N. 55 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 dicembre 2011
Ordinanza del 21 dicembre 2011 emessa dal Tribunale di Grosseto nel procedimento penale a carico di M.T.L.. Reati e pene - Reati di competenza del giudice di pace - Esclusione della sospensione condizionale della pena - Lamentata esclusione del beneficio in caso di condanna alla pena pecuniaria per i reati di cui all'art. 4, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 274/2000 anche nella ipotesi in cui lo stesso sia stato invocato dalla difesa - Disparita' di trattamento tra i reati di competenza del giudice di pace puniti con la sola pena pecuniaria e i reati di competenza del Tribunale in composizione monocratica, puniti ugualmente con la sola pena pecuniaria - Eccesso di delega. - Decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, art. 60. - Costituzione, artt. 3 e 76, in relazione all'art. 16 della legge 24 novembre 1999, n. 468.(GU n.15 del 11-4-2012 )
IL TRIBUNALE Nel procedimento penale di appello n. 7/10 r.g.app., avverso la sentenza del giudice di pace di Grosseto emessa in data 14 aprile 2010, nei confronti di M.T.L. in ordine al reato di cui all'art. 594 c.p.; Letti gli atti e sentite le parti, ha pronunciato la seguente ordinanza. E' rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 60, decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (d'ora in avanti, solo d.lgs. nei termini che seguono. 1. L'imputata veniva citata davanti al giudice di pace di Grosseto per rispondere della condotta ingiuriosa compiuta a discapito di G.G. in data 10 giugno 2006. In particolare, le si contestava d'aver offeso l'onore e il decoro della G. per aver proferito nei suoi confronti l'espressione «puttana». Il primo giudice, all'esito dell'istruttoria dibattimentale (consistita nell'escussione di tre testimoni), condannava l'imputata alla pena di euro 700,00 di multa oltre che al risarcimento dei danni a favore della costituita parte civile. Avverso tale pronuncia, l'imputata ha proposto appello sia in merito alla condanna alla pena pecuniaria, sia avverso il capo relativo alla condanna al risarcimento del danno, sicche' l'appello e' ammissibile, ai sensi dell'art. 37, comma primo, d.lgs. Quanto al capo relativo alla condanna alla pena, la appellante contesta la correttezza della valutazione delle risultanze istruttorie da parte del primo giudice, sostenendo che non sarebbe stata raggiunta la prova della sua penale responsabilita'. In via subordinata rispetto alla richiesta principale di assoluzione, l'imputata, allegando di non essere in grado di far fronte alla pena pecuniaria, chiede di poter usufruire del beneficio della sospensione condizionale della pena, eccependo a tal riguardo la illegittimita' costituzionale dell'art. 60 d.lgs. Quanto al capo relativo alla condanna risarcitoria, la appellante contesta l'eccessivita' della liquidazione, in relazione alla natura bagatellare del reato in questione e delle proprie condizioni economiche. 1.1. Le doglianze dell'appellante in merito all'affermazione della sua penale responsabilita' non sono fondate. La deposizione della persona offesa, la quale riferiva che quel giorno, nel rispondere al telefono, aveva sentito la frase offensiva a lei rivolta, trova riscontro sia nella deposizione di C.G., sia in quella del teste S. che aveva effettuato le indagini. Il primo riferiva che era stato presente al momento della telefonata e che aveva notato il turbamento da parte della G., la quale gli aveva subito raccontato della frase ingiuriosa. La testimonianza del S., invece, conferma che dall'esame dei tabulati risultava una chiamata della durata di quattro secondi, dunque compatibile con la telefonata raccontata dalla persona offesa. Quanto poi alla individuazione dell'imputata, il teste S., ha confermato che la scheda telefonica da cui era partita la telefonata in questione era intestata alla M, la quale e' l'ex moglie del C. circostanza questa che porta ragionevolmente a far concludere che l'imputata pronunciava la parola ingiuriosa in un impeto di gelosia. Sulla base di questi elementi di prova, pertanto, appare corretta l'affermazione di responsabilita' dell'imputata pronunciata dal primo giudice. 1.2. Alla luce di cio', diviene rilevante la questione di legittimita' costituzionale del divieto di concessione della sospensione condizionale della pena - beneficio quest'ultimo espressamente invocato dalla appellante sul presupposto della sua incapacita' a far fronte alla pena pecuniaria. Si osserva, sempre in punto di rilevanza, che, in difetto del divieto di cui all'art. 60 d.lgs., all'imputata non potrebbe essere negato il beneficio della sospensione condizionale della pena, trattandosi di persona incensurata nei confronti della quale, tenuto conto del movente del delitto e della natura non grave dello stesso, sarebbe certamente formulabile la prognosi favorevole di cui all'art. 164, comma primo, c.p. L'art. 60, d.lgs., cosi' recita: «Le disposizioni di cui agli articoli 163 e seguenti del codice penale, relative alla sospensione condizionale della pena, non si applicano alle pene irrogate dal giudice di pace.» Il successivo art. 63 prevede che nei casi in cui i reati indicati nell'art. 4, commi 1 e 2, sono giudicati da un giudice diverso dal giudice di pace si osservano le disposizioni del titolo II (ivi compresa quella contenuta nell'art. 60). Dal combinato disposto dei due articoli, pertanto, discende che per le pene irrogate in ordine ai reati di competenza del giudice di pace (art. 4, commi 1 e 2) e' sempre esclusa la concedibilita' della sospensione condizionale (articoli 163 e segg. c.p.), a prescindere dal giudice che le commina. Nel caso di specie, dovendo l'imputata rispondere del reato di cui all'art. 594 c.p., rientrante tra quelli di competenza del giudice di pace (art. 4, comma 1, lettera a, d.lgs.), il divieto di cui all'art. 60 osta alla concessione del beneficio richiesto dalla difesa, e di qui la rilevanza della questione. 2. Quest'ultima, ancorche' gia' sottoposta al vaglio della Corte costituzionale, non e' mai stata esaminata nel merito (con le ordinanze n. 370 del 2004 e n. 290 del 2003, la questione era dichiarata manifestamente inammissibile perche' il dubbio di costituzionalita' veniva prospettato in modo meramente assertivo, senza un supporto argomentativo e senza, dunque, che nell'ordinanza di rimessione potesse essere rinvenuta una compiuta e chiara esposizione delle ragioni della presunta violazione dei parametri costituzionali evocati). La Corte di legittimita', invece, ha avuto modo di occuparsene in due distinte occasioni, dichiarandone in entrambi i casi la manifesta infondatezza (v. Cass. Pen., sent. 14815 del 2003; sent. n. 41992 del 2006). Si legge in quest'ultima pronuncia: «L'inapplicabilita' della sospensione condizionale della pena per i reati di competenza del giudice di pace dipende dalla natura della sanzione, del tutto diversa da quella in ordine alla quale la sospensione e' concepibile. La diversita' riguarda la natura stessa della pena, ed e' percio' facolta' del legislatore di prevedere una diversa regolamentazione che non viola l'art. 3 Cost.». In tale pronuncia, inoltre, la Corte richiama il precedente del 2003 sopra citato, riportandone per intero il seguente passo: «Il legislatore ha ritenuto di dovere fare in relazione a determinati reati, in considerazione della loro lieve e modesta offensivita', un trattamento differenziato prevedendo un procedimento in parte diverso da quello ordinario e un sistema sanzionatorio altrettanto diverso per delitto e contravvenzioni, introducendo, oltre all'ammenda e in alternativa a questa, la permanenza domiciliare o il lavoro di pubblica utilita'. E cio' nell'ottica di una scelta di politica criminale che riguarda tutti coloro che rispondono di reati di minore offensivita' e come tali assegnati alla competenza del giudice di pace. Di guisa che non puo' sostenersi che l'adottata procedura che non prevede il ricorso ai riti alternativi costituisca ingiustificato discrimine per coloro che sono sottoposti a procedimento penale e dovendosi pur considerare le provvidenze» previste da decreto legislativo n. 274 del 2000 quali esclusione della procedibilita' nei casi di particolare tenuita' del fatto ed estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie, provvidenze queste non previste per i reati «maggiori» di competenza del Giudice ordinario. Trattamento, quindi, addirittura di favore se si considera poi, come dianzi detto, il trattamento sanzionatorio. Nessuna violazione all'art. 3 Cost. e' pertanto, ravvisabile e siffatto contesto sanzionatorio di minor rigore non e' contro la norma costituzionale se l'art. 60 del richiamato decreto per detti reati escluda il beneficio della sospensione condizionale della pena, avendo ritenuto il legislatore, sempre per ragioni di politica criminale, di dover dare prevalente rilievo al principio della effettivita' della sanzione». A modesto avviso di questo giudice tali considerazioni non sono condivisibili. In primo luogo, deve contestarsi l'affermazione secondo cui l'inapplicabilita' della sospensione condizionale della pena per i reati di competenza del giudice di pace dipenderebbe dalla natura della sanzione, che sarebbe del tutto diversa da quella in ordine alla quale la sospensione e' concedibile. Tale ragionamento, infatti, e' sconfessato dalla previsione di cui all'ad. 52, comma 1, d.lgs. che stabilisce che per i reati per i quali e' prevista la sola pena della multa o dell'ammenda continuano ad applicarsi le pene vigenti. Analoga considerazione puo' formularsi in ordine ai reati di competenza del giudice di pace puniti con la sola pena pecuniaria ai sensi dell'art. 52, comma 2, lettera a), prima parte: anche in questi casi, infatti, la pena pecuniaria irrogabile non e' diversa da quella ordinaria - multa o ammenda. Si deve pertanto affermare che nei casi di reati puniti con la sola pena pecuniaria (art. 52, comma 1 e comma 2, lettera a, prima parte) la pena irrogata dal giudice di pace non e' diversa da quella ordinaria, sicche', in questi casi, il fondamento del divieto di cui all'art. 60 non puo' essere rinvenuto, come sostenuto dalla cassazione nelle pronunce sopra indicate, nella diversita' della sanzione. Ne', d'altra parte, puo' sostenersi che in tali ipotesi il divieto de quo trovi giustificazione nella minore afflittivita' della pena pecuniaria, in quanto tale affermazione entrerebbe in conflitto con la possibilita' di sospendere la pena pecuniaria irrogata in relazione ai reati diversi da quelli di competenza del giudice di pace. Per questi ultimi casi, la giurisprudenza di legittimita' ammette pacificamente la possibilita' di sospendere la condanna alla sola pena pecuniaria sia quando questa sia prevista in via alternativa a quella detentiva, sia quando venga applicata in sostituzione di quella detentiva, ai sensi dell'art. 53 legge n. 689 del 1981, in cio' confortata dalla previsione di cui al successivo art. 57, comma 3 (v., per tutte, Cass. Pen., sent. n. 42903 del 2009). Non solo: per i reati diversi da quelli appartenenti al giudice di pace, secondo il diritto vivente della Cassazione, rientra nel potere discrezionale del giudice la concessione, anche d'ufficio, del beneficio della sospensione condizionale della pena dell'ammenda, in ragione della prevalenza, di cui va data concreta giustificazione, sul contrario interesse dell'imputato, della funzione rieducativa insita nel beneficio (v., per tutte, Cass. Pen., sez. 3, sentenza n. 11091del 27 gennaio 2010; sez. un., sent. n. 6563 del 1994). Nel vigente sistema normativo, dunque, nei confronti dell'imputato chiamato a rispondere di una contravvenzione di competenza del Tribunale punita con la sola pena dell'ammenda e' comunque possibile concedere il beneficio della sospensione (soprattutto nei casi in cui ne abbia fatto richiesta lo stesso imputato, visto che in tali ipotesi questi non potrebbe dolersi della svantaggiosita' della scelta operata dal giudice); mentre analoga possibilita' non e' riconosciuta nelle ipotesi in cui la condanna riguardi (come nel caso oggetto di questo giudizio) la pena della multa per un reato di competenza del giudice di pace, nonostante che: a) in entrambi i casi si tratti di pena pecuniaria; b) la pena della multa irrogabile per il reato di competenza del giudice di pace sia evidentemente piu' grave di quella dell'ammenda prevista per il reato di competenza del Tribunale. Tutto cio' dunque dimostra che, contrariamente a quanto affermato dalla cassazione nelle pronunce sopra indicate, non possono essere ne' la natura pecuniaria della pena ne' la minore gravita' delle pene irrogabili dal giudice di pace a giustificare la disparita' di trattamento in merito alla concedibilita' del beneficio della sospensione. Sempre secondo la suprema Corte, il legislatore, in ossequio a una scelta insindacabile di politica criminale, avrebbe dato prevalenza, in merito al trattamento sanzionatorio per i reati di competenza del giudice di pace, al principio di effettivita' della pena, anche in considerazione delle «provvidenze» previste dal decreto legislativo n. 274 del 2000, quali l'esclusione della procedibilita' nei casi di particolare tenuita' del fatto e l'estinzione del reato conseguente a condotte riparatone - «provvidenze» che, a giudizio della Corte, non sarebbero previste per i reati «maggiori» di competenza del giudice ordinario. Ad avviso di questo giudice, tuttavia, tali «provvidenze» non possono essere poste a fondamento della scelta del legislatore delegato di escludere il beneficio de quo. Quanto alla esclusione di procedibilita' per particolare tenuita' del fatto, non si coglie alcuna connessione tra tale istituto e il divieto della sospensione condizionale. Si aggiunga, tra l'altro, che nei processi come quello in oggetto, in cui la persona offesa ha dimostrato di avere interesse alla pronuncia di condanna essendosi costituita parte civile, l'istituto de quo di fatto non trovera' mai applicazione, essendo richiesto necessariamente, ai fini dell'esclusione di procedibilita', anche il consenso della persona offesa. In merito all'ipotesi di estinzione del reato conseguente a condotta riparatoria (art. 35 d.lgs.), va confutata l'affermazione della suprema Corte secondo cui analoga «provvidenza» non sarebbe prevista per i reati di competenza del Tribunale, dato che l'assunto e' smentito da alcune specifiche disposizioni di legge (v., per tutte, l'art. 641 c.p. che prevede l'estinzione del reato nel caso in cui l'imputato provveda ad adempiere l'obbligazione prima della condanna - previsione persino piu' favorevole rispetto a quella dell'art. 35 d.lgs. dato che questo fissa il termine ultimo per l'adempimento alla prima udienza di comparizione -; l'art. 341-bis c.p., di recente introduzione, che prevede l'estinzione del reato di oltraggio nel caso in cui l'imputato provveda a risarcire la persona offesa e l'ente di sua appartenenza prima del giudizio; l'art. 181, comma 1-quinquies, d.lgs. n. 42/2004, che prevede l'estinzione del reato paesaggistico in caso di spontanea remissione in pristino prima della condanna; l'art. 2, comma 1-bis, d.l. n. 463/1983, che prevede la non punibilita' per il reato (perfezionatosi il sedicesimo giorno del mese successivo alla scadenza) di omesso versamento delle ritenute previdenziali, in caso di versamento della somma dovuta entro il termine di tre mesi dalla contestazione). Se ne ricava, pertanto, che neppure la previsione di cui all'art. 35 d.lgs. puo' di per se' giustificare il divieto di concedere la sospensione condizionale della pena, dato che si rinvengono nella disciplina del codice sostanziale e nella legislazione speciale altre ipotesi di reato di competenza del Tribunale che, pur soggette a forme di estinzione o di non punibilita' del tutto simili a quella di cui all'art. 35 d.lgs. non soggiacciono a un divieto analogo a quello di cui all'art. 60. La Cassazione, inoltre, nelle pronunce sopra ricordate, giustifica la previsione del divieto di cui all'art. 60 in relazione al «contesto sanzionatorio di minor rigore» in cui esso sarebbe inserito. Ma anche tale conclusione non e' condivisibile. Deve anzi tutto contestarsi che i reati di competenza del giudice di pace sono sempre puniti con pene piu' lievi rispetto a quelle irrogabili in ordine ai reati diversi. La scelta del legislatore nella individuazione dei reati di competenza del giudice di pace non si fonda soltanto sulla gravita' del reato, ma anche su altri criteri, come ad esempio la particolare complessita' della fattispecie da giudicare. A riprova di cio' e' sufficiente affermare che, malgrado i delitti siano sempre piu' gravi delle contravvenzioni, vi sono delitti di competenza del giudice di pace e contravvenzioni di competenza del tribunale in composizione monocratica, a dimostrazione, come si diceva, che il criterio di scelta adottato dal legislatore nella ripartizione delle competenze non e' fondato esclusivamente sulla maggiore o minore gravita' del reato. Ma se cio' e' vero, allora deve anche affermarsi che il divieto di cui all'art. 60 non puo' trovare fondamento nella minore offensivita' dei reati giudicati dal giudice di pace. Si pensi, a titolo di esempio, al caso dell'ingiuria (contestato nella fattispecie in esame) e del reato di cui all'art. 44, lettera a), d.P.R. n. 380/2001: pur essendo il delitto evidentemente piu' grave della contravvenzione, nel primo caso la pena della multa non potrebbe essere sospesa, mentre nel secondo caso il giudice, nell'applicare la pena dell'ammenda, puo' concedere il beneficio della sospensione (e' sufficiente esaminare la casistica giurisprudenziale per notare come i giudici di merito siano soliti concedere la sospensione condizionale dell'ammenda in caso di condanna per la contravvenzione di cui all'art. 44 lettera a), soprattutto nei casi i cui il beneficio sia stato richiesto dalla difesa). L'esempio appena fatto dimostra la disparita' di trattamento tra i reati di competenza del giudice di pace puniti con la sola pena pecuniaria (art. 52, commi 1 e 2 lettera a), prima parte) e i reati di competenza del Tribunale in composizione monocratica puniti ugualmente con la sola pena pecuniaria: malgrado la identita' della natura della sanzione (e la maggiore gravita' del reato di competenza del giudice di pace, nell'esempio fatto), beneficio e' concedibile solo per i reati di competenza del Tribunale. Tale disparita' di trattamento puo' condurre a risultati ingiustamente afflittivi in tutti quei casi, come quello in oggetto, in cui il condannato, non essendo in grado di far fronte alla pena pecuniaria, chieda l'applicazione del beneficio della sospensione al fine di non subire gli effetti negativi della conversione della pena pecuniaria a seguito della sua insolvibilita' (art. 55 d.lgs.). In assenza del divieto di cui all'art. 60 d.lgs., il giudice di pace, nel concedere la sospensione condizionale in caso di condanna alla sola pena pecuniaria, sarebbe tenuto a motivare in concreto sulla utilita' del beneficio, e in tale valutazione dovrebbe evidentemente tener conto dell'eventuale richiesta di concessione fatta dall'imputato in relazione alle proprie condizioni economiche. D'altra parte, non paiono neppure condivisibili le affermazioni contenute in alcune delle pronunce sopra indicate, laddove si osserva che il beneficio della sospensione, nei casi di pene irrogate dal giudice di pace, sarebbe di scarso valore: il giudice di pace puo' irrogare pene pecuniarie di significativa entita', rispetto alle quali il beneficio della sospensione non puo' ritenersi scarsamente vantaggioso (basti pensare alla pena dell'ammenda da euro 5.000,00 a euro 10.000,00 prevista per il reato di cui all'art. 10-bis, d.lgs.; ma anche la pena massima prevista dall'art. 52, comma 2, lettera a), d.lgs., pari ad euro 2.582, non puo' ritenersi di modesta entita' se si considera che e' cinque volte il valore di un'attuale pensione minima). Nella fattispecie concreta, la difesa ha fatto presente che le condizioni economiche dell'imputata non le consentono di far fronte alla pena pecuniaria, sicche' la stessa interesse ad avvalersi del beneficio al fine di non incorrere negli effetti della conversione di cui all'art. 55 d.lgs. La disparita' di trattamento e' di tutta evidenza, dato che la stessa imputata, laddove fosse stata condannata a una pena pecuniaria (anche di importo inferiore) in ordine a una contravvenzione o a un delitto di competenza del Tribunale, avrebbe avuto la possibilita' di godere del beneficio. Si ritiene, in definitiva, che la prevalenza del principio di effettivita' della pena in ordine ai reati di competenza del giudice di pace, che a giudizio della cassazione sarebbe il risultato di una scelta legittima di politica criminale del legislatore, non trovi alcuna razionale giustificazione e risulti percio' foriero di una illegittima disparita' di trattamento che si pone in contrasto con il parametro della ragionevolezza desumibile dal principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione. 3. Violazione dell'art. 76 Cost. per vizio di eccesso di delega. Il decreto legislativo n. 274 del 2000 ha introdotto le disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, in attuazione della legge delega n. 468 del 1999, con cui il Governo veniva delegato ad adottare un decreto legislativo concernente la competenza in materia penale del giudice di pace, nonche' il relativo procedimento e l'apparato sanzionatorio dei reati ad esso devoluti, secondo i principi e i criteri direttivi previsti dagli articoli 15, 16 e 17. L'art. 16, nel delegare la modifica del trattamento sanzionatorio relativo ai reati devoluti alla competenza del giudice di pace, ne indicava i principi e i criteri direttivi. In particolare, alla lettera a) prevedeva la sostituzione delle pene detentive con quelle pecuniarie nonche' la previsione di sanzioni alternative diverse nei casi di maggiore gravita'; alla lettera b), la conversione della pena pecuniaria nelle misure alternative in caso di mancato pagamento della stessa; e, infine, alla lettera c), la previsione di un delitto per il caso di violazione agli obblighi connessi alle sanzioni alternative alla detenzione. La legge delega non faceva alcun riferimento all'istituto della sospensione condizionale della pena. Appare utile citare un passo della sentenza n. 230 del 2010 della Corte costituzionale, in cui si ripercorrono le piu' importanti puntualizzazioni fatte dal Giudice delle leggi in merito alla problematica dei rapporti tra legge delega e legge delegata. «Si deve osservare che, secondo costante giurisprudenza di questa Corte, il controllo della conformita' della norma delegata alla norma delegante richiede un confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli: l'uno relativo alla disposizione che determina l'oggetto, i principi e i criteri direttivi della delega; l'altro relativo alla norma delegata da interpretare nel significato compatibile con questi ultimi (tra le piu' recenti, sentenze n. 98 del 2008; n. 340 e n. 170 del 2007). Relativamente al primo di essi, il contenuto della delega deve essere identificato tenendo conto del complessivo contesto normativo nel quale si inseriscono la legge-delega ed i relativi principi e criteri direttivi, nonche' delle finalita' che la ispirano, verificando, nel silenzio del legislatore delegante sullo specifico tema, che le scelte del legislatore delegato non siano in contrasto con gli indirizzi generali della medesima (sentenze n. 341 del 2007; n. 426 e n. 285 del 2006). I principi posti dal legislatore delegante costituiscono, poi, non soltanto base e limite delle norme delegate, ma anche strumenti per l'interpretazione della loro portata; e tali disposizioni devono essere lette, fintanto che sia possibile, nel significato compatibile con detti principi (sentenze n. 98 del 2008, n. 340 e n. 170 del 2007), i quali, a loro volta, vanno interpretati alla luce della ratio della legge delega (sentenze n. 413 del 2002, n. 307 del 2002; n. 290 del 2001). Relativamente al secondo dei suindicati processi ermeneutici, va confermato l'orientamento di questa Corte, secondo il quale la delega legislativa non esclude ogni discrezionalita' del legislatore delegato, che puo' essere piu' o meno ampia, in relazione al grado di specificita' dei criteri fissati nella legge delega (ordinanze n. 213 del 2005 e n. 490 del 2000). Pertanto, per valutare se il legislatore abbia ecceduto tali - piu' o meno ampi - margini di discrezionalita', occorre individuare la ratio della delega, per verificare se la norma delegata sia con questa coerente (sentenza n. 199 del 2003). L'art. 76 Cost. non osta, infatti, all'emanazione di norme che rappresentino un ordinario sviluppo e, se del caso, un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante, poiche' deve escludersi che la funzione del legislatore delegato sia limitata ad una mera scansione linguistica delle previsioni stabilite dal primo; dunque, nell'attuazione della delega e' possibile valutare le situazioni giuridiche da regolamentare ed effettuare le conseguenti scelte, nella fisiologica attivita' di riempimento che lega i due livelli normativi (sentenze n. 199 del 2003, n. 163 del 2000, ordinanza n. 213 del 2005).». Nel caso di specie, non si puo' prescindere da una disamina del ruolo e della funzione dell'istituto della sospensione condizionale della pena all'interno del sistema penale, al fine di stabilire se la scelta di escluderlo in ordine ai reati di competenza del giudice di pace, operata dal legislatore delegato, possa configurarsi come una fisiologica attivita' di completamento dei principi dettati dal legislatore delegante, ovvero se essa si configuri come un eccezionale sviluppo esulante dalla ratio e dai principi della legge delega. In ordine al beneficio della sospensione condizionale, le sezioni unite della Cassazione, con la pronuncia n. 6563 del 1994, hanno avuto modo di precisare che il potere attribuito al giudice dall'art. 163 comma 1, c.p., trova il proprio imprenscindibile parametro nella finalita' rieducativa della pena (art. 27 commi 1 e 3 Cost.), che, in vista della tutela delle posizioni individuali, dimensiona e limita la potesta' punitiva statale (art. 25, comma 2 Cost.). Si legge ancora in detta pronuncia: «Nella individualizzazione della pena, che ad un tempo soddisfa l'esigenza di renderla il piu' possibile personale e di finalizzarla alla reintegrazione sociale del condannato, s'incontra il criterio (prescrittivo) sotteso alla discrezionalita' del giudice nell'esercizio della potesta' punitiva (fra le altre: Corte cost. 14 aprile 1980, n. 50).». Il beneficio della sospensione condizionale, proprio in relazione alla finalita' rieducativa che lo contraddistingue, ha registrato un progressivo ampliamento della sua sfera applicativa (si allude in particolare alla possibilita' di concedere il beneficio anche a chi abbia riportato una condanna precedente a pena detentiva non sospesa, pur nei limiti di cui all'art. 163, a seguito della sentenza n. 95 del 1976 della Corte costituzionale). Tale beneficio puo' inoltre essere applicato anche a favore dei minori (con limiti superiori rispetto a quelli ordinari) e ai reati militari. Tutto cio' si osserva per dimostrare che l'istituto della sospensione condizionale della pena e' parte integrante del sistema penale, quale strumento imprescindibile per assicurare un trattamento sanzionatorio rispettoso delle esigenze di individualizzazione e di rieducazione della pena. Il divieto di cui all'art. 60 d.lgs. rappresenta pertanto una vera e propria deroga al sistema ordinario e, in considerazione della sua eccezionalita' e dell'incidenza su valori protetti dalle norme costituzionali (articoli 3 e 27 Cost.), non puo' considerarsi uno sviluppo fisiologico dei principi e dei criteri direttivi indicati dalla legge delega, la quale non faceva alcun cenno in merito ad esso. Tali principi e criteri direttivi, per quanto riguarda in maniera specifica il trattamento sanzionatorio (v. art. 16, legge delega), miravano a prevedere una disciplina piu' favorevole all'imputato, come si desume dalla sostituzione delle pene detentive con quelle pecuniarie. La previsione del divieto di cui all'art. 60 si pone in rapporto di discontinuita' con i suddetti principi, in quanto l'esclusione del beneficio de quo rappresenta evidentemente una scelta normativa in malam partem. Ne' potrebbe, sostenersi che tale scelta rappresenti una sorta di effetto compensativo della sostituzione delle pene detentive con quelle pecuniarie (o con quelle alternative, per le ipotesi diverse da quella oggetto di giudizio). Che l'esclusione del beneficio de quo non rappresentasse uno sviluppo coerente e consequenziale rispetto alla previsione di pene sostitutive e' dimostrato proprio dalla scelta operata dal legislatore ordinario con la legge n. 689 del 1981, che, nell'introdurre un sistema di sostituzione delle pene detentive per i casi di reati meno gravi (sistema esteso ai reati militari a seguito della sentenza n. 284 del 1995 della Corte costituzionale), lasciava comunque al giudice il potere di sospendere la pena sostitutiva, come si ricava dall'art. 57, comma 3, legge cit. Ma vi e' di piu'. Il legislatore delegato del 2000, nell'escludere la applicabilita' della disciplina della sospensione condizionale (articoli 163 e seguenti codice penale), ha tolto al giudice di pace (o al giudice diverso chiamato a decidere un reato di competenza del giudice di pace) lo strumento di cui all'art. 165 c.p., che prevede la possibilita' di condizionare il beneficio della sospensione all'adempimento dell'obbligo restitutorio, risarcitorio o riparatorio entro un termine determinato. Ebbene, anche tale scelta si pone evidentemente in rapporto di discontinuita' con la tendenza della legge delega a valorizzare il piu' possibile le condotte riparatorie o risarcitone ad opera dell'imputato (v. art. 17, lettera h), legge delega). Alla luce di queste considerazioni, pertanto, si ritiene che la previsione dell'inapplicabilita' della disciplina della sospensione condizionale (articoli 163 e seguenti c.p.) ai reati di competenza del giudice di pace, oltre ad esulare dalla delega, finisca anche col porsi in contrasto con i principi e i criteri direttivi da questa indicati, incorrendo conseguentemente nella violazione dell'art. 76 Costituzione per vizio di eccesso di delega.
P. Q. M. Visti gli articoli 134 Cost., 23 e segg. legge n. 87 del 1953: dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 60, decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, applicabile anche nei casi in cui i reati di' competenza del giudice di pace siano giudicati da un giudice diverso in virtu' del richiamo di cui al successivo art. 63, in relazione agli articoli 3 e 76 della Costituzione, nella parte in cui non consente la applicabilita' delle disposizioni di cui agli articoli 163 e seguenti del codice penale, relative alla sospensione condizionale della pena, in ordine alla condanna alla pena pecuniaria per i reati di competenza del giudice di pace ai sensi dell'art. 4, commi 1 e 2, d.lgs. cit., neppure nella ipotesi in cui il beneficio sia stato invocato dalla difesa; sospende il giudizio in corso e dispone la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; ordina che la presente ordinanza, a cura della Cancelleria, sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere. Grosseto, 12 dicembre 2011. Il giudice: Compagnucci