N. 53 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 gennaio 2012
Ordinanza del 25 gennaio 2012 emessa dal Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria sul ricorso proposto da Angeleri Alessandra ed altri contro Ministero della giustizia, Ministero dell'economia e delle finanze e Presidenza del Consiglio dei ministri.. Bilancio e contabilita' pubblica - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Contenimento della spesa in materia di pubblico impiego - Personale di cui alla legge n. 27 del 1981 (magistrati e categorie equiparate) - Dipendenti delle amministrazioni pubbliche - Trattamento economico - Prevista riduzione, per i trattamenti economici superiori a 90.00 euro lordi e a 150.000, rispettivamente del 5 per cento e del 10 per cento dei predetti importi - Lesione del principio della retribuzione proporzionata ed adeguata - Irrazionalita' - Ingiustificato deteriore trattamento dei lavoratori dipendenti pubblici rispetto a quelli privati ed autonomi - Violazione dei principi di solidarieta' sociale, politica ed economica - Violazione dei principi di generalita' e progressivita' della tassazione e di capacita' contributiva, attesa la sostanziale natura tributaria della prestazione patrimoniale imposta - Violazione del principio di indipendenza ed autonomia della magistratura. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 2. - Costituzione, artt. 2, 3, 23, 36, 53, 101, 104 e 108. Bilancio e contabilita' pubblica - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Contenimento della spesa in materia di pubblico impiego - Personale di cui alla legge n. 27 del 1981 (magistrati e categorie equiparate) - Previsione che non si applicano i meccanismi di adeguamento retributivo per gli anni 2011, 2012, 2013 e che non danno comunque luogo a possibilita' di recupero negli anni successivi - Previsione che non siano erogati ne' recuperabili gli acconti degli anni 2011, 2012 e 2013 ed il conguaglio del triennio 2010-2012; che per il triennio 2013-2015 l'acconto spettante per l'anno 2014 sia pari alla misura gia' prevista per l'anno 2010 ed il conguaglio per l'anno 2015 venga determinato con riferimento agli anni 2009, 2010 e 2014 - Previsione, altresi', per detto personale, che l'indennita' speciale, di cui all'art. 3 della legge n. 27 del 1981, spettante per gli anni 2011, 2012 e 2013 sia ridotta del 15 per cento per l'anno 2012 e del 32 per cento per l'anno 2013 - Lesione del principio della retribuzione proporzionata ed adeguata - Irrazionalita' - Ingiustificato deteriore trattamento dei lavoratori dipendenti rispetto a quelli autonomi - Violazione dei principi di solidarieta' sociale, politica ed economica - Violazione dei principi di generalita' e progressivita' della tassazione e di capacita' contributiva, attesa la sostanziale natura tributaria della prestazione patrimoniale imposta - Natura regressiva del tributo con riferimento all'indennita' speciale, in quanto incidente in minore misura sui magistrati con retribuzione complessiva piu' elevata ed in misura maggiore sui magistrati con retribuzione complessiva inferiore - Violazione del principio di indipendenza ed autonomia della magistratura. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, commi 21 e 22. - Costituzione, artt. 2, 3, 23, 36, 53, 101, 104 e 108.(GU n.15 del 11-4-2012 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 155 del 2011, proposto da: Alessandra Angeleri, Giuseppina Arcella, Alberto Bellocchi, Emilia Bellina, Daniele Cenci, Beatrice Cristiani, Manuela Comodi, Giancarlo Costagliola, Aldo Criscuolo, Paola De Lisio, Wladimiro De Nunzio, Giacomo Fumu, Loredana Giglio, Teresa Giardino, Letizia Lupo, Paolo Micheli, Sergio Matteini Chiari, Claudia Matteini, Alessandro Pazzaglia, Claudio Pratillo Hellman, Umberto Francesco Martino Rana, Giovanni Rossi, Dario Razzi, Nicla Flavia Restivo, Gianfranco Riggio, Luca Semeraro, Giovanna Totero, Marco Verola, Massimo Zanetti, rappresentati e difesi dagli avv.ti Vittorio Angiolini, Marco Cuniberti e Paolo Rossi, con domicilio eletto presso l'avv. Paolo Rossi in Perugia, via Dottori, 85; Contro Ministero della Giustizia, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi ope legis dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, presso i cui uffici sono pure legalmente domiciliati in Perugia, via degli Offici, 14; Per l'accertamento del diritto al trattamento retributivo spettante senza tener conto delle decurtazione di cui al comma 22 dell'art. 9 del d.l. 31 marzo 2010 n. 78, come convertito con modificazioni in legge 30 luglio 2010, n. 122, nonche' per la condanna delle Amministrazioni resistenti al pagamento delle somme corrispondenti, con ogni accessorio di legge. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della giustizia, del Ministero dell'economia e delle finanze e della Presidenza del Consiglio dei Ministri; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 ottobre 2011 il Cons. Stefano Fantini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Fatto I ricorrenti, magistrati ordinari in servizio presso uffici giudiziari del distretto della Corte di Appello di Perugia, chiedono l'accertamento del diritto al trattamento retributivo loro rispettivamente spettante senza tenere conto delle decurtazioni prodotte, a fare tempo dal 1° gennaio 2011, dalla norma di cui all'art. 9, comma 22, del d.l. 31 marzo 2010, n. 78, convertito nella legge 30 luglio 2010, n. 122, con conseguente condanna dell'Amministrazione di appartenenza, del Ministero dell'economia e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, previa, se del caso, rimessione degli atti alla Corte costituzionale. Deducono a sostegno della pretesa la falsa interpretazione dell'art. 9, comma 22, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito nella legge n. 122 del 2010, anche in relazione alla legge 19 febbraio 1981, n. 27, e poi la violazione degli artt. 3, 23, 36, 53, 97, 101, 102, 104, 107 e 108 della Costituzione, la irragionevolezza ed illogicita' manifeste, l'eccesso di potere, nella considerazione che il trattamento economico dei magistrati, per la funzione loro propria, deve essere assistito da certezza e continuita', non potendo subire decurtazioni che determinerebbero un vulnus alle garanzie di indipendenza ed autonomia dell'ordine giudiziario; e comunque l'esistenza di una situazione di emergenza della finanza pubblica imporrebbe di verificare se la decurtazione delle retribuzioni sia compatibile con il buon andamento degli uffici giudiziari, di cui all'art. 97 della Costituzione. In ogni caso, il comma 22 dell'art. 9 del d.l. n. 78 del 2010, nel fare riferimento agli «acconti» ed ai «conguagli» da non erogare ai soli magistrati, senza possibilita' di recupero, per il triennio 2011/2013, non specifica quali siano, e, nella sua genericita', verosimilmente frutto di un utilizzo non accorto degli emendamenti, e' norma insuscettibile di applicazione. Od, al contrario, assoggetterebbe i ricorrenti ad un'applicazione ampiamente discrezionale, se non arbitraria, che espone la norma alla censura di irragionevolezza per violazione dell'art. 3 della Costituzione, tanto piu' in connessione con il principio di indipendenza nell'esercizio della funzione giurisdizionale. Certo e determinato e' invece il contenuto del comma 22 oggetto di disamina nella parte in cui stabilisce che «l'indennita' speciale di cui all'art. 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, spettante negli anni 2011, 2012 e 2013, e' ridotta del 15 per cento per l'anno 2011, del 25 per cento per l'anno 2012 e del 32 per cento per l'anno 2013». Tale indennita' viene corrisposta in funzione dei gravosi oneri sopportati dai magistrati nell'esercizio delle loro funzioni; essa costituisce componente normale del trattamento economico, ma al contempo mantiene il suo originario carattere di «specialita'», consistente nel ristoro per gli esborsi che i magistrati addetti alla funzione giurisdizionale dovrebbero altrimenti sostenere in proprio, non soltanto in funzione dell'aggiornamento culturale e professionale, ma, ancor prima, mediante un impegno che si articola senza precisi limiti temporali. E cosi' l'indennita' speciale non e' erogata nel caso in cui il magistrato non presti effettivo servizio, anche per motivi di salute, per maternita' od ancora nell'esercizio del diritto di elettorato. Anche nella descritta prospettiva, l'art. 9, comma 22, esprime un intento del tutto incoerente, ed anzi contraddittorio, venendo l'indennita' speciale decurtata per un triennio, per di piu' in misura crescente, e dunque resa inidonea ad assolvere al suo compito; si tratta di una norma che viola al contempo il precetto generale della ragionevolezza (art. 3 della Costituzione), tanto piu' nella misura in cui comporta un'applicazione generalizzata della decurtazione a tutti i magistrati, senza tenere conto delle differenze retributive tra loro intercorrenti, nonche' l'art. 36 della Costituzione, alterando la proporzione tra la retribuzione del magistrato ed il lavoro dallo stesso svolto, non compensando piu' gli oneri peculiari dell'organizzazione del lavoro del magistrato. Ove poi si ritenesse che la decurtazione dell'indennita' speciale vada configurata come una prestazione patrimoniale imposta per ineludibili esigenze della finanza pubblica, sia pure di straordinaria emergenza, riveniente il proprio fondamento nell'art. 23 della Carta costituzionale, occorreva rispettare il principio della capacita' contributiva, desumibile dall'art. 53; al contrario, la norma in esame non colpisce un sintomo di arricchimento, un compenso in senso tecnico, ma un recupero di oneri, bene descritto dall'art. 3 della legge n. 27 del 1981. La decurtazione dell'indennita' speciale, come prevista dal d.l. n. 78 del 2010, e' dunque irragionevole, rompe l'equilibrio retributivo che trova il proprio parametro nell'art. 36 della Costituzione ed al contempo non si qualifica come prelievo su di un arricchimento o guadagno, come invece richiesto dagli artt. 23 e 53 della Costituzione, traducendosi di conseguenza in una gratuita diminuzione delle garanzie per i magistrati, quando invece la giurisprudenza costituzionale insegna che il trattamento economico dei magistrati addetti alla funzione giurisdizionale deve attuare il precetto costituzionale dell'indipendenza ed evitare che essi siano soggetti a periodiche rivendicazioni nei confronti di altri poteri, in palese violazione degli artt. 97, ed ancor piu', degli artt. 101, 102, 104, 107 e 108 della Costituzione. Ne consegue che, ad avviso dei ricorrenti, non manifestamente infondata, oltre che rilevante, risulta, nel presente giudizio, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 22, del d.l. n. 78 del 2010, convertito nella legge n. 122 del 2010, con riguardo agli artt. 3, 23, 36, 53, 97, 101, 102, 104, 107 e 108 della Costituzione. Si sono costituite in giudizio le Amministrazioni statali intimate controdeducendo all'articolata censura di parte ricorrente, e chiedendone la reiezione, ed eccependo altresi' il difetto di legittimazione passiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Con ordinanza 5 maggio 2011, n. 65 questo Tribunale Amministrativo ha disposto un incombente istruttorio, essenzialmente richiedendo al Ministero dell'economia una documentata relazione concernente gli effetti retributivi connessi all'applicazione nei confronti dei ricorrenti delle decurtazioni sul trattamento economico complessivo apportate dall'art. 9 del d.l. n. 78 del 2010. L'incombente istruttorio e' stato adempiuto con relazione del 2 agosto 2011. All'udienza del 12 ottobre 2011 la causa e' stata trattenuta in decisione. Diritto 1. - Al fine di comprendere la portata dell'art. 9, comma 22, del d.l. n. 78 del 2010, che detta le disposizioni di «contenimento delle spese in materia di pubblico impiego» con specifico riguardo ai magistrati (personale di cui alla legge n. 27 del 1981), occorre considerare che il loro trattamento economico e' disciplinato dalla legge 2 aprile 1979, n. 97, ed e' costituito dallo stipendio tabellare (cioe' determinato in conformita' delle tabelle allegate alla legge stessa), cui vanno aggiunte l'indennita' integrativa speciale e l'indennita' giudiziaria. In particolare, gli artt. 11-12 della legge n. 97 del 1979 stabiliscono che «gli stipendi del personale di cui alla presente legge sono adeguati di diritto, ogni triennio, nella misura percentuale pari alla media degli incrementi realizzati nel triennio precedente dalle altre categorie dei pubblici dipendenti per le voci retributive calcolate dall'Istituto centrale di statistica ai fini della elaborazione degli indici delle retribuzioni contrattuali, con esclusione della indennita' integrativa speciale» (comma 1); «la variazione percentuale e' calcolata rapportando il complesso del trattamento economico medio per unita' corrisposto nell'ultimo anno del triennio di riferimento a quello dell'ultimo anno del triennio precedente ed ha effetto dal 1° gennaio successivo a quello di riferimento» (comma 3); «gli stipendi al 1° gennaio del secondo e del terzo anno di ogni triennio sono aumentati, a titolo di acconto sull'adeguamento triennale, per ciascun anno e con riferimento sempre allo stipendio in vigore al 1° gennaio del primo anno, per una percentuale pari al 30 per cento della variazione percentuale verificatasi fra le retribuzioni dei dipendenti pubblici nel triennio precedente, salvo conguaglio a decorrere dal 1° gennaio del triennio successivo» (comma 4). L'art. 51 del d.lgs. n. 160 del 2006, recante la «nuova disciplina dell'accesso in magistratura, nonche' in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati», stabilisce che «continuano ad applicarsi tutte le disposizioni in materia di progressione stipendiale dei magistrati ordinari e, in particolare, la legge 6 agosto 1984, n. 425, l'art. 50, comma 4, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, l'adeguamento economico triennale di cui all'art. 24, commi 1 e 4, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, della legge 2 aprile 1979, n. 97, e della legge 19 febbraio 1981, n. 27, e la progressione per classi e scatti, alle scadenze temporali ivi descritte e con decorrenza economica dal primo giorno del mese in cui si raggiunge l'anzianita' prevista». Il descritto meccanismo di determinazione del trattamento economico dei magistrati evidenzia di per se' che l'art. 9, comma 22, del d.l. n. 78 del 2010 non e' norma insuscettibile di applicazione e neppure foriera di effettivi dubbi interpretativi. Si inferisce peraltro dall'esposto, neppure sinteticamente, quadro concernente il trattamento economico che, per effetto della legge n. 27 del 1981, la determinazione degli stipendi dei magistrati e' sottratta a qualsiasi genere di contrattazione, caratterizzandosi come un «sistema automatico» regolato dalla legge; cio' in attuazione del precetto costituzionale dell'indipendenza dei magistrati (inferibile dagli artt. 101, 104 e 108 della Costituzione), che va salvaguardata, secondo l'insegnamento della giurisprudenza costituzionale, anche sotto il profilo economico, evitando che essi siano soggetti a periodiche rivendicazioni nei confronti di altri poteri, costituendo tale automatismo una guarentigia idonea allo scopo (Corte cost., 16 gennaio 1978, n. 1; 8 maggio 1990, n. 238; 10 febbraio 1993, n. 42; 27 luglio 1995, n. 409). 2. - A questo punto e' opportuno evidenziare, anche alla luce dell'espletata istruttoria (senza indugiare nell'evidenziazione degli importi delle decurtazioni stipendiali, gia' posti chiaramente in evidenza da precedenti ordinanze di rimessione: cfr. in particolare T.A.R. Trentino-Alto Adige, Sez. Trento, ord. 14 dicembre 2011, n. 3107), i contenuti della disciplina introdotta dal d.l. n. 78 del 2010 incidenti sul trattamento retributivo, che non si limitano alla disposizione del comma 22, specificamente rivolta al personale di magistratura, dovendosi tenere conto anche di quanto previsto in via generale dal comma 2 del medesimo corpus legislativo. Schematicamente, si rileva che: a) per tutti i dipendenti pubblici (appartenenti alle Amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, e dunque anche per i magistrati) a decorrere dal 1° gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013 i trattamenti economici complessivi superiori a 90.000 euro lordi annui sono ridotti del 5 per cento per la parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, nonche' del 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro (comma 2); b) per i soli magistrati e' stato previsto il blocco degli acconti per gli anni 2011/2013 e dei conguagli per il triennio 2010/2012 (comma 22, prima periodo); c) per i soli magistrati e' previsto un «tetto» per l'acconto per l'anno 2014 che non puo' superare quello dell'anno 2010 ed un «tetto» per il conguaglio dell'anno 2015, che sara' determinato con riferimento agli anni 2009, 2010 e 2014, escludendo dunque il triennio 2011/2013 (comma 22, primo periodo); d) per i soli magistrati e' stabilita la riduzione annualmente progressiva (15, 25 e 32 per cento), per il triennio 2011/2013, dell'indennita' giudiziaria di cui alla legge n. 27 del 1981 (comma 22, secondo periodo); e) allo stesso tempo, per i soli magistrati (diversamente, dunque, dalle altre categorie del pubblico impiego non contrattualizzato), sono stati salvaguardati i meccanismi di «progressione automatica dello stipendio» per gli anni 2011/2013, vale a dire le classi e gli scatti di carriera (comma 22, ultimo periodo). Appare al Collegio incontestabile fin da ora che le misure di contenimento delle spese del pubblico impiego previste dalle norme in esame incidono significativamente sul trattamento economico dei magistrati, alterando altresi' l'euritmia di un sistema che prevede un meccanismo automatico di determinazione dello stesso, regolato dalla legge ordinaria, al fine, come gia' evidenziato, di assicurare l'autonomia e l'indipendenza dei giudici. Ne consegue che le questioni di legittimita' costituzionale prospettate dai ricorrenti o comunque rilevabili, anche d'ufficio, dalle norme del d.l. n. 78 del 2010 sono rilevanti e non manifestamente infondate, come gia' ritenuto da altre ordinanze di rimessione alla Corte costituzionale (cfr., oltre al gia' ricordato provvedimento del T.A.R. Trento, ord. 14 dicembre 2011, n. 3107, le ulteriori ordd. del T.A.R. Campania, Salerno, 23 giugno 2011, n. 1162, del T.A.R. Piemonte, Sez. II, 28 luglio 2011, n. 846, nonche' del T.A.R. Veneto, Sez. I, 15 novembre 2011, n. 1685). La rilevanza della questione e' di intuitiva evidenza e discende dal fatto che le norme di cui ai commi 2 e 22 dell'art. 9 del d.l. n. 78 del 2010 trovano applicazione dal primo gennaio del 2011, cosi' che i ricorrenti hanno subito il mancato incremento del 3,04% della voce stipendio (corrispondente al secondo acconto spettante ai sensi del d.P.C.M. 23 giugno 2009), la riduzione dell'indennita' giudiziaria, nel corso del 2011 nella misura del 15 per cento, e dal corrente anno 2012 nella misura del 25 per cento, oltre che (almeno taluni, con maggiore anzianita' di servizio) la riduzione del trattamento economico complessivo, del 5 per cento una volta superati i' 90.000 euro annui lordi, e del 10 per cento una volta superati i 150.000 euro. Molteplici sono poi i dubbi di legittimita' costituzionale della manovra finanziaria. In primo luogo, riprendendo argomenti gia' anticipati, deve sottolinearsi la non ragionevolezza della decurtazione, disposta dalla prima parte del comma 22, del trattamento retributivo dei magistrati, caratterizzato da un automatismo legale, che si pone, esso stesso, come guarentigia idonea a garantire il precetto costituzionale dell'autonomia ed indipendenza dei giudici, valore che deve essere salvaguardata anche sul piano economico; di qui il ravvisato contrasto non solo con l'art. 3, ma anche con gli artt. 101, 104 e 108 della Carta costituzionale. E' pur vero che la Carta costituzionale non contiene previsioni specifiche sulle retribuzioni dei magistrati, finalizzate a garantirne l'indipendenza economica, benche' la questione sia stata ampiamente discussa nei lavori dell'Assemblea costituente (significativo e' il resoconto della seduta del 28 novembre 1947), ma e' indubbio che il problema si pone in modo particolarmente significativo, in ragione del «prestigio istituzionale» (collegato alla delicatezza ed importanza della funzione) e della stessa indipendenza della funzione. Giova, a questo proposito, sottolineare come anche la c.d. «Magna Carta dei Giudici (principi fondamentali)» approvata a Strasburgo il 17 novembre 2010 dal Consiglio Consultivo dei giudici europei (CCJE) presso il Consiglio d'Europa, agli artt. 2 e 4, sancisce che l'indipendenza dell'ordine giudiziario rispetto ai poteri legislativo ed esecutivo va garantita anche sotto il profilo finanziario; il successivo art. 7 prevede apertis verbis che «il giudice deve beneficiare di una remunerazione e di un sistema previdenziale adeguati e garantiti dalla legge, che lo mettano al riparo da ogni indebita influenza»; la coeva Raccomandazione CM/Rec (2010) 12 del Comitato dei Ministri agli Stati membri (con valore di soft law internazionale), da parte sua, al punto 54, chiede espressamente agli Stati che siano «adottate specifiche disposizioni di legge per garantire che non possa essere disposta una riduzione delle retribuzioni rivolta specificamente ai giudici». In altri termini, il trattamento economico del magistrato deve essere garantito dai requisiti della certezza e continuita', e non soggetto a decurtazioni che, specie allorche' siano ricorrenti, possono tradursi in una surrettizia menomazione delle garanzie della sua indipendenza ed autonomia. La scarsa ragionevolezza ed aderenza alla raccomandazione europea (senza ipotizzare una forma di sfiducia, incompatibile con il principio di leale collaborazione istituzionale) delle misure adottate nei confronti del personale di magistratura appare in qualche misura corroborata dalla disposizione dell'art. 16, comma 7, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011, n. 111, alla cui stregua «qualora, per qualsiasi ragione, inclusa l'emanazione di provvedimenti giurisdizionali diversi dalle decisioni della Corte costituzionale, non siano conseguiti gli effetti finanziari utili conseguenti, per ciascuno degli stessi anni 2011-2013, alle disposizioni di cui ai commi 2 e 22 dell'art. 9 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, i medesimi effetti finanziari sono recuperati, con misure di carattere generale, nell'anno immediatamente successivo nei riguardi delle stesse categorie di personale cui si applicano le predette disposizioni». 3. - Non ignora il Collegio che il «giudice delle leggi» ha nel passato (cfr. Corte cost., 14 luglio 1999, n. 299; 18 luglio 1997, n. 245) ritenuto infondata la questione di costituzionalita' di norme che disponevano il blocco degli incrementi retributivi dovuti ad automatismi stipendiali o progressioni economiche legato a manovre finanziarie eccezionali legate alla necessita' di recuperare l'equilibrio di bilancio, ma l'imposizione di sacrifici eccezionali, transitori, e' stata consentita a condizione che fossero ragionevolmente ripartiti tra diverse categorie di cittadini, oltre che idonei allo scopo prefisso; in particolare la Corte ha sottolineato che l'art. 7 del d.l. n. 384 del 1992 imponeva ai pubblici dipendenti il sacrificio di un anno, e costituiva una manovra di contenimento della spesa pubblica incidente non solo sui pubblici dipendenti, ma anche su altre categorie di lavoratori. Ma di tale dimensione solidaristica appare priva la manovra finanziaria contenuta nel d.l. n. 78 del 2010, che colpisce pesantemente, ancora una volta, solamente l'impiego pubblico, facilmente «aggredibile», e peraltro in misura non chiaramente omogenea, come si evince da taluni passaggi della relazione istruttoria della Ragioneria Generale dello Stato, senza tenere conto, tra l'altro, del fatto che ne rimangono immuni (anche a seguito del c.d. decreto «salva-Italia» 6 dicembre 2011, n. 201, convertito nella legge 22 dicembre 2011, n. 214) i soggetti che con le Amministrazioni pubbliche intrattengono solamente un rapporto di servizio onorario, ovviamente tutt'altro che gratuito. Si evidenzia in questa prospettiva la violazione del principio di eguaglianza e del principio solidaristico di cui agli artt. 3 e 2 della Costituzione, venendo discriminati in peius i magistrati, frustrando la loro legittima aspettativa all'ordinario sviluppo economico della carriera. Allo stesso tempo, i «blocchi stipendiali» violano il principio di proporzionalita' della retribuzione alla quantita' e qualita' del lavoro prestato, sancito dall'art. 36 della Costituzione, come effetto conseguente alla circostanza che e' la legge a determinare lo stipendio nell'impiego pubblico non contrattualizzato. Detta proporzionalita', se non altro dal punto di vista «quantitativo», e' evidentemente vulnerata, atteso che si e' determinato un taglio lineare delle retribuzioni a fronte di un carico di lavoro che, come noto, risulta progressivamente crescente. 4. - Con riguardo, poi, all'indennita' giudiziaria (di cui all'art. 3 della legge n. 27 del 1981), la significativa riduzione in incremento progressivo nel triennio 2011/2013 (15%, 25% e 32%), prevista dal secondo periodo del comma 22 dell'art. 9 del d.l. n. 78 del 2010, ne tradisce anzitutto la sua funzione di «rimborso spese»; la stessa, come posto in evidenza dalla Corte costituzionale, per giustificarne la corresponsione solamente in caso di servizio effettivamente prestato, e' «espressamente correlata ai particolari oneri che i magistrati incontrano nello svolgimento della loro attivita', la quale, tra l'altro, comporta un impegno senza precisi limiti temporali» (sentenza 8 maggio 1990, n. 238; ord. 23 ottobre 2008, n. 346). Inoltre, trattandosi di una componente essenziale del trattamento retributivo del magistrato, la decurtazione dell'indennita' giudiziaria e' disposta in ulteriore violazione dell'art. 36 della Costituzione. Ove poi, introducendo una prospettiva che sara' nel prosieguo maggiormente sviluppata, si ritenga che la norma di legge oggetto di scrutinio, piu' che imporre una decurtazione stipendiale, consista in una prestazione patrimoniale imposta, di natura tributaria (nella misura in cui si traduce nell'ablazione di somme con attribuzione delle stesse ad un ente pubblico e nella loro destinazione allo scopo di apprestare mezzi per il fabbisogno finanziario dell'ente stesso: cosi' Corte cost., 12 gennaio 1995, n. 11; 10 febbraio 1982, n. 26), allora appare particolarmente evidente la sua connotazione selettiva a danno dei magistrati, in violazione dell'art. 53, primo comma, della Carta, che sancisce il principio della generalita' delle imposte, cui tutti sono chiamati a concorrere in ragione esclusivamente della propria capacita' contributiva. In questa direzione, a ben vedere, non e' difficile neppure individuare una violazione del secondo comma dell'art. 53, trattandosi di un tributo sostanzialmente regressivo, in quanto, essendo l'indennita' giudiziaria corrisposta in misura eguale a ciascun magistrato, la sua applicazione uniforme finisce per colpire maggiormente i magistrati con retribuzione complessiva inferiore, e dunque con minore anzianita' di servizio. 5. - L'introdotto argomento del prelievo di valore tributario impone poi di completare la disamina con riferimento al comma 2 dell'art. 9 del d.l. n. 78 del 2010, a norma del quale «in considerazione della eccezionalita' della situazione economica internazionale e tenuto conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, a decorrere dal 1° gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013 i trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, previsti dai rispettivi ordinamenti, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), ai sensi del comma 3, dell'art. 1, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, superiori a 90.000 euro lordi annui sono ridotti del 5 per cento per la parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, nonche' del 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro». Proprio alla luce dei parametri ermeneutici enucleati dalla giurisprudenza costituzionale, appare difficilmente contestabile che tale disposizione, piuttosto che caratterizzarsi come una riduzione stipendiale (melius, come una riduzione dei trattamenti economici complessivi), abbia natura tributaria; ed infatti ricorrono i due elementi dell'imposizione di un sacrificio economico individuale realizzata attraverso un atto autoritativo di carattere ablatorio, e della destinazione del gettito scaturente da tale ablazione al fine di integrare la finanza pubblica; non occorre, del resto, una formale definizione in termini tributari del prelievo (Corte cost., 8 maggio 2009, n. 141). In particolare, si e' al cospetto di un atto normativo, e dunque autoritativo, incidente su di un trattamento economico predeterminato, in quanto tale costituente diritto quesito, adottato al dichiarato scopo del raggiungimento di obiettivi di finanza pubblica. Anche con riguardo alle modalita' applicative, il prelievo non viene attuato mensilmente (come accadrebbe per una riduzione stipendiale in senso proprio), ma opera al momento del raggiungimento dello scaglione reddituale preso a parametro; si aggiunga ancora che indice assai significativo della natura tributaria del prelievo e' proprio il fatto che lo stesso opera al progressivo raggiungimento di due differenti scaglioni (90.000 e 150.000 euro), cui si applicano aliquote crescenti (5 e 10 per cento). Se cosi' e', torna in rilievo la violazione degli artt. 53 e 3 della Costituzione, in quanto il prelievo colpisce solamente la categoria dei dipendenti pubblici (nel cui novero rientrano i magistrati), in contrasto con il principio della «universalita' della imposizione, desumibile dalla espressione testuale «tutti» (cittadini o non cittadini, in qualche modo con rapporti di collegamento con la Repubblica italiana) [che] deve essere intesa nel senso di obbligo generale, improntato al principio di eguaglianza ..., di concorrere alle «spese pubbliche in ragione della loro capacita' contributiva» (con riferimento al singolo tributo ed al complesso della imposizione fiscale), come dovere inserito nei rapporti politici in relazione all'appartenenza del soggetto alla collettivita' organizzata» (Corte cost., ord. 24 luglio 2000, n. 341). Il corollario del comma 2 e' che la categoria dei dipendenti pubblici viene selezionata dalla platea dei contribuenti, senza valutare se esistano altri contribuenti con reddito pari o superiore, con buona pace anche del criterio della perequazione tributaria. Appare chiaro che la violazione dell'art. 3 della Costituzione e' comunque sempre ravvisabile, a prescindere dalla natura tributaria del prelievo, sia prendendo a parametro l'amplissima categoria dei «cittadini», rispetto alla quale i dipendenti pubblici risultano discriminati ratione status a parita' di capacita' economica, sia la categoria piu' ristretta dei «lavoratori», risultando i dipendenti pubblici discriminati rispetto ai dipendenti privati, come pure ai lavoratori autonomi, i quali, a parita' di reddito, non subiscono alcuna incisione patrimoniale. Particolarmente significativo ad evidenziare una situazione disparitaria appare, al riguardo, l'art. 2 del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito nella legge 14 settembre 2011, n. 148, rubricato «disposizioni in materia di entrate», prescrivente, al comma 2, che «in considerazione della eccezionalita' della situazione giuridica economica internazionale e tenuto conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, a decorrere dal 1° gennaio 2011 e fino al 31 dicembre 2013 sul reddito complessivo di cui all'art. 8 del testo unico sulle imposte sui redditi di cui al d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, di importo superiore a 300.000 euro lordi annui, e' dovuto un contributo di solidarieta' del 3 per cento sulla parte eccedente il predetto importo». Detta norma, il cui incipit (melius, se consentito, la cui giustificazione) e' esattamente sovrapponibile a quello dell'art. 9, comma 2, del d.l. n. 78 del 2010, impone un contributo di solidarieta', secondo quanto desumibile anche dalle modalita' tecniche di attuazione, contenute nel recente d.m. 21 novembre 2011, per i redditi complessivi superiori a 300.000 euro lordi, pari al 3 per cento sulla parte eccedente detto importo. Si evidenzia che, pur in presenza di un analogo fondamento di razionalita', diversamente che per i redditi dei dipendenti pubblici, il contributo di solidarieta' scatta, e per giunta nella inferiore misura del 3 per cento, solamente per i redditi complessivi di importo superiore a 300.000 euro lordi annui, costituente un parametro imponibile piu' che triplo rispetto al primo scaglione dei 90.000, e doppio rispetto al secondo scaglione dei 150.000 euro; e' inoltre deducibile dal reddito complessivo. Giova aggiungere che l'art. 2, comma 2, del d.l. n. 138 del 2011 dispone espressamente che «ai fini della verifica del superamento del limite di 300.000 euro rileva[no] anche il reddito di lavoro dipendente di cui all'art. 9, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, al lordo della riduzione ivi prevista»; vale a dire che il contributo di' solidarieta' si applica anche ai redditi complessivi che hanno gia' subito la decurtazione di cui all'art. 9 del d.l. n. 78 del 2010, seppure allorche' raggiungano il superiore importo, senza dunque che si verifichi una doppia imposizione. E' intuitivo come il dubbio di illegittimita' lambisce anche il parametro costituito dall'art. 2 della Carta e dai principi di solidarieta' sociale, politica ed economica ivi fissati, cui corrispondono «doveri inderogabili». In linea assoluta, appare intrinsecamente irragionevole anche la prestazione patrimoniale imposta ai soli dipendenti pubblici con redditi piu' elevati, giustificati dalla qualita' del servizio prestato, dalla difficolta' delle selezioni per l'accesso al medesimo, nonche' dal corrispondente regime di responsabilita'. 6. - Un'ulteriore considerazione, almeno in parte gia' svolta, accomuna il comma 2 ed il comma 22 dell'art. 9 del d.l. n. 78 del 2010, e cioe' il fatto che le disposizioni negli stessi contenute violano il principio di affidamento del cittadino, nella misura in cui rideterminano con effetto ablatorio il trattamento economico gia' acquisito alla sfera del pubblico dipendente come diritto soggettivo. Si tratta di norme che incidono sullo status economico dei ricorrenti; non ignora il Collegio che la giurisprudenza costituzionale, pur contrastando cio' con il principio (invero non costituzionalizzato, seppure di estesa applicazione) del divieto di reformatio in peius, e' orientata nel senso che per i diritti di natura economica connessi al rapporto di impiego pubblico, anche nei confronti di norme retroattive, non esiste altro limite che quella della ragionevolezza (tra le varie, Corte cost., 12 novembre 2002, n. 446); peraltro non puo' non dubitarsi proprio della ragionevolezza delle norme oggetto di scrutinio, che producono come effetto quello della riduzione, prolungata nel tempo, e comunque oltre l'arco annuale, dei trattamenti retributivi dei dipendenti pubblici, in un contesto in cui verosimilmente piu' efficaci a fare fronte agli obiettivi di finanza pubblica sarebbero stati altri strumenti di contenimento della spesa, di tipo strutturale, ancora oggi (inevitabilmente) all'ordine del giorno nell'agenda politica, in quanto i soli a produrre un risparmio continuativo, e non episodico. Si consideri che dalla relazione della Ragioneria Generale dello Stato oggetto dell'istruttoria esperita e' evincibile che gli effetti di risparmio per il bilancio dello Stato derivanti dall'applicazione al personale di magistratura dell'art. 9 del d.l. n. 78 del 2010 ammontano a 41,6 milioni di euro per il blocco del meccanismo di adeguamento retributivo; a circa 21 milioni di euro per il 2011, circa 35 milioni di euro per il 2012 e circa 45 milioni di euro per il 2013 conseguenti alla riduzione dell'indennita' giudiziaria; a 21,3 milioni di euro per ciascuno degli anni 2011, 2012 e 2013 in applicazione delle riduzioni del 5 per cento e del 10 per cento dei trattamenti stipendiali rispettivamente eccedenti i 90.000 euro annui lordi ed i 150.000 annui lordi. A fronte di un saldo di finanza pubblica non particolarmente significativo per l'Amministrazione, appare di intuitiva evidenza, e non richiede dunque particolari sottolineature, il fatto che il prestatore di lavoro pubblico (e quindi anche il magistrato) abbia maturato un legittimo affidamento sul proprio trattamento retributivo, parametrando a questo il proprio tenore di vita ed anche eventuali esborsi programmati (come, ad esempio, la contrazione di un mutuo). 7. - Alla stregua di quanto esposto, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, commi 2, 21 (ove necessario) e 22, del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito nella legge 30 luglio 2010, n. 122, nei vari profili evidenziati, appare rilevante e non manifestamente infondata per contrasto con gli artt. 2, 3, 23, 36, 53, 101, 104 e 108 della Costituzione. Ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 si deve dunque rimettere alla Corte costituzionale la soluzione dell'incidente di costituzionalita', con sospensione del presente giudizio e trasmissione degli atti alla stessa Corte costituzionale, riservata all'esito ogni altra decisione.
P.Q.M. a) dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, commi 2, (ove occorra, 21) e 22, del d.l. 31 marzo 2010, n. 78, convertito nella legge 30 luglio 2010, n. 122, in relazione agli artt. 2, 3, 23, 36, 53, 101, 104 e 108 della Costituzione; b) sospende il giudizio in corso; c) ordina che la presente ordinanza, a cura della Segreteria, sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri, e che sia comunicata al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati; d) dispone l'immediata trasmissione degli atti, sempre a cura della Segreteria, alla Corte costituzionale. Cosi' deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 12 ottobre 2011. Il Presidente: Lamberti L'estensore: Fantini