N. 46 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 2 marzo 2012

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 2 marzo 2012 (della Regione Campania). 
 
Enti locali - Riduzione dei costi di funzionamento delle  Province  -
  Modificazione, a tal fine,  dell'assetto  delle  funzioni  e  degli
  organi di governo dell'ente Provincia - Limitazione delle  funzioni
  provinciali a quelle di indirizzo e coordinamento  delle  attivita'
  dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale  o
  regionale - Trasferimento con legge statale o regionale  ai  Comuni
  delle altre funzioni provinciali, ovvero acquisizione delle  stesse
  da parte delle Regioni sulla base dei principi  di  sussidiarieta',
  differenziazione e adeguatezza -  Previsto  intervento  sostitutivo
  dello Stato in caso di  mancata  riallocazione  delle  funzioni  da
  parte delle Regioni entro il  31  dicembre  2012  -  Obbligo  delle
  Regioni di trasferire le risorse umane, finanziarie  e  strumentali
  per l'esercizio delle funzioni trasferite - Ricorso  della  Regione
  Campania - Denunciata lesione della  sfera  di  attribuzioni  delle
  Province  nonche'  delle  competenze  regionali  -  Violazione  del
  principio di ragionevolezza, sotto il profilo della  arbitrarieta',
  incongruita',  non  pertinenza,  irragionevolezza   dell'intervento
  legislativo - Carenza di valutazione in ordine alla  compatibilita'
  costituzionale, alla  dimensione  effettiva  e  alla  funzionalita'
  della  disposta  trasformazione  -  Irragionevole  utilizzo   della
  decretazione d'urgenza - Difetto di proporzionalita' e  adeguatezza
  rispetto all'enunciato fine di riduzione dei costi di funzionamento
  del sistema. 
- Decreto-legge  6   dicembre   2011,   n.   201,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 23, commi
  14, 18 e 19. 
- Costituzione, artt. 1 e 5. 
Enti locali - Riduzione dei costi di funzionamento delle  Province  -
  Modificazione, a tal fine,  dell'assetto  delle  funzioni  e  degli
  organi di governo dell'ente Provincia - Soppressione  della  Giunta
  provinciale - Prefigurazione dei futuri Consigli  provinciali  come
  organi  rappresentativi  di  secondo  grado  -   Previsione   della
  decadenza degli organi in carica delle  Province  -  Ricorso  della
  Regione   Campania   -   Denunciata   violazione   del    principio
  autonomistico (collegato a quello di  sovranita'  popolare)  e  del
  carattere  democratico  dell'ente  territoriale  -  Disconoscimento
  della  sfera  di  autonomia  costituzionalmente   attribuita   alla
  Provincia quale ente costitutivo della Repubblica -  Contrasto  con
  l'autonomia statutaria, organizzativa e finanziaria delle  Province
  e con la riserva ad esse di potere regolamentare. 
- Decreto-legge  6   dicembre   2011,   n.   201,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 23, commi
  15, 16 e 20. 
- Costituzione, artt. 1, 2, 5 e 114. 
Enti locali - Riduzione dei costi di funzionamento delle  Province  -
  Modificazione, a tal fine,  dell'assetto  delle  funzioni  e  degli
  organi di governo dell'ente Provincia - Limitazione delle  funzioni
  provinciali a quelle di indirizzo e coordinamento  delle  attivita'
  dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale  o
  regionale - Trasferimento con legge statale o regionale  ai  Comuni
  delle altre funzioni provinciali, ovvero acquisizione delle  stesse
  da parte delle Regioni sulla base dei principi  di  sussidiarieta',
  differenziazione e adeguatezza -  Previsto  intervento  sostitutivo
  dello Stato in caso di  mancata  riallocazione  delle  funzioni  da
  parte delle Regioni entro il  31  dicembre  2012  -  Obbligo  delle
  Regioni di trasferire le risorse umane, finanziarie  e  strumentali
  per l'esercizio delle funzioni trasferite - Ricorso  della  Regione
  Campania - Denunciato contrasto con la  riserva  costituzionale  di
  funzioni a  favore  delle  Province  -  Violazione  della  potesta'
  regolamentare ad esse spettante in  ordine  alla  organizzazione  e
  allo svolgimento delle funzioni loro attribuite  -  Violazione  del
  riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni relativamente
  all'allocazione di funzioni amministrative  e  risorse  finanziarie
  agli enti locali. 
- Decreto-legge  6   dicembre   2011,   n.   201,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 23, commi
  14, 18 e 19. 
- Costituzione, artt. 114, 117, 118 e 119. 
Enti locali - Riduzione dei costi di funzionamento delle  Province  -
  Modificazione, a tal fine,  dell'assetto  delle  funzioni  e  degli
  organi di governo dell'ente Provincia  -  Trasferimento  con  legge
  statale o regionale ai Comuni delle funzioni provinciali diverse da
  quelle di indirizzo  e  coordinamento,  ovvero  acquisizione  delle
  stesse  da  parte  delle  Regioni  sulla  base  dei   principi   di
  sussidiarieta',   differenziazione   e   adeguatezza   -   Previsto
  intervento sostitutivo, mediante legge  dello  Stato,  in  caso  di
  mancata riallocazione delle funzioni da parte delle  Regioni  entro
  il 31 dicembre 2012 - Ricorso della Regione Campania  -  Denunciata
  introduzione di una fattispecie di potere  statale  sostitutivo  in
  assenza dei presupposti costituzionalmente  previsti  -  Violazione
  del principio di leale collaborazione. 
- Decreto-legge  6   dicembre   2011,   n.   201,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 23, commi
  14, 18 [secondo capoverso] e 19. 
- Costituzione, art. 120, comma secondo. 
(GU n.16 del 18-4-2012 )
    Ricorso della Regione Campania (c.f. 80011990636), in persona del
Presidente della Giunta regionale  pro  tempore,  on.  dott.  Stefano
Caldoro, rappresentata e difesa, ai sensi della delibera della Giunta
regionale n. 43 dei 22 febbraio 2012, giusta procura  a  margine  del
presente atto, unitamente e disgiuntamente,  dall'avv.  Maria  D'Elia
(c.f. DLEMRA53H42F839H), dell'Avvocatura regionale, e dal prof.  avv.
Beniamino Caravita di Toritto  (c.f.  CRVBMN54D19H501A),  del  libero
foro, ed elettivamente domiciliata presso l'ufficio di rappresentanza
della Regione Campania sito in  Roma  alla  Via  Poli,  n.  29  (fax:
06/42001646; pec abilitata: cdta@legalmail.it); 
    Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro  tempore  per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale  dell'articolo  23,
commi 14, 15, 16, 18, 19 e 20 del decreto-legge 6 dicembre  2011,  n.
201, convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011,  n.
214,  avente  ad  oggetto  «Disposizioni  urgenti  per  la  crescita,
l'equita' e il consolidamento  dei  conti  pubblici,  pubblicata  nel
supplemento ordinario n. 276/L alla Gazzetta Ufficiale n. 300 del  27
dicembre 2011 - Serie generale, per violazione degli articoli  1,  2,
5, 114, 117, 118, 119, 120, comma 2, della Costituzione. 
 
                                Fatto 
 
    Con il decreto-legge n. 201/2011 il  Governo  ha  approntato  una
serie di misure volte essenzialmente a contenere la  spesa  pubblica,
nell'intento di porre le premesse per la stabilizzazione  finanziaria
ed al fine di risanare i conti pubblici del Paese, anche in relazione
alla difficile situazione di  crisi  economica  internazionale  e  di
instabilita' dei mercati e con l'obiettivo di rispettare gli  impegni
assunti in sede di Unione europea. Il decreto-legge  n.  201/2011  si
presenta come un provvedimento assai articolato,  che  consta  di  un
totale di 50 articoli, ripartiti  in  quattro  titoli.  Il  Titolo  I
contiene norme per lo sviluppo e l'equita'; il Titolo III occupa  del
rafforzamento del sistema finanziario nazionale e internazionale;  il
Titolo III (a sua  volta  articolato  nei  Capi  I-VIII)  tratta  del
consolidamento dei conti pubblici; il  Titolo  IV  contiene,  infine,
disposizioni per la promozione e la tutela della concorrenza. 
    L'art. 23 e' ricompreso nel Capo III del  Titolo  III,  rubricato
«Riduzioni  di  spesa.  Costi  degli  apparati»,  e   tratta,   nello
specifico, della riduzione dei costi di funzionamento delle Autorita'
di Governo, del CNEL, delle Autorita' indipendenti e delle  province;
i commi  da  14  a  20-bis,  in  particolare,  ridisegnano  l'assetto
dell'ente   provincia    all'interno    dell'ordinamento    italiano,
intervenendo tanto  sotto  il  profilo  funzionale  quanto  sotto  il
profilo degli di organi di governo. 
    Nel dettaglio, i  commi  14,  18  e  19  affrontano  la  tematica
inerente le  funzioni  provinciali,  stabilendo  che  «spettano  alla
provincia  esclusivamente  le  funzioni  di  indirizzo   (l'aggettivo
"politico", presente nel testo originano, e' stato eliminato in  sede
di conversione del decreto-legge) e di coordinamento delle  attivita'
dei comuni nelle materie e nei limiti indicati con  legge  statale  o
regionale, secondo le rispettive competenze» (comma 14). Le  funzioni
conferite dalla normativa vigente alle province, a  norma  del  comma
18, dovranno essere trasferite, con legge statale o regionale in base
alle rispettive competenze, ai comuni  entro  il  31  dicembre  2012,
salvo che, per assicurarne  l'esercizio  unitario,  le  stesse  siano
acquisite dalle regioni, sulla base dei principi  di  sussidiarieta',
differenziazione ed adeguatezza. In caso di mancato trasferimento  da
parte delle regioni, lo Stato  provvedera'  in  via  sostitutiva,  ai
sensi dell'art. 8 della legge n. 131/2003, con legge dello Stato.  Ai
sensi del comma  19,  lo  Stato  e  le  regioni  dovranno  provvedere
altresi'  al  trasferimento  delle  risorse  umane,   finanziarie   e
strumentali per l'esercizio delle funzioni. I commi 15, 16, 17  e  20
intervengono sugli organi di governo delle  province,  individuandoli
esclusivamente  nel  Presidente  della  provincia  e  nel   Consiglio
provinciale, con eliminazione dunque della  Giunta  regionale  (comma
15). Ne viene poi precisata  la  durata  in  carica  in  5  anni.  Il
Consiglio provinciale sara' composto da non piu' di dieci  componenti
eletti dagli organi elettivi  dei  Comuni  ricadenti  nel  territorio
della provincia e, in  base  a  quanto  statuito  nel  comma  16,  le
modalita' di elezione, e dunque i  criteri  di  elettorato  attivo  e
passivo, saranno stabilite con legge dello Stato da  approvare  entro
il 31 dicembre 2012 (nella stessa legge verra'  anche  stabilito  con
quali modalita' il Consiglio provinciale provvedera' ad  eleggere  al
proprio interno il presidente, comma 17). Per quelle  amministrazioni
i cui organi elettivi scadono prima della fine di dicembre  2012,  il
comma 20 stabilisce che si  applichi,  fino  al  31  marzo  2013,  la
previsione di cui all'art. 141 del decreto  legislativo  n.  267  del
2000 (Scioglimento e sospensione dei consigli comunali e provinciali)
(comma 20). Le regioni a statuto speciale dovranno adeguare i  propri
statuti alle previsioni di cui al decreto entro 6  mesi  dall'entrata
in vigore, con  l'eccezione  della  Province  autonome  di  Trento  e
Bolzano (comma 20-bis). 
    Le richiamate disposizioni del decreto-legge  n.  201  del  2011,
come convertite con legge  n.  214  del  2011,  risultano  gravemente
lesive delle prerogative  delle  autonomie  locali  e  della  Regione
Campania,   in   quanto   viziati   da    manifesta    illegittimita'
costituzionale per i seguenti motivi di 
 
                               Diritto 
 
1.   Premessa:   ruolo   e   collocazione   storico-istituzionale   e
costituzionale delle province nell'ordinamento italiano premessa. 
    Il tema della soppressione delle  province,  o  quanto  meno  del
ridimensionamento del loro ruolo nell'ordinamento  italiano,  non  e'
certamente  nuovo.  Tutt'altro.  Il   destino   di   ente   discusso,
perennemente «morituro», ma sempre rimasto in vita, e' stato  segnato
fin  dalla  nascita  della  Repubblica,  quando  la  commissione  dei
settantacinque si espresse nel  senso  del  non  riconoscimento  alla
provincia della natura  di  ente  autonomo,  ed  immediatamente  dopo
l'assemblea  in  sede  plenaria  modifico'  tale  orientamento  e  si
espresse nel senso del mantenimento dell'ente nel novero dei soggetti
autonomi  elencati  in  quello  che   diverra'   l'art.   114   della
Costituzione. 
    Anche negli anni successivi - e fino ad oggi -  la  provincia  e'
stata fatta oggetto di proposte di eliminazione  mai  concretizzatesi
in un iter legislativo compiuto. La «resistenza» dimostrata dall'ente
di area vasta ai tentativi esperiti di ridimensionamento o persino di
soppressione deve evidentemente trovare una spiegazione che non  puo'
essere semplicisticamente ricondotta a dinamiche contingenti o ad una
generica predilezione  per  il  mantenimento  dello  status  quo.  E'
piuttosto nel collocamento storico-istituzionale e nel ruolo  che  la
provincia e' andata assumendo nel corso dei 150 anni di vita unitaria
del Paese che debbono rintracciarsi le  motivazioni  vere  della  sua
persistente esistenza nell'ordinamento italiano. 
    Ereditata dal sistema francese, transitata per il  tramite  della
legislazione piemontese nell'ordinamento del Regno  d'Italia  con  la
legge  sull'unificazione  amministrativa  del  1865,   la   provincia
costituisce da sempre il livello di governo intermedio tra i comuni e
lo Stato centrale. Cardine dell'organizzazione statale periferica fin
dalla nascita dello Stato italiano, nella  storia  unitaria  l'ambito
territoriale provinciale ha sempre rappresentato, per tale motivo, il
riferimento per la vita economica, sociale e politica del  Paese,  in
una sostanziale continuita'  che  non  e'  stata  interrotta  neppure
dall'istituzione delle regioni, le quali non hanno scalfito la  forza
attrattiva del  livello  provinciale  sull'organizzazione  periferica
statale. 
    Sulla  falsariga  dell'amministrazione  statale,  si  sono  cosi'
strutturati  su  base  provinciale  le  Camere   di   commercio,   le
associazioni sindacali,  le  associazioni  sportive  e  culturali,  i
partiti  politici.  Le  stesse  regioni  adottano  ormai  il  livello
territoriale  provinciale  come  base  della  propria  organizzazione
decentrata.  E  anche  la  legislazione   statale   in   materia   di
organizzazione territoriale dei servizi  spinge  per  l'adozione  del
livello  geografico  provinciale.  Basti,  al  riguardo,   ricordare,
infatti, che gia' l'art. 2, comma 38, della  Legge  Finanziaria  2008
(Legge 24 dicembre 2007 n. 244) valuta «prioritariamente» le province
quale ambito  territoriale  ottimale  ai  fini  dell'attribuzione  di
funzioni in materia di rifiuti e gestione delle risorse idriche. 
    «Le province, create per  gli  interessi  del  governo  centrale,
hanno finito per assumere una propria fisionomia, anche  come  gruppi
territoriali sociali. Anche se  esse  esistono  in  virtu'  di  fatti
storici artificiali e' peraltro vero che anche il  fatto  artificiale
ha finito col creare delle  conseguenze  che  non  sono  artificiali»
(M.S. Giannini). 
    Anche in virtu' di questo indiscusso ed indiscutibile  ruolo  nel
sistema Paese, all'ente provincia la Carta del 1948 ha riconosciuto -
accanto alla definizione di circoscrizione di decentramento statale e
regionale di cui all'art. 129 Cost. -  anche  la  qualifica  di  ente
autonomo, al pari del comune e delle regioni. 
    Con  la  esplicitazione  del   principio   dell'autonomia   delle
collettivita'  locali  contenuto  all'art.  5,  la  Costituzione   ha
riconosciuto a tale principio un ruolo caratterizzante l'ordinamento,
attribuendo agli enti territoriali, quanto meno in via di  principio,
non solamente un ruolo di mero strumento di  organizzazione  statale.
La collocazione  di  tale  principio  nella  prima  parte  del  testo
costituzionale - collocazione  che,  e'  bene  ricordarlo,  e'  stata
decisa  solamente  nella  fase  finale  dei   lavori   dell'assemblea
costituente, poiche' l'articolo nasceva invece come uno di quelli  da
porre nella parte dedicata alle autonomie locali - implica  che  esso
fa parte di quei principi fondamentali dell'ordinamento che connotano
la forma di Stato e che pertanto la  sua  eliminazione  non  sarebbe,
secondo   alcuni,   nella   disponibilita'   neppure   del   revisore
costituzionale. 
    E' nel Titolo V della Carta che  l'art.  5  trova  la  sua  piena
esplicazione.  Gli  enti  di  cui  all'art.  114  (anche  nel   testo
originario)  sono  evidentemente  espressione  di  quella   autonomia
riconosciuta  e  tutelata  dall'art.  5;  a  dimostrarlo  contribuiva
peraltro  la  presenza  della  congiunzione  «anche»  nel  testo  del
soppresso art.  129  Cost.:  «Le  province  e  i  comuni  sono  anche
circoscrizioni di decentramento statale e regionale». Anche,  ma  non
solo. 
    Il ruolo e la rilevanza costituzionale dell'ente provincia,  gia'
chiaro nel testo costituzionale del 1948, ha assunto evidentemente un
significato ancor piu' pregnante a  seguito  dell'entrata  in  vigore
della legge costituzionale n. 3/2001. 
    Cio' che emerge  dall'impianto  del  Titolo  V  novellato  e'  un
sistema istituzionale su piu' livelli, «costituito da una  pluralita'
di    ordinamenti    giuridici    integrati,    che     interagiscono
reciprocamente». In questo sistema interistituzionale «a rete», tutti
i livelli di governo godono di un'autonomia organizzativa,  normativa
e politica che non e' piu' solamente prevista nella legge  ordinaria,
ma viene definitivamente sancita in Costituzione. 
    Se dunque, prima  del  2001  alla  provincia  poteva  attribuirsi
ancora la sola qualifica di «ente costituzionalmente rilevante», oggi
la provincia e' senza dubbio «ente costituzionale». 
2. Circa la  legittimazione  della  Regione  Campania  a  far  valere
l'illegittimita' dell'art. 23, commi 14, 15, 16, 18, 19 e 20, per  la
lesione della sfera di autonomia e di attribuzioni costituzionalmente
riservata alle province. 
    In via ulteriormente preliminare, per quanto occorrer  possa,  la
Regione  Campania  intende   brevemente   soffermarsi   sulla   piena
sussistenza della propria legittimazione ad  impugnare  il  censurato
art. 23 del decreto-legge n. 201/2011, convertito  con  modificazioni
dalla legge n. 214/2011, anche nella parte in cui  tale  impugnazione
e' volta  a  denunciare  la  grave  lesione  dell'autonomia  e  delle
prerogative che la Costituzione attribuisce alle province campane. 
    In  ragione  della  preclusione  agli  enti  locali  di  proporre
direttamente ricorso alla Corte costituzionale per l'invasione  delle
proprie competenze, si e' tradizionalmente proposto  che  le  Regioni
potessero  fare  portatrici  delle  doglianze  lamentate  dagli  enti
territoriali autonomi presenti nel territorio regionale. 
    Tale conclusione ha trovato esplicita  conferma  nella  legge  n.
131/2003,  mediante   la   quale   il   legislatore   ha   provveduto
all'adeguamento  dell'ordinamento  della  Repubblica  alle   profonde
modifiche apportate  dalla  legge  Cost.  n.  3/2001  al  sistema  di
relazioni tra Stato ed autonomie territoriali. In particolare, l'art.
9 di tale legge, nel modificare l'art. 32 della legge n. 87/1953,  ha
previsto espressamente  che  la  sollevazione  di  una  questioni  di
legittimita' costituzionale di disposizioni  statali  possa  avvenire
«anche su proposta del consiglio delle autonomie locali». 
    Tuttavia, a ben vedere, ove il consiglio delle  autonomie  locali
non sia ancora istituito, del pari,  non  e'  possibile  revocare  in
dubbio la sussistenza della legittimazione della regione ad impugnare
la norma de qua. 
    La giurisprudenza di Codesta ecc.ma Corte, infatti, ha avuto modo
di precisare come la proposizione di  un  ricorso  da  parte  di  una
regione nell'interesse  degli  enti  locali  ricompresi  nel  proprio
territorio non e' necessariamente subordinata alla condizione che  la
lesione   delle   prerogative   di   questi   ultimi   riverberi   in
un'illegittima invasione dell'autonomia regionale  costituzionalmente
garantita. 
    In tal senso si e' pronunciata, in maniera chiara, la sentenza n.
298 del 2009. In tale occasione, infatti, il  giudice  costituzionale
ha ritenuto infondata  l'eccezione  mediante  la  quale  l'Avvocatura
statale affermava che la regione  non  fosse  legittimata  ad  agire,
facendo la stessa valere un pregiudizio dei comuni  che  non  incide,
neppure  indirettamente,  sulla   sfera   di   potesta'   legislativa
regionale. 
    Nel rigettare la suddetta ricostruzione erariale, Codesta  ecc.ma
Corte ha osservato: «le regioni  sono  legittimate  a  denunciare  la
legge statale anche per la  lesione  delle  attribuzioni  degli  enti
locali, indipendentemente dalla prospettazione della violazione della
competenza legislativa regionale.  Questa  Corte,  infatti,  ha  piu'
volte affermato il principio che la suddetta legittimazione  sussiste
in  capo  alle  regioni,  in  quanto  «la  stretta  connessione,   in
particolare [...] in tema di  finanza  regionale  e  locale,  tra  le
attribuzioni regionali e quelle delle autonomie  locali  consente  di
ritenere che la lesione delle competenze  locali  sia  potenzialmente
idonea a determinare una  vulnerazione  delle  competenze  regionali»
(sentenze n. 169 e n. 95 del 2007, n. 417  del  2005  e  n.  196  del
2004). Tale giurisprudenza si riferisce, in modo evidente, a tutte le
attribuzioni costituzionali delle  regioni  e  degli  enti  locali  e
prescinde, percio', dal titolo di competenza  legislativa  esclusivo,
concorrente o residuale eventualmente invocabile  nella  fattispecie.
Essa, in particolare, non richiede. Quale condizione  necessaria  per
la denuncia da parte della regione  di  un  vuinus  delle  competenze
locali, che sia dedotta la violazione delle attribuzioni  legislative
regionali. 
    Orbene, alla luce del quadro normativo e giurisprudenziale  sopra
richiamato, emerge in maniera evidente come la Regione  Campania  sia
pienamente  titolare  della  legittimazione  ad  agire  nel  presente
giudizio di costituzionalita'. 
    In realta',  come  si  vedra'  esplicitamente  piu'  avanti  (sub
paragrafo 5),  la  proposta  revisione  dell'ordinamento  provinciale
incide direttamente sulle competenze regionali, giacche' costringe la
regione a riorganizzare -  per  il  tramite  della  propria  potesta'
legislativa  -  l'esercizio  delle  funzioni  amministrative   e   la
distribuzione delle risorse finanziarie nelle materie  di  competenza
regionale: con diretta violazione degli articoli 117, 118 e 119 Cost.
Questo vale anche per quanto riguarda  la  violazione  dell'art.  120
Cost. attraverso la  illegittima  previsione  di  un  anomalo  potere
sostitutivo  nei  confronti  della  regione,   non   previsto   dalla
Costituzione. 
    Di conseguenza, ogni eventuale eccezione avversa  in  merito  non
potra' che essere rigettata  in  quanto  destituita  di  qualsivoglia
fondamento in fatto e in diritto. 
3. Illegittimita' dell'art. 23, commi 14, 18 e 19, del  decreto-legge
n. 201 del  2011,  convertito  nella  legge  n.  214  del  2011,  per
violazione del principio di ragionevolezza, anche in riferimento agli
articoli 1 e 5, sotto il profilo della  arbitrarieta',  incongruita',
non pertinenza, irragionevolezza dell'intervento legislativo. 
    In primo luogo, non e' possibile non evidenziare  come  le  norme
oggi  impugnate  siano  gravemente   viziate   da   irragionevolezza,
arbitrarieta', incongruita', non pertinenza, ridondanti in una  grave
illegittimita' per contrasto  con  il  principio  di  ragionevolezza,
nonche' in riferimento agli articoli 1 e 5 della Costituzione. 
    Come esposto nella parte in fatto, l'art. 23, che, secondo la sua
epigrafe, introduce norme  relative  alla  «Riduzione  dei  costi  di
funzionamento di Autorita' di  Governo,  del  CNEL,  delle  Autorita'
indipendenti e province», opera invero - con i commi dal 14 al  20  -
un  radicale  intervento  che  incide  in  profondita'   sull'assetto
istituzionale delle province, con  misure  che  colpiscono  funzioni,
organi e  caratteristiche  rappresentative  delle  stesse,  alterando
completamente la fisionomia del sistema delle autonomie locali. 
    In generale l'intervento normativo colpisce in  modo  diretto  il
sistema provinciale, intervenendo sul  livello  della  rappresentanza
politica e sulle funzioni delle  province.  I  commi  dal  14  al  20
determinano   la    drastica    riduzione    degli    amministratori,
l'eliminazione delle elezioni provinciali dirette  e  il  sostanziale
svuotamento delle  funzioni,  fatte  salve  imprecisate  e  generiche
funzioni  di  «indirizzo  e  di  coordinamento»,   che   all'evidenza
necessitano  di  ulteriori  strumenti   di   chiarificazione   e   di
definizione. 
    In particolare, e in  relazione  al  profilo  qui  censurato,  si
richiama l'attenzione sulle disposizioni che prevedono: 
        a) la limitazione delle funzioni provinciali esclusivamente a
quelle «di indirizzo e coordinamento delle attivita' dei comuni nelle
materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale,  secondo
le rispettive competenze» (comma 14); 
        b) l'obbligo imposto alle regioni di provvedere (entro il  31
dicembre 2012) al trasferimento ai comuni (salvo che, per assicurarne
l'esercizio unitario, le stesse siano acquisite dalle regioni,  sulla
base dei principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza)
delle funzioni provinciali, con previsione, in caso di inadempimento,
di esercizio dei poteri sostitutivi di cui all'art. 8 della legge  n.
131 del 2003 (comma 18); 
        c) l'obbligo imposto alle regioni di provvedere  altresi'  al
trasferimento delle risorse  umane,  finanziarie  e  strumentali  per
l'esercizio delle funzioni trasferite, assicurando nell'ambito  delle
medesime  risorse  il   necessario   supporto   di   segreteria   per
l'operativita' degli organi della provincia (comma 19). 
    Le impugnate disposizioni rendono necessaria la riallocazione  di
funzioni, personale, risorse e strutture  sia  verso  i  comuni,  sia
verso la regione. L'intervento denota una grave carenza valutativa in
termini di compatibilita' costituzionale, dimensione effettiva  della
trasformazione e funzionalita' rispetto agli obiettivi da perseguire.
E' tanto piu' irragionevole perche'  operata  mediante  lo  strumento
d'urgenza del decreto-legge. Produce inoltre una serie  di  paradossi
che si oppongono,  in  modo  assai  deciso,  al  conseguimento  degli
obiettivi attesi  dalla  sua  attuazione.  Si  vuole  qui  richiamare
l'attenzione di Codesta ecc.ma Corte su taluni  macroscopici  aspetti
di  incongruita'  e  irragionevolezza  che  la  normativa   impugnata
presenta. 
    3.1. Nonostante  la  perentoria  proclamazione  dell'intestazione
dell'articolo,  il  risultato  dell'attuazione  della  norma  non  si
traduce in immediati e rilevanti risparmi di spesa,  la  quale  spesa
semplicemente verra'  spostata  verso  il  nuovo  destinatario  delle
funzioni amministrative precedentemente provinciali. 
    Il dato e' talmente macroscopico  ed  evidente  da  essere  stato
evidenziato gia' nella relazione tecnica al testo del  decreto-legge,
la quale ha chiarito, commentando le disposizioni  di  cui  ai  commi
1420,  che  «Considerando  che  le  risorse  umane,   finanziarie   e
strumentali rimangono legate alle funzioni che  si  trasferiscono  si
ritiene di non stimare su  tale  versante  risparmi  di  spesa  (tali
risparmi appaiono verosimilmente  destinati  a  prodursi  nel  tempo,
attraverso la futura razionalizzazione dell'assetto  organizzativo  e
lo sfruttamento delle economie di scala)». 
    Prosegue poi la relazione tecnica:  per  quanto  attiene  i  c.d.
«costi della politica» che - da dati SIOPE - ammontano  a  circa  130
milioni di euro lordi, appare verosimile  considerare  una  riduzione
percentuale nell'ordine del 50%, considerando che rimarrebbero  quali
organi i presidenti e i componenti del consiglio e che dovra'  essere
assicurato un supporto di segretaria, come previsto dal comma 19,  il
risparmio di spesa associabile al complesso normativo in esame  -  65
milioni di euro lordi - e' destinato a prodursi dal 2013  e  peraltro
in via prudenziale non viene considerato in quanto verra'  registrato
a consuntivo». 
    Il  sistema  risultante  dagli  impugnati  commi,  inoltre,   non
esclude, ma anzi presuppone e quindi autorizza, una proliferazione di
apparati amministrativi di livello  regionale  e  sovracomunale  (con
particolare riguardo agli organi di raccordo previsti dal comma 21) e
provinciale (le strutture che forniranno il  supporto  di  segreteria
per l'operativita' degli organi della provincia di cui al comma 19). 
    Inoltre, la portata della trasformazione determinata dalle  norme
impugnate non puo' che implicare un processo  lungo,  conflittuale  e
con costi difficilmente quantificabili: si pensi  -  per  evidenziame
uno tra i piu' rilevanti e del tutto  sottaciuti  dal  riforma  -  al
profilo,  che  assumera'  toni  necessariamente   problematici,   dei
trasferimento del personale nei ruoli regionali. 
    L'insorgenza certa di  tali  criticita',  connessa  all'immediata
operativita'   della   norme   impugnate,   certamente    contraddice
frontalmente la ratio ispiratrice dell'art. 23. 
    3.2.  Gravissime  appaiono  le  ripercussioni  delle   norme   in
questione in ordine alla gestione delle cd. «aree vaste». 
    Le misure di rimodellazione della rappresentanza  politica  della
provincia e  di  riallocazione  forzata  delle  funzioni  sono  state
assunte in assenza di qualsivoglia indicatore di segno  negativo  che
contraddicesse   l'appropriatezza   delle   province   quale   ambito
territoriale ottimale per la gestione delle funzioni relative ad aree
vaste. Nessun indicatore obiettivo di perfomance  negativa  e'  stato
evidenziato ed utilizzato  a  giustificazione  delle  misure  oggetto
della presente impugnativa. 
    Orbene, pur tralasciando il tema della rappresentanza democratica
in ambito  provinciale,  nessuno  puo'  ragionevolmente  revocare  in
dubbio che un livello amministrativo intermedio fra regione e  comuni
sia   necessario,   almeno   in   ordine   ad   alcuni   temi    che,
esemplificativamente, possono essere individuati nei temi del lavoro,
dell'ambiente, del territorio, della formazione professionale,  della
gestione della rete stradale  e  infrastrutturale,  del  servizio  di
trasporto 
    locale, della gestione  dei  servizi  di  scuola  superiore,  dei
sistemi idrici, di raccolta dei  rifiuti,  di  assistenza  agli  enti
locali, del coordinamento  della  forze  di  sicurezza  e  protezione
civile. 
    In assenza di chiari dati empirici sui  limiti  gestionali  delle
province, si e' deciso  ora,  in  via  generale,  di  modificare  gli
assetti organizzativi provinciali e  di  riallocare  le  funzioni  ai
comuni o alla regione, esponendosi, per i primi, ad  evidenti  limiti
di capacita' operativa in area vasta, e per la seconda, al rischio di
gigantismo  istituzionale,  risospingendo  la   regione   verso   una
dimensione piu' orientata all'amministrazione che al Governo. 
    3.3. In  aggiunta  a  quanto  sin  qui  evidenziato,  valgano  (e
ulteriori seguenti considerazioni: in Campania si registrano soltanto
quattro Unioni di comuni (che coprono un numero di 24 comuni,  su  un
totale di 551). Al di fuori delle  province  sono  pertanto  mancanti
altri «enti» intermedi e tale vuoto va inoltre considerato anche alla
luce della situazione di profonda incertezza istituzionale e politica
che  caratterizza  il  futuro  delle  Comunita'  montane.   Dovendosi
escludere che tutte le funzioni provinciali da riallocare, in base ai
principi di sussidiarieta', adeguatezza e  differenziazione,  possano
essere assunte direttamente dalla regione, e' da ritenere che -  fino
a una futura razionalizzazione dell'assetto organizzativo degli  enti
locali regionali - si verifichera', con ogni probabilita', un aumento
dei   costi,   determinato   dall'istituzione   di   nuovi   apparati
amministrativi sovracomunali, dal venir meno delle economie di  scala
su base provinciale e, comunque, dalla necessita' di  far  fronte  ad
una fase di riorganizzazione certamente complessa e conflittuale. 
    3.4. Ma vi e' di piu': se  l'obiettivo  della  riforma  posta  in
essere con l'art. 23 mira ad un disegno complessivo di riforma  dello
Stato, nel senso della sua configurazione  come  apparato  con  costi
ridotti, alta efficienza di funzionamento e maggiore  prossimita'  ai
cittadini, le sue misure si appalesano  del  tutto  insufficienti  ed
inadeguate allo scopo,  poiche'  attribuiscono  gli  effetti  di  una
riforma sistemica ad una modifica che, in realta', colpisce  soltanto
le province quali enti autonomi ovvero  le  province  quali  enti  di
gestione  di  funzioni  amministrative  regionali,  e  non  anche  le
province quali ambiti di articolazione periferica dello Stato. 
    L'ambito di decentramento statale  di  livello  provinciale,  con
riguardo a numerosissime  funzioni,  continua  ad  essere  pienamente
operativo e assolutamente non inciso. Infatti, l'art. 23 non grava in
alcun modo sul livello provinciale di  decentramento  delle  funzioni
statali  (si  pensi  al   ruolo   degli   uffici   territoriali   del
Governo-prefetture, dei provveditori scolastici, delle soprintendenze
per i beni culturali). 
    Non e' possibile inoltre tacere che le norme  qui  impugnate  non
introducono nessun elemento di adattamento  a  contesti  territoriali
che  presentano  caratteristiche  di  profonda  differenziazione  sul
territorio nazionale. 
    Inoltre,  se,   come   suggerisce   il   tenore   dell'intervento
legislativo, si intendeva  ripensare  il  modello  di  governo  della
Provincia, si sarebbe potuto attenuare il  livello  di  «politicita'»
degli organi provinciali  intervenendo  sulla  elezione  diretta  del
presidente,  senza  compromettere,  in  modo   cosi'   profondo,   la
rappresentativita' democratica della stessa. 
    I gravi e numerosi problemi, di cui  si  e'  qui  fatto  solo  un
rapido cenno, rendono palese  l'incongruita',  l'inadeguatezza  e  la
piena insufficienza delle disposizioni di cui ai commi dal 14 ai  20,
dell'art. 23 rispetto al conseguimento dell'obiettivo di snellimento,
semplificazione e riduzione dei costi del sistema. 
    Le norme qui indubbiate, e in particolare i commi 14, 18 e 19, si
pongono  in  grave  ed  insanabile   contrasto   con   il   principio
costituzionale di ragionevolezza. 
    Orbene, tale principio, sotto il profilo della proporzionalita' e
dell'adeguatezza rispetto ai fini, costituisce canone di legittimita'
costantemente affermato dalla giurisprudenza di Codesta ecc.ma Corte,
soprattutto nel caso in cui  il  legislatore  statale  intervenga  in
materie che incidono su aspetti  connessi  all'autonomia  degli  enti
locali o su materie riservate  alla  potesta'  legislativa  regionale
concorrente. 
    Secondo  l'insegnamento  di  Codesta  ecc.ma  il   sindacato   di
legittimita' costituzionale di una norma non  rifugge  dal  controllo
sulla  ragionevolezza  della  stessa  in  relazione  alle   finalita'
perseguite (cfr. Corte cost., sent. n. 148  del  2009,  c.d.i.  4.2),
essendo ben possibile la verifica che le  previsioni  impugnate  «non
appaiano irragionevoli, ne'  sproporzionate  rispetto  alle  esigenze
indicate» (Corte cost., sent. n. 326 del 2008) e  che  gli  strumenti
normativi  rimessi  allo  scrutinio  di  legittimita'  costituzionale
appaiono «disposti  in  una  relazione  ragionevole  e  proporzionata
rispetto agli obiettivi attesi» (Corte cost., sent. n. 452 del 2007 e
le ivi citate sentt. n. 274 e n. 14 del 2004).  In  definitiva,  come
ribadito in altra occasione da Codesta  ecc.ma  Corte,  «l'intervento
del legislatore statale e' legittimo se contenuto entro i limiti  dei
canoni di adeguatezza e proporzionalita'» (Corte  cost.  n.  345  del
2004). 
    Alla luce delle suesposte considerazioni e  della  giurisprudenza
costituzionale  evidente  appare   l'incongruenza,   l'abnormita'   e
l'irragionevolezza delle  disposizioni  impugnate  rispetto  ai  fini
enunciati di riduzione dei costi di funzionamento delle province. 
4. Illegittimita' dell'art. 23, commi 15, 16 e 20, del  decreto-legge
n. 201 del  2011,  convertito  nella  legge  n.  214  del  2011,  per
violazione dell'art. 114  Cost.  sotto  il  profilo  della  sfera  di
autonomia  costituzionalmente  garantita  alle  province,  anche   in
riferimento agli artt. 1, 2, e 5 Cost. 
    In  via  preliminare,  occorre  subito  sottolineare  quale   sia
l'impostazione sottesa al novellato Titolo  V  della  Costituzione  e
quale sia, pertanto, la collocazione costituzionale delle province. 
    In particolare, secondo quanto sancito dall'art.  114,  comma  1,
Cost.,  le  province  sono  enti   territoriali   costitutivi   della
Repubblica, al pari dei comuni,  delle  citta'  metropolitane,  delle
regioni e dello Stato. Il principio di equiordinazione che si  deduce
dal dettato costituzionale implica  il  superamento  di  qualsivoglia
impostazione piramidale e la creazione di un sistema policentrico nel
cui contesto gli enti territoriali - ivi comprese le province, dunque
- sono soggetti  dotati  di  eguale  dignita'  costituzionale,  ferma
naturalmente la differenziazione delle funzioni svolte da ognuno  dei
soggetti. 
    L'art. 114, comma 2, completa e specifica il contenuto innovativo
del comma 1, affermando che (anche) le province «sono  enti  autonomi
con propri statuti, poteri e funzioni secondo quanto  previsto  dalla
Costituzione». Mentre, dunque, nel  testo  costituzionale  previgente
l'autonomia degli enti locali, pur costituzionalmente garantita,  era
tuttavia rimessa, per l'individuazione del suo concreto attuarsi,  ad
una legge generale della Repubblica (art. 128  Cost.),  essa  e'  ora
garantita direttamente dalla Carta. 
    La Repubblica, nell'accezione benvenutiana di Stato-comunita', e'
dunque articolata e costituita, oltre che  dalle  formazioni  sociali
riconosciute dall'art. 2 Cost., dalle comunita'  regionali  e  locali
riconosciute e garantite dalli art. 5 Cost. E tanto  l'art.  2  Cost.
quanto  l'art.  5  implicitamente  rinviano  al   principio   cardine
contenuto  nell'art.  1  Cost.,  secondo  il  quale   la   sovranita'
appartiene al popolo. 
    A chiarire in maniere inequivoca il legame tra  il  principio  di
sovranita' di cui all'art. 1, il  principio  autonomistico,  tutelato
all'art. 5 Cost., e la nuova formulazione  dell'art.  114  Cost.,  e'
intervenuta la giurisprudenza di  Codesta  ecc.ma  Corte  che,  nella
sent.  106/2002,  ha  affermato  che  «Il  nuovo  Titolo  V   -   con
l'attribuzione alle regioni della potesta' di determinare la  propria
forma di governo, l'elevazione al rango  costituzionale  del  diritto
degli enti territoriali  minori  di  darsi  un  proprio  statuto,  la
clausola di residualita' a favore delle regioni, che ne ha potenziato
la  funzione  di  produzione  legislativa,  il  rafforzamento   della
autonomia finanziaria regionale, l'abolizione dei controlli statali -
ha disegnato di certo  un  nuovo  modo  d'essere  del  sistema  delle
autonomie. Tuttavia i significativi elementi di discontinuita'  nelle
relazioni tra Stato e regioni che sono stati in tal  modo  introdotti
non hanno  intaccato  le  idee  sulla  democrazia,  sulla  sovranita'
popolare e sul principio autonomistico che erano  presenti  e  attive
sin dall'inizio dell'esperienza repubblicana. Semmai  potrebbe  dirsi
che il nucleo centrale attorno al quale esse ruotavano abbia  trovato
oggi una positiva eco nella formulazione del  nuovo  art.  114  della
Costituzione, nel quale gli enti territoriali autonomi sono collocati
al fianco dello Stato  come  elementi  costitutivi  della  Repubblica
quasi  a  svelarne,  in  una  formulazione   sintetica,   la   comune
derivazione dal principio democratico e dalla sovranita' popolare». 
    Stante  questo  quadro  di  riferimento,  l'impianto  complessivo
disegnato dall'art. 23, commi da 14 a 20 e, in particolare dai  commi
15, 16 e 20, del decreto-legge n.  201  del  2011,  convertito  nella
legge n. 214 del 2011, si pone in chiaro contrasto  con  l'autonomia,
costituzionalmente garantita, delle province,  in  aperta  violazione
dell'art. 114 della Costituzione. 
    In primo  luogo  in  quanto  il  legislatore  statale  ha  inteso
trasformare l'ente, sopprimendo le  giunte  provinciali  (comma  15),
prefigurando una rappresentanza di secondo grado dei futuri  Consigli
provinciali (comma 16) e la conseguente  decadenza  degli  organi  in
carica delle province (comma 20), disconoscendo cosi'  la  natura  di
ente autonomo costitutivo  della  Repubblica  cui  spetta  una  sfera
incomprimibile,   se   non   mediante   procedimento   di   revisione
costituzionale, di poteri e di competenze. In questo senso, il  comma
19, stabilendo che lo Stato  e  le  regioni,  secondo  le  rispettive
competenze,  provvedono  al  trasferimento   delle   risorse   umane,
finanziarie e strumentali per l'esercizio delle funzioni  trasferite,
palesemente  si  pone  in  contrasto  con   l'autonomia   statutaria,
organizzativa nonche' finanziaria delle province e con la riserva  di
potere regolamentare di cui all'art. 117, comma 6. 
    Il  principio  autonomistico   porta   con   se'   il   principio
democratico; e pertanto, nell'esercizio della competenza  legislativa
esclusiva di cui all'art. 117, comma 2, lettera  p),  in  materia  di
legislazione elettorale ed organi di governo di comuni e province, lo
Stato  non  puo'  incidere  sul   carattere   democratico   dell'ente
territoriale. 
5. Illegittimita' dell'art. 23, commi 14, 18 e 19, del  decreto-legge
n. 201 del  2011,  convertito  nella  legge  n.  214  del  2011,  per
violazione degli art. 114, 117, 118 e 119 Cost. sotto il profilo  del
contrasto con la riserva costituzionale di funzioni  a  favore  delle
province, anche in relazione  al  necessario  intervento  legislativo
regionale per la riallocazione delle funzioni amministrative e  delle
risorse finanziarie nelle materie di competenza regionale. 
    5.1.  L'impugnato   art.   23   risulta,   altresi',   gravemente
illegittimo per violazione degli artt. 117, 118 e 119 Cost., sotto il
profilo del contrasto con la riserva  costituzionale  di  funzioni  a
favore delle province. 
    Come si e' gia' avuto modo di osservare nella parte  in  «Fatto»,
il comma 14 dell'articolo censurato prevede  espressamente  che  alla
provincia spettano «esclusivamente» le funzioni  di  indirizzo  e  di
coordinamento delle attivita' dei comuni nelle materie e  nei  limiti
indicati dal legislatore  statale  o  regionale  di  volta  in  volta
competente. A norma del successivo comma 18, lo Stato  e  le  regioni
provvedono secondo le rispettive competenze in relazione alle residue
funzioni, ad oggi conferite alle province, mediante trasferimento  ai
comuni ovvero acquisizione da parte delle regioni  ove  se  ne  renda
necessario un esercizio unitario; a seguire il comma 19 disciplina il
trasferimento delle risorse  umane,  finanziarie  e  strumentali  per
l'esercizio delle funzioni trasferite. 
    Dall'esame delle disposizioni appena menzionate, non v'e' chi non
veda  come  la  limitazione  delle  funzioni  provinciali  alle  sole
attivita' di indirizzo e coordinamento nei confronti dei comuni - per
lo piu' senza alcuna specificazione in  ordine  all'ampiezza  e  alla
portata delle attivita'  medesime  -  si  traduce  nella  sostanziale
spoliazione a danno delle province di  funzioni  che  sono  conferite
alle stesse direttamente dalla Costituzione. 
    A tal proposito, sia consentito rammentare come l'art. 114  Cost.
sancisca chiaramente che le  province  -  insieme  a  comuni,  citta'
metropolitane e regioni - sono «enti  autonomi  con  propri  statuti,
poteri e funzioni secondo i  principi  fissati  dalla  Costituzione».
Tali principi vanno rinvenuti, in primo luogo, nel comma 6  dell'art.
117, a norma del quale viene riconosciuta alle province  la  potesta'
regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione  e  dello
svolgimento delle funzioni  loro  attribuite.  Ancora,  con  precipuo
riferimento alle competenze di' carattere amministrativo, l'art. 118,
comma 2, Cost., prevede espressamente che le province  sono  titolari
di funzioni amministrative proprie e di quelle  conferite  con  legge
statale o regionale, secondo le rispettive competenze. In ultimo, dal
punto di vista prettamente finanziario,  le  province  dispongono  di
un'autonomia di entrata e di spesa, godendo di  risorse  -  derivanti
anche dall'imposizione ed applicazione di tributi ed entrate propri -
che devono essere  idonee  a  finanziare  integralmente  le  funzioni
pubbliche loro attribuite (art. 119 Cost.). 
    L'analisi delle disposizioni  sopra  menzionate  palesa  come  le
province appaiano titolari di un fascio  di  funzioni  amministrative
proprie (su cui esercitano potesta'  regolamentare  e  per  le  quali
godono di risorse finanziarie), la cui  indefettibilita'  e'  sancita
direttamente in Costituzione, pur  nella  necessita'  della  concreta
individuazione da parte della legge. In particolare, come  si  desume
agevolmente dalla formulazione del citato art. 118, comma  2,  Cost.,
alla  provincia  spettano  funzioni  proprie,  ossia  ontologicamente
connaturate all'autonomia costituzionale di  tale  ente,  prima  e  a
prescindere  da  quelle  conferite  dal  legislatore  statale  ovvero
regionale sulla base delle rispettive competenze. 
    Cio',  del  resto,  ha  trovato  una  conferma   espressa   anche
nell'ambito  della  giurisprudenza  di  Codesta  ecc.ma   Corte.   In
particolare, trovandosi a dover giudicare della legittimita'  di  una
normativa regionale in materia di ordinamento delle autonomie  locali
e, in particolare,  delle  Province,  il  giudice  costituzionale  ha
chiaramente riconosciuto la  «esistenza  di  un  nucleo  di  funzioni
intimamente connesso al riconoscimento  del  principio  di  autonomia
degli enti locali sancito dall'art. 5 Cost.» (Corte cost.,  sent.  n.
238 del 2007, ripresa dalla successiva sent. n. 286 del 2007). 
    Alla  luce  del  quadro  normativo  e   giurisprudenziale   sopra
evidenziato, emerge allora nitidamente  come  la  drastica  riduzione
delle funzioni provinciali e la loro limitazione alle sole  attivita'
di  indirizzo  e  coordinamento  nei  confronti  dei   comuni   siano
manifestamente  incompatibili  con  le  attribuzioni  spettante  alle
province,  cosi  come  delineata  dalla  Costituzione.   L'intervento
normativo censurato, infatti, impinge illegittimamente nella sfera di
autonomia provinciale, in palese violazione delle previsioni  di  cui
agli artt. 117, 118 e 119 Cost. Anche sotto tale profilo, l'impugnato
art. 23 appare palesemente incostituzionale. 
    Del resto, l'invocazione dell'art. 117, comma 2,  lett.  p),  (ai
sensi del quale spetta  allo  Stato  l'individuazione  di  organi  di
governo  e  funzioni  fondamentali  di  comuni,  province  e   citta'
metropolitane) al fine di dare copertura  alle  norme  qui  impugnate
determinerebbe una vera e propria eterogenesi dei  fini  della  norma
stessa, la cui ratio non puo' che  essere  rinvenuta  nella  garanzia
dell'assetto  autonomistico  che  la  riforma  del  Titolo  V   della
Costituzione ha reso vivo ed effettivo. 
    5.2. Sotto diverso profilo,  l'articolo  oggetto  della  presente
questione di costituzionalita' risulta illegittimo anche in relazione
alla violazione del riparto di competenze  tra  Stato  e  regioni  in
ordine al conferimento delle funzioni amministrative, laddove  impone
a queste ultime la necessaria riallocazione  delle  funzioni  che  la
vigente legislazione regionale conferisce oggi  alle  Province.  Tale
necessaria riallocazione appare tanto piu' arbitraria, ingiustificata
e illegittima ove si pensi che gli effetti dell'art. 23 qui impugnato
non determinano la soppressione assoluta delle  province,  le  quali,
ancorche' depotenziate e defunzionalizzate,  continuano  comunque  ad
essere  presenti  nell'ordinamento,  seppur  con  una  configurazione
profondamente alterata. E allora: se le province continuano ad essere
esistenti, perche' le regioni non possono autonomamente  decidere  se
attribuire ad esse funzioni regionali? 
    In tal senso, sia consentito ribadire nuovamente che e' lo stesso
art. 118 Cost. a riconoscere  in  capo  alle  regioni  il  potere  di
conferire l'esercizio delle funzioni di propria competenza agli  enti
locali ritenuti piu' idonei ad esercitarle sulla base dei principi di
sussidiarieta',  differenziazione  ed  adeguatezza.  Del  resto,   ad
escludere l'illegittimita' dell'intervento  normativo  censurato  non
potrebbe certo invocarsi la competenza esclusiva statale ex art. 117,
comma 2, lettera p),  Cost.,  relativa  a  «legislazione  elettorale,
organi di governo e  funzioni  fondamentali  di  comuni,  province  e
citta' metropolitane». 
    Codesta ecc.ma Corte  ha,  infatti,  da  tempo  chiarito  che  il
suddetto titolo competenziale deve  intendersi  rivolto  al  contesto
oggettivo tassativamente interessato, che si sostanzia esclusivamente
nella disciplina del sistema elettorale, della  forma  di  Governo  e
delle sole funzioni fondamentali di detti enti. 
    Peraltro,  e'  opportuno  osservare  che,  nell'interpretare   il
rapporto tra le rinnovate potesta' legislative  regionali  risultanti
dall'art. 117, come riformato dalla legge cost. n.  3/2001  e  l'art.
118 Cost., il giudice costituzionale  ha  chiaramente  affermato  che
«quale che debba ritenersi il rapporto fra le "funzioni fondamentali"
degli enti locali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera p),
e le "funzioni proprie" di cui a detto articolo 118,  secondo  comma,
sta di fatto che sara' sempre  la  legge,  statale  o  regionale,  in
relazione al riparto  delle  competenze  legislative,  a  operare  la
concreta collocazione delle funzioni» (Corte cost., sent. n.  43  del
2004). 
    Pertanto, alla luce  dei  principi  desumibili  dalla  richiamata
giurisprudenza, non e' revocabile in dubbio come la competenza  della
regione  in  materia  di  disciplina  dell'esercizio  delle  funzioni
amministrative sussista ogni qualvolta le funzioni stesse interessino
ambiti  materiali  di  diretta  pertinenza  regionale  (esclusiva   o
concorrente). 
    Orbene, con riferimento al caso di specie, e'  evidente  come  il
comma 18 dell'articolo censurato,  nel  prevedere  che  entro  il  31
dicembre  2012  il  legislatore  regionale,  per  quanto  di  propria
spettanza,  trasferisce  ai  comuni  le  funzioni   conferite   dalla
normativa  vigente  alle  province,  si  traduce  in   un'illegittima
invasione delle attribuzioni delle 
    regioni, nella misura in cui viene a limitare la  loro  autonomia
in merito alla determinazione del  livello  territoriale  di  Governo
piu' idoneo all'esercizio di funzioni di loro competenza. 
    Tale invasione si rivela tanto piu' grave e manifesta se solo  si
considera che -  come  si  vedra'  meglio  infra  -  la  disposizione
interessata  prevede   espressamente   l'esercizio   di   un   potere
sostitutivo statale - per giunta di carattere legislativo -  in  caso
di eventuale mancata riallocazione delle funzioni predette  da  parte
della legge regionale. 
    Ad  ulteriore  riprova  della  manifesta   illegittimita'   delle
previsioni  censurate,  deve  osservarsi  come  le  stesse   non   si
preoccupino  minimamente  di  definire  cosa  debba  intendersi   per
«funzioni di indirizzo e di coordinamento» delle attivita'  comunali,
senza che, pertanto, possano individuarsi con  certezza  le  funzioni
residue oggetto di riallocazione da parte di Stato  e  regioni  sulla
base delle rispettive competenze. 
    Alla luce di quanto  sopra  osservato,  non  pare  revocabile  in
dubbio il grave vulnus arrecato  dalle  disposizioni  impugnate  alla
sfera di competenze regionali. Anche sotto tale profilo, pertanto, si
impone la declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 23. 
6. Illegittimita' dell'art. 23, commi 14, 18 e 19, del  decreto-legge
n. 201 del  2011,  convertito  nella  legge  n.  214  del  2011,  per
violazione dell'art. 120, comma 2, Cost. nella parte In cui introduce
una fattispecie di potere  sostitutivo  in  assenza  dei  presupposti
costituzionalmente previsti, nonche' per violazione del principio  di
leale collaborazione. 
    L'art. 23, al suo comma 18, secondo capoverso,  prevede  che  «in
caso di mancato trasferimento delle funzioni da parte  delle  regioni
entro il 31 dicembre 2012, si provvede in via sostitutiva,  ai  sensi
dell'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131,  con  legge  dello
Stato». Si tratta quindi  della  previsione  di  una  fattispecie  di
potere sostitutivo esercitato dal Governo nei confronti della regione
che, alla data indicata del 31 dicembre 2012, non abbia provveduto al
richiesto trasferimento delle funzioni finora svolte dalle  province.
Il comma descrive un intervento sostitutivo dello Stato nei confronti
della regione a) che  dovrebbe  attivarsi  in  mancanza  della  legge
regionale di riallocazione ai comuni delle funzioni  conferite  dalla
normativa vigente alle province, b) attuato con «legge dello  Stato».
Orbene, tali previsioni contrastano con l'art. 120  comma  2,  Cost.,
ponendosi al di fuori dei casi in esso previsti. 
    La norma costituzionale infatti («Il Governo puo'  sostituirsi  a
organi delle regioni, delle citta' metropolitane,  delle  province  e
dei  comuni  nel  caso  di  mancato  rispetto  di  norme  e  trattati
internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave
per  l'incolumita'  e  la  sicurezza  pubblica,  ovvero   quando   lo
richiedono la tutela dell'unita' giuridica o dell'unita' economica  e
in particolare la tutela dei  livelli  essenziali  delle  prestazioni
concernenti i diritti civili  e  sociali,  prescindendo  dai  confini
territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte
a garantire che i poteri sostitutivi siano  esercitati  nel  rispetto
del  principio  di  sussidiarieta'  e   del   principio   di'   leale
collaborazione») individua, quali ipotesi idonee  a  giustificare  un
intervento sostitutivo del Governo: 
        il mancato rispetto di  norme  e  trattati  internazionali  o
della normativa comunitaria; 
        il pericolo grave per l'incolumita' e la sicurezza pubblica; 
        il caso in cui l'attivita'  sostitutiva  e'  richiesta  dalla
tutela  dell'unita'  giuridica  o  dell'unita'  economica,  con   una
particolare ed espressa previsione del caso in cui  l'intervento  sia
richiesto al fine di tutelare i livelli essenziali delle  prestazioni
concernenti i diritti civili  e  sociali,  prescindendo  dai  confini
territoriali dei governi locali. 
    La norma impugnata amplia il numero tassativo dei casi in cui  la
Costituzione  autorizza  il  governo   all'esercizio   di   attivita'
sostitutiva nei confronti delle regioni, estendendo  illegittimamente
la portata della disposizione costituzionale. 
    In primo luogo va precisato  che  la  giurisprudenza  di  Codesta
ecc.ma Corte ha affermato, con  riguardo  alle  clausole  dell'unita'
giuridica e dell'unita' economica, che «si  tratta  all'evidenza  del
richiamo ad interessi "naturalmente" facenti capo  allo  Stato,  come
ultimo responsabile del mantenimento della unita'  e  indivisibilita'
della Repubblica garantita dall'art.  5  della  Costituzione»  (Corte
cost., sent. n. 43 del 2004).  Tuttavia,  nella  medesima  pronuncia,
tratteggiando i caratteri essenziali del potere sostitutivo  previsto
dall'art. 120 Cost., ha precisato che, se e' vero che la norma  tende
ad assicurare «comunque, in un sistema di piu' largo decentramento di
funzioni quale quello delineato dalla  riforma,  la  possibilita'  di
tutelare, anche al  di  la'  degli  specifici  ambiti  delle  materie
coinvolte   e   del   riparto   costituzionale   delle   attribuzioni
amministrative, taluni interessi  essenziali  (...)  che  il  sistema
costituzionale  attribuisce  alla   responsabilita'   dello   Stato»,
certamente  gli  interventi  governativi  da  essa   previsti   hanno
«carattere straordinario e aggiuntivo» come risulta, tra l'altro «dal
fatto che  esso  allude  a  emergenze  istituzionali  di  particolare
gravita',  che  comportano  rischi  di  compromissione  relativi   ad
interessi essenziali della Repubblica» (Corte cost. n. 43 del 2004). 
    Orbene, alla stregua delle impugnate disposizioni, un tema  dalle
evidenti connotazioni costituzionali,  che  incide  sull'architettura
del sistema  delle  autonomie  locali,  viene  disciplinato  mediante
decreto legge e attuato ricorrendo alla «minaccia» dell'esercizio  di
un improprio potere sostitutivo. 
    Codesta  ecc.ma  Corte  ha   richiamato   condizioni   e   limiti
dell'esercizio dei poteri sostitutivi dello Stato nei confronti delle
Regioni (ritenendo peraltro gli stessi validi in  senso  generale,  e
quindi anche con riferimento a  meccanismi  sostitutivi  previsti  da
legge regionale in caso di inadempimento dei comuni nell'esercizio di
funzioni amministrative proprie), precisando, tra l'altro, che: 
    «le ipotesi di esercizio di  poteri  sostitutivi  debbono  essere
previste e disciplinate dalla legge (cfr. sentenza n. 338 del  1989),
che deve definirne i' presupposti sostanziali e procedurali. 
    In secondo luogo, la sostituzione puo' prevedersi  esclusivamente
per il compimento di atti o di attivita' «prive  di  discrezionalita'
nell'an (anche  se  non  necessariamente  nel  quid  o  nel  quomodo)
«(sentenza n. 177 del 1988), la cui obbligatorieta' sia  il  riflesso
degli interessi unitari alla cui salvaguardia  provvede  l'intervento
sostitutivo: e cio' affinche'  essa  non  contraddica  l'attribuzione
della funzione  amministrativa  all'ente  locale  sostituito»  (Corte
cost. n. 43 del 2004). Ha inoltre ribadito l'inderogabile  necessita'
che  la  legge  appresti   «congrue   garanzie   procedimentali   per
l'esercizio del potere sostitutivo, in conformita'  al  principio  di
leale collaborazione (cfr. ancora sentenza n. 177 del  1988),  non  a
caso espressamente richiamato anche dall'articolo 120, secondo comma,
ultimo periodo, della Costituzione a proposito del potere sostitutivo
«straordinario»  del  Governo,  ma  operante  piu'  in  generale  nei
rapporti fra enti dotati di autonomia  costituzionalmente  garantita.
Dovra' dunque prevedersi un procedimento nel quale l'ente  sostituito
sia comunque messo in grado di  evitare  la  sostituzione  attraverso
l'autonomo adempimento, e di interloquire nello  stesso  procedimento
(cfr. sentenze n. 153 del 1986, n. 416 del 1995; ordinanza n. 53  del
2003)» (Corte cost. n. 43 del 2004). 
    Come si e' visto, dunque, la  giurisprudenza  di  Codesta  ecc.ma
Corte in tema di esercizio del potere sostitutivo nei confronti delle
regioni e della connessa nomina di commissario ad acta da  parte  del
Governo, ha sempre  ribadito  che  la  disciplina  delle  ipotesi  di
surrogazione statale  nei  confronti  degli  enti  territoriali  deve
assicurare a questi ultimi idonee garanzie partecipative, in coerenza
con il fondamentale principio di leale collaborazione che deve sempre
informare  i  rapporti  tra  due  distinti  enti   costituzionalmente
autonomi (in tal senso, ex multis, Corte cost., senti. n. 2 del 2010,
n. 383 del 2005 e n. 240 del 2004). 
    Con riferimento alla disposizione oggetto del  presente  giudizio
di costituzionalita', nessuna garanzia e'  stata  prevista  a  tutela
dell'autonomia regionale costituzionalmente prevista dal momento che,
all'attivazione del potere sostitutivo,  non  viene  garantito  alcun
coinvolgimento della regione. 
    L'art. 23, comma 18, inoltre  fa  riferimento  all'esercizio  dei
poteri sostitutivi, di cui all'art. 8 della legge n.  131  del  2003,
ricorrendo a «legge dello Stato». La previsione determina una  palese
violazione delle  norme  costituzionali  che  presiedono  al  riparto
costituzionale delle competenze legislative, prevedendo una legge che
disciplina la materia di competenza regionale relativa alle  funzioni
degli enti locali. 
    A tal riguardo, si ricorda che, con la sentenza n. 361 del  2010,
Codesta ecc.ma Corte, nel diverso caso relativo ad un atto, approvato
dal  Presidente  della  Giunta  regionale  nella  sua   qualita'   di
commissario governativo ad acta, denominato legge regionale, ma privo
dei necessari requisiti previsti dalla Costituzione per poter  essere
ritenuto atto legislativo, ha  in  primo  luogo  precisato  che:  «la
disciplina contenuta nel secondo comma dell'art. 120 Cost.  non  puo'
essere interpretata come implicitamente legittimante il  conferimento
di poteri di tipo legislativo ad un soggetto che sia  stato  nominato
Commissario del  Governo».  Ha  inoltre  affermato,  pur  se  in  via
dubitativa  e  senza  esprimersi  sulla  legittimita'  di  una   tale
ricostruzione, che una interpretazione dell'art. 120, comma 2,  Cost.
tesa a «legittimare il potere del Governo di adottare atti con  forza
di legge in sostituzione di leggi regionali . tramite l'esercizio  in
via  temporanea  dei  propri  poteri  di  cui  all'art.   77   Cost.»
costituisce,  in  ogni   caso,   deroga   eccezionale   «al   riparto
costituzionale delle competenze  legislative  fra  Stato  e  regioni»
(Corte cost., n. 361 del 2010). Deve tuttavia aggiungersi  come,  con
ogni evidenza, la decretazione d'urgenza,  sottesa  all'esercizio  di
poteri  normativi  da  parte  del   Governo,   non   sembra   potersi
contemperare con il principio di leale collaborazione, nell'esercizio
dei poteri sostitutivi, imposto dall'art. 120 della Costituzione. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Chiede che Codesta ecc.ma Corte,  in  accoglimento  del  presente
ricorso, voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale  dell'art.
23, commi 14, 15, 16, 18, 19 e 20 del decreto-legge 6 dicembre  2011,
n. 201, convertito con modificazioni con legge 22 dicembre  2011,  n.
214, recante «Disposizioni urgenti per la crescita,  l'equita'  e  il
consolidamento dei conti pubblici» per violazione degli  articoli  1,
2, 5, 114, 117, 118, 119, 120, comma 2, della Costituzione. 
        Napoli - Roma, 25 febbraio 2012 
 
            Prof. avv. Caravita di Toritto - Avv. D'Elia