N. 53 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 gennaio 2012

Ordinanza del 25 gennaio 2012  emessa  dal  Tribunale  amministrativo
regionale dell'Umbria sul ricorso proposto da Angeleri Alessandra  ed
altri contro Ministero della  giustizia,  Ministero  dell'economia  e
delle finanze e Presidenza del Consiglio dei ministri.. 
 
Bilancio e contabilita' pubblica  -  Misure  urgenti  in  materia  di
  stabilizzazione  finanziaria  e  di  competitivita'   economica   -
  Contenimento della spesa in materia di pubblico impiego - Personale
  di  cui  alla  legge  n.  27  del  1981  (magistrati  e   categorie
  equiparate)  -  Dipendenti  delle   amministrazioni   pubbliche   -
  Trattamento economico  -  Prevista  riduzione,  per  i  trattamenti
  economici superiori a 90.00 euro lordi e a 150.000, rispettivamente
  del 5 per cento e del 10 per cento dei predetti importi  -  Lesione
  del  principio  della  retribuzione  proporzionata  ed  adeguata  -
  Irrazionalita'   -   Ingiustificato   deteriore   trattamento   dei
  lavoratori  dipendenti  pubblici  rispetto  a  quelli  privati   ed
  autonomi  -  Violazione  dei  principi  di  solidarieta'   sociale,
  politica ed economica - Violazione dei principi  di  generalita'  e
  progressivita' della tassazione e di capacita' contributiva, attesa
  la sostanziale natura  tributaria  della  prestazione  patrimoniale
  imposta - Violazione del principio  di  indipendenza  ed  autonomia
  della magistratura. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 2. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 23, 36, 53, 101, 104 e 108. 
Bilancio e contabilita' pubblica  -  Misure  urgenti  in  materia  di
  stabilizzazione  finanziaria  e  di  competitivita'   economica   -
  Contenimento della spesa in materia di pubblico impiego - Personale
  di  cui  alla  legge  n.  27  del  1981  (magistrati  e   categorie
  equiparate) - Previsione che  non  si  applicano  i  meccanismi  di
  adeguamento retributivo per gli anni 2011, 2012,  2013  e  che  non
  danno  comunque  luogo  a  possibilita'  di  recupero  negli   anni
  successivi - Previsione che non siano erogati ne' recuperabili  gli
  acconti degli anni 2011, 2012 e 2013 ed il conguaglio del  triennio
  2010-2012; che per il triennio 2013-2015  l'acconto  spettante  per
  l'anno 2014 sia pari alla misura gia' prevista per l'anno  2010  ed
  il conguaglio per l'anno 2015  venga  determinato  con  riferimento
  agli anni 2009, 2010 e  2014  -  Previsione,  altresi',  per  detto
  personale, che l'indennita' speciale, di cui all'art. 3 della legge
  n. 27 del 1981, spettante per  gli  anni  2011,  2012  e  2013  sia
  ridotta del 15 per cento per l'anno 2012 e del  32  per  cento  per
  l'anno  2013   -   Lesione   del   principio   della   retribuzione
  proporzionata  ed  adeguata  -  Irrazionalita'   -   Ingiustificato
  deteriore trattamento dei lavoratori dipendenti rispetto  a  quelli
  autonomi  -  Violazione  dei  principi  di  solidarieta'   sociale,
  politica ed economica - Violazione dei principi  di  generalita'  e
  progressivita' della tassazione e di capacita' contributiva, attesa
  la sostanziale natura  tributaria  della  prestazione  patrimoniale
  imposta  -  Natura   regressiva   del   tributo   con   riferimento
  all'indennita' speciale, in quanto incidente in minore  misura  sui
  magistrati con retribuzione complessiva piu' elevata ed  in  misura
  maggiore sui magistrati con retribuzione  complessiva  inferiore  -
  Violazione  del  principio  di  indipendenza  ed  autonomia   della
  magistratura. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, commi 21 e 22. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 23, 36, 53, 101, 104 e 108. 
(GU n.15 del 11-4-2012 )
 
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 155 del 2011, proposto da: 
        Alessandra Angeleri, Giuseppina Arcella,  Alberto  Bellocchi,
Emilia Bellina, Daniele Cenci, Beatrice  Cristiani,  Manuela  Comodi,
Giancarlo Costagliola, Aldo Criscuolo, Paola De Lisio,  Wladimiro  De
Nunzio, Giacomo Fumu, Loredana Giglio, Teresa Giardino, Letizia Lupo,
Paolo Micheli, Sergio Matteini Chiari, Claudia  Matteini,  Alessandro
Pazzaglia, Claudio Pratillo Hellman, Umberto Francesco Martino  Rana,
Giovanni Rossi, Dario Razzi, Nicla Flavia Restivo, Gianfranco Riggio,
Luca  Semeraro,  Giovanna  Totero,  Marco  Verola,  Massimo  Zanetti,
rappresentati  e  difesi  dagli  avv.ti  Vittorio  Angiolini,   Marco
Cuniberti e Paolo Rossi, con domicilio  eletto  presso  l'avv.  Paolo
Rossi in Perugia, via Dottori, 85; 
    Contro Ministero della Giustizia, Ministero dell'Economia e delle
Finanze, Presidenza  del  Consiglio  dei  Ministri,  in  persona  dei
rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e  difesi
ope legis dall'Avvocatura distrettuale  dello  Stato,  presso  i  cui
uffici sono pure legalmente domiciliati in Perugia, via degli Offici,
14; 
    Per  l'accertamento  del  diritto  al   trattamento   retributivo
spettante senza tener conto delle decurtazione di  cui  al  comma  22
dell'art. 9 del d.l.  31  marzo  2010  n.  78,  come  convertito  con
modificazioni in legge  30  luglio  2010,  n.  122,  nonche'  per  la
condanna delle Amministrazioni resistenti al  pagamento  delle  somme
corrispondenti, con ogni accessorio di legge. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Visto l'atto di costituzione  in  giudizio  del  Ministero  della
giustizia, del  Ministero  dell'economia  e  delle  finanze  e  della
Presidenza del Consiglio dei Ministri; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del  giorno  12  ottobre  2011  il
Cons.  Stefano  Fantini  e  uditi  per  le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale; 
 
                                Fatto 
 
    I ricorrenti,  magistrati  ordinari  in  servizio  presso  uffici
giudiziari del distretto della Corte di Appello di Perugia,  chiedono
l'accertamento  del   diritto   al   trattamento   retributivo   loro
rispettivamente  spettante  senza  tenere  conto  delle  decurtazioni
prodotte, a fare tempo dal  1°  gennaio  2011,  dalla  norma  di  cui
all'art. 9, comma 22, del d.l. 31 marzo 2010, n. 78, convertito nella
legge  30   luglio   2010,   n.   122,   con   conseguente   condanna
dell'Amministrazione di appartenenza, del Ministero  dell'economia  e
della Presidenza del Consiglio dei Ministri,  previa,  se  del  caso,
rimessione degli atti alla Corte costituzionale. 
    Deducono  a  sostegno  della  pretesa  la  falsa  interpretazione
dell'art. 9, comma 22, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito nella
legge n. 122 del 2010, anche in  relazione  alla  legge  19  febbraio
1981, n. 27, e poi la violazione degli artt. 3, 23, 36, 53, 97,  101,
102, 104, 107  e  108  della  Costituzione,  la  irragionevolezza  ed
illogicita' manifeste, l'eccesso di potere, nella considerazione  che
il  trattamento  economico  dei  magistrati,  per  la  funzione  loro
propria, deve essere assistito da certezza e continuita', non potendo
subire decurtazioni che determinerebbero un vulnus alle  garanzie  di
indipendenza  ed  autonomia  dell'ordine  giudiziario;   e   comunque
l'esistenza di una situazione di  emergenza  della  finanza  pubblica
imporrebbe di verificare se la decurtazione  delle  retribuzioni  sia
compatibile con il buon andamento degli  uffici  giudiziari,  di  cui
all'art. 97 della Costituzione. 
    In ogni caso, il comma 22 dell'art. 9 del d.l. n.  78  del  2010,
nel fare riferimento agli «acconti» ed ai «conguagli» da non  erogare
ai soli magistrati, senza possibilita' di recupero, per  il  triennio
2011/2013, non specifica  quali  siano,  e,  nella  sua  genericita',
verosimilmente frutto di un utilizzo non accorto  degli  emendamenti,
e'  norma  insuscettibile  di   applicazione.   Od,   al   contrario,
assoggetterebbe   i   ricorrenti   ad   un'applicazione    ampiamente
discrezionale, se non arbitraria, che espone la norma alla censura di
irragionevolezza per violazione dell'art. 3 della Costituzione, tanto
piu' in connessione con il principio di  indipendenza  nell'esercizio
della funzione giurisdizionale. 
    Certo e determinato e' invece il contenuto del comma  22  oggetto
di disamina nella parte in cui stabilisce che «l'indennita'  speciale
di cui all'art. 3 della legge 19  febbraio  1981,  n.  27,  spettante
negli anni 2011, 2012 e 2013, e' ridotta del 15 per cento per  l'anno
2011, del 25 per cento per l'anno 2012 e del 32 per cento per  l'anno
2013». 
    Tale indennita' viene corrisposta in funzione dei  gravosi  oneri
sopportati dai magistrati nell'esercizio delle  loro  funzioni;  essa
costituisce componente  normale  del  trattamento  economico,  ma  al
contempo mantiene  il  suo  originario  carattere  di  «specialita'»,
consistente nel ristoro per gli esborsi che i magistrati addetti alla
funzione giurisdizionale dovrebbero altrimenti sostenere in  proprio,
non   soltanto   in   funzione   dell'aggiornamento    culturale    e
professionale, ma, ancor prima, mediante un impegno che  si  articola
senza precisi limiti temporali. E cosi' l'indennita' speciale non  e'
erogata nel caso in cui il magistrato non presti effettivo  servizio,
anche per motivi di salute, per maternita' od  ancora  nell'esercizio
del diritto di elettorato. 
    Anche nella descritta prospettiva, l'art. 9, comma 22, esprime un
intento  del  tutto  incoerente,  ed  anzi  contraddittorio,  venendo
l'indennita' speciale decurtata per  un  triennio,  per  di  piu'  in
misura crescente, e dunque resa inidonea ad assolvere al suo compito;
si tratta di una norma che viola al  contempo  il  precetto  generale
della ragionevolezza (art. 3 della Costituzione),  tanto  piu'  nella
misura  in   cui   comporta   un'applicazione   generalizzata   della
decurtazione  a  tutti  i  magistrati,  senza  tenere   conto   delle
differenze retributive tra  loro  intercorrenti,  nonche'  l'art.  36
della Costituzione, alterando la proporzione tra la retribuzione  del
magistrato ed il lavoro dallo stesso svolto, non compensando piu' gli
oneri peculiari dell'organizzazione del lavoro del magistrato. 
    Ove poi si ritenesse che la decurtazione dell'indennita' speciale
vada  configurata  come  una  prestazione  patrimoniale  imposta  per
ineludibili  esigenze   della   finanza   pubblica,   sia   pure   di
straordinaria emergenza, riveniente il proprio  fondamento  nell'art.
23 della Carta  costituzionale,  occorreva  rispettare  il  principio
della capacita' contributiva, desumibile dall'art. 53; al  contrario,
la norma in esame  non  colpisce  un  sintomo  di  arricchimento,  un
compenso in senso tecnico, ma un recupero di  oneri,  bene  descritto
dall'art. 3 della legge n. 27 del 1981. 
    La decurtazione dell'indennita' speciale, come prevista dal  d.l.
n.  78  del  2010,  e'  dunque  irragionevole,   rompe   l'equilibrio
retributivo  che  trova  il  proprio  parametro  nell'art.  36  della
Costituzione ed al contempo non si qualifica come prelievo su  di  un
arricchimento o guadagno, come invece richiesto dagli artt. 23  e  53
della Costituzione,  traducendosi  di  conseguenza  in  una  gratuita
diminuzione  delle  garanzie  per  i  magistrati,  quando  invece  la
giurisprudenza costituzionale insegna che  il  trattamento  economico
dei magistrati addetti alla funzione giurisdizionale deve attuare  il
precetto costituzionale dell'indipendenza ed evitare che  essi  siano
soggetti a periodiche rivendicazioni nei confronti di  altri  poteri,
in palese violazione degli artt. 97, ed ancor piu', degli artt.  101,
102, 104, 107 e 108 della Costituzione. 
    Ne consegue che, ad avviso  dei  ricorrenti,  non  manifestamente
infondata, oltre che rilevante, risulta, nel  presente  giudizio,  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma  22,  del
d.l. n. 78 del 2010, convertito nella legge  n.  122  del  2010,  con
riguardo agli artt. 3, 23, 36, 53, 97, 101, 102, 104, 107 e 108 della
Costituzione. 
    Si  sono  costituite  in  giudizio  le  Amministrazioni   statali
intimate controdeducendo all'articolata censura di parte  ricorrente,
e chiedendone la reiezione,  ed  eccependo  altresi'  il  difetto  di
legittimazione passiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri. 
    Con  ordinanza  5   maggio   2011,   n.   65   questo   Tribunale
Amministrativo ha disposto un incombente istruttorio,  essenzialmente
richiedendo al  Ministero  dell'economia  una  documentata  relazione
concernente gli effetti  retributivi  connessi  all'applicazione  nei
confronti dei ricorrenti delle decurtazioni sul trattamento economico
complessivo apportate dall'art. 9 del d.l. n. 78 del 2010. 
    L'incombente istruttorio e' stato adempiuto con relazione  del  2
agosto 2011. 
    All'udienza del 12 ottobre 2011 la causa e' stata  trattenuta  in
decisione. 
 
                               Diritto 
 
    1. - Al fine di comprendere la portata dell'art. 9, comma 22, del
d.l. n. 78 del 2010, che detta le disposizioni di «contenimento delle
spese in materia di  pubblico  impiego»  con  specifico  riguardo  ai
magistrati (personale di cui alla legge  n.  27  del  1981),  occorre
considerare che il loro trattamento economico e'  disciplinato  dalla
legge 2  aprile  1979,  n.  97,  ed  e'  costituito  dallo  stipendio
tabellare (cioe' determinato in conformita'  delle  tabelle  allegate
alla legge  stessa),  cui  vanno  aggiunte  l'indennita'  integrativa
speciale e l'indennita' giudiziaria. 
    In particolare, gli artt.  11-12  della  legge  n.  97  del  1979
stabiliscono che «gli stipendi del personale  di  cui  alla  presente
legge  sono  adeguati  di  diritto,  ogni  triennio,   nella   misura
percentuale pari alla media degli incrementi realizzati nel  triennio
precedente dalle altre categorie dei pubblici dipendenti per le  voci
retributive calcolate dall'Istituto centrale di  statistica  ai  fini
della elaborazione degli indici delle retribuzioni contrattuali,  con
esclusione della indennita'  integrativa  speciale»  (comma  1);  «la
variazione percentuale e'  calcolata  rapportando  il  complesso  del
trattamento economico medio per unita' corrisposto  nell'ultimo  anno
del triennio di riferimento a quello dell'ultimo  anno  del  triennio
precedente ed ha effetto  dal  1°  gennaio  successivo  a  quello  di
riferimento» (comma 3); «gli stipendi al 1° gennaio del secondo e del
terzo anno di ogni triennio  sono  aumentati,  a  titolo  di  acconto
sull'adeguamento triennale, per ciascun anno e con riferimento sempre
allo stipendio in vigore al  1°  gennaio  del  primo  anno,  per  una
percentuale  pari  al  30  per  cento  della  variazione  percentuale
verificatasi fra le retribuzioni dei dipendenti pubblici nel triennio
precedente, salvo conguaglio a decorrere dal 1° gennaio del  triennio
successivo» (comma 4). 
    L'art.  51  del  d.lgs.  n.  160  del  2006,  recante  la  «nuova
disciplina  dell'accesso  in  magistratura,  nonche'  in  materia  di
progressione economica e di funzioni dei magistrati», stabilisce  che
«continuano  ad  applicarsi  tutte  le  disposizioni  in  materia  di
progressione stipendiale dei magistrati ordinari e,  in  particolare,
la legge 6 agosto 1984, n. 425, l'art. 50, comma 4,  della  legge  23
dicembre 2000, n.  388,  l'adeguamento  economico  triennale  di  cui
all'art. 24, commi 1 e 4, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, della
legge 2 aprile 1979, n. 97, e della legge 19 febbraio 1981, n. 27,  e
la progressione per classi e  scatti,  alle  scadenze  temporali  ivi
descritte e con decorrenza economica dal primo giorno del mese in cui
si raggiunge l'anzianita' prevista». 
    Il  descritto  meccanismo  di  determinazione   del   trattamento
economico dei magistrati evidenzia di per se' che l'art. 9, comma 22,
del d.l. n. 78 del 2010 non e' norma insuscettibile di applicazione e
neppure foriera di effettivi dubbi interpretativi. 
    Si  inferisce  peraltro  dall'esposto,  neppure   sinteticamente,
quadro concernente il trattamento economico che,  per  effetto  della
legge n. 27 del 1981, la determinazione degli stipendi dei magistrati
e' sottratta a qualsiasi genere di contrattazione,  caratterizzandosi
come un «sistema automatico» regolato dalla legge; cio' in attuazione
del  precetto   costituzionale   dell'indipendenza   dei   magistrati
(inferibile dagli artt. 101, 104 e 108 della  Costituzione),  che  va
salvaguardata,   secondo    l'insegnamento    della    giurisprudenza
costituzionale, anche sotto il profilo economico, evitando  che  essi
siano soggetti a periodiche rivendicazioni  nei  confronti  di  altri
poteri, costituendo tale  automatismo  una  guarentigia  idonea  allo
scopo (Corte cost., 16 gennaio 1978, n. 1; 8 maggio 1990, n. 238;  10
febbraio 1993, n. 42; 27 luglio 1995, n. 409). 
    2. - A questo punto e' opportuno  evidenziare,  anche  alla  luce
dell'espletata istruttoria (senza indugiare nell'evidenziazione degli
importi delle decurtazioni stipendiali,  gia'  posti  chiaramente  in
evidenza da precedenti ordinanze di rimessione: cfr.  in  particolare
T.A.R. Trentino-Alto Adige, Sez. Trento, ord. 14  dicembre  2011,  n.
3107), i contenuti della disciplina introdotta dal  d.l.  n.  78  del
2010 incidenti sul trattamento retributivo, che non si limitano  alla
disposizione del comma 22, specificamente  rivolta  al  personale  di
magistratura, dovendosi tenere conto anche di quanto previsto in  via
generale dal comma 2 del medesimo corpus legislativo. 
    Schematicamente,  si  rileva  che:  a)  per  tutti  i  dipendenti
pubblici (appartenenti alle Amministrazioni  pubbliche  inserite  nel
conto economico consolidato della pubblica amministrazione, e  dunque
anche per i magistrati) a decorrere dal 1° gennaio 2011 e sino al  31
dicembre 2013 i trattamenti economici complessivi superiori a  90.000
euro lordi annui sono ridotti del 5 per cento per la parte  eccedente
il predetto importo fino a 150.000 euro, nonche' del 10 per cento per
la parte eccedente 150.000 euro (comma 2); b) per i  soli  magistrati
e' stato previsto il blocco degli acconti per gli  anni  2011/2013  e
dei conguagli per il triennio 2010/2012 (comma 22, prima periodo); c)
per i soli magistrati e' previsto un «tetto» per l'acconto per l'anno
2014 che non puo' superare quello dell'anno 2010 ed un «tetto» per il
conguaglio dell'anno 2015, che sara' determinato con riferimento agli
anni 2009, 2010 e  2014,  escludendo  dunque  il  triennio  2011/2013
(comma 22, primo periodo); d) per i soli magistrati e'  stabilita  la
riduzione annualmente progressiva (15, 25 e 32  per  cento),  per  il
triennio 2011/2013, dell'indennita' giudiziaria di cui alla legge  n.
27 del 1981 (comma 22, secondo periodo); e) allo stesso tempo, per  i
soli magistrati (diversamente,  dunque,  dalle  altre  categorie  del
pubblico impiego non contrattualizzato), sono stati  salvaguardati  i
meccanismi di «progressione automatica dello stipendio» per gli  anni
2011/2013, vale a dire le classi e gli scatti di carriera (comma  22,
ultimo periodo). 
    Appare al Collegio incontestabile fin da ora  che  le  misure  di
contenimento delle spese del pubblico impiego previste dalle norme in
esame  incidono  significativamente  sul  trattamento  economico  dei
magistrati, alterando altresi' l'euritmia di un sistema  che  prevede
un meccanismo automatico di  determinazione  dello  stesso,  regolato
dalla legge ordinaria, al fine, come gia' evidenziato, di  assicurare
l'autonomia e l'indipendenza dei giudici. 
    Ne consegue  che  le  questioni  di  legittimita'  costituzionale
prospettate dai ricorrenti o comunque  rilevabili,  anche  d'ufficio,
dalle  norme  del  d.l.  n.  78  del  2010  sono  rilevanti   e   non
manifestamente infondate, come gia' ritenuto da  altre  ordinanze  di
rimessione alla Corte costituzionale (cfr., oltre al  gia'  ricordato
provvedimento del T.A.R. Trento, ord. 14 dicembre 2011, n.  3107,  le
ulteriori ordd. del T.A.R. Campania,  Salerno,  23  giugno  2011,  n.
1162, del T.A.R. Piemonte, Sez. II, 28 luglio 2011, n.  846,  nonche'
del T.A.R. Veneto, Sez. I, 15 novembre 2011, n. 1685). 
    La rilevanza della questione e' di intuitiva evidenza e  discende
dal fatto che le norme di cui ai commi 2 e 22 dell'art. 9 del d.l. n.
78 del 2010 trovano applicazione dal primo gennaio  del  2011,  cosi'
che i ricorrenti hanno subito il mancato incremento del  3,04%  della
voce stipendio (corrispondente al secondo acconto spettante ai  sensi
del  d.P.C.M.  23  giugno   2009),   la   riduzione   dell'indennita'
giudiziaria, nel corso del 2011 nella misura del 15 per cento, e  dal
corrente anno 2012 nella misura del 25 per cento, oltre  che  (almeno
taluni,  con  maggiore  anzianita'  di  servizio)  la  riduzione  del
trattamento economico complessivo, del 5 per cento una volta superati
i' 90.000 euro annui lordi, e del 10 per cento una volta  superati  i
150.000 euro. 
    Molteplici sono poi i dubbi di legittimita' costituzionale  della
manovra finanziaria. 
    In primo  luogo,  riprendendo  argomenti  gia'  anticipati,  deve
sottolinearsi la  non  ragionevolezza  della  decurtazione,  disposta
dalla prima parte del  comma  22,  del  trattamento  retributivo  dei
magistrati, caratterizzato da un automatismo  legale,  che  si  pone,
esso  stesso,  come  guarentigia  idonea  a  garantire  il   precetto
costituzionale dell'autonomia ed indipendenza dei giudici, valore che
deve essere salvaguardata  anche  sul  piano  economico;  di  qui  il
ravvisato contrasto non solo con l'art. 3, ma  anche  con  gli  artt.
101, 104 e 108 della Carta costituzionale. 
    E' pur vero che la Carta costituzionale non  contiene  previsioni
specifiche  sulle  retribuzioni   dei   magistrati,   finalizzate   a
garantirne l'indipendenza economica, benche' la questione  sia  stata
ampiamente   discussa   nei   lavori    dell'Assemblea    costituente
(significativo e' il resoconto della seduta del 28 novembre 1947), ma
e'  indubbio  che  il  problema  si  pone  in  modo   particolarmente
significativo, in ragione del  «prestigio  istituzionale»  (collegato
alla  delicatezza  ed  importanza  della  funzione)  e  della  stessa
indipendenza della funzione. 
    Giova, a questo proposito, sottolineare come anche la c.d. «Magna
Carta dei Giudici (principi fondamentali)» approvata a Strasburgo  il
17 novembre 2010 dal Consiglio Consultivo dei giudici europei  (CCJE)
presso il  Consiglio  d'Europa,  agli  artt.  2  e  4,  sancisce  che
l'indipendenza dell'ordine giudiziario rispetto ai poteri legislativo
ed esecutivo va garantita anche  sotto  il  profilo  finanziario;  il
successivo art.  7  prevede  apertis  verbis  che  «il  giudice  deve
beneficiare di  una  remunerazione  e  di  un  sistema  previdenziale
adeguati e garantiti dalla legge, che lo mettano al  riparo  da  ogni
indebita influenza»; la coeva Raccomandazione CM/Rec  (2010)  12  del
Comitato dei Ministri agli Stati  membri  (con  valore  di  soft  law
internazionale), da parte sua, al punto 54, chiede espressamente agli
Stati che  siano  «adottate  specifiche  disposizioni  di  legge  per
garantire  che  non  possa  essere  disposta  una   riduzione   delle
retribuzioni rivolta specificamente ai giudici». 
    In altri termini, il trattamento economico  del  magistrato  deve
essere garantito dai requisiti della certezza e  continuita',  e  non
soggetto a  decurtazioni  che,  specie  allorche'  siano  ricorrenti,
possono tradursi in una surrettizia menomazione delle garanzie  della
sua indipendenza ed autonomia. 
    La scarsa ragionevolezza ed aderenza alla raccomandazione europea
(senza  ipotizzare  una  forma  di  sfiducia,  incompatibile  con  il
principio  di  leale  collaborazione  istituzionale)   delle   misure
adottate nei  confronti  del  personale  di  magistratura  appare  in
qualche misura corroborata dalla disposizione dell'art. 16, comma  7,
del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011,
n. 111, alla cui stregua «qualora,  per  qualsiasi  ragione,  inclusa
l'emanazione di provvedimenti giurisdizionali diversi dalle decisioni
della  Corte  costituzionale,  non  siano  conseguiti   gli   effetti
finanziari  utili  conseguenti,  per  ciascuno  degli   stessi   anni
2011-2013, alle disposizioni di cui ai commi 2 e 22 dell'art.  9  del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 30 luglio 2010, n. 122,  i  medesimi  effetti  finanziari
sono  recuperati,  con  misure  di  carattere   generale,   nell'anno
immediatamente successivo nei  riguardi  delle  stesse  categorie  di
personale cui si applicano le predette disposizioni». 
    3. - Non ignora il Collegio che il «giudice delle leggi»  ha  nel
passato (cfr. Corte cost., 14 luglio 1999, n. 299; 18 luglio 1997, n.
245) ritenuto infondata la questione di  costituzionalita'  di  norme
che disponevano il blocco  degli  incrementi  retributivi  dovuti  ad
automatismi stipendiali o progressioni economiche  legato  a  manovre
finanziarie  eccezionali  legate  alla   necessita'   di   recuperare
l'equilibrio di bilancio, ma l'imposizione di sacrifici  eccezionali,
transitori,  e'   stata   consentita   a   condizione   che   fossero
ragionevolmente ripartiti tra diverse categorie di  cittadini,  oltre
che  idonei  allo  scopo  prefisso;  in  particolare  la   Corte   ha
sottolineato che l'art. 7 del  d.l.  n.  384  del  1992  imponeva  ai
pubblici dipendenti il  sacrificio  di  un  anno,  e  costituiva  una
manovra di contenimento della spesa pubblica incidente non  solo  sui
pubblici dipendenti, ma anche su altre categorie di lavoratori. 
    Ma di tale  dimensione  solidaristica  appare  priva  la  manovra
finanziaria  contenuta  nel  d.l.  n.  78  del  2010,  che   colpisce
pesantemente,  ancora  una  volta,  solamente   l'impiego   pubblico,
facilmente  «aggredibile»,  e  peraltro  in  misura  non  chiaramente
omogenea,  come  si  evince  da  taluni  passaggi   della   relazione
istruttoria della  Ragioneria  Generale  dello  Stato,  senza  tenere
conto, tra l'altro, del  fatto  che  ne  rimangono  immuni  (anche  a
seguito del c.d. decreto «salva-Italia»  6  dicembre  2011,  n.  201,
convertito nella legge 22 dicembre 2011, n. 214) i soggetti  che  con
le Amministrazioni pubbliche intrattengono solamente un  rapporto  di
servizio onorario, ovviamente tutt'altro che gratuito. 
    Si evidenzia in questa prospettiva la violazione del principio di
eguaglianza e del principio solidaristico di cui agli  artt.  3  e  2
della Costituzione,  venendo  discriminati  in  peius  i  magistrati,
frustrando  la  loro  legittima  aspettativa  all'ordinario  sviluppo
economico della carriera. 
    Allo stesso tempo, i «blocchi stipendiali» violano  il  principio
di proporzionalita' della retribuzione alla quantita' e qualita'  del
lavoro  prestato,  sancito  dall'art.  36  della  Costituzione,  come
effetto conseguente alla circostanza che e' la legge a determinare lo
stipendio  nell'impiego   pubblico   non   contrattualizzato.   Detta
proporzionalita', se non altro dal punto di vista «quantitativo»,  e'
evidentemente vulnerata, atteso  che  si  e'  determinato  un  taglio
lineare delle retribuzioni a fronte di un carico di lavoro che,  come
noto, risulta progressivamente crescente. 
    4. -  Con  riguardo,  poi,  all'indennita'  giudiziaria  (di  cui
all'art. 3 della legge n. 27 del 1981), la significativa riduzione in
incremento progressivo nel  triennio  2011/2013  (15%,  25%  e  32%),
prevista dal secondo periodo del comma 22 dell'art. 9 del d.l. n.  78
del 2010, ne tradisce anzitutto la sua funzione di «rimborso  spese»;
la stessa, come posto in evidenza  dalla  Corte  costituzionale,  per
giustificarne  la  corresponsione  solamente  in  caso  di   servizio
effettivamente prestato, e' «espressamente correlata  ai  particolari
oneri che  i  magistrati  incontrano  nello  svolgimento  della  loro
attivita', la quale, tra l'altro, comporta un impegno  senza  precisi
limiti temporali» (sentenza 8 maggio 1990, n. 238;  ord.  23  ottobre
2008, n. 346). 
    Inoltre, trattandosi di una componente essenziale del trattamento
retributivo   del   magistrato,   la   decurtazione   dell'indennita'
giudiziaria e' disposta in ulteriore violazione  dell'art.  36  della
Costituzione. 
    Ove poi, introducendo una prospettiva  che  sara'  nel  prosieguo
maggiormente sviluppata, si ritenga che la norma di legge oggetto  di
scrutinio, piu' che imporre una decurtazione stipendiale, consista in
una prestazione patrimoniale imposta,  di  natura  tributaria  (nella
misura in cui si traduce nell'ablazione  di  somme  con  attribuzione
delle stesse ad un ente pubblico e nella loro destinazione allo scopo
di apprestare mezzi per il fabbisogno finanziario  dell'ente  stesso:
cosi' Corte cost., 12 gennaio 1995, n. 11; 10 febbraio 1982, n.  26),
allora appare particolarmente evidente la sua connotazione  selettiva
a danno dei magistrati, in  violazione  dell'art.  53,  primo  comma,
della Carta,  che  sancisce  il  principio  della  generalita'  delle
imposte,  cui  tutti  sono   chiamati   a   concorrere   in   ragione
esclusivamente della propria capacita' contributiva. 
    In questa direzione, a  ben  vedere,  non  e'  difficile  neppure
individuare  una  violazione  del   secondo   comma   dell'art.   53,
trattandosi di un  tributo  sostanzialmente  regressivo,  in  quanto,
essendo l'indennita'  giudiziaria  corrisposta  in  misura  eguale  a
ciascun magistrato, la sua applicazione uniforme finisce per  colpire
maggiormente i magistrati con retribuzione complessiva  inferiore,  e
dunque con minore anzianita' di servizio. 
    5. - L'introdotto argomento del  prelievo  di  valore  tributario
impone poi di completare la  disamina  con  riferimento  al  comma  2
dell'art. 9  del  d.l.  n.  78  del  2010,  a  norma  del  quale  «in
considerazione  della  eccezionalita'  della   situazione   economica
internazionale  e  tenuto  conto  delle   esigenze   prioritarie   di
raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede
europea, a decorrere dal 1° gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013 i
trattamenti economici complessivi dei singoli  dipendenti,  anche  di
qualifica dirigenziale, previsti dai  rispettivi  ordinamenti,  delle
amministrazioni pubbliche inserite nel  conto  economico  consolidato
della  pubblica  amministrazione,  come   individuate   dall'Istituto
nazionale di statistica (ISTAT), ai sensi del comma 3,  dell'art.  1,
della legge 31 dicembre 2009, n. 196, superiori a 90.000  euro  lordi
annui sono ridotti del 5 per cento per la parte eccedente il predetto
importo fino a 150.000 euro, nonche' del 10 per cento  per  la  parte
eccedente 150.000 euro». 
    Proprio alla  luce  dei  parametri  ermeneutici  enucleati  dalla
giurisprudenza costituzionale, appare difficilmente contestabile  che
tale disposizione, piuttosto che caratterizzarsi come  una  riduzione
stipendiale (melius, come una  riduzione  dei  trattamenti  economici
complessivi), abbia natura tributaria; ed  infatti  ricorrono  i  due
elementi dell'imposizione  di  un  sacrificio  economico  individuale
realizzata attraverso un atto autoritativo di carattere ablatorio,  e
della destinazione del gettito scaturente da tale ablazione  al  fine
di integrare la finanza pubblica; non occorre, del resto, una formale
definizione in termini tributari del prelievo (Corte cost., 8  maggio
2009, n. 141). 
    In particolare, si e' al cospetto di un atto normativo, e  dunque
autoritativo,   incidente   su   di    un    trattamento    economico
predeterminato, in quanto tale costituente diritto quesito,  adottato
al dichiarato  scopo  del  raggiungimento  di  obiettivi  di  finanza
pubblica. 
    Anche con riguardo alle modalita' applicative,  il  prelievo  non
viene  attuato  mensilmente  (come  accadrebbe  per   una   riduzione
stipendiale in senso proprio), ma opera al momento del raggiungimento
dello scaglione reddituale preso a parametro; si aggiunga ancora  che
indice assai significativo della natura tributaria  del  prelievo  e'
proprio il fatto che lo stesso opera al progressivo raggiungimento di
due differenti scaglioni (90.000 e 150.000 euro),  cui  si  applicano
aliquote crescenti (5 e 10 per cento). 
    Se cosi' e', torna in rilievo la violazione degli artt.  53  e  3
della Costituzione, in  quanto  il  prelievo  colpisce  solamente  la
categoria  dei  dipendenti  pubblici  (nel  cui  novero  rientrano  i
magistrati), in contrasto con il principio della «universalita' della
imposizione, desumibile dalla espressione testuale «tutti» (cittadini
o non cittadini, in qualche modo con rapporti di collegamento con  la
Repubblica italiana) [che] deve essere intesa nel  senso  di  obbligo
generale, improntato al principio di eguaglianza ...,  di  concorrere
alle «spese pubbliche in ragione della loro  capacita'  contributiva»
(con riferimento al singolo tributo ed al complesso della imposizione
fiscale), come dovere inserito nei  rapporti  politici  in  relazione
all'appartenenza del soggetto alla collettivita' organizzata»  (Corte
cost., ord. 24 luglio 2000, n. 341). 
    Il corollario del comma 2 e'  che  la  categoria  dei  dipendenti
pubblici viene  selezionata  dalla  platea  dei  contribuenti,  senza
valutare se esistano altri contribuenti con reddito pari o superiore,
con buona pace anche del criterio della perequazione tributaria. 
    Appare chiaro che la violazione dell'art. 3 della Costituzione e'
comunque sempre ravvisabile, a prescindere  dalla  natura  tributaria
del prelievo, sia prendendo a parametro  l'amplissima  categoria  dei
«cittadini», rispetto alla  quale  i  dipendenti  pubblici  risultano
discriminati ratione status a parita' di capacita' economica, sia  la
categoria piu' ristretta dei «lavoratori»,  risultando  i  dipendenti
pubblici discriminati rispetto ai dipendenti privati,  come  pure  ai
lavoratori autonomi, i quali, a parita'  di  reddito,  non  subiscono
alcuna incisione patrimoniale. 
    Particolarmente  significativo  ad  evidenziare  una   situazione
disparitaria appare, al riguardo, l'art. 2 del d.l. 13  agosto  2011,
n. 138, convertito nella legge 14 settembre 2011, n.  148,  rubricato
«disposizioni in materia di entrate», prescrivente, al comma  2,  che
«in considerazione della eccezionalita'  della  situazione  giuridica
economica internazionale e tenuto conto delle esigenze prioritarie di
raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede
europea, a decorrere dal 1° gennaio 2011 e fino al 31  dicembre  2013
sul reddito complessivo di cui  all'art.  8  del  testo  unico  sulle
imposte sui redditi di cui al d.P.R. 22  dicembre  1986,  n.  917,  e
successive modificazioni, di importo superiore a 300.000  euro  lordi
annui, e' dovuto un contributo di solidarieta' del 3 per cento  sulla
parte eccedente il predetto importo». Detta  norma,  il  cui  incipit
(melius,  se  consentito,  la  cui  giustificazione)  e'  esattamente
sovrapponibile a quello dell'art. 9, comma 2,  del  d.l.  n.  78  del
2010, impone un contributo di solidarieta', secondo quanto desumibile
anche dalle modalita' tecniche di attuazione, contenute  nel  recente
d.m. 21 novembre 2011, per i redditi complessivi superiori a  300.000
euro lordi, pari al 3 per cento sulla parte eccedente detto importo. 
    Si evidenzia che, pur in presenza di  un  analogo  fondamento  di
razionalita', diversamente che per i redditi dei dipendenti pubblici,
il contributo di solidarieta' scatta, e per  giunta  nella  inferiore
misura del 3 per  cento,  solamente  per  i  redditi  complessivi  di
importo  superiore  a  300.000  euro  lordi  annui,  costituente   un
parametro imponibile piu' che triplo rispetto al primo scaglione  dei
90.000, e doppio rispetto al secondo scaglione dei 150.000  euro;  e'
inoltre deducibile dal  reddito  complessivo.  Giova  aggiungere  che
l'art. 2, comma 2, del d.l. n. 138 del 2011 dispone espressamente che
«ai fini della verifica del superamento del limite  di  300.000  euro
rileva[no] anche il reddito di lavoro dipendente di cui  all'art.  9,
comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010,  n.  78,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n.  122,  al  lordo  della
riduzione  ivi  prevista»;  vale  a  dire  che  il   contributo   di'
solidarieta' si applica anche ai redditi complessivi che  hanno  gia'
subito la decurtazione di cui all'art. 9 del d.l.  n.  78  del  2010,
seppure allorche' raggiungano il superiore importo, senza dunque  che
si verifichi una doppia imposizione. 
    E' intuitivo come il dubbio di illegittimita' lambisce  anche  il
parametro costituito dall'art.  2  della  Carta  e  dai  principi  di
solidarieta'  sociale,  politica  ed  economica  ivi   fissati,   cui
corrispondono «doveri inderogabili». 
    In linea assoluta, appare intrinsecamente irragionevole anche  la
prestazione patrimoniale imposta  ai  soli  dipendenti  pubblici  con
redditi  piu'  elevati,  giustificati  dalla  qualita'  del  servizio
prestato,  dalla  difficolta'  delle  selezioni  per   l'accesso   al
medesimo, nonche' dal corrispondente regime di responsabilita'. 
    6. - Un'ulteriore considerazione, almeno in  parte  gia'  svolta,
accomuna il comma 2 ed il comma 22 dell'art. 9 del  d.l.  n.  78  del
2010, e cioe' il fatto che le  disposizioni  negli  stessi  contenute
violano il principio di affidamento del cittadino,  nella  misura  in
cui rideterminano con effetto ablatorio il trattamento economico gia'
acquisito alla sfera del pubblico dipendente come diritto soggettivo. 
    Si tratta di  norme  che  incidono  sullo  status  economico  dei
ricorrenti;  non   ignora   il   Collegio   che   la   giurisprudenza
costituzionale, pur contrastando cio' con il  principio  (invero  non
costituzionalizzato, seppure di estesa applicazione) del  divieto  di
reformatio in peius, e' orientata nel senso  che  per  i  diritti  di
natura economica connessi al rapporto di impiego pubblico, anche  nei
confronti di norme retroattive, non esiste altro  limite  che  quella
della ragionevolezza (tra le varie, Corte cost., 12 novembre 2002, n.
446); peraltro non puo' non dubitarsi  proprio  della  ragionevolezza
delle norme oggetto di scrutinio, che producono come  effetto  quello
della riduzione,  prolungata  nel  tempo,  e  comunque  oltre  l'arco
annuale, dei trattamenti retributivi dei dipendenti pubblici,  in  un
contesto in cui verosimilmente  piu'  efficaci  a  fare  fronte  agli
obiettivi di finanza pubblica  sarebbero  stati  altri  strumenti  di
contenimento  della  spesa,  di   tipo   strutturale,   ancora   oggi
(inevitabilmente) all'ordine  del  giorno  nell'agenda  politica,  in
quanto i soli a produrre un risparmio continuativo, e non episodico. 
    Si consideri che dalla relazione della Ragioneria Generale  dello
Stato oggetto dell'istruttoria esperita e' evincibile che gli effetti
di risparmio per il bilancio dello Stato derivanti  dall'applicazione
al personale di magistratura dell'art. 9 del  d.l.  n.  78  del  2010
ammontano a 41,6 milioni di euro per  il  blocco  del  meccanismo  di
adeguamento retributivo; a circa 21 milioni  di  euro  per  il  2011,
circa 35 milioni di euro per il 2012 e circa 45 milioni di  euro  per
il 2013 conseguenti alla  riduzione  dell'indennita'  giudiziaria;  a
21,3 milioni di euro per ciascuno degli anni 2011,  2012  e  2013  in
applicazione delle riduzioni del 5 per cento e del 10 per  cento  dei
trattamenti stipendiali rispettivamente eccedenti i 90.000 euro annui
lordi ed i 150.000 annui lordi. 
    A fronte di un saldo  di  finanza  pubblica  non  particolarmente
significativo per l'Amministrazione, appare di intuitiva evidenza,  e
non richiede dunque  particolari  sottolineature,  il  fatto  che  il
prestatore di lavoro pubblico (e quindi anche  il  magistrato)  abbia
maturato   un   legittimo   affidamento   sul   proprio   trattamento
retributivo, parametrando a questo il proprio tenore di vita ed anche
eventuali esborsi programmati (come, ad esempio, la contrazione di un
mutuo). 
    7. - Alla stregua di quanto esposto, la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 9, commi 2, 21 (ove necessario)  e  22,  del
d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito nella legge 30 luglio 2010, n.
122,  nei  vari  profili  evidenziati,   appare   rilevante   e   non
manifestamente infondata per contrasto con gli artt. 2,  3,  23,  36,
53, 101, 104 e 108 della Costituzione. 
    Ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n.  87  si  deve
dunque   rimettere   alla   Corte   costituzionale    la    soluzione
dell'incidente di costituzionalita',  con  sospensione  del  presente
giudizio e trasmissione degli atti alla stessa Corte  costituzionale,
riservata all'esito ogni altra decisione. 
 
                               P.Q.M. 
 
    a) dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 9, commi  2,  (ove  occorra,
21) e 22, del d.l. 31 marzo 2010, n. 78, convertito  nella  legge  30
luglio 2010, n. 122, in relazione agli artt. 2, 3, 23, 36,  53,  101,
104 e 108 della Costituzione; b) sospende il giudizio  in  corso;  c)
ordina che la  presente  ordinanza,  a  cura  della  Segreteria,  sia
notificata alle parti in causa ed al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, e  che  sia  comunicata  al  Presidente  del  Senato  della
Repubblica ed al Presidente della Camera  dei  deputati;  d)  dispone
l'immediata trasmissione degli atti, sempre a cura della  Segreteria,
alla Corte costituzionale. 
 
    Cosi' deciso in Perugia nella camera di consiglio del  giorno  12
ottobre 2011. 
 
                       Il Presidente: Lamberti 
 
 
                                                 L'estensore: Fantini