N. 55 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 dicembre 2011

Ordinanza del 21 dicembre 2011 emessa dal Tribunale di  Grosseto  nel
procedimento penale a carico di M.T.L.. 
 
Reati e pene - Reati di competenza del giudice di pace  -  Esclusione
  della sospensione condizionale della pena  -  Lamentata  esclusione
  del beneficio in caso di condanna alla pena pecuniaria per i  reati
  di cui all'art. 4, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 274/2000 anche  nella
  ipotesi in  cui  lo  stesso  sia  stato  invocato  dalla  difesa  -
  Disparita' di trattamento tra i reati di competenza del giudice  di
  pace puniti con la sola pena pecuniaria e i reati di competenza del
  Tribunale in composizione monocratica,  puniti  ugualmente  con  la
  sola pena pecuniaria - Eccesso di delega. 
- Decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, art. 60. 
- Costituzione, artt. 3 e 76, in relazione all'art. 16 della legge 24
  novembre 1999, n. 468. 
(GU n.15 del 11-4-2012 )
 
                            IL TRIBUNALE 
 
    Nel procedimento penale di appello n. 7/10 r.g.app.,  avverso  la
sentenza del giudice di pace di Grosseto emessa  in  data  14  aprile
2010, nei confronti di M.T.L. in ordine al reato di cui all'art.  594
c.p.; 
    Letti gli atti e sentite le parti,  ha  pronunciato  la  seguente
ordinanza. 
    E' rilevante e  non  manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale  dell'art.  60,  decreto  legislativo  28
agosto 2000, n. 274 (d'ora in avanti, solo  d.lgs.  nei  termini  che
seguono. 
    1. L'imputata  veniva  citata  davanti  al  giudice  di  pace  di
Grosseto  per  rispondere  della  condotta  ingiuriosa   compiuta   a
discapito di G.G. in data 10  giugno  2006.  In  particolare,  le  si
contestava d'aver offeso l'onore  e  il  decoro  della  G.  per  aver
proferito nei suoi confronti l'espressione «puttana». 
    Il  primo  giudice,  all'esito  dell'istruttoria   dibattimentale
(consistita nell'escussione di tre testimoni), condannava  l'imputata
alla pena di euro 700,00 di multa oltre che al risarcimento dei danni
a favore della costituita parte civile. 
    Avverso tale pronuncia, l'imputata ha  proposto  appello  sia  in
merito alla condanna  alla  pena  pecuniaria,  sia  avverso  il  capo
relativo alla condanna al risarcimento del danno,  sicche'  l'appello
e' ammissibile, ai sensi dell'art. 37, comma primo, d.lgs. 
    Quanto al capo relativo alla condanna alla  pena,  la  appellante
contesta  la   correttezza   della   valutazione   delle   risultanze
istruttorie da parte del primo giudice, sostenendo  che  non  sarebbe
stata raggiunta la prova della sua penale responsabilita'. 
    In  via  subordinata  rispetto  alla  richiesta   principale   di
assoluzione, l'imputata, allegando di non  essere  in  grado  di  far
fronte alla pena pecuniaria, chiede di poter usufruire del  beneficio
della sospensione condizionale della pena, eccependo a  tal  riguardo
la illegittimita' costituzionale dell'art. 60 d.lgs. 
    Quanto al capo relativo alla condanna risarcitoria, la appellante
contesta l'eccessivita' della liquidazione, in relazione alla  natura
bagatellare  del  reato  in  questione  e  delle  proprie  condizioni
economiche. 
    1.1. Le  doglianze  dell'appellante  in  merito  all'affermazione
della sua penale responsabilita' non sono fondate. 
    La deposizione della persona offesa, la quale riferiva  che  quel
giorno, nel rispondere al telefono, aveva sentito la frase  offensiva
a lei rivolta, trova riscontro sia nella deposizione di C.G., sia  in
quella del teste S. che aveva effettuato le indagini. 
    Il primo  riferiva  che  era  stato  presente  al  momento  della
telefonata e che aveva notato il turbamento da  parte  della  G.,  la
quale  gli  aveva  subito  raccontato  della  frase  ingiuriosa.   La
testimonianza del S., invece, conferma che  dall'esame  dei  tabulati
risultava una  chiamata  della  durata  di  quattro  secondi,  dunque
compatibile con la telefonata raccontata dalla persona offesa. 
    Quanto poi alla individuazione dell'imputata,  il  teste  S.,  ha
confermato che la scheda telefonica da cui era partita la  telefonata
in questione era intestata alla M, la quale e'  l'ex  moglie  del  C.
circostanza questa che porta ragionevolmente  a  far  concludere  che
l'imputata pronunciava la parola ingiuriosa in un impeto di gelosia. 
    Sulla base di questi elementi di prova, pertanto, appare corretta
l'affermazione di responsabilita' dell'imputata pronunciata dal primo
giudice. 
    1.2. Alla  luce  di  cio',  diviene  rilevante  la  questione  di
legittimita'  costituzionale  del  divieto   di   concessione   della
sospensione  condizionale  della  pena   -   beneficio   quest'ultimo
espressamente invocato dalla appellante  sul  presupposto  della  sua
incapacita' a far fronte alla pena pecuniaria. 
    Si osserva, sempre in punto di rilevanza,  che,  in  difetto  del
divieto di cui all'art. 60 d.lgs., all'imputata non  potrebbe  essere
negato  il  beneficio  della  sospensione  condizionale  della  pena,
trattandosi di persona incensurata nei confronti della quale,  tenuto
conto del movente del delitto e della natura non grave dello  stesso,
sarebbe certamente formulabile la prognosi favorevole di cui all'art.
164, comma primo, c.p. 
    L'art. 60, d.lgs., cosi' recita: «Le  disposizioni  di  cui  agli
articoli 163 e seguenti del codice penale, relative alla  sospensione
condizionale della pena, non si  applicano  alle  pene  irrogate  dal
giudice di pace.» Il successivo art. 63 prevede che nei casi in cui i
reati indicati nell'art. 4, commi 1 e 2, sono giudicati da un giudice
diverso dal giudice di pace si osservano le disposizioni  del  titolo
II (ivi compresa quella contenuta nell'art. 60). 
    Dal combinato disposto dei due articoli, pertanto,  discende  che
per le pene irrogate in ordine ai reati di competenza del giudice  di
pace (art. 4, commi 1 e 2) e' sempre esclusa la concedibilita'  della
sospensione condizionale (articoli 163 e segg. c.p.),  a  prescindere
dal giudice che le commina. 
    Nel caso di specie, dovendo l'imputata rispondere  del  reato  di
cui all'art. 594  c.p.,  rientrante  tra  quelli  di  competenza  del
giudice di pace (art. 4, comma 1, lettera a, d.lgs.), il  divieto  di
cui all'art. 60 osta alla concessione del beneficio  richiesto  dalla
difesa, e di qui la rilevanza della questione. 
    2. Quest'ultima, ancorche' gia' sottoposta al vaglio della  Corte
costituzionale, non  e'  mai  stata  esaminata  nel  merito  (con  le
ordinanze n. 370 del 2004  e  n.  290  del  2003,  la  questione  era
dichiarata  manifestamente  inammissibile  perche'   il   dubbio   di
costituzionalita' veniva prospettato  in  modo  meramente  assertivo,
senza un supporto argomentativo e senza, dunque,  che  nell'ordinanza
di  rimessione  potesse  essere  rinvenuta  una  compiuta  e   chiara
esposizione delle ragioni della  presunta  violazione  dei  parametri
costituzionali evocati). 
    La Corte di legittimita', invece, ha avuto modo di occuparsene in
due distinte occasioni, dichiarandone in entrambi i casi la manifesta
infondatezza (v. Cass. Pen., sent. 14815 del 2003; sent. n. 41992 del
2006). 
    Si legge in  quest'ultima  pronuncia:  «L'inapplicabilita'  della
sospensione condizionale della pena per i  reati  di  competenza  del
giudice di pace  dipende  dalla  natura  della  sanzione,  del  tutto
diversa da quella in ordine alla quale la sospensione e' concepibile.
La diversita' riguarda la natura stessa della  pena,  ed  e'  percio'
facolta' del legislatore di prevedere  una  diversa  regolamentazione
che non viola l'art. 3 Cost.». 
    In tale pronuncia, inoltre, la Corte richiama il  precedente  del
2003 sopra citato, riportandone per intero  il  seguente  passo:  «Il
legislatore ha ritenuto di dovere fare  in  relazione  a  determinati
reati, in considerazione della loro lieve e modesta offensivita',  un
trattamento differenziato prevedendo un procedimento in parte diverso
da quello ordinario e un sistema  sanzionatorio  altrettanto  diverso
per delitto e contravvenzioni, introducendo, oltre all'ammenda  e  in
alternativa a questa,  la  permanenza  domiciliare  o  il  lavoro  di
pubblica utilita'. E cio'  nell'ottica  di  una  scelta  di  politica
criminale che riguarda tutti coloro che rispondono di reati di minore
offensivita' e come tali assegnati alla  competenza  del  giudice  di
pace. Di guisa che non puo' sostenersi che l'adottata  procedura  che
non prevede il ricorso ai riti alternativi costituisca ingiustificato
discrimine per coloro che sono sottoposti  a  procedimento  penale  e
dovendosi  pur  considerare  le  provvidenze»  previste  da   decreto
legislativo n. 274 del 2000 quali esclusione della procedibilita' nei
casi di particolare  tenuita'  del  fatto  ed  estinzione  del  reato
conseguente a condotte riparatorie, provvidenze queste  non  previste
per  i  reati  «maggiori»  di  competenza  del   Giudice   ordinario.
Trattamento, quindi, addirittura di favore se si considera poi,  come
dianzi  detto,  il  trattamento  sanzionatorio.  Nessuna   violazione
all'art.  3  Cost.  e'  pertanto,  ravvisabile  e  siffatto  contesto
sanzionatorio di minor rigore non e' contro la  norma  costituzionale
se l'art. 60 del  richiamato  decreto  per  detti  reati  escluda  il
beneficio della sospensione condizionale della pena, avendo  ritenuto
il legislatore, sempre per ragioni di politica  criminale,  di  dover
dare  prevalente  rilievo  al  principio  della  effettivita'   della
sanzione». 
    A modesto avviso di questo giudice tali considerazioni  non  sono
condivisibili. 
    In primo  luogo,  deve  contestarsi  l'affermazione  secondo  cui
l'inapplicabilita' della sospensione condizionale della  pena  per  i
reati di competenza del giudice di  pace  dipenderebbe  dalla  natura
della sanzione, che sarebbe del tutto diversa  da  quella  in  ordine
alla quale la sospensione e' concedibile. 
    Tale ragionamento, infatti, e' sconfessato  dalla  previsione  di
cui all'ad. 52, comma 1, d.lgs. che stabilisce che per i reati per  i
quali e' prevista la sola pena della multa o dell'ammenda  continuano
ad applicarsi le pene vigenti. Analoga considerazione puo' formularsi
in ordine ai reati di competenza del giudice di pace  puniti  con  la
sola pena pecuniaria ai sensi dell'art.  52,  comma  2,  lettera  a),
prima parte: anche  in  questi  casi,  infatti,  la  pena  pecuniaria
irrogabile non e' diversa da quella ordinaria - multa o  ammenda.  Si
deve pertanto affermare che nei casi di reati puniti con la sola pena
pecuniaria (art. 52, comma 1 e comma 2, lettera a,  prima  parte)  la
pena irrogata dal giudice di pace non e' diversa da quella ordinaria,
sicche', in questi casi, il fondamento del divieto di cui all'art. 60
non puo' essere rinvenuto,  come  sostenuto  dalla  cassazione  nelle
pronunce sopra indicate, nella diversita' della sanzione. 
    Ne', d'altra parte,  puo'  sostenersi  che  in  tali  ipotesi  il
divieto de quo trovi giustificazione nella minore afflittivita' della
pena pecuniaria, in quanto tale affermazione entrerebbe in  conflitto
con la possibilita' di sospendere  la  pena  pecuniaria  irrogata  in
relazione ai reati diversi da quelli di  competenza  del  giudice  di
pace. 
    Per questi ultimi casi, la giurisprudenza di legittimita' ammette
pacificamente la possibilita' di sospendere  la  condanna  alla  sola
pena pecuniaria sia quando questa sia prevista in via  alternativa  a
quella detentiva, sia  quando  venga  applicata  in  sostituzione  di
quella detentiva, ai sensi dell'art. 53 legge n.  689  del  1981,  in
cio' confortata dalla previsione di cui al successivo art. 57,  comma
3 (v., per tutte, Cass. Pen., sent. n. 42903 del 2009). 
    Non solo: per i reati diversi da quelli appartenenti  al  giudice
di pace, secondo il diritto vivente  della  Cassazione,  rientra  nel
potere discrezionale del giudice la concessione, anche d'ufficio, del
beneficio della sospensione condizionale della pena dell'ammenda,  in
ragione della prevalenza, di cui va  data  concreta  giustificazione,
sul contrario interesse  dell'imputato,  della  funzione  rieducativa
insita nel beneficio (v., per tutte, Cass. Pen., sez. 3, sentenza  n.
11091del 27 gennaio 2010; sez. un., sent. n. 6563 del 1994). 
    Nel   vigente   sistema   normativo,   dunque,   nei    confronti
dell'imputato  chiamato  a  rispondere  di  una  contravvenzione   di
competenza del Tribunale punita con  la  sola  pena  dell'ammenda  e'
comunque  possibile  concedere   il   beneficio   della   sospensione
(soprattutto nei casi in cui  ne  abbia  fatto  richiesta  lo  stesso
imputato, visto che in tali ipotesi questi non potrebbe dolersi della
svantaggiosita' della scelta operata  dal  giudice);  mentre  analoga
possibilita' non e' riconosciuta nelle ipotesi  in  cui  la  condanna
riguardi (come nel caso oggetto di questo  giudizio)  la  pena  della
multa per un reato di competenza del giudice di pace, nonostante che:
a) in entrambi i casi si tratti di pena pecuniaria; b) la pena  della
multa irrogabile per il reato di competenza del giudice di  pace  sia
evidentemente piu' grave di quella dell'ammenda prevista per il reato
di competenza del Tribunale. 
    Tutto cio' dunque dimostra che, contrariamente a quanto affermato
dalla cassazione nelle pronunce sopra indicate,  non  possono  essere
ne' la natura pecuniaria della pena ne' la minore gravita' delle pene
irrogabili dal giudice  di  pace  a  giustificare  la  disparita'  di
trattamento  in  merito  alla  concedibilita'  del  beneficio   della
sospensione. 
    Sempre secondo la suprema Corte, il legislatore,  in  ossequio  a
una  scelta  insindacabile  di  politica  criminale,   avrebbe   dato
prevalenza, in merito al trattamento sanzionatorio  per  i  reati  di
competenza del giudice di pace, al principio  di  effettivita'  della
pena,  anche  in  considerazione  delle  «provvidenze»  previste  dal
decreto  legislativo  n.  274  del  2000,  quali  l'esclusione  della
procedibilita'  nei  casi  di  particolare  tenuita'  del   fatto   e
l'estinzione  del  reato  conseguente   a   condotte   riparatone   -
«provvidenze» che, a giudizio della Corte, non sarebbero previste per
i reati «maggiori» di competenza del giudice ordinario. 
    Ad avviso di questo giudice,  tuttavia,  tali  «provvidenze»  non
possono essere  poste  a  fondamento  della  scelta  del  legislatore
delegato di escludere il beneficio de quo. Quanto alla esclusione  di
procedibilita' per particolare tenuita'  del  fatto,  non  si  coglie
alcuna connessione tra tale istituto e il divieto  della  sospensione
condizionale. Si aggiunga, tra l'altro, che nei processi come  quello
in oggetto, in cui la persona offesa ha dimostrato di avere interesse
alla  pronuncia  di  condanna  essendosi  costituita  parte   civile,
l'istituto de quo di fatto non  trovera'  mai  applicazione,  essendo
richiesto necessariamente, ai fini dell'esclusione di procedibilita',
anche il consenso della persona offesa. 
    In merito all'ipotesi  di  estinzione  del  reato  conseguente  a
condotta riparatoria (art. 35 d.lgs.),  va  confutata  l'affermazione
della suprema Corte secondo cui  analoga  «provvidenza»  non  sarebbe
prevista per i reati di competenza del Tribunale, dato che  l'assunto
e' smentito da alcune  specifiche  disposizioni  di  legge  (v.,  per
tutte, l'art. 641 c.p. che prevede l'estinzione del reato nel caso in
cui l'imputato  provveda  ad  adempiere  l'obbligazione  prima  della
condanna - previsione  persino  piu'  favorevole  rispetto  a  quella
dell'art. 35 d.lgs. dato che  questo  fissa  il  termine  ultimo  per
l'adempimento alla prima udienza di comparizione  -;  l'art.  341-bis
c.p., di recente introduzione, che prevede l'estinzione del reato  di
oltraggio nel caso in cui l'imputato provveda a risarcire la  persona
offesa e l'ente di sua appartenenza prima del giudizio;  l'art.  181,
comma 1-quinquies, d.lgs. n. 42/2004, che  prevede  l'estinzione  del
reato paesaggistico in caso di spontanea remissione in pristino prima
della condanna; l'art. 2, comma 1-bis, d.l. n. 463/1983, che  prevede
la non punibilita' per il reato (perfezionatosi il sedicesimo  giorno
del  mese  successivo  alla  scadenza)  di  omesso  versamento  delle
ritenute previdenziali, in caso  di  versamento  della  somma  dovuta
entro il termine di tre mesi dalla contestazione). 
    Se ne ricava, pertanto, che neppure la previsione di cui all'art.
35 d.lgs. puo' di per se' giustificare il  divieto  di  concedere  la
sospensione condizionale della pena, dato  che  si  rinvengono  nella
disciplina del codice sostanziale e nella legislazione speciale altre
ipotesi di reato di competenza del  Tribunale  che,  pur  soggette  a
forme di estinzione o di non punibilita' del tutto simili a quella di
cui all'art. 35 d.lgs. non soggiacciono a un divieto analogo a quello
di cui all'art. 60. 
    La  Cassazione,  inoltre,   nelle   pronunce   sopra   ricordate,
giustifica la previsione del divieto di cui all'art. 60 in  relazione
al «contesto sanzionatorio di  minor  rigore»  in  cui  esso  sarebbe
inserito. Ma anche tale conclusione non e' condivisibile. 
    Deve anzi tutto contestarsi che i reati di competenza del giudice
di pace sono sempre puniti con pene  piu'  lievi  rispetto  a  quelle
irrogabili in ordine ai reati  diversi.  La  scelta  del  legislatore
nella individuazione dei reati di competenza del giudice di pace  non
si fonda soltanto  sulla  gravita'  del  reato,  ma  anche  su  altri
criteri,  come  ad  esempio   la   particolare   complessita'   della
fattispecie da giudicare. A riprova di cio' e' sufficiente  affermare
che,   malgrado   i   delitti   siano   sempre   piu'   gravi   delle
contravvenzioni, vi sono delitti di competenza del giudice di pace  e
contravvenzioni  di  competenza   del   tribunale   in   composizione
monocratica, a dimostrazione, come si  diceva,  che  il  criterio  di
scelta adottato dal legislatore nella ripartizione  delle  competenze
non e' fondato esclusivamente sulla maggiore o  minore  gravita'  del
reato. Ma se cio' e'  vero,  allora  deve  anche  affermarsi  che  il
divieto di cui all'art. 60 non puo' trovare fondamento  nella  minore
offensivita' dei reati giudicati dal giudice di  pace.  Si  pensi,  a
titolo  di  esempio,  al   caso   dell'ingiuria   (contestato   nella
fattispecie in esame) e del reato di cui  all'art.  44,  lettera  a),
d.P.R. n. 380/2001: pur essendo il delitto evidentemente  piu'  grave
della contravvenzione,  nel  primo  caso  la  pena  della  multa  non
potrebbe  essere  sospesa,  mentre  nel  secondo  caso  il   giudice,
nell'applicare la pena  dell'ammenda,  puo'  concedere  il  beneficio
della   sospensione   (e'   sufficiente   esaminare   la    casistica
giurisprudenziale per notare come i giudici di  merito  siano  soliti
concedere  la  sospensione  condizionale  dell'ammenda  in  caso   di
condanna per la  contravvenzione  di  cui  all'art.  44  lettera  a),
soprattutto nei casi i cui il beneficio  sia  stato  richiesto  dalla
difesa). 
    L'esempio appena fatto dimostra la disparita' di trattamento  tra
i reati di competenza del giudice di pace puniti  con  la  sola  pena
pecuniaria (art. 52, commi 1 e 2 lettera a), prima parte) e  i  reati
di  competenza  del  Tribunale  in  composizione  monocratica  puniti
ugualmente con la sola pena pecuniaria: malgrado la  identita'  della
natura della sanzione (e la maggiore gravita' del reato di competenza
del giudice di pace, nell'esempio fatto),  beneficio  e'  concedibile
solo per i reati di competenza del Tribunale. 
    Tale  disparita'  di  trattamento  puo'  condurre   a   risultati
ingiustamente afflittivi in tutti quei 
    casi, come quello in oggetto, in cui il condannato,  non  essendo
in grado di far fronte alla pena  pecuniaria,  chieda  l'applicazione
del beneficio della sospensione al fine di  non  subire  gli  effetti
negativi della conversione della pena pecuniaria a seguito della  sua
insolvibilita' (art. 55 d.lgs.). 
    In assenza del divieto di cui all'art. 60 d.lgs., il  giudice  di
pace, nel concedere la sospensione condizionale in caso  di  condanna
alla sola pena pecuniaria, sarebbe  tenuto  a  motivare  in  concreto
sulla  utilita'  del  beneficio,  e  in  tale  valutazione   dovrebbe
evidentemente tener conto  dell'eventuale  richiesta  di  concessione
fatta dall'imputato in relazione alle proprie condizioni  economiche.
D'altra parte,  non  paiono  neppure  condivisibili  le  affermazioni
contenute in alcune delle pronunce sopra indicate, laddove si osserva
che il beneficio della sospensione, nei casi  di  pene  irrogate  dal
giudice di pace, sarebbe di scarso valore: il giudice  di  pace  puo'
irrogare pene pecuniarie  di  significativa  entita',  rispetto  alle
quali il beneficio della sospensione non puo'  ritenersi  scarsamente
vantaggioso (basti pensare alla pena dell'ammenda da euro 5.000,00  a
euro 10.000,00 prevista per il reato di cui all'art. 10-bis,  d.lgs.;
ma anche la pena massima prevista dall'art. 52, comma 2, lettera  a),
d.lgs., pari ad euro 2.582, non puo' ritenersi di modesta entita'  se
si considera che e' cinque volte il  valore  di  un'attuale  pensione
minima). 
    Nella fattispecie concreta, la difesa ha fatto  presente  che  le
condizioni economiche dell'imputata non le consentono di  far  fronte
alla pena pecuniaria, sicche' la stessa interesse  ad  avvalersi  del
beneficio al fine di non incorrere negli effetti della conversione di
cui all'art. 55 d.lgs. La  disparita'  di  trattamento  e'  di  tutta
evidenza, dato che la stessa imputata, laddove fosse stata condannata
a una pena pecuniaria (anche di importo inferiore) in  ordine  a  una
contravvenzione o a un delitto di competenza del  Tribunale,  avrebbe
avuto la possibilita' di godere del beneficio. 
    Si ritiene, in definitiva, che la  prevalenza  del  principio  di
effettivita' della pena in ordine ai reati di competenza del  giudice
di pace, che a giudizio della cassazione sarebbe il risultato di  una
scelta legittima di politica criminale  del  legislatore,  non  trovi
alcuna razionale giustificazione e risulti  percio'  foriero  di  una
illegittima disparita' di trattamento che si pone in contrasto con il
parametro  della   ragionevolezza   desumibile   dal   principio   di
uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione. 
    3. Violazione dell'art. 76 Cost. per vizio di eccesso di delega. 
    Il  decreto  legislativo  n.  274  del  2000  ha  introdotto   le
disposizioni  sulla  competenza  penale  del  giudice  di  pace,   in
attuazione della legge delega n. 468 del 1999,  con  cui  il  Governo
veniva delegato ad adottare un  decreto  legislativo  concernente  la
competenza in materia penale del giudice di pace, nonche' il relativo
procedimento e l'apparato sanzionatorio dei reati ad  esso  devoluti,
secondo i principi e i criteri direttivi previsti dagli articoli  15,
16 e  17.  L'art.  16,  nel  delegare  la  modifica  del  trattamento
sanzionatorio relativo ai reati devoluti alla competenza del  giudice
di pace, ne indicava i principi e i criteri direttivi. 
    In particolare, alla lettera a) prevedeva la  sostituzione  delle
pene  detentive  con  quelle  pecuniarie  nonche'  la  previsione  di
sanzioni alternative diverse nei  casi  di  maggiore  gravita';  alla
lettera  b),  la  conversione  della  pena  pecuniaria  nelle  misure
alternative in caso di mancato pagamento  della  stessa;  e,  infine,
alla lettera  c),  la  previsione  di  un  delitto  per  il  caso  di
violazione agli obblighi  connessi  alle  sanzioni  alternative  alla
detenzione. La legge delega non faceva alcun riferimento all'istituto
della sospensione condizionale della pena. 
    Appare utile citare un passo della sentenza n. 230 del 2010 della
Corte costituzionale, in  cui  si  ripercorrono  le  piu'  importanti
puntualizzazioni  fatte  dal  Giudice  delle  leggi  in  merito  alla
problematica dei rapporti tra legge delega e legge delegata. 
    «Si deve osservare che, secondo costante giurisprudenza di questa
Corte, il controllo della conformita' della norma delegata alla norma
delegante richiede  un  confronto  tra  gli  esiti  di  due  processi
ermeneutici paralleli: l'uno relativo alla disposizione che determina
l'oggetto, i principi e i criteri  direttivi  della  delega;  l'altro
relativo  alla  norma  delegata  da  interpretare   nel   significato
compatibile con questi ultimi (tra le piu' recenti,  sentenze  n.  98
del 2008; n. 340 e n. 170 del 2007). Relativamente al primo di  essi,
il contenuto della delega deve essere identificato tenendo conto  del
complessivo  contesto  normativo  nel   quale   si   inseriscono   la
legge-delega ed i relativi  principi  e  criteri  direttivi,  nonche'
delle finalita'  che  la  ispirano,  verificando,  nel  silenzio  del
legislatore  delegante  sullo  specifico  tema,  che  le  scelte  del
legislatore  delegato  non  siano  in  contrasto  con  gli  indirizzi
generali della medesima (sentenze n. 341 del 2007; n. 426  e  n.  285
del 2006). 
    I principi posti dal legislatore  delegante  costituiscono,  poi,
non soltanto base e limite delle norme delegate, ma  anche  strumenti
per l'interpretazione della loro portata; e tali disposizioni  devono
essere lette, fintanto che sia possibile, nel significato compatibile
con detti principi (sentenze n. 98 del 2008, n.  340  e  n.  170  del
2007), i quali, a loro volta,  vanno  interpretati  alla  luce  della
ratio della legge delega (sentenze n. 413 del 2002, n. 307 del  2002;
n. 290 del 2001). Relativamente al secondo  dei  suindicati  processi
ermeneutici, va confermato l'orientamento di questa Corte, secondo il
quale la delega legislativa non  esclude  ogni  discrezionalita'  del
legislatore delegato, che puo' essere piu' o meno ampia, in relazione
al grado di specificita'  dei  criteri  fissati  nella  legge  delega
(ordinanze n. 213 del 2005 e n. 490 del 2000). Pertanto, per valutare
se il legislatore abbia ecceduto tali - piu' o meno ampi - margini di
discrezionalita', occorre individuare  la  ratio  della  delega,  per
verificare se la norma delegata sia con questa coerente (sentenza  n.
199 del 2003). L'art. 76 Cost. non osta, infatti,  all'emanazione  di
norme che rappresentino un ordinario sviluppo  e,  se  del  caso,  un
completamento  delle  scelte  espresse  dal  legislatore   delegante,
poiche' deve escludersi che la funzione del legislatore delegato  sia
limitata ad una mera scansione linguistica delle previsioni stabilite
dal primo; dunque, nell'attuazione della delega e' possibile valutare
le  situazioni  giuridiche  da   regolamentare   ed   effettuare   le
conseguenti scelte, nella fisiologica attivita'  di  riempimento  che
lega i due livelli normativi (sentenze n. 199 del 2003,  n.  163  del
2000, ordinanza n. 213 del 2005).». 
    Nel caso di specie, non si puo' prescindere da una  disamina  del
ruolo e della funzione dell'istituto della  sospensione  condizionale
della pena all'interno del sistema penale, al fine di stabilire se la
scelta di escluderlo in ordine ai reati di competenza del giudice  di
pace, operata dal legislatore delegato, possa configurarsi  come  una
fisiologica attivita'  di  completamento  dei  principi  dettati  dal
legislatore  delegante,  ovvero  se  essa  si   configuri   come   un
eccezionale sviluppo esulante dalla ratio e dai principi della  legge
delega. 
    In ordine al beneficio della sospensione condizionale, le sezioni
unite della Cassazione, con la pronuncia  n.  6563  del  1994,  hanno
avuto modo di precisare che il potere attribuito al giudice dall'art.
163 comma 1, c.p., trova il proprio imprenscindibile parametro  nella
finalita' rieducativa della pena (art. 27 commi 1 e 3 Cost.), che, in
vista della tutela delle posizioni individuali, dimensiona  e  limita
la potesta' punitiva statale (art.  25,  comma  2  Cost.).  Si  legge
ancora in detta pronuncia: «Nella individualizzazione della pena, che
ad un  tempo  soddisfa  l'esigenza  di  renderla  il  piu'  possibile
personale  e  di  finalizzarla  alla   reintegrazione   sociale   del
condannato,  s'incontra  il  criterio  (prescrittivo)  sotteso   alla
discrezionalita' del giudice nell'esercizio della  potesta'  punitiva
(fra le altre: Corte cost. 14 aprile 1980, n. 50).». 
    Il beneficio della sospensione condizionale, proprio in relazione
alla finalita' rieducativa che lo contraddistingue, ha registrato  un
progressivo ampliamento della sua sfera  applicativa  (si  allude  in
particolare alla possibilita' di concedere il beneficio anche  a  chi
abbia riportato una condanna precedente a pena detentiva non sospesa,
pur nei limiti di cui all'art. 163, a seguito della  sentenza  n.  95
del 1976 della Corte costituzionale). 
    Tale beneficio puo' inoltre essere applicato anche a  favore  dei
minori (con limiti superiori rispetto a quelli ordinari) e  ai  reati
militari. 
    Tutto  cio'  si  osserva  per  dimostrare  che  l'istituto  della
sospensione condizionale della pena e' parte integrante  del  sistema
penale, quale strumento imprescindibile per assicurare un trattamento
sanzionatorio rispettoso delle esigenze di individualizzazione  e  di
rieducazione della pena. 
    Il divieto di cui all'art. 60  d.lgs.  rappresenta  pertanto  una
vera e propria deroga al sistema ordinario e, in considerazione della
sua eccezionalita' e dell'incidenza su valori  protetti  dalle  norme
costituzionali (articoli 3 e 27 Cost.),  non  puo'  considerarsi  uno
sviluppo fisiologico dei principi e dei  criteri  direttivi  indicati
dalla legge delega, la quale non faceva  alcun  cenno  in  merito  ad
esso. 
    Tali principi e criteri direttivi, per quanto riguarda in maniera
specifica il trattamento sanzionatorio (v. art.  16,  legge  delega),
miravano a prevedere una  disciplina  piu'  favorevole  all'imputato,
come si desume dalla sostituzione delle  pene  detentive  con  quelle
pecuniarie. La previsione del divieto di cui all'art. 60 si  pone  in
rapporto  di  discontinuita'  con  i  suddetti  principi,  in  quanto
l'esclusione del  beneficio  de  quo  rappresenta  evidentemente  una
scelta normativa in malam partem. Ne' potrebbe, sostenersi  che  tale
scelta  rappresenti  una  sorta   di   effetto   compensativo   della
sostituzione delle pene detentive con quelle pecuniarie (o con quelle
alternative, per le ipotesi diverse da quella oggetto  di  giudizio).
Che l'esclusione del beneficio de quo non rappresentasse uno sviluppo
coerente  e  consequenziale  rispetto   alla   previsione   di   pene
sostitutive  e'  dimostrato  proprio   dalla   scelta   operata   dal
legislatore  ordinario  con  la  legge  n.   689   del   1981,   che,
nell'introdurre un sistema di sostituzione delle pene detentive per i
casi di reati meno gravi (sistema esteso ai reati militari a  seguito
della sentenza n. 284 del 1995 della Corte costituzionale),  lasciava
comunque al giudice il potere di sospendere la pena sostitutiva, come
si ricava dall'art. 57, comma 3, legge cit. 
    Ma  vi  e'  di  piu'.   Il   legislatore   delegato   del   2000,
nell'escludere la applicabilita' della disciplina  della  sospensione
condizionale (articoli 163 e seguenti codice  penale),  ha  tolto  al
giudice di pace (o al giudice diverso chiamato a decidere un reato di
competenza del giudice di pace) lo  strumento  di  cui  all'art.  165
c.p., che prevede la possibilita' di condizionare il beneficio  della
sospensione all'adempimento dell'obbligo restitutorio, risarcitorio o
riparatorio entro un termine determinato. Ebbene, anche  tale  scelta
si pone evidentemente in rapporto di discontinuita' con  la  tendenza
della legge delega  a  valorizzare  il  piu'  possibile  le  condotte
riparatorie o risarcitone ad opera dell'imputato (v. art. 17, lettera
h), legge delega). 
    Alla luce di queste considerazioni, pertanto, si ritiene  che  la
previsione dell'inapplicabilita' della disciplina  della  sospensione
condizionale (articoli 163 e seguenti c.p.) ai  reati  di  competenza
del giudice di pace, oltre ad esulare dalla delega, finisca anche col
porsi in contrasto con i principi e i  criteri  direttivi  da  questa
indicati, incorrendo conseguentemente nella violazione  dell'art.  76
Costituzione per vizio di eccesso di delega. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti gli articoli 134 Cost., 23 e segg. legge n. 87 del 1953: 
        dichiara  rilevante  e  non   manifestamente   infondata   la
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  60,   decreto
legislativo 28 agosto 2000, n. 274, applicabile anche nei casi in cui
i reati di' competenza del giudice di  pace  siano  giudicati  da  un
giudice diverso in virtu' del richiamo di cui al successivo art.  63,
in relazione agli articoli 3 e 76 della Costituzione, nella parte  in
cui non consente la applicabilita' delle  disposizioni  di  cui  agli
articoli 163 e seguenti del codice penale, relative alla  sospensione
condizionale della pena, in ordine alla condanna alla pena pecuniaria
per i reati di competenza del giudice di pace ai sensi  dell'art.  4,
commi 1 e 2, d.lgs. cit., neppure nella ipotesi in cui  il  beneficio
sia stato invocato dalla difesa; 
        sospende  il  giudizio  in  corso  e  dispone  la   immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; 
        ordina che la presente ordinanza, a cura  della  Cancelleria,
sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e  comunicata
ai Presidenti delle due Camere. 
 
        Grosseto, 12 dicembre 2011. 
 
                       Il giudice: Compagnucci