Gallo, Mungai, Baldassarre, Kobau; 
          e' stato risolto il contratto di leasing con  l'obbligo  di
acquisto della proprieta' delle palazzine di via Brenta; 
          l'utilizzo di dette palazzine da  parte  del  Comune  quale
sedi di uffici giudiziari e'  stato  regolamentato  in  forza  di  un
contratto di locazione alle previgenti e meno onerose condizioni; 
          le  somme  gia'  versate  dal  Comune  in  esecuzione   del
contratto di leasing, ed eccedenti l'importo dei canoni di  locazione
sinora maturati, sono state imputate a pagamento dei futuri canoni di
locazione, 
sicche', si sostiene, non vi sarebbe piu' alcun danno da risarcire. 
    Il tribunale ritiene di dover per  contro  aderire  alle  opposte
argomentazioni svolte  dalla  p.c.  Comune  di  Lecce,  la  quale  ha
condivisibilmente osservato non solo che comunque  residua  il  danno
morale, ma anche quello economico  conseguente  alla  subita  perdita
della fruttuosita' delle somme gia'  erogate  in  eccedenza,  e  solo
attualmente portate a scomputo di canoni futuri:  somme  delle  quali
invece, se non vi fosse stata la ipotizzata truffa, il Comune avrebbe
sino ad oggi conservato  la  disponibilita'  e  realizzato  i  frutti
legali. Inoltre, occorre sottolineare che, come peraltro emerge anche
da quanto gia' in atti, e' ipotizzabile  che  il  Comune  possa  aver
subito un'ulteriore danno, atteso che il  Ministero  della  giustizia
rimborsa ai comuni solo i costi  sostenuti  per  la  locazione  degli
immobili ad uso giudiziario, e non  gia'  quelle  sborsate  in  conto
capitale, per l'acquisto degli immobili stessi, pur se in leasing: di
talche', in relazione alle somme gia' sborsate a titolo di  pagamento
delle rate di detto leasing, pur se attualmente imputate tra le parti
a pagamento di futuri canoni,  e'  verosimile  che  il  Comune  possa
incontrare difficolta' ad ottenerne il rimborso dal Ministero,  cosi'
sopportando  un  costo,  e   correlativo   danno,   suscettibile   di
risarcimento. 
        A.3) Si contesta inoltre la possibilita' per  Selma  Bipiemme
di costituirsi parte civile in relazione ad una  imputazione  che  la
vede  raggiunta  da  un'ipotesi  di   responsabilita'   da   illecito
amministrativo dipendente da fatto-reato di suoi  rappresentanti,  il
che  implica,  in  base  all'art.  5  del  d.l.vo  n.  231/2001,  che
l'illecito sia stato commesso nel suo interesse o a suo vantaggio. La
questione appare infondata, laddove si consideri  che  il  d.l.vo  n.
231/2001 disciplina la responsabilita' (come si e' detto,  per  fatto
costituente  una  culpa  in  eligendo  o  vigilando)  dell'ente   nei
confronti dell'ordinamento per fatto dei suoi dipendenti, quand'anche
limitatamente a soggetti che ne hanno la rappresentanza o si  trovino
comunque in un qualificato rapporto organico con la stessa,  di  modo
da rendere le loro azioni  imputabili  direttamente  all'Ente;  cio',
tuttavia, non toglie che l'Ente  sia  soggetto  distinto  da  chi  lo
amministra o rappresenta, e che in base ai  principi  generali  possa
pertanto vantare diritti, anche di natura risarcitoria, nei confronti
di costoro, come ad es. previsto in via  generale  dagli  artt.  2392
comma 2 e 2393 c.c.,  quand'anche  si  tratti  di  illeciti  commessi
nell'interesse stesso dell'Ente, e che  da  detti  illeciti  tuttavia
potrebbe anche  ricavarne  danno  (si  pensi  ad  es.,  alle  perdite
economiche  conseguenti  alla  confisca  del  profitto  del  reato  o
all'inattivita' conseguente  all'eventuale  irrogazione  di  sanzioni
interdittive); responsabilita' che, ex art.  2055  c.c.,  si  estende
ovviamente ai concorrenti con  gli  amministratori  e  rappresentanti
legali, direttori, sindaci ecc., di  talche'  le  riflessioni  appena
svolte sono tutt'altro che superflue anche se  Selmabipiemme  non  e'
costituita parte civile nei confronti dei propri dipendenti, ma  solo
nei confronti dei loro concorrenti «leccesi». 
    Poiche' l'Ente non puo' essere soggetto a responsabilita' penale,
ma semplicemente risponde in via amministrativa per il fatto illecito
del suo organo, nulla vieta pertanto che possa nello stesso  processo
di cui e' parte passiva far valere una pretesa  risarcitoria  per  il
fatto commesso  dal  soggetto  che  ne  aveva  la  rappresentanza  in
concorso con altri, costituendosi p.c. anche solo  nei  confronti  di
questi ultimi, per il danno arrecatole col reato ascrittogli. 
        A.4) Si contesta infine, da parte di Selma  Bipiemme  Leasing
Spa, la possibilita' di  essere  essa  stessa,  nella  sua  veste  di
responsabile amministrativo ex d.l.vo n. 231/2001 per il fatto  reato
dei suoi organi, soggetto passivo di una costituzione di parte civile
da parte del Comune (non si considerera' ulteriormente  la  posizione
di Assoconsum Onlus perche' estromessa dal processo), in quanto,  pur
prevedendo gli artt. 34 e 35 d.l.vo  n.  231/2001  la  applicabilita'
delle norme del c.p.p. non  incompatibili  con  quelle  dello  stesso
d.l.vo, comunque dovrebbe tenersi nel  debito  conto  che  l'art.  54
prevede il sequestro conservativo solo a garanzia del pagamento delle
sanzioni pecuniarie e delle spese processuali, mentre gli artt. 59  e
61, che disciplinano rispettivamente  la  citazione  per  la  udienza
preliminare e per il dibattimento,  non  prevedono  la  notifica  del
decreto  alla  p.o.,  cosi'  come  l'art.  69  non  prevede,  tra  le
disposizioni della sentenza di  condanna,  l'eventuale  pronunzia  di
condanna al risarcimento dei danni. La questione appare fondata,  non
solo per le ragioni esposte dalla difesa, ma anche per la ragione che
la legge n. 231/2001 disciplina  la  responsabilita'  conseguente  ad
illecito amministrativo dipendente da reato, laddove l'art. 185  c.p.
e gli artt. 74 segg. C.p.p. regolamentano l'azionabilita' processuale
del diritto al risarcimento del danno derivante dal reato, e non gia'
dall'illecito amministrativo. In parole  povere,  pur  se  accertato,
fondamentalmente,  con  le  forme  del  processo  penale,  l'illecito
ascritto alla persona giuridica non  e'  un  reato,  ma  un  illecito
amministrativo - in genere di natura omissiva, per culpa in  eligendo
o  vigilando,  come  desumibile  dalle  cause  di  esclusione   della
responsabilita' previste dall'art.  6  del  d.l.vo  n.  231/2001  per
l'ipotesi in cui l'ente si fosse munito  di  un'efficace  sistema  di
controlli interni di legalita' - dipendente da un  fatto  costituente
reato, in una fattispecie complessa  a  natura  mista  commissiva  ed
omissiva, in cui il profilo commissivo e' integrato dal  fatto  reato
ed appartiene alla persona fisica in rapporto  organico  con  l'ente,
mentre a quest'ultimo appartiene solo  il  profilo  omissivo,  ed  il
tutto assume rilevanza solo se il  reato  sia  stato  commesso  anche
nell'interesse o a vantaggio dell'ente,  come  previsto  dall'art.  5
comma 1 prima parte del d.l.vo  n.  231/2001.  Poiche',  come  si  e'
visto, la costituzione di parte civile e' possibile solo per il danno
derivante dal reato, e non per quello eventualmente derivante  da  un
sia pur connesso illecito amministrativo, deve senz'altro  escludersi
la possibilita' di costituirsi parte civile nei  confronti  dell'ente
soggetto di responsabilita' amministrativa da illecito penale, se non
nella sua diversa e spesso coincidente veste di responsabile civile e
nei limiti appunto della responsabilita' civile  per  fatto  illecito
altrui, disciplinata dagli  artt.  2047  segg.  C.c.  Tale  forma  di
responsabilita'   peraltro,   quanto   a   fatti   causativi    della
responsabilita', tendenzialmente coincide - ed e' invero  anche  piu'
ampia sia  sotto  il  profilo  soggettivo  dell'individuazione  delle
persone il cui agire possa essere imputato  all'Ente,  sia  sotto  il
profilo dei fatti reato  rilevanti,  non  sottoposti  all'elencazione
tassativa di cui agli  artt.  24  segg.  d.l.vo  n.  231/2001  -  col
perimetro della responsabilita' da illecito amministrativo per  fatto
del rappresentante legale o direttore. 
    Puo' peraltro ritenersi che, presente l'ente nel  processo  nella
sua veste di responsabile per illecito amministrativo, le  formalita'
della richiesta di autorizzazione  alla  citazione  del  responsabile
civile  siano  superflue   perche'   assolte   mediante   l'atto   di
costituzione di parte civile (che ex art. 78  c.p.p.  deve  contenere
tutti gli estremi anche del decreto  di  citazione  del  responsabile
civile)  nei  confronti  di  chi  gia'  e'  comunque  costituito  nel
processo; peraltro, dette formalita' risultano  essere  state  arsone
dal Comune di Lecce, che peraltro a detta citazione ha  espressamente
rinunziato; di talche', conclusivamente,  Selmabipiemme  Leasing  Spa
rimane nel processo esclusivamente come parte civile costituitasi nei
confronti degli imputati Guagnano, Naccarelli, Solombrino,  Buonerba,
De Leo, Ricercato, Brunetti. 
B) In ordine alla nullita' dell'avviso di conclusione delle  indagini
inviato a Selmabipiemme, e di tutti gli atti successivi compiuti  nei
suoi confronti. 
    La ravvisabilita' della nullita' e'  stata  esclusa  dal  GUP  in
punto di diritto, ritenendosi che nessuna norma  la  preveda  per  il
caso in cui l'avviso notificato ai sensi dell'art. 415-bis c.p.p. sia
carente nella descrizione del fatto in ordine al  quale  si  comunica
alla parte l'avvenuta chiusura delle indagini preliminari. Orbene, va
invece osservato che, ai sensi dell'art. 416 c.p.p., la richiesta  di
rinvio a giudizio e' nulla se non e' preceduta dall'invio dell'avviso
di conclusione delle indagini preliminari; e che deve necessariamente
ritenersi - pena altrimenti la frustrazione degli scopi  della  norma
che un avviso inviato ai fini di  cui  all'art.  415-bis  c.p.p.,  ma
privo  dei   requisiti   essenziali   di   funzionalita'   dell'atto,
consistenti  nella  sua  idoneita'  ad  informare  sommariamente   ma
adeguatamente l'indagato dei fatti in ordine ai quali si procede  nei
suoi confronti e l'indagine e' conclusa, equivalga  all'omesso  invio
dell'atto stesso, con la conseguente nullita'  di  cui  all'art.  416
c.p.p.. 
    Va quindi osservato che gli artt. 34 e 35 del d.l.vo n. 231/2001,
testo normativo che appunto disciplina la  responsabilita'  dell'Ente
per illecito amministrativo da reato, prevedono che  il  procedimento
di accertamento ed applicazione delle sanzioni  sia  governato  dalle
norme di detto d.l.vo, nonche' da  quelle  previste  dal  c.p.p.  per
l'imputato, ove non incompatibili; seppur non previsto dagli artt. 55
segg. del d.l.vo n.  231/2001  -  che  regolamentano  la  fase  delle
indagini e dell'udienza preliminare - deve  osservarsi  che  il  rito
speciale previsto per  le  persone  giuridiche  non  presenta  alcuna
incompatibilita' con l'invio  dell'avviso  di  cui  all'art.  415-bis
c.p.p., le cui finalita' di  difesa  anticipata,  anche  al  fine  di
evitare l'inutile costo - sia per l'interessato che per lo Stato - di
un  processo,  appaiono  ben  attagliarsi  alle  esigenze  anche  del
procedimento contro  le  persone  giuridiche.  Pertanto,  poiche'  il
principio  di  esclusione  dell'applicabilita'  delle  comuni   norme
processuali e' ex artt. 34 e 35 d.l.vo n. 231/2001 disciplinato  solo
dal principio dell'incompatibilita' col rito speciale, e non da altri
eventuali criteri ermeneutici (quali l'ubi  lex  dixit  voluiti,  ubi
holui tacuit, che avrebbe potuto condurre a  diversi  esiti  leggendo
gli  artt.  58  e   59   d.l.vo   n.   231/2001,   che   disciplinano
alternativamente le diverse alternative  dell'archiviazione  e  della
contestazione  dell'illecito  senza  apparentemente  richiedere   che
questa sia preceduta dall'avviso di cui all'art. 415-bis c.p.p.,  che
peraltro con la  contestazione  non  e'  affatto  incompatibile),  va
ritenuta la applicabilita' dell'art. 415-bis c.p.p. anche al rito  in
oggetto. Va infine ulteriormente sottolineato che, per assolvere alla
propria funzione, che e' quella di permettere al soggetto  sottoposto
ad indagini di poter  esporre  le  sue  difese  prima  che  si  renda
necessario l'intervento del giudice, ed in maniera tale da consentire
anche  di  dimostrare  l'insussistenza  del  fatto  o  la   sua   non
ascrivibilita' all'indagato, l'enunciazione sommaria  del  fatto  per
cui si procede, che deve costituire  il  requisito  di  cui  all'art.
415-bis c.p.p.,  deve  essere,  per  quanto  sommaria,  in  grado  di
delineare  sufficientemente  il  fatto  in   ordine   al   quale   il
destinatario  dell'avviso  deve  svolgere  le  proprie  attivita'   e
considerazioni difensive. 
    Orbene,  tanto  premesso,  va  quindi   rilevato   che   l'avviso
notificato a Selmabipiemme Leasing Spa riproduceva l'attuale capo  D)
della rubrica, addebitando a Selmabipiemme di non  aver  adottato  ed
efficacemente attuato modelli di organizzazione idonei  a  «prevenire
reati della specie di quelli verificatisi» prima che venisse commesso
«il reato di cui all'art.  640-bis,  cosi'  come  sopra  ascritto  al
proprio amministratore delegato Kobau  Renato,  al  dirigente  Mungai
Fabio nonche' a Gallo Vincenzo e Baldasserre  Nicola»;  era  tuttavia
assente il capo di imputazione C), ne'  era  rinvenibile  alcun'altra
descrizione concreta della truffa in ordine alla quale si  procedeva,
non potendo a  tal  proposito  essere  sufficiente  l'accenno  ad  un
contratto concluso dal Comune in data 31 gennaio  2006,  non  essendo
indicato  ne'  di  quale  Comune  si  trattasse,  ne'  chi  fosse  la
controparte di quel contratto. Il P.M. ha peraltro opposto che Kobau,
amministratore della Selmabipiemme, ricevette notifica dell'avviso di
cui all'art. 415-bis c.p.p. con integrale indicazione  delle  ipotesi
di reato in ordine alle quali si procedeva; ma occorre rilevare che -
come eccepito dalla difesa di Selmabipiemme Leasibng Spa -  il  Kobau
non era piu' all'epoca amministratore di detto ente, atteso  che  non
solo non lo e' attualmente, come si evince dagli atti di costituzione
di parte civile e responsabile civile della  Selma  Bipiemme  Leasing
Spa, in cui legale rappresentante e' indicato diverso soggetto  nella
persona di Lecchi Bruno, ma non lo era neanche il 9 marzo 2010,  data
di notifica alla Selmabipiemme dell'avviso di  cui  all'art.  415-bis
c.p.p., atteso che il Lecchi risulta amministratore  delegato  dal  5
ottobre 2007, come da estratto del verbale della riunione,  in  detta
data, del Consiglio di Amministrazione, di  cui  all'epoca  il  Kobau
gia' non risultava far piu' parte. Sarebbe poi comunque  insuperabile
il rilievo che una cosa e' l'ente ed altra e' la persona  di  chi  lo
rappresenta, sicche' la  notifica  a  questi  non  puo'  valere  come
notifica all'altro; dimodoche', occorre convenire, alla Selmabipiemme
e' stato negato il diritto di potersi difendere  e  rappresentare  le
proprie ragioni prima della richiesta di  rinvio  a  giudizio,  cosi'
verificandosi, di conseguenza la nullita' di cui all'art. 416 c.p.p.,
che,  a  carattere  intermedio  perche'  relativa  all'esercizio  del
diritto di difesa ai sensi dell'art. 178  lett.  c)  c.p.p.,  non  e'
sanata, risultando essere stata tempestivamente eccepita in  data  28
gennaio 2011 nel corso dell'udienza  preliminare,  ed  essendo  stata
tempestivamente proposta in questa sede. 
    Selmabipiemme va quindi estromessa dal processo,  in  cui  rimane
esclusiva mentre come parte civile. 
C) In ordine  alla  dedotta  nullita'  del  decreto  che  dispone  il
giudizio, lamentata dalle difese degli imputati Guagnano,  Solombrino
e Naccarelli, per violazione del  disposto  dell'art.  429  lett.  c)
c.p.p.. 
    In relazione al punto 2 del  capo  C),  relativo  al  delitto  di
truffa, le difese eccepiscono  la  violazione  del  precetto  di  cui
all'art. 429 comma  1  lett.  C)  c.p.p.,  per  asserita  genericita'
dell'imputazione nella parte si  contesta  la  sopravvalutazione  del
valore degli  immobili  con  riferimento  all'esistenza,  all'interno
delle due palazzine di  via  Brenta,  di  opere  abusive  e  cubature
superiori  a  quelle  consentite  dagli  strumenti  urbanistici.   La
doglianza appare infondata; continuando  infatti  nella  lettura  del
capo di imputazione, allo stesso punto 2) del capo C), vi e' espressa
menzione  di  vani   tecnici   abusivamente   realizzati,   e   della
destinazione ad  uffici  di  un  intero  piano  la  cui  destinazione
assentita era solo  per  depositi,  nonche'  di  locali  seminterrati
utilizzabili solo come parcheggi ed invece indicati come utilizzabili
per uffici: il che appare offrire adeguata  specificazione  di  quali
fossero i volumi ulteriori e le opere  abusive,  laddove  si  ricordi
come  un  mutamento  di  destinazione  d'uso  comporti   l'abusivita'
dell'opera  realizzata,  ai  sensi  dell'art.  44  lett.  b)  dpr  n.
380/2001; l'imputazione non pecca quindi di chiarezza e precisione, e
l'eccezione e' infondata. 
D) In ordine al contenuto del fascicolo per il dibattimento. 
    Va osservato che il processo ha ad  oggetto  la  consumazione  di
falsi e truffe i cui momenti consumativi si pongono all'interno di un
complesso procedimento di formazione  della  volonta'  di  una  P.A.,
segnatamente il Comune di Lecce, in ordine all'apparente subentro  di
detta P.A. in un contratto  di  leasing,  intervenuto  tra  terzi,  e
riguardante edifici destinati  a  sede  di  uffici  giudiziari,  gia'
locati precedentemente dal proprietario al Comune;  alle  ipotesi  di
falso e truffa  appartiene  anche  la  prova  della  non  convenienza
economica dell'operazione, e  della  sovrastima  operata  del  valore
degli immobili, tenendo anche conto dell'asserita parziale abusivita'
di parte dei locali. 
    Ne consegue che, mentre gli atti di cui si assume la falsita',  i
contratti e la documentazione eventualmente comprovante il  pagamento
del profitto ingiusto costituiscono senz'altro corpo di reato,  anche
tutta la documentazione delle attivita' poste a monte  di  tali  atti
(come ad es. gli schemi di contratti, la corrispondenza eventualmente
intercorsa tra le parti ed uffici comunali, i titoli  utilizzati  per
il pagamento della compravendita  dell'immobile  da  Socoge  Spa  del
Guagnano a Selmabipiemme Leasing spa e successiva cessione  in  lease
back alla Socoge; gli atti dell'amministrazione comunale appartenenti
alla formazione della volonta' del Comune di Lecce)  manifestano  una
profonda  attinenza  al  reato,  tale  da  qualificarli   come   cose
pertinenti al reato, la cui presenza all'interno del fascicolo per il
dibattimento e' espressamente prevista, ai sensi dell'art. 431  comma
1 lett. h) c.p.p.; la questione va pertanto respinta. 
E) In ordine alla incompetenza territoriale del tribunale di Lecce in
relazione al delitto di truffa aggravata di cui al capo C). 
    La questione viene affrontata con separata  ordinanza,  rilevando
questo Tribunale la ricorrenza di una  questione  non  manifestamente
infondata di incostituzionalita', per  contrasto  con  gli  artt.  25
comma 1 e 3 Cost., del combinato disposto degli artt. 16 e 12 c.p.p.,
nella parte  in  cui  consentono  la  attrazione  del  processo  alla
competenza del giudice del luogo ove e' stato commesso il reato  piu'
grave, quando questo risulti connesso ex art. 12 lett. c) c.p.p. agli
altri reati, anche quando il reato dotato di vis adtractiva  non  sia
contestato a tutti gli imputati. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visto l'art. 491 c.p.p.; 
    Dichiara l'esclusione dal processo delle parti civili  Assoconsum
Onlus Selmabipiemme Leasing Spa; 
    Dichiara  inoltre  l'esclusione  dal  processo  di  Selmabipiemme
Leasing Spa anche nella sua veste di responsabile civile e rigetta la
richiesta di esclusione della parte civile Comune di Lecce; 
    Dichiara la nullita' dell'avviso di  conclusione  delle  indagini
preliminari e di ogni atto successivo nei confronti di  Selmabipiemme
Leasing  Spa  nella  sua   veste   di   responsabile   per   illecito
amministrativo da reato, e dispone restituirsi gli atti al  p.m.  per
quanto di sua competenza; 
    Decide con separata ordinanza in ordine alla sollevata  questione
di incompetenza territoriale di questo giudice  nei  confronti  degli
imputati Mungai, Kobau e Gallo in ordine al reato di cui al capo C); 
    Rigetta ogni altra questione preliminare ed  eccezione  sollevata
dalle parti. 
      Lecce, 3 novembre 2011 
 
                         Il Giudice: Sernia