N. 123 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 febbraio 2012
Ordinanza dell'8 febbraio 2012 emessa dal Tribunale di Roma nel procedimento civile promosso da Cambrini Alfredo contro INPS. Previdenza - Previsione, con norma autoqualificata d'interpretazione autentica, dell'applicabilita' ai giudizi pendenti in primo grado della disposizione che stabilisce il termine prescrizionale di cinque anni, anziche' di dieci anni per il pagamento dei ratei arretrati, ancorche' non liquidati, dei trattamenti pensionistici, nonche' delle relative differenze dovute a seguito di riliquidazione - Violazione del principio di uguaglianza sotto il profilo dell'irragionevolezza e della disparita' di trattamento di situazioni analoghe, a seconda del grado di giudizio della controversia relativa al pagamento dei predetti ratei. - Decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111, art. 38, comma 4. - Costituzione, art. 3.(GU n.26 del 27-6-2012 )
IL TRIBUNALE 1. Cambrini Alfredo ha convenuto in giudizio l'Inps ed ha dedotto: di essere stato alle dipendenze di azienda autoferrotranviaria e di esser stato collocato in pensione il 1° agosto 1995, in virtu' di prepensionamento (per raggiunta anzianita' contributiva) ai sensi dell'art. 4 d.l. 25 novembre 1995, n. 501; che l'Inps gli aveva erogato il trattamento pensionistico anticipato nella misura calcolata in ragione della sola contribuzione al Fondo di Previdenza degli Autoferrotranviari (pari a 32 anni), considerando cioe' la maggiorazione (fino a 35 anni) prevista dal predetto d.l. n. 501 del 1995 utile solamente ai fini del conseguimento dell'anzianita' assicurativa e non anche al fine della determinazione dell'ammontare della pensione stessa; che invece, come affermato dalla giurisprudenza di legittimita', la maggiorazione prevista dal citato art. 4 d.l. n. 501 ha effetti non solamente sul diritto, ma anche sulla misura della pensione. Tanto premesso, il ricorrente ha chiesto che sia accertato il suo diritto ad ottenere la riliquidazione della pensione ET n. 452661 di cui e' titolare sulla base di un'anzianita' di 35 anni di contribuzione e che I'Inps sia condannato al pagamento di euro 40.551,71, per differenze maturate fino al 30 settembre 2010, oltre ai ratei maturati successivamente a tale data. L'Inps, costituendosi in giudizio, ha dato atto di aver interessato i propri uffici amministrativi affinche' procedessero alla riliquidazione della pensione del ricorrente, prendendo in considerazione il beneficio previsto dall'art. 4 del d.l. n. 501 del 1995 anche ai fini della determinazione del quantum della pensione. Ha sostenuto che, tuttavia, la controparte ha errato nei propri conteggi, avendo applicato ai contributi aggiuntivi riconosciuti ex art. 4 d.l. n. 501, un coefficiente di rendimento pari al 2,5%, invece che quello pari al 2%. Il convenuto ha eccepito, poi, la prescrizione dei ratei arretrati. All'udienza del 19 gennaio 2011, 1'Inps ha depositato documentazione relativa all'avvenuta riliquidazione della pensione del ricorrente. Con note depositate il 7 ottobre 2011, parte ricorrente ha dato atto dell'avvenuto pagamento da parte dell'Inps, nel mese di febbraio 2011, della somma di euro 17.358,35 a titolo di arretrati per il periodo 1° dicembre 2000-31 gennaio 2011. Contestualmente ha dedotto di aver interrotto la prescrizione gia' con il ricorso amministrativo presentato il 26 ottobre 2004 e, quindi, di aver diritto anche agli arretrati maturati dal l° agosto 1995 al 30 novembre 2000. Inoltre il ricorrente ha lamentato che I'Inps, nel ricalcolare la pensione, ha applicato ai contributi aggiuntivi ex art. 4 d.l. n. 501 del 1995 l'aliquota di rendimento pari al 2%, invece che al 2,5% ed ha insistito nelle domande formulate nel ricorso. All'udienza del 19 ottobre 2011 l'Inps ha eccepito il decorso dei termini di decadenza e di prescrizione quinquennale previsti dall'art. 38 del decreto-legge n. 98 del 2011. 2. - E' incontroverso in causa che, in via generale, il sistema di calcolo del montante contributivo rilevante in sede di liquidazione della pensione spettante al ricorrente prevedeva che dovesse essere applicata un'aliquota pari al 2,50% sulle retribuzioni percepite sino al 31 dicembre 1992 (c.d. quota A); una pari aliquota su quelle percepite sino al 31 dicembre 1994 (con una differenza sul numero delle mensilita' di retribuzione da prendere in considerazione ai fini della rivalutazione: c.d. quota B); infine un'aliquota pari al 2% su quelle percepite successivamente al 1 gennaio 1995 (c.d. quota C). Dopo che, nelle more del giudizio, il convenuto ha provveduto a riliquidare la pensione del ricorrente utilizzando nel computo anche il beneficio contributivo previsto dall'art. 4 del d.l. n. 501 del 1995 ed ha provveduto a pagare le differenze arretrate calcolate con applicazione dell'aliquota del 2% maturate sui ratei decorrenti dal 1° dicembre 2000 in poi, restano oggetto di contrasto tra le parti: a) l'individuazione del coefficiente di rendimento dei contributi «aggiuntivi» riconosciuti all'ex autoferrotranviere che, secondo il medesimo, dovrebbe essere del 2,5% (come se fossero stati tutti versati entro il 31 dicembre 1994), mentre, ad avviso dell'Istituto previdenziale, sarebbe del 2%, essendo quei contributi riferibili ad un periodo successivo al 1994; b) se il credito vantato dal ricorrente e consistente nelle differenze relative ai ratei compresi nel periodo 1° agosto 1995-30 novembre 2000 sia o meno estinto per decadenza e/o prescrizione. Quale che sia la soluzione che si intenda fornire alla prima delle predette questioni, occorre comunque affrontare anche la seconda. Infatti, seppure dovesse accogliersi la tesi dell'Inps, secondo cui ai contributi aggiuntivi riconosciuti dall'art. 4 d.l. n. 501 del 1995 deve applicarsi il coefficiente di rendimento del 2%, resta il fatto che l'ente previdenziale ha corrisposto al ricorrente le differenze da lui maturate, applicando quel minor coefficiente, solamente per il periodo successivo al 1° dicembre 2000, non anche per il periodo antecedente a quella data. Pertanto, occorre comunque stabilire se, con riferimento alle differenze pretese dal ricorrente in relazione ai ratei pensionistici del periodo 1° agosto 1995-30 novembre 2000, si sia compiuta la decadenza o maturata la prescrizione. In caso affermativo, nulla spetterebbe al pensionato per tale periodo; in caso negativo, gli spetterebbero le differenze scaturenti dal computo (con applicazione del coefficiente di rendimento pari come minimo al 2%) dei contributi «aggiuntivi» ex art. 4 d.l. n. 501 del 1995. 3. - Al riguardo, I'Inps ha invocato lo jus superveniens costituito dall'art. 38 del decreto-legge n. 98 del 2011 (convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1 della legge n. 111 del 2011) il quale, al comma 1, lettera d), da un lato, ha aggiunto all'art. 47 d.P.R. n. 639 del 1970 un comma secondo cui «Le decadenze previste dai commi che precedono si applicano anche alle azioni giudiziarie aventi ad oggetto l'adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori del credito. In tal caso il termine di decadenza decorre dal riconoscimento parziale della prestazione ovvero dal pagamento della sorte» e, dall'altro, dopo il predetto art. 47 d.P.R. n. 639 del 1970, ha inserito l'art. 47-bis, a norma del quale «Si prescrivono in cinque anni i ratei arretrati, ancorche' non liquidati e dovuti a seguito di pronunzia giudiziale dichiarativa del relativo diritto, dei trattamenti pensionistici, nonche' delle prestazioni della gestione di cui all'articolo 24 della legge 9 marzo 1989, n. 88, o delle relative differenze dovute a seguito di riliquidazioni». In virtu' del comma 4 dello stesso art. 38, le disposizioni ora riportate «si applicano anche ai - giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore del presente decreto» (vale a dire il 6 luglio 2011: v. art. 41 del d.l. n. 98) e, dunque, anche alla presente controversia, promossa con ricorso depositato il 19 ottobre 2010. 4. - Iniziando dalla nuova norma in tema di decadenza, si ricorda che l'art. 47 d.P.R. n. 639 del 1970 stabilisce, al secondo comma, che «Per le controversie in materia di trattamenti pensionistici l'azione giudiziaria puo' essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di tre anni dalla data di comunicazione della decisione del ricorso pronunziata dai competenti organi dell'Istituto o dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia della predetta decisione, ovvero dalla data di scadenza dei termini prescritti per l'esaurimento del procedimento'amministrativo, computati a decorrere dalla data di presentazione della richiesta di prestazione» (il termine e' di un solo anno per le prestazioni della gestione di cui all'art. 24 della legge n. 88 del 1989: terzo comma dell'art. 47). Era sorta questione circa la possibilita' di applicare tale termine di decadenza, non solamente nelle ipotesi in cui l'ente previdenziale neghi in radice il diritto al trattamento pensionistico invocato dal privato, ma anche ai casi in cui l'Amministrazione riconosca il diritto ad una certa prestazione pensionistica e l'interessato pretenda la concessione di una prestazione superiore a quella attribuitagli dall'istituto previdenziale. Al riguardo, Cass., sez. un., n. 6491 del 1996 aveva statuito che l'art. 47 d.P.R. n. 639 del 1970 si applica solamente alla domanda giudiziale proposta a seguito di reiezione del ricorso amministrativo o, comunque, di esercizio del diritto alla prestazione previdenziale, non anche ai casi in cui il privato chieda un adeguamento della prestazione gia' riconosciuta dall'ente previdenziale. A tale pronuncia aveva fatto seguito un contrasto all'interno della sezione lavoro della stessa Suprema Corte che, in alcuni casi, non si era adeguata al dictum delle Sezioni unite. Queste ultime sono allora nuovamente intervenute e, con la sentenza n. 12720 del 2009, hanno ribadito che i termini di decadenza previsti dall'art. 47 d.P.R. n. 639 del 1970 non si applicano ai casi in cui la domanda giudiziale sia rivolta ad ottenere, non gia' il riconoscimento del diritto alla prestazione previdenziale in se' considerata, ma solamente l'adeguamento di detta prestazione gia' riconosciuta in un importo inferiore a quello dovuto. A tale pronuncia sono seguite, a quanto consta, solamente sentenze nello stesso senso: v. Cass., sez. lav., n. 948 e n. 1580 del 2010. Ancor piu' recentemente, tuttavia, la Sezione lavoro ha nuovamente investito della questione le Sezioni unite (v. ordinanza interlocutoria n. 1069 del 2011), chiedendo una rimeditazione dell'orientamento ribadito dalla sentenza n. 12720 del 2009. Nelle more e' intervenuto l'art. 38 del d.l. n. 98 del 2011 e le Sezioni unite, con l'ordinanza n. 27279 del 2011, hanno restituito gli atti alla Sezione lavoro, affinche' questa valuti, alla luce appunto del sopravvenuto art. 38, commi 1, lett. d), e 4, d.l. n. 98 del 2011, l'opportunita' di investire le Sezioni unite della richiesta di una nuova valutazione circa l'applicabilita' dell'art. 47, d.P.R. n. 639 del 1970 al caso di domanda di riliquidazione di una prestazione previdenziale. 4.1. - Ora, il comma aggiunto dal legislatore del 2011 all'art. 47 stabilisce, come gia' ricordato, che i termini di decadenza previsti dallo stesso art. 47 si applicano anche alle azioni giudiziarie aventi ad oggetto l'adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte. L'effetto della disposizione e' chiaro: le azioni giudiziarie dirette ad ottenere la riliquidazione di prestazioni gia' concesse dall'ente previdenziale che - secondo la giurisprudenza formatasi sul previgente testo dell'art. 47 d.P.R. n. 639 del 1970 - non erano soggette ad alcun termine di decadenza, ma solamente al termine di prescrizione, sono ora anch'esse sottoposte ai termini decadenziali stabiliti dai commi secondo e terzo dello stesso art. 47. Secondo alcuni primi commentatori della disposizione del 2011, questa avrebbe natura di norma di interpretazione autentica, essendo il legislatore intervenuto a esplicitare quella che deve essere intesa come la vera portata delle prescrizioni da sempre dettate dai citati commi secondo e terzo dell'art. 47. Il legislatore del 2011, dunque, non avrebbe fatto altro che indicare uno dei significati fin dall'inizio desumibile dall'originario testo dell'art. 47. 4.2. - Non ritiene il giudicante che una simile opinione sia condivisibile. In effetti, in primo luogo, l'art. 38 non ricorre ad alcuna delle formule solitamente utilizzate dal legislatore per dettare norme di interpretazione autentica. La disposizione, infatti, non si esprime con termini quali «L'articolo 47 si interpreta nel senso che, ecc.» o simili. Essa, invece, aggiunge un comma in se' perfettamente compiuto ad un testo normativo a sua volta gia' compiuto. La tecnica legislativa, cioe', e' tipica delle ipotesi in cui il legislatore interviene ad estendere una determinata disciplina a fattispecie ulteriori rispetto a quelle cui essa originariamente si riferiva. Ma, soprattutto, cio' che conferma che l'art. 38 del d.l. n. 98 del 2011 non e' affatto una norma di interpretazione autentica e' il disposto del suo comma 4 che, come gia' segnalato, stabilisce che «le disposizioni di cui al comma 1, lettera [...] d), si applicano anche ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore del presente decreto». Trattasi, all'evidenza, di una norma che non avrebbe alcun senso se davvero «le disposizioni di cui al comma 1, lettera d)» avessero natura di norme di interpretazione autentica. Infatti, in tal caso, esse si applicherebbero a qualsiasi fattispecie, indipendentemente dal momento in cui essa si sia perfezionata e indipendentemente dal fatto che essa sia o meno oggetto di una causa pendente in primo grado. La verita' e' che l'art. 38, comma 1, lettera d), n. 1), del d.l. n. 98 del 2011 ha dettato una disposizione che, in generale, vale per l'avvenire, in conformita' con il principio espresso dall'art. 11 disp. prel. c.c. E, quindi, si applica ai casi in cui il riconoscimento parziale della prestazione (dies a quo individuato dallo stesso nuovo ultimo comma dell'art. 47) si verifichi successivamente alla data di entrata in vigore del d.l. n. 98 del 2011, nonche' (a tutto voler concedere) ai casi in cui, a quest'ultima data, il pagamento parziale si sia gia' verificato, ma - in queste ipotesi - con decorrenza del termine decadenziale dalla data di entrata in vigore della nuova disposizione. In tal senso depone anche la recentissima ordinanza n. 27279 del 2011, sopra menzionata, con la quale le Sezioni unite hanno restituito gli atti alla Sezione lavoro affinche' quest'ultima stabilisca, alla luce delle norme del 2011, la persistenza o meno del proposito di richiedere alle stesse Sezioni unite il revirement prospettato nell'ordinanza interlocutoria della stessa Sezione lavoro. Infatti, se le Sezioni unite avessero ritenuto che la norma introdotta dall'art. 38 del d.l. n. 98 del 2011 sia di interpretazione autentica, esse avrebbero dovuto accogliere l'invito proveniente dalla Sezione lavoro, appunto perche' l'intervento del legislatore avrebbe avuto l'effetto di smentire l'interpretazione dell'art. 47 da esse sostenuta fino ad oggi. Ed invece, proprio perche' invece la disposizione del 2011 non e' una norma di interpretazione autentica (ne', in generale, retroattiva), e proprio perche' (ad eccezione di quanto disposto dal comma 4 dell'art. 38) essa dispone solo per il futuro, da essa discende l'implicita (ma evidente) conferma - proveniente dallo stesso legislatore - del fatto che, prima della sua emanazione, i termini decadenziali di cui all'art. 47 d.P.R. n. 639 del 1970 non si applicavano alle domande giudiziali dirette ad ottenere la riliquidazione di trattamenti pensionistici gia' liquidati (onde non sussiste piu' alcuna possibilita' di invocare dalle Sezioni unite il revirement di un indirizzo interpretativo ormai esplicitamente convalidato dallo stesso legislatore). 4.3. - Assodato, pertanto, il carattere innovativo, rispetto alla situazione normativa precedente, della disciplina contenuta nel nuovo ultimo comma dell'art. 47 d.P.R. n. 639 del 1970, l'ulteriore previsione secondo la quale tale disciplina «a regime» deve essere applicata anche ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore del d.l. n. 98 del 2011 comporta, quale conseguenza, quella secondo cui, nei casi in cui tale giudizio sia stato promosso a distanza di piu' di tre anni da quella della liquidazione parziale della prestazione previdenziale, il giudice dovrebbe dichiarare l'inammissibilita' della domanda dell'assicurato. E' questo, appunto, il caso che si verifica nella presente controversia, gia' pendente alla data del 6 luglio 2011. Infatti il ricorrente si e' visto liquidare la pensione con provvedimento dell'Inps del 3 ottobre 1997 (v. all. n. 2 fase. ricorr.) ed ha proposto l'azione giudiziale solamente con ricorso depositato il 19 ottobre 2010. Nessun dubbio, poi, circa l'obbligo per il Giudice di rilevare la decadenza in questione, stante - a tacer d'altro - la rilevabilita' d'ufficio della decadenza ex art. 47 d.P.R. n. 639 del 1970, dettata a protezione dell'interesse pubblico alla definitivita' e certezza delle determinazioni concernenti erogazioni di spese gravanti su bilanci pubblici (Cass. n. 18528 del 2011, n. 27674 del 2005), con i conseguenti corollari dell'impossibilita' per l'ente previdenziale di rinunciare ad essa) (art. n. 2968 c.c.) e di impedirne l'effetto riconoscendo il diritto ad essa soggetto (art. n. 2966 c.c.). 4.4. - Tanto chiarito, ritiene il Giudice che l'art. 38, comma 4, del d.l. n. 98 del 2011, nella parte in cui estende ai giudizi pendenti in primo grado alla data della sua entrata in vigore il comma aggiunto all'art. 47 d.P.R. n. 639 del 1970 dal precedente comma 1, lettera d), dello stesso art. 38, contrasti con l'art. 3 Cost., perche' fonte di irragionevole disparita' di trattamento tra ipotesi analoghe. Infatti identiche fattispecie (assicurati che si siano visti liquidare - in misura a loro avviso insufficiente - una determinata prestazione pensionistica ad una medesima data e che abbiano promosso l'azione giudiziaria nello stesso giorno) e, dunque, due identici diritti (quelli ad ottenere la riliquidazione, a partire da quella data, di quella prestazione pensionistica) sarebbero soggetti o meno al nuovo termine decadenziale per il semplice fatto che in alcuni casi - alla data del 6 luglio 2011 - la controversia pendesse in primo grado e, in altri casi, pendesse invece in un diverso grado di giudizio. Analoga irrazionale disparita' di trattamento si verifica, a danno di chi abbia gia' promosso l'azione giudiziaria, rispetto ai casi in cui, magari, alla data del 6 luglio 2011 il diritto non fosse ancora stato azionato. 4.4.1. - L'art. 3 Cost. e', poi, violato a causa dell'irragionevolezza della norma censurata, poiche', come ampiamente dimostrato, essa introduce - con riferimento a diritti oggetto di giudizi pendenti alla data del 6 luglio 2011 - un termine di decadenza con effetti retroattivi e, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, l'istituto della decadenza, per sua natura, non tollera implicazioni retroattive, non potendo configurarsi un'ipotesi di estinzione del diritto (o del potere) per mancato esercizio da parte del titolare, in assenza di una previa determinazione del termine entro il quale il diritto (o, il potere) debba essere esercitato (v. Corte cost. n. 191 del 2005). Un simile carattere di irragionevolezza e' reso manifesto dalla fattispecie oggetto della presente controversia: il ricorrente, il quale, confidando sul fatto che il proprio diritto alla riliquidazione della pensione non era soggetto a termini di decadenza, si e' limitato, nel corso degli anni, come pure si vedra' tra poco, ad avanzare richieste stragiudiziali all'Inps dirette ad invocare la riliquidazione del trattamento di cui era titolare, si vedrebbe improvvisamente estinto il suo diritto a seguito di una norma entrata in vigore quando ormai si era gia' consumato il termine da essa stabilito per il compimento dell'atto di esercizio del diritto medesimo. 5. - Come gia' detto, l'art. 38, comma 1, lett. d), del d.l. n. 98 del 2011, ha introdotto nel d.P.R. n. 639 del 1970 l'art. 47-bis, il quale, per quel che qui interessa, stabilisce che sono soggetti al termine prescrizionale di cinque anni i ratei arretrati, ancorche' non liquidati, dei trattamenti pensionistici, nonche' delle relative differenze dovute a seguito di riliquidazioni. La portata innovativa della norma si comprende agevolmente se si considera che, in precedenza, era del tutto pacifico che i diritti di credito derivanti da rapporti previdenziali fossero soggetti all'ordinario termine prescrizionale decennale di cui all'art. 2946 c.c. e che una prescrizione piu' breve (appunto, quinquennale) fosse stabilita esclusivamente per le rate di pensione non riscosse entro cinque anni dalla loro scadenza dall'art. 129, primo comma, r.d.l. n. 1827 del 1935. E si era sempre ritenuto che quest'ultima norma (al pari dell'art. 2948, n. 4, c.c., prevedente anch'esso un termine quinquennale), presupponesse, per la sua applicabilita', che le rate di pensione fossero gia' state liquidate e fossero quindi esigibili (vale a dire, era ritenuto necessario che le relative somme fossero state messe a disposizione dell'avente diritto, il quale non le aveva incassate), mentre invece, nei casi in cui la prestazione non fosse stata ancora stata liquidata, si applicava il termine prescrizionale decennale (v., tra le tante, Cass. n. 9627 del 2000, n. 6490 del 1999, n. 292 del 1998). E cio' valeva, appunto, anche nei casi in cui l'ente previdenziale aveva proceduto al pagamento solo parziale del credito del pensionato: al residuo, si applicava la prescrizione decennale (Cass. n. 4248 del 2001, n. 9803 del 1998). La natura di norma di interpretazione autentica del nuovo art. 47-bis d.P.R. n. 639 del 1970 non e', pertanto, neppure ipotizzabile. Conseguentemente, il nuovo termine prescrizionale quinquennale si applica, in generale, ai ratei pensionistici, ancorche' non liquidati, maturati a decorrere dalla data di entrata in vigore della nuova norma, nonche' a quelli maturati precedentemente, fatto salvo il principio generale espresso dall'art. 252 disp. att. c.c. (sul quale, v. Cass. n. 4248 del 2001, n. 9803 del 1998) e, dunque, anche in tal caso, senza pregiudizio alcuno per le facolta' degli aventi diritto di far valere i propri crediti. Esso pero', in virtu' della specifica disposizione espressa dall'art. 38, c. 4, d.l. n. 98 del 2011, si applica anche ai giudizi pendenti alla data del 6 luglio 2011. 5.1. - Nella presente fattispecie, si osserva che il ricorrente ha interrotto la prescrizione, una prima volta, con il ricorso amministrativo ricevuto dall'Inps il 28 ottobre 2004 (all. fase. ricorr.) e, poi, con la notificazione del ricorso introduttivo della presente causa (risalente al novembre 2011). Costituendosi in giudizio, l'Inps ha tempestivamente sollevato eccezione di prescrizione, senza peraltro individuare il termine applicabile. Tale lacuna non impedisce, di per se' l'applicazione del termine quinquennale stabilito dalla disposizione del 2011, poiche', com'e' noto, la giurisprudenza di legittimita' e' ormai consolidata nel ritenere che elemento costitutivo dell'eccezione di prescrizione e' l'inerzia del titolare del diritto fatto valere in giudizio, mentre la determinazione della durata di questa, necessaria per il verificarsi dell'effetto estintivo, si configura come una quaestio iuris concernente l'identificazione del diritto stesso e del regime prescrizionale per esso previsto dalla legge; ne consegue che la riserva alla parte del potere di sollevare l'eccezione implica che ad essa sia fatto onere soltanto di allegare il menzionato elemento costitutivo e di manifestare la volonta' di profittare di quell'effetto, non anche di indicare direttamente o indirettamente (cioe' attraverso specifica menzione della durata dell'inerzia) le norme applicabili al caso di specie, l'identificazione delle quali spetta al potere-dovere del giudice, di guisa che, da un lato, non incorre nelle preclusioni di cui agli artt. 416 e 437 c.p.c. la parte che, proposta originariamente un'eccezione di prescrizione quinquennale, invochi nel successivo corso del giudizio la prescrizione ordinaria decennale, o viceversa; e, dall'altro lato, il riferimento della parte ad uno di tali termini non priva il giudice del potere ufficioso di applicazione di una norma di previsione di un termine diverso (Cass., sez. un., n. 10955 del 2002, cui si e' conformata la successiva giurisprudenza delle sezioni semplici; v., tra le piu' recenti, Cass. n. 21752 del 2010). Ne', nella presente fattispecie, puo' pervenirsi a diversa conclusione sulla base della constatazione dell'avvenuto pagamento da parte dell'Inps, nelle more del giudizio, dei ratei arretrati entro i limiti della prescrizione decennale (peraltro considerando l'ente, quale atto interruttivo, il solo ricorso giudiziale). Invero, in primo luogo, stante la gia' segnalata indisponibilita' dei rapporti previdenziali, l'Inps non potrebbe comunque rinunciare alla prescrizione (art. 2937, primo comma, c.c.). Dall'altro lato, il pagamento parziale del debito non rappresenta rinuncia alla prescrizione, l'eventuale effetto estensivo scaturendo dal contesto in cui il pagamento e' avvenuto (Cass. n. 23746 del 2007, n. 2267 del 2001); ne consegue che, poiche' nella fattispecie l'Inps ha provveduto a riconoscere i ratei arretrati maturati entro il termine decennale di prescrizione in un momento in cui (cioe' prima dell'emanazione del d.l. n. 98 del 2011), quello era - come si vedra' subito - il termine prescrizionale applicabile ai ratei non liquidati, e' impossibile attribuire alla condotta dell'ente il significato di rinunzia tacita alla prescrizione quinquennale. Da quanto detto discende che, poiche', come precisato all'inizio, la presente controversia ha ad oggetto l'accertamento del diritto del ricorrente alla riliquidazione della pensione e la condanna dell'Inps al pagamento delle relative differenze e, come pure detto in precedenza, si controverte tuttora (pur dopo il pagamento parziale eseguito dal convenuto nelle more del processo) circa il diritto del ricorrente al pagamento delle differenze maturate sui ratei pensionistici del periodo 1° agosto 1995-30 novembre 2000, ove fosse applicato il termine prescrizionale quinquennale di cui al nuovo art. 47-bis d.P.R. n. 639 del 1970, il credito del lavoratore sarebbe estinto (il primo atto interruttivo risalendo all'ottobre 2004 e non essendo stato seguito, nel quinquennio immediatamente successivo, da altro analogo atto), mentre invece, se si applicasse il previgente termine decennale, il credito del lavoratore sarebbe integralmente fatto salvo (appunto perche' la prescrizione risulta interrotta, prima, nell'ottobre del 2004 e, poi, nel novembre del 2011). Di qui la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale. 5.2. - Tanto precisato, ritiene il giudicante che l'art. 38, comma 4, del d.l. n. 98 del 2011, nella parte in cui estende ai giudizi pendenti in primo grado alla data della sua entrata in vigore l'art. 47-bis introdotto nell'art. 47 d.P.R. n. 639 del 1970 dal precedente comma 1, lettera d), dello stesso art. 38, contrasti con l'art. 3 Cost., perche' fonte di irragionevole disparita' di trattamento tra ipotesi analoghe. Infatti identiche fattispecie (assicurati che si siano visti liquidare - in misura insufficiente - una determinata prestazione pensionistica ad una medesima data e che abbiano compiuto negli stessi giorni atti interruttivi della prescrizione) e, dunque, due identici diritti (quelli ad ottenere il pagamento delle differenze pensionistiche scaturenti dalla riliquidazione) sono soggetti o meno al nuovo termine prescrizionale per il semplice fatto che in alcuni casi - alla data del 6 luglio 2011 - la controversia pendesse in primo grado e, in altri casi, pendesse invece in un diverso grado di giudizio. 5.2.1. - L'art. 3 Cost. e', poi, violato a causa dell'irragionevolezza della norma censurata, poiche', come dimostrato, essa introduce - con riferimento a diritti oggetto di giudizi pendenti alla data del 6 luglio 2011 - un termine di prescrizione con effetti retroattivi. Anche al riguardo puo' richiamarsi quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 191 del 2005, circa l'impossibilita' per il legislatore ordinario di introdurre ipotesi di estinzione dei diritti per mancato esercizio da parte del titolare, in assenza di una previa determinazione del termine entro il quale il diritto debba essere esercitato. Un simile carattere di irragionevolezza e' reso manifesto dalla fattispecie oggetto della presente controversia: il ricorrente, il quale, confidando sul fatto che il proprio diritto di credito per le differenze dei ratei pensionistici era soggetto alla prescrizione estintiva decennale, ha compiuto atti interruttivi cadenzati su quel termine, vede il suo diritto estinto in virtu' di una norma entrata in vigore quando ormai si era gia' consumato il piu' breve termine da essa stabilito per il compimento degli atti idonei ad impedire la predetta estinzione. 6. - Un'ultima precisazione circa la rilevanza delle sollevate eccezioni di incostituzionalita'. Si e' gia' segnalato come il diritto del ricorrente alle differenze di pensione sui ratei maturati nel periodo l° agosto 1995-30 novembre 2000 rientra nel campo di applicazione sia del nuovo ultimo comma dell'art. 47 d.P.R. n. 639 del 1970, sia in quello del nuovo art. 47-bis dello stesso d.P.R. E' questo il motivo per il quale e' necessario sollevare questioni di illegittimita' costituzionale dell'art. 38, comma 4, d.l. n. 98 del 2011 nella parte in cui estende ai giudizi pendenti in primo grado alla data del 6 luglio 2011 sia l'una, sia l'altra delle predette disposizioni introdotte dal comma 1, lett. d), dello stesso art. 38. Infatti, solamente dall'eliminazione dell'applicabilita' di entrambe queste disposizioni ai giudizi di primo grado gia' pendenti consegue l'accoglimento della parte della domanda formulata nell'atto introduttivo della presente lite relativa al periodo 1° agosto 1995-30 novembre 2000.
P. Q. M. Dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 38, comma 4, del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito in legge dall'art. 1 della legge n. 111 del 2011, nella parte in cui estende l'applicabilita' delle disposizioni di cui al comma 1, lettera d), del medesimo art. 38, ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore del d.l. n. 98 del 2011, in riferimento all'art. 3 della Costituzione. Dispone la sospensione del giudizio in corso e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina alla Cancelleria di notificare la presente ordinanza alle parti e al Presidente del Consiglio dei ministri e di comunicarla ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati. Roma, 8 febbraio 2012 Il giudice: Sordi