N. 127 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 aprile 2012

Ordinanza del 4 aprile  2012  emessa  dal  Tribunale  di  Lucera  nel
procedimento civile promosso da Cipriano Nicola contro INPS . 
 
Previdenza - Previsione che i processi previdenziali  nei  quali  sia
  parte l'INPS, pendenti nel primo grado di giudizio alla data del 31
  dicembre 2010, il cui valore non superi euro 500, si estinguono  di
  diritto con il riconoscimento della pretesa economica a favore  del
  ricorrente - Violazione  del  principio  di  uguaglianza  sotto  il
  profilo dell'irrazionalita' e dell'uguale trattamento di situazioni
  eterogenee (ricorsi inammissibili, improponibili o infondati  prima
  facie e ricorsi fondati) - Incidenza sul diritto di azione e difesa
  in giudizio - Lesione della garanzia previdenziale - Violazione dei
  principi  di  imparzialita'  e  buon   andamento   della   pubblica
  amministrazione - Violazione di obblighi  internazionali  derivanti
  dalla CEDU. 
- Decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 15 novembre 2011, n. 111, art. 38, comma 1, lett. a). 
- Costituzione, artt. 3, 24, 38, 97, 102, 111 e 117, primo comma,  in
  relazione all'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia  diritti
  dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
(GU n.26 del 27-6-2012 )
    Il   Giudice,   ritenuto   che   per   mero   errore   materiale,
nell'ordinanza  di  rimessione  veniva  indicato  che  la   questione
pregiudiziale di illegittimita' era sollevata dall'INPS,  mentre  era
lo  stesso  scrivente  a  ritenere  di  sollevare  la  questione   di
Illegittimita' costituzionale per  le  ragioni  di  cui  di  seguito;
ritenuto, dunque, di dover procedere alla  correzione  dell'ordinanza
nel senso che  laddove  e'  scritto  "l'inps  riteneva  di  sollevare
questione  di  illegittimita'"  debba  leggersi  "che,  tuttavia,  lo
scrivente ritiene  di  dover  sollevare  eccezione  pregiudiziale  di
legittimita' costituzionale, in relazione agli artt.  per  violazione
degli artt. 3, 24, 97, 38,102,111 e 117 della  Costituzione"  dispone
che: 
    laddove e' scritto "l'inps riteneva  di  sollevare  questione  di
illegittimita'" debba leggersi "che, tuttavia, lo  scrivente  ritiene
di  dover   sollevare   eccezione   pregiudiziale   di   legittimita'
costituzionale, in relazione agli artt. per violazione degli artt. 3,
24, 97, 38,102,111 e 117 della Costituzione". 
    Ne sia fatta annotazione. 
    Si notifichi l'ordinanza  corretta  come  di  seguito.  Lucera  4
aprile 2012. 
 
                       IL TRIBUNALE DI LUCERA 
 
    Il giudice dott. Mario De Simone, sciogliendo ia riserva disposta
al'udienza del 29 marzo 2012, nel procedimento civile N. R.G. 6291/08
promosso da: Cipriano Nicola attore 
    Contro INPS - Convenuta. 
    Ha emesso la seguente ordinanza 
    Premesso: 
        che  con  ricorso  regolarmente  notificato  Cipriano  Nicola
chiedeva la riliquidazione dell'indennita' di disoccupazione,  avendo
l'istituto  previdenziale   utilizzato   un   parametro   retributivo
inferiore a quello dovuto per  legge,  concludendo  nei  senso  della
condanna  dell'istituto  al  pagamento  del   differenziale   secondo
analitici calcoli depositati in uno ai ricorso; 
        che  il  valore  della  controversia  era   quantificato   in
€ 443,12; 
        che, conseguentemente, il presente giudizio  dovrebbe  essere
estinto ai sensi dell'art. Art. 38  del  DL  n.  98/2011  cosi'  come
convertito in legge; 
        che,  tuttavia,  lo  scrivente  ritiene  di  dover  sollevare
eccezione pregiudiziale di legittimita' costituzionale, in  relazione
agli artt. per violazione degli artt. 3, 24,  97,  38,102,111  e  117
della Costituzione; 
        che il remittente, ritenendo la questione non  manifestamente
infondata, la solleva innanzi a codesta Ill.ma Corte, nei  termini  e
per i motivi sotto indicati. 
    Rilevanza della questione di legittimita' costituzionale ai  fini
della soluzione della presente controversia. 
    Prima di passare  agli  aspetti  sostanziali  inerenti  alla  non
manifesta infondatezza della questione, e' bene soffermarsi su quelli
formali, altrettanto importanti, al fine di evitare una pronuncia  di
inammissibilita' che precluderebbe alla Corte di entrare  nel  merito
della questione stessa. Occorre, pertanto, dimostrare, come l'art. 38
del DL n. 98/2011 abbia  rilevanza  della  questione  ai  fini  della
soluzione del presente giudizio, cioe' l'impossibilita'  di  definire
quest'ultimo indipendentemente dalla risoluzione della  questione  di
legittimita'. 
    L'art. 38, comma 1, lett. a), del  D.L.  6  luglio  2011,  n.  98
convertito in legge 15 luglio 2011, n. 111, prevede testualmente: "Al
fine   di   realizzare   una   maggiore   economicita'    dell'azione
amministrativa e favorire la piena  operativita'  e  trasparenza  dei
pagamenti,   nonche'   deflazionare   il   contenzioso   in   materia
previdenziale,  di  contenere  la  durata  dei  processi  in  materia
previdenziale,  nei  termini  di  durata  ragionevole  dei  processi,
previsti ai sensi della Convenzione europea per la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, ratificata ai  sensi
della legge 4 agosto 1955, n. 848: 
        a) i processi in materia previdenziale nei  quali  sia  parte
l'INPS, pendenti nel  primo  grado  di  giudizio  alla  data  del  31
dicembre 2010,  per  i  quali,  a  tale  data,  non  sia  intervenuta
sentenza, il cui valore non superi complessivamente euro  500,00,  si
estinguono di diritto, con riconoscimento della pretesa  economica  a
favore del ricorrente. L'estinzione e'  dichiarata  con  decreto  dal
giudice, anche d'ufficio.  Per  le  spese  del  processo  si  applica
l'articolo 310, quarto comma, del codice di procedura civile. ...». 
    In base a  tale  disposizione,  pertanto,  tutti  i  processi  in
materia  previdenziale  aventi  ad  oggetto  pretese  nei   confronti
dell'INPS, radicati in I grado e non decisi alla data del 31.12.2010,
devono  essere  dichiarati  estinti,   anche   d'ufficio,   all'unica
condizione che il valore della pretesa  non  superi  complessivamente
€ 500; a tale estinzione, sul piano processuale,  deve  corrispondere
sul piano sostanziale il riconoscimento della  pretesa  economica  in
favore del ricorrente. 
    Ebbene la questione e' rilevante,  in  quanto,  il  valore  della
controversia  e'  stato  quantificato  in  € 443,12,   per   cui   la
controversia andrebbe definita- in caso di applicazione della  norma-
con una pronuncia  processuale  di  estinzione,  con  preclusione  di
qualsiasi analisi di merito; in caso  di  prospettata  illegittimita'
costituzionale la questione andrebbe definita nel merito. 
    Non manifesta infondatezza  della  questione  in  relazione  agli
artt. 3, 24, 97, 38,102,111 e 117 della Costituzione. 
    In primo luogo, la questione appare non manifestamente  infondata
rispetto  all'art.  3  Cost.,  sotto  il  profilo  del  principio  di
razionalita' della legge desumibile dal comma 1 di tale articolo. 
    Come si desume  dalla  prima  parte  della  norma,  con  essa  il
legislatore  intende  realizzare  l'obiettivo  di   deflazionare   il
contenzioso previdenziale  e  di  contenere,  cosi',  la  durata  dei
procedimenti in questa materia nei termini di durata ragionevole  dei
processi stabiliti dalla C.E.D.U.. 
    Cio' con l'abbattimento in massa  delle  controversie  di  valore
economico modesto, che appesantiscono i ruoli soprattutto  di  alcune
sedi giudiziarie, sul presupposto, evidentemente,  che  anche  queste
ultime controversie comportino, in termini di  tempi  e  risorse,  un
impegno per l'attivita' giurisdizionale  tale  da  incidere  piu'  in
generale sul suo regolare svolgimento. 
    Tuttavia,  se  questi   sono   gli   obiettivi   perseguiti   dal
legislatore, non c'e' dubbio che tale disposizione, per come e' stata
concepita e formulata, si pone in contrasto con lo scopo della  legge
manifestato  gia'  nella  rubrica  della  stessa  e  soprattutto  con
superiori norme di rango costituzionale  atte  a  tutelare  valori  e
interessi fondamentali tali cioe' da meritare di avere  appunto  tale
tutela costituzionale. 
    Se puo' ritenersi coerente con i suddetti obbiettivi l'estinzione
ope legis ed il riconoscimento della pretesa per quelle  controversie
nelle quali alla decisione, in un senso o nell'altro, puo' pervenirsi
solo a seguito di un'attivita' processuale, anche istruttoria, piu' o
meno complessa, in quanto impongano l'esame di  varie  questioni,  di
fatto e/o di diritto, dall'esito incerto, altrettanto non puo'  dirsi
per quei giudizi che si presentino di facile e pronta soluzione. 
    Si pensi ai casi di  domanda  manifestamente  inammissibile,  per
intervenuta  decadenza  (che,   in   questa   materia,   ha   effetti
sostanziali, ai sensi dell'art. 6 del D.L. 29  marzo  1991,  n.  103,
convenuto in legge 1° giugno 1991,  n.  166),  o  improponibile,  per
mancata presentazione della domanda amministrativa o perche' preclusa
per il principio del ne bis in idem, in quanto  il  ricorrente  abbia
gia' proposto la stessa controversia, o ancora  al  caso  di  domanda
manifestamente infondata, in quanto l'attore ha gia' ottenuto in  via
amministrativa  il  pagamento  della   prestazione   rivendicata   in
giudizio, ovvero non  riveste  la  qualita'  (ad  esempio  quella  di
bracciante  agricolo)  cui  la  legge  ricollega  il   diritto   alla
prestazione, ovvero per decorso del termine di prescrizione, ecc.. 
    Si  tratta  di  ipotesi  tutt'altro  che  infrequenti,  come   la
casistica giudiziaria e l'esperienza concreta dimostra, rispetto alle
quali l'effetto  che  deriva  dall'applicazione  della  norma,  cioe'
l'estinzione  del  giudizio  ed  il  riconoscimento  economico  della
pretesa in favore  del  ricorrente,  appare  del  tutto  illogico  ed
irrazionale. 
    Ne' si potrebbe rilevare in contrario che solo  tale  definizione
generalizzata  dei  procedimenti  e'  in  grado  di   assicurare   il
raggiungimento degli obbiettivi di deflazione del  contenzioso  e  di
contenimento in tempi ragionevoli dei processi previdenziali. 
    Anche nei suddetti casi, infatti, nei quali addirittura la palese
inammissibilita' o infondatezza  puo'  essere  rilevata  direttamente
dall'esame della domanda, indipendentemente  dalle  difese  dell'ente
convenuto (la  decadenza  e  l'improponibilita',  si  rammenta,  sono
rilevabili d'ufficio,  in  ogni  stato  e  grado  del  giudizio),  il
processo puo' essere celermente definito. 
    In queste ipotesi, invero, l'impegno  dell'autorita'  giudiziaria
chiamata a pronunciarsi per definire il giudizio non  e'  maggiore  o
diverso da quello che richiede la norma in questione per  dichiararne
l'estinzione: cosi' come il  Giudice  deve  valutare  la  sussistenza
della condizione per l'applicazione della disposizione  in  esame  (e
quindi accertare se quanto complessivamente  preteso  dal  ricorrente
rientri nel limite di valore di € 500 da essa stabilito)  -  verifica
che puo' anche essere meno semplice  di  quanto  possa  apparire,  se
sorga contestazione tra le parti sul punto - allo  stesso  modo  puo'
rilevare la ragione, tra quelle che si sono piu'  sopra  riportate  a
titolo esemplificativo,  che  impone  la  immediata  definizione  del
processo, con la correlativa pronuncia di rito o di merito. 
    La norma, pertanto, si appalesa in sicuro contrasto con l'art. 3,
comma 1, Cost., nella parte in cui prevede  l'estinzione  di  diritto
del giudizio ed il riconoscimento economico della pretesa  in  favore
del ricorrente, anche nei casi in cui la domanda di quest'ultimo  sia
manifestamente inammissibile, improponibile, o infondata. 
    Tale irrazionalita' della disposizione e' ancora piu' evidente se
si considera che essa finisce per "premiare", con  il  riconoscimento
economico della pretesa, quei soggetti che  invece,  proprio  con  la
proposizione di domande  inammissibili,  improponibili  o  infondate,
hanno contribuito  "indebitamente"  a  creare  quella  situazione  di
ingolfamento dei ruoli giudiziari, alla quale la stessa norma  vuole,
porre rimedio. 
    Tale norma, inoltre, si pone in contrasto anche con il  principio
di eguaglianza sancito dallo stesso art. 3 Cost. 
    Essa, infatti, nel prevedere l'indiscriminata estinzione di tutti
i processi previdenziali di valore compreso entro i 500 euro  in  cui
sia parte l'INPS, detta una disciplina uniforme per situazioni  anche
profondamente differenti  tra  loro  (come  il  caso  di  prestazione
effettivamente spettante alla parte, ma il cui accertamento  richieda
comunque una determinata attivita' processuale, anche istruttoria,  e
quello invece di pretesa «prima facie» inammissibile, improponibile o
infondata, come rilevabile allo  stato  degli  atti),  le  quali,  si
ripete, proprio perche'  idonee  a  dar  luogo  ad  un  diverso  iter
processuale, oltre che ad un suo diverso esito sul piano sostanziale,
non possono essere considerate unitariamente, sia pure nell'ottica di
deflazionare il contenzioso. 
    E' palesemente iniquo disporre l'estinzione  del  giudizio  e  il
pagamento in via amministrativa della prestazione azionata, tanto nei
confronti di chi aveva diritto a quella prestazione, e legittimamente
si  era  rivolto   all'Autorita'   giudiziaria   per   ottenerne   il
riconoscimento, quanto  in  favore  di  chi,  invece,  non  vi  aveva
assolutamente diritto, e nei cui confronti quel pagamento rappresenta
quindi soltanto una ingiustificata locupletazione. 
    E' vero che in passato analoghi  provvedimenti  legislativi,  che
hanno  imposto  l'estinzione  dei  giudizi  ed  il   soddisfacimento,
peraltro neppure integrale, dei diritti  che  ne  erano  ad  oggetto,
hanno passato indenni il vaglio di costituzionalita'. 
    Si pensi, ad esempio, alla sentenza Corte Cost. 31 marzo 1995, n.
103, intervenuta sull'art. 4 della legge 29 gennaio 1994, n.  87  che
prevedeva  una  tale  sorte  per  i  giudizi  intentati  da  pubblici
dipendenti aventi ad oggetto l'inclusione dell'indennita' integrativa
speciale nella base di calcolo dei trattamenti di fine servizio, gia'
riconosciuta dalla Corte Costituzionale con sentenza 19 maggio  1993,
n. 243, e poi disciplinata dall'art. 1 della stessa legge n. 87/94, o
ancora alla sentenza 20.7.2000, n. 310, relativa  all'art.  1,  commi
181-183, della legge 31.12.1996, n. 662, e 36, comma 5,  della  legge
23 dicembre 1998, n. 448, per i procedimenti  aventi  ad  oggetto  il
riconoscimento degli arretrati spettanti  a  seguito  delle  sentenze
della Corte costituzionale 31 dicembre 1993, n. 495 e 10 giugno 1994,
n. 240. 
    Tuttavia  in  quei  casi  le  controversie  avevano  per  oggetto
diritti, derivanti da pronunce della  Corte  costituzionale,  la  cui
esistenza non poteva certo piu' essere messa  in  discussione,  e  la
definizione stragiudiziale del  contenzioso,  mediate  il  pagamento,
anche se non  integrale,  di  quanto  dovuto,  con  l'estinzione  del
processo, ha rappresentato un modo per  chiudere  definitivamente  un
contenzioso  dall'esito  assolutamente  scontato.  In  quei  giudizi,
cioe',  gli  attori  non  facevano  valere   crediti   effettivamente
contestati dalla controparte e percio' controversi, ma  semplicemente
crediti  non  pagati,  sui  quali  il  legislatore  e'   direttamente
intervenuto  prevedendo,  oltre  all'estinzione  dei   processi,   il
contestuale adempimento a  carico  degli  enti  ebitori,  di  cui  ha
disciplinato anche le modalita' operative. 
    Nel  caso  di  specie,  invece,  non  si  tratta  di  cause   ben
individuate  nella  loro  tipologia,  nelle  quali  la  pretesa   del
ricorrente  trovi  un   indiscusso   ed   indiscutibile:   fondamento
normativo, ma di controversie dal contenuto piu' vario, il cui  unico
comun denominatore e' dato  dal  valore  modesto  (non  superiore  ad
€ 500), ed il cui esito e' tutt'altro che scontato, atteso che, anzi,
su  numerose  questioni  gli  orientamenti   giurisprudenziali   sono
favorevoli  all'INPS  (si  pensi  alle  controversie  in  materia  di
riliquidazione dell'indennita' di disoccupazione agricola sulla  base
del c.d. salario reale). 
    Vi sono inoltre ulteriori  profili  di  contrasto  con  I'art.  3
citato e in particolare riguardo al fatto che le controversie oggetto
di estinzione in base alla norma  che  qui  si  censura  son  solo  e
soltanto quelle radicate nei confronti  dell'INPS  mentre  del  tutto
estranei all'ambito di applicabilita' della  stessa  sono  gli  altri
enti previdenziali. Di cio' non si da' alcuna motivazione e  pertanto
ne discende che priva di ragionevolezza e' la scelta  effettuata  dal
legislatore con la norma de quo. 
    La questione appare non manifestamente infondata  anche  riguardo
all'art.117 Cost. con il quale il contrasto e' ravvisabile nel  fatto
che son stati violati gli obblighi internazionali dello  Stato  e  in
particolare l'art. 14 della Convenzione europea per  la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali ratificata e resa
esecutiva in Italia con la L.848/1955 (Ratifica ed  esecuzione  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali firmata a Roma il 4.11.1950  e  del  Protocollo
addizionale alla Convenzione stessa firmato a Parigi  il  20.3.1952),
come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo che vieta
"discriminazioni per l'origine sociale e per la ricchezza nell'ambito
di applicazione della Convenzione , occorre sottolineare che la  gran
maggioranza di giudizi previdenziali che ricadono nel suo  ambito  di
applicazione sono  stati  radicati  da  braccianti  agricoli  precari
(c.d.OTD e cioe' operai agricoli a tempo  determinato)  che  pertanto
ottengono grazie alla norma  che  si  censura  il  riconoscimento  di
prestazioni che invece non sarebbero riconosciute a chi precario  non
e' (c.d.OTI e cioe' operai agricoli a tempo indeterminato) e piu'  in
generale che i braccianti agricoli ottengono un trattamento di  favor
rispetto a tutti gli altri lavoratori dipendenti. Per continuare  con
il  riferimento   all'art.117   occorre   inoltre   sottolineare   la
sussistenza del contrasto con l'art.6 CEDU  come  interpretato  dalla
Corte europea dei diritti dell'uomo che ha escluso la possibilita' di
ingerenza del potere legislativo nell'amministrazione della giustizia
Mio scopo di influire sulla conclusione della causa eccetto  il  caso
di motivi imperativi di interesse generale che  ictu  oculi  appaiono
essere insussistenti nel caso di specie. 
    La questione appare non manifestamente infondata  rispetto  anche
all'art. 102 Cost. 
    Infatti,  come  appena  evidenziato  riguardo   alla   violazione
dell'art.6 CEDU in rapporto con l'art. 117 Cost., con tale intervento
il legislatore ha indebitamente invaso la sfera riservata  all'ordine
giudiziario, imponendo ex abrupto,,  l'estinzione  dei  processi,  ed
impedendo cosi' l'esercizio della funzione giurisdizionale. 
    Se una tale "invasione di  campo"  puo'  trovare  giustificazione
nell'esigenza deflattiva del contenzioso, essa, al contrario, e'  del
tutto ingiustificata per quei procedimenti per i quali tale  esigenza
non sussiste, in quanto siano suscettibili di una  rapida  decisione,
per essere la  domanda  palesemente  inammissibile;  improponibile  o
infondata. 
    Anche sotto questo profilo, con riguardo ai precedenti interventi
normativi sopra indicati, e' stata esclusa  la  sussistenza  di  tale
violazione,  in  quanto  la  disciplina  sostanziale  contestualmente
apprestata dal legislatore era conforme al reale assetto dei rapporto
inter partes ed alle legittime pretese dei soggetti che per la tutela
dei  propri  diritti  avevano  chiesto  l'intervento   dell'autorita'
giudiziaria; tuttavia e' evidente che altrettanto non puo'  ritenersi
nei casi, quale quello in esame, in cui e'  disposta  la  definizione
del  contenzioso  in  termini   diametralmente   opposti   a   quelli
corrispondenti alla effettiva posizione delle parti. 
    In queste ipotesi, in altre parole, l'ingerenza  del  legislatore
e' del tutto  inammissibile  e  ingiustificata,  sia  in  quanto  non
sussiste l'esigenza posta a  fondamento  dell'intervento  legislativo
(la celere definizione del processo, con  le  ricadute  sulla  durata
delle controversie previdenziali), sia perche' impone  d'imperio  una
definizione del rapporto sostanziale tra le parti (il pagamento della
prestazione pretesa dal ricorrente) di segno  esattamente  inverso  a
quello che sarebbe stato altrimenti l'esito del  giudizio  nel  pieno
esercizio della potesta' giurisdizionale. 
    Da quanto sopra evidenziato emerge anche la violazione  dell'art.
111 Cost.  interpretato  alla  luce  dell'art.6  CEDU  in  quanto  la
previsione  della  sua  applicabilita'  ai   giudizi   perndenti   al
31.12.2010 viola il principio del giusto processo stabilito  da  tale
dettato costituzionale in particolare sotto il profilo della  parita'
delle parti  leso  da  una  norma  che  e'  diretta  ad  imporre  una
determinata  soluzione  solo  e  soltanto   in   relazione   ad   una
circoscritta categoria di controversie (per grandissima  maggioranza,
come sopra detto, radicate da una doppiamente specifica categoria  di
lavoratori: solo agricoli e solo a tempo determinato) 
    La  questione  appare  non  manifestamente   infondata,   ancora,
rispetto al contrasto con l'art. 24 Cost. 
    Essa, infatti, nel prevedere  l'estinzione  del  giudizio  ed  il
pagamento di quanto preteso in favore della  controparte,  anche  nei
casi di domanda palesemente inammissibile, improponibile e infondata,
lede   irreparabilmente   il   diritto   di   difesa   dell'Istituto,
imponendogli nei fatti la soccombenza ed il riconoscimento  economico
della pretesa, che l'esito normale del giudizio, altrettanto spedito,
e quindi perfettamente in linea con gli obbiettivi  perseguiti  dalla
stessa disposizione, non avrebbe determinato. 
    Anche tale lesione appare del tutto ingiustificata, tenuto  conto
che, nei casi suindicati, l'obbiettivo della celere  definizione  del
giudizio, e quindi quello deflattivo dei processi ed  il  conseguente
contenimento  dei  tempi   delle   controversie   previdenziali,   e'
assicurato dal normale corso del procedimento. 
    Sul punto e' solo il caso di  aggiungere  che  in  occasione  dei
giudizi di costituzionalita' sui precedenti provvedimenti legislativi
di cui si e' piu' sopra detto, la Corte Costituzionale ha escluso  la
sussistenza  della  violazione  dell'art.   24   Cost.,   in   quanto
all'estinzione del giudizio si associava comunque il  soddisfacimento
della pretesa per la cui tutela il giudizio da estinguere  era  stato
promosso, pretesa che,  si  ripete,  non  era  e  non  poteva  essere
validamente contestata. Cio' non accade nel caso di  specie,  in  cui
anzi si verifica la situazione esattamente contraria,  in  quanto  e'
imposto il riconoscimento economico della pretesa anche nei  casi  in
cui essa non avrebbe mai potuto essere accolta nel giudizio di cui si
dispone l'estinzione. 
    Un ulteriore profilo d'incostituzionalita' della  norma  e'  dato
dal contrasto con l'art. 97 Cost.,  anche  in  rapporto  all'art.  38
Cost.. 
    Infatti,  non  puo'  certo  ritenersi   conforme   al   principio
d'imparzialita' e di buon andamento della  P.A.,  affermato  da  tale
disposizione, l'imporre ex lege il pagamento di prestazioni, anche se
d'importo contenuto, pure nei casi in cui  il  soggetto  beneficiario
non ne abbia assolutamente diritto, tanto piu' se si considera che si
tratta di prestazioni di  natura  pubblicistica,  la  cui  erogazione
dovrebbe avvenire soltanto previa  rigorosa  verifica  dei  necessari
requisiti,  cosi'  come  previsti   dalle   inderogabili   conferenti
disposizioni normative. 
    Cio' e'  tanto  piu'  evidente  nei  casi,  non  infrequenti,  di
inesistenza  dello  stesso  rapporto  previdenziale   definitivamente
accertata addirittura in sede penale (come quando il  ricorrente  non
possegga la qualita' di assicurato, per la fittizieta'  del  rapporto
di lavoro al quale si  ricollegano  i  contributi  -  magari  neppure
effettivamente versati dall'apparente datore di lavoro -  su  cui  si
fonda la pretesa). 
    Sotto questo aspetto, la norma risulta  incompatibile  anche  con
l'art. 38, comma 2, Cost. 
    Infatti, se e' compito del legislatore prevedere  in  favore  dei
lavoratori mezzi adeguati per i casi di impossibilita' a reperire  il
sostentamento dallo svolgimento dell'attivita' lavorativa,  non  puo'
certamente ritenersi adempiuto tale compito se l'attribuzione di tali
prestazioni debba ex lege avvenire in favore di  coloro  che  non  si
trovano nella situazione giuridicamente protetta, quando  non  manchi
addirittura la stessa qualita' di "lavoratore". 
    In altre  parole,  l'art.  38  Cost.  vincola  il  legislatore  a
prevedere le prestazioni previdenziali in  favore  dei  lavoratori  e
solo  in  presenza  di  situazioni  di  bisogno  tipizzate;  disporre
l'attribuzione generalizzata di tali prestazioni,  sol  perche'  sono
oggetto di contenzioso, non solo a  prescindere  dalla  verifica  dei
relativi presupposti, ma addirittura quando ne  sia  palese  e  possa
essere immediatamente dichiarata giudizialmente l'inesistenza  -  che
aveva determinato il diniego dell'INPS contro il quale  l'interessato
ha agito in  giudizio  -  comporta  l'illegittimita'  della  relativa
previsione   legislativa   per   violazione    di    tale    precetto
costituzionale. 
 
                               P.Q.M  
 
    Il giudice remittente dichiara: 
        Rilevante e non  manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale, in relazione agli artt. 3, 24,  97,  38,
102, 111 e 117 della Costituzione, dell'art. 38 comma I lett.  A  del
decreto legge 6 luglio 2011, n.  98  convertito,  con  modificazioni,
nella legge 15 luglio 2011, n. 111; 
        per l'effetto, sospende il presente procedimento e manda alla
Cancelleria  di  comunicare  la   presente   ordinanza   alla   Corte
costituzionale, alle parti del presente giudizio, al  Presidente  del
Consiglio dei ministri nonche' al Presidenti  delle  due  Camere  del
Parlamento, ai sensi dell'art. 23, ultimo comma, legge n. 87/1953. 
 
          Lucera, addi' 30 marzo 2012. 
 
                        Il Giudice: De Simone