N. 34 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 28 febbraio 2012
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 28 febbraio 2012 (della Provincia autonoma di Trento). Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' ed il consolidamento dei conti pubblici - Previsione della riserva allo Stato sull'IMUP della quota di imposta pari alla meta' dell'importo calcolato sulla base imponibile di tutti gli immobili, ad eccezione dell'abitazione principale e delle relative pertinenze, nonche' dei fabbricati rurali ad uso strumentale, dell'aliquota di base di cui al comma 6, primo periodo - Previsione che le detrazioni e riduzioni di aliquota deliberate dai comuni non si applicano alla quota di imposta riservata allo Stato - Previsione che le attivita' di accertamento e riscossione dell'imposta erariale sono svolte dal comune al quale spettano le maggiori somme derivanti dallo svolgimento delle attivita' medesime a titolo di imposta, interessi e sanzioni - Ricorso della Provincia autonoma di Trento - Denunciata violazione dell'autonomia finanziaria provinciale disciplinata dallo Statuto e dalle relative norme di attuazione, nella parte in cui non assegna alla Provincia i nove decimi dell'imposta erariale e nella parte in cui riserva ai comuni le attivita' di accertamento e di riscossione ed assegna ai comuni le maggiori entrate connesse a tali attivita' - Denunciata violazione del principio di leale collaborazione, per la mancata utilizzazione dello strumento dell'accordo con la Provincia. - Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 13, comma 11. - Costituzione, artt. 117, 118 e 119, in combinato disposto con l'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; Statuto della Regione Trentino-Alto Adige, artt. 8, nn. 1), 13) e 24), 9, nn. 9) e 10), 14 e 16; Titolo VI e, in particolare, artt. 75, 78, 80, 81 e 82; artt. 103, 104 e 107 e relative norme di attuazione, tra le quali il d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266 (in particolare, artt. 2 e 4), il d.lgs. 16 marzo 1992, n. 268 (in particolare, artt. 9, 10 e 10-bis, 13, 17, 18 e 19) e il d.P.R. 26 marzo 1997, n. 235 (in particolare, art. 1-bis). Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' ed il consolidamento dei conti pubblici - Previsione che il fondo sperimentale di riequilibrio ed il fondo perequativo ed i trasferimenti erariali dovuti ai comuni della Regione Siciliana e della Regione Sardegna variano in ragione delle differenze di gettito stimato ad aliquota di base derivanti dalle disposizioni dell'articolo censurato e che in caso di incapienza ciascun comune versa all'entrata del bilancio dello Stato le somme residue - Previsione che, con le procedure stabilite dall'art. 5 della legge n. 42 del 2009, le Regioni Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta, nonche' le Province autonome di Trento e Bolzano, assicurano il recupero al bilancio statale del predetto maggior gettito dei comuni ricadenti nel proprio territorio e che fino all'emanazione delle norme di attuazione di cui allo stesso art. 27, a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi, e' accantonato un importo pari al maggior gettito di cui al precedente periodo - Ricorso della Provincia autonoma di Trento - Denunciata violazione dell'autonomia finanziaria provinciale disciplinata dallo Statuto e dalle relative norme di attuazione, nella parte in cui sottrae alla Provincia i nove decimi dell'imposta erariale e l'importo delle addizionali provinciale e comunale - Denunciata violazione del principio di leale collaborazione, per la mancata utilizzazione dello strumento dell'accordo con la Provincia. - Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 13, comma 17. - Costituzione, artt. 117, 118 e 119, in combinato disposto con l'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; Statuto della Regione Trentino-Alto Adige, artt. 8, nn. 1), 13) e 24), 9, nn. 9) e 10), 14, 16; Titolo VI e, in particolare artt. 75, 78, 80, 81 e 82; artt. 103, 104 e 107 e relative norme di attuazione, tra le quali il d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266 (in particolare, artt. 2 e 4), il d.lgs. 16 marzo 1992, n. 268 (in particolare, artt. 9, 10 e 10-bis, 13, 17, 18 e 19) e il d.P.R. 26 marzo 1997, n. 235 (in particolare, art. 1-bis). Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' ed il consolidamento dei conti pubblici - Istituzione del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi - Previsione che, a decorrere dall'anno 2013, il fondo sperimentale di riequilibrio ed il fondo perequativo ed i trasferimenti erariali dovuti ai comuni della Regione Siciliana e della Regione Sardegna sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di cui al comma 13 dell'articolo censurato - Previsione che in caso di incapienza ciascun comune versa all'entrata del bilancio dello Stato le somme residue - Previsione che, con le procedure stabilite dall'art. 5 della legge n. 42 del 2009, le Regioni Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta, nonche' le Province autonome di Trento e Bolzano, assicurano il recupero al bilancio statale del predetto maggior gettito dei comuni ricadenti nel proprio territorio e che fino all'emanazione delle norma di attuazione di cui allo stesso art. 27, a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi, e' accantonato un importo pari al maggior gettito di cui al precedente periodo - Ricorso della Provincia autonoma di Trento - Denunciata violazione dell'autonomia finanziaria provinciale disciplinata dallo Statuto e dalle relative norme di attuazione, per la sottrazione alla Provincia dei nove decimi dell'imposta erariale e dell'importo delle addizionali provinciale e comunale - Denunciata violazione del principio di leale collaborazione, per la mancata utilizzazione dello strumento dell'accordo con la Provincia. - Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 14, comma 13-bis. - Costituzione, artt. 117, 118 e 119, in combinato disposto con l'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; Statuto della Regione Trentino-Alto Adige, artt. 8, nn. 1), 13) e 24), 9, nn. 9) e 10), 14 e 16; Titolo VI e, in particolare, artt. 75, 78, 80, 81 e 82; artt. 103, 104 e 107 e relative norme di attuazione, tra le quali il d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266 (in particolare, artt. 2 e 4), il d.lgs. 16 marzo 1992, n. 268 (in particolare, artt. 9, 10 e 10-bis, 13, 17, 18 e 19) e il d.P.R. 26 marzo 1997, n. 235 (in particolare, art. 1-bis). Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' ed il consolidamento dei conti pubblici - Disposizioni in materia di enti e organismi pubblici - Previsione che le Regioni, le Province autonome di Trento e Bolzano e gli enti locali, negli ambiti di rispettiva competenza, adeguano i propri ordinamenti a quanto previsto dall'art. 6, comma 5, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122/2010, con riferimento alle Agenzie, agli enti ed agli organismi strumentali, comunque denominati, sottoposti alla loro vigilanza entro un anno dall'entrata in vigore del decreto censurato - Ricorso della Provincia autonoma di Trento - Denunciata violazione dell'autonomia finanziaria regionale disciplinata con norme statutarie - Denunciata violazione del principio di leale collaborazione. - Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 22, comma 3. - Costituzione, artt. 117, 118 e 119, in combinato disposto con l'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; statuto della Regione Trentino-Alto Adige, artt. 4, n. 1), 16, Titolo VI e, in particolare, artt. 69, 79, 103, 104 e 107 e relative norme di attuazione, tra le quali il d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266 (in particolare, artt. 2 e 4) e il d.lgs. 16 marzo 1992, n. 268 (in particolare, artt. 9, 10 e 10-bis). Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' ed il consolidamento dei conti pubblici - Concorso alla manovra degli Enti territoriali ed ulteriori riduzioni di spesa - Previsione che, con le procedure previste dall'art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano, assicurano, a decorrere dall'anno 2012, un concorso alla finanza pubblica di 860 milioni di euro annui - Previsione, altresi', che con le medesime procedure le Regioni Valle d'Aosta e Friuli-Venezia Giulia e le Province autonome di Trento e Bolzano, assicurano alla finanza pubblica un concorso di 60 milioni di euro annui, da parte di comuni ricadenti nel proprio territorio - Previsione che fino all'emanazione delle norme di attuazione di cui al predetto art. 27, l'importo complessivo di 920 milioni di euro e' accantonato, proporzionalmente alla media degli impegni finali registrata per ciascuna autonomia nel triennio 2007-2009 a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali e che per la Regione Siciliana si tiene conto della rideterminazione del fondo sanitario nazionale per effetto del comma 2 - Ricorso della Provincia autonoma di Trento - Denunciata ulteriore rilevante sottrazione di risorse alle Regioni speciali, in contrasto con il regime finanziario disciplinato dallo Statuto - Violazione del principio di leale collaborazione - Violazione del principio di uguaglianza relativamente alla previsione che addossa irragionevolmente alle altre autonomie speciali una quota parte del finanziamento della spesa sanitaria della Regione Siciliana. - Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 28, comma 3. - Costituzione, artt. 3, 117, 118 e 119, in combinato disposto con l'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; statuto della Regione Trentino-Alto Adige, artt. 4, n. 1), 16, Titolo VI e, in particolare, artt. 69, 79, 103, 104 e 107 e relative norme di attuazione, tra le quali il d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266 (in particolare, artt. 2 e 4) e il d.lgs. 16 marzo 1992, n. 268 (in particolare, artt. 9, 10 e 10-bis). Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' ed il consolidamento dei conti pubblici - Misure per lo sviluppo infrastrutturale - Previsione che ai fini del mantenimento della sicurezza il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare e d'intesa con le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, individua, entro il 30 giugno, in ordine di priorita' e sulla base anche dei progetti di gestione degli invasi, le grandi dighe per le quali siano necessarie ed urgenti l'adozione di interventi nonche' la rimozione dei sedimenti accumulatisi nei serbatoi - Previsione che le Regioni e le Province autonome nei cui territori sia stato rilevato il rischio di ostruzione degli organi di scarico individuano i siti per lo stoccaggio definitivo di tutto il materiale e sedimenti asportati in attuazione degli interventi eseguiti - Ricorso della Provincia autonoma di Trento - Denunciata interferenza di organi statali su beni e funzioni attribuiti dallo Statuto alla competenza provinciale primaria in materia di opere di prevenzione e di pronto soccorso per calamita' pubbliche e di opere idrauliche della terza, quarta e quinta categoria e concorrente in materia di opere idrauliche di prima e seconda categoria e di utilizzazione delle acque pubbliche - Denunciata violazione del principio di leale collaborazione per la mancanza della preventiva intesa con la Regione. - Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 43, comma 8. - Statuto della Regione Trentino-Alto Adige, artt. 8, nn. 13 e 24), 9, n. 9), e 16; d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381, artt. 1, 5, comma 1, 19 e da 33 a 37; d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266, artt. 2 e 4. Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' ed il consolidamento dei conti pubblici - Previsione che le maggiori entrate erariali, derivanti dal decreto-legge impugnato, siano riservate all'Erario, per un periodo di cinque anni, per essere destinate alle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea - Previsione che con apposito decreto del Ministero dell'economia e delle finanze sono stabilite le modalita' di individuazione del maggior gettito, attraverso separata contabilizzazione - Previsione, altresi', che, ferme restando le disposizioni degli artt. 13, 14 e 28, nonche' quelle recate dall'articolo impugnato, con le norme statutarie, sono definiti le modalita' di applicazione e gli effetti finanziari del D.L. impugnato per le regioni a statuto speciale e per le Province di Trento e Bolzano - Ricorso della Provincia autonoma di Trento - Denunciata lesione dell'autonomia finanziaria regionale disciplinata dallo Statuto e delle relative norme di attuazione - Denunciata deroga alle norme statutarie con una fonte primaria ordinaria - Denunciata violazione del principio di leale collaborazione per la mancanza della preventiva intesa con la Regione. - Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 48. - Costituzione, artt. 117, 118 e 119, in combinato disposto con l'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; statuto della Regione Trentino-Alto Adige, artt. 4, n. 1), 16, Titolo VI e, in particolare, artt. 69, 79, 103, 104 e 107 e relative norme di attuazione, tra le quali il d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266 (in particolare, artt. 2 e 4) e il d.lgs. 16 marzo 1992, n. 268 (in particolare, artt. 9, 10 e 10-bis).(GU n.13 del 28-3-2012 )
Ricorso della Provincia autonoma di Trento (cod. fisc. 00337460224), in persona del Presidente della Giunta provinciale pro tempore Lorenzo Dellai, autorizzato con deliberazione della Giunta provinciale 27 gennaio 2012, n. 112 (doc. 1), rappresentata e difesa, come da procura speciale n. rep. 27681 del 31 gennaio 2012 (doc. 2), rogata dal dott. Tommaso Sussarellu, Ufficiale rogante della Provincia, dall'avv. prof. Giandomenico Falcon (cod. fisc. FLCGDM45C06L736E) di Padova, dall'avv. Nicolo' Pedrazzoli (cod. fisc. PDRNCL56R01G428C) dell'Avvocatura della Provincia di Trento e dall'avv. Luigi Manzi (cod. fisc. MNZLGU34E15H501Y) di Roma, con domicilio eletto in Roma nello studio di questi in via Confalonieri n. 5; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale: dell'articolo 13, commi 11 e 17, terzo e quarto periodo; dell'articolo 14, comma 13-bis, terzo e quarto periodo; dell'articolo 22, comma 3; dell'articolo 28, comma 3; dell'articolo 43, comma 8; dell'articolo 48 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici, come convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, pubblicata nella G.U. n. 300 del 27 dicembre 2011 Per violazione: degli articoli 8, nn. 1), 13) e 24); 9, nn. 9) e 10); 14 e 16 dello Statuto speciale; del Titolo VI dello Statuto speciale, e in particolare degli articoli 75, 79, 80, 81 e 82; degli articoli 103, 104 e 107 del medesimo Statuto speciale; delle relative norme di attuazione, tra le quali il decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (in particolare, artt. 2 e 4), il decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (in particolare articoli 9, 10, 10-bis, 13, 17, 18 e 19), il d.P.R. n. 115/1973 (in particolare art. 8), il d.P.R. n. 381/1974 (in particolare artt. 5, 7, 18 e da 33 a 37), il d.P.R. n. 235/1977 (in particolare art. 1-bis); degli artt. 117, 118 e 119 Cost., in combinato disposto con l'art. 10 legge costituzionale n. 3/2001; dell'art. 2, comma 108, legge n. 191/2009; del principio di leale collaborazione, nei modi e per i profili di seguito illustrati. Fatto Il decreto-legge n. 201 del 2011, come risultante dalla legge di conversione n. 214 del 2011, contiene disposizioni di vario tipo, distribuite in quattro titoli: Sviluppo ed equita', Rafforzamento del sistema finanziario nazionale e internazionale, Consolidamento dei conti pubblici, Disposizioni per la promozione e la tutela della concorrenza. Tutte sono rivolte - come rivela il soprannome di decreto "salva Italia" che il Governo ha attribuito ad esso - a produrre un risultato utile per l'economia del Paese: e la Provincia autonoma di Trento, come parte del Paese, non puo' che augurarsi che le misure producano i risultati sperati. Allo sforzo collettivo necessario al conseguimento di tali risultati essa non intende certo sottrarsi. Al tempo stesso, tuttavia, essa non puo' rinunciare a chiedere che ogni contributo ad essa richiesto sia richiesto legittimamente, nel quadro e nel rispetto delle regole che disciplinano sotto il profilo finanziario - come sotto ogni altro profilo - i rapporti con lo Stato. Ed essa Ritiene che nei punti che formano oggetto della presente impugnazione le regole costituzionali e statutarie di tali rapporti non siano rispettate. In questa prospettiva, vengono qui in considerazione alcune disposizioni del Titolo III ("Consolidamento dei conti pubblici") ed alcune disposizioni del Titolo IV ("Disposizioni per la promozione e la tutela della concorrenza"). Quanto al Titolo III, si tratta dell'art. 13, recante Anticipazione sperimentale dell'imposta municipale propria, e dell'art. 14, recante Istituzione del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (entrambe facenti parte del Capo secondo Disposizioni in materia di maggiori entrate). Si tratta poi dell'art. 22, recante Altre disposizioni in materia di enti e organismi pubblici, facente parte del Capo terzo (Riduzioni di spesa. Costi degli apparati), nonche' dell'art. 28, recante Concorso alla manovra degli Enti territoriali e ulteriori riduzioni di spese, che forma ed esaurisce il capo VI (Concorso alla manovra degli Enti territoriali). Quanto al Titolo IV si tratta dell'art. 43, recante Alleggerimento e semplificazione delle procedure, riduzione dei costi e altre misure, e dell'art. 48, recante Clausola di finalizzazione, entrambi facenti parte del Capo IV, Misure per lo sviluppo infrastrutturale e rilevanti per il presente ricorso. Ad avviso della Provincia autonoma di Trento, le disposizioni succitate risultano lesive delle proprie prerogative costituzionali e statutarie per le seguenti ragioni di Diritto 1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 11, nonche' dell'art. 13, comma 17, terzo e quarto periodo. A) Premessa. Il passaggio alla nuova imposta e la sottrazione delle risorse al sistema locale. L'art. 13 regola l'Anticipazione sperimentale dell'imposta municipale propria, stabilendo (comma 1) che l'istituzione di tale imposta "e' anticipata, in via sperimentale, a decorrere dall'anno 2012, ed e' applicata in tutti i comuni del territorio nazionale fino al 2014 in base agli articoli 8 e 9 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, in quanto compatibili, ed alle disposizioni che seguono", e che conseguentemente, "l'applicazione a regime dell'imposta municipale propria e' fissata al 2015". Il riferimento a "tutti i comuni del territorio nazionale" induce a ritenere che l'art. 13 intenda applicarsi anche nella regione Trentino-Alto Adige. L'art. 8, comma 1, d.lgs. n. 23/2011, richiamato dall'art. 13, comma 1, ora citato, stabilisce che l'imposta municipale propria istituita dallo stesso articolo "sostituisce, per la componente immobiliare, l'imposta sul reddito delle persone tisiche e le relative addizionali dovute in relazione ai redditi fondiari relativi ai beni non locati, e l'imposta comunale sugli immobili". Dunque, l'Imup sostituisce - oltre all'ICI, gia' destinata ai Comuni - imposte destinate alla Provincia: o per nove decimi, come l'Irpef relativa ai redditi fondiari degli immobili non bacati (art. 75 Statuto) o interamente, come le addizionali provinciale e comunale relative ai redditi fondiari degli immobili non locati: va infatti ricordato che, in base all'art. 80, comma 1-ter, St., le addizionali altrimenti comunali spettano alla Provincia, nel quadro della sua complessiva competenza e responsabilita' in materia di finanza locale prevista dall'art. 80, comma 1. St. Peraltro, la Provincia di Trento non avrebbe titolo per contestare la trasformazione di determinati tributi erariali in tributi locali: lo Statuto assicura determinate quote di compartecipazione su tutti tributi erariali, ma non prescrive l'esistenza in particolare di determinati tributi erariali: e se lo Stato vi rinuncia, in favore della finanza comunale, tale rinuncia vale anche per la quota spettante alla Provincia di Trento. Sennonche', tale conclusione opera sino a che le risorse siano realmente attribuite ai comuni, come avviene nel disegno normativo originario dell'IMUP ai sensi degli artt. 8 e 9, d.lgs. n. 23/2011. Ove invece il reddito dell'imposta "municipale" sia assegnato allo Stato, ne risulta un complessivo impoverimento del sistema locale: dietro la "municipalizzazione", infatti, vi e' sempre l'imposta erariale, soltanto che il suo gettito viene sottratto alla Provincia autonoma, con evidente sostanziale violazione dell'art. 75 dello Statuto. E proprio questo accade con le nuove disposizioni dell'art. 13, comma 11. Esse, infatti, prevedono la riserva allo Stato di una quota dell'Imup. Ecco il testo della disposizione: "E' riservata allo Stato la quota di imposta pari alla meta' dell'importo calcolato applicando alla base imponibile di tutti gli immobili, ad eccezione dell'abitazione principale e delle relative pertinenze di cui al comma 7, nonche' dei fabbricati rurali ad uso strumentale di cui al comma 8, l'aliquota di base di cui al comma 6, primo periodo. La quota di imposta risultante e' versata allo Stato contestualmente all'imposta municipale propria. Le detrazioni previste dal presente articolo, nonche' le detrazioni e le riduzioni di aliquota deliberate dai comuni non si applicano alla quota di imposta riservata allo Stato di cui al periodo precedente. Per l'accertamento, la riscossione, i rimborsi, le sanzioni, gli interessi ed il contenzioso si applicano le disposizioni vigenti in materia di imposta municipale propria. Le attivita' di accertamento e riscossione dell'imposta erariale sono svolte dal comune al quale spettano le maggiori somme derivanti dallo svolgimento delle suddette attivita' a titolo di imposta, interessi e sanzioni" (enfasi aggiunta). Dal comma 11 risulta, dunque, che l'Imup ha in realta' natura mista, cioe' e' un'imposta per meta' municipale e per meta' erariale, in quanto i contribuenti versano direttamente allo Stato meta' dell'importo. L'indipendenza dell'imposta erariale da quella comunale risulta anche dalla circostanza che ad essa non si applichino le detrazioni e riduzioni di aliquota deliberate dai comuni, e la natura "erariale" della quota di Imup riservata allo Stato e' confermata espressamente dall'ultimo periodo del comma 11, appena citato, secondo il quale "le attivita' di accertamento e riscossione dell'imposta erariale sono svolte dal comune". Si e' appena visto che la meta' dell'Imup ha in realta' natura di imposta erariale. In realta', pero', dal comma 17 dell'art. 13 risulta che lo Stato non solo si trattiene la meta' "riservata" dell'importo, ma intende appropriarsi di tutto il maggior gettito, cioe' ogni importo eccedente le entrate che affluivano ai comuni della Provincia di Trento in base alle norme previgenti: ed intende farlo acquisendo tali fondi dalla Provincia. Infatti, il comma 17, terzo periodo, dispone - in relazione alle autonomie speciali competenti in materia di finanza locale - che "con le procedure previste dall'articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, le regioni Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta, nonche' le Province autonome di Trento e di Bolzano, assicurano il recupero al bilancio statale del predetto maggior gettito stimato dei comuni ricadenti nel proprio territorio". Ed il quarto periodo precisa che, "fino all'emanazione delle norme di attuazione di cui allo stesso articolo 27, a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali, e' accantonato un importo pari al maggior gettito stimato di cui al precedente periodo". Il quinto periodo, infine, prevede che "l'importo complessivo della riduzione del recupero di cui al presente comma e' pari per l'anno 2012 a 1.627 milioni di euro, per l'anno 2013 a 1.762,4 milioni di euro e per l'anno 2014 a 2.162 milioni di euro". Ora, benche' il riferimento alla "riduzione del recupero" appaia privo di senso, sembra da ritenere che i numeri indicati rappresentino la quantificazione del "recupero" a carico della autonomie speciali. Dunque, lo Stato ha provveduto a ristrutturare le imposte "immobiliari" e a rideterminare le basi imponibili, ma - nel periodo 2012-2014 - i maggiori incassi derivanti da questa operazione sono interamente destinati allo Stato, il quale in parte li riceve direttamente dai contribuenti in base alla riserva di cui al comma 11, in parte li riceve dalla Provincia con i meccanismi di "recupero" o "accantonamento" di cui al comma 17. Si noti che il comma 17 e' formulato in modo tale da poter essere inteso nel senso che l'importo Imup 2012 non debba essere confrontato con l'importo 2011 dei tributi sostituiti ma solo con l'importo dei tributi comunali sostituiti (cioe', l'Ici 2011). Se cosi' fosse, il taglio delle risorse assumerebbe un carattere del tutto particolare rispetto alla Provincia di Trento (ed ovviamente a quella di Bolzano). Infatti, delle tre componenti sostituite dall'Imup (cioe' l'Irpef fondiaria, le addizionali provinciali e comunali e l'ICI), soltanto l'ICI era precedentemente destinata direttamente ai comuni, mentre sia le risorse derivanti dall'Irpef fondiaria che quelle derivanti dalle addizionali pervenivano poi ai comuni per il tramite del finanziamento provinciale. Ne risulta che - concentrata la fiscalita' nell'Imup - il "maggior gettito stimato dei comuni" della Provincia sara' particolarmente elevato, comprendendo anche il gettito dei tributi che prima costituivano entrate della Provincia. In entrambi i casi, tributi spettanti al sistema provinciale in base allo Statuto e alle norme di attuazione sono illegittimamente avocati allo Stato, come di seguito si illustra. B) Illegittimita' costituzionale del comma 11, nella parte in cui non assegna alla Provincia i nove decimi dell'imposta erariale. Poste le premesse appena illustrate, viene in considerazione in primo luogo l'illegittimita' costituzionale del comma 11, nella parte in cui considera tributo erariale la quota del 50% dell'Imup. L'art. 75 dello Statuto speciale dispone che "sono attribuite alle province le seguenti quote del gettito delle sottoindicate entrate tributarie dello Stato, percette nei rispettivi territori provinciali: ... g) i nove decimi di tutte le altre entrate tributarie erariali, dirette o indirette, comunque denominate, inclusa l'imposta locale sui redditi, ad eccezione di quelle di spettanza regionale o di altri enti pubblici". La natura "erariale" della quota di Imup riservata allo Stato risulta da quanto esposto sopra ed e' confermata testualmente - come gia' visto - dall'ultimo periodo del comma 11, secondo il quale "le attivita' di accertamento e riscossione dell'imposta erariale sono svolte dal comune". Dunque, la quota di Imup riservata allo Stato dall'art. 13, comma 11, rientra evidentemente tra le "entrate tributarie erariali, dirette o indirette, comunque denominate", di cui all'art. 75, comma 1, lettera g), St. In questi termini, i nove decimi di essa sono destinati alla Provincia, ai sensi dell'art. 75 Statuto: ma il comma 11 sembra contraddire tale destinazione, e l'assenza di clausole di salvaguardia rende difficoltosa un'interpretazione conforme a Statuto. Del resto, si puo' qui ricordare che la sentenza di codesta Corte n. 152 del 2011 ha ritenuto l'applicabilita' anche nella Regione siciliana di norme che riservavano all'erario il gettito di tributi compartecipati dalla Regione Sicilia, "posto che il decreto-legge in esame non contiene alcuna formula che possa configurarsi quale clausola di salvaguardia delle attribuzioni delle Regioni ad autonomia speciale". Percio' il comma 11, primo periodo, si pone in contrasto con l'art. 75, comma 1, lettera g) dello Statuto, ed e' dunque costituzionalmente illegittimo. La fondatezza della censura sopra esposta non potrebbe essere contestata facendo valere la clausola di possibile riserva all'erario statale prevista dalle norme di attuazione di cui al d.lgs. n. 268/1992. Per quanto qui rileva, infatti, l'art. 9 di tale decreto dispone che gettito derivante da maggiorazioni di aliquote o dall'istituzione di nuovi tributi, se destinato per legge, per finalita' diverse da quelle di cui al comma 6 dell'art. 10 e al comma 1, lettera b), dell'art. 10-bis, alla copertura, ai sensi dell'art. 81 della Costituzione, di nuove specifiche spese di carattere non continuativo che non rientrano nelle materie di competenza della regione o delle province, ivi comprese quelle relative a calamita' naturali, e' riservato allo Stato, purche' risulti temporalmente delimitato, nonche' contabilizzato distintamente nel bilancio statale e quindi quantificabile"; si aggiunge poi che "fuori dei casi contemplati nel presente articolo si applica quanto disposto dagli articoli 10 e 10-bis ". Per una piu' completa comprensione di questa clausola conviene ricordare che l'art. 10 regolava la "quota variabile" di cui all'art. 78 dello Statuto, quota che e' stata soppressa dall'art. 1, comma 107, della legge n. 191 del 2009 (comma emanato ai sensi dell'art. 104 dello Statuto di autonomia), come parte del contributo delle Province autonome al conseguimento degli obbiettivi di perequazione e di stabilita'. In relazione ad essa il comma 6 dell'art. 10 stabiliva che "una quota del previsto incremento del gettito tributario, escludendo comunque gli incrementi derivanti dall'evoluzione tendenziale, spettante alle province autonome e derivante dalle manovre correttive di finanza pubblica previste dalla legge finanziaria e dai relativi provvedimenti collegati, nonche' dagli altri provvedimenti legislativi aventi le medesime finalita' e non considerati ai fini della determinazione dell'accordo relativo all'esercizio finanziario precedente, da valutarsi al netto delle eventuali previsioni di riduzione di gettito conseguenti all'applicazione di norme connesse, puo' essere destinata, limitatamente agli esercizi previsti dall'accordo, al raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica previsti dai precedenti provvedimenti". A sua volta, l'art. 10-bis dispone che "entro la data di cui al comma 2 dell'art. 10 e' altresi' definito l'accordo tra il Governo e il presidente della giunta regionale che individua: a) la quota da destinare al bilancio dello Stato del gettito tributario derivante da maggiorazioni di aliquote di tributi o dall'istituzione di nuovi tributi, se destinato per legge alla copertura, ai sensi dell'art. 81 della Costituzione, delle spese di cui all'art. 9, qualora il predetto gettito non risulti distintamente contabilizzato nel bilancio dello Stato, ovvero temporalmente delimitato; b) l'eventuale quota delle spese derivanti dall'esercizio delle funzioni statali delegate alla regione, che rimane a carico del bilancio della regione medesima, in relazione alle disposizioni di cui al comma 6 dell'art. 10, da determinarsi nei limiti del previsto incremento del gettito tributario derivante dalle manovre correttive di finanza pubblica, nonche' tenuto conto della quota di cui alla lettera a)". In altre parole, sin da prima della modifica dello Statuto concordata nel 2009 tra lo Stato e la Regione e le Province autonome (e tradotta - a termini dell'art. 104 dello Statuto - nelle pertinenti disposizioni della legge n. 191 del 2009) solo attraverso lo strumento dell'accordo possono essere riservate risorse allo Stato, secondo le disposizioni degli artt. 10 e 10-bis dello stesso d.lgs. n. 268/1992, al di fuori dei rigorosi presupposti per la riserva all'erario di cui all'art. 9 del d.lgs. n. 268/1992. Ad avviso della ricorrente Provincia risulta evidente che in relazione alla quota erariale dell'Imup non sussistono i requisiti posti dall'art. 9, d.lgs. n. 268/1992 per la riserva all'erario del "gettito derivante da maggiorazioni di aliquote o dall'istituzione di nuovi tributi". Tali requisiti sono stati sintetizzati dalla sentenza di codesta Corte n. 182/2010, secondo la quale "tale articolo richiede, per la legittimita' della riserva statale, che: a) detta riserva sia giustificata da «finalita' diverse da quelle di cui al comma 6 dell'art. 10 e al comma 1, lettera b), dell'art. 10-bis» dello stesso d.lgs. n. 268 del 1992, e cioe' da finalita' diverse tanto dal «raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica» (art. 10, comma 6) quanto dalla copertura di «spese derivanti dall'esercizio delle funzioni statali delegate alla regione» (art. 10-bis, comma 1, lettera b); b) il gettito sia destinato per legge «alla copertura, ai sensi dell'art. 81 della Costituzione, di nuove specifiche spese di carattere non continuativo che non rientrano nelle materie di competenza della regione o delle province, ivi comprese quelle relative a calamita' naturali»; e) il gettito sia «temporalmente delimitato, nonche' contabilizzato distintamente nel bilancio statale e quindi quantificabile»". Ora, l'art. 13 non contiene alcuna specifica destinazione, ne' alcuna ulteriore particolare disposizione che possa riferirsi all'applicazione dell'art. 9 del d.lgs. n. 268 del 1992: sicche' da questo punto di vista e' chiara l'illegittimita' della riserva. Non varrebbe neppure replicare che la "finalizzazione" delle maggiori entrate derivanti dalla applicazione del decreto-legge n. 201 del 2011 e' stabilita dall'art. 48, comma 1, secondo il quale "le maggiori entrate erariali derivanti dal presente decreto sono riservate all'Erario, per un periodo di cinque anni, per essere destinate alle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, anche alla luce della eccezionalita' della situazione economica internazionale", e che lo stesso comma precisa che "con apposito decreto del Ministero dell'economia e delle finanze ... sono stabilite le modalita' di individuazione del maggior gettito, attraverso separata contabilizzazione". Risulta infatti evidente che la destinazione alle "esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea" non coincide affatto con la destinazione a "nuove specifiche spese di carattere non continuativo", e che la riserva non ha affatto «finalita' diverse da quelle di cui al comma 6 dell'art. 10 e al comma 1, lettera b), 10-bis» dello stesso d.lgs. n. 268 del 1992. Ci si limita qui a questa sintetica evidenziazione, in quanto l'art. 48, comma 1, si riferisce anche ad altre maggiori entrate, ulteriori rispetto alla speciale disciplina dell'art. 13, comma 11, ed e' percio' oggetto di specifica impugnazione: sia percio' consentito di rinviare a quella sede la piu' ampia argomentazione. C) In particolare, ancora illegittimita' costituzionale del comma 11, nella parte in cui riserva ai comuni le attivita' di accertamento e riscossione e assegna ai Comuni le maggiori entrate connesse a tali attivita'. Oltre che per la riserva allo Stato, l'art. 13, comma 11, risulta lesivo anche per quel che dispone l'ultimo periodo di esso, secondo cui "le attivita' di accertamento e riscossione dell'imposta erariale sono svolte dal comune al quale spettano le maggiori somme derivanti dallo svolgimento delle suddette attivita' a titolo di imposta, interessi e sanzioni". L'art. 82 St. stabilisce che "le attivita' di accertamento dei tributi nel territorio delle province sono svolte sulla base di indirizzi e obiettivi strategici definiti attraverso intese tra ciascuna provincia e il Ministro dell'economia e delle finanze e conseguenti accordi operativi con le agenzie fiscali"; una disciplina integrativa e' contenuta nell'art. 13 d.lgs. n. 268/1992. Dunque, l'ultimo periodo del comma 11 viola l'art. 82 St., regolando direttamente un'attivita' di accertamento di tributi (la quota di IMUP avente natura erariale) nel territorio provinciale. Inoltre, la norma in questione viola l'art. 75, comma 1, lettera g) St. la' dove attribuisce ai comuni "le maggiori somme derivanti dallo svolgimento delle suddette attivita' a titolo di imposta, interessi e sanzioni". Infatti, si tratta di somme comunque rientranti tra le entrate erariali di cui all'art. 75, comma 1, lettera g), per cui i 9/10 di esse spettano alla Provincia. Non si tratta, cioe', di maggiori entrate che derivano dall'aumento delle aliquote o dall'introduzione di nuovi tributi, ma semplicemente di entrate che derivano da un piu' rigoroso accertamento degli obblighi tributari preesistenti, il cui gettito deve seguire la destinazione impressa dallo Statuto e non puo' essere discrezionalmente attribuito dallo Stato. La fondatezza di tale censura e' confermata anche dalla sentenza di codesta Coste costituzionale n. 152/2011, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 1, comma 6, del decreto-legge n. 40 del 2010, "nella parte in cui stabilisce che le entrate derivanti dal recupero dei crediti d'imposta «sono riversate all'entrata del bilancio dello Stato e restano acquisite all'erario», anche con riferimento a crediti d'imposta inerenti a tributi che avrebbero dovuto essere riscossi nel territorio della Regione siciliana". La sentenza precisa che "e' alla Regione siciliana ... che spetta, non solo provvedere al detto recupero, ma anche acquisire il gettito da esso derivante, posto che tale gettito, lungi dal costituire frutto di una nuova entrata tributaria erariale, non e' altro che l'equivalente del gettito del tributo previsto (al di fuori dei casi nei quali e' concesso il credito d'imposta), che compete alla Regione sulla base e nei limiti dell'art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965". La medesima sent. 152/2011 ha poi annullato l'art. 3, comma 2-bis, decreto-legge 40/2010, in quanto "la previsione della esclusiva destinazione a fondi erariali del gettito derivante dalla definizione agevolata di tali controversie inerenti alla contestazione di tributi erariali che avrebbero dovuto essere riscossi nel territorio regionale si pone in contrasto con il principio di cui all'art. 2 delle norme di attuazione, non potendo peraltro neppure ritenersi che le entrate derivanti dalla richiamata definizione agevolata delle controversie tributarie siano "entrate nuove". D) Illegittimita' costituzionale del comma 17, terzo e quarto periodo, L'art. 13, comma 17, decreto-legge 201/2011 dispone che "il fondo sperimentale di riequilibrio, come determinato ai sensi dell'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, e il fondo perequativo, come determinato ai sensi dell'articolo 13 del medesimo decreto legislativo n. 23 del 2011, ed i trasferimenti erariali dovuti ai comuni della Regione Siciliana e della Regione Sardegna variano in ragione delle differenze del gettito stimato ad aliquota di base derivanti dalle disposizioni di cui al presente articolo"; si aggiunge che "in caso di incapienza ciascun comune versa all'entrata del bilancio dello Stato le somme residue". Tale disposizione e' scritta in modo oscuro (i fondi ed i trasferimenti "variano", i comuni versano "le somme residue"): ma in definitiva sembra significare che o attraverso la riduzione dei trasferimenti dallo Stato o (se la riduzione non basta) attraverso trasferimenti dagli stessi Comuni, lo Stato incamera tutto cio' che per effetto delle nuove regole ai Comuni affluisca in misura maggiore di prima. Ma essa non e' qui impugnata, in quanto non riguarda la Provincia di Trento. Per la Provincia - come per le altre autonomie speciali aventi competenza in materia di finanza locale - vale invece, come sopra visto, l'art. 13, comma 17, terzo periodo: il quale dispone direttamente che "con le procedure previste dall'articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, le regioni Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta, nonche' le Province autonome di Trento e di Bolzano, assicurano il recupero al bilancio statale del predetto maggior gettito stimato dei comuni ricadenti nel proprio territorio". Il quarto periodo aggiunge che, "fino all'emanazione delle norme di attuazione di cui allo stesso articolo 27, a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali, e' accantonato un importo pari al maggior gettito stimato di cui al precedente periodo". Dunque, lo Stato non solo trattiene la parte erariale dell'Imup (in base al comma 11), ma vorrebbe incamerare dalla Provincia anche l'imposta comunale, per tutto l'importo eccedente le entrate che affluivano ai comuni in base alle norme previgenti. Come si e' gia' notato, il comma 17 e' formulato in modo tale da poter essere inteso nel senso che l'importo Imup 2012 non debba essere confrontato con l'importo 2011 dei tributi sostituiti ma solo con l'importo dei tributi comunali sostituiti (cioe', l'Ici 2011). Se cosi' fosse, la Provincia e i suoi enti locali risulterebbero depauperati: dei nove decimi dell'Irpef sui redditi immobiliari, soppressi; delle addizionali provinciale e comunale precedentemente previste (la seconda era incassata dalla Provincia in luogo dei comuni). Inoltre, il comma 17 potrebbe essere interpretato anche nel senso che dal gettito precedente sia esclusa la somma che perveniva ai comuni (tramite le Province autonome) ai sensi dell'art. 1, comma 4, decreto-legge n. 98/2008, che aveva previsto un fondo sostituivo delle entrate comunali relative all'ICI sull'abitazione principale (norma ora abrogata dall'art. 13, comma 14, lettera a, del decreto-legge n. 201 del 2011). Se cosi' fosse, ne risulterebbe un ulteriore rilevante depauperamento del sistema provinciale. In questi termini, la fittizia comunalizzazione dei tributi immobiliari si traduce nel transito delle corrispondenti risorse dal bilancio provinciale al bilancio statale. La Provincia, che prima "integrava" la finanza locale avvalendosi delle predette risorse, ora ne e' priva ma dovra' comunque far fronte alle necessita' finanziarie dei comuni (art. 81, comma 2, St.), e dovrebbe contestualmente versare allo Stato proprie risorse in misura corrispondente alle maggiori entrate dei Comuni, o comunque in misura corrispondente a quella a priori determinata dalla impugnata disposizione. In un sistema nel quale la Provincia ha la responsabilita' complessiva della finanza locale, la sottrazione ai comuni delle risorse derivanti dalle imposte ad essi destinate costituisce contemporaneamente una lesione dell'autonomia finanziaria provinciale. In ogni modo, il terzo e quarto periodo del comma 17, dunque, violano l'art. 75 St. e gli artt. 9 e 10 d.lgs. n. 268/1992 perche' pretendono di avocare allo Stato risorse di spettanza provinciale, al di fuori dei casi previsti. Cio' e' vero sia nel caso in cui si ritenga che il comma 17 produca l'effetto di avocare allo Stato le risorse che prima spettavano alla Provincia a titolo di compartecipazione all'Irpef fondiaria (art. 75 St.) e di addizionali provinciale e comunale (art. 80, comma 1-ter), sia nel caso in cui si ritenga che la Provincia dovrebbe assicurare il recupero allo Stato del maggior gettito con le proprie risorse ordinarie, per cui il comma 17 produce l'effetto di "far tornare" nelle casse statali risorse spettanti alla Provincia e ad essa affluite in attuazione delle regole finanziarie poste dallo Statuto e dalle norme di attuazione (comma 17, terzo periodo). Inoltre, essi violano l'art. 79 St. perche' l'avocazione e' disposta con il fine del concorso al risanamento della finanza pubblica, mentre la norma statutaria configura un sistema completo di concorso delle Province agli obiettivi di finanza pubblica, non derogabile se non con le modalita' previste dallo Statuto. Ancora, essi violano gli artt. 103, 104 e 107 St., proprio perche' pretendono di derogare agli artt. 75 e 79 St. e al d.lgs. n. 268/1992 con una fonte primaria "ordinaria". L'art. 107 St. e' violato anche perche' il comma 17, terzo periodo, pretende di vincolare unilateralmente il contenuto delle norme di attuazione. Una menzione separata e specifica richiede l'illegittimita' del quarto periodo del comma 17 che prevede lo "accantonamento" delle quote di compartecipazione previste dall'art. 75 Statuto. Va rilevato, infatti, che tale "accantonamento" contrasta anch'esso frontalmente con l'art. 75 dello Statuto e con l'intero sistema finanziario della Provincia da esso istituito. E' evidente, infatti, che le risorse che lo Statuto prevede come entrate provinciali sono cosi' stabilite perche' esse vengano utilizzate dalla Provincia per lo svolgimento delle sue funzioni costituzionali, e non perche' esse vengano "accantonate". L'istituto dell'accantonamento non ha nel sistema statutario cittadinanza alcuna. Inoltre, l'illegittimita' del trasferimento previsto determina anche l'illegittimita' dell'accantonamento disposto nella prospettiva del trasferimento. 2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 13-bis, terzo e quarto periodo. L'art. 14, comma 1, decreto-legge 201/2011 stabilisce che "a decorrere dal 1° gennaio 2013 e' istituito in tutti i comuni del territorio nazionale il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi, a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni, e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni". Il comma 8 dispone che "il tributo e' corrisposto in base a tariffa" ed i commi successivi regolano la determinazione della tariffa (il comma 12 rinvia, a tal fine, ad un regolamento). Il comma 13 statuisce che "alla tariffa determinata in base alle disposizioni di cui ai commi da 8 a 12, si applica una maggiorazione pari a 0,30 euro per metro quadrato, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni, i quali possono, con deliberazione del consiglio comunale, modificare in aumento la misura della maggiorazione fino a 0,40 euro, anche graduandola in ragione della tipologia dell'immobile e della zona ove e' ubicato". Tali commi riguardano il regime generale del tributo, e non sono oggetto di impugnazione. Oggetto di impugnazione e' invece - per la parte che interessa la Provincia autonoma di Trento - il comma 13-bis, il quale dispone quanto segue: "a decorrere dall'anno 2013 il fondo sperimentale di riequilibrio, come determinato ai sensi dell'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, e il fondo perequativo, come determinato ai sensi dell'articolo 13 del medesimo decreto legislativo n. 23 del 2011, ed i trasferimenti erariali dovuti ai comuni della Regione Siciliana e della Regione Sardegna sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di cui al comma 13 del presente articolo. In caso di incapienza ciascun comune versa all'entrata del bilancio dello Stato le somme residue. Con le procedure previste dall'articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, le regioni Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta, nonche' le Province autonome di Trento e di Bolzano, assicurano il recupero al bilancio statale del predetto maggior gettito dei comuni ricadenti nel proprio territorio. Fino all'emanazione delle norme di attuazione di cui allo stesso articolo 27, a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali, e' accantonato un importo pari al maggior gettito di cui al precedente periodo". Dunque, in base al terzo e quarto periodo dell'art. 13-bis la Provincia di Trento dovrebbe versare al bilancio dello Stato - a "compenso" di maggiori entrate dei Comuni - risorse dal proprio bilancio. Come si vede, si tratta di disposizioni simili a quelle di cui all'art. 13, comma 17, terzo e quarto periodo, sopra censurate, con la differenza che, nel caso del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi, il recupero al bilancio statale della maggiorazione e' previsto in modo stabile. Vanno richiamati, dunque, i motivi gia' svolti con riferimento all'art. 13, comma 17, terzo e quarto periodo. Per tali trasferimenti al bilancio dello Stato di entrate che spettano alla Provincia a termini di Statuto non vi e' alcun fondamento statutario, ma vi e' invece violazione dello Statuto: il quale assegna determinate entrate alla Provincia affinche' essa ne disponga per l'esercizio delle proprie funzioni, e non per versarle al bilancio dello Stato. Per il concorso ai bisogni della finanza pubblica sono previsti appositi meccanismi dall'art. 79 Statuto, mentre l'art. 14, comma 13-bis, terzo e quarto periodo, stravolge unilateralmente l'assetto dei rapporti tra Stato e Provincia in materia finanziaria disegnato dallo Statuto. Il terzo e quarto periodo del comma 13-bis, dunque, violano l'art. 75 St. e gli artt. 9 e 10 d.lgs. n. 268/1992 perche' pretendono di avocare allo Stato risorse di spettanza provinciale, al di fuori dei casi previsti. Infatti, la Provincia dovrebbe assicurare il recupero allo Stato della maggiorazione standard con le proprie risorse ordinarie, per cui il comma 17 produce l'effetto di "far tornare" nelle casse statali risorse affluite alla Provincia in attuazione delle regole finanziarie poste dallo Statuto e dalle norme di attuazione (comma 13-bis, terzo periodo). Inoltre, essi violano l'art. 79 St. perche' l'avocazione e' disposta con l'implicito fine di concorrere al risanamento della finanza pubblica, mentre la norma statutaria configura un sistema completo di concorso delle Province agli obiettivi di finanza pubblica, non derogabile se non con le modalita' previste dallo Statuto. Ancora, essi violano gli artt. 103, 104 e 107 St., proprio perche' pretendono di derogare agli artt. 75 e 79 St. e al d.lgs. n. 268/1992 con una fonte primaria "ordinaria". L'art. 107 St. e' violato anche perche' il comma 13-bis, terzo periodo, pretende di vincolare unilateralmente il contenuto delle norme di attuazione. Come gia' osservato per l'art. 13, comma 17, e' poi palese l'illegittimita' del quarto periodo del comma 13-bis dell'art. 14 che, prevedendo l'accantonamento sulle entrate provinciali e sulle quote di compartecipazione previste dall'art. 75 St., contrasta frontalmente con tale norma costituzionale e con il sistema finanziario previsto dallo Statuto, per le stesse ragioni sopra enunciate.I 3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 22, comma 3. L'art. 22 e' inserito nel capo III (Riduzioni di spesa. Costi degli apparati) del titolo III. Il comma 3 di esso, qui impugnato, stabilisce che "le Regioni, le Province autonome di Trento e Bolzano e gli Enti locali, negli ambiti di rispettiva competenza, adeguano i propri ordinamenti a quanto previsto dall'articolo 6, comma 5, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, ... con riferimento alle Agenzie, agli enti e agli organismi strumentali, comunque denominati, sottoposti alla loro vigilanza entro un anno dall'entrata in vigore del presente decreto". L'art. 6, comma 5, decreto-legge 78/2010, cosi' richiamato, dispone che "tutti gli enti pubblici, anche economici, e gli organismi pubblici, anche con personalita' giuridica di diritto privato, provvedono all'adeguamento dei rispettivi statuti al fine di assicurare che, a decorrere dal primo rinnovo successivo alla data di entrata in vigore dei presente decreto, gli organi di amministrazione e quelli di controllo, ove non gia' costituiti in forma monocratica, nonche' il collegio dei revisori, siano costituiti da un numero non superiore, rispettivamente, a cinque e a tre componenti". Dispone ancora che in ogni caso, "le Amministrazioni vigilanti provvedono all'adeguamento della relativa disciplina di organizzazione, mediante i regolamenti di cui all'articolo 2, comma 634, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, con riferimento a tutti gli enti ed organismi pubblici rispettivamente vigilati, al Cine di apportare gli adeguamenti previsti ai sensi del presente comma". Dispone infine che "la mancata adozione dei provvedimenti di adeguamento statutario o di organizzazione previsti dal presente comma nei termini indicati determina responsabilita' erariale e tutti gli atti adottati dagli organi degli enti e degli organismi pubblici interessati sono nulli". In sostanza, l'art. 22, comma 3, impone alle Province autonome e agli enti locali situati nel loro territorio di adeguare i propri ordinamenti in modo che gli enti pubblici (o comunque gli organismi strumentali) sottoposti alla loro vigilanza abbiano organi di amministrazione e controllo costituiti da un numero fisso e ridotto di componenti. Tale vincolo appare di per se' illegittimo gia' in quanto riferito alle autonomie regionali in generale, ivi comprese le Regioni ordinarie. Le ragioni di tale illegittimita' risultano chiaramente sent. 182/2011 di codesta ecc.ma Corte costituzionale, riferita a fattispecie corrispondente a quella oggetto della disposizione. In tale sentenza codesta ecc. Corte ha rilevato "interventi analoghi per i contenuti a quelli operati dalle diverse disposizioni dell'art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010, disposti negli anni trascorsi dal legislatore statale, non sono stati in grado di superare il vaglio di legittimita' costituzionale, data l'indebita compressione dell'autonomia finanziaria delle Regioni che con essi veniva realizzata", e che in particolare, "sono state ritenute illegittime, nella parte in cui pretendevano di imporsi al sistema regionale, rigide misure concernenti ... il numero massimo degli amministratori di societa' partecipate dalla Regione (sentenza n. 159 del 2008)". Secondo la Corte, l'art. 6 "puo' rispettare il riparto concorrente della potesta' legislativa in tema di coordinamento della finanza pubblica, solo a condizione di permettere l'estrapolazione, dalle singole disposizioni statali, di principi rispettosi di uno spazio aperto all'esercizio dell'autonomia regionale". Ne risulta che l'art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010 "non intende imporre alle Regioni l'Osservanza puntuale ed incondizionata dei singoli precetti di cui si compone e puo' considerarsi espressione di un principio fondamentale della finanza pubblica in quanto stabilisce, rispetto a specifiche voci di spesa, limiti puntuali che si applicano integralmente allo Stato, mentre vincolano le Regioni, le Province autonome e gli enti del Servizio sanitario nazionale solo conte limite complessivo di spesa". In sostanza, il comma 20 dell'art. 6 "autorizza le Regioni, le Province autonome e gli enti del Servizio sanitario nazionale ... a determinare, sulla base di una valutazione globale dei limiti di spesa puntuali dettati dall'art. 6, l'ammontare complessivo dei risparmi da conseguire e, quindi, a modulare in modo discrezionale, tenendo fermo quel vincolo, le percentuali di riduzione delle singole voci di spesa contemplate nell'art. 6". Da tali considerazioni ed argomentazioni risulta chiaramente l'illegittimita' di una norma che pretende di vincolare le Regioni specificamente al rispetto di uno dei vincoli posti dall'art. 6, cioe' a quello risultante dal comma 5 di esso: infatti, si tratta di un limite ad una voce minuta di spesa, non transitorio e che non lascia margine di scelta alle Regioni, indicando gia' il modo per conseguire il risparmio. E' dunque evidente che l'art. 6, comma 5, non puo' essere considerato principio di coordinamento della finanza pubblica e, dunque, non puo' far scattare un dovere di adeguamento anche a prescindere da quanto disposto dall'art. 79 dello Statuto speciale. L'illegittimita' della norma e' altrettanto palese se considerata in relazione allo Statuto speciale. L'art. 79 dello Statuto, introdotto dalla legge n. 191 del 2009 con la procedura prevista dall'art. 104 dello Statuto, disciplina esaustivamente il concorso della Provincia "al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarieta' e all'esercizio dei diritti e dei doveri dagli stessi derivanti nonche' all'assolvimento degli obblighi di carattere finanziario posti dall'ordinamento comunitario, dal patto di stabilita' interno e dalle altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite dalla normativa statale" (comma 1), stabilendo che "le misure di cui al comma 1 possono essere modificate esclusivamente con la procedura prevista dall'articolo 104 e fino alla loro eventuale modificazione costituiscono il concorso agli obiettivi di finanza pubblica di cui al comma 1" (comma 2). Il comma 3 aggiunge che, "al fine di assicurare il concorso agli obiettivi di finanza pubblica, la regione e le province concordano con il Ministro dell'economia e delle finanze gli obblighi relativi al patto di stabilita' interno con riferimento ai saldi di bilancio da conseguire in ciascun periodo", e che, "fermi restando gli obiettivi complessivi di finanza pubblica, spetta alle province stabilire gli obblighi relativi al patto di stabilita' interno e provvedere alle funzioni di coordinamento con riferimento agli enti locali, ai propri enti e organismi strumentali, alle aziende sanitarie, alle universita' non statali ..., alle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e agli altri enti od organismi a ordinamento regionale o provinciale finanziati dalle stesse in via ordinaria". Si ribadisce inoltre che "non si applicano le misure adottate per le regioni e per gli altri enti nel restante territorio nazionale" e si precisa che "le province vigilano sul raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica da parte degli enti di cui al presente comma ed esercitano sugli stessi il controllo successivo sulla gestione". Anche dal comma 4 risulta che le disposizioni statali relative all'attuazione degli obiettivi di perequazione e di solidarieta', nonche' al rispetto degli obblighi derivanti dal patto di stabilita' interno, non trovano applicazione con riferimento alla regione e alle province e sono in ogni caso sostituite da quanto previsto dal presente articolo". Infine, lo stesso comma 4 precisa, per i rapporti con le norme statali che non siano direttamente misure di finanza pubblica, che "la regione e le province provvedono alle finalita' di coordinamento della finanza pubblica contenute in specifiche disposizioni legislative dello Stato, adeguando la propria legislazione ai principi costituenti limiti ai sensi degli articoli 4 e 5". Dunque, poiche' l'art. 22, comma 3, contiene una norma che e' chiaramente volta al coordinamento finanziario, l'applicazione di essa alla Provincia si pone in contrasto con l'art. 79 St.: in particolare - per quel che riguarda gli enti ed organismi sottoposti alla vigilanza della Provincia - con il comma 1, con il comma 2 e con il comma 3, secondo e terzo periodo, perche' si introduce per la Provincia un'ulteriore modalita' di concorso agli obiettivi di finanza pubblica, diversa ed aggiuntiva rispetto a quelle previste dal predetto articolo 79, e si parificano le Province autonome alle Regioni ordinarie, mentre l'art. 79 in piu' punti esclude l'applicazione alle Province delle misure valevoli per le altre Regioni. In relazione agli enti ed organismi sottoposti alla vigilanza degli enti locali situati nella provincia, l'art. 22, comma 3, viola l'art. 79, comma 3, secondo e terzo periodo, in quanto nel potere di coordinamento finanziario degli enti locali e' chiaramente ricompreso quello di coordinamento finanziario degli enti strumentali degli enti locali. Non si possono estendere, dunque, al territorio provinciale le misure riguardanti in generale gli enti locali. Il contrasto tra l'art. 22, comma 3, dell'impugnato decreto-legge e l'art. 79 St. comporta anche la violazione degli artt. 103, 104 e 107 dello Statuto e del principio di leale collaborazione, perche' una fonte primaria ordinaria, adottata unilateralmente, non e' abilitata a derogare ad una norma statutaria, adottata con la speciale procedura di cui all'art. 104 St. E' anche da ricordare che la Provincia di Trento e' titolare di competenza legislativa primaria in materia di organizzazione amministrativa, compresa quella degli enti collegati (art. 8, n. 1, St.) e di potesta' legislativa concorrente in materia di finanza locale (art. 80, St., integrato dall'art. 17, comma 3, d.lgs. n. 268/1992, secondo il quale "le province disciplinano con legge i criteri per assicurare un equilibrato sviluppo della finanza comunale"), esercitata con la l.p. 36/1993 (v. in particolare l'art. 3). L'art. 22, comma 3, viola queste norme, perche' pretende di vincolare la Provincia, in materie provinciali, ad una norma di dettaglio, che - come visto nella prima parte di questo motivo - non puo' essere qualificata come principio fondamentale e, dunque, non puo' condizionare la potesta' concorrente e tanto meno quella primaria. 4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 28, comma 3. L'art. 28 ha ad oggetto il Concorso alla manovra degli Enti territoriali e ulteriori riduzioni di spese. Il comma 3 stabilisce quanto segue: "Con le procedure previste dall'articolo 27, della legge 5 maggio 2009, n. 42, le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano assicurano, a decorrere dall'anno 2012, un concorso alla finanza pubblica di euro 860 milioni annui. Con le medesime procedure le Regioni Valle d'Aosta e Friuli-Venezia Giulia e le Province autonome di Trento e Bolzano assicurano, a decorrere dall'anno 2012, un concorso alla finanza pubblica di 60 milioni di euro annui, da parte dei Comuni ricadenti nei proprio territorio. Fino all'emanazione delle norme di attuazione di cui al predetto articolo 27, l'importo complessivo di 920 milioni e' accantonato, proporzionalmente alla media degli impegni finali registrata per ciascuna autonomia nel triennio 2007-2009, a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali". Siamo, dunque, di fronte ad una ulteriore rilevante sottrazione di risorse alle Regioni speciali, che si aggiunge a quelle previsti dall'art. 14, decreto-legge 78/2010, dall'art. 20, comma 5, decreto-legge 98/2011 e dall'art. 1, comma 8, decreto-legge 138/2011, come sintetizzati e ripartiti dal comma 10 dell'art. 32 della legge n. 183 del 2011 (quest'ultimo oggetto di impugnazione da parte della Provincia). In piu', viene disposto un taglio di risorse anche a carico degli enti locali situati nei territori delle autonomie speciali dotate di competenza in materia di finanza locale. Quest'ultimo taglio, in realta', incide in sostanza sempre sulla Provincia, come risulta dal terzo periodo del comma 3 e dall'art. 81, comma 2, St., che vincola la Provincia a finanziare adeguatamente i comuni (esso dispone infatti che "allo scopo di adeguare le finanze dei comuni al raggiungimento delle finalita' e all'esercizio delle funzioni stabilite dalle leggi, le province di Trento e di Bolzano corrispondono ai comuni stessi idonei mezzi finanziari, da concordare fra il Presidente della relativa Provincia ed una rappresentanza unitaria dei rispettivi comuni"). Comunque, in base alla giurisprudenza costituzionale le Regioni sono legittimate a difendere davanti alla Corte anche l'autonomia finanziaria dei comuni (v. sentt. 298/2009, 278/10, punto 14.1, 169/2007, punto 3, 95/2007, 417/2005, 196/2004, 533/2002). La sottrazione di risorse qui contestata non ha in effetti alcuna base statutaria. Al contrario, le disposizioni dello Statuto, a partire dal fondamentale art. 75, sono rivolte ad assicurare alla Provincia le finanze necessarie all'esercizio delle funzioni: ed e' chiaro che la devoluzione statutaria di importanti percentuali dei tributi riscossi nella provincia non avrebbe alcun senso, se poi fosse consentito alla legge ordinaria dello Stato di riportare all'erario tali risorse, per di piu' con determinazione unilaterale e meramente potestativa. Per di piu', come gia' piu' volte ricordato, l'art. 79 dello Statuto di autonomia disciplina ormai in modo preciso, esaustivo ed esclusivo le regole secondo le quali le Province assolvono gli "obblighi di carattere finanziario posti dall'ordinamento comunitario, dal patto di stabilita' interno e dalle altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite dalla normativa statale" (comma 1): e - come lo stesso art. 79 esplicitamente precisa - tali regole "possono essere modificate esclusivamente con la procedura prevista dall'articolo 104", mentre "fino alla loro eventuale modificazione costituiscono il concorso agli obiettivi di finanza pubblica di cui al comma 1" (comma 2). Ed il comma 4 ribadisce che "le disposizioni statali relative all'attuazione degli obiettivi di' perequazione e di solidarieta'. non trovano applicazione con riferimento alla regione e alle province e sono in ogni caso sostituite da quanto previsto dal presente articolo". Il comma 3 dell'art. 79 attribuisce alle Province autonome poteri di coordinamento finanziario con riferimento agli enti locali, nel quadro della generale competenza legislativa provinciale in materia di finanza locale prevista dall'art. 80 St. Nell'esercizio di tale competenza e' stata adottata la l.p. 36/1993, il cui art. 3 dispone tra l'altro che "in sede di definizione dell'accordo previsto dall'articolo 81 dello Statuto speciale sono stabilite, oltre alla quantita' delle risorse finanziarie da trasferire ai comuni e agli altri enti locali, le misure necessarie a garantire il coordinamento della finanza comunale e quella provinciale, con particolare riferimento alle misure previste dalla legge finanziaria per il perseguimento degli obiettivi della finanza provinciale correlati al patto di stabilita' interno". Con le disposizioni statutarie sopra ricordate l'impugnato art. 28, comma 3, si pone in insanabile conflitto. Le risorse spettanti alla Provincia non possono essere semplicemente "acquisite" dallo Stato, mentre la Provincia stessa e gli enti locali concorrono al risanamento della finanza pubblica nei modi direttamente previsti dall'art. 79 o comunque in quelli regolati dall'art. 79 (v. il comma 3). Si tratta di un regime speciale, che non puo' essere alterato unilateralmente dal legislatore ordinario. Del resto, tutto il regime dei rapporti finanziari fra Stato e Regioni speciali e' dominato dal principio dell'accordo, pienamente riconosciuto nella giurisprudenza costituzionale: v. le sentt. 82/2007, 353/2004, 39/1984, 98/2000, 133/2010. Non puo' ingannare, in questo come negli altri casi, il rinvio alle norme di attuazione dello Statuto. In primo luogo, l'accantonamento previsto in attesa delle norme di attuazione e' gia' autonomamente lesivo, traducendosi in una sottrazione delle risorse disponibili per la Provincia, al di fuori delle regole di coordinamento finanziario stabilite dall'art. 79 (v. anche argomenti esposti sopra). In secondo luogo, quanto alle stesse norme di attuazione, l'art. 79 e' modificabile solo con la procedura di cui all'art. 104 St. e non in sede di attuazione. In terzo luogo, l'art. 28, comma 3, determina (illegittimamente) un vincolo di contenuto per le norme di attuazione, per cui il rinvio alla fonte "concertata" appare fittizio. Inoltre, "fino all'emanazione delle norme di attuazione ... l'importo complessivo di 920 milioni e' accantonato. a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali". Dunque, la riduzione delle risorse e' operata direttamente e unilateralmente dal legislatore statale, in contrasto con lo Statuto e con il principio consensuale che domina i rapporti tra Stato e Regioni speciali in materia finanziaria (v. le sentt. sopra citate). In definitiva, come detto, l'art. 28, comma 3, viola l'art. 79 St., commi 1, 2, e 4, primo periodo, perche' i modi in cui la Provincia concorre al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica o sono fissati direttamente dallo stesso art. 79 o vanno concordati tra Stato e Provincia, sempre in base all'art. 79. Corrispondentemente, e' violato l'art. 104, che richiede il consenso della Provincia per la modifica delle norme del Titolo VI dello Statuto. Inoltre, e' violato l'art. 107 St., perche' una fonte primaria pretende di vincolare il contenuto delle norme di attuazione. Ancora, il terzo periodo dell'art. 28, comma 3, viola l'art. 75 St., perche' diminuisce l'importo spettante alla Provincia a titolo di compartecipazioni, in base alla suddetta norma statutaria. Si noti che le censure sopra svolte valgono ugualmente alla quota di 60 milioni di curo che lo Stato esige dalla Provincia di Trento come "da parte dei Comuni ricadenti nel proprio territorio". Se la Provincia di Trento, come esposto, ha il dovere di contribuire con le proprie risorse alla finanza dei propri comuni, non fa certo invece parte dei suoi compiti di fungere in relazione ad essi da esattore per conto dello Stato. Ne' lo Stato ha alcun titolo per esigere dalla Provincia di Trento somme che esso ritenga a qualunque titolo dovute dai comuni. Si tratta di risorse che spettano alla Provincia per Statuto, e che non possono essere destinate se non secondo le previsioni statutarie, che non sono suscettibili di essere alterate dalla legge ordinaria dello Stato. E', poi, ulteriormente e specificamente illegittimo e lesivo il terzo periodo dell'art. 28, comma 3, la' dove prevede il criterio del riparto dell'accantonamento ("proporzionalmente alla media degli impegni finali registrata per ciascuna autonomia nel triennio 20072009"). Infatti, tale criterio non risulta in alcun modo pariteticamente concordato tra Stato e Regioni speciali, in contrasto con il principio consensuale di cui sopra, oggi stabilito espressamente nello Statuto speciale per la determinazione del patto di stabilita' (e comunque sempre seguito nelle precedenti leggi finanziarie dello Stato). Infine, risulta illegittimo il quarto periodo dell'art. 28, comma 3, secondo il quale, in relazione al riparto della sottrazione complessiva di risorse tra le diverse autonomie speciali, "per la Regione Siciliana si tiene conto della rideterminazione del fondo sanitario nazionale per effetto del comma 2". Posto che il richiamato comma 2 stabilisce che "l'aliquota di cui al comma 1" (cioe' l'aumento dell'aliquota di base dell'addizionale regionale all'IRPEF, regolata dall'art. 6 d.lgs. n. 68/2011, da 0,9 % a 1,23 %) "si applica anche alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di' Trento e Bolzano", la disposizione appare particolarmente oscura. Tuttavia, essa sembra interpretabile nel senso che la quota del taglio previsto nell'art. 28, comma 3 (€ 860 milioni), che dovrebbe essere addossata alla Regione Siciliana, deve essere ridotta in corrispondenza alle minori risorse del Fondo sanitario destinate alla Regione stessa. Posto che di cio' si tratti, e' chiaro che, in questo modo, si altererebbe addirittura in peggio per la ricorrente Provincia il criterio proporzionale fissato dal terzo periodo del comma 3 e si addosserebbe irragionevolmente alle altre autonomie speciali una quota parte del finanziamento della spesa sanitaria della Regione Siciliana. Ne risulterebbe la violazione dell'art. 3 Cost. e la lesione dell'autonomia finanziaria e amministrativa della Provincia, perche' la Provincia di Trento - oltre a finanziare la propria sanita' con il proprio bilancio - verrebbe chiamata a contribuire al finanziamento parziale di quella siciliana (v., per l'ammissibilita' di una censura ex art. 3 Cost., ad es., la sent. 16/2010, punto 5.1), con inevitabili ripercussioni sulle proprie funzioni amministrative e sulla propria autonomia di spesa. 5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 43, comma 8. Nel capo dedicato alle Misure per Io sviluppo infrastrutturale, l'art. 43, commi da 7 a 15, introduce norme concernenti le grandi dighe. Viene qui in considerazione il comma 8, il quale cosi' dispone: "Ai fini del mantenimento delle condizioni di sicurezza, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e d'intesa con le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, individua, entro il 30 giugno 2013, in ordine di priorita' e sulla base anche dei progetti di gestione degli invasi ai sensi dell'articolo 114 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, le grandi dighe per le quali, accertato il concreto rischio di ostruzione degli organi di scarico, siano necessarie e urgenti l'adozione di interventi nonche' la rimozione dei sedimenti accumulatisi nei serbatoi. Le regioni e le province autonome nei cui territori sono presenti le grandi dighe per le quali sia stato rilevato il rischio di ostruzione degli organi di scarico e la conseguente necessita' e urgenza della rimozione dei sedimenti accumulati nei serbatoi individuano idonei siti per lo stoccaggio definitivo di tutto il materiale e sedimenti asportati in attuazione dei suddetti interventi". La ricorrente Provincia ritiene che la citata disposizione sia stata dettata sulla base di un positivo intento collaborativo; tuttavia, nella concreta situazione di fatto e di diritto della Provincia autonoma di Trento, del tutto diversa da quella delle regioni a statuto ordinario, essa si traduce nella interferenza degli organi statali in un complesso di beni e di funzioni che fanno parte delle proprie competenze statutarie, e che essa ha titolo per esercitare e gestire, nel solo quadro definito dallo statuto e dalle norme di attuazione: che prevede anche ruoli statali (ad esempio nella condivisione del Piano generale per l'utilizzazione delle acque pubbliche, PGUAP), ma non i compiti - ed i conseguenti vincoli per la Provincia - previsti dall'impugnato art. 43, comma 8. Di seguito occorre dunque tracciare il quadro delle speciali attribuzioni provinciali, e dei rapporti con lo Stato nella materia, quale risulta dallo statuto di autonomia e dalle norme di attuazione. La Provincia di Trento e' titolare di competenza legislativa primaria, nonche' delle funzioni amministrative, in materia di "opere di prevenzione e di pronto soccorso per calamita' pubbliche" (art. 8, n. 13, e art. 16 St.): la prevenzione, si noti, e' esattamente l'oggetto e l'ambito della disposizione dell'art. 43, comma 8. Inoltre, essa e' titolare di potesta' primaria e delle connesse funzioni amministrative in materia di "opere idrauliche della terza, quarta e quinta categoria" (art. 8, n. 24, e art. 16 St.), mentre per le opere di prima e seconda categoria opera la delega integrativa previste dalle norme di attuazione (articolo 7 d.P.R. n. 381/1974) di cui subito si dira'. Essa e' altresi' titolare di potesta' legislativa concorrente e delle funzioni amministrative in materia di "utilizzazione delle acque pubbliche" (art. 9, n. 9, e art. 16 St.). L'art. 14, comma 3, St. integra tale previsione disponendo, come sopra accennato, che "l'utilizzazione delle acque pubbliche da parte dello Stato e della provincia, nell'ambito della rispettiva competenza, ha luogo in base a un piano generale stabilito d'intesa tra i rappresentanti dello Stato e della provincia in seno a un apposito comitato". Il Piano, che "vale anche, per il rispettivo territorio, quale piano di bacino di rilievo nazionale" (art. 5, comma 4, del d.P.R. n. 381/1974), e' pienamente operante, essendo stato reso esecutivo con d.P.R. 15 febbraio 2006. Le norme statutarie sono state attuate da diversi decreti legislativi, sia in relazione ai beni che in relazione alle funzioni. Quanto ai beni, l'art. 8, comma 1, lettera e), d.P.R. n. 115/1973, dispone che sono trasferiti alle Province autonome tutti i beni del demanio idrico, "compresi le aree fluviali, gli alvei e le pertinenze, i ghiacciai e i laghi, nonche' le opere di bonifica valliva e montana, le opere di sistemazione idraulico-forestale dei bacini montani, le opere idrauliche e gli altri beni immobili e mobili strumentali all'esercizio delle funzioni conferite alle province riguardo al demanio medesimo". E l'art. 5 d.P.R. n. 381/1974 precisa che, "in relazione al trasferimento alle province autonome di Trento e di Bolzano del demanio idrico, le province stesse esercitano tutte le attribuzioni inerenti alla titolarita' di tale demanio ed in particolare quelle concernenti la polizia idraulica" (comma 1). Quanto alle rimanenti funzioni, l'art. 1, d.P.R. n. 381/1974 stabilisce che "le attribuzioni dell'amministrazione dello Stato in materia di urbanistica, di edilizia comunque sovvenzionata, di utilizzazione delle acque pubbliche, di opere idrauliche, di opere di prevenzione e pronto soccorso per calamita' pubbliche, di espropriazione per pubblica utilita', di viabilita', acquedotti e lavori pubblici di interesse provinciale, esercitate sia direttamente dagli organi centrali e periferici dello Stato sia per il tramite di enti e di istituti pubblici a carattere nazionale o sovraprovinciali e quelle gia' spettanti alla regione Trentino-Alto Adige nelle stesse materie, sono esercitate per il rispettivo territorio dalle province di Trento e di Bolzano". Anche in questo caso sia consentito di sottolineare che si tratta esattamente dello stesso ambito materiale oggetto dell'art. 43, comma 8. Come sopra anticipato, anche le funzioni relative alle opere idrauliche di prima e seconda categoria spettano per delega alle Province autonome, in forza dell'articolo 7 d.P.R. n. 381/1974, e l'art. 18 precisa che "si intendono sostituiti gli organi centrali e periferici dello Stato con gli organi della provincia in tutti i casi in cui le disposizioni vigenti nelle materie di cui al presente decreto facciano riferimento a funzioni amministrative degli organi o degli uffici centrali o periferici dello Stato". Le competenze statali residue sono elencate dall'art. 19, ma tra esse non vi e' alcuna funzione riferibile alle grandi dighe (rimangono invece riservate allo Stato le opere di prevenzione relative agli altri oggetti indicati dalle lettere da a ad e del comma 1). Codesta Corte ha di recente confermato la competenza della Provincia nella materia de qua, in una sentenza (la 109/2011) avente ad oggetto una legge statale che attribuiva funzioni ad organi statali per fronteggiare situazioni di rischio idrogeologico. La Corte ha richiamato la competenza provinciale di cui all'art. 8, n. 13, St. ("opere di prevenzione e di pronto soccorso per calamita' pubbliche"), Osservando che "a tale nozione (con particolare riguardo al concetto di 'prevenzione') e' riconducibile anche il rischio idrogeologico, ancorche' esso non formi oggetto di una previsione specifica, considerata anche la competenza legislativa attribuita alla provincia in materia di utilizzazione delle acque pubbliche. ai sensi dell'art. 9, primo comma, n. 9, dello statuto di autonomia". Inoltre la Corte ha menzionato l'art. 14 St. e l'art. 1 d.P.R. n. 381/1974, sopra citati. Dunque, l'art. 43, comma 8, primo periodo, attribuendo una funzione amministrativa al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero dell'ambiente (seppur anche d'intesa con le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano), in una materia di competenza provinciale, viola le norme statutarie e di attuazione sopra citate: v. in particolare l'art. 8, n. 13 e n. 24, St., l'art. 9, n. 9), St.), l'art. 16 St., gli artt. 1, 5, comma 1, 19 e da 33 a 37 d.P.R. n. 381/1974, che non comprendono la funzione oggetto dell'art. 43, comma 8, fra quelle di competenza statale. E' da precisare che, nelle materie di competenza provinciale in base allo Statuto, e' ancora operante il principio del parallelismo di cui all'art. 16 St. (v. sent. 236/2004). Per le stesse ragioni l'art. 43, comma 8, primo periodo, si pone in contrasto anche con l'art. 4, d.lgs. n. 266/1992, in base al quale "nelle materie di competenza propria della regione o delle province autonome !a legge non puo' attribuire agli organi statali funzioni amministrative, comprese quelle di vigilanza, di polizia amministrativa e di accertamento di violazioni amministrative, diverse da quelle spettanti allo Stato secondo lo statuto speciale e le relative norme di attuazione". L'art. 43, comma 8, secondo periodo, per parte sua si riferisce a compiti (l'individuazione di siti idonei allo stoccaggio dei sedimenti rimossi) che fanno naturalmente parte delle funzioni amministrative provinciali: ma non spetta allo Stato di imporne uno specifico atto di esercizio, in connessione con l'esercizio dei predetti poteri statali. Inoltre, la diretta imposizione di un adempimento amministrativo viola l'art. 2 d.lgs. n. 266/1992, secondo il quale nelle materie di competenza provinciale spetta alla legge provinciale di recepire la legislazione statale, in quanto tale recepimento sia dovuto. 6) Illegittimita' costituzionale dell'art. 48. L'art. 48 contiene una generale "clausola di finalizzazione". In base al comma 1, "le maggiori entrate erariali derivanti dal presente decreto sono riservate all'Erario, per un periodo di cinque anni, per essere destinate alle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, anche alla luce della eccezionalita' della situazione economica internazionale". Si prevede poi che "con apposito decreto dei Ministero dell'economia e delle finanze, sono stabilite le modalita' di individuazione del maggior gettito, attraverso separata contabilizzazione". Il comma 1-bis aggiunge che, "ferme restando le disposizioni previste dagli articoli 13, 14 e 28, nonche' quelle recate dal presente articolo, con le norme di attuazione statutaria. sono definiti le modalita' di applicazione e gli effetti finanziari del presente decreto per le regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e di Bolzano". Tale comma 1-bis, con il suo "rinvio" alle norme di attuazione dello statuto, ha l'apparenza di una clausola di salvaguardia delle autonomie speciali e delle loro regole statutarie: ma al tempo stesso la disposizione ribadisce la diretta applicazione non solo degli articoli 13, 14 e 28, ma anche delle disposizioni "recate dal presente articolo": dunque, il regime di cui all'art. 48, comma 1, si riferisce anche alle entrate percepite nella provincia di Trento. Maggiori entrate erariali deriveranno, ad esempio, dall'art. 10 (a seguito dell'emersione della base imponibile), dall'art. 15 (che aumenta le aliquote di accisa sui carburanti), dall'art. 16 (che aumenta la tassa automobilistica per le auto di lusso e istituisce la tassa annuale di stazionamento sulle imbarcazioni e l'imposta erariale sugli aeromobili privati), dall'art. 18 (che aumenta le aliquote Iva), dall'art. 19 (che aumenta l'imposta di bollo relativa a conti correnti e strumenti finanziari, introduce un'imposta di bollo speciale annuale sulle attivita' finanziarie che hanno beneficiato del c.d. scudo fiscale e un'imposta straordinaria per le stesse attivita' se gia' prelevate dal rapporto di deposito, istituisce un'imposta sul valore degli immobili situati all'estero e istituisce un'imposta sul valore delle attivita' finanziarie detenute all'estero dalle persone fisiche residenti nel territorio dello Stato), dall'art. 20 (in materia di riallineamento delle partecipazioni) e dall'art. 24 (il cui comma 31 regola la tassazione delle indennita' di fine rapporto di importo complessivamente eccedente euro 1.000.000 e dei compensi e indennita' a qualsiasi titolo erogati agli amministratori delle societa' di capitali, ed il cui comma 31-bis aumenta il contributo di solidarieta' sulle c.d. pensioni d'oro). Ad avviso della ricorrente Provincia la riserva di tali maggiori entrate all'erario e' illegittima per le ragioni di seguito esposte. L'art. 75 dello Statuto attribuisce "alle province le seguenti quote del gettito delle sottoindicate entrate tributarie dello Stato, percette nei rispettivi territori provinciali: a) i nove decimi delle imposte di registro e di bollo, nonche' delle tasse di concessione governativa; ... d) i sette decimi dell'imposta sul valore aggiunto ...; j) i nove decimi del gettito dell'accisa sulla benzina, sugli oli da gas per autotrazione e sui gas petroliferi liquefatti per autotrazione erogati dagli impianti di distribuzione situati nei territori delle due province, nonche' i nove decimi delle accise sugli altri prodotti energetici ivi consumati; g) i nove decimi di tutte le altre entrate tributarie erariali, dirette o indirette, comunque denominate, inclusa l'imposta locale sui redditi, ad eccezione di quelle di spettanza regionale o di altri enti pubblici". L'art. 48, comma 1, dunque, riservando all'Erario le "maggiori entrate erariali derivanti dal presente decreto", risulta contrastante con l'art. 75 dello Statuto, che garantisce alle Province ben precise compartecipazioni a tutti i tributi erariali. Ne' si potrebbe affermare che la riserva all'erario di cui all'art. 48 sia giustificata in virtu' del d.lgs. n. 268/1992. Essa, infatti, non rispetta affatto i requisiti posti dall'art. 9 d.lgs. n. 268/1992 per la riserva all'erario del "gettito derivante da maggiorazioni di aliquote o dall'istituzione di nuovi tributi". Come gia' esposto sopra, tali requisiti sono stati sintetizzati dalla sentenza di codesta Corte n. 182/2010, secondo la quale "tale articolo richiede, per la legittimita' della riserva statale, che: a) detta riserva sia giustificata da «finalita' diverse da quelle di cui al comma 6 dell'art. 10 e al comma 1, lettera b), dell'art. 10-bis» dello stesso d.lgs. n. 268 del 1992, e cioe' da finalita' diverse tanto dal «raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica» (art. 10, comma 6) quanto dalla copertura di «spese derivanti dall'esercizio delle funzioni statali delegate alla regione» (art. 10-bis, comma 1, lettera b); b) il gettito sia destinato per legge «alla copertura, ai sensi dell'art. 81 della Costituzione, di nuove specifiche spese di carattere non continuativo che non rientrano nelle materie di competenza della regione o delle province, ivi comprese quelle relative a calamita' naturali»; c) il gettito sia «temporalmente delimitato, nonche' contabilizzato distintamente nel bilancio statale e quindi quantificabile»". Ora, l'assenza dei requisiti sub a) e b) e' evidente. Infatti, l'art. 48 riserva all'Erario "le maggiori entrate erariali derivanti dal presente decreto" (per un periodo di cinque anni, attraverso separata contabilizzazione) per destinarle "alle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, anche alla luce della eccezionalita' della situazione economica internazionale". In questi termini, la norma censurata ha la medesima finalita' di cui all'art. 10, comma 6, d.lgs. n. 268/1992 («raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica»), il che gia' da se' esclude la sussistenza del requisito indicato sub a) nella sent. 182/2010 (che la riserva sia giustificata da finalita' diverse da quelle di cui al comma 6 dell'art. 10 e al comma 1, lettera b), dell'art. 10-bis» dello stesso d.lgs. n. 268 del l992). Ugualmente la disposizione impugnata non soddisfa il requisito sub b), in quanto essa non destina le maggiori entrate a "nuove specifiche spese": non si tratta di "spese", ne' la destinazione allude a qualcosa di "nuovo" e di "specifico". E' da ricordare che la sent. 182/2010 fece salva la norma impugnata in quell'occasione (l'art. 13-bis, comma 8, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78) proprio in quanto essa destinava il gettito dell'imposta "al finanziamento della ripresa economica, quali: il sostegno alle imprese, anche attraverso il finanziamento del fondo di garanzia e l'alleggerimento del carico fiscale.; gli interventi sul mercato del lavoro, anche attraverso il finanziamento del fondo per l'occupazione ...; il finanziamento degli investimenti pubblici, con particolare riguardo alle infrastrutture e alle attivita' di ricerca e sviluppo ...; il supporto alle famiglie, con misure di salvaguardia del potere d'acquisto, di tutela dei piccoli risparmiatori, di risposta all'emergenza abitativa ...; il finanziamento della cooperazione internazionale allo sviluppo...; il finanziamento delle opere di ricostruzione dell'Abruzzo". Si tratta, come si puo' vedere, di spese e finalita' nuove e specifiche, ben diverse dal mero e generale "raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea". Escluso che l'art. 48 possa trovare fondamento nell'art. 9 d.lgs. n. 268/1992, e' anche da escludere che esso possa ricondursi all'art. 10 e all'art. 10-bis del medesimo decreto. In primo luogo, abrogato l'art. 78 dello Statuto e soppressa la somma spettante in base ad esso (v. anche l'art. 79, comma 1, St.), sono da ritenere inapplicabili le norme attuative dell'art. 78, quale l'art. 10, d.lgs. n. 268/1992. Questo vale anche per l'art. 10, comma 6, strettamente connesso alla disciplina dell'accordo (menzionato in due punti del comma 6) relativo alla determinazione della quota variabile, ora soppressa. Inoltre, l'art. 10, comma 6, prevedeva un meccanismo consensuale per far partecipare le Province "al raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica", che e' stato ora sostituito da quelli, sempre consensuali, regolati dall'art. 79: anche sotto questo profilo, dunque, il meccanismo precedente non risulta piu' operativo. Conferma espressa di cio' si ricava dal testo attuale dell'art. 79, comma 4, secondo cui "le disposizioni statali relative all'attuazione degli obiettivi di perequazione e di solidarieta', nonche' al rispetto degli obblighi derivanti dal patto di stabilita' interno, non trovano applicazione con riferimento alla regione e alle province e sono in ogni caso sostituite da quanto previsto dal presente articolo". Qualora, in denegata ipotesi, non si ritenesse superato l'art. 10, comma 6, si dovrebbe perlomeno riconoscere che la determinazione della quota in questione dovrebbe pur sempre rispettare il principio di leale collaborazione e, in particolare, il principio consensuale che domina le relazioni finanziarie fra lo Stato e le Regioni speciali. In altre parole, anche venuto meno l'accordo per la determinazione della quota variabile, lo Stato avrebbe pur sempre dovuto cercare l'accordo con la Provincia di Trento, non potendo unilateralmente alterare le regole sulle compartecipazioni e gli strumenti con cui la Provincia partecipa al risanamento finanziario, disciplinati dall'art. 79 dello Statuto. Del resto, tutto il regime dei rapporti finanziari fra Stato e Regioni speciali e' dominato dal principio dell'accordo, pienamente riconosciuto nella giurisprudenza costituzionale (v. le sentenze citate nel motivo 1 del ricorso). In effetti, e' assolutamente incongruo ed ad avviso della Provincia illegittimo che lo Stato, con una fonte primaria unilateralmente adottata, alteri in modo cosi' rilevante l'assetto dei rapporti finanziari tra Stato e Provincia, laddove il principio consensuale e' da tempo riconosciuto in questa materia ed e' stato ribadito proprio con la recente riforma statutaria. Inoltre, la norma impugnata non rispetta l'art. 10, comma 6 (sempre nella denegata ipotesi che esso sia ritenuto applicabile), anche perche' riserva all'erario tutte "le maggiori entrate", mentre la norma di attuazione limita ad "una quota del previsto incremento del gettito tributario" la possibilita' di destinazione "al raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica". Ancora, l'art. 48, comma 1, del decreto-legge n. 201/2011 si pone in contrasto con l'art. 79 dello Statuto, che - come visto - stabilisce che "le province concorrono al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarieta' e all'esercizio dei diritti e dei doveri dagli stessi derivanti nonche' all'assolvimento degli obblighi di carattere finanziario posti dall'ordinamento comunitario, dal patto di stabilita' interno e dalle altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite dalla normativa statale" nei modi di seguito indicati e "con le modalita' di coordinamento della finanza pubblica definite al comma 3" (comma 1), aggiungendo che "le misure di cui al comma 1 possono essere modificate esclusivamente con la procedura prevista dall'articolo 104 e fino alla loro eventuale modificazione costituiscono il concorso agli obiettivi di finanza pubblica di cui al comma 1" (comma 2). Sia il comma 3 (" Non si applicano le misure adottate per le regioni e per gli altri enti nel restante territorio nazionale") che il comma 4, poi, stabiliscono la non applicazione alle Province delle norme statali che, in questa materia, valgono per altre Regioni. Poiche' l'art. 48 riserva le maggiori entrate "alle esigenze prioritarie di' raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea", ne deriva la violazione delle norme - sopra citate - contenute nell'art. 79 St., che configurano un sistema completo di concorso delle Province agli obiettivi di finanza pubblica, non derogabile se non con le modalita' previste dallo Statuto. Infine, proprio perche' agli artt. 75 e 79 St. e al d.lgs. n. 268/1992 si e' derogato con una fonte primaria "ordinaria" (in realta', un decreto-legge convertito), l'art. 48 viola anche gli artt. 103 (che prevede il procedimento di revisione costituzionale per le modifiche dello Statuto), 104 (che prevede la possibilita' di modificare "le norme del titolo VI ... con legge ordinaria dello Stato su concorde richiesta del Governo e, per quanto di rispettiva competenza, della regione o delle due province") e l'art. 107 (che disciplina la speciale procedura per l'adozione delle norme di attuazione dello Statuto) dello Statuto speciale. Il secondo periodo dell'art. 48, comma. 1, dispone che "con apposito decreto del Ministero dell'economia e delle finanze ... sono stabilite le modalita' di individuazione del maggior gettito, attraverso separata contabilizzazione". Si tratta dunque di una norma volta a regolare l'attuazione del primo periodo: la quale, pertanto, e' affetta dai medesimi vizi sopra illustrati. In subordine, essa e' poi censurabile specificamente ed autonomamente sotto un ulteriore aspetto, cioe' per la mancata previsione dell'intesa con la Provincia di Trento in relazione al decreto che stabilisce le modalita' di individuazione del maggior gettito. Infatti, poiche' si tratta di intervenire in relazione a risorse che spetterebbero alla Provincia, in una materia dominata dal principio consensuale, risulta specificamente illegittima, per violazione del principio di leale collaborazione, la previsione di un decreto ministeriale senza intesa con la Provincia di Trento. Come gia' ricordato, il comma 1-bis dello stesso art. 48 statuisce che "ferme restando le disposizioni previste dagli articoli 13, 14 e 28, nonche' quelle recate dal presente articolo, con le norme di attuazione statutaria di cui all'articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, e successive modificazioni, sono definiti le modalita' di applicazione e gli effetti finanziari del presente decreto per le regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e di Bolzano". Si sono gia' nei punti precedenti contestate singolarmente le disposizioni dei citati articoli 13, 14 e 28, nonche' quelle dello stesso art. 48, comma 1. Ne' si vede - a parte quanto disposto gia' da tali articoli - che cosa d'altro rimarrebbe da disciplinare quanto alle "modalita' di applicazione" ed agli "effetti finanziari" del decreto n. 201. In ogni modo, anche tale ultima disposizione appare illegittima, in quanto non spetta alla legge ordinaria di disciplinare il contenuto delle norme di attuazione dello Statuto. Il solo senso legittimo che ad essa si puo' attribuire e' la conferma della non applicazione del decreto 201 alla Provincia di Trento, per ogni aspetto per il quale l'applicazione non sia espressamente prevista: ferme restando, ovviamente, le contestazioni e le censure sopra esposte in relazione alle disposizioni di cui e' prevista l'applicazione.
P.Q.M. Chiede voglia codesta Corte costituzionale dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 13, commi 11 e 17, terzo e quarto periodo; dell'articolo 14, comma 13-bis, terzo e quarto periodo; dell'articolo 22, comma 3; dell'articolo 28, comma 3; dell'articolo 43, comma 8; dell'articolo 48 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici, nelle parti, nei termini e sotto i profili esposti nel presente ricorso. Trento-Padova- Roma, 23 febbraio 2012 Prof. avv. Falcon - Avv. Pedraz - Avv. Manzi