N. 114 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 febbraio 2012

Ordinanza del 14 febbraio 2012 emessa  dal  Tribunale  amministrativo
regionale per l'Abruzzo sul ricorso proposto da Brindesi Maria  Gilda
ed altri contro Ministero della giustizia, Presidente  del  Consiglio
dei ministri e Ministero dell'economia e delle finanze.. 
 
Bilancio e contabilita' pubblica  -  Misure  urgenti  in  materia  di
  stabilizzazione  finanziaria  e  di  competitivita'   economica   -
  Contenimento della spesa in materia di pubblico impiego - Personale
  di  cui  alla  legge  n.  27  del  1981  (magistrati  e   categorie
  equiparate) - Previsione che  non  si  applicano  i  meccanismi  di
  adeguamento retributivo per gli anni 2011, 2012,  2013  e  che  non
  danno  comunque  luogo  a  possibilita'  di  recupero  negli   anni
  successivi - Previsione che non siano erogati ne' recuperabili  gli
  acconti degli anni 2011, 2012 e 2013 ed il conguaglio del  triennio
  2010-2012; che per il triennio 2013-2015  l'acconto  spettante  per
  l'anno 2014 sia pari alla misura gia' prevista per l'anno  2010  ed
  il conguaglio per l'anno 2015  venga  determinato  con  riferimento
  agli anni 2009, 2010 e  2014  -  Previsione,  altresi',  per  detto
  personale, che l'indennita' speciale, di cui all'art. 3 della legge
  n. 27 del 1981, spettante per  gli  anni  2011,  2012  e  2013  sia
  ridotta del 15 per cento per l'anno 2012 e del  32  per  cento  per
  l'anno 2013 - Irrazionalita' - Ingiustificato deteriore trattamento
  dei lavoratori dipendenti rispetto a quelli autonomi  -  Violazione
  dei principi di generalita' e progressivita' della tassazione e  di
  capacita' contributiva, attesa  la  sostanziale  natura  tributaria
  della prestazione patrimoniale  imposta  -  Natura  regressiva  del
  tributo  con  riferimento  all'indennita'   speciale,   in   quanto
  incidente  in  minore  misura  sui  magistrati   con   retribuzione
  complessiva piu' elevata ed in misura maggiore sui  magistrati  con
  retribuzione complessiva inferiore -  Violazione  dei  principi  di
  imparzialita' e buon andamento  della  pubblica  amministrazione  -
  Violazione  del  principio  di  indipendenza  ed  autonomia   della
  magistratura. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio  2010,  n.  122,  art.  9,  commi  21,  primo
  periodo, e 22. 
- Costituzione, artt. 3, 36, 53, 97, 101, 104, 108 e 111. 
(GU n.24 del 13-6-2012 )
 
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 251 del 2011, proposto da: 
        Maria Gilda  Brindesi,  rappresentato  e  difeso  dagli  avv.
Vittorio Angiolini, Marco Cuniberti, Valerio Speziali, con  domicilio
eletto presso avv.  Francesca  Ramicone  in  L'Aquila,  via  Giovanni
Pascoli, 1/A  -  3/B;  Giuseppe  Iannaccone,  Silvia  Rita  Fabrizio,
Giovanni Novelli, Augusto Pace, Elvira  Buzzelli,  Alberto  Sgambati,
Luigi D'Orazio, Marco  Flamini,  Guido  Cocco,  Giovanni  de  Rensis,
Roberto Ferrari, Luigi Santini, Domenico Canosa,  Giansaverio  Cappa,
Giorgio Di Benedetto,  Massimo  Marasca,  Federico  de  Siervo,  Aura
Scarsella,  Maria  Teresa  Leacche,  Stefano  Gallo,  Maurizio  Maria
Cerrato, Fabrizia Ida  Francabandera,  Laura  Colica,  Greta  Aloisi,
Stefano Giovagnoni, Bruno  Auriemma,  Angela  Di  Girolamo,  Giovanni
Spinosa, Giampiero Maria Fiore, Carla De  Matteis,  Giovanni  Canzio,
Luigi Antonio Catelli, Luigi Cirillo, Giuseppe  Romano,  Maria  Luisa
Ciangola, Armanda Servino, Maria Gabriella Tascone,  Radoccia  Italo,
Davide Rosati, Carmine Di Fulvio, Guendalina Buccella,  Andrea  Paolo
Vassallo, Ileana Ramundo,  Stefania  Cannavale,  Fabio  Picuti,  Anna
Maria Tracanna, Carla Ciofani, Roberta D'Avolio, Antonietta  Picardi,
Simonetta Ciccarelli, Cecilia Angrisano, Donatella  Formisano,  Petra
Giunti, Silvia Reitano, Vittoria Correa, rappresentati e difesi dagli
avv. Valerio  Speziali,  Marco  Cuniberti,  Vittorio  Angiolini,  con
domicilio eletto presso avv.  Francesca  Ramicone  in  L'Aquila,  via
Giovanni Pascoli, 1/A - 3/B; 
    Contro Ministero della Giustizia, Presidenza Consiglio  Ministri,
rappresentati e  difesi  dall'Avvocatura  Distrettuale  dello  Stato,
domiciliata per legge in L'Aquila, Complesso Monumentale S. Domenico;
Ministero dell'Economia  e  delle  Finanze,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata  per  legge  in
L'Aquila, Complesso Monumentale S. Domenico; 
    Per il riconoscimento  del  diritto  al  trattamento  retributivo
spettante senza tener conto delle decurtazioni di  cui  al  comma  22
dell'art.9 del d.l. 31 marzo 2010 n.78,  come  conv.  con  modif.  in
legge  30  luglio  2010,  n.122,  nonche'  per  la   condanna   delle
amministrazioni resistenti al pagamento delle  somme  corrispondenti,
con ogni accessorio di legge. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visti gli atti di costituzione in giudizio  del  Ministero  della
Giustizia, del  Ministero  dell'Economia  e  delle  Finanze  e  della
Presidenza del Consiglio dei Ministri; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno  21  dicembre  2011  il
dott. Maria  Abbruzzese  e  uditi  per  le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale; 
    I. - I ricorrenti, tutti magistrati ordinari in  servizio  presso
gli uffici giudiziari ricompresi nella circoscrizione territoriale di
questo TAR, chiedono  il  riconoscimento  del  proprio  diritto  alla
retribuzione da calcolare senza le decurtazioni di cui ai commi 21  e
22 dell'art. 9 del d.l.  31  maggio  2010,  n.  78,  convertito,  con
modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n.122,  nonche'  la  condanna
dell'Amministrazione ai conseguenti pagamenti, se del caso  con  ogni
accessorio di legge. 
    Il ricorso deduce: 
        1) Violazione e falsa applicazione del comma 22  dell'art.  9
del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, come convertito nella legge 30 luglio
2010, n. 122, anche in relazione alla legge 19 febbraio 1981, n.  27;
violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 23, 36, 53,  97,  101,
102,  104,  107,  e  108  della  Costituzione;  irragionevolezza   ed
illogicita' manifeste; eccesso e sviamento di  potere:  i  ricorrenti
ricordano  che,  secondo  la  giurisprudenza,   anche   della   Corte
costituzionale, il trattamento economico dei  magistrati  corrisponde
alla  «peculiare  ratio  di  attuare   il   precetto   costituzionale
dell'indipendenza e di evitare che essi siano soggetti  a  periodiche
rivendicazioni nei confronti di altri poteri» (cfr.  sentenze  n.  42
del 1993 e n. 409 del 1995, ordinanze n. 346 del 2008); le misure  di
taglio del trattamento economico per cui e'  causa,  incidendo  -  in
riduzione - sulle retribuzioni dei magistrati, sembrano in  contrasto
con i principi  di  certezza  e  di  continuita'  delle  retribuzioni
spettanti ai magistrati; 
        2) Violazione  e  falsa  applicazione  del  comma  22,  primo
periodo, dell'art. 9 del d.l. 31 maggio 2010 n. 78,  come  convertito
nella legge 30 luglio 2010, n. 122, anche in relazione alla legge  19
febbraio 1981, n. 27, sotto altro profilo: i  ricorrenti  evidenziano
che  il  comma  21  dell'art.  9  ha  disciplinato,   ai   fini   del
«contenimento  delle  spese  in  materia  di  pubblico  impiego»,  il
«meccanismo  di  adeguamento  retributivo  per   il   personale   non
contrattualizzato per gli anni 2011,  2012  e  2013»;  il  successivo
comma 22, riferendosi piu' distintamente al «personale  di  cui  alla
legge n. 27/1981» (ossia ai magistrati), ha previsto  che  «non  sono
erogati, senza possibilita' di recupero, gli acconti degli anni 2011,
2012 e 2013  ed  il  conguaglio  del  triennio  2010-2012;  per  tale
personale, per il triennio 2013-2015, l'acconto spettante per  l'anno
2014 e'  pari  alla  misura  gia'  prevista  per  l'anno  2010  e  il
conguaglio per l'anno 2015 viene  determinato  con  riferimento  agli
anni 2009, 2010 e 2014»; le predette disposizioni,  non  specificando
quali siano  i  «conguagli»  e  gli  «acconti»  cui  si  riferiscono,
appaiono, secondo la difesa dei ricorrenti, del  tutto  generiche  ed
inconcludenti  e,  come  tali,  inapplicabili;  di   conseguenza,   i
ricorrenti hanno  chiesto  che  questo  tribunale  «accerti»  che  la
predetta disposizione non sarebbe in grado di sortire  alcun  effetto
sul  trattamento  economico  dei  magistrati,   i   cui   adeguamenti
retributivi devono quindi rimanere inalterati; 
        3)  Illegittimita'  costituzionale  del  comma  22,   secondo
periodo, dell'art. 9 del d.l. 31 maggio 2010 n. 78,  come  convertito
nella legge 30  luglio  2010  n.  122:  detta  norma  stabilisce  che
«l'indennita' speciale di cui all'articolo 3 della legge 19  febbraio
1991, n.27 spettante negli anni 2011 2012 e 2013, e' ridotta  del  15
per cento per l'anno 2011, del 25 per cento per l'anno 2012 e del  32
per cento per l'anno 2013»;  in  relazione  al  carattere  di  questa
«indennita'  speciale»,  che  costituisce  una   voce   fissa   delle
retribuzione e che presenta carattere ristorativo degli oneri  che  i
magistrati incontrano nello  svolgimento  della  loro  attivita',  il
taglio su  di  essa  operato  sarebbe  contrario  alla  Costituzione,
facendo venir meno quella astratta correlazione fra  l'indennita'  in
parola e gli specifici e particolari  oneri  connessi  alla  funzione
giurisdizionale,  come  da  sempre  precisato  nella   giurisprudenza
costituzionale  ed  amministrativa:  ne  risulterebbero  violati  gli
artt.3, 36, 53 e 97 della Costituzione. 
    Contestualmente  al  ricorso  e'  stata  presentata  istanza   di
sospensione degli effetti delle disposizioni contestate. 
    Le Amministrazioni intimate si  sono  costituite  contestando  la
fondatezza del ricorso. 
    In particolare, la difesa erariale ha sottolineato come le  norme
di legge oggetto delle censure avversarie si inseriscano  nell'ambito
di un complesso di  misure  volte  al  contenimento  della  spesa  in
materia di pubblico impiego «in considerazione  della  eccezionalita'
della  situazione  economica  internazionale  e  tenuto  conto  delle
esigenze prioritarie di raggiungimento  degli  obiettivi  di  finanza
pubblica concordati in sede europea», secondo quanto recita il  comma
2 dell'art. 9 in esame. Nell'ambito di tale finalita', il legislatore
avrebbe  legittimamente  riconosciuto  che  anche  il  personale   di
magistratura  dovesse,  al  pari  del  restante  personale   statale,
concorrere al conseguimento  degli  obiettivi  di  finanza  pubblica,
attraverso misure che attengono direttamente al rapporto di impiego e
non  all'esercizio  delle  funzioni  giurisdizionali,  rispetto  alle
quali, pertanto, non si  ravviserebbe  violazione  dei  principio  di
autonomia e indipendenza della magistratura, trattandosi, oltretutto,
di misure simili ad  altre  gia'  adottate  in  precedenti  leggi  di
risanamento. 
    Con ordinanza n. 159, resa  nella  camera  di  consiglio  dell'11
maggio 2011, questo tribunale ha respinto la domanda  incidentale  di
misure  cautelari,   disponendo,   con   lo   stesso   provvedimento,
adempimenti istruttori a carico dell'Amministrazione finanziaria,  di
quella della Giustizia e dell'INPDAP. 
    All'esito, i ricorrenti hanno depositato  articolata  a  puntuale
memoria di replica. 
    All'udienza pubblica del 21 dicembre  2011,  la  causa  e'  stata
trattenuta in decisione. 
    II. I ricorrenti, nella sopraspiegata qualita',  hanno  agito  in
giudizio per il riconoscimento del diritto al trattamento retributivo
asseritamente spettante senza tener conto delle riduzioni conseguenti
alle contestate misure normative, e la condanna delle Amministrazioni
resistenti alle conseguenti restituzioni. 
    II.1)  In  punto  di   rilevanza,   osserva   il   Collegio   che
l'applicazione delle norme in questione ha comportato, a  partire  al
1° gennaio 2011, come dimostrato dagli esibiti cedolini relativi agli
stipendi, le lamentate trattenute sugli stipendi dei ricorrenti,  non
rivalutati rispetto agli anni passati. 
    Una volta dimostrata, dunque, l'applicabilita'  delle  misure  in
questione ai  ricorrenti,  magistrati  ordinari,  l'affermazione  del
riconoscimento delle differenze retributive richieste  non  puo'  che
passare attraverso la eliminazione delle  norme  in  via  incidentale
prospettate come non conformi ai precetti  costituzionali,  salvo  il
giudizio di non manifesta infondatezza di cui piu' sotto si dira'. 
    II.2) Va ancora doverosamente evidenziato  che  il  Collegio  non
nasconde (e non si nasconde) che la manovra in questione si inserisce
nell'ambito di un ampio ed articolato pacchetto  di  misure  volte  a
realizzare il contenimento della spesa in materia di impiego pubblico
(ovvero, alternativamente o cumulativamente, a conseguire entrate  di
misura corrispondente) «in considerazione della eccezionalita'  della
situazione economica internazionale e  tenuto  conto  delle  esigenze
prioritarie di raggiungimento degli  obiettivi  di  finanza  pubblica
concordati in sede europea» (cfr. articolo 9, comma 2, della legge in
esame) e che disposizioni del genere erano state  emanate,  anche  in
precedenza,  in  occasione  di  consimili  emergenze   di   carattere
economico (cfr. art. 1, comma 576, legge n. 296/2006; art.  69,  d.l.
n.112/2008,  convertito  in  legge  n.  133/2008;  art.  7,  d.l.  n.
384/1992, convertito in legge n. 438/1992). 
    In relazione a tali emergenze, la  Corte  costituzionale,  com'e'
noto, ebbe a dichiarare la  manifesta  infondatezza  delle  questioni
sollevate, tenuto conto del fatto che, in un momento  assai  delicato
per la vita economico-finanziaria del Paese,  norme  di  tale  natura
possono ritenersi non lesive del principio di cui  all'art.  3  della
Costituzione sotto il duplice aspetto della non contrarieta'  sia  al
principio  di  uguaglianza  sostanziale  sia  a  quello   della   non
irragionevolezza (Corte cost., 14. luglio 1990, n. 299). 
    La decisione  della  Corte,  dunque,  dipese  dal  risultato  del
bilanciamento  tra  diversi  valori   tutti   rilevanti   sul   piano
costituzionale, operato con riferimento alla concreta incidenza delle
misure sulle varie categorie, sulla natura eccezionale (e temporanea)
delle  stesse,  sulla  complessiva  tenuta  dell'ordinamento  pur  in
presenza di disposizioni derogatrici siffatte. 
    Ritiene il Collegio che, nel rispetto doveroso delle  prerogative
della  Corte,  cui  e'  rimesso  il  definitivo  orientamento   sulla
questione,  il  bilanciamento  ritenuto  concludente  nei  precedenti
esaminati non sia completamente sovrapponibile  alla  fattispecie  in
esame, caratterizzata dalla peculiare e del tutto singolare incidenza
delle disposizioni su particolari categorie di dipendenti pubblici (i
magistrati) in misura e secondo modalita' diverse dagli  altri  e  in
assenza  di  misure   compensative   della   prospettata   temporanea
incisione, pur tuttavia articolata su un periodo tutt'altro che breve
o nell'ottica della misura adottata una tantum. 
    Tanto porta a dubitare, nella prospettiva  della  delibazione  di
«non manifesta infondatezza» rimessa a questo Collegio, della  natura
«eccezionale», e  dunque  tollerabile,  della  lesione  introdotta  e
dunque  del  complessivo  bilanciamento  ritenuto,  a  suo  tempo   e
relativamente a disposizioni simili ma non affatto cosi' «singolari»,
compatibile con i valori costituzionali dalla Corte. 
    II.3)  Ancora  in  via  preliminare,  il  Collegio   ritiene   di
articolare la questione sotto due distinti  ed  alternativi  profili,
valorizzando sostanzialmente: o l'incidenza delle  misure,  nel  loro
concreto atteggiarsi, sullo status dei magistrati e sulle prerogative
loro riconosciute dalla Costituzione; ovvero gli effetti,  in  ultima
analisi, sostanzialmente impositivi delle  misure,  ancora  nel  loro
concreto dispiegarsi. 
    Cio' spiega l'apparente  anfibologia  della  presente  ordinanza,
che,  appunto,  in   via   alternativa   prospetta   l'illegittimita'
costituzionale delle contestate disposizioni sia se intese come norme
«sulla spesa»,  e  dunque  in  definitiva  orientate  alla  riduzione
(temporanea) dei trattamenti retributivi complessivamente considerati
dei magistrati, sia  (ovvero)  se  intese  invece  come  norme  sulle
«entrate» e dunque incidenti sul trattamento contributivo dei redditi
da lavoro dipendente in questione. 
    L'alternativa prospettazione tradisce in  realta'  lo  sforzo  di
attribuire, alle disposizioni in  esame,  un  senso  compatibile  con
l'articolato costituzionale; sforzo il cui fallimento  non  puo'  che
condurre all'obbligata remissione in esame. 
    III. Ai fini della compiuta ricostruzione della presente vicenda,
giova preliminarmente richiamare sinteticamente il  quadro  normativo
pertinente. 
    III.1) Il trattamento economico dei magistrati ordinari (ma anche
amministrativi e della  giustizia  militare)  e'  disciplinato  dalla
legge 2 aprile 1979, n. 97 che, con effetto del 1° gennaio  1979,  lo
ha rideterminato nella misura indicata, per ciascuna qualifica, nelle
tabelle allegate ad essa (lo stipendio tabellare,  per  l'appunto)  e
che ha altresi' precisato che a tale misura vanno  aggiunte  le  sole
indennita' integrativa speciale e giudiziaria,  quest'ultima,  a  sua
volta, disciplinata dall'art. 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27. 
    Gli artt. 11 e 12 della legge n. 97 del 1979, nel testo novellato
dall'art. 2 della citata legge n. 27 del 1981, prevedono che: 
        gli stipendi dei magistrati sono adeguati  di  diritto,  ogni
triennio, nella misura percentuale pari alla media  degli  incrementi
delle voci retributive, esclusa  l'indennita'  integrativa  speciale,
ottenuti  dagli  altri   pubblici   dipendenti   (appartenenti   alle
amministrazioni  statali,  alle   aziende   autonome   dello   stato,
universita',  regioni,  province  e  comuni,  ospedali  ed  enti   di
previdenza); 
        la percentuale spettante e' calcolata dall'Istituto  centrale
di statistica rapportando  il  complesso  del  trattamento  economico
medio  per  unita'  corrisposto  nell'ultimo  anno  del  triennio  di
riferimento al  trattamento  economico  medio  dell'ultimo  anno  del
triennio precedente, ed ha effetto dal 1° gennaio successivo a quello
di riferimento; 
        gli stipendi al 1° gennaio del secondo e del  terzo  anno  di
ogni triennio sono aumentati, a titolo di  acconto,  sull'adeguamento
triennale, per ciascun anno e con riferimento sempre  allo  stipendio
in vigore al 1° gennaio del primo anno, per una percentuale  pari  al
30  per  cento  della  variazione  percentuale  verificatasi  fra  le
retribuzioni dei dipendenti pubblici nel triennio  precedente,  salvo
conguaglio, a decorrere dal 1° gennaio del triennio successivo; 
        la  percentuale  dell'adeguamento  triennale  e'  determinata
entro il 30 aprile del primo anno di ogni triennio  con  decreto  del
Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto  con  il  Ministro
della Giustizia e con quello del Tesoro; a tal fine, entro il mese di
marzo, l'ISTAT comunica la variazione percentuale di cui sopra. 
    La legge 6 agosto 1984, n. 425, all'art. 3, ha stabilito che  dal
1°  luglio  1983  la  progressione  economica  degli   stipendi   dei
magistrati si sviluppa in otto classi biennali del 6% da determinarsi
sullo stipendio iniziale di qualifica o livello retributivo, nonche',
allo scadere del dodicesimo anno, in successivi aumenti biennali  del
2.50% da calcolare sull'ultima classe di stipendio. 
    L'art. 51 del d.lgs. 5 aprile 2006, n.160, di  profonda  modifica
della disciplina dell'accesso in magistratura nonche' in  materia  di
progressione economica  e  di  funzioni  dei  magistrati,  nel  testo
sostituito dall'art. 2  della  legge  30  luglio  2007,  n.  111,  ha
confermato  integralmente  il  complesso  e  risalente   sistema   di
determinazione del trattamento stipendiale di magistrati,  precisando
espressamente che «continuano ad applicarsi tutte le disposizioni  in
materia di progressione stipendiale dei  magistrati  ordinari  e,  in
particolare, la legge 6 agosto 1984, n. 425, l'articolo 50, comma 34,
della  legge  23  dicembre  2000,  n.  388,  l'adeguamento  economico
triennale di cui all'articolo 24, commi 1 e 4 della legge 23 dicembre
1998, n. 448, della legge 2 aprile 1979,  n.  97  e  della  legge  19
febbraio 1981, n. 27, e la progressione per  classi  e  scatti,  alle
scadenze temporali ivi descritte e con decorrenza economica del primo
giorno del mese in cui si raggiunge l'anzianita' prevista». 
    Il comma 12 dell'art. 11 dello stesso d.lgs. n. 160 del  2006  ha
poi stabilito che una valutazione negativa di professionalita' - alla
quale sono sottoposti con cadenza  quadriennale  tutti  i  magistrati
ordinari, a decorrere dalla data di  nomina  e  fino  al  superamento
della settima valutazione di professionalita' - comporta «la  perdita
del diritto all'aumento periodico di stipendio per un biennio». 
    III.2)   La   disamina   della   complessa    disciplina    sopra
sinteticamente enunciata consente di argomentare  che,  alla  stregua
del quadro normativo risultante prima della entrata in  vigore  della
legge in esame: 
        la determinazione degli stipendi spettanti ai  magistrati  e'
sottratta  a  qualsiasi  genere  di  contrattazione,   essendo   essa
assoggettata ad un «sistema automatico», regolato direttamente  dalla
legge,  al  fine,  ripetutamente  sottolineato  dalla  giurisprudenza
costituzionale   ed   amministrativo,   «di   attuare   il   precetto
costituzionale dell'indipendenza e di evitare che essi (i magistrati)
siano soggetti a periodiche rivendicazioni  nei  confronti  di  altri
poteri», nonche' di «assicurare la completa autonomia ed indipendenza
dei giudice dall'esecutivo» (cfr.  Corte  costituzionale,  27  luglio
1995, n. 409; id. 10 febbraio 1993, n. 42; Cons. di Stato,  sez.  IV,
20 marzo 2006, n. 1472); 
        il  riportato  «sistema  automatico»  stabilisce  la   misura
dell'adeguamento  triennale  degli  stipendi  del   personale   della
magistrature  basandosi  su  un  indice   statistico,   espressamente
definito  «ragionevole  e  non  arbitrario»,  perche'   l'adeguamento
triennale e' calcolato non sulla sommatoria di tutti  gli  incrementi
retributivi intervenuti ma «soltanto sulla loro media, rapportando il
complesso del trattamento  economico  medio  per  unita'  corrisposto
nell'ultimo anno del triennio di  riferimento  a  quello  dell'ultimo
anno del triennio precedente. Gli incrementi  retributivi  realizzati
nel triennio precedente da tutti gli altri  dipendenti  pubblici  non
rilevano pertanto come accertamento della  quantita'  della  maggiore
retribuzione  automaticamente  dovuta   anche   ai   magistrati,   ma
esclusivamente quali indici ai fini della determinazione della giusta
retribuzione spettante a questi ultimi dal  primo  gennaio  dell'anno
successivo al triennio di riferimento» (cfr. Cons. di Stato, sez. IV,
n. 1472/2006, cit.); 
        a tal fine, il sistema in esame stabilisce che dapprima siano
rilevati  gli  incrementi  retributivi  gia'  erogati  ai  dipendenti
pubblici, che sia poi calcolata la variazione percentuale  ed  infine
che la determinazione del nuovo incremento degli stipendi avvenga con
l'emanazione di apposito decreto del  Presidente  del  Consiglio  dei
Ministri. Il nuovo trattamento stipendiale, adeguato in virtu'  della
variazione percentuale, ha effetto  solo  dal  1°  gennaio  dell'anno
successivo a quello di riferimento; 
        il  sistema  di  adeguamento,  dunque,  e'  un  criterio   di
determinazione  stipendiale   indiretto   e   per   relationem,   con
riferimento  alle  complessive  politiche  retributive  degli   altri
settori  del  pubblico  impiego,  di  cui  il  suesposto   meccanismo
rappresenta tuttavia un indice rilevatore  di  variazioni  sistemiche
gia' intervenute e di cui si deve  tener  conto  per  assicurare  che
anche lo stipendio erogato ai magistrati risponda ai principi fissati
nell'art. 36 della Costituzione: il decreto triennale del  Presidente
del Consiglio  dei  ministri,  infatti,  «non  rappresenta  una  mera
ricognizione degli incrementi retributivi gia' maturati nel  triennio
precedente  in  favore  dei  magistrati,  ma  e'   il   provvedimento
costitutivo del diritto al  nuovo  trattamento  stipendiale  attuale»
(cfr. Cons. di Stato, sez. IV, cit.); 
        gli andamenti retributivi degli stipendi dei magistrati  sono
dunque solo il riflesso di quelli piu' generali gia' verificatisi per
il restante pubblico impiego, di cui scontano eventuali virtuosita' o
lassismi nelle politiche retributive e non rappresentano, di per se',
alcun privilegio distintivo; il meccanismo di andamento si correla  a
precisi e svariati valori costituzionali, in primis su quelli di  cui
agli artt. 101, comma 2, 104, comma 1, e 36,  rispetto  ai  quali  va
verificata e rapportata anche  la  dichiarata  primaria  esigenza  di
ripiano dei conti pubblici; 
        il  sistema  retributivo  dei  magistrati  non   e'   affatto
insensibile alle congiunture  economiche  ricadenti  sul  complessivo
assetto retributivo dell'impiego pubblico; ove tale assetti) dovesse,
per avventura, risultare penalizzante per i  pubblici  impiegati  (in
forza di  eventuali  ulteriori  misure  restrittive  e  di  ulteriori
«tagli»), analoga ma «proporzionale» decurtazione ricadrebbe, proprio
per effetto del suesposto meccanismo di automatico adeguamento, anche
sul trattamento economico dei magistrati,  ferma  restando  (rectius,
dovendo rimanere) la costante del rapporto  fissato  sulle  eventuali
variazioni proprio dal suesposto meccanismo normativo; con  l'effetto
del tutto evidente di mantenere appunto invariato, si badi  anche  in
caso  di  generalizzata  diminuzione  degli  stipendi  dei   pubblici
impiegati, il rapporto rispetto alle retribuzioni  assicurate,  dalle
fonti anche costituzionali richiamate, ai magistrati. 
    III.3)  Alla  stregua   delle   coordinate   ermeneutiche   sopra
richiamate, mentre non e' dubbio che  qualsiasi  normativa  incidente
sulle retribuzioni dei magistrati, stante la  valenza  costituzionale
di tale assetto, vada riguardato sotto  la  lente  del  rispetto  dei
delicati  equilibri  finora  garantiti  dal  sistema  previgente,  la
disciplina introdotta nel 2010 con i commi 2, 21 e 22 dell'art. 9 del
d.l. 31  maggio  2010,  n.  78  appare,  per  converso,  non  affatto
orientata al mantenimento di detti equilibri retributivi, ingenerando
effetti penalizzanti solo sulla categoria dei magistrati e come  tali
non ragionevoli,  sia  ove  si  considerino  tali  effetti  sui  meri
trattamenti retributivi, sia - piu' marcatamente - ove si osservi  la
ratio di prelievo  eccezionale  imposto  ancora  una  volta  solo  ai
magistrati e dunque in violazione  delle  regole  costituzionali  che
assistono la materia tributaria. 
    III.4) Appare utile, a questo punto,  rappresentare  come  incide
sullo stipendio dei magistrati, stabilito dalla legge e rideterminato
periodicamente in base al sistema «automatico»  sopra  descritto,  la
complessa disciplina introdotta nel 2010 con  i  commi  2,  21  e  22
dell'art. 9 del d.l. 31 maggio 2010, n. 78. 
    Le disposizioni in questione (contenute, come detto nel  d.l.  31
maggio  2010,  n.  76,  titolato  «Misure  urgenti  in   materia   di
stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'   economica»)
testualmente sanciscono, all'art. 9  («Contenimento  delle  spese  in
materia   di   impiego   pubblico»):   «In    considerazione    della
eccezionalita' della situazione  economica  internazionale  e  tenuto
conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di
finanza pubblica concordati in  sede  europea,  a  decorrere  dal  1°
gennaio 2011 e sino al 31  dicembre  2013,  i  trattamenti  economici
complessivi dei singoli dipendenti, anche di qualifica  dirigenziale,
previsti dai rispettivi ordinamenti, delle amministrazioni pubbliche,
inserite   nel   conto   economico   consolidato    della    pubblica
amministrazione,  come   individuate   dall'Istituto   nazionale   di
statistica (ISTAT), ai sensi del comma 3 dell'art. 1 della  legge  31
dicembre 2009, n. 196, superiori a  90.0000  euro  lordi  annui  sono
ridotti del 5 per cento per la parte eccedente  il  predetto  importo
fino a 150.000 euro, nonche' del 10 per cento per la parte  eccedente
150.000 euro; a  seguito  della  predetta  riduzione  il  trattamento
economico complessivo non puo' essere  comunque  inferiore  a  90.000
euro lordi annui; le indennita'  corrisposte  ai  responsabili  degli
uffici di diretta collaborazione dei Ministri  di  cui  all'art.  14,
comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 sono ridotte del  10
per   cento;   la   riduzione   si   applica   sull'intero    importo
dell'indennita'. Per i procuratori ed avvocati dello Stato  rientrano
nella definizione di trattamento economico complessivo, ai  fini  del
presente comma, anche gli onorari di cui all'articolo 21 del r.d.  30
ottobre 1933, n. 1611. La riduzione prevista dal  primo  periodo  del
presente comma non opera ai fini  previdenziali.  A  decorrere  dalla
data di entrata in vigore del presente decreto e sino al 31  dicembre
2013, nell'ambito delle amministrazioni di cui all'articolo 1,  comma
2, del decreto  legislativo  30  marzo  2001,  n.  165  e  successive
modifiche  e  integrazioni,  i  trattamenti   economici   complessivi
spettanti ai titolari degli incarichi dirigenziali, anche di  livello
generale, non possono essere stabiliti in misura superiore  a  quella
indicata nel contratto stipulato dal precedente titolare  ovvero,  in
caso di rinnovo, dal medesimo titolare, ferma restando  la  riduzione
prevista nel presente comma. 
    Per il personale di cui alla legge n. 27/1971 non  sono  erogati,
senza possibilita' di recupero, gli acconti degli anni 2011,  2012  e
2013 ed il conguaglio del triennio 2010-2013; per tale personale, per
il triennio 2013-2015 l'acconto spettante per  l'anno  2014  e'  pari
alla misura gia' prevista per l'anno 2010 e il conguaglio per  l'anno
2015 viene determinato con riferimento agli anni 2009, 2010  e  2014.
Per il predetto personale l'indennita' speciale di cui all'articolo 3
della legge 19 febbraio 1981, n. 27, spettante negli anni 2011,  2012
e 2013 e' ridotta del 15 per cento per l'anno 2011, del 25 per  cento
per l'anno 2012 e del 32 per cento per l'anno  2013.  Tale  riduzione
non opera ai fini previdenziali. Nei confronti del predetto personale
non si applicano le disposizioni di cui ai commi 1 e  21,  secondo  e
terzo periodo». 
    Per  tutte  le  categorie  del  personale  delle  amministrazioni
pubbliche inserite nel conto  economico  consolidato  della  pubblica
amministrazione  (e  quindi  anche  per  i  magistrati),  quindi,   a
decorrere dal  1°  gennaio  2011  e  sino  al  31  dicembre  2013  il
trattamento economico complessivo superiore a 90.000  euro  lordi  e'
ridotto del 5 per cento per la parte eccedente il predetto importo  e
fino a 150.000 euro, nonche' del 10 per cento per la parte  eccedente
150.000 euro (comma 2 dell'art. 9). 
    Per tutte le categorie del personale non contrattualizzato  della
pubblica  amministrazione  (che  ricomprenderebbero,   astrattamente,
anche i magistrati) e' stato introdotto il blocco dei  meccanismi  di
adeguamento retributivo per gli  anni  2011,  2012  e  2013,  la  cui
operativita' e' estesa sia a livello di  acconto  che  a  livello  di
conguaglio (comma 21, primo periodo, dell'art. 9). 
    Per i soli magistrati e'  stato  poi  previsto  il  blocco  degli
acconti per gli anni 2011,  2012  e  2013  e  dei  conguagli  per  il
triennio 2010-2012 (comma 22, primo periodo, dell'art. 9). 
    Per i soli magistrati e' stato, altresi', previsto un «tetto» per
l'acconto per anno 2014 (che non puo' superare quello dell'anno 2010)
ed un «tetto» per il conguaglio dell'anno 2015, che sara' determinato
con riferimento agli anni 2009, 2010 e 2014, escludendo  pertanto  il
triennio 2011-2013 (comma 22, primo periodo, dell'art. 9). 
    Per i soli magistrati e' stata stabilita la riduzione annualmente
progressiva (pari al 15, al 25 e  al  32  per  cento),  nel  triennio
2011-2013, dell'indennita' giudiziaria di cui all'art. 3 della  legge
19 febbraio 1981, n. 27 (comma 22, secondo periodo, dell'art. 9). 
    Infine, per i soli magistrati, a differenza delle altre categorie
del personale  non  contrattualizzato,  sono  stati  salvaguardati  i
meccanismi di progressione automatica dello stipendio  per  gli  anni
2011-2013 (ossia le classi e gli scatti  di  carriera  ex  comma  22,
quarto periodo, che richiama ad excludendum il  secondo  e  il  terzo
periodo del comma 21 dell'art. 9). 
    III.5) In relazione all'applicazione, in  concreto,  delle  sopra
riportate misure ed al loro concreto impatto sui saldi  del  bilancio
pubblico, la Ragioneria generale  dello  Stato  ha  spiegato  che  la
riduzione e' applicata  al  trattamento  economico  complessivo,  nel
quale sono comprese tutte le componenti del trattamento  annuo  lordo
(fondamentali e accessorie, fisse e variabili) e quindi  le  seguenti
voci retributive: stipendio, con relativa progressione automatica per
classi  e  scatti,  indennita'  integrativa  speciale  e   indennita'
giudiziaria (quest'ultima, nelle misure gia'  ridotte  ai  sensi  del
comma 22  dell'art.  9);  le  ritenute  previdenziali  a  carico  del
lavoratore e del datore di  lavoro  sono  applicate  sul  trattamento
economico  interamente  spettante,  senza   quindi   considerare   le
riduzioni  retributive  introdotte  dalla   legge;   il   trattamento
economico annuo lordo cosi' determinato e' la base di  calcolo  delle
decurtazioni percentuali da applicare  per  la  parte  eccedente  gli
importi stabiliti dalla disposizione in esame; piu' precisamente,  la
base di calcolo e' determinata dal «trattamento economico complessivo
annuo  del  singolo  dipendente»,  sul  quale  devono  essere  quindi
considerate le variazioni che intervengano per  il  singolo  anno  di
riferimento. 
    Per quanto riguarda la mancata erogazione  degli  acconti  e  dei
conguagli per gli anni 2011, 2012 e 2013, come stabiliti dagli  artt.
11 e 12 della legge  n.  197  del  1979  (comma  22,  primo  periodo,
dell'art. 9 del d.l. n.78), la Ragioneria  generale  dello  Stato  ha
puntualizzato che il  personale  di  magistratura,  nel  triennio  di
riferimento, avrebbe conseguito: nell'anno 2011 la corresponsione del
secondo acconto, pari al 3.04%, come gia' determinato con d.P.C.m. 23
giugno 2009 (con misure che variano in  concreto  in  relazione  alle
qualifiche;  nell'anno  2012  non   sarebbe   stato   erogato   alcun
conguaglio, tenuto conto  della  crescita  contenuta  registrata  nel
triennio di riferimento delle retribuzioni del pubblico impiego preso
a riferimento; nell'anno 2013 la corresponsione del primo acconto  (e
dunque la misura della mancata erogazione di tale voce prevista nella
disposizione in esame) varia in relazione alle qualifiche. 
    Con riguardo al prospetto comparativo degli andamenti stipendiali
nel quadriennio 2010-2013, la tabella n. 1  allegata  alla  relazione
del MEF rivela i seguenti dati negativi: 
        i magistrati di qualifica  apicale  subiscono  nel  2011  una
decurtazione di oltre 10.000  euro  annui  rispetto  al  2010,  unico
parametro temporale di riferimento significativo e costante in quanto
anteriore alla manovra de qua, una riduzione di 7.000 euro annui  nel
2012 e di oltre 1.000 euro nel 2013, con una perdita  complessiva  di
oltre 18.000 euro nel periodo; 
        a loro volta i magistrati di qualifica iniziale nel  2011  si
vedono prelevati 500 euro annui nel 2011, 600 euro nel  2012  e  poco
meno di 200 euro nel 2013, con un  prelievo  complessivo  nell'intero
periodo di circa 1.300 euro. 
    Con riguardo  alla  richiesta  di  «un  analitico  e  dettagliato
prospetto comparativo sui concreti  livelli  retributivi  complessivi
dei dirigenti del MEF titolari  di  uffici  di  livello  dirigenziale
generale, (equiparati a superiori), come espressamente richiesto  con
l'ordinanza istruttoria di questo Tribunale, giova evidenziare che il
Ministero,  pur  non  avendo  in   realta'   indicato   le   concrete
retribuzioni del suo personale dirigenziale, ha rappresentato, con le
precisazioni fornite relative alle  vigenti  articolazioni  in  fasce
distinte del personale dirigente,  che,  per  gli  anni  relativi  al
triennio 2011-2013, la componente  stipendiale  risulta  incrementata
limitatamente  alla   corresponsione   dell'indennita'   di   vacanza
contrattuale; inoltre, la  retribuzione  media  del  dirigente  di  3
fascia subisce una decurtazione costante  annua,  sino  al  2013,  di
circa 10.000 euro, mentre per la dirigenza di II fascia  si  registra
al contrario un leggero incremento constante nel triennio. 
    Il Ministro della Giustizia e l'INPDAP hanno dato riscontro  alle
richieste  istruttorie  inoltrate,  comunicando  il   dettaglio   del
personale di magistratura collocato in quiescenza in occasione  delle
misure  restrittive  e  l'importo  complessivo  delle  indennita'  di
buonuscita   erogate   al   personale   di   magistratura   collocato
anticipatamente in  quiescenza  per  effetto  di  domanda  presentata
nell'anno 2010 nonche' l'importo complessivo delle pensioni  previste
per il medesimo personale dal 2011 al 2013. 
    In conclusione, quanto agli effetti di risparmio per  i  bilancio
dello Stato derivanti  dall'introduzione  dei  tagli  stipendiali  in
oggetto, essi ammontano a 41.631.937 euro per il mancato  adeguamento
della retribuzione (blocco degli acconti e del conguaglio), circa  21
milioni, 35 milioni e 45 milioni di euro, rispettivamente per  i  tre
anni 2011, 2012 e 2013, per  il  prelievo  di  parte  dell'indennita'
giudiziaria; 21,286.580 euro, in  misura  costante  per  il  triennio
2011-2013, per il prelievo del 5% e del 10%. 
    A fronte di tali risparmi, si  deve  pero'  registrare,  ai  fini
della diminuzione della spesa pubblica, che la somma complessiva  che
si e' dovuto erogare un un'unica  soluzione  nel  2010  al  personale
anticipatamente esodato e' stata, come visto, pari a circa 59 milioni
di euro. 
    Puo'  dunque  concludersi,  in  punto  di  fatto:  che  i   tagli
stipendiali incidono, in misura piu' o meno significativa,  su  tutte
le qualifiche magistratuali; dal raffronto con le tavole  stipendiali
della dirigenza, emerge  che  quantomeno  quella  di  II  fascia  non
risulta   toccata   dalla   manovra,   mentre   l'analoga   qualifica
magistratuale di magistrato di I valutazione  perde  oltre  600  euro
annui. 
    Gli  effetti  positivi   sulla   diminuzione   dell'indebitamento
pubblico devono,  come  si  e'  sopra  detto,  essere  compensati  in
diminuzione  del  maggiore  esborso  per  indennita'  di   buonuscita
correlate a collocamenti a riposo anticipati. 
    IV.  Va,  ancora  in  via  preliminare,  e  ancora  in  punto  di
rilevanza, osservato che, pur  potendosi  evidenziare  un'inesattezza
nel primo periodo del comma 22 dell'art. 9 del d.l.  n.78  in  esame,
laddove e' prevista la mancata  corresponsione  degli  acconti  degli
anni 2011, 2012 e 2013, in quanto nell'anno 2012  non  sarebbe  stato
comunque corrisposto al personale di magistratura alcun  acconto,  ma
piuttosto il conguaglio della variazione triennale relativa agli anni
2009-2011, il senso  complessivo  della  norma  non  risulta  affatto
incerto,  ambiguo  o  poco  chiaro,   ne'   possono   sorgere   dubbi
interpretativi in sede applicativa, come evidenziato dalla  relazione
della  Ragioneria  generale  dello  Stato,  contrariamente  a  quanto
prospettato dalla difesa ricorrente; il secondo  motivo  di  ricorso,
anche nella prospettiva  di  una  interpretazione  costituzionalmente
orientata, non puo' dunque essere favorevolmente  apprezzato  perche'
palesemente infondato. 
    IV.1) Il gia' citato art. 2 della legge n. 27/1981 indica  invero
con chiarezza che il meccanismo di dinamica retributiva del personale
di magistratura prevede un adeguamento  triennale  sulla  base  degli
incrementi conseguiti nel precedente triennio dalle  altre  categorie
del pubblico impiego che si realizza mediante  due  acconti  di  pari
importo nel secondo e nel terzo anno del triennio  ed  un  successivo
conguaglio, con  la  conseguenza  che,  esplicitamente  definiti  gli
ambiti di operativita' dei detti acconti  e  conguagli,  risulta  del
tutto palese e incontestabile tanto  la  voluntas  legis  sottesa  al
comma 22 quanto il suo ambito operativo. 
    IV.2) Ne risulta dunque la evidente rilevanza della questione  di
costituzionalita' sollevata con i restanti motivi  di  ricorso  (come
sopra detto incentrati proprio sulla prospettata  irragionevolezza  e
contrarieta' a Costituzione della normativa sopravvenuta, commi 2, 21
e 22 dell'art. 9 del d.l. n.78 del 2010), questione  che,  ad  avviso
del Collegio, non e' manifestamente infondata  per  quanto  sotto  si
dira', come del resto gia' rilevato da vari tribunali  amministrativi
regionali (TAR Campania, sez, Salerno, sez. I, ordinanza n. 1162  del
23 giugno 2011; TAR Piemonte, sez.  II,  ordinanza  n.  846,  del  28
luglio 2011, TAR Veneto, sez. I, ordinanza n. 1685, del  15  novembre
2011; TAR Sicilia, Palermo, ordinanza n. 2375 del 14 dicembre 2011). 
    In punto di  rilevanza,  ancora,  l'interesse  dei  ricorrenti  a
mantenere  il  trattamento  retributivo  assicurato  dal   precedente
sistema e' leso dalla immediata applicazione delle norme  di  cui  al
comma 22 dell'art. 9 del d.l. n. 78/2010; quelle di cui al comma  21,
primo periodo, dello stesso articolo si  presentano  di  applicazione
certa in caso di caducazione del comma 22, perche' comprendono  tutte
le categorie del personale non contrattualizzato; a decorrere dal  1°
gennaio 2011 i ricorrenti hanno  visto  inciso  il  loro  trattamento
economico, sia per quanto concerne il mancato incremento del  3.04  %
della voce stipendio, sia  perche'  e'  stata  operata  la  riduzione
dell'indennita' giudiziaria nella misura lorda di 167,75 euro mensili
(cfr. allegate copie dei cedolini degli stipendi relative ai mesi  di
dicembre 2010, gennaio e febbraio 2011). 
    Come evidenziato dal prospetto fornito dalla Ragioneria  generale
dello Stato, d'altra  parte,  le  misure  introdotte  comportano  una
concreta incidenza degli stipendi  nel  senso  della  loro  riduzione
generalizzata, pur distinta per qualifiche. 
    Il  dubbio  di  costituzionalita'  sussiste,  dunque,   sia   con
riferimento alle disposizioni contenute  nel  comma  22  dell'art.  9
riguardante il «blocco degli automatismi stipendiali» per il triennio
2011-2013  e  l'apposizione  di  tetti  ai  medesimi  (per  gli  anni
2014-2015) sia con riferimento a quella che introduce il taglio della
indennita' speciale di cui all'articolo 3  della  legge  19  febbraio
1981, n. 27 secondo aliquote differenti negli anni 2011, 2012 e  2013
(si tratta rispettivamente degli incisi secondo  cui:  a)  «non  sono
erogati, senza possibilita' di recupero, gli acconti degli anni 2011,
2012 e 2013 ed il conguaglio del  triennio  2010-2013»;  b)  «per  il
triennio  2013-2015  l'acconto  spettante   viene   determinato   con
riferimento agli anni 2009, 2010 e 2014»; c)  «l'indennita'  speciale
di cui all'articolo 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27,  spettante
negli anni 2011, 2012 e 2013, e' ridotta del 15 per cento per  l'anno
2011, del 25 per cento per l'anno 2012 e del 32 per cento per  l'anno
2013», con riduzione non operante ai fini previdenziali). 
    V. In punto di non manifesta infondatezza, va evidenziato che  il
sistema normativo  vigente  ha  stabilito  che  la  retribuzione  dei
magistrati considerata in senso  lato  non  presenti  alcun  elemento
accessorio (a differenza, per esempio, della dirigenza pubblica),  ma
che sia composta di sole tre voci (di cui una, peraltro, a  carattere
meramente indennitario, come gia' detto sopra),  e  cioe'  stipendio,
indennita' integrativa  speciale  e  c.d.  «indennita'  giudiziaria»,
secondo un sistema riconosciuto ragionevolmente attuativo dei  valori
costituzionali di autonomia ed  indipendenza  della  magistratura  da
ogni altro potere dello Stato, sanciti in  via  generale  dagli  art.
101, comma 2 («I giudici sono soggetti soltanto  alla  legge»),  104,
comma  1  («La  magistratura  costituisce  un   ordine   autonomo   e
indipendente da ogni altro potere») e 108 («Le norme sull'ordinamento
giudiziario e di ogni magistratura sono stabilite con  legge»)  della
Costituzione. 
    V.1) Non puo' in proposito essere sottaciuto  che  l'indipendenza
della  magistratura  non  costituisce  affatto  un  «privilegio»  dei
giudici, come tale recessivo in momenti di crisi congiunturale, ma e'
funzionale - nel disegno costituzionale -  alla  celebrazione  di  un
giusto processo, come si evince dai commi 1 e 2 dell'art.  111  della
Costituzione, secondo cui «la  giurisdizione  si  attua  mediante  il
giusto processo regolato dalla legge» ed «ogni processo si svolge nel
contraddittorio delle parti, in condizione di parita', davanti ad  un
giudice terzo ed imparziale». 
    La «funzionalizzazione»  dell'indipendenza  dei  magistrati  alla
celebrazione del  giusto  processo  si  rinviene  nell'art.  6  della
Convenzione  europea  dei  diritti  dell'Uomo  che,  per  il  tramite
dell'art. 117, 1° comma della Costituzione, come sostituito dall'art.
3 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.3, e' entrata  a  far
parte diretta del nostro tessuto costituzionale. 
    La collocazione ordinamentale dei giudici, ossia il modo  con  il
quale la funzione si atteggia al suo  interno  ed  in  rapporto  agli
altri  settori  del   comparto   pubblico,   non   e'   evidentemente
indifferente alla attuazione di tale  principio,  come  la  Corte  ha
avuto modo costantemente di ribadire, e  neppure  lo  e'  il  profilo
economico  di  tale  collocazione,  posto  che   la   necessita'   di
«attuazione  del  precetto   costituzionale   dell'indipendenza   dei
magistrati...va salvaguardato anche sotto il profilo economico», onde
evitare  «tra  l'altro  che  essi   siano   soggetti   a   periodiche
rivendicazioni nei confronti di altri poteri» (sentenze  nn.  1/1978,
42/1993, 238/1990). 
    Conseguentemente, il trattamento economico dei magistrati,  ossia
la  traduzione  in  corrispettivo  materiale  della  valutazione  del
servizio da essi prestato, non e'  nella  libera  disponibilita'  del
potere legislativo e del Potere esecutivo, e non puo' essere  ridotto
a mero corrispettivo del rapporto di servizio  nel  quale,  in  linea
teorica, rientrerebbe anche  il  personale  di  magistratura,  ma  e'
invece   (deve   essere)   parte   integrante   dell'attuazione   del
sopraesposto precetto costituzionale dell'indipendenza». 
    V.2) Ritiene in proposito il Collegio che il sistema  retributivo
previgente alle modifiche contestate costituisca un punto ragionevole
di equilibrio dei diversi valori costituzionali involti  e  che  ogni
modifica di tale sistema costituisca appunto un vulnus inferto a tale
equilibrio  ed  imponga  l'attenta  verifica   della   ragionevolezza
complessiva del risultante assetto. 
    Che nella specie, va con chiarezza  enunciato,  il  Collegio  non
individua. 
    Il precetto dell'indipendenza anzitutto  impone  «garanzie»  che,
sul trattamento economico, si  esprimono  nella  «certezza»  e  nella
«continuita'» della retribuzione. 
    Non e' dubbio, quindi, che, ove tale trattamento sia  soggetto  a
decurtazioni, tanto piu' se irrazionali, sbilanciate, sperequative  e
sostanzialmente inutili, vi  sarebbe  un'evidente  distonia  rispetto
alle garanzie di indipendenza e di autonomia dell'ordine giudiziario;
quand'anche una decurtazione del trattamento economico dei magistrati
dovesse  sopraggiungere,  in  relazione  a  peculiari  situazioni  di
emergenza, come quelle concernenti la finanza  pubblica  (e  che,  va
ripetuto,  non  sarebbe  ex  se  esclusa  dal  peculiare  sistema  di
adeguamento automatico sopra ricostruito),  sarebbe  allora  doveroso
inserirla in un assetto da cui evincere non solo le specifiche (e non
genericamente emergenziali) ragioni che spingono all'introduzione  di
nuovi oneri nei confronti della magistratura (che ne  riducessero  il
proporzionale  gap  retributivo  rispetto   al   restante   personale
pubblico), ma anche la compatibilita' di quegli oneri con i ricordati
principi costituzionali, ai quali occorre aggiungere anche quello  di
«buon andamento» degli uffici giudiziari di  cui  all'art.  97  della
Costituzione. 
    Invero, il meccanismo sopra descritto, che  assicura  ai  livelli
retributivi fissati dalla legge  un  adeguamento  «di  diritto»  ogni
«triennio», basato sulla  media  degli  incrementi  realizzati  dalle
altre  categorie  del  pubblico  impiego,  rappresenta  un   elemento
intrinseco  e  peculiare  della  struttura  dello  stipendio,  volto,
secondo quanto rilevato dalla stessa Corte costituzionale in analoghi
momenti storici di  drammatica  emergenza  monetaria  e  finanziaria,
all'«attuazione del  precetto  costituzionale  dell'indipendenza  dei
magistrati, che va salvaguardata anche sotto  il  profilo  economico»
(cfr. sentenza 16.1.1978, n.1) e ad evitare, «tra l'altro,  che  essi
siano soggetti a periodiche rivendicazioni  nei  confronti  di  altri
poteri» (cfr. sentenza 10 febbraio 1993, n. 42), cosi' concretizzando
«una guarentigia idonea a tale scopo» (cfr. sentenza 8  maggio  1990,
n. 238), e, sotto diverso profilo, un ragionevole bilanciamento tra i
diversi interessi involti difficilmente modificabile. 
    V.3) Non e' superfluo evidenziare che  lo  specifico  status  del
magistrato, come gia' evincibile dal sistema costituzionale  interno,
e' stato fatto proprio anche dall'ordinamento  comune  internazionale
che, nella prospettiva di garantire  il  giusto  processo,  e  quindi
ancora nell'ottica della funzionalizzazione a tale prospettiva  dello
status del giudice, ha ritenuto, nello specifico, che la retribuzione
dei magistrati debba essere «commisurata al loro ruolo  professionale
ed alle loro responsabilita'» ed  in  ogni  caso  tale  da  «renderli
immuni  da  qualsiasi  pressione  volta  ad   influenzare   le   loro
decisioni»; con l'invito  rivolto  agli  Stati  membri  «ad  adottare
specifiche disposizioni di legge per garantire che non  possa  essere
disposta una riduzione delle retribuzioni rivolta  specificamente  ai
giudici»  (cfr.  Raccomandazione  CM/Rec  (2010)  12   sui   giudici:
indipendenza, efficacia e responsabilita', atto di soft-law  adottato
a Strasburgo dal Comitato  dei  Ministri  il  17  novembre  2010,  in
particolare punto 54). 
    V.4) A cio' consegue che l'applicazione  del  primo  periodo  del
comma 22 dell'art. 9, che impone di non erogare: 
        l'acconto 2011 (il che si  traduce  nel  diniego,  posto  con
norma primaria, di corrispondere somme certe,  liquide  ed  esigibili
perche' gia' quantificate con il ricordato d.P.C.m. 23  giugno  2009,
costitutivo del relativo diritto patrimoniale); 
        l'eventuale conguaglio 2012; 
        il prossimo acconto 2013; 
        senza alcuna possibilita' di recupero delle  relative  somme,
lede non solo il dato testuale delle ricordate  norme  costituzionali
di cui agli artt. 101, 104 e 108,  ma  soprattutto  i  principi  e  i
valori sottesi ad esse, funzionali all'indipendenza e l'imparzialita'
del giudice, che costituiscono presupposto e requisito essenziale  di
ogni  giusto  processo  di  cui  agli  artt.  24,  101  e  111  della
Costituzione (cfr. sentenza 7 ottobre 1999, n. 381). 
    V.5) Va inoltre evidenziato che l'automatismo che  garantisce  la
periodica quantificazione in concreto del trattamento  economico  dei
magistrati configura un sistema,  disciplinato  con  legge  ordinaria
emanata  a  seguito  degli  accurati  e   approfonditi   procedimenti
parlamentari, oltre a non richiedere periodici interventi,  normativi
ovvero contrattuali, per adeguare nel tempo le  retribuzioni  secondo
intenti permanentemente conservativi e  non  lucrativi,  realizza  il
tendenziale equilibrio tra  la  pluralita'  dei  poteri  dello  Stato
perche' non comporta la subordinazione di uno  di  essi  agli  altri,
secondo quanto rilevato ripetutamente dalla ricordata  giurisprudenza
costituzionale e amministrativa. 
    Percio',  i  prelievi  introdotti   con   i   commi   22   e   21
(rispettivamente in via primaria ed alternativa) dell'art. 9 del d.l.
n.  78,  qui  contestati,  che  blocca   il   meccanismo   garantista
dell'adeguamento  automatico  della   retribuzione,   sostanzialmente
operano un  indebito  condizionamento  all'esercizio  della  funzione
giurisdizionale, intaccando sia l'indipendenza funzionale che  quella
organica. 
    V.6) Non ignora questo Collegio gli orientamenti  espressi  dalla
Corte con riguardo  a  precedenti  manovre  incidenti  sugli  aspetti
retributivi  dei  pubblici   dipendenti   (e,   quindi,   anche   dei
magistrati), dei quali si e' ritenuta la costituzionalita'. 
    In occasione della ricorrenti  manovre  di  finanza  pubblica  di
carattere emergenziale, il giudice delle leggi ha  rilevato  come  le
stesse fossero state emanate in momenti assai delicati  per  la  vita
economico-finanziaria del Paese e caratterizzati dalla necessita'  di
recuperare l'equilibrio di bilancio, giustificante  l'imposizione  «a
tutti» di sacrifici anche onerosi, purche' non lesivi  del  principio
di cui all'art. 3 della Costituzione (sotto il duplice sospetto della
non contrarieta' sia al principio di uguaglianza  sostanziale  sia  a
quello della non irragionevolezza),  a  «condizione  che  i  suddetti
sacrifici siano eccezionali, transeunti, non arbitrari e  consentanei
allo scopo prefisso» (cfr. sentenza 14 luglio 1999, n. 299, 18 luglio
1997, n. 245). 
    In tale comprensibile logica, e' chiaro che i ricordati  principi
costituzionali  che  tutelano  l'autonomia  e  l'indipendenza   della
Magistratura possano (e debbano) essere bilanciati con  altri  valori
costituzionali in  ipotesi  configgenti  nella  continua  e  costante
ricerca dell'equilibrio consentito dall'evoluzione del sistema, e fra
questi ben puo' esservi, specie in  momenti  congiunturali  di  crisi
economica, quello del  rispetto  delle  esigenze  di  bilancio  e  di
contenimento  della  spesa  pubblica   nei   limiti   delle   risorse
finanziarie attingibili. 
    Ma e' proprio in  questi  casi  che  occorre  una  piu'  rigorosa
verifica  della  complessiva  ragionevolezza  del  nuovo  «equilibrio
indotto», sicche', ove  il  legislatore  decida  di  intervenire  sui
meccanismi retributivi dei magistrati, deve in primo luogo  farlo  in
uno scenario di coinvolgimento di tutti  i  soggetti  (che  diventano
contribuenti)  secondo  i  principi   apicali   di   pari   capacita'
contributiva e progressivita' dei cui all'art. 53 della  Costituzione
e comunque nella misura e per il tempo  strettamente  necessari  alle
contingenze finanziarie legittimanti l'intervento, nel  rispetto  dei
principio di proporzionalita', ragionevolezza e di eguaglianza. 
    Va da se' che il citato art. 53 viene qui in rilievo solo al fine
di  rappresentare  la  complessiva  irragionevolezza  dell'intervento
normativo se inteso come finalizzato al reperimento  di  risorse  sub
specie di risparmio di spesa e non gia' sotto il diverso profilo, che
piu' sotto si esaminera', della possibile  incostituzionalita'  delle
disposizioni in esame, ove qualificate di natura tributaria. 
    Nella prospettiva  fin  qui  seguita,  la  manovra  in  esame  e'
irragionevole perche' solo apparentemente temporanea,  in  quanto  si
traduce in un  riassetto  negativo  dell'intero  sistema  stipendiale
della magistratura, secondo una logica perennemente emergenziale  non
incidente su alcun problema  strutturale  e  culturale  del  «sistema
Italia»; come le percussive ad ancora contingenti manovre  successive
hanno dimostrato; ed e' irragionevole perche' si volge esclusivamente
nei confronti dei magistrati di cui modificano  lo  status  senza  la
contestuale adozione  di  una  riforma  organica  e  razionale  della
materia regolata dalla legge n.  27/19881  e  dettata  in  attuazione
diretta degli artt. 101 e 104 della Costituzione. 
    E non e' dubbio che la politica dei tagli lineari, adottata nella
specie, e' /quella che meno si attaglia ad un settore per sua  natura
qualificato  da  delicatissimi  equilibri  qual   e'   quello   della
definizione dei rapporti tra poteri e  funzioni  dello  Stato,  senza
considerare  che  l'incisione  del  solo  aspetto  retributivo,   nel
contesto  dell'ordinamento  giudiziario,  non  compensato  da  misure
migliorative dello status,  finisce  per  riposizionare  la  funzione
magistratuale  in  senso  deteriore,  con  ulteriore   sbilanciamento
vulnerante  la  faticosa  posizione  di  indipendenza  in  precedenza
acquisita. 
    V.7) Inoltre, le norme censurate hanno  sicuramente  operato  una
compressione dei valori costituzionalmente garantiti in  maniera  del
tutto irrazionale, sproporzionata e  discriminatoria,  ove  si  tenga
conto del fatto che le stesse: incidono i magistrati diversamente  da
altri contribuenti aventi pari  capacita'  contributiva;  incidono  i
magistrati diversamente da altri contribuenti aventi  pari  capacita'
di reddito da lavoro (autonomo  e  privato);  incidono  i  magistrati
diversamente  nei  confronti  dei  pubblici  dipendenti  aventi  pari
capacita' di reddito da lavoro; incidono i magistrati senza apportare
risorse consistenti  alle  casse  dello  Stato  (laddove  un  diverso
intervento,  spalmato  su  tutti  i  contribuenti,   avrebbe   potuto
apportare risorse certamente piu'  consistenti  e  piu'  idonee  alla
dichiarata  finalita'  di  risanamento  del  bilancio);  incidono   i
magistrati in maniera irragionevole  al  loro  interno,  finendo  per
avere carattere piuttosto di regressivita', incidendo in maniera piu'
che proporzionale sugli stipendi  piu'  bassi  con  effetti  di  mera
causalita', imprevedibilita' ed illogicita'; altera  il  rapporto  di
proporzionalita' tra prestazione e retribuzione, incidendo in maniera
proporzionalmente  maggiore  sui  magistrati  percettori  di  reddito
inferiore; incide irragionevolmente sui diritti quesiti. 
    Tutte  considerazioni  fatte,  in  questa  sede,   al   fine   di
corroborare il  dubbio  di  costituzionalita'  con  riferimento  alle
prospettata  lesione  delle   prerogative   dell'indipendenza   della
magistratura. 
    V.8) La verifica di conformita' costituzionale della  manovra  in
questione si impone dunque per la ineludibile necessita' di  definire
con esattezza la misura della possibile incidenza del legislatore sul
sistema  retributivo  della  magistratura,  diversamente  esposta  ad
ulteriori future misure pretesamente «emergenziali». 
    VI. Sotto  un  diverso  profilo,  il  Collegio  rileva  che  alla
sospetta violazione dei principi di indipendenza e  di  imparzialita'
del giudice si associa, peraltro in stretta connessione, la possibile
violazione  di  principi  di  proporzionalita'   e   di   adeguatezza
retributiva posti dall'art. 36 della Costituzione. 
    VI.1) La retribuzione dei magistrati, stabilita con legge formale
ed aggiornata, solo di riflesso e per relationem,  con  l'automatismo
sopra delineato, e' rappresentata da un importo fisso  e  invariabile
correlato non solo alla generica quantita' e qualita' delle  funzioni
ed incarichi singolarmente svolti ma anche al ruolo  istituzionale  e
costituzionale cui essi sono preordinati. 
    La citata norma costituzionale assume  per  la  magistratura  una
valenza particolare, per la quale l'adeguatezza e la proporzionalita'
sono riferite a specifiche  funzioni  e  a  correlate  qualifiche  di
rilievo costituzionale, delle quali il legislatore  ha  tenuto  conto
nel delineare i corrispondenti meccanismi retributivi,  sicche'  «una
diminuzione, per qualsiasi causa, del trattamento  retributivo  rompe
la  proporzionalita'  e  infrange  quindi  la  norma  costituzionale»
(sentenza 5 febbraio 1975, n. 24). 
    VI.2)  Quanto,  in  particolare,  all'indennita'  speciale  (c.d.
indennita' giudiziaria) di cui all'articolo 3 della legge 19 febbraio
1981, n. 27, per la quale il secondo periodo del comma 22 dell'art. 9
del d.l. n. 78 del 2010 prevede la riduzione del  15  per  cento  per
l'anno 2011, del 25 per cento per l'anno 2012 e del 32 per cento  per
l'anno 2013, il Collegio deve anzitutto rammentare che  la  ratio  di
questa voce, entrata a far parte della retribuzione in senso lato dei
giudici, consiste nella compensazione degli specifici oneri, anche di
matura economica, gravanti sul magistrato. 
    Il fondamento della  c.d.  indennita'  giudiziaria  e',  infatti,
rinvenibile in un predeterminato «rimborso  spese»,  quantificato  in
misura  uguale  per  tutti  i  magistrati   investiti   di   funzioni
giurisdizionali a prescindere dall'anzianita', dalle funzioni e dalla
qualifica rivestita (e non corrisposta durante il periodo di  congedo
straordinario per malattia), espressamente correlata  ai  particolari
oneri che  i  magistrati  incontrano  nello  svolgimento  della  loro
attivita', la quale tra l'altro comporta  un  impegno  senza  precisi
limiti  temporali,  dal  che  discende,  tra  l'altro   un   rigoroso
collegamento con il servizio effettivamente prestato (cfr. sentenza 8
maggio 1990, n. 238). 
    Tale  indennita'  «ha  mantenuto,  sia  dalla  sua   istituzione,
connotati   peculiari   perche'   assoggettata   al   meccanismo   di
rivalutazione automatica previsto per gli stipendi dei magistrati (ed
avvocati dello Stato) dal precedente art. 2 della  legge  n.  27  del
1981 e  tale  rivalutazione  si  ispira  al  precetto  costituzionale
dell'indipendenza dei magistrati, costituendo una guarentigia  idonea
a tale scopo» (ordinanza 23 ottobre 2008, n. 246). 
    Il prelievo forzoso conseguente all'applicazione della  normativa
censurata, che cresce progressivamente negli anni,  appare  violativo
dei principi sanciti dagli artt. 101, 104 e 107  della  Costituzione,
posto  che  tutte  le  voci  che  compongono  la  «retribuzione»  dei
magistrati  non  sono  nella   libera   disponibilita'   del   Potere
legislativo o del Potere esecutivo e che quindi, a  maggior  ragione,
la  riduzione   dell'indennita'   giudiziaria   opera   un   indebito
condizionamento nei confronti  dell'ordinamento  giurisdizionale  con
conseguente lesione dei parametri gia' considerati (artt. 101, 104  e
108). 
    Inoltre, tale diminuzione, che si risolve per ogni giudice in una
minore entrata a copertura di voci di costo relative agli  oneri  che
incontra nell'esercizio della sua attivita', si  traduce,  di  fatto,
nella  dislocazione  di  quegli  oneri  sulla  voce  stipendio,   con
ulteriore evidenza della violazione dell'art. 36 della  Costituzione,
che impone sia l'obbligo di rispettare  la  proporzionalita'  tra  la
retribuzione e il livello quali-quantitativo del lavoro prestato  che
il correlato divieto di diminuire lo stipendio se non in  conseguenza
della diminuzione delle prestazioni richieste. 
    La lesione dei  considerati  parametri  di  costituzionalita'  e'
tanto piu' manifesta in quanto sulla predetta indennita' giudiziaria,
una volta applicate le aliquote progressive ad  essa  specifiche  del
15, 25 e 32 per cento, si abbatte l'ulteriore prelievo  generalizzato
del 5 e del 10 per cento di cui al comma 2 dell'art. 9 del d.l. n. 78
del 2010. 
    In conclusione la decurtazione che  sara'  operata  nel  triennio
rende, in fatto,  l'indennita'  giudiziaria  del  tutto  inidonea  ad
assolvere  il  suo  compito  di  «compensazione»  degli  oneri   vivi
sopportati dai magistrati nell'espletamento quotidiano delle  proprie
funzioni; oneri che,  dunque,  resteranno  privi  di  ristoro  e  che
graveranno, in diminuzione, non sul loro stipendio ma addirittura sul
loro patrimonio. 
    In altri termini, poiche' la complessiva  proporzionalita'  della
retribuzione latamente intesa e' raggiunta con  il  contributo  delle
sole tre voci che  la  compongono,  dalla  immotivata  e  consistente
decurtazione  di  una  di  esse   scaturisce   un'alterazione   della
complessiva proporzionalita', distorcendo cosi' il significato  della
voce «stipendio» piu' specificatamente destinata  al  compenso  della
prestazione lavorativa. 
    VII. La  ricostruzione  fin  qui  proposta,  prospettante,  sotto
diversi  profili,  l'illegittimita'  costituzionale  della  normativa
contestata, presuppone che tale  normativa,  cosi'  come  sembrerebbe
evincersi dal titolo della legge come  sopra  richiamato,  sia  stata
introdotta con finalita'  latu  sensu  di  contenimento  della  spesa
pubblica,  pretesamente  giustificanti,  nel  contesto   emergenziale
indotto dalle congiunture economiche internazionali,  la  complessiva
riduzione degli emolumenti riconoscibili  a  fronte  di  un  servizio
comunque reso in favore della collettivita'. 
    E se cosi' fosse, si e' piu' che  diffusamente  argomentato,  ove
tale contenimento  si  abbattesse,  come  e'  accaduto,  anche  sulle
retribuzioni  dei  magistrati,  il  legislatore   ordinario   avrebbe
l'obbligo costituzionale di rispettare i parametri sopra  invocati  e
non  potrebbe  ridurre  indiscriminatamente   le   retribuzioni   del
personale di magistratura in violazione delle garanzie  riconosciute,
che investono anche il complessivo pertinente livello  reddituale  in
rapporto agli altri pubblici dipendenti. 
    VII.1) Occorre  tuttavia  dar  conto  di  una  possibile  diversa
ricostruzione   che   non   eliminerebbe   affatto   i    dubbi    di
costituzionalita'  sulla  stessa  normativa  ma,  per  certi   versi,
vieppiu' li corroborerebbe. 
    VII.2) Va in proposito  anzitutto  ribadito  che  le  gia'  dette
disposizioni  normative  della  cui  legittimita'  costituzionale  si
dubita sono state dettate nel corpo del d.l 31  marzo  2010,  n.  78,
come convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010,  n.122,
rubricato  «misure   urgenti   di   stabilizzazione   finanziaria   e
competitivita' economica». 
    Il preambolo del d.l. riconduce le sue  disposizioni,  come  gia'
detto, alla matrice comune della «straordinaria necessita' ed urgenza
di emanare disposizioni per il contenimento della  spesa  pubblica  e
per  il   contrasto   all'evasione   fiscale,   alle   finalita'   di
stabilizzazione  finanziaria  e  del  rilancio  della  competitivita'
economica». 
    Il gia' citato art 9  (rubricato  «contenimento  delle  spese  in
materia di pubblico impiego»), al comma 2,  prima  di  introdurre  il
c.d. «contributo di solidarieta'» (di cui non si discute nel presente
giudizio),  fa  riferimento  alla  «eccezionalita'  della  situazione
economica  internazionale»   ed   alle   «esigenze   prioritarie   di
raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede
europea». 
    Con riguardo alla disciplina dettata dai commi  1,  2,  21  e  22
dell'art. 9 del d.l. n. 78/2010  rilevante  per  la  decisione  della
controversia, ricorda il Collegio che: 
        per tutti i dipendenti pubblici, ivi compresi  i  magistrati,
per gli anni 2011, 2012 e 2013 e' prevista  una  decurtazione,  nella
percentuale del 5% e del 10% delle  quote  di  trattamento  economico
superiori, rispettivamente, a 90.000 e 150.000 euro annui lordi; 
        per i magistrati,  cosi'  come  per  le  altre  categorie  di
personale non  contrattualizzato,  viene  introdotto  il  blocco  dei
meccanismi  di  adeguamento  retributivo,  la  cui  operativita'   e'
tuttavia estesa, sia a livello di acconto che a livello di conguaglio
(e dunque con effetto anche retroattivo), per i soli  magistrati  (di
tutte le  magistrature),  a  differenza  delle  altre  categorie  del
personale  non  contrattualizzato,  mentre   sono   salvaguardati   i
meccanismi di «progressione automatica dello  stipendio»,  ossia  gli
scatti di carriera, e cio' perche' ad essi non si applicano i periodi
secondo e terzo del comma 21; 
        vengono introdotti dei «tetti» all'acconto  per  l'anno  2014
(che non puo' superare quello del 2010) e al  conguaglio  per  l'anno
2015 (determinato con  riferimento  agli  anni  2009,  2010  e  2014,
escludendo quindi il triennio 2011-2013); 
        nei confronti dei soli magistrati viene operata una riduzione
crescente nel tempo dell'indennita' giudiziaria (ex art. 3 .27/1981),
come previsto dal secondo periodo del comma 22. 
    Il d.l. n. 98/2011, convertito nella legge n. 111/2011, rubricato
«disposizioni urgenti per la stabilizzazione  finanziaria»,  all'art.
16, rubricato  «contenimento  delle  spese  in  materia  di  pubblico
impiego», prevede per il Governo  la  facolta'  di  estensione  delle
predette misure dettate per il pubblico impiego anche all'anno 2014. 
    Le disposizioni sopra  dette  introducono,  nel  loro  complesso,
misure finalizzate ad incidere in maniera consistente sul trattamento
economico dei magistrati per  gli  anni  2011,  2012  e  2013  e,  in
ipotesi, anche per l'anno 2014. 
    VII.3) Puo' ragionevolmente ipotizzarsi  che  tutte  le  predette
disposizioni, anche se presentate come misure di mera riduzione della
spesa pubblica, abbiano in realta' natura tributaria,  e,  in  quanto
tali, devono  essere  necessariamente  assoggettate  ai  principi  di
universalita',  capacita'  contributiva  e  progressivita'   di   cui
all'art. 53 della Costituzione. 
    Per valutare se, in concreto, le  misure  qui  in  esame  (blocco
dell'adeguamento automatico per il triennio  2011-2013,  introduzione
di tetti per il biennio 2014/2015 e taglio  dell'indennita'  speciale
di cui all'articolo 3 della legge 29 febbraio 1981, n.27)  abbiano  o
meno la  natura  di  tributo  «occorre  interpretarne  la  disciplina
sostanziale alla luce  dei  criteri  elaborati  dalla  giurisprudenza
costituzionale  per  qualificare  come  tributarie  alcune   entrate;
criteri  che  consistono  nella  doverosita'  della  prestazione,  in
mancanza  di  un  rapporto  sinallagmatico  tra  le   parti   e   nel
collegamento di detta prestazione alla pubblica spesa in relazione ad
un  presupposto  economicamente  rilevante»   (ex   plurimis,   Corte
costituzionale, nn.141 /2009, 335/2008, 64/2008, 334/2006, 73/2005). 
    Tutti indici che, invero, sembrano ricorrere nella specie. 
    Va in generale in proposito osservato  che  il  prelievo  forzoso
introdotto con il d.l. n.78,  piuttosto  che  incidere  sulla  misura
della  retribuzione,  e   dunque   sul   piano   della   spesa   (che
nell'intenzione del  legislatore  si  intenderebbe  con  tale  mezzo,
ridurre),  potrebbe   ritenersi   piuttosto   incidente   sul   piano
dell'entrata, e  costituire,  nei  fatti,  una  innovativa  forma  di
prelievo coattivo di indubbia natura tributaria. 
    A sostegno di tale - indubitabilmente diversa e, per certi versi,
alternativa - ricostruzione, sta  anzitutto  la  circostanza  che  la
misura della retribuzione non e' stata formalmente ne' modificata ne'
tantomeno ridotta (come peraltro dimostrato dal fatto che  le  misure
di riduzione sono espressamente presentate come «temporanee» e,  piu'
significativamente,  non  operano  a  livello   previdenziale,   come
argomentato anche dalla Ragioneria Generale dello Stato), ma soltanto
assoggettata solo  temporaneamente,  secondo  l'attuale  formulazione
legislativa,   ad   una   restrizione   consistente   nell'automatico
incameramento, da parte dello Stato, delle quote di  volta  in  volta
individuate in base ai livelli stipendiali  raggiunti  dalle  singole
qualifiche, come una  sorta  di  «prelievo  aggiuntivo  alla  fonte».
Orbene, se non e' dubbio che, dal punto di vista  del  percettore  di
reddito, la questione,  sostanzialmente,  e  in  disparte  i  profili
previdenziali  e/o  pensionistici,  non  muti   (giacche',   per   il
dipendente, non cambia se lo stipendio e' piu'  basso  ovvero  se  e'
assoggettato a prelievi fiscali piu' onerosi,  ove  si  consideri  il
reddito «disponibile»), dal punto di  vista  teorico  le  conseguenze
sono  notevolmente  diverse,  giacche'  il   regime   delle   entrate
tributarie deve per parte sua essere conforme ai vincoli in  subiecta
materia imposti dalla Costituzione (art. 53 in primis). 
    VII.4) A sostegno di tale alternativa ricostruzione, va detto che
l'imposizione dei sacrifici economici individuali in esame  e'  stata
realizzata attraverso un  atto  autoritativo  generale  di  carattere
ablatorio e la destinazione del gettito scaturente da tale  ablazione
concorre al fabbisogno finanziario dello Stato, sotto le sembianze di
risparmio di spesa, ma, in realta'  e  nella  sostanza,  di  prelievo
forzoso  di  somme  stipendiali   ed   indennitarie   (normativamente
riconosciute  come'  tali)  a  copertura  di  fabbisogni   finanziari
indifferenziati dello Stato apparato. 
    Le ulteriori «trattenute» in questione sono state invero  operate
al di fuori di qualsiasi rapporto sinallagmatico, nel senso che  esse
non trovano ragione in una controprestazione in favore del dipendente
ma sono imposte in via autoritativa. 
    Peraltro,  lo  stesso  incipit  del  comma  2   dell'art.9   («in
considerazione  della  eccezionalita'  della   situazione   economica
internazionale  e  tenuto  conto  delle   esigenze   prioritarie   di
raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede
europea»)  fornisce  la  vera  «motivazione»   e   la   ratio   della
disposizione, collegando in  modo  esplicito  la  peculiarita'  degli
strumenti utilizzati dal legislatore d'urgenza del 2010 ad  obiettivi
di carattere finanziario, ossia la messa a  disposizione  di  risorse
economiche per le esigenze dell'erario. 
    Cio' del resto e' confermato dal (pure sopra ricordato) preambolo
al  d.l.  n.  78/2010  che  riconduce  la   rilevata   «straordinaria
necessita' ed urgenza di emanare  disposizioni  per  il  contenimento
della spesa pubblica e per il contrasto  all'evasione  fiscale»  alle
finalita'  della  «stabilizzazione  finanziaria»   (espressione   che
peraltro compare identica anche nell'intitolazione del d.l. n. 78)  e
del «rilancio della competitivita' economica». 
    Orbene, ove ci si muova al di fuori del contesto del principio di
corrispettivita',  la  prestazione  in   questione   non   puo'   che
qualificarsi di natura contributiva e lo scopo del prelievo  dovrebbe
dunque individuarsi nel  procacciamento  di  entrate  occorrenti  per
l'espletamento delle attivita' necessarie  al  soddisfacimento  degli
interessi pubblici, sganciato dunque da qualsiasi rapporto  (diretto)
di scambio di utilita'. 
    VII.5) Deve concludersi che le norme in esame  hanno  in  effetti
istituito  dei  tributi,  di  cui   presentano   le   caratteristiche
essenziali,  e  cioe'  «la  doverosita'  della   prestazione   e   il
collegamento di questa ad una pubblica spesa, con riferimento  ad  un
presupposto  economicamente  rilevante»  (Corte   costituzionale   19
ottobre 2006, n. 334, nonche' Sentenze n. 26 del 1982, 63 del 1990, 2
ed 11 del 1995, 37 del 1997). 
    Ma tale scopo (procurare un'entrata allo Stato) altro non e'  che
il proprium dell'obbligo (e, per converso, del potere)  contributivo,
che, tuttavia, in base al gia' richiamato art. 53  Cost.,  impone  il
necessario  ineludibile  collegamento   tra   imposta   e   capacita'
contributiva, quest'ultima costituente il titolo giustificativo dello
stesso   prelievo.   Tale   considerazioni   valgono    integralmente
innanzitutto ed indiscutibilmente per il «contributo di solidarieta'»
di cui al comma 2 dell'art. 9, non oggetto di  scrutinio  diretto  in
questa sede, contributo la cui  natura  tributaria  e'  ulteriormente
palesata dall'utilizzo  della  ben  nota  tecnica  di  fissazione  di
aliquote crescenti per scaglioni di reddito. 
    Che la disposizione in questione sia di carattere  tributario  si
evince dunque dalla  sua  qualificazione  come  «ablazione  di  somme
trattenute dal datore di lavoro e da costui  successivamente  versate
nelle  casse  dell'erario»  e  dalla  destinazione  delle  somme   in
questione «all'apprestamento di mezzi necessari al  fabbisogno  dello
Stato (cfr. Corte cost., 12 gennaio 1995, n. 11). 
    Ma identica ratio (dimostrata anche dalla sedes materiae) mutuano
anche le disposizioni qui specificatamente in esame,  che,  sotto  le
sembianze di risparmio di spesa, in realta'  introducono  prestazioni
patrimoniali imposte che, avendo  natura  tributaria,  devono  essere
assoggettate ai principi  costituzionali  dettati  dall'art.  53,  il
quale articolo al primo comma statuisce  che  «tutti  sono  tenuti  a
concorrere alle spese  pubbliche  in  ragione  della  loro  capacita'
contributiva» ed al secondo che «il sistema tributario e' informato a
criteri di progressivita'». 
    VII.6) La disposizione costituzionale  in  parola  e',  in  primo
luogo, chiara nell'individuare in modo inequivoco ed  onnicomprensivo
(«tutti») la platea dei soggetti del prelievo fiscale, ribadendo  con
forza la  necessaria  applicazione  del  generalissimo  principio  di
eguaglianza di cui all'art. 3 Cost. anche al sistema tributario. 
    La stessa norma specifica il concetto di uguaglianza  in  materia
fiscale  ancorandolo  alla  pari  capacita'   contributiva,   sicche'
«l'universalita' della  imposizione»,  desumibile  dalla  espressione
testuale  «tutti»  (cittadini  o  non  cittadini,  in  qualche   modo
collegati con la Repubblica Italiana), deve essere intesa  nel  senso
di obbligo generale,  improntato  al  principio  di  eguaglianza,  di
concorrere  alle  spese  pubbliche   in   ragione   della   capacita'
contributiva (con riferimento al  singolo  tributo  ed  al  complesso
della  imposizione  fiscale),  come  «dovere  inserito  nei  rapporti
politici   in   relazione   all'appartenenza   del   soggetto    alla
collettivita' organizzata» (Corte cost., ord n. 341 /2000). 
    In altri termini, «il primo comma dell'art. 53, nel  sancire  non
gia' solo il dovere delle  prestazioni  tributarie,  ma  altresi'  il
principio della correlazione di queste con la capacita'  contributiva
di ciascuno, impone al legislatore, oltre all'obbligo di non disporre
prestazioni che siano  in  contrasto  con  i  principi  fondamentali,
sanciti dalla Costituzione a tutela della persona, altresi' l'obbligo
di commisurare il carico tributario in modo  uniforme  nei  confronti
dei vari  soggetti  allorche'  sia  dato  riscontrare  per  essi  una
perfetta identita' della situazione di fatto presa in  considerazione
dalla legge  al  fine  dell'imposizione  del  tributo»  (Corte  cost.
92/1963),  e  cio'  in  piena  conformita',  anche  ai  dettami   del
generalizzato principio di  eguaglianza  sancito  dall'art.  3  della
Costituzione. 
    VII.7) Le censurate disposizioni di cui al comma  22  dell'art.9,
al contrario,  incidono  sul  reddito  di  una  sola  micro-categoria
sociale (che  conta  poche  migliaia  di  contribuenti),  quella  dei
magistrati,  dal  che  e'  evidente,  alla   luce   delle   superiori
coordinate, che il legislatore, anche a  mezzo  della  non  censurata
disposizione di cui al  comma  2  dell'art.  9,  istituente  il  c.d.
«contributo di solidarieta'», ha colpito solo una determinata  classe
sociale ( i dipendenti pubblici, quanto al comma 2 dell'art. 9) e, in
particolare, e per quanto piu' direttamente qui  rileva,  con  misure
ancora piu' incisive rispetto  agli  stessi  dipendenti  pubblici,  i
magistrati, quanto al comma 22 dell'art. 9. 
    In  tal  modo   ha   previsto   un   tributo   odioso,   giacche'
specificatamente riferito ad una sola categoria di contribuenti,  con
l'aggravante  di  aver  individuato,  tra  tutte  le   categorie   di
contribuenti possibili, l'unica il cui trattamento economico risponde
a principi di natura costituzionale specifici, ulteriori (l'autonomia
e l'indipendenza della magistratura di cui agli artt. 101 comma e 104
comma 1) e piu' pregnanti rispetto a quelli generali di cui  all'art.
36 della Costituzione. Invero, invece di prendere come parametro  per
l'imposizione fiscale un medesimo indice di capacita' contributiva  e
conseguentemente incidere su  tutti  i  contribuenti  versanti  nella
medesima condizione, le norme in questione, con misure  continuative,
prolungate nel triennio 2011-2013 (con possibile estensione al  2014)
ed  in  parte  al  biennio  2014-2015,  nonche'   irrazionali   sotto
molteplici profili sono state rivolte ad una ben limitata «classe  di
persone», colpendo  esclusivamente  il  loro  «reddito»  e  con  cio'
violando l'art. 53, comma 1 della Costituzione. 
    VII.8) Secondo tale prospettazione, soprattutto  il  prelievo  di
parte dell'indennita' giudiziaria non si correla ad alcuna «capacita'
contributiva», proprio alla luce della gia' rilevata natura  di  tale
componente della «retribuzione» latamente intesa, non  essendo  essa,
come gia' detto, un elemento di arricchimento della sfera del singolo
ma  un  semplice  ristoro   di   oneri   che   il   magistrato   deve
necessariamente sostenere per organizzare il  proprio  lavoro,  oneri
presuntivamente e forfettariamente determinati gia' in via  normativa
a monte. 
    Orbene,  ove  si  consideri  che  il  citato  articolo  53  della
Costituzione sancisce «non gia'  solo  il  dovere  delle  prestazioni
tributarie, ma altresi' il principio della correlazione di queste con
la capacita' contributiva di ciascuno» (cfr. Corte cost., sentenza 18
giugno 1963, n. 92), non c'e' dubbio  che  il  legislatore  ordinario
puo' esercitare il potere impositivo solo in relazione a  prestazioni
commisurate alla capacita' contributiva degli obbligati, e dunque che
la discrezionalita'  legislativa  e'  vincolata  al  rispetto  di  un
parametro che, tecnicamente, e' un  concetto  giuridico  a  contenuto
indeterminato ma che, concretamente, deve essere tradotto in un  dato
obiettivamente esistente e commisurato  ad  un  indice  effettivo  di
ricchezza (nella specie, il reddito da lavoro  dipendente);  ma  tale
definizione, per quanto sopra detto, non si  attaglia  all'indennita'
giudiziaria, che non e' «un  presupposto  rivelatore  di  ricchezza»,
avendo esclusivamente natura indennitaria, e  la  cui  incisione  non
trova alcuna specifica, oggettiva e plausibile causa  giustificatrice
in  indici  concretamente  rivelatori  di  maggiore  ricchezza  (cfr.
Sentenza 10 luglio 1975, n. 201). 
    La indennita' giudiziaria  dunque  non  puo'  essere  assunta  ad
indice di «capacita'  contributiva»  ed  essere  quindi  gravata  dal
prelievo forzoso disposto dal comma 22 dell'art. 9 in esame  che,  in
definitiva,  viene  a  colpire  un  rimborso  compensativo  di  spese
strumentali all'attivita' svolta. 
    VII.9) Va aggiunto che la disposizione  in  questione  (comma  22
dell'art.  9)  si  pone  in  contrasto  anche  con  il  principio  di
progressivita' contenuto nel comma 2 dell'art. 53 della Costituzione,
dal momento che essa colpisce nella stessa misura fissa (del 15%, per
l'anno 2011, del 25% per l'anno 2012 e del 32% per l'anno 2013) tutti
gli  appartenenti  alla  categoria,  come  se  la  detta   indennita'
costituisse una sorta di «reddito a tassazione separata» e non  gia',
ove mai potesse qualificarsi della stessa natura  della  retribuzione
(invece  che,  come  sopra  detto,  avente   natura   «indennitaria»)
concorrere al complessivo ammontare del «reddito» prodotto. 
    In tal modo, il taglio dell'indennita'  in  misura  identica  per
tutti gli appartenenti alla categoria produce il singolare  risultato
che i  piu'  giovani  agli  inizi  della  carriera  che  percepiscono
stipendi nettamente inferiori si trovano a pagare le stesse somme  di
coloro che si trovano in uno stadio avanzato o finale della  carriera
e  percepiscono  stipendi  anche  di  molto  superiori,  con  effetti
«regressivi» di evidente violazione del principio  sopra  esposto  di
progressivita'. 
    VII.10) L'obiezione che il detto principio debba informare non il
singolo tributo ma il "sistema" nel  suo  complesso,  d'altra  parte,
puo' ad avviso del  Collegio  essere  superata  dal  rilievo  che  il
legislatore  ha  introdotto  un  tributo  «singolare»  incidente  sul
presupposto economico del reddito da lavoro, esso  stesso  sottoposto
per coerenza e ragionevolezza intrinseca della norma al principio  di
progressivita', analogamente alle norme disciplinanti  l'IRPEF  (cfr.
Corte costituzionale, 13 gennaio 2006, n. 2) 
    VII.11) Analogo discorso, in punto  di  violazione  dei  principi
informatori del sistema tributario, ove di norma  tributaria  dovesse
trattarsi, secondo l'alternativa prospettazione  qui  proposta,  vale
per il prelievo/congelamento  degli  acconti  e  dei  conguagli,  che
costituiscono, come meglio  sopra  spiegato,  non  gia'  un  elemento
costitutivo di maggior reddito  (rispetto  alle  altre  categorie  di
lavoratori dipendenti) ma solo un meccanismo di  recupero  di  quanto
gia' corrisposto agli  altri  pubblici  dipendenti  essenzialmente  a
garanzia della perdita d'acquisto dei salari nominali. 
    Detti acconti e conguagli non possono dunque considerarsi  indici
di (maggior) capacita'  contributiva  ed  essere  sottoposti  a  piu'
onerosa tassazione. 
    VII.12)  Va  aggiunto  che  in  base  al   meccanismo   normativo
contestato, a differenza di quanto e' previsto per  tutti  gli  altri
dipendenti pubblici (che potranno recuperare nella  misura  stabilita
in sede di  trattativa  sindacale  e  in  esito  allo  sblocco  della
contrattazione collettiva quanto sarebbe loro  spettato  nel  periodo
precedente), non e'  prevista  alcuna  possibilita'  di  recupero  di
quanto non corrisposto nel triennio 2011-2013 per i magistrati, per i
quali, oltretutto, con  lo  stesso  comma  22  dell'art.9,  e'  stato
stabilito il "tetto" dell'acconto spettante per  l'anno  2014  e  del
conguaglio per l'anno 2015. 
    Il prelievo in questione  e'  dunque  definitivamente  incamerato
dallo Stato, alla stregua di una comune imposizione tributaria. 
    VII.13) Dall'esame  del  complesso  meccanismo  di  blocco  degli
incrementi,   cosi'   disegnati   differentemente    per    categorie
appartenenti alla medesima area di pubblici dipendenti  con  distinta
capacita' economica tratta da reddito di  lavoro  dipendente,  appare
fondata anche la dedotta disparita' di trattamento tra  le  categorie
dei lavoratori del pubblico impiego e in particolare  la  prospettata
violazione del precetto di cui all'art. 3 della  Costituzione  e  del
concorrente canone di ragionevolezza. 
    Con riguardo al primo termine, se e' stato ritenuto  (e  potrebbe
ritenersi)  legittimo  il  blocco  per  un  anno   degli   incrementi
retributivi  in  conseguenza  di  automatismi   stipendiali   o   per
progressione  automatica  della  carriera,  per  altro   verso   quel
meccanismo,  «pur  collocandosi  in  un  ambito  estremo»,  e'  stato
ritenuto compatibile con la Costituzione in quanto limitato nel tempo
ad un solo  anno  e  non  «irrazionalmente  ripartito  tra  categorie
diverse di cittadini», giacche'  la  manovra  di  contenimento  della
spesa pubblica (si trattava dell'anno 1993)  non  incideva  «soltanto
sulla condizione e sul patrimonio del pubblico impiego, ma  anche  su
quello di altre categorie di lavoratori  (cfr.  ordinanza  14  luglio
1999, n. 299). 
    Anche in relazione agli univoci messaggi della Corte, la  manovra
finanziaria qui in esame appare  invece  del  tutto  irragionevole  e
sperequata, sia in ordine ad altre categorie di  lavoratori  pubblici
(ma anche e soprattutto privati), sia con riguardo al lasso temporale
di riferimento che supera abbondantemente il periodo annuale. 
    In proposito, tenuto conto dell'esigenza di fronteggiare la crisi
economica e internazionale,  in  particolare  dei  paesi  della  zona
euro), il legislatore avrebbe dovuto, piuttosto  che  restringere  la
contribuzione diretta al risanamento delle  casse  dello  Stato  alle
sole  retribuzioni  dei   pubblici   dipendenti,   ed   ancora   piu'
afflittivamente  dei  magistrati,  includere,   invece,   gli   altri
percettori di reddito aventi la stessa capacita' contributiva, e,  in
vista  dell'evento  della  palesata   esigenza   inderogabile   della
riduzione di spesa, in definitiva la collettivita' nel suo insieme. 
    Emerge, in proposito, un'ulteriore  profilo  di  irragionevolezza
delle misure  di  riduzione  della  spesa  (o,  alternativamente,  di
aumento delle entrate), che risultano in sostanza accollate  solo  ad
una parte dei cittadini, mentre i benefici andranno  a  beneficio  di
tutti, in violazione degli artt. 2 e 3 della Costituzione, ossia  con
il  principio  di  solidarieta'  sociale  cui  corrispondono   doveri
inderogabili e di eguaglianza. 
    In tale logica, non si giustifica, ad esempio, la esclusione  dei
lavoratori del settore privato (dipendenti o autonomi)  dal  prelievo
imposto, tenuto anche conto che  le  retribuzioni  di  tale  settore,
specialmente ai livelli dirigenziali e manageriali delle imprese, per
non parlare dei professionisti  piu'  facoltosi  (notai,  farmacisti,
avvocati, medici specialisti, ecc.), sono enormemente piu' elevate di
quelle del settore pubblico,  e  dunque  in  grado  di  garantire  un
maggiore gettito alle finanze pubbliche. 
    VII.14) In presenza di una  identica  situazione  reddituale,  le
disposizioni  in  parola  finiscono  poi  per  trattare  in   maniera
ingiustificatamente diversa, nel suo stesso interno, la categoria dei
pubblici dipendenti. 
    Deve qui farsi riferimento al singolare risultato prodotto  dalle
disposizioni in questione per  effetto  delle  quali  il  trattamento
economico dei magistrati che non maturino scatti  o  progressioni  di
carriera  negli  anni  di  riferimento  e'   soggetto   a   riduzioni
contrariamente  a  quanto  accade   con   riguardo   ai   trattamenti
retributivi degli altri pubblici dipendenti, ivi compreso quello  dei
dirigenti, che, sino alla soglia di  90,000  euro  lordi  annui,  non
possono aumentare ma nemmeno possono decrescere. 
    Dunque,  l'unica  categoria  di  dipendenti  che,  tra  tutti   i
contribuenti che percepiscono fino a  90.000  euro  annui  lordi  per
lavoro dipendente, a  causa  della  generale  crisi  economica,  vede
ridursi il proprio trattamento economico e' quella dei magistrati,  e
cioe',  ancora  una  volta,  l'unica  categoria  la  tutela  del  cui
trattamento  stipendiale  deve  rispondere  a  principi   di   natura
costituzionale. 
    La disparita' sussiste anche  con  riferimento  a  quei  pubblici
dipendenti (ad esempio i dirigenti) che percepiscano piu' di 90.000 o
150.000 euro annui lordi, tenuti, come i  magistrati,  a  versare  il
contributo  di  solidarieta',  ma  non  tenuti,  al   contrario   dei
magistrati,  alle  ulteriori  misure   del   taglio   dell'indennita'
giudiziaria, al blocco degli adeguamenti automatici, all'introduzione
di tetti agli stessi. 
    Oltre al parametro di cui all'art. 3, risulta altresi' violato il
piu' generale principio di  ragionevolezza  che,  secondo  la  Corte,
risulta vulnerato «anche in assenza di una sostanziale disparita'  di
trattamento tra fattispecie omogenee, allorche' la norma presenti una
intrinseca incoerenza, contraddittorieta' od illogicita' rispetto  al
contesto normativo preesistente o rispetto alla complessiva finalita'
perseguita dal legislatore». 
    In proposito, giova ancora richiamare l'art. 16 del d.l. 6 luglio
2011, n. 9, convertito nella legge 15 luglio  2011,  n.  111  che  ha
testualmente previsto che «qualora, per  qualsiasi  ragione,  inclusa
l'emanazione di provvedimenti giurisdizionali diversi dalle decisioni
della  Corte  costituzionale,  non  siano  conseguiti   gli   effetti
finanziari  utili  conseguenti,  per  ciascuno  degli   stessi   anni
2011-2013, alle disposizioni di cui ai commi 2 e 22  dell'articolo  9
del   decreto-legge   31   maggio   2010,   n.78,   convertito,   con
modificazioni, dalle legge 30 luglio 2010, n.122, i medesimi  effetti
finanziari  sono  recuperati,  con  misure  di  carattere   generale,
nell'anno  immediatamente  successivo  nei  riguardi   delle   stesse
categorie di personale cui si applicano le predette disposizioni». 
    Orbene, in disparte il carattere ulteriormente «singolare»  della
disposizione, valutabile sotto lo  stesso  profilo  gia'  evidenziato
della ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione  (principio
di uguaglianza, posto  che  solo  al  personale  di  magistratura  si
applica tale ultimo intervento), la stessa  puo'  essere  qualificata
come  testuale  affermazione  del  carattere  «recuperatorio»   della
imposizione e in definitiva della sua natura tributaria,  esattamente
come argomentato sopra. 
    VIII.  Le  suesposte  considerazioni  fondano  il   giudizio   di
rilevanza,  ai  fini  della  compiuta  decisione  nel  merito   della
controversia, e di non  manifesta  infondatezza  della  questione  di
illegittimita' costituzionale dei commi 21, primo periodo, e  22  del
d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni, in legge 30
luglio 2010, n. 122, nella parte in cui, per il personale di cui alla
legge n. 27 del 1981, hanno stabilito che: 
        non si applicano i meccanismi di adeguamento retributivo  per
gli anni 2011, 2012 e 2013 e non danno comunque luogo a  possibilita'
di recupero negli anni successivi; 
        non siano erogati, ma senza  possibilita'  di  recupero,  gli
acconti per gli anni 2011, 2013 e 2013 ed il conguaglio del  triennio
2010-2012; 
        per il triennio 2013-2015 l'acconto spettante per l'anno 2014
sia pari alla misura gia' prevista per l'anno 2010  e  il  conguaglio
per l'anno 2015 sia determinato con riferimento agli anni 2009,  2010
e 2014; 
        la c.d. indennita' giudiziaria  spettante  negli  anni  2011,
2012 e 2013 sia ridotta progressivamente del 15 per cento per  l'anno
2011, del 25 per cento per l'anno 2012 e del 32 per cento per  l'anno
2013; 
        il tutto per contrasto con gli articoli, 3, 36, 53, 97,  101,
104, 108 e 111 della Costituzione,  nei  termini  e  per  le  ragioni
esposti in motivazione. 
    Si rimette pertanto la sua definizione alla Corte  costituzionale
con sospensione del presente giudizio e con trasmissione  degli  atti
alla stessa Corte. 
    Ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e  in  ordine  alle
spese del giudizio resta riservata alla decisione definitiva. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visto l'art. 23 della  legge  11  marzo  1953,  n.  87,  dichiara
rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli  articoli
3, 36, 53, 97, 101, 104, 108 e 111 della Costituzione,  la  questione
di legittimita' costituzionale dei commi 21, primo periodo, e 22  del
d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,  in  legge
30 luglio 2010, n. 122. 
    Sospende il presente giudizio,  con  rinvio  di  ogni  definitiva
statuizione in rito, nel merito e sulle spese di lite  all'esito  del
promosso giudizio incidentale davanti alla Corte  costituzionale  cui
la presente  ordinanza  va  immediatamente  trasmessa  a  cura  della
Segreteria del tribunale. 
    Ordina, sempre a cura della  Segreteria  del  tribunale,  che  la
presente  ordinanza  sia  notificata  alle  parti  in  causa  ed   al
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  nonche'   comunicata   ai
Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. 
    Cosi' deciso in L'Aquila nella camera di consiglio del giorno  21
dicembre 2011. 
 
                      Il Presidente: Mastrocola 
 
 
                                              L'estensore: Abbruzzese