N. 46 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 2 marzo 2012
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 2 marzo 2012 (della Regione Campania). Enti locali - Riduzione dei costi di funzionamento delle Province - Modificazione, a tal fine, dell'assetto delle funzioni e degli organi di governo dell'ente Provincia - Limitazione delle funzioni provinciali a quelle di indirizzo e coordinamento delle attivita' dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale - Trasferimento con legge statale o regionale ai Comuni delle altre funzioni provinciali, ovvero acquisizione delle stesse da parte delle Regioni sulla base dei principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza - Previsto intervento sostitutivo dello Stato in caso di mancata riallocazione delle funzioni da parte delle Regioni entro il 31 dicembre 2012 - Obbligo delle Regioni di trasferire le risorse umane, finanziarie e strumentali per l'esercizio delle funzioni trasferite - Ricorso della Regione Campania - Denunciata lesione della sfera di attribuzioni delle Province nonche' delle competenze regionali - Violazione del principio di ragionevolezza, sotto il profilo della arbitrarieta', incongruita', non pertinenza, irragionevolezza dell'intervento legislativo - Carenza di valutazione in ordine alla compatibilita' costituzionale, alla dimensione effettiva e alla funzionalita' della disposta trasformazione - Irragionevole utilizzo della decretazione d'urgenza - Difetto di proporzionalita' e adeguatezza rispetto all'enunciato fine di riduzione dei costi di funzionamento del sistema. - Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 23, commi 14, 18 e 19. - Costituzione, artt. 1 e 5. Enti locali - Riduzione dei costi di funzionamento delle Province - Modificazione, a tal fine, dell'assetto delle funzioni e degli organi di governo dell'ente Provincia - Soppressione della Giunta provinciale - Prefigurazione dei futuri Consigli provinciali come organi rappresentativi di secondo grado - Previsione della decadenza degli organi in carica delle Province - Ricorso della Regione Campania - Denunciata violazione del principio autonomistico (collegato a quello di sovranita' popolare) e del carattere democratico dell'ente territoriale - Disconoscimento della sfera di autonomia costituzionalmente attribuita alla Provincia quale ente costitutivo della Repubblica - Contrasto con l'autonomia statutaria, organizzativa e finanziaria delle Province e con la riserva ad esse di potere regolamentare. - Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 23, commi 15, 16 e 20. - Costituzione, artt. 1, 2, 5 e 114. Enti locali - Riduzione dei costi di funzionamento delle Province - Modificazione, a tal fine, dell'assetto delle funzioni e degli organi di governo dell'ente Provincia - Limitazione delle funzioni provinciali a quelle di indirizzo e coordinamento delle attivita' dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale - Trasferimento con legge statale o regionale ai Comuni delle altre funzioni provinciali, ovvero acquisizione delle stesse da parte delle Regioni sulla base dei principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza - Previsto intervento sostitutivo dello Stato in caso di mancata riallocazione delle funzioni da parte delle Regioni entro il 31 dicembre 2012 - Obbligo delle Regioni di trasferire le risorse umane, finanziarie e strumentali per l'esercizio delle funzioni trasferite - Ricorso della Regione Campania - Denunciato contrasto con la riserva costituzionale di funzioni a favore delle Province - Violazione della potesta' regolamentare ad esse spettante in ordine alla organizzazione e allo svolgimento delle funzioni loro attribuite - Violazione del riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni relativamente all'allocazione di funzioni amministrative e risorse finanziarie agli enti locali. - Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 23, commi 14, 18 e 19. - Costituzione, artt. 114, 117, 118 e 119. Enti locali - Riduzione dei costi di funzionamento delle Province - Modificazione, a tal fine, dell'assetto delle funzioni e degli organi di governo dell'ente Provincia - Trasferimento con legge statale o regionale ai Comuni delle funzioni provinciali diverse da quelle di indirizzo e coordinamento, ovvero acquisizione delle stesse da parte delle Regioni sulla base dei principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza - Previsto intervento sostitutivo, mediante legge dello Stato, in caso di mancata riallocazione delle funzioni da parte delle Regioni entro il 31 dicembre 2012 - Ricorso della Regione Campania - Denunciata introduzione di una fattispecie di potere statale sostitutivo in assenza dei presupposti costituzionalmente previsti - Violazione del principio di leale collaborazione. - Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 23, commi 14, 18 [secondo capoverso] e 19. - Costituzione, art. 120, comma secondo.(GU n.16 del 18-4-2012 )
Ricorso della Regione Campania (c.f. 80011990636), in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore, on. dott. Stefano Caldoro, rappresentata e difesa, ai sensi della delibera della Giunta regionale n. 43 dei 22 febbraio 2012, giusta procura a margine del presente atto, unitamente e disgiuntamente, dall'avv. Maria D'Elia (c.f. DLEMRA53H42F839H), dell'Avvocatura regionale, e dal prof. avv. Beniamino Caravita di Toritto (c.f. CRVBMN54D19H501A), del libero foro, ed elettivamente domiciliata presso l'ufficio di rappresentanza della Regione Campania sito in Roma alla Via Poli, n. 29 (fax: 06/42001646; pec abilitata: cdta@legalmail.it); Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'articolo 23, commi 14, 15, 16, 18, 19 e 20 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, avente ad oggetto «Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici, pubblicata nel supplemento ordinario n. 276/L alla Gazzetta Ufficiale n. 300 del 27 dicembre 2011 - Serie generale, per violazione degli articoli 1, 2, 5, 114, 117, 118, 119, 120, comma 2, della Costituzione. Fatto Con il decreto-legge n. 201/2011 il Governo ha approntato una serie di misure volte essenzialmente a contenere la spesa pubblica, nell'intento di porre le premesse per la stabilizzazione finanziaria ed al fine di risanare i conti pubblici del Paese, anche in relazione alla difficile situazione di crisi economica internazionale e di instabilita' dei mercati e con l'obiettivo di rispettare gli impegni assunti in sede di Unione europea. Il decreto-legge n. 201/2011 si presenta come un provvedimento assai articolato, che consta di un totale di 50 articoli, ripartiti in quattro titoli. Il Titolo I contiene norme per lo sviluppo e l'equita'; il Titolo III occupa del rafforzamento del sistema finanziario nazionale e internazionale; il Titolo III (a sua volta articolato nei Capi I-VIII) tratta del consolidamento dei conti pubblici; il Titolo IV contiene, infine, disposizioni per la promozione e la tutela della concorrenza. L'art. 23 e' ricompreso nel Capo III del Titolo III, rubricato «Riduzioni di spesa. Costi degli apparati», e tratta, nello specifico, della riduzione dei costi di funzionamento delle Autorita' di Governo, del CNEL, delle Autorita' indipendenti e delle province; i commi da 14 a 20-bis, in particolare, ridisegnano l'assetto dell'ente provincia all'interno dell'ordinamento italiano, intervenendo tanto sotto il profilo funzionale quanto sotto il profilo degli di organi di governo. Nel dettaglio, i commi 14, 18 e 19 affrontano la tematica inerente le funzioni provinciali, stabilendo che «spettano alla provincia esclusivamente le funzioni di indirizzo (l'aggettivo "politico", presente nel testo originano, e' stato eliminato in sede di conversione del decreto-legge) e di coordinamento delle attivita' dei comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze» (comma 14). Le funzioni conferite dalla normativa vigente alle province, a norma del comma 18, dovranno essere trasferite, con legge statale o regionale in base alle rispettive competenze, ai comuni entro il 31 dicembre 2012, salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, le stesse siano acquisite dalle regioni, sulla base dei principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza. In caso di mancato trasferimento da parte delle regioni, lo Stato provvedera' in via sostitutiva, ai sensi dell'art. 8 della legge n. 131/2003, con legge dello Stato. Ai sensi del comma 19, lo Stato e le regioni dovranno provvedere altresi' al trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali per l'esercizio delle funzioni. I commi 15, 16, 17 e 20 intervengono sugli organi di governo delle province, individuandoli esclusivamente nel Presidente della provincia e nel Consiglio provinciale, con eliminazione dunque della Giunta regionale (comma 15). Ne viene poi precisata la durata in carica in 5 anni. Il Consiglio provinciale sara' composto da non piu' di dieci componenti eletti dagli organi elettivi dei Comuni ricadenti nel territorio della provincia e, in base a quanto statuito nel comma 16, le modalita' di elezione, e dunque i criteri di elettorato attivo e passivo, saranno stabilite con legge dello Stato da approvare entro il 31 dicembre 2012 (nella stessa legge verra' anche stabilito con quali modalita' il Consiglio provinciale provvedera' ad eleggere al proprio interno il presidente, comma 17). Per quelle amministrazioni i cui organi elettivi scadono prima della fine di dicembre 2012, il comma 20 stabilisce che si applichi, fino al 31 marzo 2013, la previsione di cui all'art. 141 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (Scioglimento e sospensione dei consigli comunali e provinciali) (comma 20). Le regioni a statuto speciale dovranno adeguare i propri statuti alle previsioni di cui al decreto entro 6 mesi dall'entrata in vigore, con l'eccezione della Province autonome di Trento e Bolzano (comma 20-bis). Le richiamate disposizioni del decreto-legge n. 201 del 2011, come convertite con legge n. 214 del 2011, risultano gravemente lesive delle prerogative delle autonomie locali e della Regione Campania, in quanto viziati da manifesta illegittimita' costituzionale per i seguenti motivi di Diritto 1. Premessa: ruolo e collocazione storico-istituzionale e costituzionale delle province nell'ordinamento italiano premessa. Il tema della soppressione delle province, o quanto meno del ridimensionamento del loro ruolo nell'ordinamento italiano, non e' certamente nuovo. Tutt'altro. Il destino di ente discusso, perennemente «morituro», ma sempre rimasto in vita, e' stato segnato fin dalla nascita della Repubblica, quando la commissione dei settantacinque si espresse nel senso del non riconoscimento alla provincia della natura di ente autonomo, ed immediatamente dopo l'assemblea in sede plenaria modifico' tale orientamento e si espresse nel senso del mantenimento dell'ente nel novero dei soggetti autonomi elencati in quello che diverra' l'art. 114 della Costituzione. Anche negli anni successivi - e fino ad oggi - la provincia e' stata fatta oggetto di proposte di eliminazione mai concretizzatesi in un iter legislativo compiuto. La «resistenza» dimostrata dall'ente di area vasta ai tentativi esperiti di ridimensionamento o persino di soppressione deve evidentemente trovare una spiegazione che non puo' essere semplicisticamente ricondotta a dinamiche contingenti o ad una generica predilezione per il mantenimento dello status quo. E' piuttosto nel collocamento storico-istituzionale e nel ruolo che la provincia e' andata assumendo nel corso dei 150 anni di vita unitaria del Paese che debbono rintracciarsi le motivazioni vere della sua persistente esistenza nell'ordinamento italiano. Ereditata dal sistema francese, transitata per il tramite della legislazione piemontese nell'ordinamento del Regno d'Italia con la legge sull'unificazione amministrativa del 1865, la provincia costituisce da sempre il livello di governo intermedio tra i comuni e lo Stato centrale. Cardine dell'organizzazione statale periferica fin dalla nascita dello Stato italiano, nella storia unitaria l'ambito territoriale provinciale ha sempre rappresentato, per tale motivo, il riferimento per la vita economica, sociale e politica del Paese, in una sostanziale continuita' che non e' stata interrotta neppure dall'istituzione delle regioni, le quali non hanno scalfito la forza attrattiva del livello provinciale sull'organizzazione periferica statale. Sulla falsariga dell'amministrazione statale, si sono cosi' strutturati su base provinciale le Camere di commercio, le associazioni sindacali, le associazioni sportive e culturali, i partiti politici. Le stesse regioni adottano ormai il livello territoriale provinciale come base della propria organizzazione decentrata. E anche la legislazione statale in materia di organizzazione territoriale dei servizi spinge per l'adozione del livello geografico provinciale. Basti, al riguardo, ricordare, infatti, che gia' l'art. 2, comma 38, della Legge Finanziaria 2008 (Legge 24 dicembre 2007 n. 244) valuta «prioritariamente» le province quale ambito territoriale ottimale ai fini dell'attribuzione di funzioni in materia di rifiuti e gestione delle risorse idriche. «Le province, create per gli interessi del governo centrale, hanno finito per assumere una propria fisionomia, anche come gruppi territoriali sociali. Anche se esse esistono in virtu' di fatti storici artificiali e' peraltro vero che anche il fatto artificiale ha finito col creare delle conseguenze che non sono artificiali» (M.S. Giannini). Anche in virtu' di questo indiscusso ed indiscutibile ruolo nel sistema Paese, all'ente provincia la Carta del 1948 ha riconosciuto - accanto alla definizione di circoscrizione di decentramento statale e regionale di cui all'art. 129 Cost. - anche la qualifica di ente autonomo, al pari del comune e delle regioni. Con la esplicitazione del principio dell'autonomia delle collettivita' locali contenuto all'art. 5, la Costituzione ha riconosciuto a tale principio un ruolo caratterizzante l'ordinamento, attribuendo agli enti territoriali, quanto meno in via di principio, non solamente un ruolo di mero strumento di organizzazione statale. La collocazione di tale principio nella prima parte del testo costituzionale - collocazione che, e' bene ricordarlo, e' stata decisa solamente nella fase finale dei lavori dell'assemblea costituente, poiche' l'articolo nasceva invece come uno di quelli da porre nella parte dedicata alle autonomie locali - implica che esso fa parte di quei principi fondamentali dell'ordinamento che connotano la forma di Stato e che pertanto la sua eliminazione non sarebbe, secondo alcuni, nella disponibilita' neppure del revisore costituzionale. E' nel Titolo V della Carta che l'art. 5 trova la sua piena esplicazione. Gli enti di cui all'art. 114 (anche nel testo originario) sono evidentemente espressione di quella autonomia riconosciuta e tutelata dall'art. 5; a dimostrarlo contribuiva peraltro la presenza della congiunzione «anche» nel testo del soppresso art. 129 Cost.: «Le province e i comuni sono anche circoscrizioni di decentramento statale e regionale». Anche, ma non solo. Il ruolo e la rilevanza costituzionale dell'ente provincia, gia' chiaro nel testo costituzionale del 1948, ha assunto evidentemente un significato ancor piu' pregnante a seguito dell'entrata in vigore della legge costituzionale n. 3/2001. Cio' che emerge dall'impianto del Titolo V novellato e' un sistema istituzionale su piu' livelli, «costituito da una pluralita' di ordinamenti giuridici integrati, che interagiscono reciprocamente». In questo sistema interistituzionale «a rete», tutti i livelli di governo godono di un'autonomia organizzativa, normativa e politica che non e' piu' solamente prevista nella legge ordinaria, ma viene definitivamente sancita in Costituzione. Se dunque, prima del 2001 alla provincia poteva attribuirsi ancora la sola qualifica di «ente costituzionalmente rilevante», oggi la provincia e' senza dubbio «ente costituzionale». 2. Circa la legittimazione della Regione Campania a far valere l'illegittimita' dell'art. 23, commi 14, 15, 16, 18, 19 e 20, per la lesione della sfera di autonomia e di attribuzioni costituzionalmente riservata alle province. In via ulteriormente preliminare, per quanto occorrer possa, la Regione Campania intende brevemente soffermarsi sulla piena sussistenza della propria legittimazione ad impugnare il censurato art. 23 del decreto-legge n. 201/2011, convertito con modificazioni dalla legge n. 214/2011, anche nella parte in cui tale impugnazione e' volta a denunciare la grave lesione dell'autonomia e delle prerogative che la Costituzione attribuisce alle province campane. In ragione della preclusione agli enti locali di proporre direttamente ricorso alla Corte costituzionale per l'invasione delle proprie competenze, si e' tradizionalmente proposto che le Regioni potessero fare portatrici delle doglianze lamentate dagli enti territoriali autonomi presenti nel territorio regionale. Tale conclusione ha trovato esplicita conferma nella legge n. 131/2003, mediante la quale il legislatore ha provveduto all'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alle profonde modifiche apportate dalla legge Cost. n. 3/2001 al sistema di relazioni tra Stato ed autonomie territoriali. In particolare, l'art. 9 di tale legge, nel modificare l'art. 32 della legge n. 87/1953, ha previsto espressamente che la sollevazione di una questioni di legittimita' costituzionale di disposizioni statali possa avvenire «anche su proposta del consiglio delle autonomie locali». Tuttavia, a ben vedere, ove il consiglio delle autonomie locali non sia ancora istituito, del pari, non e' possibile revocare in dubbio la sussistenza della legittimazione della regione ad impugnare la norma de qua. La giurisprudenza di Codesta ecc.ma Corte, infatti, ha avuto modo di precisare come la proposizione di un ricorso da parte di una regione nell'interesse degli enti locali ricompresi nel proprio territorio non e' necessariamente subordinata alla condizione che la lesione delle prerogative di questi ultimi riverberi in un'illegittima invasione dell'autonomia regionale costituzionalmente garantita. In tal senso si e' pronunciata, in maniera chiara, la sentenza n. 298 del 2009. In tale occasione, infatti, il giudice costituzionale ha ritenuto infondata l'eccezione mediante la quale l'Avvocatura statale affermava che la regione non fosse legittimata ad agire, facendo la stessa valere un pregiudizio dei comuni che non incide, neppure indirettamente, sulla sfera di potesta' legislativa regionale. Nel rigettare la suddetta ricostruzione erariale, Codesta ecc.ma Corte ha osservato: «le regioni sono legittimate a denunciare la legge statale anche per la lesione delle attribuzioni degli enti locali, indipendentemente dalla prospettazione della violazione della competenza legislativa regionale. Questa Corte, infatti, ha piu' volte affermato il principio che la suddetta legittimazione sussiste in capo alle regioni, in quanto «la stretta connessione, in particolare [...] in tema di finanza regionale e locale, tra le attribuzioni regionali e quelle delle autonomie locali consente di ritenere che la lesione delle competenze locali sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle competenze regionali» (sentenze n. 169 e n. 95 del 2007, n. 417 del 2005 e n. 196 del 2004). Tale giurisprudenza si riferisce, in modo evidente, a tutte le attribuzioni costituzionali delle regioni e degli enti locali e prescinde, percio', dal titolo di competenza legislativa esclusivo, concorrente o residuale eventualmente invocabile nella fattispecie. Essa, in particolare, non richiede. Quale condizione necessaria per la denuncia da parte della regione di un vuinus delle competenze locali, che sia dedotta la violazione delle attribuzioni legislative regionali. Orbene, alla luce del quadro normativo e giurisprudenziale sopra richiamato, emerge in maniera evidente come la Regione Campania sia pienamente titolare della legittimazione ad agire nel presente giudizio di costituzionalita'. In realta', come si vedra' esplicitamente piu' avanti (sub paragrafo 5), la proposta revisione dell'ordinamento provinciale incide direttamente sulle competenze regionali, giacche' costringe la regione a riorganizzare - per il tramite della propria potesta' legislativa - l'esercizio delle funzioni amministrative e la distribuzione delle risorse finanziarie nelle materie di competenza regionale: con diretta violazione degli articoli 117, 118 e 119 Cost. Questo vale anche per quanto riguarda la violazione dell'art. 120 Cost. attraverso la illegittima previsione di un anomalo potere sostitutivo nei confronti della regione, non previsto dalla Costituzione. Di conseguenza, ogni eventuale eccezione avversa in merito non potra' che essere rigettata in quanto destituita di qualsivoglia fondamento in fatto e in diritto. 3. Illegittimita' dell'art. 23, commi 14, 18 e 19, del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito nella legge n. 214 del 2011, per violazione del principio di ragionevolezza, anche in riferimento agli articoli 1 e 5, sotto il profilo della arbitrarieta', incongruita', non pertinenza, irragionevolezza dell'intervento legislativo. In primo luogo, non e' possibile non evidenziare come le norme oggi impugnate siano gravemente viziate da irragionevolezza, arbitrarieta', incongruita', non pertinenza, ridondanti in una grave illegittimita' per contrasto con il principio di ragionevolezza, nonche' in riferimento agli articoli 1 e 5 della Costituzione. Come esposto nella parte in fatto, l'art. 23, che, secondo la sua epigrafe, introduce norme relative alla «Riduzione dei costi di funzionamento di Autorita' di Governo, del CNEL, delle Autorita' indipendenti e province», opera invero - con i commi dal 14 al 20 - un radicale intervento che incide in profondita' sull'assetto istituzionale delle province, con misure che colpiscono funzioni, organi e caratteristiche rappresentative delle stesse, alterando completamente la fisionomia del sistema delle autonomie locali. In generale l'intervento normativo colpisce in modo diretto il sistema provinciale, intervenendo sul livello della rappresentanza politica e sulle funzioni delle province. I commi dal 14 al 20 determinano la drastica riduzione degli amministratori, l'eliminazione delle elezioni provinciali dirette e il sostanziale svuotamento delle funzioni, fatte salve imprecisate e generiche funzioni di «indirizzo e di coordinamento», che all'evidenza necessitano di ulteriori strumenti di chiarificazione e di definizione. In particolare, e in relazione al profilo qui censurato, si richiama l'attenzione sulle disposizioni che prevedono: a) la limitazione delle funzioni provinciali esclusivamente a quelle «di indirizzo e coordinamento delle attivita' dei comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze» (comma 14); b) l'obbligo imposto alle regioni di provvedere (entro il 31 dicembre 2012) al trasferimento ai comuni (salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, le stesse siano acquisite dalle regioni, sulla base dei principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza) delle funzioni provinciali, con previsione, in caso di inadempimento, di esercizio dei poteri sostitutivi di cui all'art. 8 della legge n. 131 del 2003 (comma 18); c) l'obbligo imposto alle regioni di provvedere altresi' al trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali per l'esercizio delle funzioni trasferite, assicurando nell'ambito delle medesime risorse il necessario supporto di segreteria per l'operativita' degli organi della provincia (comma 19). Le impugnate disposizioni rendono necessaria la riallocazione di funzioni, personale, risorse e strutture sia verso i comuni, sia verso la regione. L'intervento denota una grave carenza valutativa in termini di compatibilita' costituzionale, dimensione effettiva della trasformazione e funzionalita' rispetto agli obiettivi da perseguire. E' tanto piu' irragionevole perche' operata mediante lo strumento d'urgenza del decreto-legge. Produce inoltre una serie di paradossi che si oppongono, in modo assai deciso, al conseguimento degli obiettivi attesi dalla sua attuazione. Si vuole qui richiamare l'attenzione di Codesta ecc.ma Corte su taluni macroscopici aspetti di incongruita' e irragionevolezza che la normativa impugnata presenta. 3.1. Nonostante la perentoria proclamazione dell'intestazione dell'articolo, il risultato dell'attuazione della norma non si traduce in immediati e rilevanti risparmi di spesa, la quale spesa semplicemente verra' spostata verso il nuovo destinatario delle funzioni amministrative precedentemente provinciali. Il dato e' talmente macroscopico ed evidente da essere stato evidenziato gia' nella relazione tecnica al testo del decreto-legge, la quale ha chiarito, commentando le disposizioni di cui ai commi 1420, che «Considerando che le risorse umane, finanziarie e strumentali rimangono legate alle funzioni che si trasferiscono si ritiene di non stimare su tale versante risparmi di spesa (tali risparmi appaiono verosimilmente destinati a prodursi nel tempo, attraverso la futura razionalizzazione dell'assetto organizzativo e lo sfruttamento delle economie di scala)». Prosegue poi la relazione tecnica: per quanto attiene i c.d. «costi della politica» che - da dati SIOPE - ammontano a circa 130 milioni di euro lordi, appare verosimile considerare una riduzione percentuale nell'ordine del 50%, considerando che rimarrebbero quali organi i presidenti e i componenti del consiglio e che dovra' essere assicurato un supporto di segretaria, come previsto dal comma 19, il risparmio di spesa associabile al complesso normativo in esame - 65 milioni di euro lordi - e' destinato a prodursi dal 2013 e peraltro in via prudenziale non viene considerato in quanto verra' registrato a consuntivo». Il sistema risultante dagli impugnati commi, inoltre, non esclude, ma anzi presuppone e quindi autorizza, una proliferazione di apparati amministrativi di livello regionale e sovracomunale (con particolare riguardo agli organi di raccordo previsti dal comma 21) e provinciale (le strutture che forniranno il supporto di segreteria per l'operativita' degli organi della provincia di cui al comma 19). Inoltre, la portata della trasformazione determinata dalle norme impugnate non puo' che implicare un processo lungo, conflittuale e con costi difficilmente quantificabili: si pensi - per evidenziame uno tra i piu' rilevanti e del tutto sottaciuti dal riforma - al profilo, che assumera' toni necessariamente problematici, dei trasferimento del personale nei ruoli regionali. L'insorgenza certa di tali criticita', connessa all'immediata operativita' della norme impugnate, certamente contraddice frontalmente la ratio ispiratrice dell'art. 23. 3.2. Gravissime appaiono le ripercussioni delle norme in questione in ordine alla gestione delle cd. «aree vaste». Le misure di rimodellazione della rappresentanza politica della provincia e di riallocazione forzata delle funzioni sono state assunte in assenza di qualsivoglia indicatore di segno negativo che contraddicesse l'appropriatezza delle province quale ambito territoriale ottimale per la gestione delle funzioni relative ad aree vaste. Nessun indicatore obiettivo di perfomance negativa e' stato evidenziato ed utilizzato a giustificazione delle misure oggetto della presente impugnativa. Orbene, pur tralasciando il tema della rappresentanza democratica in ambito provinciale, nessuno puo' ragionevolmente revocare in dubbio che un livello amministrativo intermedio fra regione e comuni sia necessario, almeno in ordine ad alcuni temi che, esemplificativamente, possono essere individuati nei temi del lavoro, dell'ambiente, del territorio, della formazione professionale, della gestione della rete stradale e infrastrutturale, del servizio di trasporto locale, della gestione dei servizi di scuola superiore, dei sistemi idrici, di raccolta dei rifiuti, di assistenza agli enti locali, del coordinamento della forze di sicurezza e protezione civile. In assenza di chiari dati empirici sui limiti gestionali delle province, si e' deciso ora, in via generale, di modificare gli assetti organizzativi provinciali e di riallocare le funzioni ai comuni o alla regione, esponendosi, per i primi, ad evidenti limiti di capacita' operativa in area vasta, e per la seconda, al rischio di gigantismo istituzionale, risospingendo la regione verso una dimensione piu' orientata all'amministrazione che al Governo. 3.3. In aggiunta a quanto sin qui evidenziato, valgano (e ulteriori seguenti considerazioni: in Campania si registrano soltanto quattro Unioni di comuni (che coprono un numero di 24 comuni, su un totale di 551). Al di fuori delle province sono pertanto mancanti altri «enti» intermedi e tale vuoto va inoltre considerato anche alla luce della situazione di profonda incertezza istituzionale e politica che caratterizza il futuro delle Comunita' montane. Dovendosi escludere che tutte le funzioni provinciali da riallocare, in base ai principi di sussidiarieta', adeguatezza e differenziazione, possano essere assunte direttamente dalla regione, e' da ritenere che - fino a una futura razionalizzazione dell'assetto organizzativo degli enti locali regionali - si verifichera', con ogni probabilita', un aumento dei costi, determinato dall'istituzione di nuovi apparati amministrativi sovracomunali, dal venir meno delle economie di scala su base provinciale e, comunque, dalla necessita' di far fronte ad una fase di riorganizzazione certamente complessa e conflittuale. 3.4. Ma vi e' di piu': se l'obiettivo della riforma posta in essere con l'art. 23 mira ad un disegno complessivo di riforma dello Stato, nel senso della sua configurazione come apparato con costi ridotti, alta efficienza di funzionamento e maggiore prossimita' ai cittadini, le sue misure si appalesano del tutto insufficienti ed inadeguate allo scopo, poiche' attribuiscono gli effetti di una riforma sistemica ad una modifica che, in realta', colpisce soltanto le province quali enti autonomi ovvero le province quali enti di gestione di funzioni amministrative regionali, e non anche le province quali ambiti di articolazione periferica dello Stato. L'ambito di decentramento statale di livello provinciale, con riguardo a numerosissime funzioni, continua ad essere pienamente operativo e assolutamente non inciso. Infatti, l'art. 23 non grava in alcun modo sul livello provinciale di decentramento delle funzioni statali (si pensi al ruolo degli uffici territoriali del Governo-prefetture, dei provveditori scolastici, delle soprintendenze per i beni culturali). Non e' possibile inoltre tacere che le norme qui impugnate non introducono nessun elemento di adattamento a contesti territoriali che presentano caratteristiche di profonda differenziazione sul territorio nazionale. Inoltre, se, come suggerisce il tenore dell'intervento legislativo, si intendeva ripensare il modello di governo della Provincia, si sarebbe potuto attenuare il livello di «politicita'» degli organi provinciali intervenendo sulla elezione diretta del presidente, senza compromettere, in modo cosi' profondo, la rappresentativita' democratica della stessa. I gravi e numerosi problemi, di cui si e' qui fatto solo un rapido cenno, rendono palese l'incongruita', l'inadeguatezza e la piena insufficienza delle disposizioni di cui ai commi dal 14 ai 20, dell'art. 23 rispetto al conseguimento dell'obiettivo di snellimento, semplificazione e riduzione dei costi del sistema. Le norme qui indubbiate, e in particolare i commi 14, 18 e 19, si pongono in grave ed insanabile contrasto con il principio costituzionale di ragionevolezza. Orbene, tale principio, sotto il profilo della proporzionalita' e dell'adeguatezza rispetto ai fini, costituisce canone di legittimita' costantemente affermato dalla giurisprudenza di Codesta ecc.ma Corte, soprattutto nel caso in cui il legislatore statale intervenga in materie che incidono su aspetti connessi all'autonomia degli enti locali o su materie riservate alla potesta' legislativa regionale concorrente. Secondo l'insegnamento di Codesta ecc.ma il sindacato di legittimita' costituzionale di una norma non rifugge dal controllo sulla ragionevolezza della stessa in relazione alle finalita' perseguite (cfr. Corte cost., sent. n. 148 del 2009, c.d.i. 4.2), essendo ben possibile la verifica che le previsioni impugnate «non appaiano irragionevoli, ne' sproporzionate rispetto alle esigenze indicate» (Corte cost., sent. n. 326 del 2008) e che gli strumenti normativi rimessi allo scrutinio di legittimita' costituzionale appaiono «disposti in una relazione ragionevole e proporzionata rispetto agli obiettivi attesi» (Corte cost., sent. n. 452 del 2007 e le ivi citate sentt. n. 274 e n. 14 del 2004). In definitiva, come ribadito in altra occasione da Codesta ecc.ma Corte, «l'intervento del legislatore statale e' legittimo se contenuto entro i limiti dei canoni di adeguatezza e proporzionalita'» (Corte cost. n. 345 del 2004). Alla luce delle suesposte considerazioni e della giurisprudenza costituzionale evidente appare l'incongruenza, l'abnormita' e l'irragionevolezza delle disposizioni impugnate rispetto ai fini enunciati di riduzione dei costi di funzionamento delle province. 4. Illegittimita' dell'art. 23, commi 15, 16 e 20, del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito nella legge n. 214 del 2011, per violazione dell'art. 114 Cost. sotto il profilo della sfera di autonomia costituzionalmente garantita alle province, anche in riferimento agli artt. 1, 2, e 5 Cost. In via preliminare, occorre subito sottolineare quale sia l'impostazione sottesa al novellato Titolo V della Costituzione e quale sia, pertanto, la collocazione costituzionale delle province. In particolare, secondo quanto sancito dall'art. 114, comma 1, Cost., le province sono enti territoriali costitutivi della Repubblica, al pari dei comuni, delle citta' metropolitane, delle regioni e dello Stato. Il principio di equiordinazione che si deduce dal dettato costituzionale implica il superamento di qualsivoglia impostazione piramidale e la creazione di un sistema policentrico nel cui contesto gli enti territoriali - ivi comprese le province, dunque - sono soggetti dotati di eguale dignita' costituzionale, ferma naturalmente la differenziazione delle funzioni svolte da ognuno dei soggetti. L'art. 114, comma 2, completa e specifica il contenuto innovativo del comma 1, affermando che (anche) le province «sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo quanto previsto dalla Costituzione». Mentre, dunque, nel testo costituzionale previgente l'autonomia degli enti locali, pur costituzionalmente garantita, era tuttavia rimessa, per l'individuazione del suo concreto attuarsi, ad una legge generale della Repubblica (art. 128 Cost.), essa e' ora garantita direttamente dalla Carta. La Repubblica, nell'accezione benvenutiana di Stato-comunita', e' dunque articolata e costituita, oltre che dalle formazioni sociali riconosciute dall'art. 2 Cost., dalle comunita' regionali e locali riconosciute e garantite dalli art. 5 Cost. E tanto l'art. 2 Cost. quanto l'art. 5 implicitamente rinviano al principio cardine contenuto nell'art. 1 Cost., secondo il quale la sovranita' appartiene al popolo. A chiarire in maniere inequivoca il legame tra il principio di sovranita' di cui all'art. 1, il principio autonomistico, tutelato all'art. 5 Cost., e la nuova formulazione dell'art. 114 Cost., e' intervenuta la giurisprudenza di Codesta ecc.ma Corte che, nella sent. 106/2002, ha affermato che «Il nuovo Titolo V - con l'attribuzione alle regioni della potesta' di determinare la propria forma di governo, l'elevazione al rango costituzionale del diritto degli enti territoriali minori di darsi un proprio statuto, la clausola di residualita' a favore delle regioni, che ne ha potenziato la funzione di produzione legislativa, il rafforzamento della autonomia finanziaria regionale, l'abolizione dei controlli statali - ha disegnato di certo un nuovo modo d'essere del sistema delle autonomie. Tuttavia i significativi elementi di discontinuita' nelle relazioni tra Stato e regioni che sono stati in tal modo introdotti non hanno intaccato le idee sulla democrazia, sulla sovranita' popolare e sul principio autonomistico che erano presenti e attive sin dall'inizio dell'esperienza repubblicana. Semmai potrebbe dirsi che il nucleo centrale attorno al quale esse ruotavano abbia trovato oggi una positiva eco nella formulazione del nuovo art. 114 della Costituzione, nel quale gli enti territoriali autonomi sono collocati al fianco dello Stato come elementi costitutivi della Repubblica quasi a svelarne, in una formulazione sintetica, la comune derivazione dal principio democratico e dalla sovranita' popolare». Stante questo quadro di riferimento, l'impianto complessivo disegnato dall'art. 23, commi da 14 a 20 e, in particolare dai commi 15, 16 e 20, del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito nella legge n. 214 del 2011, si pone in chiaro contrasto con l'autonomia, costituzionalmente garantita, delle province, in aperta violazione dell'art. 114 della Costituzione. In primo luogo in quanto il legislatore statale ha inteso trasformare l'ente, sopprimendo le giunte provinciali (comma 15), prefigurando una rappresentanza di secondo grado dei futuri Consigli provinciali (comma 16) e la conseguente decadenza degli organi in carica delle province (comma 20), disconoscendo cosi' la natura di ente autonomo costitutivo della Repubblica cui spetta una sfera incomprimibile, se non mediante procedimento di revisione costituzionale, di poteri e di competenze. In questo senso, il comma 19, stabilendo che lo Stato e le regioni, secondo le rispettive competenze, provvedono al trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali per l'esercizio delle funzioni trasferite, palesemente si pone in contrasto con l'autonomia statutaria, organizzativa nonche' finanziaria delle province e con la riserva di potere regolamentare di cui all'art. 117, comma 6. Il principio autonomistico porta con se' il principio democratico; e pertanto, nell'esercizio della competenza legislativa esclusiva di cui all'art. 117, comma 2, lettera p), in materia di legislazione elettorale ed organi di governo di comuni e province, lo Stato non puo' incidere sul carattere democratico dell'ente territoriale. 5. Illegittimita' dell'art. 23, commi 14, 18 e 19, del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito nella legge n. 214 del 2011, per violazione degli art. 114, 117, 118 e 119 Cost. sotto il profilo del contrasto con la riserva costituzionale di funzioni a favore delle province, anche in relazione al necessario intervento legislativo regionale per la riallocazione delle funzioni amministrative e delle risorse finanziarie nelle materie di competenza regionale. 5.1. L'impugnato art. 23 risulta, altresi', gravemente illegittimo per violazione degli artt. 117, 118 e 119 Cost., sotto il profilo del contrasto con la riserva costituzionale di funzioni a favore delle province. Come si e' gia' avuto modo di osservare nella parte in «Fatto», il comma 14 dell'articolo censurato prevede espressamente che alla provincia spettano «esclusivamente» le funzioni di indirizzo e di coordinamento delle attivita' dei comuni nelle materie e nei limiti indicati dal legislatore statale o regionale di volta in volta competente. A norma del successivo comma 18, lo Stato e le regioni provvedono secondo le rispettive competenze in relazione alle residue funzioni, ad oggi conferite alle province, mediante trasferimento ai comuni ovvero acquisizione da parte delle regioni ove se ne renda necessario un esercizio unitario; a seguire il comma 19 disciplina il trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali per l'esercizio delle funzioni trasferite. Dall'esame delle disposizioni appena menzionate, non v'e' chi non veda come la limitazione delle funzioni provinciali alle sole attivita' di indirizzo e coordinamento nei confronti dei comuni - per lo piu' senza alcuna specificazione in ordine all'ampiezza e alla portata delle attivita' medesime - si traduce nella sostanziale spoliazione a danno delle province di funzioni che sono conferite alle stesse direttamente dalla Costituzione. A tal proposito, sia consentito rammentare come l'art. 114 Cost. sancisca chiaramente che le province - insieme a comuni, citta' metropolitane e regioni - sono «enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione». Tali principi vanno rinvenuti, in primo luogo, nel comma 6 dell'art. 117, a norma del quale viene riconosciuta alle province la potesta' regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite. Ancora, con precipuo riferimento alle competenze di' carattere amministrativo, l'art. 118, comma 2, Cost., prevede espressamente che le province sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze. In ultimo, dal punto di vista prettamente finanziario, le province dispongono di un'autonomia di entrata e di spesa, godendo di risorse - derivanti anche dall'imposizione ed applicazione di tributi ed entrate propri - che devono essere idonee a finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite (art. 119 Cost.). L'analisi delle disposizioni sopra menzionate palesa come le province appaiano titolari di un fascio di funzioni amministrative proprie (su cui esercitano potesta' regolamentare e per le quali godono di risorse finanziarie), la cui indefettibilita' e' sancita direttamente in Costituzione, pur nella necessita' della concreta individuazione da parte della legge. In particolare, come si desume agevolmente dalla formulazione del citato art. 118, comma 2, Cost., alla provincia spettano funzioni proprie, ossia ontologicamente connaturate all'autonomia costituzionale di tale ente, prima e a prescindere da quelle conferite dal legislatore statale ovvero regionale sulla base delle rispettive competenze. Cio', del resto, ha trovato una conferma espressa anche nell'ambito della giurisprudenza di Codesta ecc.ma Corte. In particolare, trovandosi a dover giudicare della legittimita' di una normativa regionale in materia di ordinamento delle autonomie locali e, in particolare, delle Province, il giudice costituzionale ha chiaramente riconosciuto la «esistenza di un nucleo di funzioni intimamente connesso al riconoscimento del principio di autonomia degli enti locali sancito dall'art. 5 Cost.» (Corte cost., sent. n. 238 del 2007, ripresa dalla successiva sent. n. 286 del 2007). Alla luce del quadro normativo e giurisprudenziale sopra evidenziato, emerge allora nitidamente come la drastica riduzione delle funzioni provinciali e la loro limitazione alle sole attivita' di indirizzo e coordinamento nei confronti dei comuni siano manifestamente incompatibili con le attribuzioni spettante alle province, cosi come delineata dalla Costituzione. L'intervento normativo censurato, infatti, impinge illegittimamente nella sfera di autonomia provinciale, in palese violazione delle previsioni di cui agli artt. 117, 118 e 119 Cost. Anche sotto tale profilo, l'impugnato art. 23 appare palesemente incostituzionale. Del resto, l'invocazione dell'art. 117, comma 2, lett. p), (ai sensi del quale spetta allo Stato l'individuazione di organi di governo e funzioni fondamentali di comuni, province e citta' metropolitane) al fine di dare copertura alle norme qui impugnate determinerebbe una vera e propria eterogenesi dei fini della norma stessa, la cui ratio non puo' che essere rinvenuta nella garanzia dell'assetto autonomistico che la riforma del Titolo V della Costituzione ha reso vivo ed effettivo. 5.2. Sotto diverso profilo, l'articolo oggetto della presente questione di costituzionalita' risulta illegittimo anche in relazione alla violazione del riparto di competenze tra Stato e regioni in ordine al conferimento delle funzioni amministrative, laddove impone a queste ultime la necessaria riallocazione delle funzioni che la vigente legislazione regionale conferisce oggi alle Province. Tale necessaria riallocazione appare tanto piu' arbitraria, ingiustificata e illegittima ove si pensi che gli effetti dell'art. 23 qui impugnato non determinano la soppressione assoluta delle province, le quali, ancorche' depotenziate e defunzionalizzate, continuano comunque ad essere presenti nell'ordinamento, seppur con una configurazione profondamente alterata. E allora: se le province continuano ad essere esistenti, perche' le regioni non possono autonomamente decidere se attribuire ad esse funzioni regionali? In tal senso, sia consentito ribadire nuovamente che e' lo stesso art. 118 Cost. a riconoscere in capo alle regioni il potere di conferire l'esercizio delle funzioni di propria competenza agli enti locali ritenuti piu' idonei ad esercitarle sulla base dei principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza. Del resto, ad escludere l'illegittimita' dell'intervento normativo censurato non potrebbe certo invocarsi la competenza esclusiva statale ex art. 117, comma 2, lettera p), Cost., relativa a «legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di comuni, province e citta' metropolitane». Codesta ecc.ma Corte ha, infatti, da tempo chiarito che il suddetto titolo competenziale deve intendersi rivolto al contesto oggettivo tassativamente interessato, che si sostanzia esclusivamente nella disciplina del sistema elettorale, della forma di Governo e delle sole funzioni fondamentali di detti enti. Peraltro, e' opportuno osservare che, nell'interpretare il rapporto tra le rinnovate potesta' legislative regionali risultanti dall'art. 117, come riformato dalla legge cost. n. 3/2001 e l'art. 118 Cost., il giudice costituzionale ha chiaramente affermato che «quale che debba ritenersi il rapporto fra le "funzioni fondamentali" degli enti locali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera p), e le "funzioni proprie" di cui a detto articolo 118, secondo comma, sta di fatto che sara' sempre la legge, statale o regionale, in relazione al riparto delle competenze legislative, a operare la concreta collocazione delle funzioni» (Corte cost., sent. n. 43 del 2004). Pertanto, alla luce dei principi desumibili dalla richiamata giurisprudenza, non e' revocabile in dubbio come la competenza della regione in materia di disciplina dell'esercizio delle funzioni amministrative sussista ogni qualvolta le funzioni stesse interessino ambiti materiali di diretta pertinenza regionale (esclusiva o concorrente). Orbene, con riferimento al caso di specie, e' evidente come il comma 18 dell'articolo censurato, nel prevedere che entro il 31 dicembre 2012 il legislatore regionale, per quanto di propria spettanza, trasferisce ai comuni le funzioni conferite dalla normativa vigente alle province, si traduce in un'illegittima invasione delle attribuzioni delle regioni, nella misura in cui viene a limitare la loro autonomia in merito alla determinazione del livello territoriale di Governo piu' idoneo all'esercizio di funzioni di loro competenza. Tale invasione si rivela tanto piu' grave e manifesta se solo si considera che - come si vedra' meglio infra - la disposizione interessata prevede espressamente l'esercizio di un potere sostitutivo statale - per giunta di carattere legislativo - in caso di eventuale mancata riallocazione delle funzioni predette da parte della legge regionale. Ad ulteriore riprova della manifesta illegittimita' delle previsioni censurate, deve osservarsi come le stesse non si preoccupino minimamente di definire cosa debba intendersi per «funzioni di indirizzo e di coordinamento» delle attivita' comunali, senza che, pertanto, possano individuarsi con certezza le funzioni residue oggetto di riallocazione da parte di Stato e regioni sulla base delle rispettive competenze. Alla luce di quanto sopra osservato, non pare revocabile in dubbio il grave vulnus arrecato dalle disposizioni impugnate alla sfera di competenze regionali. Anche sotto tale profilo, pertanto, si impone la declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 23. 6. Illegittimita' dell'art. 23, commi 14, 18 e 19, del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito nella legge n. 214 del 2011, per violazione dell'art. 120, comma 2, Cost. nella parte In cui introduce una fattispecie di potere sostitutivo in assenza dei presupposti costituzionalmente previsti, nonche' per violazione del principio di leale collaborazione. L'art. 23, al suo comma 18, secondo capoverso, prevede che «in caso di mancato trasferimento delle funzioni da parte delle regioni entro il 31 dicembre 2012, si provvede in via sostitutiva, ai sensi dell'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, con legge dello Stato». Si tratta quindi della previsione di una fattispecie di potere sostitutivo esercitato dal Governo nei confronti della regione che, alla data indicata del 31 dicembre 2012, non abbia provveduto al richiesto trasferimento delle funzioni finora svolte dalle province. Il comma descrive un intervento sostitutivo dello Stato nei confronti della regione a) che dovrebbe attivarsi in mancanza della legge regionale di riallocazione ai comuni delle funzioni conferite dalla normativa vigente alle province, b) attuato con «legge dello Stato». Orbene, tali previsioni contrastano con l'art. 120 comma 2, Cost., ponendosi al di fuori dei casi in esso previsti. La norma costituzionale infatti («Il Governo puo' sostituirsi a organi delle regioni, delle citta' metropolitane, delle province e dei comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l'incolumita' e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unita' giuridica o dell'unita' economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarieta' e del principio di' leale collaborazione») individua, quali ipotesi idonee a giustificare un intervento sostitutivo del Governo: il mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria; il pericolo grave per l'incolumita' e la sicurezza pubblica; il caso in cui l'attivita' sostitutiva e' richiesta dalla tutela dell'unita' giuridica o dell'unita' economica, con una particolare ed espressa previsione del caso in cui l'intervento sia richiesto al fine di tutelare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La norma impugnata amplia il numero tassativo dei casi in cui la Costituzione autorizza il governo all'esercizio di attivita' sostitutiva nei confronti delle regioni, estendendo illegittimamente la portata della disposizione costituzionale. In primo luogo va precisato che la giurisprudenza di Codesta ecc.ma Corte ha affermato, con riguardo alle clausole dell'unita' giuridica e dell'unita' economica, che «si tratta all'evidenza del richiamo ad interessi "naturalmente" facenti capo allo Stato, come ultimo responsabile del mantenimento della unita' e indivisibilita' della Repubblica garantita dall'art. 5 della Costituzione» (Corte cost., sent. n. 43 del 2004). Tuttavia, nella medesima pronuncia, tratteggiando i caratteri essenziali del potere sostitutivo previsto dall'art. 120 Cost., ha precisato che, se e' vero che la norma tende ad assicurare «comunque, in un sistema di piu' largo decentramento di funzioni quale quello delineato dalla riforma, la possibilita' di tutelare, anche al di la' degli specifici ambiti delle materie coinvolte e del riparto costituzionale delle attribuzioni amministrative, taluni interessi essenziali (...) che il sistema costituzionale attribuisce alla responsabilita' dello Stato», certamente gli interventi governativi da essa previsti hanno «carattere straordinario e aggiuntivo» come risulta, tra l'altro «dal fatto che esso allude a emergenze istituzionali di particolare gravita', che comportano rischi di compromissione relativi ad interessi essenziali della Repubblica» (Corte cost. n. 43 del 2004). Orbene, alla stregua delle impugnate disposizioni, un tema dalle evidenti connotazioni costituzionali, che incide sull'architettura del sistema delle autonomie locali, viene disciplinato mediante decreto legge e attuato ricorrendo alla «minaccia» dell'esercizio di un improprio potere sostitutivo. Codesta ecc.ma Corte ha richiamato condizioni e limiti dell'esercizio dei poteri sostitutivi dello Stato nei confronti delle Regioni (ritenendo peraltro gli stessi validi in senso generale, e quindi anche con riferimento a meccanismi sostitutivi previsti da legge regionale in caso di inadempimento dei comuni nell'esercizio di funzioni amministrative proprie), precisando, tra l'altro, che: «le ipotesi di esercizio di poteri sostitutivi debbono essere previste e disciplinate dalla legge (cfr. sentenza n. 338 del 1989), che deve definirne i' presupposti sostanziali e procedurali. In secondo luogo, la sostituzione puo' prevedersi esclusivamente per il compimento di atti o di attivita' «prive di discrezionalita' nell'an (anche se non necessariamente nel quid o nel quomodo) «(sentenza n. 177 del 1988), la cui obbligatorieta' sia il riflesso degli interessi unitari alla cui salvaguardia provvede l'intervento sostitutivo: e cio' affinche' essa non contraddica l'attribuzione della funzione amministrativa all'ente locale sostituito» (Corte cost. n. 43 del 2004). Ha inoltre ribadito l'inderogabile necessita' che la legge appresti «congrue garanzie procedimentali per l'esercizio del potere sostitutivo, in conformita' al principio di leale collaborazione (cfr. ancora sentenza n. 177 del 1988), non a caso espressamente richiamato anche dall'articolo 120, secondo comma, ultimo periodo, della Costituzione a proposito del potere sostitutivo «straordinario» del Governo, ma operante piu' in generale nei rapporti fra enti dotati di autonomia costituzionalmente garantita. Dovra' dunque prevedersi un procedimento nel quale l'ente sostituito sia comunque messo in grado di evitare la sostituzione attraverso l'autonomo adempimento, e di interloquire nello stesso procedimento (cfr. sentenze n. 153 del 1986, n. 416 del 1995; ordinanza n. 53 del 2003)» (Corte cost. n. 43 del 2004). Come si e' visto, dunque, la giurisprudenza di Codesta ecc.ma Corte in tema di esercizio del potere sostitutivo nei confronti delle regioni e della connessa nomina di commissario ad acta da parte del Governo, ha sempre ribadito che la disciplina delle ipotesi di surrogazione statale nei confronti degli enti territoriali deve assicurare a questi ultimi idonee garanzie partecipative, in coerenza con il fondamentale principio di leale collaborazione che deve sempre informare i rapporti tra due distinti enti costituzionalmente autonomi (in tal senso, ex multis, Corte cost., senti. n. 2 del 2010, n. 383 del 2005 e n. 240 del 2004). Con riferimento alla disposizione oggetto del presente giudizio di costituzionalita', nessuna garanzia e' stata prevista a tutela dell'autonomia regionale costituzionalmente prevista dal momento che, all'attivazione del potere sostitutivo, non viene garantito alcun coinvolgimento della regione. L'art. 23, comma 18, inoltre fa riferimento all'esercizio dei poteri sostitutivi, di cui all'art. 8 della legge n. 131 del 2003, ricorrendo a «legge dello Stato». La previsione determina una palese violazione delle norme costituzionali che presiedono al riparto costituzionale delle competenze legislative, prevedendo una legge che disciplina la materia di competenza regionale relativa alle funzioni degli enti locali. A tal riguardo, si ricorda che, con la sentenza n. 361 del 2010, Codesta ecc.ma Corte, nel diverso caso relativo ad un atto, approvato dal Presidente della Giunta regionale nella sua qualita' di commissario governativo ad acta, denominato legge regionale, ma privo dei necessari requisiti previsti dalla Costituzione per poter essere ritenuto atto legislativo, ha in primo luogo precisato che: «la disciplina contenuta nel secondo comma dell'art. 120 Cost. non puo' essere interpretata come implicitamente legittimante il conferimento di poteri di tipo legislativo ad un soggetto che sia stato nominato Commissario del Governo». Ha inoltre affermato, pur se in via dubitativa e senza esprimersi sulla legittimita' di una tale ricostruzione, che una interpretazione dell'art. 120, comma 2, Cost. tesa a «legittimare il potere del Governo di adottare atti con forza di legge in sostituzione di leggi regionali . tramite l'esercizio in via temporanea dei propri poteri di cui all'art. 77 Cost.» costituisce, in ogni caso, deroga eccezionale «al riparto costituzionale delle competenze legislative fra Stato e regioni» (Corte cost., n. 361 del 2010). Deve tuttavia aggiungersi come, con ogni evidenza, la decretazione d'urgenza, sottesa all'esercizio di poteri normativi da parte del Governo, non sembra potersi contemperare con il principio di leale collaborazione, nell'esercizio dei poteri sostitutivi, imposto dall'art. 120 della Costituzione.
P. Q. M. Chiede che Codesta ecc.ma Corte, in accoglimento del presente ricorso, voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 23, commi 14, 15, 16, 18, 19 e 20 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni con legge 22 dicembre 2011, n. 214, recante «Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici» per violazione degli articoli 1, 2, 5, 114, 117, 118, 119, 120, comma 2, della Costituzione. Napoli - Roma, 25 febbraio 2012 Prof. avv. Caravita di Toritto - Avv. D'Elia