N. 34 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 28 febbraio 2012

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 28 febbraio 2012 (della Provincia autonoma di Trento). 
 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  crescita, l'equita' ed  il  consolidamento  dei  conti  pubblici  -
  Previsione della  riserva  allo  Stato  sull'IMUP  della  quota  di
  imposta  pari  alla  meta'  dell'importo   calcolato   sulla   base
  imponibile di tutti  gli  immobili,  ad  eccezione  dell'abitazione
  principale e delle  relative  pertinenze,  nonche'  dei  fabbricati
  rurali ad uso strumentale, dell'aliquota di base di cui al comma 6,
  primo periodo  -  Previsione  che  le  detrazioni  e  riduzioni  di
  aliquota deliberate dai comuni  non  si  applicano  alla  quota  di
  imposta riservata allo Stato  -  Previsione  che  le  attivita'  di
  accertamento e riscossione dell'imposta erariale  sono  svolte  dal
  comune  al  quale  spettano  le  maggiori  somme  derivanti   dallo
  svolgimento delle attivita' medesime a titolo di imposta, interessi
  e  sanzioni  -  Ricorso  della  Provincia  autonoma  di  Trento   -
  Denunciata  violazione   dell'autonomia   finanziaria   provinciale
  disciplinata dallo Statuto e dalle relative  norme  di  attuazione,
  nella parte in  cui  non  assegna  alla  Provincia  i  nove  decimi
  dell'imposta erariale e nella parte in cui  riserva  ai  comuni  le
  attivita' di accertamento e di riscossione ed assegna ai comuni  le
  maggiori entrate connesse a tali attivita' - Denunciata  violazione
  del principio di leale collaborazione, per la mancata utilizzazione
  dello strumento dell'accordo con la Provincia. 
- Decreto-legge  6   dicembre   2011,   n.   201,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 13, comma
  11. 
- Costituzione, artt. 117, 118  e  119,  in  combinato  disposto  con
  l'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; Statuto
  della Regione Trentino-Alto Adige, artt. 8, nn. 1), 13) e  24),  9,
  nn. 9) e 10), 14 e 16; Titolo VI e, in particolare, artt.  75,  78,
  80, 81 e 82; artt. 103, 104 e 107 e relative norme  di  attuazione,
  tra le quali il d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266 (in particolare, artt.
  2 e 4), il d.lgs. 16 marzo 1992, n. 268 (in particolare,  artt.  9,
  10 e 10-bis, 13, 17, 18 e 19) e il d.P.R. 26 marzo 1997, n. 235 (in
  particolare, art. 1-bis). 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  crescita, l'equita' ed  il  consolidamento  dei  conti  pubblici  -
  Previsione che il fondo sperimentale di riequilibrio  ed  il  fondo
  perequativo ed i trasferimenti  erariali  dovuti  ai  comuni  della
  Regione Siciliana e della Regione Sardegna variano in ragione delle
  differenze di gettito stimato ad aliquota di base  derivanti  dalle
  disposizioni dell'articolo censurato e che in  caso  di  incapienza
  ciascun comune versa all'entrata del bilancio dello Stato le  somme
  residue - Previsione che, con le procedure  stabilite  dall'art.  5
  della legge n. 42 del 2009,  le  Regioni  Friuli-Venezia  Giulia  e
  Valle d'Aosta, nonche' le Province autonome di  Trento  e  Bolzano,
  assicurano il recupero al bilancio  statale  del  predetto  maggior
  gettito dei comuni ricadenti nel  proprio  territorio  e  che  fino
  all'emanazione delle norme di attuazione di cui  allo  stesso  art.
  27, a valere  sulle  quote  di  compartecipazione  ai  tributi,  e'
  accantonato un importo pari al maggior gettito di cui al precedente
  periodo - Ricorso della Provincia autonoma di Trento  -  Denunciata
  violazione  dell'autonomia  finanziaria  provinciale   disciplinata
  dallo Statuto e dalle relative norme di attuazione, nella parte  in
  cui sottrae alla Provincia i nove decimi  dell'imposta  erariale  e
  l'importo delle addizionali provinciale  e  comunale  -  Denunciata
  violazione del principio di leale collaborazione,  per  la  mancata
  utilizzazione dello strumento dell'accordo con la Provincia. 
- Decreto-legge  6   dicembre   2011,   n.   201,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 13, comma
  17. 
- Costituzione, artt. 117, 118  e  119,  in  combinato  disposto  con
  l'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; Statuto
  della Regione Trentino-Alto Adige, artt. 8, nn. 1), 13) e  24),  9,
  nn. 9) e 10), 14, 16; Titolo VI e, in particolare artt. 75, 78, 80,
  81 e 82; artt. 103, 104 e 107 e relative norme di  attuazione,  tra
  le quali il d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266 (in particolare, artt. 2 e
  4), il d.lgs. 16 marzo 1992, n. 268 (in particolare, artt. 9, 10  e
  10-bis, 13, 17, 18 e 19) e il d.P.R. 26  marzo  1997,  n.  235  (in
  particolare, art. 1-bis). 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  crescita, l'equita' ed  il  consolidamento  dei  conti  pubblici  -
  Istituzione del tributo  comunale  sui  rifiuti  e  sui  servizi  -
  Previsione che, a decorrere dall'anno 2013, il  fondo  sperimentale
  di riequilibrio ed il fondo perequativo ed i trasferimenti erariali
  dovuti ai comuni della Regione Siciliana e della  Regione  Sardegna
  sono ridotti in misura corrispondente al  gettito  derivante  dalla
  maggiorazione standard di cui al comma 13 dell'articolo censurato -
  Previsione  che  in  caso  di  incapienza  ciascun   comune   versa
  all'entrata del bilancio dello Stato le somme residue -  Previsione
  che, con le procedure stabilite dall'art. 5 della legge n.  42  del
  2009, le Regioni Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta, nonche'  le
  Province autonome di Trento e Bolzano, assicurano  il  recupero  al
  bilancio statale del predetto maggior gettito dei comuni  ricadenti
  nel proprio territorio e che fino  all'emanazione  delle  norma  di
  attuazione di cui allo stesso art. 27,  a  valere  sulle  quote  di
  compartecipazione ai tributi, e' accantonato  un  importo  pari  al
  maggior gettito di  cui  al  precedente  periodo  -  Ricorso  della
  Provincia autonoma di Trento - Denunciata violazione dell'autonomia
  finanziaria provinciale disciplinata dallo Statuto e dalle relative
  norme di attuazione, per la  sottrazione alla  Provincia  dei  nove
  decimi  dell'imposta  erariale  e  dell'importo  delle  addizionali
  provinciale e comunale - Denunciata  violazione  del  principio  di
  leale collaborazione, per la mancata utilizzazione dello  strumento
  dell'accordo con la Provincia. 
- Decreto-legge  6   dicembre   2011,   n.   201,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 14, comma
  13-bis. 
- Costituzione, artt. 117, 118  e  119,  in  combinato  disposto  con
  l'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; Statuto
  della Regione Trentino-Alto Adige, artt. 8, nn. 1), 13) e  24),  9,
  nn. 9) e 10), 14 e 16; Titolo VI e, in particolare, artt.  75,  78,
  80, 81 e 82; artt. 103, 104 e 107 e relative norme  di  attuazione,
  tra le quali il d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266 (in particolare, artt.
  2 e 4), il d.lgs. 16 marzo 1992, n. 268 (in particolare,  artt.  9,
  10 e 10-bis, 13, 17, 18 e 19) e il d.P.R. 26 marzo 1997, n. 235 (in
  particolare, art. 1-bis). 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  crescita, l'equita' ed  il  consolidamento  dei  conti  pubblici  -
  Disposizioni in materia di enti e organismi pubblici  -  Previsione
  che le Regioni, le Province autonome di Trento e Bolzano e gli enti
  locali, negli ambiti di rispettiva competenza,  adeguano  i  propri
  ordinamenti a quanto previsto dall'art. 6, comma  5,  del  D.L.  31
  maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla  legge  n.
  122/2010, con riferimento alle Agenzie, agli enti ed agli organismi
  strumentali, comunque denominati, sottoposti  alla  loro  vigilanza
  entro un anno  dall'entrata  in  vigore  del  decreto  censurato  -
  Ricorso della Provincia autonoma di Trento - Denunciata  violazione
  dell'autonomia  finanziaria  regionale   disciplinata   con   norme
  statutarie  -  Denunciata  violazione  del   principio   di   leale
  collaborazione. 
- Decreto-legge  6   dicembre   2011,   n.   201,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 22, comma
  3. 
- Costituzione, artt. 117, 118  e  119,  in  combinato  disposto  con
  l'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; statuto
  della Regione Trentino-Alto Adige, artt. 4, n. 1), 16, Titolo VI e,
  in particolare, artt. 69, 79, 103, 104 e 107 e  relative  norme  di
  attuazione, tra le quali il  d.lgs.  16  marzo  1992,  n.  266  (in
  particolare, artt. 2 e 4) e il d.lgs. 16 marzo  1992,  n.  268  (in
  particolare, artt. 9, 10 e 10-bis). 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  crescita, l'equita' ed  il  consolidamento  dei  conti  pubblici  -
  Concorso  alla  manovra  degli  Enti  territoriali   ed   ulteriori
  riduzioni di spesa - Previsione  che,  con  le  procedure  previste
  dall'art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, le Regioni a statuto
  speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano, assicurano,  a
  decorrere dall'anno 2012, un concorso alla finanza pubblica di  860
  milioni di euro annui - Previsione, altresi', che con  le  medesime
  procedure le Regioni Valle d'Aosta e  Friuli-Venezia  Giulia  e  le
  Province autonome di Trento  e  Bolzano,  assicurano  alla  finanza
  pubblica un concorso di 60 milioni  di  euro  annui,  da  parte  di
  comuni ricadenti nel  proprio  territorio  -  Previsione  che  fino
  all'emanazione delle norme di attuazione di cui  al  predetto  art.
  27, l'importo complessivo di 920 milioni di  euro  e'  accantonato,
  proporzionalmente alla media degli impegni  finali  registrata  per
  ciascuna autonomia nel triennio 2007-2009 a valere sulle  quote  di
  compartecipazione  ai  tributi  erariali  e  che  per  la   Regione
  Siciliana si tiene conto della rideterminazione del fondo sanitario
  nazionale per  effetto  del  comma  2  -  Ricorso  della  Provincia
  autonoma di Trento - Denunciata ulteriore rilevante sottrazione  di
  risorse  alle  Regioni  speciali,  in  contrasto  con   il   regime
  finanziario disciplinato dallo Statuto - Violazione  del  principio
  di leale collaborazione - Violazione del principio  di  uguaglianza
  relativamente alla previsione che  addossa  irragionevolmente  alle
  altre autonomie speciali una quota parte  del  finanziamento  della
  spesa sanitaria della Regione Siciliana. 
- Decreto-legge  6   dicembre   2011,   n.   201,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 28, comma
  3. 
- Costituzione, artt. 3, 117, 118 e 119, in  combinato  disposto  con
  l'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; statuto
  della Regione Trentino-Alto Adige, artt. 4, n. 1), 16, Titolo VI e,
  in particolare, artt. 69, 79, 103, 104 e 107 e  relative  norme  di
  attuazione, tra le quali il  d.lgs.  16  marzo  1992,  n.  266  (in
  particolare, artt. 2 e 4) e il d.lgs. 16 marzo  1992,  n.  268  (in
  particolare, artt. 9, 10 e 10-bis). 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  crescita, l'equita' ed  il  consolidamento  dei  conti  pubblici  -
  Misure per lo sviluppo infrastrutturale - Previsione  che  ai  fini
  del mantenimento della sicurezza il Ministro delle infrastrutture e
  dei trasporti, di concerto con il Ministro  dell'Ambiente  e  della
  tutela del territorio e del mare e d'intesa con  le  Regioni  e  le
  Province autonome di Trento  e  Bolzano,  individua,  entro  il  30
  giugno, in ordine di priorita' e sulla base anche dei  progetti  di
  gestione  degli  invasi,  le  grandi  dighe  per  le  quali   siano
  necessarie ed urgenti l'adozione di interventi nonche' la rimozione
  dei sedimenti accumulatisi nei serbatoi - Previsione che le Regioni
  e le Province autonome nei cui  territori  sia  stato  rilevato  il
  rischio di ostruzione degli organi di scarico  individuano  i  siti
  per lo stoccaggio definitivo di  tutto  il  materiale  e  sedimenti
  asportati in attuazione degli interventi eseguiti -  Ricorso  della
  Provincia autonoma di Trento - Denunciata  interferenza  di  organi
  statali su beni e funzioni attribuiti dallo Statuto alla competenza
  provinciale primaria in materia di opere di prevenzione e di pronto
  soccorso per calamita' pubbliche e di opere idrauliche della terza,
  quarta e  quinta  categoria  e  concorrente  in  materia  di  opere
  idrauliche di prima e seconda categoria e  di  utilizzazione  delle
  acque pubbliche - Denunciata  violazione  del  principio  di  leale
  collaborazione per la  mancanza  della  preventiva  intesa  con  la
  Regione. 
- Decreto-legge  6   dicembre   2011,   n.   201,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 43, comma
  8. 
- Statuto della Regione Trentino-Alto Adige, artt. 8, nn. 13  e  24),
  9, n. 9), e 16; d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381, artt. 1, 5, comma  1,
  19 e da 33 a 37; d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266, artt. 2 e 4. 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  crescita, l'equita' ed  il  consolidamento  dei  conti  pubblici  -
  Previsione  che  le  maggiori  entrate  erariali,   derivanti   dal
  decreto-legge impugnato, siano riservate all'Erario, per un periodo
  di cinque anni, per essere destinate alle esigenze  prioritarie  di
  raggiungimento degli obiettivi di finanza  pubblica  concordati  in
  sede europea - Previsione che con apposito  decreto  del  Ministero
  dell'economia e  delle  finanze  sono  stabilite  le  modalita'  di
  individuazione   del   maggior   gettito,    attraverso    separata
  contabilizzazione - Previsione, altresi', che,  ferme  restando  le
  disposizioni degli  artt.  13,  14  e  28,  nonche'  quelle  recate
  dall'articolo impugnato, con le norme statutarie, sono definiti  le
  modalita'  di  applicazione  e  gli  effetti  finanziari  del  D.L.
  impugnato per le regioni a statuto speciale e per  le  Province  di
  Trento e Bolzano - Ricorso della Provincia  autonoma  di  Trento  -
  Denunciata    lesione    dell'autonomia    finanziaria    regionale
  disciplinata dallo Statuto e delle relative norme di  attuazione  -
  Denunciata deroga alle norme  statutarie  con  una  fonte  primaria
  ordinaria  -  Denunciata  violazione   del   principio   di   leale
  collaborazione per la  mancanza  della  preventiva  intesa  con  la
  Regione. 
- Decreto-legge  6   dicembre   2011,   n.   201,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 48. 
- Costituzione, artt. 117, 118  e  119,  in  combinato  disposto  con
  l'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; statuto
  della Regione Trentino-Alto Adige, artt. 4, n. 1), 16, Titolo VI e,
  in particolare, artt. 69, 79, 103, 104 e 107 e  relative  norme  di
  attuazione, tra le quali il  d.lgs.  16  marzo  1992,  n.  266  (in
  particolare, artt. 2 e 4) e il d.lgs. 16 marzo  1992,  n.  268  (in
  particolare, artt. 9, 10 e 10-bis). 
(GU n.13 del 28-3-2012 )
     Ricorso  della  Provincia  autonoma  di   Trento   (cod.   fisc.
00337460224), in persona del Presidente della Giunta provinciale  pro
tempore Lorenzo Dellai, autorizzato con  deliberazione  della  Giunta
provinciale 27 gennaio 2012, n. 112 (doc. 1), rappresentata e difesa,
come da procura speciale n. rep. 27681 del 31 gennaio 2012 (doc.  2),
rogata  dal  dott.  Tommaso  Sussarellu,  Ufficiale   rogante   della
Provincia,  dall'avv.   prof.   Giandomenico   Falcon   (cod.   fisc.
FLCGDM45C06L736E) di Padova, dall'avv. Nicolo' Pedrazzoli (cod. fisc.
PDRNCL56R01G428C)  dell'Avvocatura  della  Provincia  di   Trento   e
dall'avv. Luigi Manzi (cod.  fisc.  MNZLGU34E15H501Y)  di  Roma,  con
domicilio eletto in Roma nello studio di questi in  via  Confalonieri
n. 5; 
    Contro  il  Presidente  del  Consiglio  dei   ministri   per   la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale: 
        dell'articolo 13, commi 11 e 17, terzo e quarto periodo; 
        dell'articolo 14, comma 13-bis, terzo e quarto periodo; 
        dell'articolo 22, comma 3; 
        dell'articolo 28, comma 3; 
        dell'articolo 43, comma 8; 
        dell'articolo 48 
        del decreto-legge  6  dicembre  2011,  n.  201,  Disposizioni
urgenti per la crescita, l'equita'  e  il  consolidamento  dei  conti
pubblici, come convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre
2011, n. 214, pubblicata nella G.U. n. 300 del 27 dicembre 2011 
    Per violazione: 
        degli articoli 8, nn. 1), 13) e 24); 9, nn. 9) e 10); 14 e 16
dello Statuto speciale; 
        del Titolo VI dello Statuto speciale, e in particolare  degli
articoli 75, 79, 80, 81 e 82; 
        degli articoli 103, 104 e 107 del medesimo Statuto speciale; 
        delle relative norme di attuazione, tra le quali  il  decreto
legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (in particolare, artt. 2 e  4),  il
decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (in particolare articoli 9,
10, 10-bis, 13, 17, 18 e 19), il d.P.R. n.  115/1973 (in  particolare
art. 8), il d.P.R. n.  381/1974 (in particolare artt. 5, 7, 18  e  da
33 a 37), il d.P.R. n.  235/1977 (in particolare art. 1-bis); 
        degli artt. 117, 118 e 119 Cost., in combinato  disposto  con
l'art. 10 legge costituzionale n. 3/2001; 
        dell'art. 2, comma 108, legge n. 191/2009; 
        del principio di leale  collaborazione,  nei  modi  e  per  i
profili di seguito illustrati. 
 
                                Fatto 
 
    Il decreto-legge n. 201 del 2011, come risultante dalla legge  di
conversione n. 214 del 2011, contiene  disposizioni  di  vario  tipo,
distribuite in quattro titoli: Sviluppo ed equita', Rafforzamento del
sistema finanziario nazionale e  internazionale,  Consolidamento  dei
conti pubblici, Disposizioni per la  promozione  e  la  tutela  della
concorrenza. 
    Tutte sono rivolte - come rivela il soprannome di decreto  "salva
Italia" che il  Governo  ha  attribuito  ad  esso  -  a  produrre  un
risultato utile per l'economia del Paese: e la Provincia autonoma  di
Trento, come parte del Paese, non puo' che augurarsi  che  le  misure
producano i risultati sperati. Allo sforzo collettivo  necessario  al
conseguimento di tali risultati essa non intende certo sottrarsi. 
    Al tempo stesso, tuttavia, essa non puo'  rinunciare  a  chiedere
che ogni contributo ad essa richiesto sia  richiesto  legittimamente,
nel quadro e nel rispetto delle  regole  che  disciplinano  sotto  il
profilo finanziario - come sotto ogni altro profilo - i rapporti  con
lo Stato. 
    Ed essa Ritiene che nei punti che formano oggetto della  presente
impugnazione le regole costituzionali e statutarie di  tali  rapporti
non siano rispettate. 
    In questa  prospettiva,  vengono  qui  in  considerazione  alcune
disposizioni del Titolo III ("Consolidamento dei conti pubblici")  ed
alcune disposizioni del Titolo IV ("Disposizioni per la promozione  e
la tutela della concorrenza"). 
    Quanto  al  Titolo  III,  si   tratta   dell'art.   13,   recante
Anticipazione  sperimentale  dell'imposta   municipale   propria,   e
dell'art. 14, recante Istituzione del tributo comunale sui rifiuti  e
sui servizi (entrambe facenti parte del Capo secondo Disposizioni  in
materia di maggiori entrate). 
    Si tratta poi dell'art. 22, recante Altre disposizioni in materia
di enti e organismi pubblici, facente parte del Capo terzo (Riduzioni
di spesa.  Costi  degli  apparati),  nonche'  dell'art.  28,  recante
Concorso alla manovra degli Enti territoriali e  ulteriori  riduzioni
di spese, che forma ed esaurisce il capo VI  (Concorso  alla  manovra
degli Enti territoriali). 
    Quanto  al  Titolo   IV   si   tratta   dell'art.   43,   recante
Alleggerimento e semplificazione delle procedure, riduzione dei costi
e altre misure, e dell'art. 48, recante Clausola  di  finalizzazione,
entrambi  facenti  parte  del  Capo  IV,  Misure  per   lo   sviluppo
infrastrutturale e rilevanti per il presente ricorso. 
    Ad avviso della Provincia autonoma  di  Trento,  le  disposizioni
succitate risultano lesive delle proprie prerogative costituzionali e
statutarie per le seguenti ragioni di 
 
                               Diritto 
 
    1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 11,  nonche'
dell'art. 13, comma 17, terzo e quarto periodo. 
    A) Premessa. Il passaggio alla nuova  imposta  e  la  sottrazione
delle risorse al sistema locale. 
    L'art.  13  regola  l'Anticipazione   sperimentale   dell'imposta
municipale propria, stabilendo (comma 1) che  l'istituzione  di  tale
imposta "e' anticipata, in via sperimentale,  a  decorrere  dall'anno
2012, ed e' applicata in tutti i comuni del territorio nazionale fino
al 2014 in base agli articoli 8 e 9 del decreto legislativo 14  marzo
2011,  n.  23,  in  quanto  compatibili,  ed  alle  disposizioni  che
seguono",  e   che   conseguentemente,   "l'applicazione   a   regime
dell'imposta municipale propria e' fissata al 2015". 
    Il riferimento a "tutti i comuni del territorio nazionale" induce
a ritenere che l'art.  13  intenda  applicarsi  anche  nella  regione
Trentino-Alto Adige. 
    L'art. 8, comma 1, d.lgs. n. 23/2011,  richiamato  dall'art.  13,
comma 1, ora citato,  stabilisce  che  l'imposta  municipale  propria
istituita dallo  stesso  articolo  "sostituisce,  per  la  componente
immobiliare,  l'imposta  sul  reddito  delle  persone  tisiche  e  le
relative addizionali dovute in relazione ai redditi fondiari relativi
ai beni non locati, e l'imposta comunale sugli immobili". 
    Dunque, l'Imup sostituisce - oltre  all'ICI,  gia'  destinata  ai
Comuni - imposte destinate alla Provincia: o per  nove  decimi,  come
l'Irpef relativa ai redditi fondiari degli immobili non bacati  (art.
75 Statuto) o interamente, come le addizionali provinciale e comunale
relative ai redditi fondiari degli immobili non  locati:  va  infatti
ricordato che, in base all'art. 80, comma 1-ter, St., le  addizionali
altrimenti comunali spettano alla Provincia,  nel  quadro  della  sua
complessiva competenza e responsabilita' in materia di finanza locale
prevista dall'art. 80, comma 1. St. 
    Peraltro,  la  Provincia  di  Trento  non  avrebbe   titolo   per
contestare la  trasformazione  di  determinati  tributi  erariali  in
tributi  locali:   lo   Statuto   assicura   determinate   quote   di
compartecipazione  su  tutti  tributi  erariali,  ma  non   prescrive
l'esistenza in particolare di determinati tributi erariali: e  se  lo
Stato vi rinuncia, in favore della finanza  comunale,  tale  rinuncia
vale anche per la quota spettante alla Provincia di Trento. 
    Sennonche', tale conclusione opera sino a che  le  risorse  siano
realmente attribuite ai comuni, come avviene  nel  disegno  normativo
originario dell'IMUP ai sensi degli artt. 8 e 9, d.lgs.  n.  23/2011.
Ove invece il reddito dell'imposta "municipale"  sia  assegnato  allo
Stato, ne risulta un complessivo impoverimento  del  sistema  locale:
dietro la  "municipalizzazione",  infatti,  vi  e'  sempre  l'imposta
erariale, soltanto che il suo gettito viene sottratto alla  Provincia
autonoma, con evidente  sostanziale  violazione  dell'art.  75  dello
Statuto. 
    E proprio questo accade con le nuove disposizioni  dell'art.  13,
comma 11. 
    Esse, infatti, prevedono la  riserva  allo  Stato  di  una  quota
dell'Imup. 
    Ecco il testo della disposizione: 
    "E' riservata allo Stato la quota  di  imposta  pari  alla  meta'
dell'importo calcolato applicando alla base imponibile di  tutti  gli
immobili, ad eccezione dell'abitazione principale  e  delle  relative
pertinenze di cui al comma 7, nonche' dei fabbricati  rurali  ad  uso
strumentale di cui al comma 8, l'aliquota di base di cui al comma  6,
primo periodo. La quota di imposta risultante e' versata  allo  Stato
contestualmente  all'imposta  municipale   propria.   Le   detrazioni
previste dal presente articolo, nonche' le detrazioni e le  riduzioni
di aliquota deliberate dai comuni non  si  applicano  alla  quota  di
imposta riservata allo  Stato  di  cui  al  periodo  precedente.  Per
l'accertamento,  la  riscossione,  i  rimborsi,  le   sanzioni,   gli
interessi ed il contenzioso si applicano le disposizioni  vigenti  in
materia di imposta municipale propria. Le attivita' di accertamento e
riscossione dell'imposta erariale sono svolte  dal  comune  al  quale
spettano le maggiori somme derivanti dallo svolgimento delle suddette
attivita'  a  titolo  di  imposta,  interessi  e  sanzioni"   (enfasi
aggiunta). 
    Dal comma 11 risulta, dunque, che l'Imup  ha  in  realta'  natura
mista, cioe' e' un'imposta per meta' municipale e per meta' erariale,
in quanto  i  contribuenti  versano  direttamente  allo  Stato  meta'
dell'importo. L'indipendenza dell'imposta erariale da quella comunale
risulta anche dalla circostanza che ad  essa  non  si  applichino  le
detrazioni e riduzioni di aliquota deliberate dai comuni, e la natura
"erariale" della quota di Imup riservata  allo  Stato  e'  confermata
espressamente  dall'ultimo  periodo  del  comma  11,  appena  citato,
secondo  il  quale  "le  attivita'  di  accertamento  e   riscossione
dell'imposta erariale sono svolte dal comune". 
    Si e' appena visto che la meta' dell'Imup ha in realta' natura di
imposta erariale. 
    In realta', pero', dal comma 17 dell'art. 13 risulta che lo Stato
non solo si trattiene la meta' "riservata" dell'importo,  ma  intende
appropriarsi  di  tutto  il  maggior  gettito,  cioe'  ogni   importo
eccedente le entrate che affluivano  ai  comuni  della  Provincia  di
Trento in base alle norme previgenti:  ed  intende  farlo  acquisendo
tali fondi dalla Provincia. 
    Infatti, il comma 17, terzo periodo, dispone - in relazione  alle
autonomie speciali competenti in materia di finanza locale - che "con
le procedure previste dall'articolo 27 della legge 5 maggio 2009,  n.
42, le regioni Friuli-Venezia Giulia  e  Valle  d'Aosta,  nonche'  le
Province autonome di Trento e di Bolzano, assicurano il  recupero  al
bilancio statale del predetto  maggior  gettito  stimato  dei  comuni
ricadenti nel proprio territorio". Ed il quarto periodo precisa  che,
"fino all'emanazione delle norme di attuazione  di  cui  allo  stesso
articolo 27, a valere sulle quote  di  compartecipazione  ai  tributi
erariali, e' accantonato un importo pari al maggior  gettito  stimato
di cui al precedente periodo". Il quinto periodo, infine, prevede che
"l'importo  complessivo  della  riduzione  del  recupero  di  cui  al
presente comma e' pari per l'anno 2012 a 1.627 milioni di  euro,  per
l'anno 2013 a 1.762,4 milioni di euro  e  per  l'anno  2014  a  2.162
milioni di euro". 
    Ora, benche' il riferimento alla "riduzione del recupero"  appaia
privo  di  senso,  sembra  da  ritenere   che   i   numeri   indicati
rappresentino  la  quantificazione  del  "recupero"  a  carico  della
autonomie speciali. 
    Dunque,  lo  Stato  ha  provveduto  a  ristrutturare  le  imposte
"immobiliari" e a rideterminare le basi imponibili, ma - nel  periodo
2012-2014 - i maggiori incassi derivanti da  questa  operazione  sono
interamente destinati  allo  Stato,  il  quale  in  parte  li  riceve
direttamente dai contribuenti in base alla riserva di  cui  al  comma
11, in parte li riceve dalla Provincia con i meccanismi di "recupero"
o "accantonamento" di cui al comma 17. 
    Si noti che il comma 17 e' formulato in modo tale da poter essere
inteso nel senso che l'importo Imup 2012 non debba essere confrontato
con l'importo 2011 dei tributi sostituiti ma solo con  l'importo  dei
tributi comunali sostituiti (cioe', l'Ici 2011). Se cosi'  fosse,  il
taglio delle risorse assumerebbe un carattere del  tutto  particolare
rispetto  alla  Provincia  di  Trento  (ed  ovviamente  a  quella  di
Bolzano). Infatti, delle tre componenti sostituite  dall'Imup  (cioe'
l'Irpef fondiaria, le addizionali provinciali e  comunali  e  l'ICI),
soltanto l'ICI era precedentemente destinata direttamente ai  comuni,
mentre sia le  risorse  derivanti  dall'Irpef  fondiaria  che  quelle
derivanti dalle addizionali pervenivano poi ai comuni per il  tramite
del finanziamento  provinciale.  Ne  risulta  che  -  concentrata  la
fiscalita' nell'Imup - il "maggior gettito stimato dei comuni"  della
Provincia  sara'  particolarmente  elevato,  comprendendo  anche   il
gettito dei tributi che prima costituivano entrate della Provincia. 
    In entrambi i casi, tributi spettanti al sistema  provinciale  in
base allo Statuto e alle norme di  attuazione  sono  illegittimamente
avocati allo Stato, come di seguito si illustra. 
    B) Illegittimita' costituzionale del comma 11, nella parte in cui
non assegna alla Provincia i nove decimi dell'imposta erariale. 
    Poste le premesse appena illustrate, viene in  considerazione  in
primo luogo l'illegittimita' costituzionale del comma 11, nella parte
in cui considera tributo erariale la quota del 50% dell'Imup. 
    L'art. 75 dello Statuto speciale  dispone  che  "sono  attribuite
alle province le  seguenti  quote  del  gettito  delle  sottoindicate
entrate tributarie dello Stato,  percette  nei  rispettivi  territori
provinciali:  ...  g)  i  nove  decimi  di  tutte  le  altre  entrate
tributarie  erariali,  dirette  o  indirette,  comunque   denominate,
inclusa l'imposta locale sui  redditi,  ad  eccezione  di  quelle  di
spettanza regionale o di altri enti pubblici". 
    La natura "erariale" della quota di  Imup  riservata  allo  Stato
risulta da quanto esposto sopra ed e' confermata testualmente -  come
gia' visto - dall'ultimo periodo del comma 11, secondo il  quale  "le
attivita' di accertamento e riscossione  dell'imposta  erariale  sono
svolte dal comune". 
    Dunque, la quota di Imup riservata allo Stato dall'art. 13, comma
11,  rientra  evidentemente  tra  le  "entrate  tributarie  erariali,
dirette o indirette, comunque denominate", di cui all'art. 75,  comma
1, lettera g), St. 
    In questi termini, i nove decimi  di  essa  sono  destinati  alla
Provincia, ai sensi dell'art. 75  Statuto:  ma  il  comma  11  sembra
contraddire  tale  destinazione,   e   l'assenza   di   clausole   di
salvaguardia  rende  difficoltosa   un'interpretazione   conforme   a
Statuto. Del resto, si puo' qui ricordare che la sentenza di  codesta
Corte n. 152  del  2011  ha  ritenuto  l'applicabilita'  anche  nella
Regione siciliana di norme che riservavano all'erario il  gettito  di
tributi  compartecipati  dalla  Regione  Sicilia,   "posto   che   il
decreto-legge  in  esame  non  contiene  alcuna  formula  che   possa
configurarsi quale clausola di salvaguardia delle attribuzioni  delle
Regioni ad autonomia speciale". 
    Percio' il comma 11, primo periodo,  si  pone  in  contrasto  con
l'art.  75,  comma  1,  lettera  g)  dello  Statuto,  ed  e'   dunque
costituzionalmente illegittimo. 
    La fondatezza della censura sopra  esposta  non  potrebbe  essere
contestata facendo valere la clausola di possibile riserva all'erario
statale prevista dalle norme  di  attuazione  di  cui  al  d.lgs.  n.
268/1992. 
    Per quanto qui rileva, infatti, l'art. 9 di tale decreto  dispone
che gettito derivante da maggiorazioni di aliquote o dall'istituzione
di nuovi tributi, se destinato per legge, per  finalita'  diverse  da
quelle di cui al comma 6 dell'art. 10  e  al  comma  1,  lettera  b),
dell'art.  10-bis,  alla  copertura,  ai  sensi  dell'art.  81  della
Costituzione, di nuove specifiche spese di carattere non continuativo
che non rientrano nelle materie di competenza della regione  o  delle
province, ivi comprese  quelle  relative  a  calamita'  naturali,  e'
riservato  allo  Stato,  purche'  risulti  temporalmente  delimitato,
nonche' contabilizzato distintamente nel bilancio  statale  e  quindi
quantificabile"; si aggiunge poi che "fuori dei casi contemplati  nel
presente articolo si applica quanto  disposto  dagli  articoli  10  e
10-bis ". 
    Per una piu' completa comprensione di  questa  clausola  conviene
ricordare che l'art. 10 regolava la "quota variabile" di cui all'art.
78 dello Statuto, quota che e' stata  soppressa  dall'art.  1,  comma
107, della legge n. 191 del 2009 (comma emanato  ai  sensi  dell'art.
104 dello Statuto di autonomia),  come  parte  del  contributo  delle
Province autonome al conseguimento degli obbiettivi di perequazione e
di stabilita'. In relazione ad essa il comma 6 dell'art. 10 stabiliva
che "una  quota  del  previsto  incremento  del  gettito  tributario,
escludendo  comunque   gli   incrementi   derivanti   dall'evoluzione
tendenziale, spettante  alle  province  autonome  e  derivante  dalle
manovre  correttive  di  finanza  pubblica   previste   dalla   legge
finanziaria e dai relativi  provvedimenti  collegati,  nonche'  dagli
altri provvedimenti legislativi aventi le medesime  finalita'  e  non
considerati  ai  fini  della  determinazione  dell'accordo   relativo
all'esercizio finanziario precedente, da  valutarsi  al  netto  delle
eventuali   previsioni   di   riduzione   di   gettito    conseguenti
all'applicazione  di   norme   connesse,   puo'   essere   destinata,
limitatamente agli esercizi previsti dall'accordo, al  raggiungimento
degli obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica  previsti  dai
precedenti provvedimenti". 
    A sua volta, l'art. 10-bis dispone che "entro la data di  cui  al
comma 2 dell'art. 10 e' altresi' definito l'accordo tra il Governo  e
il presidente della giunta regionale che individua: 
        a) la quota da destinare al bilancio dello Stato del  gettito
tributario derivante  da  maggiorazioni  di  aliquote  di  tributi  o
dall'istituzione di  nuovi  tributi,  se  destinato  per  legge  alla
copertura, ai sensi dell'art. 81 della Costituzione, delle  spese  di
cui all'art. 9, qualora il predetto gettito non risulti distintamente
contabilizzato  nel  bilancio  dello  Stato,   ovvero   temporalmente
delimitato; 
        b) l'eventuale quota  delle  spese  derivanti  dall'esercizio
delle funzioni statali delegate alla regione, che rimane a carico del
bilancio della regione medesima, in relazione  alle  disposizioni  di
cui al comma 6 dell'art. 10, da determinarsi nei limiti del  previsto
incremento del gettito tributario derivante dalle manovre  correttive
di finanza pubblica, nonche' tenuto conto della  quota  di  cui  alla
lettera a)". 
    In altre parole,  sin  da  prima  della  modifica  dello  Statuto
concordata nel 2009 tra lo Stato e la Regione e le Province  autonome
(e  tradotta  -  a  termini  dell'art.  104  dello  Statuto  -  nelle
pertinenti disposizioni della legge n. 191 del 2009) solo  attraverso
lo strumento  dell'accordo  possono  essere  riservate  risorse  allo
Stato, secondo le disposizioni degli artt. 10 e 10-bis  dello  stesso
d.lgs. n. 268/1992, al di  fuori  dei  rigorosi  presupposti  per  la
riserva all'erario di cui all'art. 9 del d.lgs. n. 268/1992. 
    Ad avviso della ricorrente  Provincia  risulta  evidente  che  in
relazione alla quota erariale dell'Imup non  sussistono  i  requisiti
posti dall'art. 9, d.lgs. n. 268/1992 per la riserva  all'erario  del
"gettito derivante da maggiorazioni di aliquote o dall'istituzione di
nuovi tributi". 
    Tali requisiti sono stati sintetizzati dalla sentenza di  codesta
Corte n. 182/2010, secondo la quale "tale articolo richiede,  per  la
legittimita' della riserva statale, che: 
        a) detta riserva sia giustificata da  «finalita'  diverse  da
quelle di cui al comma 6 dell'art. 10  e  al  comma  1,  lettera  b),
dell'art. 10-bis» dello stesso d.lgs. n. 268 del  1992,  e  cioe'  da
finalita'  diverse  tanto  dal  «raggiungimento  degli  obiettivi  di
riequilibrio della finanza pubblica» (art. 10, comma 6) quanto  dalla
copertura di «spese derivanti dall'esercizio delle  funzioni  statali
delegate alla regione» (art. 10-bis, comma 1, lettera b); 
        b) il gettito sia destinato per  legge  «alla  copertura,  ai
sensi dell'art. 81 della Costituzione, di nuove specifiche  spese  di
carattere  non  continuativo  che  non  rientrano  nelle  materie  di
competenza della  regione  o  delle  province,  ivi  comprese  quelle
relative a calamita' naturali»;  e)  il  gettito  sia  «temporalmente
delimitato, nonche' contabilizzato distintamente nel bilancio statale
e quindi quantificabile»". 
    Ora, l'art. 13 non contiene alcuna  specifica  destinazione,  ne'
alcuna  ulteriore  particolare  disposizione  che   possa   riferirsi
all'applicazione dell'art. 9 del d.lgs. n. 268 del 1992:  sicche'  da
questo punto di vista e' chiara l'illegittimita' della riserva. 
    Non varrebbe neppure  replicare  che  la  "finalizzazione"  delle
maggiori entrate derivanti dalla applicazione  del  decreto-legge  n.
201 del 2011 e' stabilita dall'art. 48, comma 1, secondo il quale "le
maggiori  entrate  erariali  derivanti  dal  presente  decreto   sono
riservate all'Erario, per un  periodo  di  cinque  anni,  per  essere
destinate alle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi
di finanza pubblica concordati in sede europea, anche alla luce della
eccezionalita' della situazione economica internazionale", e  che  lo
stesso  comma  precisa  che  "con  apposito  decreto  del   Ministero
dell'economia e delle finanze ...  sono  stabilite  le  modalita'  di
individuazione   del    maggior    gettito,    attraverso    separata
contabilizzazione". 
    Risulta infatti  evidente  che  la  destinazione  alle  "esigenze
prioritarie di raggiungimento degli  obiettivi  di  finanza  pubblica
concordati in sede europea" non coincide affatto con la  destinazione
a "nuove specifiche spese di carattere non continuativo",  e  che  la
riserva non ha affatto «finalita' diverse da quelle di cui al comma 6
dell'art. 10 e al comma 1, lettera b), 10-bis» dello stesso d.lgs. n.
268 del 1992. 
    Ci si limita qui a questa  sintetica  evidenziazione,  in  quanto
l'art. 48, comma 1, si riferisce anche  ad  altre  maggiori  entrate,
ulteriori rispetto alla speciale disciplina dell'art. 13,  comma  11,
ed  e'  percio'  oggetto  di  specifica  impugnazione:  sia   percio'
consentito di rinviare a quella sede la piu' ampia argomentazione. 
    C) In particolare, ancora illegittimita' costituzionale del comma
11, nella parte in cui riserva ai comuni le attivita' di accertamento
e riscossione e assegna ai Comuni le maggiori entrate connesse a tali
attivita'. 
    Oltre che per la riserva allo Stato, l'art. 13, comma 11, risulta
lesivo anche per quel che dispone l'ultimo periodo di  esso,  secondo
cui "le attivita' di accertamento e riscossione dell'imposta erariale
sono svolte dal comune al quale spettano le maggiori somme  derivanti
dallo svolgimento delle  suddette  attivita'  a  titolo  di  imposta,
interessi e sanzioni". 
    L'art. 82 St. stabilisce che "le attivita'  di  accertamento  dei
tributi nel territorio delle  province  sono  svolte  sulla  base  di
indirizzi e  obiettivi  strategici  definiti  attraverso  intese  tra
ciascuna provincia e il Ministro  dell'economia  e  delle  finanze  e
conseguenti accordi operativi con le agenzie fiscali"; una disciplina
integrativa e' contenuta nell'art. 13 d.lgs. n. 268/1992. 
    Dunque, l'ultimo periodo  del  comma  11  viola  l'art.  82  St.,
regolando direttamente un'attivita' di accertamento  di  tributi  (la
quota di IMUP avente natura erariale) nel territorio provinciale. 
    Inoltre, la norma in questione viola l'art. 75, comma 1,  lettera
g) St. la' dove attribuisce ai comuni "le  maggiori  somme  derivanti
dallo svolgimento delle  suddette  attivita'  a  titolo  di  imposta,
interessi  e  sanzioni".  Infatti,  si  tratta  di   somme   comunque
rientranti tra le entrate erariali  di  cui  all'art.  75,  comma  1,
lettera g), per cui i 9/10 di esse spettano alla Provincia. 
    Non  si  tratta,  cioe',  di  maggiori   entrate   che   derivano
dall'aumento delle aliquote o dall'introduzione di nuovi tributi,  ma
semplicemente  di  entrate  che  derivano   da   un   piu'   rigoroso
accertamento degli obblighi tributari preesistenti,  il  cui  gettito
deve seguire la destinazione impressa dallo Statuto e non puo' essere
discrezionalmente attribuito dallo Stato. 
    La fondatezza di tale censura e' confermata anche dalla  sentenza
di codesta  Coste  costituzionale  n.  152/2011,  che  ha  dichiarato
costituzionalmente illegittimo l'art. 1, comma 6,  del  decreto-legge
n. 40 del 2010,  "nella  parte  in  cui  stabilisce  che  le  entrate
derivanti  dal  recupero  dei  crediti  d'imposta   «sono   riversate
all'entrata del bilancio dello Stato e restano acquisite all'erario»,
anche con riferimento a crediti  d'imposta  inerenti  a  tributi  che
avrebbero  dovuto  essere  riscossi  nel  territorio  della   Regione
siciliana". La sentenza precisa che "e' alla  Regione  siciliana  ...
che spetta, non solo provvedere al detto recupero, ma anche acquisire
il gettito da esso derivante,  posto  che  tale  gettito,  lungi  dal
costituire frutto di una nuova entrata tributaria  erariale,  non  e'
altro che l'equivalente del gettito del tributo previsto (al di fuori
dei casi nei quali e' concesso il  credito  d'imposta),  che  compete
alla Regione sulla base e nei limiti dell'art. 2 del d.P.R.  n.  1074
del 1965". 
    La medesima sent. 152/2011  ha  poi  annullato  l'art.  3,  comma
2-bis,  decreto-legge  40/2010,  in  quanto  "la   previsione   della
esclusiva destinazione a fondi erariali del gettito  derivante  dalla
definizione   agevolata   di   tali   controversie   inerenti    alla
contestazione  di  tributi  erariali  che  avrebbero  dovuto   essere
riscossi nel  territorio  regionale  si  pone  in  contrasto  con  il
principio di cui all'art. 2 delle norme di  attuazione,  non  potendo
peraltro neppure ritenersi che le entrate derivanti dalla  richiamata
definizione agevolata delle controversie  tributarie  siano  "entrate
nuove". 
    D) Illegittimita' costituzionale del comma  17,  terzo  e  quarto
periodo, 
    L'art. 13, comma 17, decreto-legge 201/2011 dispone che "il fondo
sperimentale di riequilibrio, come determinato ai sensi dell'articolo
2  del  decreto  legislativo  14  marzo  2011,  n.  23,  e  il  fondo
perequativo, come determinato ai sensi dell'articolo 13 del  medesimo
decreto legislativo n. 23  del  2011,  ed  i  trasferimenti  erariali
dovuti ai comuni della Regione Siciliana  e  della  Regione  Sardegna
variano in ragione delle differenze del gettito stimato  ad  aliquota
di base derivanti dalle disposizioni di cui al presente articolo"; si
aggiunge che "in caso di incapienza ciascun comune versa  all'entrata
del bilancio dello Stato le somme residue". 
    Tale disposizione e'  scritta  in  modo  oscuro  (i  fondi  ed  i
trasferimenti "variano", i comuni versano "le somme residue"): ma  in
definitiva sembra significare  che  o  attraverso  la  riduzione  dei
trasferimenti dallo Stato o (se la riduzione  non  basta)  attraverso
trasferimenti dagli stessi Comuni, lo Stato incamera tutto  cio'  che
per effetto delle nuove regole ai Comuni affluisca in misura maggiore
di prima. Ma essa non e' qui impugnata, in  quanto  non  riguarda  la
Provincia di Trento. 
    Per la Provincia - come per le altre  autonomie  speciali  aventi
competenza in materia di finanza locale -  vale  invece,  come  sopra
visto,  l'art.  13,  comma  17,  terzo  periodo:  il  quale   dispone
direttamente che "con le procedure previste  dall'articolo  27  della
legge 5 maggio 2009, n. 42, le regioni Friuli-Venezia Giulia e  Valle
d'Aosta, nonche'  le  Province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano,
assicurano il recupero  al  bilancio  statale  del  predetto  maggior
gettito stimato dei comuni  ricadenti  nel  proprio  territorio".  Il
quarto periodo aggiunge che,  "fino  all'emanazione  delle  norme  di
attuazione di cui allo stesso articolo 27, a valere  sulle  quote  di
compartecipazione ai tributi erariali, e' accantonato un importo pari
al maggior gettito stimato di cui al precedente periodo". 
    Dunque, lo Stato non solo trattiene la parte  erariale  dell'Imup
(in base al comma 11), ma vorrebbe incamerare dalla  Provincia  anche
l'imposta comunale, per tutto  l'importo  eccedente  le  entrate  che
affluivano ai comuni in base alle norme previgenti. Come si  e'  gia'
notato, il comma 17 e' formulato in modo tale da poter essere  inteso
nel senso che l'importo Imup 2012 non debba  essere  confrontato  con
l'importo 2011 dei tributi  sostituiti  ma  solo  con  l'importo  dei
tributi comunali sostituiti (cioe', l'Ici 2011). Se cosi'  fosse,  la
Provincia e i suoi enti locali risulterebbero depauperati: 
        dei  nove  decimi   dell'Irpef   sui   redditi   immobiliari,
soppressi; 
        delle  addizionali  provinciale  e  comunale  precedentemente
previste (la seconda era  incassata  dalla  Provincia  in  luogo  dei
comuni). 
    Inoltre, il comma 17 potrebbe essere interpretato anche nel senso
che dal gettito precedente sia esclusa  la  somma  che  perveniva  ai
comuni (tramite le Province autonome) ai sensi dell'art. 1, comma  4,
decreto-legge n. 98/2008, che  aveva  previsto  un  fondo  sostituivo
delle entrate comunali relative  all'ICI  sull'abitazione  principale
(norma  ora  abrogata  dall'art.  13,  comma  14,  lettera   a,   del
decreto-legge n. 201 del 2011). Se cosi' fosse,  ne  risulterebbe  un
ulteriore rilevante depauperamento del sistema provinciale. 
    In questi  termini,  la  fittizia  comunalizzazione  dei  tributi
immobiliari si traduce nel transito delle corrispondenti risorse  dal
bilancio provinciale al bilancio statale.  La  Provincia,  che  prima
"integrava" la finanza locale avvalendosi delle predette risorse, ora
ne e' priva ma dovra' comunque far fronte alle necessita' finanziarie
dei comuni (art.  81,  comma  2,  St.),  e  dovrebbe  contestualmente
versare allo Stato proprie  risorse  in  misura  corrispondente  alle
maggiori entrate dei Comuni, o comunque in  misura  corrispondente  a
quella a priori determinata dalla impugnata disposizione. 
    In un sistema  nel  quale  la  Provincia  ha  la  responsabilita'
complessiva della finanza locale,  la  sottrazione  ai  comuni  delle
risorse  derivanti  dalle  imposte  ad  essi  destinate   costituisce
contemporaneamente    una    lesione    dell'autonomia    finanziaria
provinciale. 
    In ogni modo, il terzo e quarto periodo  del  comma  17,  dunque,
violano l'art. 75 St. e gli artt. 9 e 10 d.lgs. n.  268/1992  perche'
pretendono di avocare allo Stato risorse di spettanza provinciale, al
di fuori dei casi previsti. 
    Cio' e' vero sia nel caso in cui  si  ritenga  che  il  comma  17
produca  l'effetto  di  avocare  allo  Stato  le  risorse  che  prima
spettavano alla Provincia a  titolo  di  compartecipazione  all'Irpef
fondiaria (art. 75 St.) e di addizionali provinciale e comunale (art.
80, comma 1-ter), sia nel caso in cui si  ritenga  che  la  Provincia
dovrebbe assicurare il recupero allo Stato del maggior gettito con le
proprie risorse ordinarie, per cui il comma 17 produce  l'effetto  di
"far tornare" nelle casse statali risorse spettanti alla Provincia  e
ad essa affluite in attuazione delle regole finanziarie  poste  dallo
Statuto e dalle norme di attuazione (comma 17, terzo periodo). 
    Inoltre, essi violano  l'art.  79  St.  perche'  l'avocazione  e'
disposta con il  fine  del  concorso  al  risanamento  della  finanza
pubblica, mentre la norma statutaria configura un sistema completo di
concorso delle Province  agli  obiettivi  di  finanza  pubblica,  non
derogabile se non con le modalita' previste dallo Statuto. 
    Ancora, essi violano gli  artt.  103,  104  e  107  St.,  proprio
perche' pretendono di derogare agli artt. 75 e 79 St. e al d.lgs.  n.
268/1992 con una fonte primaria "ordinaria". 
    L'art. 107 St. e'  violato  anche  perche'  il  comma  17,  terzo
periodo, pretende di vincolare  unilateralmente  il  contenuto  delle
norme di attuazione. 
    Una menzione separata e specifica richiede  l'illegittimita'  del
quarto periodo del comma 17 che  prevede  lo  "accantonamento"  delle
quote di compartecipazione previste dall'art. 75 Statuto. 
    Va  rilevato,  infatti,  che  tale   "accantonamento"   contrasta
anch'esso frontalmente con l'art. 75 dello  Statuto  e  con  l'intero
sistema finanziario della Provincia da esso istituito. 
    E' evidente, infatti, che le risorse che lo Statuto prevede  come
entrate  provinciali  sono  cosi'  stabilite  perche'  esse   vengano
utilizzate dalla Provincia per  lo  svolgimento  delle  sue  funzioni
costituzionali, e non perche' esse vengano "accantonate".  L'istituto
dell'accantonamento  non  ha  nel  sistema  statutario   cittadinanza
alcuna. 
    Inoltre, l'illegittimita' del  trasferimento  previsto  determina
anche l'illegittimita' dell'accantonamento disposto nella prospettiva
del trasferimento. 
    2) Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  14,  comma  13-bis,
terzo e quarto periodo. 
    L'art. 14, comma 1,  decreto-legge  201/2011  stabilisce  che  "a
decorrere dal 1° gennaio 2013 e' istituito  in  tutti  i  comuni  del
territorio nazionale il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi, a
copertura dei costi relativi al  servizio  di  gestione  dei  rifiuti
urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento,  svolto  in
regime di privativa dai comuni,  e  dei  costi  relativi  ai  servizi
indivisibili dei comuni". Il comma  8  dispone  che  "il  tributo  e'
corrisposto in base a tariffa" ed  i  commi  successivi  regolano  la
determinazione della tariffa (il comma 12 rinvia, a tal fine,  ad  un
regolamento). 
    Il comma 13 statuisce che "alla tariffa determinata in base  alle
disposizioni di cui ai commi da 8 a 12, si applica una  maggiorazione
pari a 0,30 euro per metro quadrato, a copertura dei  costi  relativi
ai  servizi  indivisibili  dei   comuni,   i   quali   possono,   con
deliberazione del consiglio comunale, modificare in aumento la misura
della maggiorazione fino a 0,40 euro, anche  graduandola  in  ragione
della tipologia dell'immobile e della zona ove e' ubicato". 
    Tali commi riguardano il regime generale del tributo, e non  sono
oggetto di impugnazione. Oggetto di impugnazione e' invece -  per  la
parte che interessa la  Provincia  autonoma  di  Trento  -  il  comma
13-bis, il quale dispone quanto segue: 
    "a  decorrere   dall'anno   2013   il   fondo   sperimentale   di
riequilibrio, come determinato ai sensi dell'articolo 2  del  decreto
legislativo 14 marzo 2011,  n.  23,  e  il  fondo  perequativo,  come
determinato  ai  sensi  dell'articolo   13   del   medesimo   decreto
legislativo n. 23 del 2011, ed i  trasferimenti  erariali  dovuti  ai
comuni della Regione Siciliana e della Regione Sardegna sono  ridotti
in misura corrispondente al  gettito  derivante  dalla  maggiorazione
standard di cui al  comma  13  del  presente  articolo.  In  caso  di
incapienza ciascun comune versa all'entrata del bilancio dello  Stato
le somme residue. Con le procedure previste  dall'articolo  27  della
legge 5 maggio 2009, n. 42, le regioni Friuli-Venezia Giulia e  Valle
d'Aosta, nonche'  le  Province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano,
assicurano il recupero  al  bilancio  statale  del  predetto  maggior
gettito  dei  comuni   ricadenti   nel   proprio   territorio.   Fino
all'emanazione delle norme di attuazione di cui allo stesso  articolo
27, a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali, e'
accantonato un importo pari al maggior gettito di cui  al  precedente
periodo". Dunque, in base al terzo e quarto periodo dell'art.  13-bis
la Provincia di Trento dovrebbe versare al bilancio dello Stato  -  a
"compenso" di maggiori entrate  dei  Comuni  -  risorse  dal  proprio
bilancio. 
    Come si vede, si tratta di disposizioni simili a  quelle  di  cui
all'art. 13, comma 17, terzo e quarto periodo, sopra  censurate,  con
la differenza che, nel caso del tributo comunale sui  rifiuti  e  sui
servizi, il recupero  al  bilancio  statale  della  maggiorazione  e'
previsto in modo stabile. 
    Vanno richiamati, dunque, i motivi gia'  svolti  con  riferimento
all'art. 13, comma 17, terzo e quarto periodo. 
    Per tali trasferimenti al bilancio dello  Stato  di  entrate  che
spettano alla  Provincia  a  termini  di  Statuto  non  vi  e'  alcun
fondamento statutario, ma vi e' invece violazione dello  Statuto:  il
quale assegna determinate entrate alla Provincia  affinche'  essa  ne
disponga per l'esercizio delle proprie funzioni, e non  per  versarle
al bilancio dello Stato. 
    Per il concorso ai bisogni della finanza pubblica  sono  previsti
appositi meccanismi dall'art. 79 Statuto,  mentre  l'art.  14,  comma
13-bis, terzo e quarto periodo, stravolge  unilateralmente  l'assetto
dei rapporti tra Stato e Provincia in materia  finanziaria  disegnato
dallo Statuto. 
    Il terzo e quarto  periodo  del  comma  13-bis,  dunque,  violano
l'art. 75 St.  e  gli  artt.  9  e  10  d.lgs.  n.  268/1992  perche'
pretendono di avocare allo Stato risorse di spettanza provinciale, al
di fuori dei casi previsti. Infatti, la Provincia dovrebbe assicurare
il recupero allo Stato della maggiorazione standard  con  le  proprie
risorse ordinarie, per cui il comma  17  produce  l'effetto  di  "far
tornare" nelle casse  statali  risorse  affluite  alla  Provincia  in
attuazione delle regole finanziarie poste dallo Statuto e dalle norme
di attuazione (comma 13-bis, terzo periodo). 
    Inoltre, essi violano  l'art.  79  St.  perche'  l'avocazione  e'
disposta con l'implicito fine  di  concorrere  al  risanamento  della
finanza pubblica, mentre la norma  statutaria  configura  un  sistema
completo  di  concorso  delle  Province  agli  obiettivi  di  finanza
pubblica, non derogabile se  non  con  le  modalita'  previste  dallo
Statuto. 
    Ancora, essi violano gli  artt.  103,  104  e  107  St.,  proprio
perche' pretendono di derogare agli artt. 75 e 79 St. e al d.lgs.  n.
268/1992 con una  fonte  primaria  "ordinaria".  L'art.  107  St.  e'
violato anche perche' il comma 13-bis,  terzo  periodo,  pretende  di
vincolare unilateralmente il contenuto delle norme di attuazione. 
    Come gia' osservato per  l'art.  13,  comma  17,  e'  poi  palese
l'illegittimita' del quarto periodo del  comma  13-bis  dell'art.  14
che, prevedendo l'accantonamento sulle entrate  provinciali  e  sulle
quote di  compartecipazione  previste  dall'art.  75  St.,  contrasta
frontalmente  con  tale  norma  costituzionale  e  con   il   sistema
finanziario previsto dallo  Statuto,  per  le  stesse  ragioni  sopra
enunciate.I 
    3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 22, comma 3. 
    L'art. 22 e' inserito nel capo III  (Riduzioni  di  spesa.  Costi
degli apparati) del titolo III. 
    Il comma 3 di esso, qui impugnato, stabilisce che "le Regioni, le
Province autonome di Trento e Bolzano e gli Enti locali, negli ambiti
di rispettiva competenza, adeguano  i  propri  ordinamenti  a  quanto
previsto dall'articolo 6, comma 5, del decreto-legge 31 maggio  2010,
n. 78, ... con riferimento alle Agenzie, agli enti e  agli  organismi
strumentali, comunque  denominati,  sottoposti  alla  loro  vigilanza
entro un anno dall'entrata in vigore del presente decreto". 
    L'art. 6,  comma  5,  decreto-legge  78/2010,  cosi'  richiamato,
dispone  che  "tutti  gli  enti  pubblici,  anche  economici,  e  gli
organismi pubblici,  anche  con  personalita'  giuridica  di  diritto
privato, provvedono all'adeguamento dei rispettivi statuti al fine di
assicurare che, a decorrere dal primo rinnovo successivo alla data di
entrata in vigore dei presente decreto, gli organi di amministrazione
e quelli di controllo, ove non gia' costituiti in forma  monocratica,
nonche' il collegio dei revisori, siano costituiti da un  numero  non
superiore, rispettivamente, a cinque e  a  tre  componenti".  Dispone
ancora che in ogni caso,  "le  Amministrazioni  vigilanti  provvedono
all'adeguamento della relativa disciplina di organizzazione, mediante
i regolamenti di cui  all'articolo  2,  comma  634,  della  legge  24
dicembre 2007, n. 244, con riferimento a tutti gli enti ed  organismi
pubblici  rispettivamente  vigilati,  al  Cine   di   apportare   gli
adeguamenti previsti ai sensi del presente comma". Dispone infine che
"la mancata adozione dei provvedimenti di adeguamento statutario o di
organizzazione previsti  dal  presente  comma  nei  termini  indicati
determina responsabilita' erariale e tutti gli  atti  adottati  dagli
organi degli enti e degli organismi pubblici interessati sono nulli". 
    In sostanza, l'art. 22, comma 3, impone alle Province autonome  e
agli enti locali situati nel loro territorio  di  adeguare  i  propri
ordinamenti in modo che gli enti pubblici (o comunque  gli  organismi
strumentali)  sottoposti  alla  loro  vigilanza  abbiano  organi   di
amministrazione e controllo costituiti da un numero fisso  e  ridotto
di componenti. 
    Tale vincolo  appare  di  per  se'  illegittimo  gia'  in  quanto
riferito alle  autonomie  regionali  in  generale,  ivi  comprese  le
Regioni ordinarie. 
    Le ragioni di tale  illegittimita'  risultano  chiaramente  sent.
182/2011  di  codesta  ecc.ma  Corte   costituzionale,   riferita   a
fattispecie corrispondente a quella oggetto  della  disposizione.  In
tale sentenza codesta ecc. Corte ha rilevato "interventi analoghi per
i contenuti a quelli operati dalle diverse disposizioni  dell'art.  6
del decreto-legge n. 78 del 2010, disposti negli anni  trascorsi  dal
legislatore statale, non sono stati in grado di superare il vaglio di
legittimita'    costituzionale,    data    l'indebita    compressione
dell'autonomia  finanziaria  delle  Regioni  che  con   essi   veniva
realizzata", e che in particolare, "sono state ritenute  illegittime,
nella parte in cui pretendevano  di  imporsi  al  sistema  regionale,
rigide misure concernenti ... il numero massimo degli  amministratori
di societa' partecipate dalla Regione (sentenza n. 159 del 2008)". 
    Secondo  la  Corte,  l'art.  6  "puo'   rispettare   il   riparto
concorrente della potesta' legislativa in tema di coordinamento della
finanza pubblica, solo a condizione di  permettere  l'estrapolazione,
dalle singole disposizioni statali, di  principi  rispettosi  di  uno
spazio aperto all'esercizio dell'autonomia regionale". 
    Ne risulta che l'art. 6 del decreto-legge n.  78  del  2010  "non
intende imporre alle Regioni l'Osservanza puntuale ed  incondizionata
dei  singoli  precetti  di  cui  si  compone  e   puo'   considerarsi
espressione di un principio fondamentale della  finanza  pubblica  in
quanto stabilisce,  rispetto  a  specifiche  voci  di  spesa,  limiti
puntuali che si applicano integralmente allo Stato, mentre  vincolano
le Regioni, le Province autonome e gli enti  del  Servizio  sanitario
nazionale solo conte limite complessivo di spesa".  In  sostanza,  il
comma 20 dell'art. 6 "autorizza le Regioni, le  Province  autonome  e
gli enti del Servizio sanitario nazionale ...  a  determinare,  sulla
base di una valutazione globale dei limiti di spesa puntuali  dettati
dall'art. 6, l'ammontare complessivo dei risparmi  da  conseguire  e,
quindi, a modulare in modo discrezionale, tenendo fermo quel vincolo,
le percentuali di riduzione delle singole voci di  spesa  contemplate
nell'art. 6". 
    Da tali  considerazioni  ed  argomentazioni  risulta  chiaramente
l'illegittimita' di una norma che pretende di  vincolare  le  Regioni
specificamente al rispetto di uno  dei  vincoli  posti  dall'art.  6,
cioe' a quello risultante dal comma 5 di esso: infatti, si tratta  di
un limite ad una voce minuta di spesa,  non  transitorio  e  che  non
lascia margine di scelta alle Regioni, indicando  gia'  il  modo  per
conseguire il risparmio. 
    E' dunque evidente  che  l'art.  6,  comma  5,  non  puo'  essere
considerato principio di  coordinamento  della  finanza  pubblica  e,
dunque, non puo' far  scattare  un  dovere  di  adeguamento  anche  a
prescindere da quanto disposto dall'art. 79 dello Statuto speciale. 
    L'illegittimita' della norma e' altrettanto palese se considerata
in relazione allo Statuto speciale. 
    L'art. 79 dello Statuto, introdotto dalla legge n. 191  del  2009
con la procedura prevista dall'art.  104  dello  Statuto,  disciplina
esaustivamente il concorso della Provincia  "al  conseguimento  degli
obiettivi di perequazione  e  di  solidarieta'  e  all'esercizio  dei
diritti e dei doveri dagli stessi derivanti nonche'  all'assolvimento
degli  obblighi  di  carattere  finanziario  posti   dall'ordinamento
comunitario, dal patto di stabilita' interno e dalle altre misure  di
coordinamento  della  finanza  pubblica  stabilite  dalla   normativa
statale" (comma 1), stabilendo che "le  misure  di  cui  al  comma  1
possono essere modificate esclusivamente con  la  procedura  prevista
dall'articolo  104  e  fino   alla   loro   eventuale   modificazione
costituiscono il concorso agli obiettivi di finanza pubblica  di  cui
al comma 1" (comma 2). 
    Il comma 3 aggiunge che, "al fine di assicurare il concorso  agli
obiettivi di finanza pubblica, la regione e  le  province  concordano
con il Ministro dell'economia e delle finanze gli  obblighi  relativi
al patto di stabilita' interno con riferimento ai saldi  di  bilancio
da conseguire  in  ciascun  periodo",  e  che,  "fermi  restando  gli
obiettivi complessivi  di  finanza  pubblica,  spetta  alle  province
stabilire gli obblighi relativi al  patto  di  stabilita'  interno  e
provvedere alle funzioni di coordinamento con riferimento  agli  enti
locali,  ai  propri  enti  e  organismi  strumentali,  alle   aziende
sanitarie,  alle  universita'  non  statali  ...,  alle   camere   di
commercio, industria, artigianato e agricoltura e agli altri enti  od
organismi a ordinamento  regionale  o  provinciale  finanziati  dalle
stesse in via ordinaria". Si ribadisce inoltre che "non si  applicano
le misure adottate per le regioni e per gli altri enti  nel  restante
territorio nazionale" e si precisa  che  "le  province  vigilano  sul
raggiungimento degli obiettivi di finanza  pubblica  da  parte  degli
enti di cui al presente comma ed esercitano sugli stessi il controllo
successivo sulla gestione". 
    Anche dal comma 4 risulta che le  disposizioni  statali  relative
all'attuazione degli obiettivi di  perequazione  e  di  solidarieta',
nonche' al rispetto degli obblighi derivanti dal patto di  stabilita'
interno, non trovano applicazione con riferimento alla regione e alle
province e sono in  ogni  caso  sostituite  da  quanto  previsto  dal
presente articolo". 
    Infine, lo stesso comma 4 precisa, per i rapporti  con  le  norme
statali che non siano direttamente misure di  finanza  pubblica,  che
"la regione e le province provvedono alle finalita' di  coordinamento
della  finanza  pubblica   contenute   in   specifiche   disposizioni
legislative  dello  Stato,  adeguando  la  propria  legislazione   ai
principi costituenti limiti ai sensi degli articoli 4 e 5". 
    Dunque, poiche' l'art. 22, comma 3, contiene  una  norma  che  e'
chiaramente volta al  coordinamento  finanziario,  l'applicazione  di
essa alla Provincia si pone  in  contrasto  con  l'art.  79  St.:  in
particolare - per quel che riguarda gli enti ed organismi  sottoposti
alla vigilanza della Provincia - con il comma 1, con il comma 2 e con
il comma 3, secondo e terzo periodo,  perche'  si  introduce  per  la
Provincia  un'ulteriore  modalita'  di  concorso  agli  obiettivi  di
finanza pubblica, diversa ed aggiuntiva rispetto  a  quelle  previste
dal predetto articolo 79, e si parificano le Province  autonome  alle
Regioni  ordinarie,  mentre  l'art.  79   in   piu'   punti   esclude
l'applicazione alle Province  delle  misure  valevoli  per  le  altre
Regioni. 
    In relazione agli enti ed  organismi  sottoposti  alla  vigilanza
degli enti locali situati nella provincia, l'art. 22, comma 3,  viola
l'art. 79, comma 3, secondo e terzo periodo, in quanto nel potere  di
coordinamento finanziario degli enti locali e' chiaramente ricompreso
quello di coordinamento finanziario degli enti strumentali degli enti
locali. Non si possono estendere, dunque, al  territorio  provinciale
le misure riguardanti in generale gli enti locali. 
    Il contrasto tra l'art. 22, comma 3, dell'impugnato decreto-legge
e l'art. 79 St. comporta anche la violazione degli artt. 103,  104  e
107 dello Statuto e del principio di  leale  collaborazione,  perche'
una  fonte  primaria  ordinaria,  adottata  unilateralmente,  non  e'
abilitata a  derogare  ad  una  norma  statutaria,  adottata  con  la
speciale procedura di cui all'art. 104 St. 
    E' anche da ricordare che la Provincia di Trento e'  titolare  di
competenza  legislativa  primaria  in   materia   di   organizzazione
amministrativa, compresa quella degli enti collegati (art. 8,  n.  1,
St.) e di potesta' legislativa  concorrente  in  materia  di  finanza
locale (art. 80, St., integrato dall'art.  17,  comma  3,  d.lgs.  n.
268/1992, secondo il quale "le  province  disciplinano  con  legge  i
criteri  per  assicurare  un  equilibrato  sviluppo   della   finanza
comunale"), esercitata con la l.p. 36/1993 (v. in particolare  l'art.
3). L'art. 22, comma 3,  viola  queste  norme,  perche'  pretende  di
vincolare la Provincia, in  materie  provinciali,  ad  una  norma  di
dettaglio, che - come visto nella prima parte di questo motivo -  non
puo' essere qualificata come principio fondamentale  e,  dunque,  non
puo'  condizionare  la  potesta'  concorrente  e  tanto  meno  quella
primaria. 
    4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 28, comma 3. 
    L'art. 28 ha ad oggetto  il  Concorso  alla  manovra  degli  Enti
territoriali e ulteriori riduzioni di spese. Il  comma  3  stabilisce
quanto segue: "Con le  procedure  previste  dall'articolo  27,  della
legge 5 maggio 2009, n. 42,  le  Regioni  a  statuto  speciale  e  le
Province  autonome  di  Trento  e  Bolzano  assicurano,  a  decorrere
dall'anno 2012, un concorso alla finanza pubblica di euro 860 milioni
annui.  Con  le  medesime  procedure  le  Regioni  Valle  d'Aosta   e
Friuli-Venezia Giulia e le Province  autonome  di  Trento  e  Bolzano
assicurano, a decorrere dall'anno  2012,  un  concorso  alla  finanza
pubblica di 60 milioni di euro annui, da parte dei  Comuni  ricadenti
nei proprio territorio. Fino all'emanazione delle norme di attuazione
di cui al predetto articolo 27, l'importo complessivo di 920  milioni
e' accantonato, proporzionalmente alla  media  degli  impegni  finali
registrata per ciascuna autonomia nel triennio  2007-2009,  a  valere
sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali". 
    Siamo, dunque, di fronte ad una ulteriore  rilevante  sottrazione
di risorse alle Regioni speciali, che si aggiunge a  quelle  previsti
dall'art.  14,  decreto-legge  78/2010,  dall'art.   20,   comma   5,
decreto-legge 98/2011 e dall'art. 1, comma 8, decreto-legge 138/2011,
come sintetizzati e ripartiti dal comma 10 dell'art. 32  della  legge
n. 183 del 2011 (quest'ultimo oggetto di impugnazione da parte  della
Provincia). 
    In piu', viene disposto un taglio di risorse anche a carico degli
enti locali situati nei territori delle autonomie speciali dotate  di
competenza in materia di  finanza  locale.  Quest'ultimo  taglio,  in
realta', incide in sostanza sempre sulla Provincia, come risulta  dal
terzo periodo del comma 3 e dall'art. 81, comma 2, St.,  che  vincola
la Provincia  a  finanziare  adeguatamente  i  comuni  (esso  dispone
infatti che  "allo  scopo  di  adeguare  le  finanze  dei  comuni  al
raggiungimento  delle  finalita'  e  all'esercizio   delle   funzioni
stabilite  dalle  leggi,  le  province  di  Trento   e   di   Bolzano
corrispondono ai comuni stessi idonei mezzi finanziari, da concordare
fra il Presidente della  relativa  Provincia  ed  una  rappresentanza
unitaria  dei   rispettivi   comuni").   Comunque,   in   base   alla
giurisprudenza costituzionale le Regioni sono legittimate a difendere
davanti alla Corte  anche  l'autonomia  finanziaria  dei  comuni  (v.
sentt. 298/2009, 278/10, punto  14.1,  169/2007,  punto  3,  95/2007,
417/2005, 196/2004, 533/2002). 
    La sottrazione di risorse qui contestata non ha in effetti alcuna
base statutaria. 
    Al contrario,  le  disposizioni  dello  Statuto,  a  partire  dal
fondamentale art. 75, sono rivolte ad assicurare  alla  Provincia  le
finanze necessarie all'esercizio delle funzioni: ed e' chiaro che  la
devoluzione statutaria di importanti percentuali dei tributi riscossi
nella provincia non avrebbe alcun senso, se poi fosse consentito alla
legge ordinaria dello Stato di riportare all'erario tali risorse, per
di piu' con determinazione unilaterale e meramente potestativa. 
    Per di piu', come gia' piu'  volte  ricordato,  l'art.  79  dello
Statuto di autonomia disciplina ormai in modo preciso,  esaustivo  ed
esclusivo le regole  secondo  le  quali  le  Province  assolvono  gli
"obblighi   di   carattere   finanziario    posti    dall'ordinamento
comunitario, dal patto di stabilita' interno e dalle altre misure  di
coordinamento  della  finanza  pubblica  stabilite  dalla   normativa
statale" (comma 1): e - come lo stesso art. 79 esplicitamente precisa
- tali  regole  "possono  essere  modificate  esclusivamente  con  la
procedura  prevista  dall'articolo  104",  mentre  "fino  alla   loro
eventuale modificazione costituiscono il concorso agli  obiettivi  di
finanza pubblica di cui  al  comma  1"  (comma  2).  Ed  il  comma  4
ribadisce che "le disposizioni statali relative all'attuazione  degli
obiettivi  di'  perequazione   e   di   solidarieta'.   non   trovano
applicazione con riferimento alla regione e alle province e  sono  in
ogni caso sostituite da quanto previsto dal presente articolo". 
    Il comma 3 dell'art. 79 attribuisce alle Province autonome poteri
di coordinamento finanziario con riferimento agli  enti  locali,  nel
quadro della generale competenza legislativa provinciale  in  materia
di finanza locale prevista dall'art. 80 St.  Nell'esercizio  di  tale
competenza e' stata adottata la l.p. 36/1993, il cui art.  3  dispone
tra  l'altro  che  "in  sede  di  definizione  dell'accordo  previsto
dall'articolo 81 dello Statuto speciale sono  stabilite,  oltre  alla
quantita' delle risorse finanziarie da trasferire ai  comuni  e  agli
altri enti locali, le misure necessarie a garantire il  coordinamento
della  finanza  comunale  e  quella  provinciale,   con   particolare
riferimento alle misure  previste  dalla  legge  finanziaria  per  il
perseguimento degli obiettivi della finanza provinciale correlati  al
patto di stabilita' interno". 
    Con le disposizioni statutarie sopra ricordate  l'impugnato  art.
28, comma 3, si pone in insanabile conflitto. 
    Le  risorse  spettanti  alla   Provincia   non   possono   essere
semplicemente "acquisite" dallo Stato, mentre la Provincia  stessa  e
gli enti locali concorrono al risanamento della finanza pubblica  nei
modi direttamente previsti dall'art. 79 o comunque in quelli regolati
dall'art. 79 (v. il comma 3). Si tratta di un  regime  speciale,  che
non puo' essere alterato unilateralmente dal legislatore ordinario. 
    Del resto, tutto il regime dei rapporti finanziari  fra  Stato  e
Regioni speciali e' dominato dal principio  dell'accordo,  pienamente
riconosciuto  nella  giurisprudenza  costituzionale:  v.  le   sentt.
82/2007, 353/2004, 39/1984, 98/2000, 133/2010. 
    Non puo' ingannare, in questo come negli altri  casi,  il  rinvio
alle norme di attuazione dello Statuto. 
    In primo luogo, l'accantonamento previsto in attesa  delle  norme
di attuazione e'  gia'  autonomamente  lesivo,  traducendosi  in  una
sottrazione delle risorse disponibili per la Provincia, al  di  fuori
delle regole di coordinamento finanziario stabilite dall'art. 79  (v.
anche argomenti esposti sopra). 
    In secondo luogo, quanto alle stesse norme di attuazione,  l'art.
79 e' modificabile solo con la procedura di cui all'art.  104  St.  e
non in sede di attuazione.  In  terzo  luogo,  l'art.  28,  comma  3,
determina (illegittimamente) un vincolo di contenuto per le norme  di
attuazione,  per  cui  il  rinvio  alla  fonte  "concertata"   appare
fittizio. Inoltre, "fino all'emanazione delle norme di attuazione ...
l'importo complessivo di 920 milioni e' accantonato. a  valere  sulle
quote di compartecipazione ai tributi erariali". Dunque, la riduzione
delle  risorse  e'  operata  direttamente   e   unilateralmente   dal
legislatore statale, in contrasto con lo Statuto e con  il  principio
consensuale che domina i rapporti tra Stato  e  Regioni  speciali  in
materia finanziaria (v. le sentt. sopra citate). 
    In definitiva, come detto, l'art. 28, comma 3,  viola  l'art.  79
St., commi 1, 2, e 4,  primo  periodo,  perche'  i  modi  in  cui  la
Provincia concorre  al  raggiungimento  degli  obiettivi  di  finanza
pubblica o sono fissati direttamente dallo stesso  art.  79  o  vanno
concordati tra Stato e Provincia, sempre in base all'art. 79. 
    Corrispondentemente, e'  violato  l'art.  104,  che  richiede  il
consenso della Provincia per la modifica delle norme  del  Titolo  VI
dello Statuto. 
    Inoltre, e' violato l'art. 107 St., perche'  una  fonte  primaria
pretende di vincolare il contenuto delle norme di attuazione. 
    Ancora, il terzo periodo dell'art. 28, comma 3, viola  l'art.  75
St., perche' diminuisce l'importo spettante alla Provincia  a  titolo
di compartecipazioni, in base alla suddetta norma statutaria. 
    Si noti che le censure sopra svolte valgono ugualmente alla quota
di 60 milioni di curo che lo Stato esige dalla  Provincia  di  Trento
come "da parte dei Comuni ricadenti nel proprio territorio". 
    Se la  Provincia  di  Trento,  come  esposto,  ha  il  dovere  di
contribuire con le proprie risorse alla finanza  dei  propri  comuni,
non fa certo invece parte dei suoi compiti di fungere in relazione ad
essi da esattore per conto dello Stato. Ne' lo Stato ha alcun  titolo
per esigere dalla Provincia  di  Trento  somme  che  esso  ritenga  a
qualunque titolo dovute dai comuni. Si tratta di risorse che spettano
alla Provincia per Statuto, e che non possono essere destinate se non
secondo le previsioni statutarie, che non sono suscettibili di essere
alterate dalla legge ordinaria dello Stato. 
    E', poi, ulteriormente e specificamente illegittimo e  lesivo  il
terzo periodo dell'art. 28, comma 3, la' dove prevede il criterio del
riparto  dell'accantonamento  ("proporzionalmente  alla  media  degli
impegni  finali  registrata  per  ciascuna  autonomia  nel   triennio
20072009").  Infatti,  tale  criterio  non  risulta  in  alcun   modo
pariteticamente concordato tra Stato e Regioni speciali, in contrasto
con  il  principio  consensuale  di   cui   sopra,   oggi   stabilito
espressamente nello Statuto speciale per la determinazione del  patto
di stabilita' (e  comunque  sempre  seguito  nelle  precedenti  leggi
finanziarie dello Stato). 
    Infine, risulta illegittimo il quarto periodo dell'art. 28, comma
3, secondo il  quale,  in  relazione  al  riparto  della  sottrazione
complessiva di risorse tra le diverse  autonomie  speciali,  "per  la
Regione Siciliana si tiene conto  della  rideterminazione  del  fondo
sanitario nazionale per effetto del comma 2". 
    Posto che il richiamato comma 2 stabilisce che "l'aliquota di cui
al comma 1" (cioe' l'aumento dell'aliquota di  base  dell'addizionale
regionale all'IRPEF, regolata dall'art. 6 d.lgs. n. 68/2011, da 0,9 %
a 1,23 %) "si applica anche alle Regioni a statuto  speciale  e  alle
Province autonome di'  Trento  e  Bolzano",  la  disposizione  appare
particolarmente oscura. 
    Tuttavia, essa sembra interpretabile nel senso che la  quota  del
taglio previsto nell'art. 28, comma 3 (€ 860 milioni),  che  dovrebbe
essere addossata alla  Regione  Siciliana,  deve  essere  ridotta  in
corrispondenza alle minori risorse del Fondo sanitario destinate alla
Regione stessa. 
    Posto che di cio' si tratti, e' chiaro che, in  questo  modo,  si
altererebbe addirittura in peggio  per  la  ricorrente  Provincia  il
criterio proporzionale fissato dal terzo periodo del  comma  3  e  si
addosserebbe irragionevolmente  alle  altre  autonomie  speciali  una
quota parte del finanziamento della  spesa  sanitaria  della  Regione
Siciliana. 
    Ne risulterebbe la violazione dell'art.  3  Cost.  e  la  lesione
dell'autonomia finanziaria e amministrativa della Provincia,  perche'
la Provincia di Trento - oltre a finanziare la propria sanita' con il
proprio bilancio - verrebbe chiamata a contribuire  al  finanziamento
parziale di quella siciliana (v., per l'ammissibilita' di una censura
ex  art.  3  Cost.,  ad  es.,  la  sent.  16/2010,  punto  5.1),  con
inevitabili ripercussioni sulle  proprie  funzioni  amministrative  e
sulla propria autonomia di spesa. 
    5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 43, comma 8. 
    Nel capo dedicato alle Misure per Io  sviluppo  infrastrutturale,
l'art. 43, commi da 7 a 15, introduce  norme  concernenti  le  grandi
dighe. 
    Viene qui in considerazione il comma 8, il quale cosi' dispone: 
    "Ai fini del  mantenimento  delle  condizioni  di  sicurezza,  il
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di  concerto  con  il
Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e  del  mare  e
d'intesa con le regioni  e  le  province  autonome  di  Trento  e  di
Bolzano, individua, entro il 30 giugno 2013, in ordine di priorita' e
sulla base anche dei progetti  di  gestione  degli  invasi  ai  sensi
dell'articolo 114 del decreto legislativo 3 aprile 2006,  n.  152,  e
successive modificazioni, le grandi dighe per le quali, accertato  il
concreto  rischio  di  ostruzione  degli  organi  di  scarico,  siano
necessarie e urgenti l'adozione di interventi  nonche'  la  rimozione
dei sedimenti accumulatisi nei serbatoi. Le  regioni  e  le  province
autonome nei cui territori sono presenti le grandi dighe per le quali
sia stato rilevato il rischio di ostruzione degli organi di scarico e
la conseguente necessita' e urgenza  della  rimozione  dei  sedimenti
accumulati nei serbatoi individuano idonei  siti  per  lo  stoccaggio
definitivo di tutto il materiale e sedimenti asportati in  attuazione
dei suddetti interventi". 
    La ricorrente Provincia ritiene che la  citata  disposizione  sia
stata dettata  sulla  base  di  un  positivo  intento  collaborativo;
tuttavia, nella concreta situazione  di  fatto  e  di  diritto  della
Provincia autonoma di Trento,  del  tutto  diversa  da  quella  delle
regioni a statuto ordinario, essa si traduce nella interferenza degli
organi statali in un complesso di beni e di funzioni che fanno  parte
delle proprie  competenze  statutarie,  e  che  essa  ha  titolo  per
esercitare e gestire, nel solo quadro definito dallo statuto e  dalle
norme di attuazione: che prevede  anche  ruoli  statali  (ad  esempio
nella condivisione del Piano generale per l'utilizzazione delle acque
pubbliche, PGUAP), ma non i compiti - ed i conseguenti vincoli per la
Provincia - previsti dall'impugnato art. 43, comma 8. 
    Di seguito occorre dunque  tracciare  il  quadro  delle  speciali
attribuzioni provinciali, e dei rapporti con lo Stato nella  materia,
quale risulta dallo statuto di autonomia e dalle norme di attuazione. 
    La Provincia di Trento  e'  titolare  di  competenza  legislativa
primaria, nonche' delle funzioni amministrative, in materia di "opere
di prevenzione e di pronto soccorso per calamita' pubbliche" (art. 8,
n. 13, e art. 16  St.):  la  prevenzione,  si  noti,  e'  esattamente
l'oggetto e l'ambito della disposizione dell'art. 43, comma 8. 
    Inoltre, essa e' titolare di potesta' primaria e  delle  connesse
funzioni amministrative in materia di "opere idrauliche della  terza,
quarta e quinta categoria" (art. 8, n. 24, e art. 16 St.), mentre per
le opere di prima e seconda categoria  opera  la  delega  integrativa
previste dalle norme di attuazione (articolo 7 d.P.R.  n.   381/1974)
di cui subito si dira'. 
    Essa e' altresi' titolare di potesta' legislativa  concorrente  e
delle funzioni amministrative  in  materia  di  "utilizzazione  delle
acque pubbliche" (art. 9, n. 9, e art. 16 St.). L'art. 14,  comma  3,
St. integra tale previsione disponendo,  come  sopra  accennato,  che
"l'utilizzazione delle acque pubbliche da parte dello Stato  e  della
provincia, nell'ambito della rispettiva competenza, ha luogo in  base
a un piano generale stabilito d'intesa  tra  i  rappresentanti  dello
Stato e della provincia in seno a un apposito  comitato".  Il  Piano,
che "vale anche, per il rispettivo territorio, quale piano di  bacino
di rilievo nazionale" (art. 5, comma 4, del d.P.R. n.  381/1974),  e'
pienamente operante, essendo  stato  reso  esecutivo  con  d.P.R.  15
febbraio 2006. 
    Le  norme  statutarie  sono  state  attuate  da  diversi  decreti
legislativi, sia in relazione ai beni che in relazione alle funzioni. 
    Quanto ai beni,  l'art.  8,  comma  1,  lettera  e),  d.P.R.  n. 
115/1973, dispone che sono trasferiti alle Province autonome tutti  i
beni del demanio idrico, "compresi le aree fluviali, gli alvei  e  le
pertinenze, i ghiacciai e i  laghi,  nonche'  le  opere  di  bonifica
valliva e montana, le opere di sistemazione  idraulico-forestale  dei
bacini montani, le opere idrauliche  e  gli  altri  beni  immobili  e
mobili  strumentali  all'esercizio  delle  funzioni  conferite   alle
province riguardo  al  demanio  medesimo".  E  l'art.  5  d.P.R.  n. 
381/1974 precisa che, "in relazione al  trasferimento  alle  province
autonome di Trento e di  Bolzano  del  demanio  idrico,  le  province
stesse esercitano tutte le attribuzioni inerenti alla titolarita'  di
tale  demanio  ed  in  particolare  quelle  concernenti  la   polizia
idraulica" (comma 1). 
    Quanto alle rimanenti funzioni, l'art.  1,  d.P.R.  n.   381/1974
stabilisce che "le attribuzioni dell'amministrazione dello  Stato  in
materia  di  urbanistica,  di  edilizia  comunque  sovvenzionata,  di
utilizzazione delle acque pubbliche, di opere idrauliche, di opere di
prevenzione  e  pronto   soccorso   per   calamita'   pubbliche,   di
espropriazione per pubblica utilita',  di  viabilita',  acquedotti  e
lavori pubblici di interesse provinciale, esercitate sia direttamente
dagli organi centrali e periferici dello Stato sia per il tramite  di
enti e di istituti pubblici a carattere nazionale o  sovraprovinciali
e quelle gia' spettanti alla regione Trentino-Alto Adige nelle stesse
materie, sono esercitate per il rispettivo territorio dalle  province
di Trento e di Bolzano". Anche  in  questo  caso  sia  consentito  di
sottolineare che si tratta esattamente dello stesso ambito  materiale
oggetto dell'art. 43, comma 8. 
    Come sopra anticipato, anche  le  funzioni  relative  alle  opere
idrauliche di prima e seconda  categoria  spettano  per  delega  alle
Province autonome, in forza dell'articolo 7 d.P.R.  n.   381/1974,  e
l'art. 18 precisa che "si intendono sostituiti gli organi centrali  e
periferici dello Stato con gli organi della provincia in tutti i casi
in cui le disposizioni vigenti  nelle  materie  di  cui  al  presente
decreto facciano riferimento a funzioni amministrative degli organi o
degli uffici  centrali  o  periferici  dello  Stato".  Le  competenze
statali residue sono elencate dall'art. 19, ma tra  esse  non  vi  e'
alcuna  funzione  riferibile  alle  grandi  dighe  (rimangono  invece
riservate allo Stato le opere  di  prevenzione  relative  agli  altri
oggetti indicati dalle lettere da a ad e del comma 1). 
    Codesta Corte  ha  di  recente  confermato  la  competenza  della
Provincia nella materia de qua, in una sentenza (la 109/2011)  avente
ad oggetto una  legge  statale  che  attribuiva  funzioni  ad  organi
statali per fronteggiare  situazioni  di  rischio  idrogeologico.  La
Corte ha richiamato la competenza provinciale di cui all'art.  8,  n.
13, St. ("opere di prevenzione e di  pronto  soccorso  per  calamita'
pubbliche"), Osservando che "a tale nozione (con particolare riguardo
al concetto di  'prevenzione')  e'  riconducibile  anche  il  rischio
idrogeologico, ancorche' esso non formi  oggetto  di  una  previsione
specifica, considerata anche  la  competenza  legislativa  attribuita
alla provincia in materia di utilizzazione delle acque pubbliche.  ai
sensi dell'art. 9, primo comma, n. 9, dello  statuto  di  autonomia".
Inoltre la Corte ha menzionato l'art. 14 St. e l'art.  1  d.P.R.  n. 
381/1974, sopra citati. 
    Dunque, l'art.  43,  comma  8,  primo  periodo,  attribuendo  una
funzione amministrativa  al  Ministero  delle  infrastrutture  e  dei
trasporti, di concerto con il Ministero dell'ambiente  (seppur  anche
d'intesa con le regioni  e  le  province  autonome  di  Trento  e  di
Bolzano), in una materia di competenza provinciale,  viola  le  norme
statutarie e di attuazione sopra citate: v. in particolare l'art.  8,
n. 13 e n. 24, St., l'art. 9, n. 9), St.), l'art. 16 St.,  gli  artt.
1, 5, comma 1, 19  e  da  33  a  37  d.P.R.  n.   381/1974,  che  non
comprendono la funzione oggetto dell'art. 43, comma 8, fra quelle  di
competenza statale. E' da precisare che, nelle materie di  competenza
provinciale in base allo Statuto, e' ancora operante il principio del
parallelismo di cui all'art. 16 St. (v. sent. 236/2004). 
    Per le stesse ragioni l'art. 43, comma 8, primo periodo, si  pone
in contrasto anche con l'art. 4, d.lgs. n. 266/1992, in base al quale
"nelle materie di competenza propria della regione o  delle  province
autonome !a legge non puo' attribuire agli  organi  statali  funzioni
amministrative,   comprese   quelle   di   vigilanza,   di    polizia
amministrativa  e  di  accertamento  di  violazioni   amministrative,
diverse da quelle spettanti allo Stato secondo lo statuto speciale  e
le relative norme di attuazione". 
    L'art. 43, comma 8, secondo periodo, per parte sua si riferisce a
compiti  (l'individuazione  di  siti  idonei  allo   stoccaggio   dei
sedimenti  rimossi)  che  fanno  naturalmente  parte  delle  funzioni
amministrative provinciali: ma non spetta allo Stato di  imporne  uno
specifico atto di  esercizio,  in  connessione  con  l'esercizio  dei
predetti poteri  statali.  Inoltre,  la  diretta  imposizione  di  un
adempimento amministrativo viola l'art. 2 d.lgs. n. 266/1992, secondo
il quale nelle materie di competenza provinciale  spetta  alla  legge
provinciale di recepire  la  legislazione  statale,  in  quanto  tale
recepimento sia dovuto. 
    6) Illegittimita' costituzionale dell'art. 48. 
    L'art. 48 contiene una generale "clausola di finalizzazione". 
    In base al comma 1, "le maggiori entrate erariali  derivanti  dal
presente decreto sono riservate all'Erario, per un periodo di  cinque
anni,   per   essere   destinate   alle   esigenze   prioritarie   di
raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede
europea,  anche  alla  luce  della  eccezionalita'  della  situazione
economica internazionale". Si prevede poi che "con  apposito  decreto
dei Ministero  dell'economia  e  delle  finanze,  sono  stabilite  le
modalita' di individuazione del maggior gettito, attraverso  separata
contabilizzazione". 
    Il comma 1-bis aggiunge  che,  "ferme  restando  le  disposizioni
previste dagli articoli 13,  14  e  28,  nonche'  quelle  recate  dal
presente articolo,  con  le  norme  di  attuazione  statutaria.  sono
definiti le modalita' di applicazione e gli  effetti  finanziari  del
presente decreto per le regioni a statuto speciale e per le  province
autonome di Trento e di Bolzano". 
    Tale comma 1-bis, con il suo "rinvio" alle  norme  di  attuazione
dello statuto, ha l'apparenza di una clausola di  salvaguardia  delle
autonomie speciali e delle loro regole statutarie: ma al tempo stesso
la disposizione ribadisce la  diretta  applicazione  non  solo  degli
articoli 13, 14  e  28,  ma  anche  delle  disposizioni  "recate  dal
presente articolo": dunque, il regime di cui all'art. 48, comma 1, si
riferisce anche alle entrate percepite nella provincia di Trento. 
    Maggiori entrate erariali deriveranno, ad esempio,  dall'art.  10
(a seguito dell'emersione della base imponibile), dall'art.  15  (che
aumenta le aliquote di accisa  sui  carburanti),  dall'art.  16  (che
aumenta la tassa automobilistica per le auto di lusso e istituisce la
tassa  annuale  di  stazionamento  sulle  imbarcazioni  e   l'imposta
erariale sugli aeromobili privati),  dall'art.  18  (che  aumenta  le
aliquote Iva), dall'art. 19 (che aumenta l'imposta di bollo  relativa
a conti correnti e  strumenti  finanziari,  introduce  un'imposta  di
bollo  speciale  annuale  sulle  attivita'  finanziarie   che   hanno
beneficiato del c.d. scudo fiscale e un'imposta straordinaria per  le
stesse  attivita'  se  gia'  prelevate  dal  rapporto  di   deposito,
istituisce un'imposta sul valore degli immobili situati all'estero  e
istituisce un'imposta sul valore delle attivita' finanziarie detenute
all'estero dalle  persone  fisiche  residenti  nel  territorio  dello
Stato),  dall'art.   20   (in   materia   di   riallineamento   delle
partecipazioni) e dall'art. 24 (il cui comma 31 regola la  tassazione
delle  indennita'  di  fine  rapporto  di  importo   complessivamente
eccedente euro 1.000.000 e dei  compensi  e  indennita'  a  qualsiasi
titolo erogati agli amministratori delle societa' di capitali, ed  il
cui comma 31-bis aumenta il contributo  di  solidarieta'  sulle  c.d.
pensioni d'oro). 
    Ad avviso della ricorrente Provincia la riserva di tali  maggiori
entrate all'erario e' illegittima per le ragioni di seguito esposte. 
    L'art. 75 dello Statuto attribuisce "alle  province  le  seguenti
quote del gettito delle sottoindicate entrate tributarie dello Stato,
percette nei rispettivi territori provinciali: a) i nove decimi delle
imposte di registro e di bollo, nonche' delle  tasse  di  concessione
governativa; ... d) i sette decimi dell'imposta sul  valore  aggiunto
...; j) i nove decimi del gettito dell'accisa  sulla  benzina,  sugli
oli da gas per autotrazione e  sui  gas  petroliferi  liquefatti  per
autotrazione erogati dagli  impianti  di  distribuzione  situati  nei
territori delle due province, nonche'  i  nove  decimi  delle  accise
sugli altri prodotti energetici ivi consumati; g) i  nove  decimi  di
tutte le altre entrate  tributarie  erariali,  dirette  o  indirette,
comunque  denominate,  inclusa  l'imposta  locale  sui  redditi,   ad
eccezione di quelle di spettanza regionale o di altri enti pubblici". 
    L'art. 48, comma 1, dunque, riservando  all'Erario  le  "maggiori
entrate   erariali   derivanti   dal   presente   decreto",   risulta
contrastante  con  l'art.  75  dello  Statuto,  che  garantisce  alle
Province ben precise compartecipazioni a tutti i tributi erariali. 
    Ne' si potrebbe  affermare  che  la  riserva  all'erario  di  cui
all'art. 48 sia giustificata in virtu' del d.lgs. n. 268/1992.  Essa,
infatti, non rispetta affatto i requisiti posti dall'art. 9 d.lgs. n.
268/1992  per  la  riserva  all'erario  del  "gettito  derivante   da
maggiorazioni di aliquote o dall'istituzione di nuovi tributi". 
    Come gia' esposto sopra, tali requisiti sono  stati  sintetizzati
dalla sentenza di codesta Corte n. 182/2010, secondo la  quale  "tale
articolo richiede, per la legittimita' della riserva statale, che: 
        a) detta riserva sia giustificata da  «finalita'  diverse  da
quelle di cui al comma 6 dell'art. 10  e  al  comma  1,  lettera  b),
dell'art. 10-bis» dello stesso d.lgs. n. 268 del  1992,  e  cioe'  da
finalita'  diverse  tanto  dal  «raggiungimento  degli  obiettivi  di
riequilibrio della finanza pubblica» (art. 10, comma 6) quanto  dalla
copertura di «spese derivanti dall'esercizio delle  funzioni  statali
delegate alla regione» (art. 10-bis, comma 1, lettera b); 
        b) il gettito sia destinato per  legge  «alla  copertura,  ai
sensi dell'art. 81 della Costituzione, di nuove specifiche  spese  di
carattere  non  continuativo  che  non  rientrano  nelle  materie  di
competenza della  regione  o  delle  province,  ivi  comprese  quelle
relative a calamita' naturali»; 
        c)  il  gettito  sia   «temporalmente   delimitato,   nonche'
contabilizzato  distintamente   nel   bilancio   statale   e   quindi
quantificabile»". 
    Ora, l'assenza dei requisiti sub a) e b)  e'  evidente.  Infatti,
l'art. 48 riserva all'Erario "le maggiori entrate erariali  derivanti
dal presente decreto" (per un  periodo  di  cinque  anni,  attraverso
separata contabilizzazione) per destinarle "alle esigenze prioritarie
di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica  concordati  in
sede europea, anche alla luce della eccezionalita'  della  situazione
economica internazionale". In questi termini, la norma  censurata  ha
la medesima finalita' di cui all'art. 10, comma 6, d.lgs. n. 268/1992
(«raggiungimento  degli  obiettivi  di  riequilibrio  della   finanza
pubblica»), il che gia' da se' esclude la sussistenza  del  requisito
indicato sub a) nella sent. 182/2010 (che la riserva sia giustificata
da finalita' diverse da quelle di cui al comma 6 dell'art.  10  e  al
comma 1, lettera b), dell'art. 10-bis» dello stesso d.lgs. n. 268 del
l992). 
    Ugualmente la disposizione impugnata non  soddisfa  il  requisito
sub b), in quanto essa non  destina  le  maggiori  entrate  a  "nuove
specifiche spese": non si tratta  di  "spese",  ne'  la  destinazione
allude a qualcosa di "nuovo" e di "specifico". E' da ricordare che la
sent. 182/2010 fece  salva  la  norma  impugnata  in  quell'occasione
(l'art. 13-bis, comma 8, del decreto-legge 1°  luglio  2009,  n.  78)
proprio  in  quanto  essa  destinava  il  gettito  dell'imposta   "al
finanziamento  della  ripresa  economica,  quali:  il  sostegno  alle
imprese, anche attraverso il finanziamento del fondo  di  garanzia  e
l'alleggerimento del carico fiscale.; gli interventi sul mercato  del
lavoro, anche attraverso il finanziamento del fondo per l'occupazione
...; il finanziamento degli investimenti  pubblici,  con  particolare
riguardo alle infrastrutture e alle attivita' di ricerca  e  sviluppo
...; il supporto alle famiglie, con misure di salvaguardia del potere
d'acquisto,  di  tutela  dei  piccoli  risparmiatori,   di   risposta
all'emergenza abitativa  ...;  il  finanziamento  della  cooperazione
internazionale allo sviluppo...;  il  finanziamento  delle  opere  di
ricostruzione dell'Abruzzo". Si tratta, come si puo' vedere, di spese
e finalita' nuove e specifiche,  ben  diverse  dal  mero  e  generale
"raggiungimento degli obiettivi di  finanza  pubblica  concordati  in
sede europea". 
    Escluso che l'art. 48 possa trovare fondamento nell'art. 9 d.lgs.
n. 268/1992, e' anche da escludere che esso possa ricondursi all'art.
10 e all'art. 10-bis del medesimo decreto. 
    In primo luogo, abrogato l'art. 78 dello Statuto e  soppressa  la
somma spettante in base ad esso (v. anche l'art. 79, comma  1,  St.),
sono da ritenere inapplicabili le norme attuative dell'art. 78, quale
l'art. 10, d.lgs. n. 268/1992. Questo vale anche per l'art. 10, comma
6, strettamente connesso alla disciplina dell'accordo (menzionato  in
due punti del comma  6)  relativo  alla  determinazione  della  quota
variabile, ora soppressa. 
    Inoltre, l'art. 10, comma 6, prevedeva un meccanismo  consensuale
per far partecipare le Province "al raggiungimento degli obiettivi di
riequilibrio della finanza pubblica", che e' stato ora sostituito  da
quelli, sempre consensuali, regolati dall'art. 79: anche sotto questo
profilo, dunque, il meccanismo precedente non risulta piu' operativo.
Conferma espressa di cio' si ricava dal testo attuale  dell'art.  79,
comma 4, secondo cui "le disposizioni statali relative all'attuazione
degli  obiettivi  di  perequazione  e  di  solidarieta',  nonche'  al
rispetto degli obblighi derivanti dal patto  di  stabilita'  interno,
non trovano applicazione con riferimento alla regione e alle province
e sono in ogni  caso  sostituite  da  quanto  previsto  dal  presente
articolo". 
    Qualora, in denegata ipotesi, non si  ritenesse  superato  l'art.
10, comma 6, si dovrebbe perlomeno riconoscere che la  determinazione
della quota in questione dovrebbe pur sempre rispettare il  principio
di leale collaborazione e, in particolare, il  principio  consensuale
che domina le  relazioni  finanziarie  fra  lo  Stato  e  le  Regioni
speciali. In  altre  parole,  anche  venuto  meno  l'accordo  per  la
determinazione della quota variabile, lo  Stato  avrebbe  pur  sempre
dovuto cercare l'accordo con la  Provincia  di  Trento,  non  potendo
unilateralmente alterare le  regole  sulle  compartecipazioni  e  gli
strumenti con cui la Provincia partecipa al risanamento  finanziario,
disciplinati dall'art. 79 dello Statuto. 
    Del resto, tutto il regime dei rapporti finanziari  fra  Stato  e
Regioni speciali e' dominato dal principio  dell'accordo,  pienamente
riconosciuto nella  giurisprudenza  costituzionale  (v.  le  sentenze
citate nel motivo 1 del ricorso). 
    In  effetti,  e'  assolutamente  incongruo  ed  ad  avviso  della
Provincia  illegittimo  che  lo  Stato,  con   una   fonte   primaria
unilateralmente adottata, alteri in modo  cosi'  rilevante  l'assetto
dei rapporti finanziari tra Stato e Provincia, laddove  il  principio
consensuale e' da tempo riconosciuto in questa materia  ed  e'  stato
ribadito proprio con la recente riforma statutaria. 
    Inoltre, la norma impugnata  non  rispetta  l'art.  10,  comma  6
(sempre nella denegata ipotesi che esso  sia  ritenuto  applicabile),
anche perche' riserva all'erario tutte "le maggiori entrate",  mentre
la norma di attuazione limita ad "una quota del  previsto  incremento
del  gettito  tributario"  la  possibilita'   di   destinazione   "al
raggiungimento  degli  obiettivi  di   riequilibrio   della   finanza
pubblica". 
    Ancora, l'art. 48, comma 1, del decreto-legge n. 201/2011 si pone
in contrasto con  l'art.  79  dello  Statuto,  che  -  come  visto  -
stabilisce  che  "le  province  concorrono  al  conseguimento   degli
obiettivi di perequazione  e  di  solidarieta'  e  all'esercizio  dei
diritti e dei doveri dagli stessi derivanti nonche'  all'assolvimento
degli  obblighi  di  carattere  finanziario  posti   dall'ordinamento
comunitario, dal patto di stabilita' interno e dalle altre misure  di
coordinamento  della  finanza  pubblica  stabilite  dalla   normativa
statale" nei  modi  di  seguito  indicati  e  "con  le  modalita'  di
coordinamento della finanza pubblica definite al comma 3" (comma  1),
aggiungendo  che  "le  misure  di  cui  al  comma  1  possono  essere
modificate esclusivamente con la procedura prevista dall'articolo 104
e fino alla loro eventuale modificazione  costituiscono  il  concorso
agli obiettivi di finanza pubblica di cui al comma 1" (comma 2). 
    Sia il comma 3 (" Non si applicano  le  misure  adottate  per  le
regioni e per gli altri enti nel restante territorio nazionale")  che
il comma 4, poi, stabiliscono la non applicazione alle Province delle
norme statali che, in questa materia, valgono per altre Regioni. 
    Poiche' l'art. 48 riserva  le  maggiori  entrate  "alle  esigenze
prioritarie di' raggiungimento degli obiettivi  di  finanza  pubblica
concordati in sede europea", ne deriva la violazione  delle  norme  -
sopra citate - contenute nell'art. 79 St., che configurano un sistema
completo  di  concorso  delle  Province  agli  obiettivi  di  finanza
pubblica, non derogabile se  non  con  le  modalita'  previste  dallo
Statuto. 
    Infine, proprio perche' agli artt. 75 e 79 St.  e  al  d.lgs.  n.
268/1992 si e'  derogato  con  una  fonte  primaria  "ordinaria"  (in
realta', un decreto-legge convertito),  l'art.  48  viola  anche  gli
artt. 103 (che prevede il procedimento  di  revisione  costituzionale
per le modifiche dello Statuto), 104 (che prevede la possibilita'  di
modificare "le norme del titolo VI  ...  con  legge  ordinaria  dello
Stato su concorde richiesta del Governo e, per quanto  di  rispettiva
competenza, della regione o delle due province") e  l'art.  107  (che
disciplina la  speciale  procedura  per  l'adozione  delle  norme  di
attuazione dello Statuto) dello Statuto speciale. 
    Il secondo periodo dell'art.  48,  comma.  1,  dispone  che  "con
apposito decreto del Ministero dell'economia e delle finanze ... sono
stabilite  le  modalita'  di  individuazione  del  maggior   gettito,
attraverso separata contabilizzazione". Si tratta dunque di una norma
volta a regolare l'attuazione del primo periodo: la quale,  pertanto,
e' affetta dai medesimi vizi sopra illustrati. 
    In  subordine,  essa  e'  poi   censurabile   specificamente   ed
autonomamente sotto  un  ulteriore  aspetto,  cioe'  per  la  mancata
previsione dell'intesa con la Provincia di  Trento  in  relazione  al
decreto che stabilisce le modalita'  di  individuazione  del  maggior
gettito. Infatti, poiche' si tratta di  intervenire  in  relazione  a
risorse che spetterebbero alla Provincia, in una materia dominata dal
principio  consensuale,  risulta  specificamente   illegittima,   per
violazione del principio di leale collaborazione, la previsione di un
decreto ministeriale senza intesa con la Provincia di Trento. 
    Come  gia'  ricordato,  il  comma  1-bis  dello  stesso  art.  48
statuisce che "ferme restando le disposizioni previste dagli articoli
13, 14 e 28, nonche' quelle recate  dal  presente  articolo,  con  le
norme di attuazione statutaria di cui all'articolo 27 della  legge  5
maggio 2009, n. 42, e  successive  modificazioni,  sono  definiti  le
modalita' di applicazione  e  gli  effetti  finanziari  del  presente
decreto per le regioni a statuto speciale e per le province  autonome
di Trento e di Bolzano". 
    Si sono gia' nei punti  precedenti  contestate  singolarmente  le
disposizioni dei citati articoli 13, 14 e 28,  nonche'  quelle  dello
stesso art. 48, comma 1. Ne' si vede - a parte quanto  disposto  gia'
da tali articoli - che cosa d'altro rimarrebbe da disciplinare quanto
alle "modalita' di applicazione" ed  agli  "effetti  finanziari"  del
decreto n. 201. 
    In ogni modo, anche tale ultima disposizione appare  illegittima,
in  quanto  non  spetta  alla  legge  ordinaria  di  disciplinare  il
contenuto delle norme di attuazione dello Statuto. 
    Il solo senso legittimo che ad essa  si  puo'  attribuire  e'  la
conferma della non applicazione del decreto  201  alla  Provincia  di
Trento,  per  ogni  aspetto  per  il  quale  l'applicazione  non  sia
espressamente prevista: ferme restando, ovviamente, le  contestazioni
e le censure sopra esposte in relazione alle disposizioni di  cui  e'
prevista l'applicazione. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Chiede   voglia   codesta   Corte    costituzionale    dichiarare
l'illegittimita' costituzionale dell'articolo  13,  commi  11  e  17,
terzo e quarto periodo;  dell'articolo  14,  comma  13-bis,  terzo  e
quarto periodo; dell'articolo 22, comma 3; dell'articolo 28, comma 3;
dell'articolo 43, comma  8;  dell'articolo  48  del  decreto-legge  6
dicembre  2011,  n.  201,  Disposizioni  urgenti  per  la   crescita,
l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici,  nelle  parti,  nei
termini e sotto i profili esposti nel presente ricorso. 
        Trento-Padova- Roma, 23 febbraio 2012 
 
            Prof. avv. Falcon - Avv. Pedraz - Avv. Manzi