N. 47 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 2 marzo 2012
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 2 marzo 2012 (della Regione autonoma della Sardegna). Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' ed il consolidamento dei conti pubblici - Disciplina dell'IMUP - Previsione della riserva allo Stato sull'IMUP della quota di imposta pari alla meta' dell'importo calcolato sulla base imponibile di tutti gli immobili, ad eccezione dell'abitazione principale e delle relative pertinenze, nonche' dei fabbricati rurali ad uso strumentale, dell'aliquota di base di cui al comma 6, primo periodo - Previsione che le detrazioni e riduzioni di aliquota deliberate dai comuni non si applicano alla quota di imposta riservata allo Stato - Previsione che le attivita' di accertamento e riscossione dell'imposta erariale sono svolte dal comune al quale spettano le maggiori somme derivanti dallo svolgimento delle attivita' medesime a titolo di imposta, interessi e sanzioni - Previsione che il fondo sperimentale di riequilibrio ed il fondo perequativo ed i trasferimenti erariali dovuti ai comuni della Regione Siciliana e della Regione Sardegna variano in ragione delle differenze di gettito stimato ad aliquota di base derivanti dalle disposizioni dell'articolo censurato e che in caso di incapienza ciascun comune versa all'entrata del bilancio dello Stato le somme residue - Previsione che con le procedure stabilite dall'art. 5 della legge n. 42 del 2009, le Regioni Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta, nonche' le Province autonome di Trento e Bolzano, assicurano il recupero al bilancio statale del predetto maggior gettito dei comuni ricadenti nel proprio territorio e che fino all'emanazione delle norma di attuazione di cui allo stesso art. 27, a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi, e' accantonato un importo pari al maggior gettito di cui al precedente periodo - Ricorso della Regione Sardegna - Denunciata violazione dell'autonomia finanziaria regionale disciplinata dallo Statuto per la sottrazione di risorse finanziarie ai comuni e l'attribuzione alle regioni di diverse competenze - Denunciata violazione del principio di eguaglianza relativamente alla disciplina del fondo sperimentale di riequilibrio e del fondo perequativo. - Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 13. - Costituzione, artt. 3, 5, 117 e 119; Statuto della Regione Sardegna, artt. 3, 7 e 8. Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' ed il consolidamento dei conti pubblici - Istituzione del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi - Previsione che, a decorrere dall'anno 2013, il fondo sperimentale di riequilibrio ed il fondo perequativo ed i trasferimenti erariali dovuti ai comuni della Regione Siciliana e della Regione Sardegna sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di cui al comma 13 dell'articolo censurato - Previsione che in caso di incapienza ciascun comune versa all'entrata del bilancio dello Stato le somme residue - Ricorso della Regione Sardegna - Denunciata violazione dell'autonomia finanziaria regionale disciplinata dallo Statuto. - Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 14, comma 13-bis. - Costituzione, artt. 3, 117 e 119; Statuto della Regione Sardegna, artt. 3, 7 e 8. Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' ed il consolidamento dei conti pubblici - Disposizioni per la tassazione di auto di lusso, imbarcazioni ed aerei - Istituzione di una tassa annuale di stazionamento - Ricorso della Regione Sardegna - Denunciata violazione dell'autonomia finanziaria regionale disciplinata dallo Statuto - Denunciata violazione della sfera di competenza regionale in materia di ordinamento degli enti locali e di finanza locale, mediante istituzione di una tassa sul turismo. - Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 16. - Costituzione, artt. 3, 117 e 119; Statuto della Regione Sardegna, artt. 3, 7 e 8. Bilancio e contabilita' pubblica - Enti locali - Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' ed il consolidamento dei conti pubblici - Riduzione dei costi di funzionamento delle Province - Modificazione, a tal fine, dell'assetto delle funzioni e degli organi di governo dell'ente Provincia - Attribuzione alle Province di sole funzioni di indirizzo e coordinamento delle attivita' dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale - Individuazione del Presidente e del Consiglio Provinciale come unici organi della Provincia - Trasformazione del Consiglio provinciale in organo composto da dieci membri eletti dagli organi elettivi dei comuni - Elezione del Presidente da parte dello stesso Consiglio provinciale secondo modalita' stabilite con successiva legge statale - Obbligo per lo Stato e per le Regioni di trasferire ai Comuni entro il 31 dicembre 2012 le funzioni (gia') provinciali, salva l'acquisizione delle stesse da parte delle Regioni sulla base dei principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza - Attribuzione allo Stato di poteri sostitutivi in caso di inadempimento regionale - Obbligo dello Stato e delle Regioni di trasferire le risorse umane, finanziarie e strumentali per l'esercizio delle funzioni trasferite - Riserva al legislatore statale del potere di fissare la decorrenza del nuovo assetto istituzionale dell'ente locale - Assegnazione di un termine di sei mesi alle Regioni a statuto speciale per l'adeguamento alla nuova disciplina - Possibilita' per i Comuni di istituire unioni o organi di raccordo per l'esercizio di specifici compiti o funzioni amministrative, garantendo l'invarianza della spesa - Ricorso della Regione Sardegna - Denunciato declassamento della Provincia da ente costituzionalmente autonomo esponenziale della collettivita' locale, ad ente di secondo livello con mere funzioni di coordinamento dei Comuni - Denunciata violazione della competenza esclusiva regionale in materia di ordinamento degli enti locali, a tutela delle autonomie locali e del decentramento amministrativo. - Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 23, commi 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21 e 22. - Costituzione, artt. 3, 117 e 119; Statuto della Regione Sardegna, art. 3. Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' ed il consolidamento dei conti pubblici - Concorso alla manovra degli Enti territoriali ed ulteriori riduzioni di spesa - Previsione che l'aliquota di cui al comma 1, si applica anche alle Regioni a Statuto speciale e alle Province autonome di Trento e Bolzano - Previsione che, con le procedure previste dall'art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano, assicurano, a decorrere dall'anno 2012, un concorso alla finanza pubblica di 860 milioni di euro annui - Previsione, altresi', che con le medesime procedure le Regioni Valle d'Aosta e Friuli-Venezia Giulia e le Province autonome di Trento e Bolzano, assicurano alla finanza pubblica un concorso di 60 milioni di euro annui, da parte di comuni ricadenti nel proprio territorio - Previsione che, fino all'emanazione delle norme di attuazione di cui al predetto art. 27, l'importo complessivo di 920 milioni di euro e' accantonato, proporzionalmente alla media degli impegni finali registrata per ciascuna autonomia nel triennio 2007-2009 a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali e che per la Regione Siciliana si tiene conto della rideterminazione del fondo sanitario nazionale per effetto del comma 2 - Ricorso della Regione Sardegna - Denunciata ulteriore rilevante sottrazione di risorse ed attribuzione di oneri alle Regioni speciali ed alle Province autonome, in contrasto con il regime finanziario disciplinato dallo Statuto - Denunciata violazione della competenza regionale in materia sanitaria e di trasporti - Denunciata lesione del principio di ragionevolezza. - Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 28, comma 3. - Costituzione, artt. 3, 117 e 119; Statuto della Regione Sardegna, artt. 3, 4, 5, 7 e 8. Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' ed il consolidamento dei conti pubblici - Previsione che il fondo sperimentale di riequilibrio, come determinato ai sensi dell'art. 2 del d.lgs. n. 23 del 2011 e il fondo perequativo, come determinato ai sensi dell'art. 13 del medesimo d.lgs. n. 23 del 2011, ed i trasferimenti erariali dovuti ai comuni della Regione Siciliana e della Regione Sardegna sono ridotti di ulteriori 1450 milioni di euro per gli anni 2012 e successivi - Previsione che il fondo sperimentale di riequilibrio, come determinato ai sensi dell'art. 21 del d.lgs. n. 68 del 2011, e il fondo perequativo, come determinato ai sensi dell'art. 23 del medesimo d.lgs. n. 68 del 2011, ed i trasferimenti erariali dovuti ai comuni della Regione Siciliana e della Regione Sardegna sono ridotti di ulteriori 415 milioni di euro per gli anni 2012 e successivi - Previsione che la riduzione di cui al comma 7 e' ripartita in proporzione alla distribuzione dell'IMUP sperimentale di cui all'art. 13 del decreto impugnato - Previsione che la riduzione di cui al comma 8 e' ripartita proporzionalmente - Previsione, al fine di potenziare il coordinamento della finanza pubblica, dell'avvio della ridefinizione delle regole del patto di stabilita' interno - Ricorso della Regione Sardegna - Denunciata lesione dell'autonomia finanziaria regionale disciplinata dallo Statuto. - Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 28, commi 6, 7, 8, 9, 10 e 11-ter. - Costituzione, artt. 3, 117 e 119; Statuto della Regione Sardegna, artt. 3, 4, 5, 7 e 8. Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' ed il consolidamento dei conti pubblici - Esercizi commerciali - Eliminazione per le attivita' commerciali dei limiti agli orari di apertura e di chiusura ed abolizione dell'obbligo della chiusura domenicale e festiva nonche' della mezza giornata di chiusura infrasettimanale - Previsione, quale principio generale dell'ordinamento, della liberta' di apertura di nuovi esercizi commerciali senza limiti o prescrizioni di alcun genere, tranne quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori e dell'ambiente, con l'onere per le Regioni e gli enti locali di adeguare i loro ordinamenti entro il termine di 90 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione - Ricorso della Regione Sardegna - Denunciata violazione della sfera di competenza regionale esclusiva in materia di esercizi commerciali e loro ubicazione. - Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 31. - Costituzione, artt. 3 e 117; Statuto della Regione Sardegna, artt. 3, 4 e 5. Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' ed il consolidamento dei conti pubblici - Previsione che le maggiori entrate erariali, derivanti dal decreto-legge impugnato, siano riservate all'Erario, per un periodo di cinque anni, per essere destinato alle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea - Previsione che con apposito decreto del Ministero dell'economia e delle finanze sono stabilite le modalita' di individuazione del maggior gettito, attraverso separata contabilizzazione - Previsione, altresi', che, ferme restando le disposizioni degli artt. 13, 14 e 28, nonche' quelle recate dall'articolo impugnato, con le norme statutarie, sono definiti le modalita' di applicazione e gli effetti finanziari del d.l. impugnato per le Regioni a statuto speciale e per le Province di Trento e Bolzano - Ricorso della Regione Sardegna - Denunciata lesione dell'autonomia finanziaria regionale disciplinata dallo Statuto. - Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 48. - Costituzione, artt. 3, 117 e 119; Statuto della Regione Sardegna, artt. 7 e 8.(GU n.16 del 18-4-2012 )
Ricorso della regione autonoma della Sardegna (cod. fisc. 80002870923), in persona del Presidente pro-tempore Dott. Ugo Cappellacci, rappresentata e difesa, giusta procura a margine del presente atto e in forza della deliberazione della Giunta regionale della Regione Autonoma della Sardegna n. 7/1 del 16 febbraio 2012, dagli Avv.ti Tiziana Ledda (cod. fisc. LDDTZN52T59B354Q, PEC - Posta Elettronica Certificata tledda@pec.regione.sardegna.it) e Prof. Massimo Luciani (cod. fisc. LCNMSM52L23H501G, PEC - Posta Elettronica Certificata massimoluciani@ordineavvocatiroma.org), ed elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo in Roma, Via Bocca di Leone, n. 78; Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente pro tempore, per la dichiarazione dell'illegittimita' costituzionale degli articoli 13, 14, comma 13-bis, 1°, 2° e 3° periodo, 16, commi da 2 a 15-bis, 23, commi da 14 a 22, 28, commi 3, 7, 8, 9, 10 e 11-ter, 31 e 48, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, pubblicato in G.U. n. alla Gazz. Uff., 6 dicembre 2011, n. 284, Suppl. ordinario n. 251, convertito in legge 22 dicembre 2011, n. 214, pubblicata in G.U. 27 dicembre 2011, n. 300, Suppl. Ordinario n. 276. F a t t o 1. Il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge 22 dicembre 2011, n. 214, e recante "Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici", e' intervenuto in una vasta pluralita' di materie, che - per citare solo alcuni esempi - vanno dagli aiuti alla crescita economica (art. 1) alle detrazioni per gli interventi di ristrutturazione (art. 4); dalle misure per la stabilizzazione del sistema creditizio (art. 8) a quelle misure per il contrasto dell'evasione (artt. 10 sgg.); dalle misure per la riduzione della spesa (artt. 21 sgg.) a quelle per la riduzione del debito pubblico (artt. 25 sgg.); dalle misure per lo sviluppo industriale (artt. 38 sgg.) a quelle per lo sviluppo infrastrutturale (artt. 41 sgg.). E' agevole constatare che alla realizzazione del vasto programma delineato da tale decreto-legge sono state chiamate anche le autonomie territoriali. Non e' giustificabile, pero', che per alcuni significativi profili il concorso di tali autonomie (in particolare di quelle regionali, e ancor piu' in particolare della Regione Sardegna) sia stato strutturato in forme e con contenuti del tutto illegittimi. 2. Specificamente illegittimi, e violativi delle attribuzioni della ricorrente, sono, nelle parti indicate in epigrafe e che appresso meglio si identificheranno, gli articoli 13, 14, comma 13-bis, 16, commi da 2 a 15-bis, 23, commi da 14 a 22, 28, commi 3, 7, 8, 9, 10 e 11-ter, 31 e 48. Essi debbono essere pertanto dichiarati costituzionalmente illegittimi per i seguenti motivi di D i r i t t o 1. Preliminarmente, e' opportuno ricordare che le disposizioni oggi impugnate irrompono in un contesto normativo nel quale, per quanto specificamente riguarda la Regione Autonoma della Sardegna (hinc inde: Regione o Sardegna), campeggia l'art. 1, comma 834, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, che ha modificato alcune delle disposizioni piu' qualificanti del Titolo III dello Statuto, recate dall'art. 8, in materia di fonti delle entrate regionali. 1.1. In base alle disposizioni cosi' novellate, le entrate della Regione Sardegna derivano "a) dai sette decimi del gettito delle imposte sul reddito delle persone fisiche e sul reddito delle persone giuridiche riscosse nel territorio della regione; b) dai nove decimi del gettito delle imposte sul bollo, di registro, ipotecarie, sul consumo dell'energia elettrica e delle tasse sulle concessioni governative percette nel territorio della regione; c) dai cinque decimi delle imposte sulle successioni e donazioni riscosse nel territorio della regione; d) dai nove decimi dell'imposta di fabbricazione su tutti i prodotti che ne siano gravati, percetta nel territorio della regione; e) dai nove decimi della quota fiscale dell'imposta erariale di consumo relativa ai prodotti dei monopoli dei tabacchi consumati nella regione; f) dai nove decimi del gettito dell'imposta sul valore aggiunto generata sul territorio regionale da determinare sulla base dei consumi regionali delle famiglie rilevati annualmente dall'ISTAT; g) dai canoni per le concessioni idroelettriche; h) da imposte e tasse sul turismo e da altri tributi propri che la regione ha facolta' di istituire con legge in armonia con i principi del sistema tributario dello Stato; i) dai redditi derivanti dal proprio patrimonio e dal proprio demanio; l) da contributi straordinari dello Stato per particolari piani di opere pubbliche e di trasformazione fondiaria; m) dai sette decimi di tutte le entrate erariali, dirette o indirette, comunque denominate, ad eccezione di quelle di spettanza di altri enti pubblici". L'art. 8 dello Statuto, nella sua formulazione originaria, disponeva invece che le entrate della Regione fossero costituite: "dai nove decimi del gettito delle imposte erariali sui terreni e sui fabbricati situati nel territorio della Regione e dell'imposta sui redditi agrari dei terreni situati nello stesso territorio; dai nove decimi dell'imposta di ricchezza mobile riscossa nel territorio della Regione; dai nove decimi del gettito delle tasse di bollo, sulla manomorta, in surrogazione del registro e del bollo, sulle concessioni governative, dell'imposta ipotecaria, dell'imposta di fabbricazione del gas e dell'energia elettrica, percette nel territorio della Regione; dai nove decimi della quota fiscale dell'imposta erariale di consumo relativa ai prodotti dei monopoli del tabacchi consumati nella Regione; da una quota dell'imposta generale sull'entrata di competenza dello Stato, riscossa nella Regione, da determinarsi preventivamente per ciascun anno finanziario d'accordo fra lo Stato e la Regione, in relazione alle spese necessarie ad adempiere le funzioni normali della Regione; dai canoni per le concessioni idroelettriche; dai contributi di miglioria ed a spese per opere determinate, da imposte e tasse sul turismo e da altri tributi propri, che la Regione ha facolta' di istituire con legge, in armonia coi principi del sistema tributario dello Stato; da redditi patrimoniali; da contributi straordinari dello Stato per particolari piani di opere pubbliche e di trasformazioni fondiarie". Le misure previste dalle nuove disposizioni statutarie non hanno avuto ancora piena e corretta esecuzione per la colpevole inerzia dello Stato, inerzia che la Regione Sardegna ha gia' censurato promuovendo innanzi codesta Ecc.ma Corte costituzionale i giudizi iscritti al n. 8 Reg. Confl. Enti 2011 e ai nn. 96 e 160 Reg. Ric. 2011. Proprio quelle previsioni, pero', sono di centrale importanza anche nella presente controversia, in una con gli altri parametri che verranno appresso richiamati. 1.2. La riforma dell'art. 8 dello Statuto si e' resa necessaria per permettere alla Regione di far fronte all'evoluzione complessiva della realta' economico-finanziaria territoriale e nazionale. Di questo e' testimonianza il carteggio intervenuto tra il Ragioniere Generale dello Stato e la medesima Regione tra l'agosto e il settembre del 2005, relativamente alla misura delle entrate di maggiore rilevanza per le finanze regionali: la compartecipazione all'imposta sul reddito e la compartecipazione all'I.V.A. Con nota del 3 agosto 2005, prot. n. 0102482, il Ragioniere Generale rappresentava di aver presentato, nell'ambito del precedente sistema di compartecipazione al gettito d'imposta, che prevedeva una determinazione annuale in merito, una proposta di quantificazione delle quote di compartecipazione I.V.A. "nell'attesa che si proceda alla revisione dell'ordinamento finanziario che consenta di trasformare la compartecipazione IVA da quota variabile a quota fissa", e che tale proposta era stata predisposta "abbandonando [...] il criterio incrementale del tasso di inflazione che, comportando nel tempo la progressiva svalutazione in termini reali del cespite regionale, ha di fatto svilito lo strumento di garanzia previsto dallo Statuto, che mirava a consentire il tempestivo adeguamento delle entrate regionali alle mutevoli necessita' di spesa derivanti dall'espletamento delle funzioni normali della Regione". Con nota del 2 settembre 2005, prot. n. 0112371, ancora il Ragioniere Generale rappresentava che "il gettito IRPEF regionale [...] registra una crescita, nell'arco temporale considerato [1991-2003], pari all'1,9%, avallando, pertanto, la tesi della Regione circa l'anomalo trend dell'IRPEF regionale rispetto a quello nazionale". E' proprio in considerazione della palese insufficienza (esplicitamente riconosciuta dallo Stato) del quadro finanziario delle entrate regionali che si e' addivenuti alla seconda modifica dell'art. 8 dello Statuto, intervenuta, come si e' gia' detto, nel 2006, con la quale - fra l'altro - si e' aggiunto il canale di finanziamento relativo ai "sette decimi di tutte le entrate erariali, dirette o indirette, comunque denominate, ad eccezione di quelle di spettanza di altri enti pubblici" e - per l'appunto in coerenza con i rilievi sopra riportati - si e' introdotta la quota fissa di compartecipazione all'I.V.A. maturata nella Regione Sardegna (v., rispettivamente, lett. m) e f) dell'art. 8, comma 1, nella formulazione vigente). Risulta dunque per tabulas, sia dalla posizione assunta dallo Stato nell'interlocuzione con la Regione, sia (e soprattutto) dal contenuto normativo della novella statutaria del 2006, che il regime delle entrate regionali e' stato modificato al fine permettere alla Sardegna di assolvere ai propri compiti istituzionali, in considerazione delle condizioni fattuali e normative maturate nel tempo. Come la Regione Sardegna ha lamentato nei gia' menzionati ricorsi iscritti al n. 8 del Reg. Confl. Enti 2011 e al n. 96 Reg. Ric. 2011, lo Stato, dopo aver riconosciuto l'inadeguatezza del vecchio regime, si e' illegittimamente sottratto al procedimento necessario per dare esecuzione al nuovo, arrecando un nuovo vulnus all'autonomia regionale. 1.3. Ancora in via preliminare, e' opportuno precisare che la violazione dell'art. 8 dello Statuto di autonomia puo' e deve essere censurata (anche in questa sede, come gia' nei menzionati ricorsi nn. 8 Reg. Confl. Enti 2011 e nn. 96 e 169 Reg. Ric. 2011) sebbene l'art. 8 di tale Statuto sia stato modificato con legge ordinaria, ai sensi del successivo art. 54. La qualita' di parametri dei giudizi di legittimita' costituzionale, invero, deve essere riconosciuta anche alle disposizioni del Titolo III dello Statuto speciale della Sardegna che, ai sensi dell'art. 54, comma 5, dello Statuto medesimo, possono essere modificate con legge ordinaria, previo parere della Regione. Tali disposizioni, infatti, sebbene sottoposte a quello che e' stato definito un processo di "decostituzionalizzazione" (come codesta Ecc.ma Corte ha affermato nella sent. n. 70 del 1987), costituiscono pur sempre precetti che il legislatore statale deve rispettare, in quanto il procedimento di modificazione della norma statutaria e' comunque "assistito da una garanzia del tutto peculiare a favore della Regione sarda", sicche' la legge statale non puo' derogare la norma in questione, ma puo' solo modificarla con lo speciale procedimento di cui all'art. 54 dello Statuto (cosi' ancora la cit. sent. n. 70 del 1987, cui adde le pur meno dirette affermazioni della sent. n. 215 del 1996). 1.4. Da ultimo, al fine di agevolare lo svolgimento delle ulteriori argomentazioni senza dover tediare codesto Ecc.mo Collegio con inutili ripetizioni, valga di qui in avanti la precisazione che gli articoli della Costituzione che riconoscono attribuzioni costituzionali alle Regioni ordinarie sono richiamati ai sensi dell'art. 10 della l. cost. n. 3 del 2001, che estende alle Regioni a statuto speciale le disposizioni di maggior favore previste per le Regioni ordinarie nelle more della revisione dei loro statuti. 2. Illegittimita' costituzionale dell'art. 13 del d.l. n. 201 del 2011, come conv. in 1. n. 214 del 2011, per violazione degli artt. 3, 7 e 8 dello Statuto speciale della Regione Autonoma della Sardegna (l. cost. n. 3 del 1948) e degli artt. 117 e 119 della Costituzione. Per comodita' di' lettura del presente gravame anzitutto si riporta (e lo si fara' anche per gli altri articoli censurati) il testo delle disposizioni impugnate. L'art. 13 del d.l. n. 201 del 2011, cosi' come conv. in 1. n. 214 del 2011, reca il titolo "Anticipazione sperimentale dell'imposta municipale propria" e dispone che: "1. L'istituzione dell'imposta municipale propria e' anticipata, in via sperimentale, a decorrere dall'anno 2012, ed e' applicata in tutti i comuni del territorio nazionale fino al 2014 in base agli articoli 8 e 9 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, in quanto compatibili, ed alle disposizioni che seguono. Conseguentemente l'applicazione a regime dell'imposta municipale propria e' fissata al 2015. 2. L'imposta municipale propria ha per presupposto il possesso di immobili di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, ivi comprese l'abitazione principale e le pertinenze della stessa. Per abitazione principale si intende l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unita' immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente. Per pertinenze dell'abitazione principale si intendono esclusivamente quelle classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, nella misura massima di un'unita' pertinenziale per ciascuna delle categorie catastali indicate, anche se iscritte in catasto unitamente all'unita' ad uso abitativo. 3. La base imponibile dell'imposta municipale propria e' costituita dal valore dell'immobile determinato ai sensi dell'articolo 5, commi 1, 3, 5 e 6 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, e dei commi 4 e 5 del presente articolo. 4. Per i fabbricati iscritti in catasto, il valore e' costituito da quello ottenuto applicando all'ammontare delle rendite risultanti in catasto, vigenti al 1° gennaio dell'anno di imposizione, rivalutate del 5 per cento ai sensi dell'articolo 3, comma 48, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, i seguenti moltiplicatori: a) 160 per i fabbricati classificati nel gruppo catastale A e nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, con esclusione della categoria catastale A/10; b) 140 per i fabbricati classificati nel gruppo catastale B e nelle categorie catastali C/3, C/4 e C/5; b-bis) 80 per i fabbricati classificati nella categoria catastale D/5; c) 80 per i fabbricati classificati nella categoria catastale A/10; d) 60 per i fabbricati classificati nel gruppo catastale D, ad eccezione dei fabbricati classificati nella categoria catastale D/5; tale moltiplicatore e' elevato a 65 a decorrere dal 1 ° gennaio 2013; e) 55 per i fabbricati classificati nella categoria catastale C/1. 5. Per i terreni agricoli, il valore e' costituito da quello ottenuto applicando all'ammontare del reddito dominicale risultante in catasto, vigente al 1° gennaio dell'anno di imposizione, rivalutato del 25 per cento ai sensi dell'articolo 3, comma 51, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, un moltiplicatore pari a 130. Per i coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola il moltiplicatore e' pari a 110. 6. L'aliquota di base dell'imposta e' pari allo 0,76 per cento. I comuni con deliberazione del consiglio comunale, adottata ai sensi dell'articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, possono modificare, in aumento o in diminuzione, l'aliquota di base sino a 0,3 punti percentuali. 7. L'aliquota e' ridotta allo 0,4 per cento per l'abitazione principale e per le relative pertinenze. I comuni possono modificare, in aumento o in diminuzione, la suddetta aliquota sino a 0,2 punti percentuali. 8. L'aliquota e' ridotta allo 0,2 per cento per i fabbricati rurali ad uso strumentale di cui all'articolo 9, comma 3-bis, del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133. I comuni possono ridurre la suddetta aliquota fino allo 0,1 per cento. 9. I comuni possono ridurre l'aliquota di base fino allo 0,4 per cento nel caso di immobili non produttivi di reddito fondiario ai sensi dell'articolo 43 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, ovvero nel caso di immobili posseduti dai soggetti passivi dell'imposta sul reddito delle societa', ovvero nel caso di immobili locali. 10. Dall'imposta dovuta per l'unita' immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo e per le relative pertinenze, si detraggono, fino a concorrenza del suo ammontare, euro 200 rapportati al periodo dell'anno durante il quale si protrae tale destinazione; se l'unita' immobiliare e' adibita ad abitazione principale da piu' soggetti passivi, la detrazione spetta a ciascuno di essi proporzionalmente alla quota per la quale la destinazione medesima si verifica. Per gli anni 2012 e 2013, la detrazione prevista dal primo periodo e' maggiorata di 50 euro per ciascun figlio di eta' non superiore a ventisei anni, purche' dimorante abitualmente e residente anagraficamente nell'unita' immobiliare adibita ad abitazione principale. L'importo complessivo della maggiorazione, al netto della detrazione di base, non puo' superare l'importo massimo di euro 400. I comuni possono disporre l'elevazione dell'importo della detrazione, fino a concorrenza dell'imposta dovuta, nel rispetto dell'equilibrio di bilancio. In tal caso il comune che ha adottato detta deliberazione non puo' stabilire un'aliquota superiore a quella ordinaria per le unita' immobiliari tenute a disposizione. La suddetta detrazione si applica alle unita' immobiliari di cui all'articolo 8, comma 4, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504. L'aliquota ridotta per l'abitazione principale e per le relative pertinenze e la detrazione si applicano anche alle fattispecie di cui all'articolo 6, comma 3-bis, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 e i comuni possono prevedere che queste si applichino anche ai soggetti di cui all'articolo 3, comma 56, della legge 23 dicembre 1996, n. 662. 11. E' riservata allo Stato la quota di imposta pari alla meta' dell'importo calcolato applicando alla base imponibile di tutti gli immobili, ad eccezione dell'abitazione principale e delle relative pertinenze di cui al comma 7, nonche' dei fabbricati rurali ad uso strumentale di cui al comma 8, l'aliquota di base di cui al comma 6, primo periodo. La quota di imposta risultante e' versata allo Stato contestualmente all'imposta municipale propria. Le detrazioni previste dal presente articolo, nonche' le detrazioni e le riduzioni di aliquota deliberate dai comuni non si applicano alla quota di imposta riservata allo Stato di cui al periodo precedente. Per l'accertamento, la riscossione, i rimborsi, le sanzioni, gli interessi ed il contenzioso si applicano le disposizioni vigenti in materia di imposta municipale propria. Le attivita' di accertamento e riscossione dell'imposta erariale sono svolte dal comune al quale spettano le maggiori somme derivanti dallo svolgimento delle suddette attivita' a titolo di imposta, interessi e sanzioni. 12. Il versamento dell'imposta, in deroga all'articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e' effettuato secondo le disposizioni di cui all'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, con le modalita' stabilite con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate. 13. Restano ferme le disposizioni dell'articolo 9 e dell'articolo 14, commi 1 e 6 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23. All'articolo 14, comma 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, le parole: «dal 1° gennaio 2014», sono sostituite dalle seguenti: «dal 1° gennaio 2012». Al comma 4 dell'articolo 14 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, ai commi 3 degli articoli 23, 53 e 76 del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507 e al comma 31 dell'articolo 3 della legge 28 dicembre 1995, n. 549, le parole «ad un quarto» sono sostituite dalle seguenti «alla misura stabilita dagli articoli 16 e 17 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472». Ai fini del quarto comma dell'articolo 2752 del codice civile il riferimento alla «legge per la finanza locale» si intende effettuato a tutte disposizioni che disciplinano i singoli tributi comunali e provinciali. La riduzione dei trasferimenti erariali di cui ai commi 39 e 46 dell'articolo 2 del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, e successive modificazioni, e' consolidata, a decorrere dall'anno 2011, all'importo risultante dalle certificazioni di' cui al decreto 7 aprile 2010 del Ministero dell'economia e delle finanze emanato, di concerto con il Ministero dell'interno, in attuazione dell'articolo 2, comma 24, della legge 23 dicembre 2009, n. 191. 14. Sono abrogate, a decorrere dal 1° gennaio 2012, le seguenti disposizioni: a) l'articolo 1 del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, convertito con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126; b) il comma 3, dell'articolo 58 e le lettere d), e) ed h) del comma 1, dell'articolo 59 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446; c) l'ultimo periodo del comma 5 dell'articolo 8 e il comma 4 dell'articolo 9 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23; d) il comma 1-bis dell'articolo 23 del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14; d-bis) i commi 2-bis, 2-ter e 2-quater dell'articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106. 14-bis. Le domande di variazione della categoria catastale presentate, ai sensi del comma 2-bis dell'articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, anche dopo la scadenza dei termini originariamente posti e fino alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, producono gli effetti previsti in relazione al riconoscimento del requisito di ruralita', fermo restando il classamento originario degli immobili rurali ad uso abitativo. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono stabilite le modalita' per l'inserimento negli atti catastali della sussistenza del requisito di ruralita', fermo restando il classamento originario degli immobili rurali ad uso abitativo. 14-ter. I fabbricati rurali iscritti nel catasto dei terreni, con esclusione di quelli che non costituiscono oggetto di inventariazione ai sensi dell'articolo 3, comma 3, del decreto del Ministro delle finanze 2 gennaio 1998, n. 28, devono essere dichiarati al catasto edilizio urbano entro il 30 novembre 2012, con le modalita' stabilite dal decreto del Ministro delle finanze 19 aprile 1994, n. 701. 14-quater. Nelle more della presentazione della dichiarazione di aggiornamento catastale di cui al comma 14-ter, l'imposta municipale propria e' corrisposta, a titolo di acconto e salvo conguaglio, sulla base della rendita delle unita' similari gia' iscritte in catasto. Il conguaglio dell'imposta e' determinato dai comuni a seguito dell'attribuzione della rendita catastale con le modalita' di cui al decreto del Ministro delle finanze 19 aprile 1994, n. 701. In caso di inottemperanza da parte del soggetto obbligato, si applicano le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 336, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, salva l'applicazione delle sanzioni previste per la violazione degli articoli 20 e 28 del regio decreto-legge 13 aprile 1939, n. 652, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249, e successive modificazioni. 15. A decorrere dall'anno d'imposta 2012, tutte le deliberazioni regolamentari e tariffarie relative alle entrate tributarie degli enti locali devono essere inviate al Ministero dell'economia e delle finanze, Dipartimento delle finanze, entro il termine di cui all'articolo 52, comma 2, del decreto legislativo n. 446 del 1997, e comunque entro trenta giorni dalla data di scadenza del termine previsto per l'approvazione del bilancio di previsione. Il mancato invio delle predette deliberazioni nei termini previsti dal primo periodo e' sanzionato, previa diffida da parte del Ministero dell'interno, con il blocco, sino all'adempimento dell'obbligo dell'invio, delle risorse a qualsiasi titolo dovute agli enti inadempienti. Con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dell'interno, di natura non regolamentare sono stabilite le modalita' di attuazione, anche graduale, delle disposizioni di cui ai primi due periodi del presente comma. Il Ministero dell'economia e delle finanze pubblica, sul proprio sito informatico, le deliberazioni inviate dai comuni. Tale pubblicazione sostituisce l'avviso in Gazzetta Ufficiale previsto dall'articolo 52, comma 2, terzo periodo, del decreto legislativo n. 446 del 1997. 16. All'articolo 1, comma 4, ultimo periodo del decreto legislativo 28 settembre 1998, n. 360, le parole «31 dicembre» sono sostituite dalle parole: «20 dicembre». All'articolo 1, comma 11, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, le parole da «differenziate» a «legge statale» sono sostituite dalle seguenti: «utilizzando esclusivamente gli stessi scaglioni di reddito stabiliti, ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, dalla legge statale, nel rispetto del principio di progressivita'». L'Agenzia delle Entrate provvede all'erogazione dei rimborsi dell'addizionale comunale all'imposta sul reddito delle persone fisiche gia' richiesti con dichiarazioni o con istanze presentate entro la data di entrata in vigore del presente decreto, senza far valere l'eventuale prescrizione decennale del diritto dei contribuenti. 17. Il fondo sperimentale di riequilibrio, come determinato ai sensi dell'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, e il fondo perequativo, come determinato ai sensi dell'articolo 13 del medesimo decreto legislativo n. 23 del 2011, ed i trasferimenti erariali dovuti ai comuni della Regione Siciliana e della Regione Sardegna variano in ragione delle differenze del gettito stimato ad aliquota di base derivanti dalle disposizioni di cui al presente articolo. In caso di incapienza ciascun comune versa all'entrata del bilancia dello Stato le somme residue. Con le procedure previste dall'articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, le regioni Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta, nonche' le Province autonome di Trento e di Bolzano, assicurano il recupero al bilancio statale del predetto maggior gettito stimato dei comuni ricadenti nel proprio territorio. Fino all'emanazione delle norme di attuazione di cui allo stesso articolo 27, a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali, e' accantonato un importo pari al maggior gettito stimato di cui al precedente periodo. L'importo complessivo della riduzione del recupero di cui al presente comma e' pari per l'anno 2012 a 1.627 milioni di euro, per l'anno 2013 a 1.762,4 milioni di euro e per l'anno 2014 a 2.162 milioni di euro. 18. All'articolo 2, comma 3, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 dopo le parole: «gettito di cui ai commi 1 e 2», sono aggiunte le seguenti: «nonche', per gli anni 2012, 2013 e 2014, dalla compartecipazione di cui al comma 4». 19. Per gli anni 2012, 2013 e 2014, non trovano applicazione le disposizioni recate dall'ultimo periodo del comma 4 dell'articolo 2, nonche' dal comma 10 dell'articolo 14 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23. 19-bis. Per gli anni 2012, 2013 e 2014, il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui all'articolo 2, comma 4, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, e' esclusivamente finalizzato a fissare la percentuale di compartecipazione al gettito dell'imposta sul valore aggiunto, nel rispetto dei saldi di finanza pubblica, in misura finanziariamente equivalente alla compartecipazione del 2 per cento del gettito dell'imposta sul reddito delle persone fisiche. 20. La dotazione del fondo di solidarieta' per i mutui per l'acquisto della prima casa e' incrementata di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2012 e 2013". 2.1. Come si vede, l'articolo ora riportato dispone l'anticipazione sperimentale gia' per l'anno 2012 dell'imposta municipale propria, tributo di nuova istituzione disciplinato dal d.lgs. n. 23 del 2011. L'applicazione di tale tributo nelle Regioni a statuto speciale risultava inizialmente subordinata, in ragione dell'art. 14, comma 3, del cit. d.lgs. n. 23 del 2011, all'adozione di specifiche "modalita'" da parte delle stesse autonomie speciali "in conformita' con i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione". Erano fatte salve, poi, (comma 2) le "procedure previste dall'articolo 27 della [...] legge n. 42 del 2009". Tanto, al fine di garantire - fra l'altro - la neutralita' finanziaria, il necessario coordinamento tra Stato e Regione in materia di finanza locale, la considerazione dei livelli di reddito e dei costi connessi all'insularita'. Il rinvio a particolari procedure di attuazione, originariamente previsto, riprendeva un modello regolativo correttamente rispettoso delle competenze delle Regioni a statuto speciale che, con forme diverse, era stato gia' sperimentato nell'ordinamento tributario, anche prima dell'approvazione della l. n. 42 del 2009. Basti pensare, a tal proposito, a quanto disposto dall'art. 1, comma 8, della 1. n. 244 del 2007 (legge finanziaria del 2008) che, in tema di rimborso dell'ICI per i Comuni situati nelle Regioni a Statuto speciale prevedeva che "In relazione alle competenze attribuite alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano in materia di finanza locale, i rimborsi di cui al comma 7 sono disposti a favore dei citati enti, che provvedono all'attribuzione delle quote dovute ai comuni compresi nei rispettivi territori, nel rispetto degli statuti speciali e delle relative norme di attuazione". 2.2. Inopinatamente, l'imposta municipale propria e' stata modificata dall'art. 13 del d.l. n. 201 del 2011 in piu' parti rispetto al testo originariamente stabilito, e senza piu' prevedere, in ordine alle modalita' applicative nelle Regioni a Statuto speciale, il previo passaggio attraverso la ricordata procedura di attuazione ed esecuzione e anzi stabilendo, al comma 1 del medesimo art. 13, l'applicazione immediata a tutti i comuni su tutto il territorio nazionale. In questo modo e' stata disattesa la precedente previsione normativa volta a garantire le peculiarita' dei sistemi finanziari dei territori ad autonomia differenziata e l'invarianza di gettito delle loro entrate. Risultano cosi' violati gli artt. 7 e 8 dello Statuto della Regione Sardegna, che garantiscono alla Regione stessa un'adeguata autonomia finanziaria, e sono parimenti violati gli artt. 117 e 119 della Costituzione, che confermano la tutela della particolare autonomia economico-finanziaria della Regione e attribuiscono alla Sardegna la competenza concorrente nella materia del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. 2.3. Nell'esame delle disposizioni censurate, poi, si deve considerare la specifica competenza della Regione Sardegna nella materia "finanza locale". Essa e' di sicura spettanza regionale, in ragione dell'artt. 3, comma 1, lett. b) ("la Regione ha potesta' legislativa nelle seguenti materie: b) ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni)" e 7 ("La Regione ha una propria finanza, coordinata con quella dello Stato, in armonia con i principi della solidarieta' nazionale, nei modi stabiliti dagli articoli seguenti") dello statuto speciale. Si deve aggiungere anche che, ai sensi dell'art. 8 del d.P.R. 19 giugno 1979, n. 348, recante "Norme di attuazione dello statuto speciale per la Sardegna in riferimento alla L. 22 luglio 1975, n. 382, e al d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616", "Lo Stato determina gli obiettivi della programmazione economica nazionale con il concorso della regione" (comma 1); "La regione determina i programmi regionali di sviluppo, in armonia con gli obiettivi della programmazione economica nazionale e con il concorso degli enti locali territoriali e degli organismi comprensoriali, secondo le modalita' indicate nella propria legislazione" (comma 2); "Nei programmi regionali di sviluppo gli interventi di competenza regionale sono coordinati con quelli dello Stato e con quelli di competenza degli enti locali territoriali" (comma 3); "La programmazione costituisce riferimento per il coordinamento della finanza pubblica" (comma 4). Previsioni, queste, che dimostrano - tutte - come la Regione Sardegna goda di un consistente margine di autonomia nella materia che ne occupa, che, pur dovendo coordinarsi con gli indirizzi statali, non puo' essere certamente annullata, come vorrebbe il legislatore statale con la disposizioni censurate. Anche codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha ribadito che la competenza della Regione Sardegna in materia di finanza locale e' esclusiva e come tale deve essere tutelata. Come si legge nella sent. n. 275 del 2007, infatti, la "materia della finanza locale, [...] per la Regione sarda, e' devoluta alla competenza legislativa esclusiva della Regione in forza dell'art. 3, lettera b), del relativo statuto speciale" (ma v. anche la sent. n. 102 del 2008 circa la specifica autonomia che lo Statuto attribuisce alla Regione Sardegna nella materia dell'imposizione fiscale e, seppure in maniera meno evidente, la sent. n. 229 del 2011). Anche alla luce delle considerazioni ora svolte, appare chiaro che l'art. 13 del d.1. n. 201 del 2011 viola le attribuzioni costituzionali della Regione Sardegna, (anche) perche' non lascia alla Regione alcun ambito di autonoma regolamentazione di un tipico tributo locale. 2.4. Non solo. Dal complesso delle disposizioni contenute nel censurato art. 13 risulta violato per un altro profilo l'art. 3 dello Statuto della Regione Sardegna che, al comma 1, lett. b), attribuisce alla Regione la competenza nella materia "ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni", atteso che alla lesione dell'autonomia finanziaria degli enti locali corrisponde la lesione della relativa competenza normativa regionale generale. Sono, inoltre, nuovamente violati anche gli artt. 7 e 8 dello Statuto, in quanto il finanziamento inadeguato delle autonomie locali, che consegue al mancato rispetto della procedura di cui alla l. n. 42 del 2009 e al d.lgs. n. 23 del 2011 (nonche', come appresso si vedra', all'esclusione della compensazione statale per la soppressione dell'ICI) comporta vincoli e pregiudizi tangibili all'autonomia finanziaria regionale, costretta a far fronte al depauperamento delle risorse comunali con uno specifico sostegno finanziario. 2.5. La lesione delle attribuzioni della ricorrente e' ancor piu' evidente in riferimento al comma 11 dell'art. 13 del d.l. n. 201 del 2011, in cui si prevede che "e' riservata allo Stato la quota di imposta pari alla meta' dell'importo calcolato applicando alla base imponibile di tutti gli immobili, ad eccezione dell'abitazione principale e delle relative pertinenze di cui al comma 7, nonche' dei fabbricati rurali ad uso strumentale di cui al comma 8, l'aliquota di base di cui al comma 6, primo periodo". In questo modo, infatti, la legislazione statale elude il regime di compartecipazione previsto dall'art. 8, comma 1, lett. m), dello Statuto della Regione Sardegna, il quale prevede che "Le entrate della regione sono costituite [...] m) dai sette decimi di tutte le entrate erariali, dirette o indirette, comunque denominate, ad eccezione di quelle di spettanza di altri enti pubblici". A questo proposito si deve anche considerare che l'I.M.U., ai sensi dell'art. 8 del d.lgs. n. 23 del 2011, "sostituisce, per la componente immobiliare, l'imposta sul reddito delle persone fisiche e le relative addizionali dovute in relazione ai redditi fondiari relativi ai beni non locati". Cio' significa che il legislatore statale, con la disposizione in esame, da una parte ha eliminato una forma di imposizione cui la Regione compartecipava ai sensi dell'art. 8, comma 1, lett. a), dello Statuto, in cui si dispone che "Le entrate della regione sono costituite: a) dai sette decimi del gettito delle imposte sul reddito delle persone fisiche e sul reddito delle persone giuridiche riscosse nel territorio della regione"), dall'altra ha reso il medesimo indicatore di reddito/presupposto di imposta (la proprieta' immobiliare) soggetto ad altra forma di imposizione, dalla quale la Regione e' esplicitamente esclusa. Tutto cio' considerato, l'art. 13 del d.1. n. 201 del 2011, come conv. in 1. n. 214 del 2011, viola (oltre che per quelli gia' segnalati) anche per questi ulteriori profili l'art. 8 dello Statuto, che, come indicato, attribuisce alla Regione una partecipazione maggioritaria alle entrate che lo Stato, ora, vorrebbe riservarsi. Ulteriormente violato e' anche l'art. 7 dello Statuto, in quanto la compartecipazione alle entrate e' elemento consustanziale e necessario alla garanzia dell'autonomia finanziaria regionale. E ulteriormente violati, anche per il profilo segnalato, sono anche gli artt. 117 e 119 Cost., della Costituzione, che confermano la tutela della particolare autonomia economico-finanziaria della Regione e attribuiscono alla Sardegna la competenza concorrente nella materia del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. 2.6. Specificamente lesivo il comma 11 del censurato art. 13 lo e' anche nella parte in cui prevede che "le attivita' di accertamento e riscossione dell'imposta erariale sono svolte dal comune al quale spettano le maggiori somme derivanti dallo svolgimento delle suddette attivita' a titolo di imposta, interessi e sanzioni" (ultimo periodo). In questo modo la Regione e' esclusa dalla quota di compartecipazione alle entrate statali che e' prevista dall'art. 8 dello Statuto anche per il semplice fatto che l'attivita' di riscossione, per elementi di patologia non certo dovuti alla Regione medesima, genera "interessi e sanzioni", al cui gettito la Regione non potrebbe partecipare. Ne' si potrebbe eccepire che la fattispecie in esame integri la deroga prevista nell'art. 8, comma 1, lett. m), dello Statuto, per cui la Regione compartecipa delle entrate erariali "ad eccezione di quelle di spettanza di altri enti pubblici": non v'e' alcun dubbio sul fatto che l'imposta municipale sia, per la meta' del gettito, di spettanza dello Stato e questa attribuzione non puo' mutare pel fatto che la Pubblica Amministrazione non riesce ad incamerare le somme di spettanza in via ordinaria e deve, invece, attivare un procedimento successivo di recupero di quanto non versato all'erario. L'anticipazione dell'applicazione dell'imposta municipale propria, poi, esclude la previsione delle quote compensative statali riconosciute ai Comuni per la soppressione dell'ICI sulla prima casa, arrecando in tal modo un grave danno ai bilanci delle autonomie speciali e dei rispettivi Enti locali, in violazione dei parametri (e per i profili) gia' invocati in via generale, nonche' degli artt. 5 e 117, commi 3 e 4, Cost., nei quali si riconoscono e promuovono le autonomie locali e si attribuisce alle Regioni la competenza legislativa concorrente in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica. 2.7. Particolarmente lesivo delle attribuzioni della Regione Sardegna, poi, e' il comma 17 del censurato art. 13, ove si prevede che "il fondo sperimentale di riequilibrio, come determinato ai sensi dell'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, e il fondo perequativo, come determinato ai sensi dell'articolo 13 del medesimo decreto legislativo n. 23 del 2011, ed i trasferimenti erariali dovuti ai comuni della Regione Siciliana e della Regione Sardegna variano in ragione delle differenze del gettito stimato ad aliquota di base derivanti dalle disposizioni di cui al presente articolo. In caso di incapienza ciascun comune versa all'entrata del bilancio dello Stato le somme residue". La disposizione in esame, oltre ai parametri (e in ordine ai profili) gia' invocati in via generale) viola l'art. 3 Cost., in combinato disposto con gli artt. 3, 7 e 8 dello Statuto, in quanto reca un pregiudizio a valere solamente nei confronti degli enti locali della Regione Sardegna (oltre che di quella Siciliana), senza elementi obiettivi che giustifichino la discriminazione ora descritta. A nulla vale che la diminuzione dei trasferimenti erariali sia determinata in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione della tariffa prevista dal comma 13 del medesimo art. 14, in quanto la disposizione in esame lascia intendere che i comuni delle altre Regioni beneficeranno sia del gettito derivante dall'IMU, sia dei trasferimenti statali eventualmente previsti da altre norme. 3. Illegittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 13-bis, del d.1. n. 201 del 2011, come conv. in 1. n. 214 del 2011, per violazione dell'art. 3 Cost., in combinato disposto con gli artt. 3, 7 e 8 dello Statuto speciale della Regione Autonoma della Sardegna (1. cost. n. 3 del 1948). L'art. 14 reca il titolo "Istituzione del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi". Esso - appunto - istituisce "in tutti i comuni del territorio nazionale il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi, a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni, e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni" (comma 1). Il comma 13-bis del medesimo articolo prevede che "a decorrere dall'anno 2013 il fondo sperimentale di riequilibrio, come determinato ai sensi dell'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, e il fondo perequativo, come determinato ai sensi dell'articolo 13 del medesimo decreto legislativo n. 23 del 2011, ed i trasferimenti erariali dovuti ai comuni della Regione Siciliana e della Regione Sardegna sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di cui al comma 13 del presente articolo. In caso di incapienza ciascun comune versa all'entrata del bilancio dello Stato le somme residue". In questo modo si intende fare in modo che l'eventuale effetto positivo per la finanza degli enti locali delle Regioni Sicilia e Sardegna sia immediatamente scontato attraverso una contestuale riduzione dei trasferimenti statali. La Regione Sardegna, pero', ne viene pregiudicata per differenti profili. 3.1. Anzitutto, sono violati gli artt. 3, comma 1, lett. b), e 7 dello Statuto, che attribuiscono alla Regione la competenza legislativa esclusiva in materia di "ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni", che ricomprende anche la materia "finanza locale" (come codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha precisato nella sent. n. 275 del 2007 sopra citata, riferita proprio alla Regione Sardegna), sia perche' lo Stato e' intervenuto in una materia che non gli appartiene, sia perche' il meccanismo sopra indicato non e' attuato attraverso il procedimento collaborativo previsto dall'art. 27 della 1. n. 42 del 2009 e del d.lgs. n. 23 del 2011, come invece e' previsto per le altre Regioni a Statuto speciale. L'art. 3, comma 1, lett. b), dello Statuto e' violato anche per un secondo profilo, in quanto (come gia' rilevato nel precedente motivo di ricorso) la lesione dell'autonomia finanziaria degli enti locali implica necessariamente la lesione della relativa competenza normativa regionale generale. Violati sono, altresi', gli artt. 3, 117 e 119 della Costituzione, in relazione agli artt. 7 e 8 dello Statuto: il ridotto finanziamento delle autonomie locali disposto dal comma in esame, anche se in relazione all'extragettito derivante dalla imposta sui servizi e sui rifiuti, si riverbera sull'autonomia finanziaria regionale, costretta a far fronte al mancato incremento delle risorse comunali con uno specifico sostegno finanziario. Che sia cosi' e' dimostrato sia dal fatto che per le Regioni ordinarie il legislatore statale non ha ritenuto di dover introdurre limitazioni ad altri canali di finanziamento corrispettive all'eventuale extragettito della nuova imposta, sia dal fatto che per le altre Regioni a Statuto speciale (eccezion fatta per la Regione Siciliana), tale forma di compensazione e' attuata con il particolare procedimento cooperativo (dunque di maggior garanzia per la Regione) di cui all'art. 27 della 1. n. 42 del 2009. Da ultimo, la norma in esame viola l'art. 3 Cost., ancora in relazione con gli artt. 7 e 8 dello Statuto e 117 e 119 Cost., in quanto l'autonomia finanziaria della Regione Sardegna e' vulnerata nella misura in cui le disposizioni di disfavore per i Comuni sardi si risolvono, quanto alla disciplina del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi, in una condizione, per la finanza regionale sarda, comunque deteriore rispetto a quella delle altre Regioni ordinarie o a statuto speciale (eccezion fatta per la Regione Siciliana). 3.2. Piu' in particolare, il meccanismo compensativo a favore dell'erario statale pregiudica in maniera diretta solamente i Comuni della Regione Sardegna e della Regione Siciliana, mentre non opera nei confronti degli altri enti locali. La disposizione in esame, dunque, viola l'art. 3 Cost., anche in combinato disposto con gli artt. 3, 7 e 8 dello statuto speciale della Sardegna, 117 e 119 Cost., in quanto reca un pregiudizio a valere solamente nei confronti degli enti locali della Regione Sardegna (e della Regione Siciliana), e, di conseguenza, per la Regione Sardegna medesima, senza che sussistano gli elementi obiettivi che giustifichino la discriminazione ora descritta. Ne' questi elementi possono essere individuati nel terzo periodo del comma in esame, laddove si prevede che "Con le procedure previste dall'art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, le regioni Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta, nonche' le Province autonome di Trento e di Bolzano, assicurano il recupero al bilancio statale del predetto maggior gettito dei comuni ricadenti nel proprio territorio", in quanto ivi si regolano solamente profili procedimentali (peraltro anch'essi lesivi delle attribuzioni costituzionali della Sardegna, giusta quanto dedotto al paragrafo precedente). A nulla, peraltro, vale che la diminuzione dei trasferimenti erariali sia determinata in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione della tariffa prevista dal comma 13 del medesimo art. 14, in quanto la disposizione in esame indica che ai comuni delle altre Regioni a statuto ordinario si applichera' la maggiorazione tariffaria di cui all'art. 14, comma 13, del d.1. n. 201 del 2011, ma senza la riduzione dei trasferimenti erariali previsti da altre norme, che sono invece diminuiti per i comuni della Sardegna. 4. Illegittimita' costituzionale dell'art. 16 del d.l. n. 201 del 2011, come conv. in 1. n. 214 del 2011, per violazione degli artt. 7 e 8 dello Statuto speciale della Regione Autonoma della Sardegna (l. cost. n. 3 del 1948) e degli artt. 117 e 119 cost. L'art. 16 reca il titolo "Disposizioni per la tassazione di auto di lusso, imbarcazioni ed aerei". In particolare, i commi da 2 a 15-ter dispongono che: "2. Dal 1° maggio 2012 le unita' da diporto che stazionino in porti marittimi nazionali, navighino o siano ancorate in acque pubbliche, anche se in concessione a privati, sono soggette al pagamento della tassa annuale di stazionamento, calcolata per ogni giorno, o frazione di esso, nelle misure di seguito indicate: a) euro 5 per le unita' con scafo di lunghezza da 10,01 metri a 12 metri; b) euro 8 per le unita' con scafo di lunghezza da 12,01 metri a 14 metri; c) euro 10 per le unita' con scafo di lunghezza da 14,01 a 17 metri; d) euro 30 per le unita' con scafo di lunghezza da 17,01 a 24 metri; e) euro 90 per le unita' con scafo di lunghezza da 24,01 a 34 metri; euro 207 per le unita' con scafo di lunghezza da 34,01 a 44 metri; g) euro 372 per le unita' con scafo di lunghezza da 44,01 a 54 metri; h) euro 521 per le unita' con scafo di lunghezza da 54,01 a 64 metri; i) euro 703 per le unita' con scafo di lunghezza superiore a 64 metri. 3. La tassa e' ridotta alla meta' per le unita' con scafo di lunghezza fino a 12 metri, utilizzate esclusivamente dai proprietari residenti, come propri ordinari mezzi di locomozione, nei comuni ubicati nelle isole minori e nella Laguna di Venezia, nonche' per le unita' di cui al comma 2 a vela con motore ausiliario. 4. La tassa non si applica alle unita' di proprieta' o in uso allo Stato e ad altri enti pubblici, a quelle obbligatorie di salvataggio, ai battelli di servizio, purche' questi rechino l'indicazione dell'unita' da diporto al cui servizio sono posti, nonche' alle unita' di cui al comma 2 che si trovino in un'area di rimessaggio e per i giorni di effettiva permanenza in rimessaggio. 5. Sono esenti dalla tassa di cui al comma 2 le unita' da diporto possedute ed utilizzate da enti ed associazioni di volontariato esclusivamente ai fini di assistenza sanitaria e pronto soccorso. 5-bis. La tassa di cui al comma 2 non e' dovuta per le unita' nuove con targa di prova, nella disponibilita' a qualsiasi titolo del cantiere costruttore, manutentore o del distributore, ovvero per quelle usate ritirate dai medesimi cantieri o distributori con mandato di vendita e in attesa del perfezionamento dell'atto. 6. Ai fini dell'applicazione delle disposizioni di cui ai commi 2 e 3 la lunghezza e' misurata secondo le norme armonizzate EN/ISO/DIS 8666 per la misurazione dei natanti e delle imbarcazioni da diporto. 7. Sono tenuti al pagamento della tassa di cui al comma 2 i proprietari, gli usufruttuari, gli acquirenti con patto di riservato dominio o gli utilizzatori a titolo di locazione finanziaria. Con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate sono stabilite le modalita' ed i termini di pagamento della tassa, di comunicazione dei dati identificativi dell'unita' da diporto e delle informazioni necessarie all'attivita' di controllo. I pagamenti sono eseguiti anche con moneta elettronica senza oneri a carico del bilancio dello Stato, Il gettito della tassa di cui al comma 2 affluisce all'entrata del bilancio dello Stato. 8. La ricevuta di pagamento, anche elettronica, della tassa di cui al comma 2 e' esibita dal comandante dell'unita' da diporto all'Agenzia delle dogane ovvero all'impianto di distribuzione di carburante, per l'annotazione nei registri di carico-scarico ed i controlli a posteriori, al fine di ottenere l'uso agevolato del carburante per lo stazionamento o la navigazione. 9. Le Capitanerie di porto, le forze preposte alla tutela della sicurezza e alla vigilanza in mare, nonche' le altre forze preposte alla pubblica sicurezza o gli altri organi di polizia giudiziaria e tributaria vigilano sul corretto assolvimento degli obblighi derivanti dalle disposizioni di cui ai commi da 2 a 8 del presente articolo ed elevano, in caso di violazione, apposito processo verbale di constatazione che trasmettono alla direzione provinciale dell'Agenzia delle entrate competente per territorio, in relazione al luogo della commissione della violazione, per l'accertamento della stessa. Per l'accertamento, la riscossione e il contenzioso si applicano le disposizioni in materia di imposte sui redditi; per l'irrogazione delle sanzioni si applicano le disposizioni di cui al decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, esclusa la definizione ivi prevista. Le violazioni possono essere definite entro sessanta giorni dalla elevazione del processo verbale di constatazione mediante il pagamento dell'imposta e della sanzione minima ridotta al cinquanta per cento. Le controversie concernenti l'imposta di cui al comma 2 sono devolute alla giurisdizione delle commissioni tributarie ai sensi del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546. 10. Per l'omesso, ritardato o parziale versamento dell'imposta di cui al comma 2 si applica una sanzione amministrativa tributaria dal 200 al 300 per cento dell'importo non versato, oltre all'importo della tassa dovuta. 11. E' istituita l'imposta erariale sugli aeromobili privati, di cui all'articolo 744 del codice della navigazione, immatricolati nel registro aeronautico nazionale, nelle seguenti misure annuali: a) velivoli con peso massimo al decollo: 1) fino a 1.000 kg., euro 1,50 al kg; 2) fino a 2.000 kg., euro 2,45 al kg; 3) fino a 4.000 kg., euro 4,25 al kg; 4) fino a 6.000 kg., euro 5,75 al kg; 5) fino a 8.000 kg., euro 6,65 al kg; 6) fino a 10.000 kg., euro 7,10 al kg; 7) oltre 10.000 kg., euro 7,55 al kg; b) elicotteri: l'imposta dovuta e' pari al doppio di quella stabilita per i velivoli di corrispondente peso; c) alianti, motoalianti, autogiri e aerostati, euro 450,00. 12. L'imposta e' dovuta da chi risulta dai pubblici registri essere proprietario, usufruttuario, acquirente con patto di riservato dominio, ovvero utilizzatore a titolo di locazione finanziaria dell'aeromobile, ed e' corrisposta all'atto della richiesta di rilascio o di rinnovo del certificato di revisione della aeronavigabilita' in relazione all'intero periodo di validita' del certificato stesso. Nel caso in cui il certificato abbia validita' inferiore ad un anno l'imposta e' dovuta nella misura di un dodicesimo degli importi di cui al comma 11 per ciascun mese di validita'. 13. Per gli aeromobili con certificato di revisione della aeronavigabilita' in corso di validita' alla data di entrata in vigore del presente decreto l'imposta e' versata, entro novanta giorni da tale data, in misura pari a un dodicesimo degli importi stabiliti nel comma 11 per ciascun mese da quello in corso alla predetta data sino al mese in cui scade la validita' del predetto certificato. Entro lo stesso termine deve essere pagata l'imposta relativa agli aeromobili per i quali il rilascio o il rinnovo del certificato di revisione della aeronavigabilita' avviene nel periodo compreso fra la data di entrata in vigore del presente decreto ed il 31 gennaio 2012. 14. Sono esenti dall'imposta di cui al comma 11 gli aeromobili di Stato e quelli ad essi equiparati; gli aeromobili di proprieta' o in esercenza dei licenziatari dei servizi di linea e non di linea, nonche' del lavoro aereo, di cui al codice della navigazione, parte seconda, libro I, titolo VI, capi I, II e III; gli aeromobili di proprieta' o in esercenza delle Organizzazioni Registrate (OR), delle scuole di addestramento FTO (Right Training Organisation) e dei Centri di Addestramento per le Abilitazioni (TRTO - Type Rating Training Organisation); gli aeromobili di proprieta' o in esercenza dell'Aero Club d'Italia, degli Aero Club locali e dell'Associazione nazionale paracadutisti d'Italia; gli aeromobili immatricolati a nome dei costruttori e in attesa di vendita; gli aeromobili esclusivamente destinati all'elisoccorso o all'aviosoccorso. 14-bis. L'imposta di cui al comma 11 e' applicata anche agli aeromobili non immatricolati nel registro aeronautico nazionale la cui sosta nel territorio italiano si protrae oltre quarantotto ore. 15. L'imposta di cui al comma 11 e' versata secondo modalita' stabilite con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate da emanarsi entro sessanta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto. 15-bis. In caso di omesso o insufficiente pagamento dell'imposta di cui al comma 11 si applicano le disposizioni del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, e del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472". In questo modo si istituisce (al comma 2) una "tassa annuale di stazionamento", cui sono soggette le unita' da diporto che stazionino in porti marittimi nazionali, navighino o siano ancorate in acque pubbliche. Tale tributo e' calcolato per ogni giorno di stazionamento, o frazione di esso, in ragione della lunghezza dello scafo (da un minimo di 5 euro per le unita' con scafo da 10,01 metri a 12 metri ad un massimo di 703 euro per le unita' con scafo di lunghezza superiore a 64 metri). La tassa e' ridotta alla meta' per le unita' con scafo di lunghezza fino a 12 metri, utilizzate esclusivamente dai proprietari residenti, come propri ordinari mezzi di locomozione, nei comuni ubicati nelle isole minori e nella Laguna di Venezia. 4.1. E' evidente che l'introduzione di tale tributo determinera' effetti dannosi per il sistema economico regionale, in quanto spingera' i diportisti ad abbandonare o a ridurre drasticamente il periodo di stazionamento nelle acque italiane, e quindi della Sardegna, particolarmente pregiudicata in ragione della sua insularita' e dell'importanza del turismo nautico per la sua autonomia. A fronte di questo indubbio elemento di danno per l'economia regionale e, di conseguenza, per le entrate regionali connesse al ridotto flusso di turisti regionale, la norma in esame non prevede misure compensative per la Regione. Tanto si risolve nella lesione dell'autonomia finanziaria regionale e della competenza legislativa nella materia "coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario" e, di conseguenza, nella contestuale violazione degli arti. 7 e 8 dello Statuto speciale e 117 e 119 Cost., da cui tale autonomia e' tutelata. Il legislatore statale, infatti, ha introdotto una forma di imposizione tributaria che si sovrappone, violandolo, all'art. 8, comma 1, lett. h), dello statuto speciale, in cui si prevede che "Le entrate della regione sono costituite [...] h) da imposte e tasse sul turismo e da altri tributi propri che la regione ha facolta' di istituire con legge in armonia con i principi del sistema tributario dello Stato". Che quella in esame debba essere considerata come una tassa sul turismo si deduce inequivocabilmente dalle modalita' con cui essa e' prevista e commisurata. Quanto ai natanti, essa e' limitata alle "unita' da diporto" ed e' calcolata su base giornaliera e parametrata a nove differenti categorie di grandezza dei mezzi che vanno dai 10 ai 64 metri di lunghezza dello scafo, misure che mostrano la volonta' di assumere, come presupposto d'imposta, proprio i natanti usati per il turismo, anche di piccolo cabotaggio. Quanto agli aeromobili, essa e' prevista in un ammontare fisso per gli alianti, motoalianti, autogiri e aerostati, ossia per mezzi usati per il volo sportivo e turistico. Quanto ai mezzi ad ala rotante, il semplice fatto che l'importo sia dovuto in misura doppia rispetto a quella prevista per gli aeroplani conferma la volonta' del legislatore statale di colpire proprio i mezzi usati per l'aeronavigazione da turismo. Infine, per quanto concerne i velivoli, anche in questo caso la previsione delle sette categorie di peso a partire da una tonnellata conforta nell'ipotesi riferita. La Regione Sardegna aveva utilizzato lo scalo turistico degli aeromobili e delle unita' da diporto nel periodo dell'anno che corre dal 1° giugno al 30 settembre come presupposto d'imposta per la tassa regionale istituita con l'art. 4 della l. reg. Sardegna n. 4 del 2006. Nella sent. n. 102 del 2008, al par. 8.1.2., codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha dato conto del fatto che il tributo cosi' previsto era da considerarsi una imposta sul turismo. In quel caso, codesta Ecc.ma Corte costituzionale affermo' che, "anche ove potesse ritenersi (sia pure implausibilmente)" che non vi fossero "elementi sufficienti a caratterizzare come tributo «sul turismo» [...] il tributo sarebbe pur sempre qualificabile come «proprio» della Regione e, quindi, sarebbe da essa legittimamente stabilito in forza della competenza legislativa statutaria, purche', fosse rispettata la condizione - richiesta dal medesimo art. 8, lettera i), dello statuto - dell'«armonia con i principi del sistema tributario dello Stato»". Se e' vero che, in ragione dell'art. 117 Cost., la Regione Sardegna puo' istituire tributi propri anche in materie diverse dal "turismo", e' altrettanto vero che la previsione di cui all'art. 3, comma 1, lett. h), dello Statuto continua a porsi come limite alla potesta' impositiva dello Stato, che non puo' agire con la leva fiscale su un presupposto d'imposta che ricade nella materia "turismo" senza riservare alla Regione Sardegna un congruo margine di disciplina. 5. Illegittimita' costituzionale dell'art. 23, commi da 14 a 22, del d.l. n. 201 del 2011, come conv. in l. n. 214 del 2011, per violazione dell'art. 3 dello Statuto speciale della Regione Autonoma della Sardegna (1. cost. n. 3 del 1948). L'art. 23 reca il titolo "Riduzione dei costi di funzionamento delle Autorita' di Governo, del CNEL, delle Autorita' indipendenti e delle Province". Esso dispone, in particolare ai commi da 14 a 22, che: "14. Spettano alla Provincia esclusivamente le funzioni di indirizzo e di coordinamento delle attivita' dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze. 15. Sono organi di governo della Provincia il Consiglio provinciale ed il Presidente della Provincia. Tali organi durano in carica cinque anni. 16. Il Consiglio provinciale e' composto da non piu' di dieci componenti eletti dagli organi elettivi dei Comuni ricadenti nel territorio della Provincia. Le modalita' di elezione sono stabilite con legge dello Stato entro il 31 dicembre 2012. 17. Il Presidente della Provincia e' eletto dal Consiglio provinciale tra i suoi componenti secondo le modalita' stabilite dalla legge statale di cui al comma 16. 18. Fatte salve le funzioni di cui al comma 14, lo Stato e le Regioni, con propria legge, secondo le rispettive competenze, provvedono a trasferire ai Comuni, entro il 31 dicembre 2012, le funzioni conferite dalla normativa vigente alle Province, salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, le stesse siano acquisite dalle Regioni, sulla base dei principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza. In caso di mancato trasferimento delle funzioni da parte delle Regioni entro il 31 dicembre 2012, si provvede in via sostitutiva, ai sensi dell'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, con legge dello Stato. 19. Lo Stato e le Regioni, secondo le rispettive competenze, provvedono altresi' al trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali per l'esercizio delle funzioni trasferite, assicurando nell'ambito delle medesime risorse il necessario supporto di segreteria per l'operativita' degli organi della provincia. 20. Agli organi provinciali che devono essere rinnovati entro il 31 dicembre 2012 si applica, sino al 31 marzo 2013, l'articolo 141 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni. Gli organi provinciali che devono essere rinnovati successivamente al 31 dicembre 2012 restano in carica fino alla scadenza naturale. Decorsi i termini di cui al primo e al secondo periodo del presente comma, si procede all'elezione dei nuovi organi provinciali di cui ai commi 16 e 17. 20-bis. Le regioni a statuto speciale adeguano i propri ordinamenti alle disposizioni di cui ai commi da 14 a 20 entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Le medesime disposizioni non trovano applicazione per le province autonome di Trento e di Bolzano. 21. I Comuni possono istituire unioni o organi di raccordo per l'esercizio di specifici compiti o funzioni amministrativi garantendo l'invarianza della spesa. 22. La titolarita' di qualsiasi carica, ufficio o organo di natura elettiva di un ente territoriale non previsto dalla Costituzione e' a titolo esclusivamente onorifico e non puo' essere fonte di alcuna forma di remunerazione, indennita' o gettone di presenza, con esclusione dei comuni di cui all'articolo 2, comma 186, lettera b), della legge 23 dicembre 2009, n. 191, e successive modificazioni". In questo modo e' stata modificata in profondita' l'organizzazione politico-amministrativa degli enti locali sub-regionali. In particolare, i commi da 14 a 20 hanno soppresso la Giunta provinciale e ridotto a dieci i componenti del Consiglio provinciale, hanno innovato il sistema di elezione del Presidente e del Consiglio provinciale, hanno imposto alle Regioni di trasferire ai Comuni le funzioni gia' delegate alle province, e con esse la dotazione organica e materiale e seguenti. Infine, i commi 21 e 22 hanno previsto la possibilita' per i Comuni di istituire unioni o organi di raccordo per l'esercizio di specifici compiti o funzioni amministrative e hanno escluso qualunque forma di remunerazione, indennita' o gestione di presenza, per qualsiasi carica, ufficio o organo di natura elettiva di un ente territoriale non previsto dalla Costituzione con esclusione dei comuni di cui all'art. 2, comma 186, lett. b), della l. n. 191 del 2009. 5.1. E' agevole constatare il palmare contrasto di queste previsioni con le norme che garantiscono alla Regione Sardegna una sfera di autonomia legislativa esclusiva. Dispone, infatti, l'art. 3, comma 1, lett. a) e b), dello Statuto di autonomia che "in armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonche' delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica, la Regione ha potesta' legislativa nelle seguenti materie: [...] a) ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed economico del personale; b) ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni". L'autoritativa e unilaterale determinazione, da parte dello Stato, della riforma degli organi e delle funzioni delle province e l'esclusione della remunerazione delle cariche politico-amministrative degli enti territoriali e' violativa della previsione statutaria che riserva alla Regione l'ordinamento degli enti locali. Ne' si potrebbe obiettare che la norma impugnata appartenga a quelle `fondamentali" delle "riforme economico-sociali della Repubblica", poiche' essa entra in estremo dettaglio nell'ordinamento degli enti locali, senza che cio' risulti necessario per la realizzazione degli obiettivi di maggiore efficienza perseguiti dal legislatore statale (ben si sarebbe potuto e dovuto lasciare alla Regione il potere di determinare le modalita' di riforma dell'ordinamento degli enti locali del territorio sardo, nel rispetto di alcuni principi e criteri generali, anche attinenti al contenimento dei costi, cosi' da poterli adattare alle variegate realta' locali). 5.2. Sono particolarmente lesivi delle attribuzioni regionali, inoltre, i commi 18 e 19 dell'art. 23, nella parte in cui impongono alle Regioni di provvedere a trasferire ai comuni le funzioni gia' delegate o attribuite alle province e le connesse le risorse umane, finanziarie e strumentali. In questo caso, infatti, lo Stato ha inteso disciplinare addirittura il modo in cui la Regione deve disciplinare lo svolgimento delle proprie funzioni, in totale spregio dell'art. 3 dello Statuto. Ne' si potrebbe ritenere che il legislatore statale fosse a cio' legittimato in ragione dell'art. 117, comma 2, lett. p), Cost., in quanto in detta disposizione si fa riferimento alle "funzioni fondamentali" degli Enti locali. Anzitutto, trattandosi di Regione ad autonomia speciale, trovano applicazione, qui, le norme statutarie. In secondo luogo, tra le "funzioni fondamentali" degli enti locali non possono certo annoverarsi quelle che la Regione Sardegna, nell'esercizio delle sue attribuzioni, ha inteso delegare o attribuire all'uno o all'altro livello di governo. 5.3. Infine, non esclude l'illegittimita' costituzionale delle disposizioni in esame la previsione (comma 21), per le Regioni a statuto speciale, di un termine di sei mesi per adeguare i propri ordinamenti alla nuova disciplina prevista dall'art. 23, in quanto l'adeguamento alla legge statale e' comunque imposto, mentre il mero differimento non cancella l'invasione, da parte dello Stato, in una materia statutariamente riservata alla Regione Sardegna. Il comma 21 dell'art. 23, anzi, sta a testimoniare proprio il fatto che il legislatore statale ha avvertito che le disposizioni introdotte andavano ad impingere in un ambito a lui estraneo, ma, invece di dedurre le opportune conseguenze da tale circostanza, si e' - illegittimamente - limitato a prevedere un termine per l'adempimento da parte delle Regioni ad autonomia speciale. 6. Illegittimita' costituzionale dell'art. 28 del d.l. n. 201 del 2011, come conv. in l. n. 214 del 2011, per violazione degli artt. 3, 4, 5, 7 e 8 dello Statuto della Regione Sardegna (l. cost. n. 3 del 1948) e 117 e 119 cost. L'art. 28 reca il titolo "Concorso alla manovra degli Enti territoriali e ulteriori riduzioni di spese". In particolare i commi 3, 7, 8, 9 e 11-ter dispongono che: "3. Con le procedure previste dall'articolo 27, della legge 5 maggio 2009, n. 42, le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano assicurano, a decorrere dall'anno 2012, un concorso alla finanza pubblica di euro 860 milioni annui. Con le medesime procedure le Regioni Valle d'Aosta e Friuli Venezia Giulia e le Province autonome di Trento e Bolzano assicurano, a decorrere dall'anno 2012, un concorso alla finanza pubblica di 60 milioni di euro annui, da parte dei Comuni ricadenti nel proprio territorio. Fino all'emanazione delle norme di attuazione di cui al predetto articolo 27, l'importo complessivo di 920 milioni e' accantonato, proporzionalmente alla media degli impegni finali registrata per ciascuna autonomia nel triennio 2007-2009, a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali. Per la Regione Siciliana si tiene conto della rideterminazione del fondo sanitario nazionale per effetto del comma 2. [...] 7. Il fondo sperimentale di riequilibrio, come determinato ai sensi dell'articolo 2, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, e il fondo perequativo, come determinato ai sensi dell'articolo 13, del medesimo decreto legislativo n. 23 del 2011, ed i trasferimenti erariali dovuti ai Comuni della Regione Siciliana e della Regione Sardegna sono ridotti di ulteriori 1.450 milioni di euro per gli anni 2012 e successivi. 8. Il fondo sperimentale di riequilibrio, come determinato ai sensi dell'articolo 21 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, il fondo perequativo, come determinato ai sensi dell'articolo 23, del medesimo decreto legislativo n. 68, del 2011, ed i trasferimenti erariali dovuti alle Province della Regione Siciliana e della Regione Sardegna sono ridotti di ulteriori 415 milioni di euro per gli anni 2012 e successivi. 9. La riduzione di cui al comma 7, e' ripartita in proporzione alla distribuzione territoriale dell'imposta municipale propria sperimentale di cui all'articolo 13, del presente decreto. 10. La riduzione di cui al comma 8 e' ripartita proporzionalmente. 11-ter. Al fine di potenziare il coordinamento della finanza pubblica e' avviata la ridefinizione delle regole del patto di stabilita' interno". 6.1. L'art. 28, comma 3, del d.1. n. 201 del 2011, come conv. in 1. n. 214 del 2011, dunque, fissa un ulteriore concorso delle Regioni speciali alla finanza pubblica di € 860.000.000,00 annui "a decorrere dall'anno 2012", e di € 60.000.000 per i comuni facenti parte di quelle Regioni. Con l'articolo in argomento, inoltre, senza alcuna intesa o pur minima forma di cooperazione, si dispone che, fino all'emanazione delle norme di attuazione degli Statuti, come richiamate anche dall'art. 27 della 1. n. 42 del 2009, ciascun Ente autonomo, in misura proporzionale alla media degli impegni del triennio 2007-2009 e fino al concorso complessivo della cifra gia' indicata, sopporti questi oneri attraverso l'accantonamento delle somme corrispondenti a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali. 6.2. Si e' gia' detto delle vicende che hanno imposto la riforma delle entrate della Regione Sardegna, nonche' della mancata attuazione, per esclusiva incuria dello Stato, del nuovo regime finanziario regionale, e del contenzioso che ne e' sorto. La rilevanza di quella vicenda nel contribuire a determinare l'illegittimita' della disposizione in esame e' fuori di dubbio: i commi censurati dell'art. 28 del d.l. n. 201 del 2011, infatti, ledono le attribuzioni della Regione Sardegna, almeno per due distinti profili, uno connesso agli specifici oneri di finanza pubblica imposti alla Regione Sardegna ancora nelle more dell'attuazione del nuovo regime di compartecipazione, l'altro riferito al fatto che, seppure temporaneamente, tali oneri sono scontati proprio su quel regime di compartecipazione alle entrate erariali della Regione Sardegna che e' stato prima riformato in melius, poi e' stato lasciato colpevolmente inattuato, infine e' stato ulteriormente frustrato nella maniera che si e' or ora descritta. 6.2.1. In primo luogo, e' violato l'art. 8 dello Statuto, in quanto l'apporto della Regione Sardegna e' equiparato a quello delle altre autonomie speciali, sebbene la riforma dello statuto speciale intervenuta nel 2006 abbia previsto un nuovo regime finanziario delle entrate regionali, ben piu' favorevole di quello precedente (ne' a questo proposito si potrebbe eccepire che il nuovo regime non abbia avuto esecuzione, in quanto tale circostanza rappresenta - semmai - un'ulteriore lesione dell'autonomia finanziaria regionale). L'aumento delle entrate conseguente alla riforma del 2006, come si e' visto, non deriva da un irragionevole capriccio della Regione, bensi' dalla necessita' - attestata dallo Stato - di adeguare il quadro statutario alla mutata realta' economico-finanziaria di riferimento. Cio' rende ancor piu' evidente l'illegittimita' della disposizione impugnata, che compromette l'autonomia regionale rovesciando il senso della riforma del 2006 e disattendendone la ratio, che era quella di bilanciare una situazione finanziaria regionale di per se stessa insostenibile (e adesso ancor piu' aggravata con i nuovi oneri imposti alla Regione e ai suoi enti locali). 6.2.2. L'art. 8 dello Statuto e' violato anche per un differente profilo, in relazione al principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. Questo perche' il livello delle economie regionali definito in ragione dell'articolo in esame risulta incoerente con la novella statutaria, con la conseguenza che la disposizione impugnata e' censurabile anche in riferimento al principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., per l'intima contraddittorieta' che l'affligge. Contraddittorieta' che anche in questo caso si risolve nella lesione della sfera di autonomia regionale, a causa del pregiudizio che la Regione Sardegna subisce a fronte della mancata considerazione delle novellate previsioni statutarie nella fissazione degli obiettivi di finanza pubblica assegnati alle Regioni a statuto speciale. 6.2.3. La manovra imposta alle autonomie speciali, e dunque anche alla Regione Sardegna, impedisce che la Regione stessa abbia a disposizione le risorse idonee a finanziare integralmente le funzioni pubbliche attribuite dallo Statuto. Tanto, con violazione degli artt. 3, 4, 5, 7 e 8 dello Statuto della Regione Sardegna e 3, 117 e 119 Cost., nella parte in cui tutelano l'autonomia finanziaria della Regione Sardegna, anche con la previsione di specifiche entrate tributarie e patrimoniali necessarie allo svolgimento delle funzioni istituzionali della Regione, nella parte in cui attribuiscono alla Regione la competenza legislativa concorrente nella materia "coordinamento della finanza pubblica", nella parte in cui prevedono che le risorse proprie degli Enti territoriali devono poter finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite (per questo ultimo profilo sono stati invocati gli artt. 3, 4 e 5 dello Statuto, che enumerano le materie di competenza regionale esclusiva, concorrente e delegata dallo Stato). L'aggravio degli oneri a carico della Regione Sardegna e dei comuni che ne fanno parte, intervenuto senza che sia stata data completa e corretta attuazione al nuovo regime delle entrate, produce l'effetto di impedire che la Regione (e gli enti locali che ne fanno parte) possa adempiere alle proprie funzioni senza essere condizionata da vincoli eterodeterminati alla capacita' di spesa privi di qualunque ragionevolezza, circostanza testimoniata proprio dal fatto che, come si e' visto, l'insufficienza delle risorse in essere e' stata riconosciuta anche normativamente. Questa tesi trova conforto nella sent. n. 245 del 1984 di codesta Ecc.ma Corte costituzionale, nella quale e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale di alcune disposizioni della Legge finanziaria per il 1984 che imponevano alle Regioni oneri di vario genere senza corrispondente attribuzione di risorse. Le Regioni ricorrenti lamentavano in particolare, in quell'occasione, che l'art. 7, comma 13, della Legge finanziaria, "comporterebbe oneri a carico dei loro bilanci, senza assegnare alle Regioni le somme occorrenti per farvi fronte". Codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha ritenuto necessario "rileggere la motivazione" svolta dalla sentenza n. 307 del 1983, ricordando che "gia' in quell'occasione, la Corte ha ritenuto che l'imporre alle Regioni obblighi del genere contrasti anzitutto con cio' che la Costituzione prescrive nel secondo comma dell'art. 119, ossia che le Regioni dispongano di «tributi propri» (oltre che di «quote di tributi erariali»), per fronteggiare autonomamente «le spese necessarie ad adempiere le loro funzioni normali»" e che le Regioni posseggono "autonomia finanziaria considerata sul versante delle uscite". Per maggiore completezza si deve ancora ricordare che, contestualmente alla riforma dell'art. 8 dello Statuto, il legislatore ha ulteriormente ampliato il catalogo delle funzioni pubbliche che la Regione Sardegna deve finanziare. La stessa l. n. 296 del 2006, infatti, all'art. 1, comma 836, ha previsto che "dall'anno 2007 la regione Sardegna provvede al finanziamento del fabbisogno complessivo del Servizio sanitario nazionale sul proprio territorio senza alcun apporto a carico del bilancio dello Stato" e al comma 837 ha disposto che "alla regione Sardegna sono trasferite le funzioni relative al trasporto pubblico locale (Ferrovie Sardegna e Ferrovie Meridionali Sarde) e le funzioni relative alla continuita' territoriale [...]". Il legislatore statale, dunque, da una parte ha riconosciuto alla Sardegna, com'era necessario e opportuno a fronte dell'analisi svolta anche dalla stessa Ragioneria Generale dello Stato dell'andamento storico dei conti regionali, i nuovi canali di finanziamento necessari per lo svolgimento delle funzioni, dall'altra ha immediatamente gravato il bilancio regionale imponendo all'Ente l'intera responsabilita' di due tra i servizi pubblici piu' onerosi: la sanita' e il trasporto. Tutto cio' considerato, appare evidente che l'art. 28 del d.l. n. 201 del 2011, non tenendo conto della specifica situazione della Sardegna e delle vicende normative ricordate, viola il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e di integrale finanziamento delle funzioni pubbliche assegnate (artt. 3, 4 e 5 dello Statuto - che enumerano le materie di competenza regionale esclusiva, concorrente e delegata dallo Stato -, in relazione agli artt. 117 e 119 Cost.) e, per l'effetto, lede l'autonomia finanziaria della Regione (artt. 7 e 8 dello statuto). 6.2.4. Sono ancora violati gli artt. 3, 4, 5, 7 e 8 dello Statuto speciale della Sardegna e gli artt. 116, 117 e 119 Cost., anche in relazione al principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., in quanto, prevedendo nuovi oneri per le Regioni ad autonomia speciale, l'articolo in commento ha creato uno "pseudo-comparto" composto da tutte le autonomie regionali, accomunando in un'unica voce realta' diversissime in punto di fatto (localizzazione geografica, condizione di sviluppo economico, popolazione residente) e di diritto. Questo perche' le condizioni di autonomia delle Regioni a statuto speciale e delle Province di Trento e Bolzano, previste dai rispettivi Statuti, per quanto ispirate alla medesima ratio di un maggiore ambito di autogovemo, non sono coincidenti. Per quanto riguarda specificamente l'autonomia finanziaria, esse non possono certamente essere accomunate e confuse sic et simpliciter, come pure fa la disposizione impugnata (sia sufficiente, a questo proposito, il confronto tra gli artt. 36 sgg. dello Statuto della Sicilia, l'art. 8 dello Statuto sardo, l'art. 12 dello Statuto della Valle d'Aosta, gli artt. 48 sgg. dello Statuto del Friuli-Venezia Giulia, gli artt. 69 sgg. - in particolare 75 - dello Statuto del Trentino-Alto Adige). Non tenendo conto di queste singole specificita', ed in particolare del diverso regime di compartecipazione alle entrate erariali fissato per ciascun Ente dal rispettivo Statuto, l'art. 28 del d.l. n. 201 del 2011 ha accomunato e livellato quello che, invece, andava comparato e differenziato. Tale violazione del principio di ragionevolezza e di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost. si riverbera necessariamente sull'attuazione del regime di compartecipazione alle entrate previsto dall'art. 8 dello Statuto della Sardegna, sull'autonomia finanziaria della Regione garantita dall'art. 7 dello Statuto e dall'art. 119 Cost., sulla capacita' della Sardegna di far fronte agli impegni derivanti dall'esercizio delle competenze e delle funzioni attribuite dallo Statuto. 6.2.5. Per questo specifico profilo deve essere subito specificato che l'ultimo periodo del comma 3 dell'art. 28 del decreto-legge impugnato introduce un ulteriore criterio di riparto degli oneri per il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica da parte delle Regioni ad autonomia speciale, in considerazione della "rideterminazione del fondo sanitario nazionale" per la sola Regione Sicilia. In questo modo, pero', la disposizione viola l'art. 3 Cost., sia pel profilo del principio d'eguaglianza sia nel profilo del principio di ragionevolezza, entrambi in relazione all'art. 7 dello Statuto della Sardegna che ne tutela l'autonomia finanziaria, in quanto la medesima Regione Sardegna, quale componente del "comparto" delle Autonomie speciali, in definitiva, dovrebbe farsi pro parte carico della spesa sanitaria della Regione Sicilia. In questo modo il legislatore statale ha disegnato un meccanismo pseudo-perequativo che, in violazione anche dell'art. 119 Cost.: questo meccanismo grava solo sulle altre Regioni ad autonomia speciale facendo salve le Regioni ordinarie. 6.3. I vizi teste' segnalati, lo si e' gia' accennato, si aggravano se si tiene conto del fatto che l'articolo in esame prevede che la partecipazione agli obiettivi di finanza pubblica sia direttamente scontata sul gettito delle entrate tributarie compartecipate dalla Regione Sardegna, nonostante lo Stato non abbia ancora portato a regime il nuovo sistema di compartecipazione varato con l'art. 1, comma 834, della l. n. 296 del 2006. In altri termini, lo Stato ha disegnato una modalita' di adempimento agli obblighi di finanza pubblica che la Regione non puo' ragionevolmente assicurare, proprio per ragioni dovute all'inattuazione statale del nuovo art. 8 dello Statuto. 6.4. Risultano, poi, particolarmente lesivi delle attribuzioni regionali anche i commi 7 e 8 del medesimo art. 28 del d.l. n. 201 del 2011, come conv. in l. n. 214 del 2011. In detti commi si prevede, come gia' riportato, quanto segue: "7. Il fondo sperimentale di riequilibrio, come determinato ai sensi dell'articolo 2, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, e il fondo perequativo, come determinato ai sensi dell'articolo 13, del medesimo decreto legislativo n. 23 del 2011, ed i trasferimenti erariali dovuti ai Comuni della Regione Siciliana e della Regione Sardegna sono ridotti di ulteriori 1.450 milioni di euro per gli anni 2012 e successivi. 8. Il fondo sperimentale di riequilibrio, come determinato ai sensi dell'articolo 21 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, il fondo perequativo, come determinato ai sensi dell'articolo 23, del medesimo decreto legislativo n. 68, del 2011, ed i trasferimenti erariali dovuti alle Province della Regione Siciliana e della Regione Sardegna sono ridotti di ulteriori 415 milioni di euro per gli anni 2012 e successivi". Anche in questo caso si riscontrano i vizi di legittimita' costituzionale gia' rilevati per gli artt. 13 e 14, comma 13-bis, del decreto-legge impugnato: il legislatore statale ha introdotto una misura che grava solamente sugli enti locali della Regione Sardegna (oltre che della Regione Sicilia), senza che tale limitazione sia legata a specifici elementi o parametri obiettivi. Anche i citati commi 7 e 8 dell'art. 28 del d.l. n. 201 del 2011, dunque, violano l'art. 3 Cost., sia pel profilo del principio d'eguaglianza sia pel profilo del principio di ragionevolezza, entrambi ancora in relazione all'art. 7 dello statuto della Sardegna, che ne tutela l'autonomia finanziaria. Autonomia che subisce, come gia' riscontrato per altre disposizioni censurate, un secondo pregiudizio, in quanto la Regione Sardegna si vede costretta a surrogarsi al fondo perequativo nel finanziare i comuni e le province del proprio territorio depauperate dall'intervento statale. 6.5. Particolarmente lesivo delle attribuzioni della Regione Sardegna e' anche il comma 11-ter dell'art. 28 del d.l. n. 201 del 2011, come conv. in l. n. 214 del 2011. In esso si prevede che "Al fine di potenziare il coordinamento della finanza pubblica e' avviata la ridefinizione delle regole del patto di stabilita' interno". In particolare, la disposizione in esame viola il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., il principio di leale collaborazione di cui all'art. 5 e all'intero Titolo V della Parte II Cost., ed in particolare gli artt. 117 e 119 Cost. e 7 dello Statuto di autonomia, in quanto, nel prevedere la ridefinizione delle regole del patto di stabilita' interno, non tiene in alcun modo conto del principio dell'accordo con le Regioni ed in particolare con quelle a statuto speciale, atteso che il procedimento di ridefinizione del patto di stabilita' non risulta minimamente definito in contraddittorio con le Regioni. La Corte costituzionale, con la sent. n. 82 del 2007, ha affermato che "il metodo dell'accordo, introdotto per la prima volta dalla legge 27 dicembre 1997, n. 449 [..] e riprodotto in tutte le leggi finanziarie successivamente adottate [...] deve essere tendenzialmente preferito ad altri, dato che «la necessita' di un accordo tra lo Stato e gli enti ad autonomia speciale nasce dall'esigenza di rispettare l'autonomia finanziaria di questi ultimi»". Da queste affermazioni si deduce inequivocabilmente che la disposizione in esame, che non contempla alcuna forma di coinvolgimento delle Regioni, e' certamente violativa del principio di leale collaborazione e, con esso, dell'autonomia finanziaria della Regione Sardegna e della competenza concorrente della Regione nella materia "Coordinamento della finanza pubblica". La disposizione censurata, inoltre, viola l'art. 3 Cost. anche perche', senza alcuna ragione giustificatrice, sottrae la revisione delle regole del patto di stabilita' interno al confronto tra lo Stato e le autonomie territoriali. Questo profilo implica la violazione degli artt. 3 e 7 dello Statuto e dell'art. 117 Cost., nella misura in cui attribuiscono alla Regione Sardegna la competenza legislativa esclusiva nella materia "finanza locale", Questa materia, lo si e' detto nei paragrafi precedenti e lo si deve ora ribadire, e' di competenza esclusiva della Regione Sardegna, in ragione dell'artt. 3, comma 1, lett. b), e 7 dello statuto speciale, come e' stato puntualmente riconosciuto da codesta Ecc.ma Corte costituzionale nella sent. n. 275 del 2007, sopra citata testualmente. Non vi e' alcun dubbio, infatti, che la declinazione per gli enti locali delle modalita' di attuazione del patto di stabilita' interno non possa prescindere da un intervento regolativo delle Regioni e in particolare delle Regioni ad autonomia speciale. Tanto e' vero che anche il legislatore statale ormai da alcuni anni prevede un intervento delle Regioni nella c.d. "territorializzazione" del patto di stabilita' (si veda l'art. 1, comma 141, della l. n. 220 del 2010, in cui si dispone che "a decorrere dall'anno 2011, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono, per gli enti locali del proprio territorio, integrare le regole e modificare gli obiettivi posti dal legislatore nazionale, in relazione alla diversita' delle situazioni finanziarie esistenti", e, in precedenza, l'art. 24, comma 14, della l. n. 448 del 2001, o l'art. 29, comma 18, della 1. n. 289 del 2002). 7. Illegittimita' costituzionale dell'art. 31 del d.l. n. 201 del 2011, come conv. in l. n. 214 del 2011, per violazione degli artt. 3 e 117 Cost. e 3, 4 e 5 dello Statuto speciale della Regione Autonoma della Sardegna (l. cost. n. 3 del 1948). L'art. 31 reca il titolo il titolo "Esercizi commerciali" e dispone che: "1. In materia di esercizi commerciali, all'articolo 3, comma 1, lettera d-bis, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, sono soppresse le parole: «in via sperimentale» e dopo le parole "dell'esercizio" sono soppresse le seguenti «ubicato nei comuni inclusi negli elenchi regionali delle localita' turistiche o citta' d'arte». 2. Secondo la disciplina dell'Unione Europea e nazionale in materia di concorrenza, liberta' di stabilimento e libera prestazione di servizi, costituisce principio generale dell'ordinamento nazionale la liberta' di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei beni culturali. Le Regioni e gli enti locali adeguano i propri ordinamenti alle prescrizioni del presente comma entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto". Come si vede, il comma l ha modificato l'art. 3 del d.l. n. 223 del 2006,sancendo il principio per cui le attivita' commerciali e di somministrazione di alimenti e bevande sono svolte senza limiti o prescrizioni concernenti il rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l'obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonche' quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell'esercizio. 7.1. La disposizione in esame e' lesiva della competenza normativa residuale della Regione in materia di commercio (ai sensi dell'art. 117, commi 3 e 4, Cost.), nel cui ambito la medesima Regione ha peraltro gia' legiferato (legge regionale 18 maggio 2006, n. 5, recante "Disciplina generale delle attivita' commerciali"). A questo proposito, codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha affermato - la pur lunga citazione e' d'obbligo - che "la disciplina degli orari degli esercizi commerciali rientra nella materia «commercio» (sentenze n. 288 del 2010 e n. 350 del 2008), di competenza esclusiva residuale delle Regioni, ai sensi del quarto comma dell'art. 117 Cost., e che «il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell'art. 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), [...], si applica, ai sensi dell'art. 1, comma 2, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), soltanto alle Regioni che non abbiano emanato una propria legislazione nella suddetta materia» (sentenze n. 288 e n. 247 del 2010, ordinanza n. 199 del 2006)" e che "l'ascrivibilita' della disciplina degli orari degli esercizi commerciali alla materia «commercio» trova ulteriore conferma, a contrario, nell'art. 3, comma 1, del decreto-legge n. 223 del 2006. Tale ultima norma, infatti, «nel dettare le regole di tutela della concorrenza nel settore della distribuzione commerciale - al fine di garantire condizioni di pari opportunita' ed il corretto ed uniforme funzionamento del mercato, nonche' di assicurare ai consumatori finali un livello minimo ed uniforme di condizioni di accessibilita' all'acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale - non ricomprende la disciplina degli orari e della chiusura domenicale o festiva nell'elenco degli ambiti normativi per i quali espressamente esclude che lo svolgimento di attivita' commerciali possa incontrare limiti e prescrizioni» (sentenza n. 288 del 2010)". 7.2. Alla luce di queste limpide statuizioni appare chiara la lesivita' del primo comma dell'art. 31 del decreto-legge impugnato, per violazione degli artt. 117, commi 3 e 4, cost. Ne' il legislatore statale potrebbe invocare, a fondamento della legittimita' dell'articolo censurato, l'attribuzione della competenza legislativa esclusiva nella materia "tutela della concorrenza", di cui all'art. 117, comma 2, lett. e), Cost. Questo perche' la disciplina in esame non regola l'accesso al commercio e, con esso, la competizione degli operatori commerciali, non ha eliminato barriere all'ingresso nel mercato, ne' di tipo soggettivo, correlate ai requisiti personali e professionali del commerciante, ne' di tipo oggettivo, correlate (ad esempio) al contingentamento dell'offerta, ne' ha eliminato alcun onere relativo allo svolgimento dell'attivita' commerciale, ne', infine, incide sulle intese restrittive della concorrenza tra imprese, sull'abuso di posizione dominante o, ancora, sulla fissazione anticoncorrenziale del livello dei prezzi. In definitiva, la disposizione in esame non puo' in alcun modo essere sussunta nella disciplina c.d. antitrust, pertanto l'art. 117, comma 2, lett. e), Cost. non puo' essere invocato a fondamento normativo della disposizione in esame. 7.3. Violativo delle attribuzioni della Regione Sardegna e' anche il comma 2 dell'art. 31 del d.l. n. 201 del 2011, conv. in l. n. 214 del 2011, sopra riportato. Nel limitare i motivi che giustificano la possibilita' di introdurre vincoli all'esercizio dell'attivita' commerciale solamente alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, e dei beni culturali la disposizione in esame viola gli artt. 3 e 117 Cost., nonche' gli artt. 3, 4 e 5 dello Statuto della Sardegna. La Regione, in assenza del vincolo posto dal comma 2 dell'art. 31 in esame, potrebbe infatti individuare, pur nel rispetto della disciplina comunitaria, altri motivi imperativi d'interesse generale conformi al diritto comunitario cui subordinare l'apertura degli esercizi commerciali, anche nell'esercizio delle competenze legislative attribuite dagli artt. 3, 4 e 5 dello Statuto. E' quindi irragionevole (e violativo dell'art. 3 Cost. in combinato disposto con gli altri parametri sopra indicati) precludere alla Regione di far valere quei motivi. A questo proposito (e solo a titolo di esempio) e' opportuno ricordare che la disposizione in esame non tiene conto, al fine di determinare lo spazio residuo per l'intervento regionale, di finalita' gia' ritenute meritevoli di tutela dallo Stato con l'art. 6, comma 1, lett. da a) a e), del d.lgs. n. 114 del 1998, recante "Riforma della disciplina relativa al settore commercio", ed in particolare la "realizzazione di una rete distributiva che, in collegamento con le altre funzioni di servizio, assicuri la migliore produttivita' del sistema e la qualita' dei servizi da rendere al consumatore"; "l'equilibrato sviluppo delle diverse tipologie distributive"; la compatibilita' dell'impatto "territoriale e ambientale degli insediamenti commerciali con particolare riguardo a fattori quali la mobilita', il traffico e l'inquinamento e valorizzare la funzione commerciale al fine della riqualificazione del tessuto urbano, in particolare per quanto riguarda i quartieri urbani degradati al fine di ricostituire un ambiente idoneo allo sviluppo del commercio"; la salvaguardia e la riqualificazione dei "centri storici anche attraverso il mantenimento delle caratteristiche morfologiche degli insediamenti e il rispetto dei vincoli relativi alla tutela del patrimonio artistico ed ambientale"; la salvaguardia e la riqualificazione della "rete distributiva nelle zone di montagna, rurali ed insulari anche attraverso la creazione di servizi commerciali polifunzionali e al fine di favorire il mantenimento e la ricostituzione del tessuto commerciale". Infine, si deve ricordare che l'art. 117, comma 5, Cost. prevede che "le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalita' di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza". Cio' significa che nella disciplina in esame, al fine di attuare la normativa comunitaria, lo Stato doveva tenere in debito conto le competenze della Regione Sardegna. In conclusione, il secondo comma dell'art. 31 del d.l. n. 201 del 2011, come conv. in l. n. 214 del 2011, viola gli artt. 3 e117 Cost., 3, 4 e 5 dello Statuto speciale. 8. Illegittimita' costituzionale dell'art. 48 del d.l. n. 201 del 2011, come conv. in l. n. 214 del 2011, per violazione degli artt. 7 e 8 dello Statuto speciale della Regione Autonoma della Sardegna (l. cost. n. 3 del 1948) e 3, 117 e 119 Cost. L'art. 48 reca il titolo "Clausola di finalizzazione" e dispone che: "1. Le maggiori entrate erariali derivanti dal presente decreto sono riservate all'Erario, per un periodo di cinque anni, per essere destinate alle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, anche alla luce della eccezionalita' della situazione economica internazionale. Con apposito decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e da trasmettere alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica, sono stabilite le modalita' di individuazione del maggior gettito, attraverso separata contabilizzazione. 1-bis. Ferme restando le disposizioni previste dagli articoli 13, 14 e 28, nonche' quelle recate dal presente articolo, con le norme di attuazione statutaria di cui all'articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, e successive modificazioni, sono definiti le modalita' di applicazione e gli effetti finanziari del presente decreto per le regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e di Bolzano". La previsione della riserva all'erario delle entrate sopra indicate e' illegittima, per violazione degli artt. 7 e 8 dello Statuto speciale della Regione Sardegna e 3, 117 e 119 della Costituzione per i motivi di seguito specificati. 8.1. In primo luogo, la disposizione censurata acquisisce alla disponibilita' dello Stato maggiori entrate che dovrebbero essere di sicura spettanza regionale, quanto meno in notevole misura. In particolare, e solo a titolo di esempio, lo sono le maggiori entrate derivanti: i) dall'esclusione e/o rimodulazione del credito d'imposta per le societa' commerciali (art. 9); ii) dall'emersione di "base imponibile" per le attivita' soggette a IVA (art. 10, commi da 1 a 7 e da 9 a 13, e art. 11); iii) dall'applicazione di misure sanzionatone per il recupero di crediti non versati al fisco (art. 10, commi 8, 13-quater, 13-decies, lett. b), e c)); d) nella parte del gettito non riservato ai Comuni, dall'anticipazione sperimentale dell'imposta municipale propria (art. 13); iv) nella parte del gettito non riservato ai Comuni, dall'istituzione del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (art. 14); v) dalla rimodulazione delle aliquote sulle accise per gli idrocarburi (art. 15); vi) dalle disposizioni per la tassazione di auto di lusso, imbarcazioni ed aerei (art. 16); vii) dall'aumento delle aliquote IVA (art. 18); viii) dalle disposizioni in materia di imposta di bollo su conti correnti, titoli, strumenti e prodotti finanziari nonche' sui valori c.d. "scudati" e sulle attivita' finanziarie e immobiliari detenute all'estero (art. 19). In materia valgono, anzitutto, i principi stabiliti dalla sent. n. 198 del 1999 di codesta Ecc.ma Corte costituzionale. In quel caso la Regione Sardegna censurava gli artt. 1, comma 3, e 7, del d.l. n. 669 del 1996 che, rispettivamente, prevedevano l'obbligo di un versamento del 20% a titolo di acconto per i "redditi sottoposti a tassazione separata non soggetti a ritenuta alla fonte" e la riserva all'erario delle entrate derivanti dall'applicazione dell'intero cit. d.l. n. 669 del 1996. L'illegittimita' delle menzionate disposizioni fu esclusa solo perche' - si disse - "l'art. 1, comma 3, del decreto-legge impugnato non da' luogo ad entrate aggiuntive per il fisco: esso si limita a imporre una diversa modalita' di riscossione per una quota dell'imposta dovuta [...] Non si avranno comunque entrate «nuove», diverse e aggiuntive rispetto a quelle derivanti dall'applicazione della legislazione tributaria previgente, e alle quali lo statuto prevede la compartecipazione della Regione in quote prefissate. Se non vi sono nuove entrate derivanti dall'applicazione dell'art. 1, comma 3, del decreto, l'art. 7 del medesimo, che dispone la riserva allo Stato delle sole entrate che derivano da esso, cioe' che in esso trovano la loro fonte, non puo' trovare applicazione agli importi riscossi a titolo di acconto sull'imposta dovuta in relazione ai redditi a tassazione separata". Cio' considerato, codesta Ecc.ma Corte costituzionale affermo' in maniera cristallina che "una diversa interpretazione porterebbe, del resto, ad una palese elusione delle previsioni degli statuti speciali, che prevedono, come nel caso della Regione Sardegna, la partecipazione delle Regioni al gettito di determinate imposte. Se bastasse, infatti, la modifica delle modalita' e quindi del tempo della riscossione, senza alcun aumento del gettito complessivo, per consentire l'avocazione allo Stato di quote del gettito medesimo, si verificherebbe [l'effetto] di avocare allo Stato l'intero importo di un gettito tributario (corrispondente agli acconti versati) in precedenza ripartito fra lo Stato stesso e la Regione. All'aumento delle entrate a favore dello Stato, derivante da tale avocazione, farebbe riscontro una diminuzione del gettito a favore della Regione, la quale verrebbe a partecipare al gettito della sola quota di imposte riscossa, a conguaglio, sulla base della liquidazione effettuata dagli uffici, e non piu', come per il passato, dell'intero importo di esse. Cio' [...] si tradurrebbe in una modifica surrettizia dell'ordinamento finanziario della Regione, garantito sul piano costituzionale dalle disposizioni dello statuto, e modificabile, bensi', con legge ordinaria, ma solo previa consultazione della Regione stessa (art. 54 stat. spec. per la Regione Sardegna)". Ora, non e' dubbio che almeno le entrate derivanti dal contrasto all'evasione non possano essere acquisite al patrimonio dello Stato, se non si vogliono violare i principi stabiliti dalla pronuncia ora riportata. Tali entrate, infatti, non derivano da alcuna modificazione normativa della disciplina dei singoli tributi, ma semplicemente dalla messa in opera dei meccanismi di lotta alla sottrazione al dovere di solidarieta' fiscale. La Regione, pertanto, subirebbe, paradossalmente, la diminuzione di entrate cui avrebbe avuto diritto qualora le relative somme fossero state regolarmente versate. Acquisire tali entrate allo Stato, in definitiva, significherebbe ridurre le entrate regionali, proprio come la sent. n. 198 del 1999 aveva escluso si potesse fare. Nemmeno la previsione di riserva allo Stato delle altre entrate, pero', nel caso di specie, si sottrae a censura. Si deve considerare, infatti, che, per le ragioni gia' esposte in precedenza, l'attuale regime delle risorse della Regione Sardegna e' riconosciuto come insufficiente. E' pertanto illegittimo, per violazione degli artt. 7 e 8 dello Statuto, e 117 e 119 della Costituzione, riservare allo Stato entrate che, invece, debbono essere destinate almeno alla riduzione di tali insufficienze, constatate addirittura da una norma statutaria (l'art. 8). Ed e' specificamente irragionevole (percio' violativo dell'art. 3 Cost., in combinato disposto con i summenzionati parametri) disporre di risorse pubbliche in modo tale da distrarle alla destinazione che sarebbe stata la piu' logica e coerente, onde impiegarle al generico fine di raggiungere generici obiettivi di finanza pubblica. 8.2. Per le ragioni anzidette, l'art. 48 del d.l. n. 201 del 2011 viola l'art. 8 dello Statuto, che, come indicato, attribuisce alla Regione una partecipazione maggioritaria o addirittura totalitaria alle entrate che lo Stato, ora, vorrebbe riservarsi. E' parimenti violato, pero', anche l'art. 7 dello Statuto, che garantisce alla Regione un'adeguata autonomia finanziaria, e sono parimenti violati gli artt. 117 e 119 della Costituzione, che confermano la tutela della particolare autonomia economico-finanziaria della Regione e attribuiscono alla Sardegna la competenza concorrente nella materia del coordinamento della finanza pubblica. E' altresi' violato, in combinato disposto con i parametri ora invocati, l'art. 3 Cost., per l'evidente irragionevolezza della scelta di acquisire allo Stato risorse che per definizione (in base, cioe', alle stesse previsioni statutarie e alla logica, visto che le entrate cui esse si riferiscono erano state destinate a coprire il fabbisogno regionale) sono funzionali al soddisfacimento di esigenze che statali non sono, tanto piu' che e' parimenti irragionevole perseguire l'intento di raggiungere obiettivi di finanza pubblica dello Stato sacrificando quelli delle Regioni, quasi che l'equilibrio finanziario non fosse affare dell'intera Repubblica, ai sensi dell'art. 114 Cost. 8.3. Ulteriore motivo di illegittimita', di nuovo per violazione dei parametri gia' invocati, sta nel fatto che la norma impugnata stabilisce un periodo di tempo lunghissimo (cinque anni!) e non prevede uno scopo specifico al quale destinare il sacrificio imposto alla Regione, ma si limita ad invocare generiche esigenze di finanza pubblica (previsione, questa, assolutamente insufficiente quanto ovvia, essendo per definizione ogni forma di imposizione fiscale tesa ad attuare obiettivi e finalita' di finanza pubblica). Se ne evince l'assoluta irragionevolezza della previsione, che non tiene minimamente conto delle esigenze regionali e opera come se esse - assieme alle norme di rango costituzionale che, garantendo l'autonomia regionale, le tutelano - non esistessero. 8.4. Da ultimo, si deve rilevare che i vizi di legittimita' costituzionale contestati all'art. 48 del d.l. n. 201 del 2011 non sono esclusi dalla previsione di cui al successivo comma 1-bis, in cui si prevede che "Ferme restando le disposizioni previste dagli articoli 13, 14 e 28, nonche' quelle recate dal presente articolo, con le norme di attuazione statutaria di cui all'articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, e successive modificazioni, sono definiti le modalita' di applicazione e gli effetti finanziari del presente decreto per le regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e di Bolzano". Tale disposizione, infatti, non e' idonea a limitare l'acquisizione allo Stato della quota di compartecipazione statutariamente prevista per la Regione Sardegna, in quanto rinvia a future determinazioni solo "le modalita' di applicazione e gli effetti finanziari" del decreto legge censurato, senza prevedere che la Regione possa fruire della quota di compartecipazione che le spetta in ragione delle norme statutarie.
P.Q.M. Chiede che, in accoglimento del presente ricorso, codesta ecc.ma Corte costituzionale voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale degli articoli 13, 14, comma 13-bis, 1°, 2° e 3° periodo, 16, commi da 2 a 15-ter, 23, commi da 14 a 22, 28, commi 3, 7, 8 e 11-ter, 31 e 48, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, pubblicato in G.U. n. alla Gazz. Uff., 6 dicembre 2011, n. 284, Suppl. ordinario n. 251, convertito in legge 22 dicembre 2011, n. 214, pubblicata in G.U. 27 dicembre 2011, n. 300, Suppl. Ordinario n. 276. Cagliari-Roma, 22 febbraio 2012 Avv. Ledda - Avv. Prof. Luciani