N. 123 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 febbraio 2012

Ordinanza dell'8 febbraio 2012  emessa  dal  Tribunale  di  Roma  nel
procedimento civile promosso da Cambrini Alfredo contro INPS. 
 
Previdenza - Previsione, con norma autoqualificata  d'interpretazione
  autentica, dell'applicabilita' ai giudizi pendenti in  primo  grado
  della disposizione che  stabilisce  il  termine  prescrizionale  di
  cinque anni, anziche' di dieci anni  per  il  pagamento  dei  ratei
  arretrati, ancorche' non liquidati, dei trattamenti  pensionistici,
  nonche'   delle   relative   differenze   dovute   a   seguito   di
  riliquidazione - Violazione del principio di uguaglianza  sotto  il
  profilo dell'irragionevolezza e della disparita' di trattamento  di
  situazioni  analoghe,  a  seconda  del  grado  di  giudizio   della
  controversia relativa al pagamento dei predetti ratei. 
- Decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 15 luglio 2011, n. 111, art. 38, comma 4. 
- Costituzione, art. 3. 
(GU n.26 del 27-6-2012 )
 
                            IL TRIBUNALE 
 
    1. Cambrini  Alfredo  ha  convenuto  in  giudizio  l'Inps  ed  ha
dedotto: 
        di    essere    stato    alle    dipendenze    di     azienda
autoferrotranviaria e di esser stato  collocato  in  pensione  il  1°
agosto 1995, in virtu' di prepensionamento (per raggiunta  anzianita'
contributiva) ai sensi dell'art. 4 d.l. 25 novembre 1995, n. 501; 
        che l'Inps gli aveva  erogato  il  trattamento  pensionistico
anticipato nella misura calcolata in ragione della sola contribuzione
al Fondo di Previdenza degli Autoferrotranviari  (pari  a  32  anni),
considerando cioe' la maggiorazione (fino a  35  anni)  prevista  dal
predetto  d.l.  n.  501  del  1995  utile  solamente  ai   fini   del
conseguimento dell'anzianita' assicurativa e non anche al fine  della
determinazione dell'ammontare della pensione stessa; 
        che  invece,   come   affermato   dalla   giurisprudenza   di
legittimita', la maggiorazione prevista dal citato art. 4 d.l. n. 501
ha effetti non solamente sul diritto, ma  anche  sulla  misura  della
pensione. 
    Tanto premesso, il ricorrente ha chiesto che sia accertato il suo
diritto ad ottenere la riliquidazione della pensione ET n. 452661  di
cui  e'  titolare  sulla  base  di  un'anzianita'  di  35   anni   di
contribuzione e che  I'Inps  sia  condannato  al  pagamento  di  euro
40.551,71, per differenze maturate fino al 30 settembre  2010,  oltre
ai ratei maturati successivamente a tale data. 
    L'Inps,  costituendosi  in  giudizio,  ha  dato  atto   di   aver
interessato i propri  uffici  amministrativi  affinche'  procedessero
alla riliquidazione  della  pensione  del  ricorrente,  prendendo  in
considerazione il beneficio previsto dall'art. 4 del d.l. n. 501  del
1995 anche ai fini della determinazione del quantum  della  pensione.
Ha sostenuto che, tuttavia,  la  controparte  ha  errato  nei  propri
conteggi, avendo applicato ai contributi aggiuntivi  riconosciuti  ex
art. 4 d.l. n. 501, un  coefficiente  di  rendimento  pari  al  2,5%,
invece che quello pari al 2%.  Il  convenuto  ha  eccepito,  poi,  la
prescrizione dei ratei arretrati. 
    All'udienza  del  19   gennaio   2011,   1'Inps   ha   depositato
documentazione relativa all'avvenuta  riliquidazione  della  pensione
del ricorrente. 
    Con note depositate il 7 ottobre 2011, parte ricorrente  ha  dato
atto dell'avvenuto pagamento da parte dell'Inps, nel mese di febbraio
2011, della somma di euro 17.358,35 a  titolo  di  arretrati  per  il
periodo 1° dicembre 2000-31 gennaio 2011. Contestualmente ha  dedotto
di aver interrotto la prescrizione gia' con il ricorso amministrativo
presentato il 26 ottobre 2004 e, quindi, di aver diritto  anche  agli
arretrati maturati dal l° agosto 1995 al 30 novembre 2000. Inoltre il
ricorrente ha lamentato che I'Inps, nel ricalcolare la  pensione,  ha
applicato ai contributi aggiuntivi ex art. 4 d.l.  n.  501  del  1995
l'aliquota di rendimento pari  al  2%,  invece  che  al  2,5%  ed  ha
insistito nelle domande formulate nel ricorso. 
    All'udienza del 19 ottobre 2011 l'Inps ha eccepito il decorso dei
termini  di  decadenza  e  di  prescrizione   quinquennale   previsti
dall'art. 38 del decreto-legge n. 98 del 2011. 
    2. - E' incontroverso in causa che, in via generale,  il  sistema
di  calcolo  del  montante  contributivo   rilevante   in   sede   di
liquidazione della pensione spettante  al  ricorrente  prevedeva  che
dovesse essere applicata un'aliquota pari al 2,50% sulle retribuzioni
percepite sino al 31 dicembre 1992 (c.d. quota A); una pari  aliquota
su quelle percepite sino al 31 dicembre 1994 (con una differenza  sul
numero delle mensilita' di retribuzione da prendere in considerazione
ai fini della rivalutazione: c.d. quota B); infine  un'aliquota  pari
al 2% su quelle percepite successivamente al  1  gennaio  1995  (c.d.
quota C). 
    Dopo che, nelle more del giudizio, il convenuto ha  provveduto  a
riliquidare la pensione del ricorrente utilizzando nel computo  anche
il beneficio contributivo previsto dall'art. 4 del d.l.  n.  501  del
1995 ed ha provveduto a pagare le differenze arretrate calcolate  con
applicazione dell'aliquota del 2% maturate sui ratei  decorrenti  dal
1° dicembre 2000 in poi, restano oggetto di contrasto tra le parti: 
        a)  l'individuazione  del  coefficiente  di  rendimento   dei
contributi «aggiuntivi» riconosciuti all'ex  autoferrotranviere  che,
secondo il medesimo, dovrebbe essere del 2,5% (come se fossero  stati
tutti  versati  entro  il  31  dicembre  1994),  mentre,  ad   avviso
dell'Istituto previdenziale, sarebbe del 2%, essendo quei  contributi
riferibili ad un periodo successivo al 1994; 
        b) se il credito vantato dal ricorrente e  consistente  nelle
differenze relative ai ratei compresi nel periodo 1°  agosto  1995-30
novembre 2000 sia o meno estinto per decadenza e/o prescrizione. 
    Quale che sia la soluzione che  si  intenda  fornire  alla  prima
delle  predette  questioni,  occorre  comunque  affrontare  anche  la
seconda. Infatti, seppure  dovesse  accogliersi  la  tesi  dell'Inps,
secondo cui ai contributi aggiuntivi riconosciuti dall'art. 4 d.l. n.
501 del 1995 deve applicarsi il coefficiente di  rendimento  del  2%,
resta il fatto che l'ente previdenziale ha corrisposto al  ricorrente
le differenze da lui maturate, applicando  quel  minor  coefficiente,
solamente per il periodo successivo al 1° dicembre  2000,  non  anche
per il periodo antecedente a quella data. 
    Pertanto, occorre comunque stabilire  se,  con  riferimento  alle
differenze pretese dal ricorrente in relazione ai ratei pensionistici
del periodo 1° agosto 1995-30  novembre  2000,  si  sia  compiuta  la
decadenza o maturata la  prescrizione.  In  caso  affermativo,  nulla
spetterebbe al pensionato per tale periodo;  in  caso  negativo,  gli
spetterebbero le differenze scaturenti dal computo (con  applicazione
del coefficiente di rendimento pari come minimo al 2%) dei contributi
«aggiuntivi» ex art. 4 d.l. n. 501 del 1995. 
    3.  -  Al  riguardo,  I'Inps  ha  invocato  lo  jus  superveniens
costituito dall'art. 38 del decreto-legge n. 98 del 2011  (convertito
in legge, con modificazioni, dall'art. 1 della legge n. 111 del 2011)
il quale, al comma 1, lettera d), da un lato, ha aggiunto all'art. 47
d.P.R. n. 639 del 1970 un comma secondo cui  «Le  decadenze  previste
dai commi che precedono si applicano anche  alle  azioni  giudiziarie
aventi ad oggetto l'adempimento di prestazioni riconosciute  solo  in
parte o il pagamento di accessori del credito. In tal caso il termine
di decadenza decorre dal riconoscimento  parziale  della  prestazione
ovvero dal pagamento della sorte» e,  dall'altro,  dopo  il  predetto
art. 47 d.P.R. n. 639 del 1970, ha inserito l'art.  47-bis,  a  norma
del quale «Si prescrivono in cinque anni i ratei arretrati, ancorche'
non liquidati e dovuti a seguito di pronunzia giudiziale dichiarativa
del relativo diritto, dei trattamenti  pensionistici,  nonche'  delle
prestazioni della gestione di cui all'articolo 24 della legge 9 marzo
1989, n.  88,  o  delle  relative  differenze  dovute  a  seguito  di
riliquidazioni». 
    In virtu' del comma 4 dello stesso art. 38, le  disposizioni  ora
riportate «si applicano anche ai - giudizi pendenti  in  primo  grado
alla data di entrata in vigore del presente decreto» (vale a dire  il
6 luglio 2011: v. art. 41 del d.l.  n.  98)  e,  dunque,  anche  alla
presente controversia, promossa con ricorso depositato il 19  ottobre
2010. 
    4. - Iniziando dalla nuova norma in tema di decadenza, si ricorda
che l'art. 47 d.P.R. n. 639 del 1970 stabilisce,  al  secondo  comma,
che «Per le controversie  in  materia  di  trattamenti  pensionistici
l'azione giudiziaria puo' essere proposta, a pena di decadenza, entro
il termine di tre anni dalla data di  comunicazione  della  decisione
del ricorso pronunziata dai competenti organi dell'Istituto  o  dalla
data di  scadenza  del  termine  stabilito  per  la  pronunzia  della
predetta  decisione,  ovvero  dalla  data  di  scadenza  dei  termini
prescritti   per   l'esaurimento   del   procedimento'amministrativo,
computati a decorrere dalla data di presentazione della richiesta  di
prestazione» (il termine e' di un solo anno per le prestazioni  della
gestione di cui all'art. 24 della legge n. 88 del 1989:  terzo  comma
dell'art. 47). 
    Era sorta questione  circa  la  possibilita'  di  applicare  tale
termine di decadenza, non  solamente  nelle  ipotesi  in  cui  l'ente
previdenziale neghi in radice il diritto al trattamento pensionistico
invocato dal privato, ma  anche  ai  casi  in  cui  l'Amministrazione
riconosca  il  diritto  ad  una  certa  prestazione  pensionistica  e
l'interessato pretenda la concessione di una prestazione superiore  a
quella attribuitagli dall'istituto previdenziale. 
    Al riguardo, Cass., sez. un., n. 6491 del 1996 aveva statuito che
l'art. 47 d.P.R. n. 639 del 1970 si applica  solamente  alla  domanda
giudiziale proposta a seguito di reiezione del ricorso amministrativo
o, comunque, di esercizio del diritto alla prestazione previdenziale,
non anche ai casi in cui  il  privato  chieda  un  adeguamento  della
prestazione gia' riconosciuta dall'ente previdenziale. 
    A tale pronuncia aveva fatto  seguito  un  contrasto  all'interno
della sezione lavoro della stessa Suprema Corte che, in alcuni  casi,
non si era adeguata al dictum delle Sezioni unite. Queste ultime sono
allora nuovamente intervenute e, con la sentenza n. 12720  del  2009,
hanno ribadito che i  termini  di  decadenza  previsti  dall'art.  47
d.P.R. n. 639 del 1970 non si applicano ai casi  in  cui  la  domanda
giudiziale sia rivolta ad ottenere, non gia'  il  riconoscimento  del
diritto  alla  prestazione  previdenziale  in  se'  considerata,   ma
solamente l'adeguamento di detta prestazione gia' riconosciuta in  un
importo inferiore a quello dovuto. A tale pronuncia sono  seguite,  a
quanto consta, solamente sentenze nello stesso senso: v. Cass.,  sez.
lav., n. 948 e n. 1580 del 2010. 
    Ancor  piu'  recentemente,  tuttavia,  la   Sezione   lavoro   ha
nuovamente investito della questione le Sezioni unite  (v.  ordinanza
interlocutoria  n.  1069  del  2011),  chiedendo  una   rimeditazione
dell'orientamento ribadito dalla sentenza n. 12720 del 2009. 
    Nelle more e' intervenuto l'art. 38 del d.l. n. 98 del 2011 e  le
Sezioni unite, con l'ordinanza n. 27279 del  2011,  hanno  restituito
gli atti alla Sezione lavoro,  affinche'  questa  valuti,  alla  luce
appunto del sopravvenuto art. 38, commi 1, lett. d), e 4, d.l. n.  98
del  2011,  l'opportunita'  di  investire  le  Sezioni  unite   della
richiesta di una nuova valutazione circa  l'applicabilita'  dell'art.
47, d.P.R. n. 639 del 1970 al caso di domanda  di  riliquidazione  di
una prestazione previdenziale. 
    4.1. - Ora, il comma aggiunto dal legislatore del  2011  all'art.
47 stabilisce, come  gia'  ricordato,  che  i  termini  di  decadenza
previsti  dallo  stesso  art.  47  si  applicano  anche  alle  azioni
giudiziarie  aventi   ad   oggetto   l'adempimento   di   prestazioni
riconosciute solo in parte. L'effetto della disposizione  e'  chiaro:
le azioni  giudiziarie  dirette  ad  ottenere  la  riliquidazione  di
prestazioni gia' concesse dall'ente previdenziale che  -  secondo  la
giurisprudenza formatasi sul previgente testo dell'art. 47 d.P.R.  n.
639 del 1970 - non erano soggette ad alcun termine di  decadenza,  ma
solamente al termine di prescrizione, sono ora  anch'esse  sottoposte
ai termini decadenziali stabiliti dai commi  secondo  e  terzo  dello
stesso art. 47. 
    Secondo alcuni primi commentatori della  disposizione  del  2011,
questa avrebbe natura di norma di interpretazione autentica,  essendo
il legislatore intervenuto  a  esplicitare  quella  che  deve  essere
intesa come la vera portata delle prescrizioni da sempre dettate  dai
citati commi secondo e terzo dell'art. 47. Il legislatore  del  2011,
dunque, non avrebbe fatto altro che indicare uno dei significati  fin
dall'inizio desumibile dall'originario testo dell'art. 47. 
    4.2. - Non ritiene il giudicante  che  una  simile  opinione  sia
condivisibile. 
    In effetti, in primo luogo, l'art. 38 non ricorre ad alcuna delle
formule solitamente utilizzate dal legislatore per dettare  norme  di
interpretazione autentica. La disposizione, infatti, non  si  esprime
con termini quali «L'articolo 47 si interpreta nel senso che, ecc.» o
simili. Essa, invece, aggiunge un comma in se' perfettamente compiuto
ad  un  testo  normativo  a  sua  volta  gia'  compiuto.  La  tecnica
legislativa, cioe', e' tipica delle ipotesi  in  cui  il  legislatore
interviene ad estendere  una  determinata  disciplina  a  fattispecie
ulteriori rispetto a quelle cui essa originariamente si riferiva. 
    Ma, soprattutto, cio' che conferma che l'art. 38 del d.l.  n.  98
del 2011 non e' affatto una norma di interpretazione autentica e'  il
disposto del suo comma 4 che, come gia' segnalato, stabilisce che «le
disposizioni di cui al comma 1, lettera [...] d), si applicano  anche
ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore del
presente decreto». Trattasi,  all'evidenza,  di  una  norma  che  non
avrebbe alcun senso se davvero «le disposizioni di cui  al  comma  1,
lettera d)» avessero natura di norme  di  interpretazione  autentica.
Infatti,  in  tal  caso,  esse   si   applicherebbero   a   qualsiasi
fattispecie,  indipendentemente  dal  momento  in  cui  essa  si  sia
perfezionata e indipendentemente  dal  fatto  che  essa  sia  o  meno
oggetto di una causa pendente in primo grado. 
    La verita' e' che l'art. 38, comma 1, lettera d), n. 1), del d.l.
n. 98 del 2011 ha dettato una disposizione che, in generale, vale per
l'avvenire, in conformita' con il  principio  espresso  dall'art.  11
disp.  prel.  c.c.  E,  quindi,  si  applica  ai  casi  in   cui   il
riconoscimento parziale della prestazione  (dies  a  quo  individuato
dallo  stesso  nuovo  ultimo  comma  dell'art.   47)   si   verifichi
successivamente alla data di entrata in vigore del  d.l.  n.  98  del
2011,  nonche'  (a  tutto  voler  concedere)  ai  casi  in   cui,   a
quest'ultima data, il pagamento parziale si sia gia' verificato, ma -
in queste ipotesi - con decorrenza  del  termine  decadenziale  dalla
data di entrata in vigore della nuova disposizione. 
    In tal senso depone anche la recentissima ordinanza n. 27279  del
2011,  sopra  menzionata,  con  la  quale  le  Sezioni  unite   hanno
restituito  gli  atti  alla  Sezione  lavoro  affinche'  quest'ultima
stabilisca, alla luce delle norme del 2011, la persistenza o meno del
proposito di richiedere  alle  stesse  Sezioni  unite  il  revirement
prospettato  nell'ordinanza  interlocutoria  della   stessa   Sezione
lavoro. Infatti, se le Sezioni unite avessero ritenuto che  la  norma
introdotta  dall'art.  38  del  d.l.  n.   98   del   2011   sia   di
interpretazione autentica, esse avrebbero dovuto accogliere  l'invito
proveniente dalla Sezione lavoro, appunto  perche'  l'intervento  del
legislatore avrebbe avuto  l'effetto  di  smentire  l'interpretazione
dell'art. 47 da esse sostenuta  fino  ad  oggi.  Ed  invece,  proprio
perche'  invece  la  disposizione  del  2011  non  e'  una  norma  di
interpretazione autentica (ne', in generale, retroattiva), e  proprio
perche' (ad eccezione di quanto disposto dal comma  4  dell'art.  38)
essa dispone solo per il futuro, da  essa  discende  l'implicita  (ma
evidente) conferma - proveniente dallo stesso legislatore - del fatto
che, prima della  sua  emanazione,  i  termini  decadenziali  di  cui
all'art. 47 d.P.R. n. 639 del 1970 non si  applicavano  alle  domande
giudiziali dirette  ad  ottenere  la  riliquidazione  di  trattamenti
pensionistici  gia'  liquidati  (onde  non   sussiste   piu'   alcuna
possibilita' di invocare dalle Sezioni  unite  il  revirement  di  un
indirizzo  interpretativo  ormai  esplicitamente  convalidato   dallo
stesso legislatore). 
    4.3. - Assodato, pertanto, il carattere innovativo, rispetto alla
situazione normativa precedente, della disciplina contenuta nel nuovo
ultimo comma  dell'art.  47  d.P.R.  n.  639  del  1970,  l'ulteriore
previsione secondo la quale tale disciplina «a  regime»  deve  essere
applicata anche ai giudizi pendenti  in  primo  grado  alla  data  di
entrata  in  vigore  del  d.l.  n.  98  del  2011   comporta,   quale
conseguenza, quella secondo cui, nei casi in cui  tale  giudizio  sia
stato promosso a distanza  di  piu'  di  tre  anni  da  quella  della
liquidazione parziale della  prestazione  previdenziale,  il  giudice
dovrebbe dichiarare l'inammissibilita' della domanda dell'assicurato. 
    E' questo, appunto,  il  caso  che  si  verifica  nella  presente
controversia, gia' pendente alla data del 6 luglio 2011. 
    Infatti il ricorrente si  e'  visto  liquidare  la  pensione  con
provvedimento dell'Inps del 3  ottobre  1997  (v.  all.  n.  2  fase.
ricorr.) ed ha proposto l'azione  giudiziale  solamente  con  ricorso
depositato il 19 ottobre 2010. 
    Nessun dubbio, poi, circa l'obbligo per il Giudice di rilevare la
decadenza in questione, stante - a tacer d'altro -  la  rilevabilita'
d'ufficio della decadenza ex art. 47 d.P.R. n. 639 del 1970,  dettata
a protezione dell'interesse pubblico alla  definitivita'  e  certezza
delle determinazioni concernenti  erogazioni  di  spese  gravanti  su
bilanci pubblici (Cass. n. 18528 del 2011, n. 27674 del 2005), con  i
conseguenti corollari dell'impossibilita' per l'ente previdenziale di
rinunciare ad essa) (art. n. 2968  c.c.)  e  di  impedirne  l'effetto
riconoscendo il diritto ad essa soggetto (art. n. 2966 c.c.). 
    4.4. - Tanto chiarito, ritiene il Giudice che l'art. 38, comma 4,
del d.l. n. 98 del 2011,  nella  parte  in  cui  estende  ai  giudizi
pendenti in primo grado alla data della  sua  entrata  in  vigore  il
comma aggiunto all'art. 47 d.P.R. n.  639  del  1970  dal  precedente
comma 1, lettera d), dello stesso art. 38,  contrasti  con  l'art.  3
Cost., perche' fonte di irragionevole disparita' di  trattamento  tra
ipotesi analoghe. 
    Infatti identiche fattispecie  (assicurati  che  si  siano  visti
liquidare - in misura a loro avviso insufficiente -  una  determinata
prestazione pensionistica ad una medesima data e che abbiano promosso
l'azione giudiziaria nello stesso giorno)  e,  dunque,  due  identici
diritti (quelli ad ottenere la riliquidazione, a  partire  da  quella
data, di quella prestazione pensionistica) sarebbero soggetti o  meno
al nuovo termine decadenziale per il semplice  fatto  che  in  alcuni
casi - alla data del 6 luglio 2011  -  la  controversia  pendesse  in
primo grado e, in altri casi, pendesse invece in un diverso grado  di
giudizio. 
    Analoga irrazionale disparita'  di  trattamento  si  verifica,  a
danno di chi abbia gia' promosso l'azione  giudiziaria,  rispetto  ai
casi in cui, magari, alla data del 6 luglio 2011 il diritto non fosse
ancora stato azionato. 
    4.4.1.  -   L'art.   3   Cost.   e',   poi,   violato   a   causa
dell'irragionevolezza della norma censurata, poiche', come ampiamente
dimostrato, essa introduce - con riferimento  a  diritti  oggetto  di
giudizi pendenti alla  data  del  6  luglio  2011  -  un  termine  di
decadenza con effetti retroattivi e, secondo la giurisprudenza  della
Corte costituzionale, l'istituto della decadenza, per sua natura, non
tollera implicazioni retroattive, non potendo configurarsi un'ipotesi
di estinzione del diritto (o del potere)  per  mancato  esercizio  da
parte del titolare, in  assenza  di  una  previa  determinazione  del
termine entro il  quale  il  diritto  (o,  il  potere)  debba  essere
esercitato (v. Corte cost. n. 191 del 2005). 
    Un simile carattere di irragionevolezza e' reso  manifesto  dalla
fattispecie oggetto della presente controversia:  il  ricorrente,  il
quale,  confidando  sul   fatto   che   il   proprio   diritto   alla
riliquidazione  della  pensione  non  era  soggetto  a   termini   di
decadenza, si e' limitato, nel corso degli anni, come pure si  vedra'
tra poco, ad avanzare richieste stragiudiziali  all'Inps  dirette  ad
invocare la riliquidazione del trattamento di cui  era  titolare,  si
vedrebbe improvvisamente estinto il suo  diritto  a  seguito  di  una
norma entrata in vigore quando ormai si era gia' consumato il termine
da essa stabilito  per  il  compimento  dell'atto  di  esercizio  del
diritto medesimo. 
    5. - Come gia' detto, l'art. 38, comma 1, lett. d), del  d.l.  n.
98 del 2011, ha introdotto nel d.P.R. n. 639 del 1970 l'art.  47-bis,
il quale, per quel che qui interessa, stabilisce che sono soggetti al
termine prescrizionale di cinque anni i  ratei  arretrati,  ancorche'
non liquidati, dei trattamenti pensionistici, nonche' delle  relative
differenze dovute a seguito di riliquidazioni. 
    La portata innovativa della norma si comprende agevolmente se  si
considera che, in precedenza, era del tutto pacifico che i diritti di
credito  derivanti  da  rapporti   previdenziali   fossero   soggetti
all'ordinario termine prescrizionale decennale di cui  all'art.  2946
c.c. e che una prescrizione piu' breve (appunto, quinquennale)  fosse
stabilita esclusivamente per le rate di pensione non  riscosse  entro
cinque anni dalla loro scadenza dall'art. 129, primo comma, r.d.l. n.
1827 del 1935. E si era sempre ritenuto che  quest'ultima  norma  (al
pari dell'art. 2948, n. 4,  c.c.,  prevedente  anch'esso  un  termine
quinquennale), presupponesse, per la sua applicabilita', che le  rate
di pensione fossero gia' state liquidate e fossero  quindi  esigibili
(vale a dire, era ritenuto necessario che le relative  somme  fossero
state messe a disposizione dell'avente diritto, il quale non le aveva
incassate), mentre invece, nei casi in cui la prestazione  non  fosse
stata ancora stata liquidata, si applicava il termine  prescrizionale
decennale (v., tra le tante, Cass. n. 9627  del  2000,  n.  6490  del
1999, n. 292 del 1998). E cio' valeva, appunto, anche nei casi in cui
l'ente previdenziale aveva proceduto al pagamento solo  parziale  del
credito del pensionato: al  residuo,  si  applicava  la  prescrizione
decennale (Cass. n. 4248 del 2001, n. 9803 del 1998). 
    La natura di norma di interpretazione autentica  del  nuovo  art.
47-bis d.P.R. n. 639 del 1970 non e', pertanto, neppure ipotizzabile.
Conseguentemente, il nuovo  termine  prescrizionale  quinquennale  si
applica,  in  generale,  ai  ratei   pensionistici,   ancorche'   non
liquidati, maturati a decorrere dalla data di entrata in vigore della
nuova norma, nonche' a quelli maturati precedentemente,  fatto  salvo
il principio generale espresso dall'art. 252  disp.  att.  c.c.  (sul
quale, v. Cass. n. 4248 del 2001, n. 9803 del 1998) e, dunque,  anche
in tal caso, senza pregiudizio alcuno per le  facolta'  degli  aventi
diritto di far valere i propri crediti. 
    Esso pero',  in  virtu'  della  specifica  disposizione  espressa
dall'art. 38, c. 4, d.l. n. 98 del 2011, si applica anche ai  giudizi
pendenti alla data del 6 luglio 2011. 
    5.1. - Nella presente fattispecie, si osserva che  il  ricorrente
ha interrotto la  prescrizione,  una  prima  volta,  con  il  ricorso
amministrativo ricevuto dall'Inps il  28  ottobre  2004  (all.  fase.
ricorr.) e, poi, con la notificazione del ricorso introduttivo  della
presente causa (risalente al novembre 2011). 
    Costituendosi in giudizio, l'Inps  ha  tempestivamente  sollevato
eccezione di prescrizione,  senza  peraltro  individuare  il  termine
applicabile. Tale lacuna non impedisce, di per se' l'applicazione del
termine quinquennale stabilito dalla disposizione del 2011,  poiche',
com'e' noto, la giurisprudenza di legittimita' e'  ormai  consolidata
nel ritenere che elemento costitutivo dell'eccezione di  prescrizione
e' l'inerzia del titolare  del  diritto  fatto  valere  in  giudizio,
mentre la determinazione della durata di questa,  necessaria  per  il
verificarsi dell'effetto estintivo, si configura  come  una  quaestio
iuris concernente l'identificazione del diritto stesso e  del  regime
prescrizionale per esso previsto dalla  legge;  ne  consegue  che  la
riserva alla parte del potere di sollevare l'eccezione implica che ad
essa sia fatto onere soltanto  di  allegare  il  menzionato  elemento
costitutivo  e  di  manifestare  la   volonta'   di   profittare   di
quell'effetto, non anche di indicare  direttamente  o  indirettamente
(cioe' attraverso specifica menzione della  durata  dell'inerzia)  le
norme applicabili al caso di specie,  l'identificazione  delle  quali
spetta al potere-dovere del giudice, di guisa che, da  un  lato,  non
incorre nelle preclusioni di cui agli artt. 416 e 437 c.p.c. la parte
che,   proposta   originariamente   un'eccezione   di    prescrizione
quinquennale,  invochi  nel  successivo   corso   del   giudizio   la
prescrizione ordinaria decennale, o viceversa; e, dall'altro lato, il
riferimento della parte ad uno di tali termini non priva  il  giudice
del potere ufficioso di applicazione di una norma di previsione di un
termine diverso (Cass., sez. un.,  n.  10955  del  2002,  cui  si  e'
conformata la successiva giurisprudenza delle sezioni  semplici;  v.,
tra le piu' recenti, Cass. n. 21752 del 2010). 
    Ne',  nella  presente  fattispecie,  puo'  pervenirsi  a  diversa
conclusione sulla base della constatazione dell'avvenuto pagamento da
parte dell'Inps, nelle more del giudizio, dei ratei arretrati entro i
limiti della prescrizione decennale  (peraltro  considerando  l'ente,
quale atto interruttivo, il  solo  ricorso  giudiziale).  Invero,  in
primo luogo, stante la gia' segnalata indisponibilita'  dei  rapporti
previdenziali,  l'Inps  non   potrebbe   comunque   rinunciare   alla
prescrizione (art. 2937, primo  comma,  c.c.).  Dall'altro  lato,  il
pagamento  parziale  del  debito  non   rappresenta   rinuncia   alla
prescrizione, l'eventuale effetto estensivo scaturendo  dal  contesto
in cui il pagamento e' avvenuto (Cass. n. 23746 del 2007, n. 2267 del
2001);  ne  consegue  che,  poiche'  nella  fattispecie   l'Inps   ha
provveduto a riconoscere i ratei arretrati maturati entro il  termine
decennale  di  prescrizione  in  un  momento  in  cui  (cioe'   prima
dell'emanazione del d.l. n. 98 del 2011), quello era - come si vedra'
subito  -  il  termine  prescrizionale  applicabile  ai   ratei   non
liquidati, e'  impossibile  attribuire  alla  condotta  dell'ente  il
significato di rinunzia tacita alla prescrizione quinquennale. 
    Da quanto detto discende che, poiche', come precisato all'inizio,
la presente controversia ha ad oggetto l'accertamento del diritto del
ricorrente alla riliquidazione della pensione e la condanna dell'Inps
al  pagamento  delle  relative  differenze  e,  come  pure  detto  in
precedenza, si controverte tuttora (pur dopo  il  pagamento  parziale
eseguito dal convenuto nelle more del processo) circa il diritto  del
ricorrente  al  pagamento  delle  differenze   maturate   sui   ratei
pensionistici del periodo 1° agosto 1995-30 novembre 2000, ove  fosse
applicato il termine prescrizionale quinquennale di cui al nuovo art.
47-bis d.P.R. n. 639 del 1970,  il  credito  del  lavoratore  sarebbe
estinto (il primo atto interruttivo risalendo all'ottobre 2004 e  non
essendo stato seguito, nel quinquennio immediatamente successivo,  da
altro analogo atto), mentre invece, se si  applicasse  il  previgente
termine decennale, il credito del  lavoratore  sarebbe  integralmente
fatto salvo (appunto  perche'  la  prescrizione  risulta  interrotta,
prima, nell'ottobre del 2004 e, poi, nel novembre del 2011).  Di  qui
la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale. 
    5.2. - Tanto precisato, ritiene  il  giudicante  che  l'art.  38,
comma 4, del d.l. n. 98 del 2011,  nella  parte  in  cui  estende  ai
giudizi pendenti in primo grado alla data della sua entrata in vigore
l'art. 47-bis introdotto nell'art. 47 d.P.R.  n.  639  del  1970  dal
precedente comma 1, lettera d), dello stesso art. 38,  contrasti  con
l'art.  3  Cost.,  perche'  fonte  di  irragionevole  disparita'   di
trattamento tra ipotesi analoghe. 
    Infatti identiche fattispecie  (assicurati  che  si  siano  visti
liquidare - in misura insufficiente  -  una  determinata  prestazione
pensionistica ad una medesima  data  e  che  abbiano  compiuto  negli
stessi giorni atti interruttivi della prescrizione)  e,  dunque,  due
identici diritti (quelli ad ottenere il  pagamento  delle  differenze
pensionistiche scaturenti dalla riliquidazione) sono soggetti o  meno
al nuovo termine prescrizionale per il semplice fatto che  in  alcuni
casi - alla data del 6 luglio 2011  -  la  controversia  pendesse  in
primo grado e, in altri casi, pendesse invece in un diverso grado  di
giudizio. 
    5.2.1.  -   L'art.   3   Cost.   e',   poi,   violato   a   causa
dell'irragionevolezza   della   norma   censurata,   poiche',    come
dimostrato, essa introduce - con riferimento  a  diritti  oggetto  di
giudizi pendenti alla  data  del  6  luglio  2011  -  un  termine  di
prescrizione  con  effetti  retroattivi.  Anche  al   riguardo   puo'
richiamarsi  quanto  affermato  dalla  Corte   costituzionale   nella
sentenza n. 191 del 2005, circa l'impossibilita' per  il  legislatore
ordinario di introdurre ipotesi di estinzione dei diritti per mancato
esercizio  da  parte  del  titolare,  in  assenza   di   una   previa
determinazione del termine entro il quale  il  diritto  debba  essere
esercitato. 
    Un simile carattere di irragionevolezza e' reso  manifesto  dalla
fattispecie oggetto della presente controversia:  il  ricorrente,  il
quale, confidando sul fatto che il proprio diritto di credito per  le
differenze dei ratei pensionistici  era  soggetto  alla  prescrizione
estintiva decennale, ha compiuto atti interruttivi cadenzati su  quel
termine, vede il suo diritto estinto in virtu' di una  norma  entrata
in vigore quando ormai si era gia' consumato il piu' breve termine da
essa stabilito per il compimento degli atti  idonei  ad  impedire  la
predetta estinzione. 
    6. - Un'ultima precisazione circa la  rilevanza  delle  sollevate
eccezioni di incostituzionalita'. 
    Si  e'  gia'  segnalato  come  il  diritto  del  ricorrente  alle
differenze di pensione sui  ratei  maturati  nel  periodo  l°  agosto
1995-30 novembre 2000 rientra nel campo di applicazione sia del nuovo
ultimo comma dell'art. 47 d.P.R. n. 639 del 1970, sia in  quello  del
nuovo art. 47-bis dello stesso d.P.R. E'  questo  il  motivo  per  il
quale   e'   necessario   sollevare   questioni   di   illegittimita'
costituzionale dell'art. 38, comma 4, d.l. n. 98 del 2011 nella parte
in cui estende ai giudizi pendenti in primo grado  alla  data  del  6
luglio 2011  sia  l'una,  sia  l'altra  delle  predette  disposizioni
introdotte dal comma 1, lett. d),  dello  stesso  art.  38.  Infatti,
solamente dall'eliminazione dell'applicabilita'  di  entrambe  queste
disposizioni  ai  giudizi  di  primo  grado  gia'  pendenti  consegue
l'accoglimento  della  parte  della   domanda   formulata   nell'atto
introduttivo della  presente  lite  relativa  al  periodo  1°  agosto
1995-30 novembre 2000. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 38, comma 4, del  decreto-legge
n. 98 del 2011, convertito in legge dall'art. 1 della  legge  n.  111
del  2011,  nella  parte  in  cui  estende   l'applicabilita'   delle
disposizioni di cui al comma 1, lettera d), del medesimo art. 38,  ai
giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata  in  vigore  del
d.l. n. 98 del 2011, in riferimento all'art. 3 della Costituzione. 
    Dispone la sospensione del giudizio in corso  e  la  trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale; 
    Ordina alla Cancelleria di notificare la presente ordinanza  alle
parti e al Presidente del Consiglio dei ministri e di comunicarla  ai
Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati. 
 
      Roma, 8 febbraio 2012 
 
                          Il giudice: Sordi