N. 85 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 31 maggio 2012
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 31 maggio 2012 (della Regione Siciliana). Imposte e tasse - Contributo unificato di iscrizione a ruolo - Aumento dell'importo dovuto per i processi di competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa - Previsione che il conseguente maggior gettito sia versato all'entrata del bilancio dello Stato e riassegnato, in parte a copertura degli oneri connessi all'istituzione delle nuove sezioni specializzate, in parte al fondo per la realizzazione di interventi urgenti in materia di giustizia civile e amministrativa - Ricorso della Regione Siciliana - Denunciato contrasto con il principio statutario di devoluzione alla Regione delle entrate tributarie erariali riscosse nel territorio siciliano - Carenza delle condizioni (e segnatamente della specificita' dello scopo) che giustificano la riserva all'erario statale di nuove entrate tributarie - Omessa previsione della partecipazione della Regione al procedimento di ripartizione dei proventi riscossi in Sicilia - Violazione del principio di leale collaborazione. - Decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, nella legge 24 marzo 2012, n. 27, art. 2, comma 4. - Statuto della Regione Siciliana (regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455), art. 36; d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074, art. 2. Bilancio e contabilita' pubblica - Concorso alla finanza pubblica delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e Bolzano - Incremento di esso nella misura di 235 milioni di euro annui a decorrere dal 2012, in relazione alle maggiori entrate rivenienti nei territori delle autonomie speciali dagli incrementi delle aliquote dell'accisa sull'energia elettrica disposti dai decreti del Ministro dell'economia e delle finanze 30 dicembre 2011 - Prevista effettuazione delle occorrenti variazioni di bilancio con decreti dello stesso Ministro - Ricorso della Regione Siciliana - Denunciata sottrazione alle Regioni speciali, e tra esse alla ricorrente, del gettito necessario alla copertura del loro fabbisogno finanziario - Contrasto con lo Statuto siciliano e con le relative norme di attuazione in materia finanziaria - Violazione sotto piu' profili del principio di leale collaborazione - Omessa ricerca di un accordo, sia nell'ambito della Commissione paritetica per l'attuazione dello Statuto siciliano, sia al "tavolo di confronto" per il coordinamento della finanza delle autonomie speciali (istituito presso la Conferenza Stato-Regioni dalla legge delega in materia di federalismo fiscale). - Decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, nella legge 24 marzo 2012, n. 27, art. 35, commi 4 e 5. - Statuto della Regione Siciliana (regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455), art. 43; d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074, art. 2; legge 5 maggio 2009, n. 42, art. 27. Bilancio e contabilita' pubblica - Sistema di "tesoreria mista" per le Regioni e gli enti locali - Sospensione dal 24 gennaio 2012 al 31 dicembre 2014 - Reintroduzione, nello stesso periodo, del regime di tesoreria unica - Obblighi per i tesorieri o cassieri dei predetti enti di versare sulle contabilita' speciali fruttifere della tesoreria statale le liquidita' depositate presso di essi nonche' di smobilizzare entro il 30 giugno 2012 gli investimenti finanziari individuati con successivo decreto ministeriale - Possibilita' per le parti del contratto di tesoreria locale di rinegoziarne i termini o di recedere da esso - Ricorso della Regione Siciliana - Denunciato azzeramento di ogni giacenza presso il tesoriere regionale - Lesione dell'autonomia sostanziale delle Regioni, impossibilitate ad adempiere tempestivamente ai propri compiti istituzionali - Esorbitanza dal coordinamento della finanza pubblica, quale materia di legislazione concorrente - Contrasto con l'assetto finanziario previsto dallo Statuto siciliano e dalle relative norme di attuazione - Inosservanza del principio di esonero delle entrate proprie della Regione dal regime di tesoreria unica - Inosservanza della procedura paritetica prevista per l'attuazione dello Statuto - Violazione, in subordine, delle disposizioni del riformato titolo V della Costituzione, in quanto comportino una autonomia finanziaria e tributaria maggiore di quella spettante alla Regione siciliana in base allo Statuto speciale. - Decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, nella legge 24 marzo 2012, n. 27, art. 35, commi 8, 9, 10 e 13. - Statuto della Regione Siciliana (regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455), artt. 20, 36 e 43; d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074, art. 2; legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, art. 10, con riferimento agli artt. 117, comma terzo, e 119, commi primo e secondo, della Costituzione.(GU n.27 del 4-7-2012 )
Ricorso della Regione Siciliana, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso, sia congiuntamente che disgiuntamente, giusta procura a margine del presente atto, dagli Avvocati Beatrice Fiandaca e Marina Valli, elettivamente domiciliato presso la sede dell'Ufficio della Regione Siciliana in Roma, via Marghera n. 36, ed autorizzato a proporre ricorso con deliberazione della Giunta regionale allegata; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, domiciliato per la carica in Roma, Palazzo Chigi, Piazza Colonna, 370, presso gli Uffici della Presidenza del Consiglio dei ministri, e difeso per legge dall'Avvocatura dello Stato, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitivita'», come convertito, con modificazioni, con legge 24 marzo 2012, n. 27, pubblicata nella 24 marzo 2012, n. 71, S.O., quanto all'articolo 2, comma 4 per violazione dell'art. 36 dello Statuto e delle correlate norme di attuazione di cui al d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074 e in particolare dell'art. 2 nonche' del principio di leale collaborazione; quanto all'articolo 35, commi 4 e 5 per violazione dell'art. 36 dello Statuto e delle correlate norme di attuazione di cui al d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074 e in particolare dell'art. 2 nonche' dell'art. 43 dello Statuto stesso e del. principio di leale collaborazione; quanto all'articolo 35, commi 8, 9, 10 e 13 per violazione degli articoli 20, 36 e 43 dello Statuto e dell'art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965 nonche' dell'art. 10 L.C. n. 3/2001 con riferimento agli artt. 117, comma 3 e 119, commi 1 e 2 della Costituzione. F a t t o Nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana 24 marzo 2012, n. 71, S.O. e' stata pubblicata la legge 24 marzo 2012, n. 27, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, recante «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitivita'». Al Titolo I, Capo I del decreto-legge in argomento, l'art. 2 prevede l'istituzione del «Tribunale delle imprese» ampliando in misura significativa la sfera di competenza delle attuali sezioni specializzate in materia di proprieta' industriale e intellettuale, istituite dal decreto legislativo n. 168 del 2003 presso alcuni tribunali e corti d'appello. Le sezioni specializzate in materia d'impresa, se non gia' previste, sono istituite presso tutti i tribunali e corti d'appello con sede nel capoluogo di ogni regione. Il comma 3 dell'articolo in esame aggiunge un comma 1-ter all'art. 13 del d.P.R. n. 115/2002 che raddoppia, per i processi di competenza delle sezioni specializzate, il contributo unificato previsto dal T.U. spese di giustizia. Il successivo comma 4 dell'articolo 2 dispone che il maggior gettito derivante dall'aumento del contributo unificato e' versato all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnato, quanto a euro 600.000 per ciascuno degli anni 2012 e 2013, per essere destinato agli oneri derivanti dall'istituzione delle nuove sezioni specializzate in materia di impresa e per la restante parte al fondo istituito ai sensi dell'articolo 37, comma 10, del d.l. n. 98 del 2011. Dal 2014, l'intero maggior gettito e', invece, versato al citato fondo. L'art. 35 recante «Misure per la tempestivita' dei pagamenti, per l'estinzione dei debiti pregressi delle amministrazioni statali, nonche' disposizioni in materia di tesoreria unica» dispone, ai commi 4 e 5, la riserva all'erario delle maggiori entrate ottenute nei territori delle Regioni a Statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano dall'incremento dell'accisa sull'energia elettrica e, con tali risorse, provvede, in gran parte, a coprire l'onere derivante dall'attuazione del comma 1 (quantificato in 235 milioni di euro annui a decorrere dal 2012), recante interventi finalizzati ad accelerare il pagamento dei crediti commerciali, esistenti alla data di entrata in vigore del decreto-legge in esame e connessi a transazioni commerciali per l'acquisizione di servizi e forniture, certi, liquidi ed esigibili, corrispondenti a residui passivi del bilancio dello Stato. Di tale maggior gettito pari complessivamente a 241,4 milioni di euro, il comma 4 prevede che 235 milioni di euro annui siano destinati dalle Regioni a statuto speciale e dalle Province Autonome al concorso alla finanza pubblica, cifra che si aggiunge al contributo alla finanza pubblica che i medesimi enti sono chiamate a dare, ai sensi dell'art. 28, comma 3, del decreto-legge n. 201/2011 (cosiddetto «salva Italia») e quantificato in 860 milioni annui a decorrere dall'anno 2012. I rimanenti 6,4 milioni di euro restano acquisiti all'erario dal 2012. Ai sensi del successivo 5 comma le variazioni di bilancio conseguenti all'applicazione del suindicato comma 4 sono disposte con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze. I commi 8, 9, 10 e 13 del medesimo art. 35 assoggettano al regime di tesoreria unica gli enti e organismi gia' destinatari del regime di tesoreria c.d. mista, sospeso fino al 31 dicembre 2014. Le disposizioni surriportate si profilano illegittime e lesive dei parametri statutari e costituzionali come individuati in epigrafe per i seguenti motivi. D i r i t t o Art. 2, comma 4. Violazione dell'articolo 36 dello Statuto e delle «Norme di attuazione dello Statuto della Regione Siciliana in materia finanziaria» di cui al d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074 e in particolare dell'art. 2, nonche' del principio di leale collaborazione. La norma rubricata prevede la destinazione all'erario statale del maggior gettito derivante dall'aumento del contributo unificato stabilito dal comma 3 del medesimo articolo. Tuttavia, la destinazione del gettito delle entrate tributarie riscosse nel territorio della Regione Siciliana puo' essere sottoposta a deroghe e limitazioni solo qualora ricorrano determinate condizioni. La prima, e cioe' quella della novita', e' stata ben individuata dalla giurisprudenza di codesta Corte che, con sentenza n. 49 del 1972 ha precisato che «per nuova entrata tributaria, di cui all'art. 2 del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074, contenente le norme di attuazione dello Statuto della Regione Siciliana in materia finanziaria, deve intendersi non un tributo nuovo, ma solo un'entrata derivante da un atto impositivo nuovo, in mancanza del quale l'entrata non si sarebbe verificata, a nulla rilevando che il nuovo atto impositivo introduca un tributo nuovo o ne aumenti soltanto uno precedente». Tuttavia l'atto impositivo nuovo deve soddisfare il requisito della specificita' dello scopo cosi' come espressamente previsto dall'art. 2 del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074, contenente le norme di attuazione dello Statuto della Regione Siciliana in materia finanziaria. Ed invero, dalle previsioni recate dagli artt. 36 dello Statuto e dall'articolo 2 del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074, emerge la regola generale secondo la quale, a parte talune individuate eccezioni, tra le quali sono da ricomprendere le (effettivamente) nuove entrate tributarie il cui gettito sia destinato con apposite leggi alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalita' contingenti o continuative dello Stato specificate nelle leggi medesime, spettano alla Regione Siciliana, oltre alle entrate tributarie da essa direttamente deliberate, tutte le entrate tributarie erariali riscosse nell'ambito del suo territorio, dirette o indirette, comunque denominate. Ora, la norma in esame, malgrado preveda un incremento del gettito di un'imposta preesistente, non indica, come dovrebbe, una specifica destinazione dello stesso che ne giustifichi l'attribuzione allo Stato assolvendo cosi' alla prescrizione contenuta dall'art. 2 del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074, per potersi fare eccezione al principio devolutivo - da esso stabilito ai sensi dell'art. 36 dello Statuto speciale - di «tutte le entrate tributarie erariali riscosse nell'ambito del suo territorio, dirette o indirette, comunque denominate» ed e', pertanto, lesiva dei parametri rubricati. La natura di «entrata tributaria erariale» del contributo unificato e' gia' stata affermata da codesta Eccellentissima Corte con la sentenza n. 73 del 2005. Ne consegue la spettanza alla Regione non potendo prescindere dalla circostanza che la riserva al bilancio statale dei proventi in questione non appare correlata, tranne forse che per il 2012 e il 2013 ma certamente non per gli anni successivi, a specifiche finalita' che configurino il requisito della clausola di destinazione richiesta dall'art. 2 del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074, per potersi fare eccezione al principio devolutivo. Un ulteriore vulnus al sistema finanziario garantito alla Regione deriva dalla norma impugnata nella parte in cui, riservando allo Stato il maggior gettito derivante dai nuovi importi fissati per il contributo unificato nel processo dinanzi alle sezioni specializzate in materia d'impresa, non prevede la partecipazione della Regione Siciliana al procedimento di ripartizione tra Stato e Regione dei relativi proventi riscossi in Sicilia. Codesta ecc.ma Corte costituzionale decidendo giudizi instaurati da questa Regione ha piu' di una volta stigmatizzato l'illegittimita' costituzionale dell'assenza di una tale previsione che viola il «principio di leale cooperazione, dal momento che le clausole di riserva all'erario di nuove entrate (contenute nelle disposizioni censurate) costituiscono un meccanismo di deroga alla regola della spettanza alla Regione del gettito dei tributi erariali (salve alcune eccezioni) riscosso nel territorio della medesima, e la loro attuazione incide, dunque, direttamente sulla effettivita' della garanzia dell'autonomia finanziaria regionale» (cosi' sent. n. 228/2001 e in termini le precedenti sentenze n. 98, n. 347 e n. 348/2000). Art. 35, commi 4 e 5. Violazione dell'art 36 dello Statuto e delle correlate norme di attuazione in materia finanziaria, in particolare dell'art. 2 d.P.R. n. 1074/1965, nonche' dell'art. 43 dello Statuto medesimo e del principio di leale collaborazione. La norma rubricata prevede, ai commi 4 e 5, un incremento del concorso delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e Bolzano - gia' previsto dall'art. 28, comma 3 primo periodo del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, come convertito, con modificazioni, con legge 23 dicembre 2011, n. 214 - alla finanza pubblica mediante la destinazione a questa delle maggiori entrate derivanti ai predetti enti dall'incremento delle aliquote delle accise sull'energia elettrica a seguito della cessazione dell'applicazione dell'addizionale comunale e provinciale all'accisa sull'energia elettrica e stabilisce che le conseguenti variazioni di bilancio (comma 5) siano effettuate con decreti del Ministero dell'economia e delle finanze. La disposizione in esame si aggiunge all'altra, precedentemente emanata dallo Stato, dell'art. 28, comma 3 del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, come convertito, con modificazioni, con legge 23 dicembre 2011, n. 214, impugnata da questa Regione con ricorso iscritto al n. 39/2012 del Registro Ricorsi di Codesta Ecc.ma Corte. Analogamente a quanto prospettato per la precedente questione di legittimita' costituzionale, la norma sottoposta oggi a scrutinio di costituzionalita' dispone per le Autonomie Speciali fra le quali la Sicilia la riserva all'erario delle maggiori entrate ottenute nei territori delle stesse dall'aumento del gettito delle accise sull'energia elettrica. Cio' provoca un evidente vulnus alle prerogative statutarie dal momento che l'aumento di gettito non e' destinato alla Regione Siciliana per il soddisfacimento dei suoi bisogni indistinti ma per assicurare, da parte della Regione stessa, l'incremento del concorso previsto dall'art. 28, comma 3, primo periodo del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, a decorrere dall'anno 2012. Cio' con conseguente violazione del principio di leale collaborazione oltre che dell'art. 36 dello Statuto e dell'art. 2 delle relative norme di attuazione in materia finanziaria. Ed invero il surriportato meccanismo si profila illegittimo e lesivo delle prerogative statutarie come sopra individuate in quanto, oltre a sottrarre alla Regione il gettito di sua spettanza necessario alla copertura del fabbisogno finanziario della stessa, dispone senza che sia stato assicurato il rispetto delle procedure previste dall'art. 27 della legge n. 42/2009, tendenti a garantire modalita' applicative dei detti meccanismi di concorso alla finanza pubblica che siano rispettose delle peculiarita' di questa regione a statuto speciale. La destinazione finale all'erario dello Stato, del gettito derivante dalle maggiori entrate di spettanza della Regione e concernente l'incremento delle aliquote delle accise sull'energia elettrica a seguito della cessazione dell'applicazione dell'addizionale comunale e provinciale all'accisa sull'energia elettrica coinvolgendo questa Regione, avrebbe dovuto essere quantomeno determinata sentita la ricorrente, e quindi tale omissione configura violazione del principio di leale collaborazione che, secondo consolidata giurisprudenza costituzionale, deve ispirare i rapporti fra Stato e Regioni. (fra le tante: Corte costituzionale n. 31 del 2006). La disposizione in esame viola inoltre palesemente l'art. 43 dello Statuto. Ed invero, la commissione paritetica ivi prevista - composta da quattro membri - e' titolare di una speciale funzione di partecipazione al procedimento legislativo, in quanto, «determinera' le norme» relative sia al passaggio alla Regione degli uffici e del personale dello Stato sia all'attuazione dello statuto stesso. Detta Commissione rappresenta, dunque, un essenziale raccordo tra la Regione e il legislatore statale, funzionale al raggiungimento di tali specifici obiettivi che nella fattispecie in esame sussistono e che sono stati vulnerati dal Governo statale con grave pregiudizio delle prerogative statutarie. Parimenti risulta violato il principio della leale collaborazione per effetto dell'immediata applicazione delle norme impugnate alla regione Siciliana senza alcuna previa interlocuzione con la medesima. In proposito si osserva che, secondo un principio costantemente affermato dalla giurisprudenza di Codesta Ecc.ma Corte, in tali casi «l'illegittimita' della condotta dello Stato risiede nel mancato tentativo di raggiungere l'intesa, che richiede, in applicazione del principio di leale cooperazione, che le parti abbiano dato luogo ad uno sforzo per dar vita all'intesa stessa, da realizzare e ricercare, laddove occorra, attraverso reiterate trattative volte a superare le divergenze che ostacolino il raggiungimento di un accordo» (Corte costituzionale n. 255/2011). Peraltro, Codesta Corte ha costantemente affermato: «che il principio di leale collaborazione deve presiedere a tutti i rapporti che intercorrono tra Stato e Regioni: la sua elasticita' e la sua adattabilita' lo rendono particolarmente idoneo a regolare in modo dinamico i rapporti ..., attenuando i dualismi ed evitando eccessivi irrigidimenti. La genericita' di questo parametro, se utile per i motivi sopra esposti, richiede tuttavia continue precisazioni e concretizzazioni. Queste possono essere di natura legislativa, amministrativa o giurisdizionale, a partire dalla ormai copiosa giurisprudenza di questa Corte. Una delle sedi piu' qualificate per l'elaborazione di regole destinate ad integrare il parametro della leale collaborazione e' attualmente il sistema delle Conferenze Stato-regioni e autonomie locali. Al suo interno si sviluppa il confronto tra i due grandi sistemi ordinamentali della Repubblica, in esito al quale si individuano soluzioni concordate di questioni controverse» (Corte costituzionale n. 31 del 2006). In ossequio alla suddetta previa intesa, applicativa del principio di leale collaborazione, lo Stato avrebbe dovuto concordare al previsto tavolo di confronto per il coordinamento della finanza delle regioni a statuto speciale e delle province autonome istituito dall'art. 27 della legge n. 42/2009 presso la Conferenza Stato-regioni, le modalita' applicative della norma oggi sottoposta a scrutinio di costituzionalita'. In proposito Codesta Ecc.ma Corte ha evidenziato (sentenza n. 204 del 1993) che il sistema complessivo dei rapporti tra lo Stato e le regioni deve essere improntato al principio della «leale collaborazione», ed ha avvertito il Governo che, ogniqualvolta intenda provvedere, nonostante il mancato raggiungimento dell'intesa con le regioni, ha l'obbligo di motivare adeguatamente le ragioni di interesse nazionale che lo hanno determinato a decidere unilateralmente. Quest'obbligo, ribadito nella sentenza n. 116 del 1994 e poi nella successiva sentenza n. 338 dello stesso anno, evidenzia come il ruolo assunto dalla Conferenza Stato-regioni sia fondamentale e determinante per favorire l'accordo e la collaborazione tra l'uno e le altre. Codesta Corte ha, infatti, precisato (sentenza n. 116/94) «che la Conferenza e' la sede privilegiata del confronto e della negoziazione politica tra lo Stato e le regioni (e le province autonome) ... in quanto tale, la Conferenza e' un'istituzione operante nell'ambito della comunita' nazionale come strumento per l'attuazione della cooperazione tra lo Stato, le regioni e le province autonome». Art. 35, commi 8, 9, 10 e 13. Violazione degli artt. 20, 36 e 43 dello Statuto e dell'art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965 nonche' dell'art. 10 L.C. n. 3/2001 con riferimento agli artt. 117, comma 3 e 119, commi 1 e 2 della Costituzione. Le disposizioni in esame assoggettano al regime di tesoreria unica gli enti e organismi gia' destinatari del regime di tesoreria c.d. mista, sospeso fino al 31 dicembre 2014. L'applicabilita' anche alla nostra Regione del sistema di tesoreria tradizionale consegue non solo alla mancanza, nella norma che lo (re)introduce in via generale, di apposita clausola di esclusione ma dallo stesso ambito dei destinatari individuati come visto nei soggetti giuridici ai quali si applicava in precedenza (e dovrebbe nuovamente applicarsi dal 1° gennaio 2015) il c.d. sistema misto. Sopprimendosi ogni distinzione fra entrate proprie ed entrate provenienti dal bilancio statale le Regioni non possono detenere alcuna giacenza presso il proprio tesoriere o cassiere. E cio' non solo per il futuro atteso anche che il comma 9 stabilisce uno strettissimo scadenzario, i cui termini sono tutti trascorsi, per il versamento delle disponibilita' depositate presso tesorieri o cassieri alla data di entrata in vigore del decreto ed impone altresi' lo smobilizzo entro il prossimo 30 giugno degli investimenti finanziari, la cui individuazione e' rimessa a un decreto del Dipartimento del Tesoro, con conseguente riversamento delle risorse presso la tesoreria statale. Quale norma di chiusura, al comma 13, e' prevista la rinegoziazione dei contratti di tesoreria e di cassa in essere con diritto per l'ente di recedere dal contratto nel caso in cui non si raggiunga l'accordo. Quanto ai precedenti normativi in materia e' appena il caso di accennare che un primo intervento, recato dall'art. 31 della legge n. 468 del 1978, obbligava le Regioni a depositare «le disponibilita' liquide» in conti correnti non vincolati con il Tesoro «limitatamente alle assegnazioni, contributi e quanto altro proveniente dal bilancio dello Stato». Di poi, anche nei suoi sviluppi piu' restrittivi, il regime applicato alle Regioni ha previsto solo un limite delle complessive disponibilita' regionali suscettibili di rimanere depositate presso aziende di credito. E al riguardo codesto Giudice delle leggi se ha ritenuto la validita' di un tetto non ha mai mancato di ribadire la necessita' che il meccanismo della giacenza obbligatoria di fondi presso le tesorerie dello Stato non si trasformi in «un anomalo strumento di controllo sulla gestione finanziaria regionale, che si presti a venire manovrato in modo da precludere o da ostacolare la disponibilita' delle somme occorrenti alle Regioni per l'adempimento dei loro compiti istituzionali. Se si verificasse in tal senso una reale menomazione dell'autonomia finanziaria, alle Regioni non mancherebbero i mezzi per invocarne ed ottenerne la tutela» (sentenze n. 155 del 1977, n. 94 del 1981 e n. 61 del 1987). Giova a questo punto sottolineare, proprio al fine di ottenere tale tutela, che mai, neanche anteriormente alla vigenza del d.lgs. n. 279/1997, le Regioni e in particolare la Regione Siciliana, sono state destinatarie, come al presente stabilito, delle disposizioni di cui all'art. 1 della legge n. 720/1984. La sentenza costituzionale n. 243 del 1985 ripercorrendo i tratti essenziali della disciplina originaria della citata legge n. 720 ha messo innanzitutto in luce «lo scarto che si riscontra, con immediatezza, fra il titolo ed il contenuto normativo della legge n. 720. Per chi analizzi le disposizioni della legge stessa, appare evidente, cioe', che il "sistema" in questione e' binario piuttosto che unitario: in quanto gli enti ed organismi pubblici dei quali si tratta non sono assoggettati ad una comune disciplina, bensi' suddivisi in due tabelle annesse (A e B). E cosi' "quanto agli enti ed organismi inclusi nella tabella A, il primo periodo dell'art. 1, primo comma, prevede unicamente "contabilita' speciali aperte presso le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato": attraverso le quali devono effettuarsi tutte "le operazioni di incasso e di pagamento", sicche' i "tesorieri" e i "cassieri" degli enti e degli organismi medesimi, pur menzionati sia dal primo che dal secondo comma dell'art. 1, sono destinati a non mantenere - una volta realizzato il nuovo "sistema" - alcuna giacenza di tesoreria.». Viceversa per le Regioni (incluse in tabella B) vigeva il divieto di «mantenere disponibilita' depositate a qualunque titolo presso le aziende di credito di cui all'art. 5 del regio decreto-legge 12 marzo 1936, n. 375, e successive modificazioni ed integrazioni, per un importo superiore al 12 per cento dell'ammontare delle entrate previste dal bilancio di competenza ...», percentuale nel tempo abbassata ma sempre mantenuta. Nella stessa pronuncia la differenza che passa tra sistema originariamente previsto per le Regioni e quello oggi esteso anche a detti enti e' descritta come «opzione fra il coordinamento e l'accentramento finanziario, cioe' fra una serie di tesorerie regionali dotate di proprie giacenze, sebbene circoscritte nella predetta misura del quattro per cento, e tesorerie puramente nominali, ridotte in sostanza ad agenti del tesoriere unico, sia quanto agli incassi sia quanto ai pagamenti.». Al principio dell'affidamento alla Tesoreria statale, si accompagnava l'eccezione posta nei confronti di questa Regione dall'art. 38, secondo comma, della legge 7 agosto 1982, n. 526 e dall'art. 2, terzo comma, della legge 29 ottobre 1984, n. 720, norme che stabilivano che, ai fini di determinare il limite delle somme da depositare presso la tesoreria statale, non fossero computabili le entrate della Regione Siciliana, ai sensi dell'art. 36 dello Statuto e delle relative disposizioni di attuazione in materia finanziaria (d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074) e quelle alla medesima dovute o versate secondo l'art. 38 di detto statuto. Con sentenza n. 61 del 1987 codesta ecc.ma Corte, pur circoscrivendo l'ambito delle entrate proprie della Regione Siciliana ai tributi dalla stessa deliberati ha riaffermato l'esclusione dalla Tesoreria unica di tali entrate, esclusione parimenti sancita per le entrate proprie della Regione Trentino-Alto Adige con sentenza n. 62 del 1987. Da evidenziare come le sentt. nn. 61 e 62 cit. abbiano avuto ad oggetto disposizioni statali, art. 35 della legge n. 41/1986, aventi come quelle in esame un'efficacia circoscritta nel tempo. Ribadito quindi che il regime di tesoreria oggi imposto alle Regioni rappresenta per esse una novita' assoluta si rammenta che, quando ancora non si dibatteva di federalismo ne' si profilava la modifica del Titolo V della Costituzione, codesta Corte ha mostrato di dubitare che «il legislatore statale ordinario sia competente ad estendere alle Regioni il sistema della tesoreria unica» come si evince dalla locuzione «anche a ritenere» premessa a detta frase al par. 3 lettera c) della parte in diritto della suindicata sentenza n. 243 del 1985. Ora risulta all'evidenza che con il c.d. cresci Italia il legislatore sottopone per un triennio tutte le autonomie regionali ad un regime di assoluto controllo dei flussi di cassa relativi pressocche' a tutte le somme, qualunque sia la loro provenienza. Alla luce di quanto sin qui esposto la scelta radicale operata dal legislatore statale di non lasciare alcuna disponibilita' in giacenza presso il tesoriere della Regione e' lesiva dell'autonomia regionale intesa in termini sostanziali poiche' impedisce all'ente di adempiere tempestivamente ai propri compiti istituzionali. E cosi' non alla tutela della Repubblica ma piuttosto alle esclusive esigenze del bilancio dello Stato risulta effettivamente finalizzato l'intervento in questione, intervento che va ben al di la' del coordinamento della finanza pubblica che, oltretutto, per esser tale e rispettare l'art. 117, comma 3 della Costituzione, che lo prevede come materia di legislazione concorrente, deve lasciare al legislatore regionale la possibilita', del tutto preclusa nel caso che ci occupa, di conformare la sua azione ai principi fissati dallo Stato. E' evidente, pertanto, che le finalita' che il legislatore dichiara di perseguire sono contraddette dalle misure poste in essere. L'azzeramento delle tesorerie regionali cosi' come l'obbligo di disinvestire produrranno effetti economici e finanziari disastrosi non solo per le Regioni, basti pensare al ritardo che si registrera' nei loro pagamenti. Tra le ulteriori spese che gli enti saranno tenuti a sopportare non sono da trascurare i maggiori oneri derivanti da contratti di tesoreria e cassa nei quali il costo del servizio non puo' piu' essere abbattuto tenendo conto della liquidita' in giacenza. E, fatalmente, alle difficolta' che sorgeranno per l'Amministrazione nell'esercizio delle proprie funzioni amministrative si accompagneranno disagi per i cittadini e le imprese che con la Regione entrano in rapporto, sopratutto se in veste di creditori. Per quanto riguarda specificamente la Regione Siciliana, si rileva quindi che la nuova normativa statale contrasta con l'assetto finanziario che deriva alla Regione dall'art. 36 dello Statuto e dalle relative norme di attuazione, d.P.R. n. 1074/1965 e segnatamente art. 2, e con l'art. 20, sempre dello Statuto, secondo il quale in Sicilia l'esercizio di tutte le funzioni amministrative fa capo al Presidente e agli Assessori. La disciplina de qua inoltre disattende del tutto il principio, come visto sempre e pacificamente affermato, dell'esclusione dalla Tesoreria unica delle entrate proprie, quanto meno nell'accezione ristretta indicata dalla sent. 61/1987 e - poiche' non configura mere modalita' tecnico-contabili per il versamento di somme dovute dallo Stato alla Regione ma, quantomeno, una deroga alle norme di attuazione dello Statuto di cui al d.P.R. n. 1074/1965 - non puo' essere introdotta con legge ordinaria senza violare l'art. 43 dello Statuto che stabilisce l'apposita procedura da seguire. Si precisa infine che le disposizioni impugnate non potrebbero sfuggire alle censure di questa Regione nemmeno ove potessero essere ritenute coerenti con il riparto di competenze fra Stato e Regioni di cui all'art. 117 Cost. e con l'autonomia finanziaria sancita per gli enti territoriali dall'art. 119 Cost. E cio' atteso che, ai sensi dell'art. 10 della L.C. n. 3/2001, le suindicate norme costituzionali sono applicabili alla Regione Siciliana solo se, e nella misura in cui, comportino un'autonomia maggiore rispetto a quella gia' in precedenza spettante, evenienza che non ricorre in materia finanziaria e tributaria stante l'ampiezza dei poteri gia' ascritti alla Regione Siciliana, a termini dello Statuto. Pertanto, in subordine, la Regione si duole altresi' della violazione da parte dell'art. 35, commi 8-10 e 13, del d.l. 1/2012 del suindicato art. 10 con riferimento all'art. 117, comma 3 e all'art. 119, commi 1 e 2 della Costituzione.
P. Q. M. Voglia l'Ecc.ma Corte costituzionale ritenere e dichiarare costituzionalmente illegittimi i sottoelencati articoli del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, come convertito, con modificazioni, con legge 24 marzo 2012, n. 27, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana 24 marzo 2012, n. 71, S.O., per violazione dei seguenti parametri statutari e costituzionali: articolo 2, comma 4 per violazione dell'art. 36 dello Statuto e delle correlate norme di attuazione di cui al d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074 e in particolare dell'art. 2 nonche' del principio di leale collaborazione; articolo 35, commi 4 e 5 per violazione dell'art. 36 dello Statuto e delle correlate norme di attuazione di cui al d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074 e in particolare dell'art. 2 nonche' dell'art. 43 dello Statuto stesso e del principio di leale collaborazione; articolo 35, commi 8, 9, 10 e 13 per violazione degli articoli 20, 36 e 43 dello Statuto e dell'art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965 nonche' dell'art. 10 L.C. n. 3/2001 con riferimento agli artt. 117, comma 3 e 119, commi 1 e 2 della Costituzione. Si allega deliberazione della Giunta Regionale di autorizzazione a ricorrere. Roma, addi' 22 maggio 2012 Avv. Fiandaca - Avv. Valli