N. 127 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 aprile 2012
Ordinanza del 4 aprile 2012 emessa dal Tribunale di Lucera nel procedimento civile promosso da Cipriano Nicola contro INPS . Previdenza - Previsione che i processi previdenziali nei quali sia parte l'INPS, pendenti nel primo grado di giudizio alla data del 31 dicembre 2010, il cui valore non superi euro 500, si estinguono di diritto con il riconoscimento della pretesa economica a favore del ricorrente - Violazione del principio di uguaglianza sotto il profilo dell'irrazionalita' e dell'uguale trattamento di situazioni eterogenee (ricorsi inammissibili, improponibili o infondati prima facie e ricorsi fondati) - Incidenza sul diritto di azione e difesa in giudizio - Lesione della garanzia previdenziale - Violazione dei principi di imparzialita' e buon andamento della pubblica amministrazione - Violazione di obblighi internazionali derivanti dalla CEDU. - Decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, nella legge 15 novembre 2011, n. 111, art. 38, comma 1, lett. a). - Costituzione, artt. 3, 24, 38, 97, 102, 111 e 117, primo comma, in relazione all'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali.(GU n.26 del 27-6-2012 )
Il Giudice, ritenuto che per mero errore materiale, nell'ordinanza di rimessione veniva indicato che la questione pregiudiziale di illegittimita' era sollevata dall'INPS, mentre era lo stesso scrivente a ritenere di sollevare la questione di Illegittimita' costituzionale per le ragioni di cui di seguito; ritenuto, dunque, di dover procedere alla correzione dell'ordinanza nel senso che laddove e' scritto "l'inps riteneva di sollevare questione di illegittimita'" debba leggersi "che, tuttavia, lo scrivente ritiene di dover sollevare eccezione pregiudiziale di legittimita' costituzionale, in relazione agli artt. per violazione degli artt. 3, 24, 97, 38,102,111 e 117 della Costituzione" dispone che: laddove e' scritto "l'inps riteneva di sollevare questione di illegittimita'" debba leggersi "che, tuttavia, lo scrivente ritiene di dover sollevare eccezione pregiudiziale di legittimita' costituzionale, in relazione agli artt. per violazione degli artt. 3, 24, 97, 38,102,111 e 117 della Costituzione". Ne sia fatta annotazione. Si notifichi l'ordinanza corretta come di seguito. Lucera 4 aprile 2012. IL TRIBUNALE DI LUCERA Il giudice dott. Mario De Simone, sciogliendo ia riserva disposta al'udienza del 29 marzo 2012, nel procedimento civile N. R.G. 6291/08 promosso da: Cipriano Nicola attore Contro INPS - Convenuta. Ha emesso la seguente ordinanza Premesso: che con ricorso regolarmente notificato Cipriano Nicola chiedeva la riliquidazione dell'indennita' di disoccupazione, avendo l'istituto previdenziale utilizzato un parametro retributivo inferiore a quello dovuto per legge, concludendo nei senso della condanna dell'istituto al pagamento del differenziale secondo analitici calcoli depositati in uno ai ricorso; che il valore della controversia era quantificato in € 443,12; che, conseguentemente, il presente giudizio dovrebbe essere estinto ai sensi dell'art. Art. 38 del DL n. 98/2011 cosi' come convertito in legge; che, tuttavia, lo scrivente ritiene di dover sollevare eccezione pregiudiziale di legittimita' costituzionale, in relazione agli artt. per violazione degli artt. 3, 24, 97, 38,102,111 e 117 della Costituzione; che il remittente, ritenendo la questione non manifestamente infondata, la solleva innanzi a codesta Ill.ma Corte, nei termini e per i motivi sotto indicati. Rilevanza della questione di legittimita' costituzionale ai fini della soluzione della presente controversia. Prima di passare agli aspetti sostanziali inerenti alla non manifesta infondatezza della questione, e' bene soffermarsi su quelli formali, altrettanto importanti, al fine di evitare una pronuncia di inammissibilita' che precluderebbe alla Corte di entrare nel merito della questione stessa. Occorre, pertanto, dimostrare, come l'art. 38 del DL n. 98/2011 abbia rilevanza della questione ai fini della soluzione del presente giudizio, cioe' l'impossibilita' di definire quest'ultimo indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita'. L'art. 38, comma 1, lett. a), del D.L. 6 luglio 2011, n. 98 convertito in legge 15 luglio 2011, n. 111, prevede testualmente: "Al fine di realizzare una maggiore economicita' dell'azione amministrativa e favorire la piena operativita' e trasparenza dei pagamenti, nonche' deflazionare il contenzioso in materia previdenziale, di contenere la durata dei processi in materia previdenziale, nei termini di durata ragionevole dei processi, previsti ai sensi della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848: a) i processi in materia previdenziale nei quali sia parte l'INPS, pendenti nel primo grado di giudizio alla data del 31 dicembre 2010, per i quali, a tale data, non sia intervenuta sentenza, il cui valore non superi complessivamente euro 500,00, si estinguono di diritto, con riconoscimento della pretesa economica a favore del ricorrente. L'estinzione e' dichiarata con decreto dal giudice, anche d'ufficio. Per le spese del processo si applica l'articolo 310, quarto comma, del codice di procedura civile. ...». In base a tale disposizione, pertanto, tutti i processi in materia previdenziale aventi ad oggetto pretese nei confronti dell'INPS, radicati in I grado e non decisi alla data del 31.12.2010, devono essere dichiarati estinti, anche d'ufficio, all'unica condizione che il valore della pretesa non superi complessivamente € 500; a tale estinzione, sul piano processuale, deve corrispondere sul piano sostanziale il riconoscimento della pretesa economica in favore del ricorrente. Ebbene la questione e' rilevante, in quanto, il valore della controversia e' stato quantificato in € 443,12, per cui la controversia andrebbe definita- in caso di applicazione della norma- con una pronuncia processuale di estinzione, con preclusione di qualsiasi analisi di merito; in caso di prospettata illegittimita' costituzionale la questione andrebbe definita nel merito. Non manifesta infondatezza della questione in relazione agli artt. 3, 24, 97, 38,102,111 e 117 della Costituzione. In primo luogo, la questione appare non manifestamente infondata rispetto all'art. 3 Cost., sotto il profilo del principio di razionalita' della legge desumibile dal comma 1 di tale articolo. Come si desume dalla prima parte della norma, con essa il legislatore intende realizzare l'obiettivo di deflazionare il contenzioso previdenziale e di contenere, cosi', la durata dei procedimenti in questa materia nei termini di durata ragionevole dei processi stabiliti dalla C.E.D.U.. Cio' con l'abbattimento in massa delle controversie di valore economico modesto, che appesantiscono i ruoli soprattutto di alcune sedi giudiziarie, sul presupposto, evidentemente, che anche queste ultime controversie comportino, in termini di tempi e risorse, un impegno per l'attivita' giurisdizionale tale da incidere piu' in generale sul suo regolare svolgimento. Tuttavia, se questi sono gli obiettivi perseguiti dal legislatore, non c'e' dubbio che tale disposizione, per come e' stata concepita e formulata, si pone in contrasto con lo scopo della legge manifestato gia' nella rubrica della stessa e soprattutto con superiori norme di rango costituzionale atte a tutelare valori e interessi fondamentali tali cioe' da meritare di avere appunto tale tutela costituzionale. Se puo' ritenersi coerente con i suddetti obbiettivi l'estinzione ope legis ed il riconoscimento della pretesa per quelle controversie nelle quali alla decisione, in un senso o nell'altro, puo' pervenirsi solo a seguito di un'attivita' processuale, anche istruttoria, piu' o meno complessa, in quanto impongano l'esame di varie questioni, di fatto e/o di diritto, dall'esito incerto, altrettanto non puo' dirsi per quei giudizi che si presentino di facile e pronta soluzione. Si pensi ai casi di domanda manifestamente inammissibile, per intervenuta decadenza (che, in questa materia, ha effetti sostanziali, ai sensi dell'art. 6 del D.L. 29 marzo 1991, n. 103, convenuto in legge 1° giugno 1991, n. 166), o improponibile, per mancata presentazione della domanda amministrativa o perche' preclusa per il principio del ne bis in idem, in quanto il ricorrente abbia gia' proposto la stessa controversia, o ancora al caso di domanda manifestamente infondata, in quanto l'attore ha gia' ottenuto in via amministrativa il pagamento della prestazione rivendicata in giudizio, ovvero non riveste la qualita' (ad esempio quella di bracciante agricolo) cui la legge ricollega il diritto alla prestazione, ovvero per decorso del termine di prescrizione, ecc.. Si tratta di ipotesi tutt'altro che infrequenti, come la casistica giudiziaria e l'esperienza concreta dimostra, rispetto alle quali l'effetto che deriva dall'applicazione della norma, cioe' l'estinzione del giudizio ed il riconoscimento economico della pretesa in favore del ricorrente, appare del tutto illogico ed irrazionale. Ne' si potrebbe rilevare in contrario che solo tale definizione generalizzata dei procedimenti e' in grado di assicurare il raggiungimento degli obbiettivi di deflazione del contenzioso e di contenimento in tempi ragionevoli dei processi previdenziali. Anche nei suddetti casi, infatti, nei quali addirittura la palese inammissibilita' o infondatezza puo' essere rilevata direttamente dall'esame della domanda, indipendentemente dalle difese dell'ente convenuto (la decadenza e l'improponibilita', si rammenta, sono rilevabili d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio), il processo puo' essere celermente definito. In queste ipotesi, invero, l'impegno dell'autorita' giudiziaria chiamata a pronunciarsi per definire il giudizio non e' maggiore o diverso da quello che richiede la norma in questione per dichiararne l'estinzione: cosi' come il Giudice deve valutare la sussistenza della condizione per l'applicazione della disposizione in esame (e quindi accertare se quanto complessivamente preteso dal ricorrente rientri nel limite di valore di € 500 da essa stabilito) - verifica che puo' anche essere meno semplice di quanto possa apparire, se sorga contestazione tra le parti sul punto - allo stesso modo puo' rilevare la ragione, tra quelle che si sono piu' sopra riportate a titolo esemplificativo, che impone la immediata definizione del processo, con la correlativa pronuncia di rito o di merito. La norma, pertanto, si appalesa in sicuro contrasto con l'art. 3, comma 1, Cost., nella parte in cui prevede l'estinzione di diritto del giudizio ed il riconoscimento economico della pretesa in favore del ricorrente, anche nei casi in cui la domanda di quest'ultimo sia manifestamente inammissibile, improponibile, o infondata. Tale irrazionalita' della disposizione e' ancora piu' evidente se si considera che essa finisce per "premiare", con il riconoscimento economico della pretesa, quei soggetti che invece, proprio con la proposizione di domande inammissibili, improponibili o infondate, hanno contribuito "indebitamente" a creare quella situazione di ingolfamento dei ruoli giudiziari, alla quale la stessa norma vuole, porre rimedio. Tale norma, inoltre, si pone in contrasto anche con il principio di eguaglianza sancito dallo stesso art. 3 Cost. Essa, infatti, nel prevedere l'indiscriminata estinzione di tutti i processi previdenziali di valore compreso entro i 500 euro in cui sia parte l'INPS, detta una disciplina uniforme per situazioni anche profondamente differenti tra loro (come il caso di prestazione effettivamente spettante alla parte, ma il cui accertamento richieda comunque una determinata attivita' processuale, anche istruttoria, e quello invece di pretesa «prima facie» inammissibile, improponibile o infondata, come rilevabile allo stato degli atti), le quali, si ripete, proprio perche' idonee a dar luogo ad un diverso iter processuale, oltre che ad un suo diverso esito sul piano sostanziale, non possono essere considerate unitariamente, sia pure nell'ottica di deflazionare il contenzioso. E' palesemente iniquo disporre l'estinzione del giudizio e il pagamento in via amministrativa della prestazione azionata, tanto nei confronti di chi aveva diritto a quella prestazione, e legittimamente si era rivolto all'Autorita' giudiziaria per ottenerne il riconoscimento, quanto in favore di chi, invece, non vi aveva assolutamente diritto, e nei cui confronti quel pagamento rappresenta quindi soltanto una ingiustificata locupletazione. E' vero che in passato analoghi provvedimenti legislativi, che hanno imposto l'estinzione dei giudizi ed il soddisfacimento, peraltro neppure integrale, dei diritti che ne erano ad oggetto, hanno passato indenni il vaglio di costituzionalita'. Si pensi, ad esempio, alla sentenza Corte Cost. 31 marzo 1995, n. 103, intervenuta sull'art. 4 della legge 29 gennaio 1994, n. 87 che prevedeva una tale sorte per i giudizi intentati da pubblici dipendenti aventi ad oggetto l'inclusione dell'indennita' integrativa speciale nella base di calcolo dei trattamenti di fine servizio, gia' riconosciuta dalla Corte Costituzionale con sentenza 19 maggio 1993, n. 243, e poi disciplinata dall'art. 1 della stessa legge n. 87/94, o ancora alla sentenza 20.7.2000, n. 310, relativa all'art. 1, commi 181-183, della legge 31.12.1996, n. 662, e 36, comma 5, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, per i procedimenti aventi ad oggetto il riconoscimento degli arretrati spettanti a seguito delle sentenze della Corte costituzionale 31 dicembre 1993, n. 495 e 10 giugno 1994, n. 240. Tuttavia in quei casi le controversie avevano per oggetto diritti, derivanti da pronunce della Corte costituzionale, la cui esistenza non poteva certo piu' essere messa in discussione, e la definizione stragiudiziale del contenzioso, mediate il pagamento, anche se non integrale, di quanto dovuto, con l'estinzione del processo, ha rappresentato un modo per chiudere definitivamente un contenzioso dall'esito assolutamente scontato. In quei giudizi, cioe', gli attori non facevano valere crediti effettivamente contestati dalla controparte e percio' controversi, ma semplicemente crediti non pagati, sui quali il legislatore e' direttamente intervenuto prevedendo, oltre all'estinzione dei processi, il contestuale adempimento a carico degli enti ebitori, di cui ha disciplinato anche le modalita' operative. Nel caso di specie, invece, non si tratta di cause ben individuate nella loro tipologia, nelle quali la pretesa del ricorrente trovi un indiscusso ed indiscutibile: fondamento normativo, ma di controversie dal contenuto piu' vario, il cui unico comun denominatore e' dato dal valore modesto (non superiore ad € 500), ed il cui esito e' tutt'altro che scontato, atteso che, anzi, su numerose questioni gli orientamenti giurisprudenziali sono favorevoli all'INPS (si pensi alle controversie in materia di riliquidazione dell'indennita' di disoccupazione agricola sulla base del c.d. salario reale). Vi sono inoltre ulteriori profili di contrasto con I'art. 3 citato e in particolare riguardo al fatto che le controversie oggetto di estinzione in base alla norma che qui si censura son solo e soltanto quelle radicate nei confronti dell'INPS mentre del tutto estranei all'ambito di applicabilita' della stessa sono gli altri enti previdenziali. Di cio' non si da' alcuna motivazione e pertanto ne discende che priva di ragionevolezza e' la scelta effettuata dal legislatore con la norma de quo. La questione appare non manifestamente infondata anche riguardo all'art.117 Cost. con il quale il contrasto e' ravvisabile nel fatto che son stati violati gli obblighi internazionali dello Stato e in particolare l'art. 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali ratificata e resa esecutiva in Italia con la L.848/1955 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmata a Roma il 4.11.1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa firmato a Parigi il 20.3.1952), come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo che vieta "discriminazioni per l'origine sociale e per la ricchezza nell'ambito di applicazione della Convenzione , occorre sottolineare che la gran maggioranza di giudizi previdenziali che ricadono nel suo ambito di applicazione sono stati radicati da braccianti agricoli precari (c.d.OTD e cioe' operai agricoli a tempo determinato) che pertanto ottengono grazie alla norma che si censura il riconoscimento di prestazioni che invece non sarebbero riconosciute a chi precario non e' (c.d.OTI e cioe' operai agricoli a tempo indeterminato) e piu' in generale che i braccianti agricoli ottengono un trattamento di favor rispetto a tutti gli altri lavoratori dipendenti. Per continuare con il riferimento all'art.117 occorre inoltre sottolineare la sussistenza del contrasto con l'art.6 CEDU come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo che ha escluso la possibilita' di ingerenza del potere legislativo nell'amministrazione della giustizia Mio scopo di influire sulla conclusione della causa eccetto il caso di motivi imperativi di interesse generale che ictu oculi appaiono essere insussistenti nel caso di specie. La questione appare non manifestamente infondata rispetto anche all'art. 102 Cost. Infatti, come appena evidenziato riguardo alla violazione dell'art.6 CEDU in rapporto con l'art. 117 Cost., con tale intervento il legislatore ha indebitamente invaso la sfera riservata all'ordine giudiziario, imponendo ex abrupto,, l'estinzione dei processi, ed impedendo cosi' l'esercizio della funzione giurisdizionale. Se una tale "invasione di campo" puo' trovare giustificazione nell'esigenza deflattiva del contenzioso, essa, al contrario, e' del tutto ingiustificata per quei procedimenti per i quali tale esigenza non sussiste, in quanto siano suscettibili di una rapida decisione, per essere la domanda palesemente inammissibile; improponibile o infondata. Anche sotto questo profilo, con riguardo ai precedenti interventi normativi sopra indicati, e' stata esclusa la sussistenza di tale violazione, in quanto la disciplina sostanziale contestualmente apprestata dal legislatore era conforme al reale assetto dei rapporto inter partes ed alle legittime pretese dei soggetti che per la tutela dei propri diritti avevano chiesto l'intervento dell'autorita' giudiziaria; tuttavia e' evidente che altrettanto non puo' ritenersi nei casi, quale quello in esame, in cui e' disposta la definizione del contenzioso in termini diametralmente opposti a quelli corrispondenti alla effettiva posizione delle parti. In queste ipotesi, in altre parole, l'ingerenza del legislatore e' del tutto inammissibile e ingiustificata, sia in quanto non sussiste l'esigenza posta a fondamento dell'intervento legislativo (la celere definizione del processo, con le ricadute sulla durata delle controversie previdenziali), sia perche' impone d'imperio una definizione del rapporto sostanziale tra le parti (il pagamento della prestazione pretesa dal ricorrente) di segno esattamente inverso a quello che sarebbe stato altrimenti l'esito del giudizio nel pieno esercizio della potesta' giurisdizionale. Da quanto sopra evidenziato emerge anche la violazione dell'art. 111 Cost. interpretato alla luce dell'art.6 CEDU in quanto la previsione della sua applicabilita' ai giudizi perndenti al 31.12.2010 viola il principio del giusto processo stabilito da tale dettato costituzionale in particolare sotto il profilo della parita' delle parti leso da una norma che e' diretta ad imporre una determinata soluzione solo e soltanto in relazione ad una circoscritta categoria di controversie (per grandissima maggioranza, come sopra detto, radicate da una doppiamente specifica categoria di lavoratori: solo agricoli e solo a tempo determinato) La questione appare non manifestamente infondata, ancora, rispetto al contrasto con l'art. 24 Cost. Essa, infatti, nel prevedere l'estinzione del giudizio ed il pagamento di quanto preteso in favore della controparte, anche nei casi di domanda palesemente inammissibile, improponibile e infondata, lede irreparabilmente il diritto di difesa dell'Istituto, imponendogli nei fatti la soccombenza ed il riconoscimento economico della pretesa, che l'esito normale del giudizio, altrettanto spedito, e quindi perfettamente in linea con gli obbiettivi perseguiti dalla stessa disposizione, non avrebbe determinato. Anche tale lesione appare del tutto ingiustificata, tenuto conto che, nei casi suindicati, l'obbiettivo della celere definizione del giudizio, e quindi quello deflattivo dei processi ed il conseguente contenimento dei tempi delle controversie previdenziali, e' assicurato dal normale corso del procedimento. Sul punto e' solo il caso di aggiungere che in occasione dei giudizi di costituzionalita' sui precedenti provvedimenti legislativi di cui si e' piu' sopra detto, la Corte Costituzionale ha escluso la sussistenza della violazione dell'art. 24 Cost., in quanto all'estinzione del giudizio si associava comunque il soddisfacimento della pretesa per la cui tutela il giudizio da estinguere era stato promosso, pretesa che, si ripete, non era e non poteva essere validamente contestata. Cio' non accade nel caso di specie, in cui anzi si verifica la situazione esattamente contraria, in quanto e' imposto il riconoscimento economico della pretesa anche nei casi in cui essa non avrebbe mai potuto essere accolta nel giudizio di cui si dispone l'estinzione. Un ulteriore profilo d'incostituzionalita' della norma e' dato dal contrasto con l'art. 97 Cost., anche in rapporto all'art. 38 Cost.. Infatti, non puo' certo ritenersi conforme al principio d'imparzialita' e di buon andamento della P.A., affermato da tale disposizione, l'imporre ex lege il pagamento di prestazioni, anche se d'importo contenuto, pure nei casi in cui il soggetto beneficiario non ne abbia assolutamente diritto, tanto piu' se si considera che si tratta di prestazioni di natura pubblicistica, la cui erogazione dovrebbe avvenire soltanto previa rigorosa verifica dei necessari requisiti, cosi' come previsti dalle inderogabili conferenti disposizioni normative. Cio' e' tanto piu' evidente nei casi, non infrequenti, di inesistenza dello stesso rapporto previdenziale definitivamente accertata addirittura in sede penale (come quando il ricorrente non possegga la qualita' di assicurato, per la fittizieta' del rapporto di lavoro al quale si ricollegano i contributi - magari neppure effettivamente versati dall'apparente datore di lavoro - su cui si fonda la pretesa). Sotto questo aspetto, la norma risulta incompatibile anche con l'art. 38, comma 2, Cost. Infatti, se e' compito del legislatore prevedere in favore dei lavoratori mezzi adeguati per i casi di impossibilita' a reperire il sostentamento dallo svolgimento dell'attivita' lavorativa, non puo' certamente ritenersi adempiuto tale compito se l'attribuzione di tali prestazioni debba ex lege avvenire in favore di coloro che non si trovano nella situazione giuridicamente protetta, quando non manchi addirittura la stessa qualita' di "lavoratore". In altre parole, l'art. 38 Cost. vincola il legislatore a prevedere le prestazioni previdenziali in favore dei lavoratori e solo in presenza di situazioni di bisogno tipizzate; disporre l'attribuzione generalizzata di tali prestazioni, sol perche' sono oggetto di contenzioso, non solo a prescindere dalla verifica dei relativi presupposti, ma addirittura quando ne sia palese e possa essere immediatamente dichiarata giudizialmente l'inesistenza - che aveva determinato il diniego dell'INPS contro il quale l'interessato ha agito in giudizio - comporta l'illegittimita' della relativa previsione legislativa per violazione di tale precetto costituzionale.
P.Q.M Il giudice remittente dichiara: Rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, in relazione agli artt. 3, 24, 97, 38, 102, 111 e 117 della Costituzione, dell'art. 38 comma I lett. A del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98 convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111; per l'effetto, sospende il presente procedimento e manda alla Cancelleria di comunicare la presente ordinanza alla Corte costituzionale, alle parti del presente giudizio, al Presidente del Consiglio dei ministri nonche' al Presidenti delle due Camere del Parlamento, ai sensi dell'art. 23, ultimo comma, legge n. 87/1953. Lucera, addi' 30 marzo 2012. Il Giudice: De Simone