N. 36 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 novembre 2011
Ordinanza del 3 novembre 2011 emessa dal Tribunale di Lecce nel procedimento penale a carico di Gallo Vincenzo ed altri. Processo penale - Procedimento a carico di piu' persone - Competenza per territorio determinata dalla connessione - Caso di connessione teleologica tra reati - Competenza, per tutti i reati e nei confronti di tutti gli imputati, del giudice del luogo in cui e' stato commesso il reato piu' grave, anche se di questo non rispondano tutti gli imputati del reato meno grave - Disparita' di trattamento tra imputati - Violazione del principio del giudice naturale precostituito per legge. - Codice di procedura penale, art. 16, in relazione all'art. 12, comma 1, lett. c), dello stesso codice. - Costituzione, artt. 3 e 25.(GU n.12 del 21-3-2012 )
IL TRIBUNALE All'udienza del giorno 3 novembre 2011, nel processo nei confronti di Guagnano Pietro piu' altri, decidendo in ordine alle questioni preliminari sollevate dalla difesa degli imputati, sentite le parti, e sciogliendo la riserva di cui al verbale dell'udienza del 20 ottobre 2011, il Tribunale ha pronunziato la seguente ordinanza. Le difese degli imputati hanno sollevato diverse questioni preliminari relativamente in particolare: a) alla necessita' di procedere all'esclusione dal processo delle parti civili Assoconsum Onlus, Amministrazione Comunale di Lecce, e Selmabipiemme Leasing spa, perche' prive di legittimazione sostanziale alla costituzione di parte civile nel presente processo; b) alla nullita' del decreto che dispone il giudizio, lamentata da Selma Bipiemme nella sua veste di ente responsabile ai sensi della legge n. 231/2001, per nullita' dell'avviso di cui all'art. 415-bis c.p.p. e di tutti gli atti conseguenti; c) alla nullita' del decreto che dispone il giudizio, lamentata dalle difese degli imputati Guagnano, Solombrino e Naccarelli, per violazione del disposto dell'art. 429 lett. c) c.p.p.; d) al contenuto del fascicolo per il dibattimento, contestando la difesa la legittimita' della presenza dei numerosi documenti ivi allegati, peraltro senza indicazione ne' di dettaglio ne' di genere; e) alla incompetenza territoriale del Tribunale di Lecce nei confronti degli imputati Gallo, Kobau e Mungai (gli unici, tra coloro che sono imputati solo del reato di truffa di cui al capo C, che hanno sollevato la questione di incompetenza territoriale), in quanto imputati unicamente del reato di truffa di cui al capo C), da ritenersi consumato in Milano, con asserita conseguente attribuzione della competenza territoriale al Tribunale avente sede in detta citta'; in subordine, questione di incostituzionalita' dell'art. 16 c.p.p., per violazione del principio del giudice naturale ex art. 25 Cost., laddove la norma processuale debba essere intesa come applicabile anche nei confronti di chi non sia imputato del reato esercitante vis adtractiva. Va rilevato che, non essendo in discussione la competenza di questo tribunale in ordine all'intera materia del processo, la questione relativa alla eventuale incompetenza territoriale non ha carattere di pregiudizialita' rispetto alle altre questioni preliminari e non si pone pertanto quale antecedente logico rispetto alle altre; queste, peraltro, essendo tutte questioni preliminari, sono soggette al principio della simultanea trattazione, atteso che l'art. 491 c.p.p. impone che vengano sollevate e discusse subito dopo il compimento dell'accertamento in ordine alla costituzione delle parti; pertanto, verificata la rituale citazione degli imputati, la presenza dei difensori e delle parti civili, dette questioni sono state sollecitate e discusse senza ordine di pregiudizialita'. Affrontando pertanto dette questioni nell'ordine in cui sono state sollevate, il Tribunale ritiene di dover osservare quanto segue. A) In ordine alla esclusione delle parti civili. Preliminarmente, il Tribunale Ritiene di dover premettere alcune riflessioni di carattere generale, il cui richiamo appare utile ad un migliore inquadramento della fondatezza o meno delle questioni sollevate e che di seguito si andra' ad esaminare. Come noto, l'art. 185 comma 2 c.p. stabilisce che «ogni reato che abbia cagionato un danno, patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui»; l'art. 74 c.p.p., conseguentemente, attribuisce la legittimazione alla costituzione di parte civile per il risarcimento del danno nel processo penale al «soggetto cui il reato ha arrecato danno nei confronti dell'imputato e del responsabile civile»; l'art. 76 comma 1 lett. d) c.p.p. prevede poi come necessaria formalita', da osservarsi a pena di inammissibilita' della costituzione di parte civile, che questa avvenga mediante deposito di un atto che contenga, tra le altre cose, «l'esposizione delle ragioni che giustificano la domanda», mentre dal tenore dell'art. 429 lett. c) c.p.p. e dell'art. 521 comma 2 c.p.p. si evince peraltro che il reato oggetto della cognizione e della pronunzia del giudice nel processo penale non puo' che essere quello puntualmente descritto nell'imputazione, come desumibile dalla circostanza che le suddette norme prescrivono la necessita', rispettivamente, di una descrizione chiara e precisa del fatto nel capo di imputazione, e della restituzione degli atti al p.m. laddove il fatto emerso dal processo appaia differente da quello oggetto di contestazione. Dalla lettura combinata di tali disposizioni, si evince quindi, ricapitolando, che la legittimazione alla costituzione di parte civile spetta a chi lamenti un danno - e cioe' la lesione di un diritto proprio - subito quale conseguenza dello specifico fatto reato per come oggetto di contestazione nel processo; e che la ricorrenza di tali requisiti possa essere indagata in via preliminare, ai fini delle eventuali valutazioni sulla ammissibilita' della costituzione di p.c., solo attraverso l'esame delle ragioni esposte nell'atto di costituzione, non essendo infatti concepibile che il giudice operi diversamente alcun preliminare sindacato sulla fondatezza della domanda, che costituisce invece l'oggetto del giudizio di merito. La ricorrenza delle condizioni di legittimazione alla costituzione di parte civile va quindi compiuta alla stregua dei fatti indicati nell'atto di costituzione, che non a caso, per espressa previsione di legge, deve contenere l'indicazione delle ragioni che giustificano la domanda che si intende far valere (cfr. art. 78 comma 1 lett. d) c.p.p.). Il giudice non deve cioe' valutare la fondatezza della pretesa, che e' questione di merito risolubile solo in esito all'esaurimento dell'istruzione, una volta acquisite e valutate le prove offerte dalle parti, ma deve piuttosto valutare se, sulla base di quanto rappresentato dalla parte nel suo atto di costituzione, e quindi in via del tutto astratta, in capo ad essa sia configurabile la titolarita' di un diritto leso dalla condotta reato. Per quanto astratta, tale valutazione non puo' tuttavia fermarsi alla verifica circa la sussistenza di una mera enunciazione assertiva di un danno ascrivibile all'autore del fatto-reato, contenuta nella pretesa, ma deve verificarne la teorica fondatezza alla stregua dei fatti costitutivi in essa indicati e valutati alla luce delle norme di diritto che delimitano il caso in cui ricorra una situazione soggettiva tutelata come diritto, e quando un danno possa essere inteso come ingiusto, e pertanto fonte di responsabilita' risarcitoria ai sensi dell'art. 2043 c.c. Tanto premesso, puo' quindi osservarsi che: A.1) le difese sostengono in primo luogo la carenza di legittimazione sostanziale di Assoconsum Onlus, trattandosi di ente non godente di riconoscimento ministeriale prima dell'epoca dei fatti per cui e' processo, e che comunque nessun danno avrebbe ricevuto dai reati per cui e' processo, stante anche l'onnicomprensivita' dei fini perseguiti, inidonei a caratterizzare l'ente in oggetto rispetto agli interessi tutelati ed ad attribuirgli una posizione, rispetto a detti interessi, differenziata rispetto a quella propria di qualsiasi consociato rispetto ad un interesse diffuso. Assoconsum Onlus obbietta, per contro, di non aver bisogno di alcun riconoscimento ministeriale, atteso che agisce non gia' ex art. 91 c.p.p. a soddisfazione del diritto di una parte offesa altra da se', ma in tutela risarcitoria di un proprio diretto interesse leso dal reato. In merito a tale questione, il tribunale osserva che: A.l.a) come previsto espressamente dall'art. 74 c.p.p., e come gia' si e' accennato, nel processo penale la costituzione di parte civile e' ammessa al solo fine di ottenere la condanna dell'imputato al risarcimento del danno di cui all'art. 185 c.p. o alle restituzioni; il danno di cui all'art. 185 c.p., pur esteso dalla norma al danno non patrimoniale, e' comunque sempre e solo quello che, conseguente al reato, attiene alla lesione di un diritto soggettivo, salve le limitate ipotesi (che in questo caso comunque non rilevano) in cui la giurisprudenza riconosce la risarcibilita' della lesione di interessi legittimi, nel caso in cui gli stessi avrebbero sicuramente dovuto svilupparsi in diritti soggettivi perfetti, e detta evoluzione sia stata impedita dal fatto illecito altrui. E' pertanto certo che ex art. 74 segg. c.p.p. non e' possibile agire in giudizio ne' per realizzare forme di tutela diverse da quelle risarcitorie o restitutorie, ne' per ottenere il risarcimento di interessi diffusi o di mero fatto; e pertanto la possibilita' che enti esponenziali ed associazioni private possano costituirsi parte civile, nonche' le norme di cui agli artt. 91 e segg., che prevedono l'attribuzione - agli enti e delle associazioni cui sono state riconosciute con legge, in epoca antecedente al reato, finalita' di tutela degli interessi offesi dal reato - del diritto di esercitare i diritti e le facolta' attribuiti alla persona offesa, devono necessariamente essere interpretati all'interno della suddetta cornice normativa; e' quindi possibile il verificarsi di due casi che legittimino l'intervento di tali associazioni, e cioe' allorche': a) esse agiscano per la tutela di un diritto soggettivo proprio, leso dal reato; b) oppure, allorche', col consenso della p.o. ritualmente espresso (ex art. 92 c.p.p.), ne esercitino i diritti e le facolta' previste dalla legge, tra le quali e' dubitatile possa farsi rientrare il diritto di costituirsi parte civile in vece di quella (si noti che l'art. 93 c.p.p. disciplina le forme dell'atto di intervento, e mai menziona un possibile atto di costituzione di parte civile); A.1.b) escluso, in base alla sessa prospettazione operata da Assoconsum Onlus, che essa operi ai sensi dell'art. 91 c.p.p., la legittimazione della suddetta parte civile va pertanto verificata alla stregua di quanto esposto nell'atto di costituzione, e vagliando la corrispondenza delle ragioni ivi rappresentate a quanto necessario ad individuare la titolarita' di un diritto proprio della p.c., tenendo conto della corrente giurisprudenza, che riconosce un diritto soggettivo di natura morale alle associazioni costituite per la tutela di interessi diffusi solo subordinatamente alla ricorrenza di condizioni consistenti: a) nella anteriorita' della costituzione rispetto al fatto reato lesivo, e b) nella concretezza del rapporto ricorrente tra associazione e situazione lesiva, avendo riguardo all'oggetto statutario dell'associazione, alla natura della situazione lesiva ed alla preesistenza di legami concreti e specifici tra l'associazione e la situazione oggetto di lesione. Si richiamano in proposito: Sez. 3, Sentenza n. 38290 del 3 ottobre 2007 «Le persone giuridiche e gli enti di fatto sono legittimati a costituirsi parte civile non soltanto quando il danno riguardi un bene su cui gli stessi vantino un diritto patrimoniale, ma piu' in generale quando il danno coincida con la lesione di un diritto soggettivo, come avviene nel caso in cui offeso sia l'interesse perseguito da un'associazione in riferimento ad una situazione storicamente circostanziata, assunto nello statuto a ragione stessa della propria esistenza e azione, con l'effetto che ogni attentato a tale interesse si configura come lesione della personalita' o identita' del sodalizio». (Fattispecie nella quale alla Federazione Pirateria Audiovisiva, avente come scopo primario ed autonomo la prevenzione e repressione di ogni violazione delle norme poste a tutela del diritto d'autore, e' stata riconosciuta la legittimazione a costituirsi parte civile, in procedimento per il reato di cui all'art. 171-ter legge n. 633 del 1941, sia per la tutela del diritto collettivo degli autori sia per la protezione del diritto alla personalita' in conseguenza del discredito derivante alla propria sfera funzionale dalla condotta illecita). Nonche': Sez. 3, Sentenza n. 46746 del 21 ottobre 2004 «Le associazioni ecologiste sono legittimate alla costituzione di parte civile nei procedimenti per reati che offendono l'ambiente, anche se non riconosciute ai sensi dell'art. 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349, a condizione che abbiano direttamente subito un danno di natura patrimoniale (come puo' avvenire per i costi di attivita' finalizzate a prevenire il pregiudizio ambientale) o non patrimoniale (che puo' connettersi al discredito derivante dalla frustrazione dei fini istituzionali), e non si atteggino semplicemente a soggetti portatori di un interesse diffuso». (In motivazione la Corte ha rilevato come, affinche' una associazione possa ritenersi titolare di un proprio diritto soggettivo, sia necessario che la tutela dell'ambiente costituisca il suo essenziale fine statutario, che sia radicata sul territorio anche mediante sedi locali, che rappresenti un gruppo significativo di consociati e che abbia dato prova della continuita' e della rilevanza del suo contributo alla difesa dell'ambiente). Le massime che precedono appaiono espressione di un indirizzo maggioritario e che, a parere di questo tribunale, deve senz'altro essere seguito, atteso che, altrimenti, si amplierebbe a dismisura il novero dei soggetti legittimati ad instare per il risarcimento di un danno, a fronte della mera lesione di un interesse diffuso; ed addirittura si stimolerebbe per tal via la creazione di persone giuridiche con apparente finalita' di tutela della legalita', ma con effettivo fine di lucrare, attraverso la costituzione di parte civile in ogni processo penale, somme a titolo di risarcimento di un preteso danno a fronte, invece, di una mera lesione di un interesse diffuso o al piu' di fatto. Alla stregua delle osservazioni che precedono, appare quindi conclusivamente da affermarsi che: a) le associazioni che intervengano per la tutela dell'interesse diffuso che costituisce il loro oggetto sociale, possono in primo luogo intervenire nelle forme e condizioni di cui agli artt. 91 segg., e quindi col consenso della p.o. eventualmente identificabile; b) possono poi sempre intervenire - anche costituendosi parte civile - per la tutela di un diritto patrimoniale proprio eventualmente leso dal reato; c) possono inoltre intervenire costituendosi parte civile per la tutela di diritti propri anche di natura non patrimoniale ai quali il reato abbia recato offesa; deve pero' trattarsi di un vero e proprio diritto proprio, che potra' essere e normalmente sara' di natura morale, o comunque di natura non economica, come nel caso della lesione dell'immagine dell'associazione, che e' integrato allorche' la grave violazione dell'interesse perseguito possa arrecare discredito all'associazione, ad es. gettando ombra sulla sua capacita' di operare fattivamente ed efficacemente per la tutela degli interessi statutari, o sulla effettiva volonta' di adoperarsi per evitare la consumazione di simili reati: danno peraltro ravvisabile solo laddove l'associazione sia stata particolarmente attiva, nel territorio interessato, proprio nella lotta e prevenzione del tipo di fatti lesivi oggetto del processo penale; ancora, puo' ammettersi la costituzione di parte civile delle associazioni, preesistenti alla commissione del reato, quando quest'ultimo realizzi la lesione dello specifico e concreto interesse costituente l'oggetto sociale, storicamente identificabile con riferimento ad una specifica situazione concreta verificatasi e posta a fondamento della ragion d'essere della stessa associazione (come ad es. e' il caso di associazioni costituitesi per la tutela di uno specifico interesse - ad es. ambientale, paesaggistico, monumentale ecc. - proprio di uno specifico e delimitato territorio). Diverse interpretazioni frustrerebbero la stessa ragion d'essere dell'introduzione dell'art. 91 c.p.p., che ha chiaramente inteso escludere una generalizzata legittimazione delle associazioni alla costituzione di parte civile, cosi' disciplinando una materia rimessa a confuse e non sempre coerenti scelte giurisprudenziali, sottoponendo a precise condizioni la possibilita' di un loro intervento e quindi senz'altro limitando le ipotesi di ammissibilita' dell'agire delle associazioni nel processo penale; A.1.c) Nel caso in esame, appare pacifico che Assoconsum Onlus si sia costituita parte civile in proprio, asserendo la lesione di una situazione propria in relazione ai propri fini statutari e non gia' quale mero «sostituto processuale ad adiuvandum» delle ragioni della p.o. (ravvisabile quest'ultima nel Comune di Lecce); ovviamente, a prescindere dall'esame del merito circa l'effettiva verificazione del danno prospettato (che e' questione di merito ed e' riservata all'esito del processo), tale enunciazione va valutata anche in via preliminare, con riferimento in primis alla stessa titolarita' della situazione soggettiva di cui si rappresenta il danno in base a quanto rappresentato dalla stessa p.c., onde verificare se Assoconsum Onlus lamenti effettivamente non gia' la lesione di un mero interesse diffuso coincidente con il proprio oggetto sociale, ma in concreto l'offesa ad un diritto proprio, come ad es. quello alla immagine o morale derivante dalla commissione dei delitti per cui e' processo, ed abbia pertanto legittimazione a costituirsi. Orbene, Assoconsum rappresenta che, in base al proprio atto di costituzione, tra i propri fini primeggiano quelli relativi alla tutela dei consumatori nei confronti dei soggetti pubblici e privati produttori ed erogatori di servizi al fine di tutelare i consumatori in materia di servizi pubblici e di pubblico interesse (art. 4 dello Statuto, allegato all'atto di costituzione di parte civile). Va tuttavia rilevato che nel concreto Assoconsum, nell'esposizione delle ragioni giustificatrici della sua costituzione, lamenta la lesione dell'interesse alla corretta erogazione del servizio giustizia che si svolgeva nelle palazzine di via Brenta, nonche' l'interesse ad una gestione di appalti e contratti pubblici caratterizzata da correttezza che eviti lo spreco di risorse pubbliche, la cui provvista ricade sulle tasche dei cittadini: appare quindi evidente al tribunale come tanto valga a manifestare come Assoconsum Onlus stia in realta' agendo a tutela di un interesse diffuso, proprio di tutti i cittadini, e non gia' dei consumatori, e peraltro estraneo al proprio oggetto sociale. Va infatti in primo luogo premesso che oggetto del presente processo non e' la correttezza e liceita', e tanto meno l'opportunita' o meno, della scelta dei palazzi di via Brenta come sede degli uffici giudiziari civili: questioni queste che potrebbero assumere rilevanza nell'evidenziare un interesse alla corretta erogazione dei servizi di giustizia nei confronti dei cittadini mediante l'apprestamento di' strutture idonee, e varrebbero ad evidenziare una materia riconducibile all'oggetto statutario dell'ente ed al suo proprio interesse morale. Invero, oggetto del processo e' la falsita' o meno di determinate statuizioni e stime che hanno funto da premessa alla decisione - che si assume truffaldina perche' foriera di danno al Comune di Lecce con ingiusto profitto altrui - di trasformare i contratti di locazione in contratti di leasing con obbligo di acquisto alla scadenza, in relazione a palazzine che gia' erano state scelte come sede degli uffici giudiziari, per effetto di determinazioni la cui legittimita' e liceita' e' estranea alle imputazioni. Inoltre, e' bene notare, pur risultando costituita nel 2002, occorre rilevare come non risulti alcun tipo di attivita' di Assoconsum Onlus nel territorio leccese prima del 2005; e che comunque tali attivita' siano state assolutamente estranee alla tutela degli interessi diffusi coinvolti dal presente processo: dall'esame della documentazione offerta dalla p.c., invero, puo' rilevarsi che negli anni 2005-2006 - e cioe' negli anni che precedono o coincidono con la perfezione dei delitti per cui e' processo - l'Assoconsum, in questa provincia, abbia solo tenuto conferenze aventi ad oggetto temi neanche tangenzialmente riconducibili a quelli afferenti i fatti oggetto di causa, avendo ad es. trattato della portabilita' dei mutui, o del costo degli sms, e nel 2007 abbia tenuto conferenze sull'utilizzo delle lampadine a basso consumo, sulle acque e sistemi di depurazione delle stesse, sulle tariffe Enel. In realta', Assoconsum Onlus non appare quindi intervenire per il perseguimento dei propri fini istituzionali di tutela dell'interesse dei consumatori (il che di per se' nemmeno sarebbe sufficiente a rappresentare la tutela giudiziaria di un diritto proprio), quanto piuttosto piu' propriamente per la tutela dei cittadini interessati alla legalita' dei comportamenti delle PP.AA. e dei loro organi, e quindi non gia' per conseguire il risarcimento di un danno patito in proprio; in parole povere, quella esercitata da Assoconsum appare essere molto piu' vicina ad una azione proposta ex art. 140-bis codice del consumo, che tuttavia e' estranea al processo penale. Ed invero, l'art. 140-bis del codice del consumo non disciplina forme di azione a tutela di un interesse proprio delle associazioni dei consumatori; detta norma invece prevede che dette associazioni possano agire in giudizio nell'interesse dei suddetti consumatori, per ottenere il riconoscimento del diritto degli stessi al risarcimento del danno, allorche' gli stessi siano conseguiti a comportamenti scorretti lesivi dell'interesse di una consistente pluralita' di consumatori; si tratta cioe' di forme di intervento previste dalla legge al fine di agevolare la tutela risarcitoria dei consumatori, mediante un'azione giudiziaria collettiva, atta ad evidenziare piu' agevolmente la prova dell'illecito ed a stimolare l'azione giudiziaria dei singoli, cosi' al tempo stesso operando remore a comportamenti scorretti delle imprese; si tratta inoltre di un'azione che, per le forme che la legge assegna al relativo procedimento, non si presta ad essere esercitata nel giudizio penale (si pensi ad es. alla previsione ex art. 140-bis comma 3 citato di un'udienza di delibazione dell'ammissibilita', da dichiararsi con ordinanza reclamabile davanti alla Corte di Appello, e con la quale il tribunale dovrebbe disporsi darsi adeguata pubblicita' all'iniziativa collettiva). Difettano pertanto tutti gli elementi individuati dalla giurisprudenza e dal testo delle norme, atti a qualificare in capo alla costituita p.c. la rappresentazione della lesione di una situazione qualificabile come di diritto soggettivo proprio. Va conseguentemente dichiara l'esclusione di detta p.c. A.2) Si contesta poi la legittimazione del Comune di Lecce, poiche' lo stesso risulta aver operato una transazione con Selmabipiemme, in forza della quale: ha rinunziato alla costituzione di parte civile nei confronti degli imputati Gallo, Mungai, Baldassarre, Kobau; e' stato risolto il contratto di leasing con l'obbligo di acquisto della proprieta' delle palazzine di via Brenta; l'utilizzo di dette palazzine da parte del Comune quale sedi di uffici giudiziari e' stato regolamentato in forza di un contratto di locazione alle previgenti e meno onerose condizioni; le somme gia' versate dal Comune in esecuzione del contratto di leasing, ed eccedenti l'importo dei canoni di locazione sinora maturati, sono state imputate a pagamento dei futuri canoni di locazione, sicche', si sostiene, non vi sarebbe piu' alcun danno da risarcire. Il tribunale ritiene di dover per contro aderire alle opposte argomentazioni svolte dalla p.c. Comune di Lecce, la quale ha condivisibilmente osservato non solo che comunque residua il danno morale, ma anche quello economico conseguente alla subita perdita della fruttuosita' delle somme gia' erogate in eccedenza, e solo attualmente portate a scomputo di canoni futuri: somme delle quali invece, se non vi fosse stata la ipotizzata truffa, il Comune avrebbe sino ad oggi conservato la disponibilita' e realizzato i frutti legali. Inoltre, occorre sottolineare che, come peraltro emerge anche da quanto gia' in atti, e' ipotizzabile che il Comune possa aver subito un'ulteriore danno, atteso che il Ministero della giustizia rimborsa ai comuni solo i costi sostenuti per la locazione degli immobili ad uso giudiziario, e non gia' quelle sborsate in conto capitale, per l'acquisto degli immobili stessi, pur se in leasing: di talche', in relazione alle somme gia' sborsate a titolo di pagamento delle rate di detto leasing, pur se attualmente imputate tra le parti a pagamento di futuri canoni, e' verosimile che il Comune possa incontrare difficolta' ad ottenerne il rimborso dal Ministero, cosi' sopportando un costo, e correlativo danno, suscettibile di risarcimento. A.3) Si contesta inoltre la possibilita' per Selma Bipiemme di costituirsi parte civile in relazione ad una imputazione che la vede raggiunta da un'ipotesi di responsabilita' da illecito amministrativo dipendente da fatto-reato di suoi rappresentanti, il che implica, in base all'art. 5 del d.l.vo n. 231/2001, che l'illecito sia stato commesso nel suo interesse o a suo vantaggio. La questione appare infondata, laddove si consideri che il d.l.vo n. 231/2001 disciplina la responsabilita' (come si e' detto, per fatto costituente una culpa in eligendo o vigilando) dell'ente nei confronti dell'ordinamento per fatto dei suoi dipendenti, quand'anche limitatamente a soggetti che ne hanno la rappresentanza o si trovino comunque in un qualificato rapporto organico con la stessa, di modo da rendere le loro azioni imputabili direttamente all'Ente; cio', tuttavia, non toglie che l'Ente sia soggetto distinto da chi lo amministra o rappresenta, e che in base ai principi generali possa pertanto vantare diritti, anche di natura risarcitoria, nei confronti di costoro, come ad es. previsto in via generale dagli artt. 2392 comma 2 e 2393 c.c., quand'anche si tratti di illeciti commessi nell'interesse stesso dell'Ente, e che da detti illeciti tuttavia potrebbe anche ricavarne danno (si pensi ad es., alle perdite economiche conseguenti alla confisca del profitto del reato o all'inattivita' conseguente all'eventuale irrogazione di sanzioni interdittive); responsabilita' che, ex art. 2055 c.c., si estende ovviamente ai concorrenti con gli amministratori e rappresentanti legali, direttori, sindaci ecc., di talche' le riflessioni appena svolte sono tutt'altro che superflue anche se Selmabipiemme non e' costituita parte civile nei confronti dei propri dipendenti, ma solo nei confronti dei loro concorrenti «leccesi». Poiche' l'Ente non puo' essere soggetto a responsabilita' penale, ma semplicemente risponde in via amministrativa per il fatto illecito del suo organo, nulla vieta pertanto che possa nello stesso processo di cui e' parte passiva far valere una pretesa risarcitoria per il fatto commesso dal soggetto che ne aveva la rappresentanza in concorso con altri, costituendosi p.c. anche solo nei confronti di questi ultimi, per il danno arrecatole col reato ascrittogli. A.4) Si contesta infine, da parte di Selma Bipiemme Leasing Spa, la possibilita' di essere essa stessa, nella sua veste di responsabile amministrativo ex d.l.vo n. 231/2001 per il fatto reato dei suoi organi, soggetto passivo di una costituzione di parte civile da parte del Comune (non si considerera' ulteriormente la posizione di Assoconsum Onlus perche' estromessa dal processo), in quanto, pur prevedendo gli artt. 34 e 35 d.l.vo n. 231/2001 la applicabilita' delle norme del c.p.p. non incompatibili con quelle dello stesso d.l.vo, comunque dovrebbe tenersi nel debito conto che l'art. 54 prevede il sequestro conservativo solo a garanzia del pagamento delle sanzioni pecuniarie e delle spese processuali, mentre gli artt. 59 e 61, che disciplinano rispettivamente la citazione per la udienza preliminare e per il dibattimento, non prevedono la notifica del decreto alla p.o., cosi' come l'art. 69 non prevede, tra le disposizioni della sentenza di condanna, l'eventuale pronunzia di condanna al risarcimento dei danni. La questione appare fondata, non solo per le ragioni esposte dalla difesa, ma anche per la ragione che la legge n. 231/2001 disciplina la responsabilita' conseguente ad illecito amministrativo dipendente da reato, laddove l'art. 185 c.p. e gli artt. 74 segg. C.p.p. regolamentano l'azionabilita' processuale del diritto al risarcimento del danno derivante dal reato, e non gia' dall'illecito amministrativo. In parole povere, pur se accertato, fondamentalmente, con le forme del processo penale, l'illecito ascritto alla persona giuridica non e' un reato, ma un illecito amministrativo - in genere di natura omissiva, per culpa in eligendo o vigilando, come desumibile dalle cause di esclusione della responsabilita' previste dall'art. 6 del d.l.vo n. 231/2001 per l'ipotesi in cui l'ente si fosse munito di un'efficace sistema di controlli interni di legalita' - dipendente da un fatto costituente reato, in una fattispecie complessa a natura mista commissiva ed omissiva, in cui il profilo commissivo e' integrato dal fatto reato ed appartiene alla persona fisica in rapporto organico con l'ente, mentre a quest'ultimo appartiene solo il profilo omissivo, ed il tutto assume rilevanza solo se il reato sia stato commesso anche nell'interesse o a vantaggio dell'ente, come previsto dall'art. 5 comma 1 prima parte del d.l.vo n. 231/2001. Poiche', come si e' visto, la costituzione di parte civile e' possibile solo per il danno derivante dal reato, e non per quello eventualmente derivante da un sia pur connesso illecito amministrativo, deve senz'altro escludersi la possibilita' di costituirsi parte civile nei confronti dell'ente soggetto di responsabilita' amministrativa da illecito penale, se non nella sua diversa e spesso coincidente veste di responsabile civile e nei limiti appunto della responsabilita' civile per fatto illecito altrui, disciplinata dagli artt. 2047 segg. C.c. Tale forma di responsabilita' peraltro, quanto a fatti causativi della responsabilita', tendenzialmente coincide - ed e' invero anche piu' ampia sia sotto il profilo soggettivo dell'individuazione delle persone il cui agire possa essere imputato all'Ente, sia sotto il profilo dei fatti reato rilevanti, non sottoposti all'elencazione tassativa di cui agli artt. 24 segg. d.l.vo n. 231/2001 - col perimetro della responsabilita' da illecito amministrativo per fatto del rappresentante legale o direttore. Puo' peraltro ritenersi che, presente l'ente nel processo nella sua veste di responsabile per illecito amministrativo, le formalita' della richiesta di autorizzazione alla citazione del responsabile civile siano superflue perche' assolte mediante l'atto di costituzione di parte civile (che ex art. 78 c.p.p. deve contenere tutti gli estremi anche del decreto di citazione del responsabile civile) nei confronti di chi gia' e' comunque costituito nel processo; peraltro, dette formalita' risultano essere state arsone dal Comune di Lecce, che peraltro a detta citazione ha espressamente rinunziato; di talche', conclusivamente, Selmabipiemme Leasing Spa rimane nel processo esclusivamente come parte civile costituitasi nei confronti degli imputati Guagnano, Naccarelli, Solombrino, Buonerba, De Leo, Ricercato, Brunetti. B) In ordine alla nullita' dell'avviso di conclusione delle indagini inviato a Selmabipiemme, e di tutti gli atti successivi compiuti nei suoi confronti. La ravvisabilita' della nullita' e' stata esclusa dal GUP in punto di diritto, ritenendosi che nessuna norma la preveda per il caso in cui l'avviso notificato ai sensi dell'art. 415-bis c.p.p. sia carente nella descrizione del fatto in ordine al quale si comunica alla parte l'avvenuta chiusura delle indagini preliminari. Orbene, va invece osservato che, ai sensi dell'art. 416 c.p.p., la richiesta di rinvio a giudizio e' nulla se non e' preceduta dall'invio dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari; e che deve necessariamente ritenersi - pena altrimenti la frustrazione degli scopi della norma che un avviso inviato ai fini di cui all'art. 415-bis c.p.p., ma privo dei requisiti essenziali di funzionalita' dell'atto, consistenti nella sua idoneita' ad informare sommariamente ma adeguatamente l'indagato dei fatti in ordine ai quali si procede nei suoi confronti e l'indagine e' conclusa, equivalga all'omesso invio dell'atto stesso, con la conseguente nullita' di cui all'art. 416 c.p.p.. Va quindi osservato che gli artt. 34 e 35 del d.l.vo n. 231/2001, testo normativo che appunto disciplina la responsabilita' dell'Ente per illecito amministrativo da reato, prevedono che il procedimento di accertamento ed applicazione delle sanzioni sia governato dalle norme di detto d.l.vo, nonche' da quelle previste dal c.p.p. per l'imputato, ove non incompatibili; seppur non previsto dagli artt. 55 segg. del d.l.vo n. 231/2001 - che regolamentano la fase delle indagini e dell'udienza preliminare - deve osservarsi che il rito speciale previsto per le persone giuridiche non presenta alcuna incompatibilita' con l'invio dell'avviso di cui all'art. 415-bis c.p.p., le cui finalita' di difesa anticipata, anche al fine di evitare l'inutile costo - sia per l'interessato che per lo Stato - di un processo, appaiono ben attagliarsi alle esigenze anche del procedimento contro le persone giuridiche. Pertanto, poiche' il principio di esclusione dell'applicabilita' delle comuni norme processuali e' ex artt. 34 e 35 d.l.vo n. 231/2001 disciplinato solo dal principio dell'incompatibilita' col rito speciale, e non da altri eventuali criteri ermeneutici (quali l'ubi lex dixit voluiti, ubi holui tacuit, che avrebbe potuto condurre a diversi esiti leggendo gli artt. 58 e 59 d.l.vo n. 231/2001, che disciplinano alternativamente le diverse alternative dell'archiviazione e della contestazione dell'illecito senza apparentemente richiedere che questa sia preceduta dall'avviso di cui all'art. 415-bis c.p.p., che peraltro con la contestazione non e' affatto incompatibile), va ritenuta la applicabilita' dell'art. 415-bis c.p.p. anche al rito in oggetto. Va infine ulteriormente sottolineato che, per assolvere alla propria funzione, che e' quella di permettere al soggetto sottoposto ad indagini di poter esporre le sue difese prima che si renda necessario l'intervento del giudice, ed in maniera tale da consentire anche di dimostrare l'insussistenza del fatto o la sua non ascrivibilita' all'indagato, l'enunciazione sommaria del fatto per cui si procede, che deve costituire il requisito di cui all'art. 415-bis c.p.p., deve essere, per quanto sommaria, in grado di delineare sufficientemente il fatto in ordine al quale il destinatario dell'avviso deve svolgere le proprie attivita' e considerazioni difensive. Orbene, tanto premesso, va quindi rilevato che l'avviso notificato a Selmabipiemme Leasing Spa riproduceva l'attuale capo D) della rubrica, addebitando a Selmabipiemme di non aver adottato ed efficacemente attuato modelli di organizzazione idonei a «prevenire reati della specie di quelli verificatisi» prima che venisse commesso «il reato di cui all'art. 640-bis, cosi' come sopra ascritto al proprio amministratore delegato Kobau Renato, al dirigente Mungai Fabio nonche' a Gallo Vincenzo e Baldasserre Nicola»; era tuttavia assente il capo di imputazione C), ne' era rinvenibile alcun'altra descrizione concreta della truffa in ordine alla quale si procedeva, non potendo a tal proposito essere sufficiente l'accenno ad un contratto concluso dal Comune in data 31 gennaio 2006, non essendo indicato ne' di quale Comune si trattasse, ne' chi fosse la controparte di quel contratto. Il P.M. ha peraltro opposto che Kobau, amministratore della Selmabipiemme, ricevette notifica dell'avviso di cui all'art. 415-bis c.p.p. con integrale indicazione delle ipotesi di reato in ordine alle quali si procedeva; ma occorre rilevare che - come eccepito dalla difesa di Selmabipiemme Leasibng Spa - il Kobau non era piu' all'epoca amministratore di detto ente, atteso che non solo non lo e' attualmente, come si evince dagli atti di costituzione di parte civile e responsabile civile della Selma Bipiemme Leasing Spa, in cui legale rappresentante e' indicato diverso soggetto nella persona di Lecchi Bruno, ma non lo era neanche il 9 marzo 2010, data di notifica alla Selmabipiemme dell'avviso di cui all'art. 415-bis c.p.p., atteso che il Lecchi risulta amministratore delegato dal 5 ottobre 2007, come da estratto del verbale della riunione, in detta data, del Consiglio di Amministrazione, di cui all'epoca il Kobau gia' non risultava far piu' parte. Sarebbe poi comunque insuperabile il rilievo che una cosa e' l'ente ed altra e' la persona di chi lo rappresenta, sicche' la notifica a questi non puo' valere come notifica all'altro; dimodoche', occorre convenire, alla Selmabipiemme e' stato negato il diritto di potersi difendere e rappresentare le proprie ragioni prima della richiesta di rinvio a giudizio, cosi' verificandosi, di conseguenza la nullita' di cui all'art. 416 c.p.p., che, a carattere intermedio perche' relativa all'esercizio del diritto di difesa ai sensi dell'art. 178 lett. c) c.p.p., non e' sanata, risultando essere stata tempestivamente eccepita in data 28 gennaio 2011 nel corso dell'udienza preliminare, ed essendo stata tempestivamente proposta in questa sede. Selmabipiemme va quindi estromessa dal processo, in cui rimane esclusiva mentre come parte civile. C) In ordine alla dedotta nullita' del decreto che dispone il giudizio, lamentata dalle difese degli imputati Guagnano, Solombrino e Naccarelli, per violazione del disposto dell'art. 429 lett. c) c.p.p.. In relazione al punto 2 del capo C), relativo al delitto di truffa, le difese eccepiscono la violazione del precetto di cui all'art. 429 comma 1 lett. C) c.p.p., per asserita genericita' dell'imputazione nella parte si contesta la sopravvalutazione del valore degli immobili con riferimento all'esistenza, all'interno delle due palazzine di via Brenta, di opere abusive e cubature superiori a quelle consentite dagli strumenti urbanistici. La doglianza appare infondata; continuando infatti nella lettura del capo di imputazione, allo stesso punto 2) del capo C), vi e' espressa menzione di vani tecnici abusivamente realizzati, e della destinazione ad uffici di un intero piano la cui destinazione assentita era solo per depositi, nonche' di locali seminterrati utilizzabili solo come parcheggi ed invece indicati come utilizzabili per uffici: il che appare offrire adeguata specificazione di quali fossero i volumi ulteriori e le opere abusive, laddove si ricordi come un mutamento di destinazione d'uso comporti l'abusivita' dell'opera realizzata, ai sensi dell'art. 44 lett. b) dpr n. 380/2001; l'imputazione non pecca quindi di chiarezza e precisione, e l'eccezione e' infondata. D) In ordine al contenuto del fascicolo per il dibattimento. Va osservato che il processo ha ad oggetto la consumazione di falsi e truffe i cui momenti consumativi si pongono all'interno di un complesso procedimento di formazione della volonta' di una P.A., segnatamente il Comune di Lecce, in ordine all'apparente subentro di detta P.A. in un contratto di leasing, intervenuto tra terzi, e riguardante edifici destinati a sede di uffici giudiziari, gia' locati precedentemente dal proprietario al Comune; alle ipotesi di falso e truffa appartiene anche la prova della non convenienza economica dell'operazione, e della sovrastima operata del valore degli immobili, tenendo anche conto dell'asserita parziale abusivita' di parte dei locali. Ne consegue che, mentre gli atti di cui si assume la falsita', i contratti e la documentazione eventualmente comprovante il pagamento del profitto ingiusto costituiscono senz'altro corpo di reato, anche tutta la documentazione delle attivita' poste a monte di tali atti (come ad es. gli schemi di contratti, la corrispondenza eventualmente intercorsa tra le parti ed uffici comunali, i titoli utilizzati per il pagamento della compravendita dell'immobile da Socoge Spa del Guagnano a Selmabipiemme Leasing spa e successiva cessione in lease back alla Socoge; gli atti dell'amministrazione comunale appartenenti alla formazione della volonta' del Comune di Lecce) manifestano una profonda attinenza al reato, tale da qualificarli come cose pertinenti al reato, la cui presenza all'interno del fascicolo per il dibattimento e' espressamente prevista, ai sensi dell'art. 431 comma 1 lett. h) c.p.p.; la questione va pertanto respinta. E) In ordine alla incompetenza territoriale del tribunale di Lecce in relazione al delitto di truffa aggravata di cui al capo C). La questione viene affrontata con separata ordinanza, rilevando questo Tribunale la ricorrenza di una questione non manifestamente infondata di incostituzionalita', per contrasto con gli artt. 25 comma 1 e 3 Cost., del combinato disposto degli artt. 16 e 12 c.p.p., nella parte in cui consentono la attrazione del processo alla competenza del giudice del luogo ove e' stato commesso il reato piu' grave, quando questo risulti connesso ex art. 12 lett. c) c.p.p. agli altri reati, anche quando il reato dotato di vis adtractiva non sia contestato a tutti gli imputati.
P. Q. M. Visto l'art. 491 c.p.p.; Dichiara l'esclusione dal processo delle parti civili Assoconsum Onlus Selmabipiemme Leasing Spa; Dichiara inoltre l'esclusione dal processo di Selmabipiemme Leasing Spa anche nella sua veste di responsabile civile e rigetta la richiesta di esclusione della parte civile Comune di Lecce; Dichiara la nullita' dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari e di ogni atto successivo nei confronti di Selmabipiemme Leasing Spa nella sua veste di responsabile per illecito amministrativo da reato, e dispone restituirsi gli atti al p.m. per quanto di sua competenza; Decide con separata ordinanza in ordine alla sollevata questione di incompetenza territoriale di questo giudice nei confronti degli imputati Mungai, Kobau e Gallo in ordine al reato di cui al capo C); Rigetta ogni altra questione preliminare ed eccezione sollevata dalle parti. Lecce, 3 novembre 2011 Il Giudice: Sernia