N. 89 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 11 giugno 2012

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria l'11 giugno 2012 (della Regione Veneto). 
 
Agricoltura - Disposizioni a favore del settore bieticolo-saccarifero
  - Previsione che i progetti di riconversione del comparto approvati
  dall'apposito Comitato  interministeriale  rivestono  carattere  di
  interesse nazionale - Attribuzione al medesimo Comitato del  potere
  di emanare "norme idonee nel quadro delle competenze amministrative
  regionali atte a garantire l'esecutivita' dei  progetti  suddetti",
  nonche' di  nominare,  "nei  casi  di  particolare  necessita',  un
  commissario ad acta per l'attuazione degli accordi definiti in sede
  regionale  con  coordinamento  del  Comitato  interministeriale"  -
  Ricorso della Regione Veneto - Denunciata lesione  della  sfera  di
  competenza legislativa e amministrativa  esclusiva  spettante  alle
  Regioni in materia di agricoltura  -  Violazione  della  competenza
  amministrativa in ordine  all'attuazione  degli  accordi  regionali
  finalizzati  alla  ristrutturazione  dell'industria  saccarifera  -
  Lesione del principio di leale collaborazione. 
- Decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni,
  nella legge 4 aprile 2012, n. 35, art. 29. 
- Costituzione, artt. 117, comma quarto, 118 e 120. 
Commercio - Liberalizzazioni - Imprese  di  panificazione  di  natura
  produttiva -  Soppressione  del  vincolo  in  materia  di  chiusura
  domenicale e festiva - Ricorso della Regione  Veneto  -  Denunciata
  violazione  della  potesta'  legislativa  regionale  residuale   in
  materia di commercio -  Preclusione  dell'esercizio  dell'autonomia
  amministrativa   regionale   nella   medesima   materia    -    Non
  riconducibilita' della liberalizzazione totale  alla  tutela  della
  concorrenza - Difetto di proporzionalita'  e  adeguatezza  rispetto
  all'obiettivo perseguito e alla pluralita' di valori coinvolti. 
- Decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni,
  nella legge 4 aprile 2012, n. 35, art. 40. 
- Costituzione, art. 117, comma quarto. 
Commercio - Semplificazione amministrativa - Attivita' temporanea  di
  somministrazione di alimenti  e  bevande  in  occasione  di  sagre,
  fiere, manifestazioni religiose, tradizionali e culturali, o eventi
  locali straordinari - Possibilita'  di  avvio  previa  segnalazione
  certificata di  inizio  attivita'  (SCIA)  priva  di  dichiarazioni
  asseverate ed esenzione dai requisiti  previsti  dall'art.  71  del
  decreto legislativo n. 59 del 2010 - Ricorso della Regione Veneto -
  Denunciata  violazione   della   potesta'   legislativa   regionale
  residuale in materia di commercio - Richiamo alla sentenza n. 1 del
  2004 della Corte costituzionale. 
- Decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni,
  nella legge 4 aprile 2012, n. 35, art. 41. 
- Costituzione, art. 117, comma quarto. 
Istruzione - Autonomia delle istituzioni scolastiche  -  Linee  guida
  finalizzate al potenziamento dell'autonomia  e  alla  ridefinizione
  degli organici delle istituzioni scolastiche  -  Prevista  adozione
  con  decreto  ministeriale,  sentita   la   Conferenza   permanente
  Stato-Regioni  -  Ricorso  della  Regione   Veneto   -   Denunciata
  interferenza con le  competenze  regionali  residuali  relative  al
  dimensionamento della rete scolastica e alla correlate materie  dei
  servizi sociali e della  formazione  professionale  -  Lesione  del
  principio di leale collaborazione, per mancata utilizzazione  dello
  strumento concertativo dell'intesa, in luogo del mero parere. 
- Decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni,
  nella legge 4 aprile 2012, n. 35, art. 50, comma 1. 
- Costituzione, artt. 117, comma quarto, e 120. 
Edilizia e urbanistica - Edilizia scolastica -  Determinazione  delle
  norme tecniche quadro in materia - Prevista emanazione  di  decreto
  ministeriale, sentita  la  Conferenza  unificata  -  Ricorso  della
  Regione  Veneto  -   Denunciata   interferenza   con   attribuzioni
  legislative e amministrative regionali - Violazione  del  principio
  di leale collaborazione, per mancata utilizzazione dello  strumento
  concertativo dell'intesa, in luogo del mero parere. 
- Decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni,
  nella legge 4 aprile 2012, n. 35, art. 53, comma 7. 
- Costituzione, art. 120. 
Assistenza e solidarieta' sociale - Sperimentazione finalizzata  alla
  proroga del programma "carta acquisti" - Avvio nei Comuni con  piu'
  di 250.000 abitanti - Determinazione di  criteri  e  modalita'  con
  successivo decreto ministeriale - Ricorso della  Regione  Veneto  -
  Denunciata reiterazione di una misura collegata ad  una  situazione
  eccezionale  temporalmente  circoscritta  -  Attuale  mancanza  dei
  presupposti  di  straordinarieta'  che  ne   avevano   giustificato
  l'istituzione da parte del decreto-legge n. 112 del 2008 -  Lesione
  della competenza residuale delle  Regioni  in  materia  di  servizi
  sociali e  di  assistenza  -  Violazione  del  principio  di  leale
  collaborazione,   per   mancato   coinvolgimento   delle    Regioni
  nell'emanazione del decreto ministeriale - Richiamo  alla  sentenza
  n. 10 del 2010 della Corte costituzionale. 
- Decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni,
  nella legge 4 aprile 2012, n. 35, art. 60. 
- Costituzione, artt. 117, comma quarto, e 120. 
Atto e provvedimento amministrativo - Atti amministrativi  sottoposti
  a intesa - Mancato raggiungimento dell'intesa richiesta con  una  o
  piu' Regioni per l'adozione di un ato amministrativo da parte dello
  Stato - Possibilita'  per  il  Consiglio  dei  ministri,  salva  la
  competenza   legislativa   esclusiva   regionale,   di   deliberare
  motivatamente l'atto senza l'assenso delle Regioni interessate, ove
  ricorrano gravi esigenze di tutela della sicurezza,  della  salute,
  dell'ambiente o dei beni culturali o per  evitare  un  grave  danno
  all'erario - Ricorso della  Regione  Veneto  -  Denunciata  mancata
  previsione  della  necessaria   clausola   di   cedevolezza   della
  deliberazione  consiliare  a   fronte   dell'intesa successivamente
  raggiunta - Violazione del  principio  di  leale  collaborazione  -
  Richiesta alla Corte costituzionale di una pronuncia interpretativa
  o di una pronuncia additiva che riaffermi la prevalenza dell'intesa
  sulla decisione unilaterale. 
- Decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni,
  nella legge 4 aprile 2012, n. 35, art. 61, comma 3. 
- Costituzione, art. 120; legge 5 giugno 2003, n. 131, art. 8. 
(GU n.30 del 25-7-2012 )
    Ricorso  della  Regione  Veneto  (C.F.  80007580279  -   P.   IVA
02392630279), in persona del Presidente della Giunta Regionale  dott.
Luca Zaia (C.F. ZAILCU68C27C957O),  autorizzato  con  delibera  della
Giunta regionale n. 869 del 22 maggio 2012 (all. 1), rappresentato  e
difeso, per mandato a margine del  presente  atto,  tanto  unitamente
quanto  disgiuntamente,  dagli  avv.ti  prof.   Bruno   Barel   (C.F.
BRLBRN52D19M089Z)   del   Foro   di   Treviso,   Ezio   Zanon   (C.F.
ZNNZEI57L07B563K)  coordinatore  dell'Avvocatura  regionale,  Daniela
Palumbo (C.F.  PLMDNL57D69A266Q)  della  Direzione  Regionale  Affari
Legislativi e Luigi Manzi (C.F. MNZLGU34E15H501V) del Foro  di  Roma,
con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo  in  Roma,  Via
Confalonieri, n. 5  (per  eventuali  comunicazioni:  fax  06/3211370,
posta elettronica certificata luigimanzi@ordineavvocatirorna.org); 
    Contro il Presidente del  Consiglio  dei  Ministri  pro  tempore,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello  Stato,  presso
la quale e' domiciliato ex lege in Roma, via dei  Portoghesi,  n.  12
per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle  seguenti
disposizioni del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5,  convertito  in
legge con legge 4 aprile 2012, n. 35, pubblicata sulla G.U.R.I. n. 82
del 6 aprile 2012, S.O. n. 69: 
        art.    29    "Disposizioni    a    favore    del     settore
bieticolo-saccarifero", per violazione degli articoli 117, IV  comma,
118 e 120 (in relazione al  principio  di  leale  collaborazione  tra
Stato e Regioni) della Costituzione; 
        art. 40 "Soppressione del  vincolo  in  materia  di  chiusura
domenicale e festiva  per  le  imprese  di  panificazione  di  natura
produttiva", comma l, per violazione dell'art. 117, IV  comma,  della
Costituzione; 
        art.  41  "Semplificazione  in  materia  di  somministrazione
temporanea di alimenti e bevande", per violazione dell'art.  117,  IV
comma, della Costituzione; 
        art. 50 "Attuazione dell'autonomia", comma 1, per  violazione
degli articoli 117, IV comma, e 120 (in  relazione  al  principio  di
leale collaborazione tra Stato e Regioni) della Costituzione; 
        art.  53,   "Modernizzazione   del   patrimonio   immobiliare
scolastico e riduzione dei consumi  e  miglioramento  dell'efficienza
agli usi finali di energia", comma 7, per  violazione  dell'art.  120
della Costituzione, in relazione al principio di leale collaborazione
tra Stato e Regioni; 
        art.  60  "Sperimentazione  finalizzata  alla   proroga   del
programma "carta acquisti", per violazione  degli  articoli  117,  IV
comma, e 120 (in relazione al principio di leale  collaborazione  tra
Stato e Regioni) della Costituzione; 
        art. 61 "Norme transitorie e disposizioni in materia di  atti
amministrativi  sottoposti  a  intesa",  comma  3,   per   violazione
dell'art. 120 (in relazione al principio di leale collaborazione  tra
Stato e Regioni) della Costituzione, e  dell'art.  8  della  legge  5
giugno 2003, n. 131. 
    Il decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5 "Disposizioni  urgenti  in
materia di semplificazione e di sviluppo", convertito  in  legge  con
modificazioni con legge 4 aprile 2012, n. 35, contiene una  serie  di
misure, eterogenee fra loro, alcune delle quali  vanno  a  ledere  le
prerogative  costituzionali  delle  Regioni  ordinarie,  sotto   vari
profili. 
    La Regione del Veneto, pur  condividendo  in  linea  generale  la
finalita' di semplificazione, e' tuttavia costretta  a  censurare  in
questa sede quelle disposizioni, indicate in epigrafe e  di  seguito,
che, ciascuna nelle parti e per i profili indicati,  violano  la  sua
autonomia costituzionalmente garantita e la leale collaborazione  tra
lo Stato e la Regione stessa. 
Art. 29 "Disposizioni a favore  del  settore  bieticolo-saccarifero":
violazione degli articoli 117, comma IV, 118 e 120 (in  relazione  al
principio di leale collaborazione) della Costituzione. 
    L'art. 29 del  decreto-legge  reca  "Disposizioni  a  favore  del
settore bieticolo-saccarifero". 
    Al comma 1, dispone che i progetti di riconversione del  comparto
bieticolo    saccarifero     approvati     dall'apposito     Comitato
interministeriale "rivestono carattere di interesse  nazionale  anche
ai  fini  della  definizione  e  del  perfezionamento  dei   processi
autorizzativi e dell'effettiva entrata in esercizio". 
    Al comma 2, stabilisce che entro 30 giorni dall'entrata in vigore
del decreto-legge "il Comitato interministeriale di cui  al  comma  1
dispone le norme idonee nel quadro  delle  competenze  amministrative
regionali atte a  garantire  l'esecutivita'  dei  progetti  suddetti,
nomina, nei casi di particolare necessita', ai sensi dell'art. 20 del
decreto-legge   29   novembre   2008,   n.   185,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, un  commissario  ad
acta per l'attuazione degli accordi definiti in  sede  regionale  con
coordinamento del  Comitato  interministeriale.  Al  Commissario  non
spettano  compensi  e  ad  eventuali  rimborsi  spese   si   provvede
nell'ambito delle risorse destinate alla realizzazione dei progetti". 
    Il  contesto  normativo  nel  quale   viene   a   collocarsi   la
disposizione citata e' rappresentato  dal  decreto-legge  10  gennaio
2006, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 marzo 2006,
n. 81, recante "Interventi urgenti per  i  settori  dell'agricoltura,
dell'agroindustria, della pesca, nonche'  in  materia  di  fiscalita'
d'impresa". 
    Precisamente, viene qui in rilievo  l'art.  2  di  quel  decreto,
recante    la    rubrica    "Interventi    urgenti    nel     settore
beticolo-saccarifero", col quale, al fine di  fronteggiare  la  grave
crisi del settore bieticolo-saccarifero, si e'  istituito  presso  la
Presidenza del Consiglio dei ministri un Comitato  interministeriale,
col compito (comma 2): a) di approvare entro 45 giorni "il piano  per
la   razionalizzazione   e   la   riconversione   della    produzione
bieticola-saccarifera"; b) di coordinare  "le  misure  comunitarie  e
nazionali previste per la riconversione industriale del settore e per
le  connesse  problematiche  sociali";  c)  di  formulare  "direttive
per l'approvazione dei progetti di riconversione". 
    La medesima  disposizione  statale  ha  poi  previsto  (comma  3)
l'approvazione da parte del Ministro per le  politiche  agricole  dei
progetti di riconversione  presentati  per  ciascuno  degli  impianti
industriali  ove  sarebbe  cessata  la  produzione  di  zucchero,  ed
ulteriori misure di sostegno, anche da parte dell'AGEA (commi da 4  a
5-bis, variamente modificati  in  sede  di  conversione  e  da  leggi
sopravvenute). 
    Le misure cosi' adottate dall'Italia erano  coerenti  con  quelle
decise a livello comunitario per la  ristrutturazione  dell'industria
comunitaria  dello  zucchero,  affetta  da  difficolta'  strutturali,
mediante il regolamento  (CE)  n.  320/2006  del  Consiglio,  del  20
febbraio   2006   "relativo   a   un   regime   temporaneo   per   la
ristrutturazione  dell'industria  dello  zucchero   nella   Comunita'
europea e che modifica il regolamento (CE) n. 1290/2005  relativo  al
funzionamento della politica agricola comune" (in  G.U.U.E.  L  58/42
del 28 febbraio 2006). 
    Il  "Programma  nazionale   di   ristrutturazione   del   settore
bieticolo-saccarifero" del  19  dicembre  2006,  formulato  ai  sensi
dell'art. 6 Reg. CE 320/2006 dal Ministero delle politiche  agricole,
Dipartimento delle politiche di sviluppo,  PQSR  II,  e  le  connesse
direttive sono stati approvati dal Comitato interministeriale ad  hoc
nella riunione del 31 gennaio 2007, con la previsione di chiusura  di
19 dei 13 stabilimenti operanti in Italia,  fra  i  quali  quello  di
Porto Viro (Rovigo) della societa' Italia Zuccheri s.p.a. 
    La Regione Veneto  ha  dato  attuazione  a  quanto  previsto  dal
regolamento  comunitario  e  dalle  correlate  disposizioni  statali,
relativamente  all'unico  stabilimento   saccarifero   presente   nel
territorio regionale, quello  di  Porto  Viro,  che  ha  proposto  un
accordo di riconversione. 
    La Regione del Veneto ha infatti tempestivamente  approvato,  con
deliberazione di Giunta regionale n.  1234  dell'8  maggio  2007  (in
B.U.R.  n.  49  del  29  maggio  2007),  l'"Accordo  di   conversione
produttiva dello stabilimento saccarifero di Porto Viro". 
    L'Accordo tuttavia non ha potuto  avere  attuazione  nei  modi  e
termini previsti  per  ragioni  economiche  legate  alla  sfavorevole
congiuntura di mercato;  di  conseguenza,  e'  stato  successivamente
modificato con un "Accordo integrativo", approvato con  deliberazione
di Giunta regionale n. 983 del 21 aprile 2009 (in B.U.R. n. 37 del  5
maggio 2009). 
    Dopo una pausa imposta  da  impedimenti  di  ordine  normativo  e
finanziario (cfr. art. 4 della legge  finanziaria  regionale  per  il
2011), il procedimento  e'  proseguito.  Sui  contenuti  dell'Accordo
integrativo ha recentemente espresso parere favorevole la Commissione
tecnica regionale per l'ambiente, nella seduta del 12 marzo  2012,  e
tale parere costituira' la  posizione  dell'Amministrazione  in  seno
alla Conferenza di servizi che dovra' essere convocata per concludere
il procedimento autorizzativo. 
    In tale contesto, di diritto  e  di  fatto,  sopravviene  ora  la
disposizione   statale   in   oggetto,   che   affida   al   Comitato
interministeriale sia l'emanazione di  non  meglio  precisate  "norme
idonee nel quadro delle competenze amministrative  regionali  atte  a
garantire l'esecutivita' dei progetti suddetti", sia la "nomina,  nei
casi  di  particolare  necessita',  ai   sensi   dell'art.   20   del
decreto-legge   29   novembre   2008,   n.   185,   convertito,   con
modificazioni,  dalla  legge  28  gennaio  209,  n.  2,  [di  un]  un
commissario ad acta per l'attuazione degli accordi definiti  in  sede
regionale con coordinamento del Comitato interministeriale.". 
    Si tratta di previsioni di ampia  portata  e  allo  stesso  tempo
alquanto generiche,  che  consentono  tanto  l'emanazione  a  livello
statale di "norme idonee" ad incidere sulle competenze amministrative
regionali, quanto la nomina di un commissario ad acta, sulla base di,
e con riferimento a, una generica disciplina statale  emanata  a  suo
tempo a tutt'altri fini (investimenti pubblici di competenza  statale
prioritari: art. 20, comma 1,  decreto-legge  29  novembre  2008,  n.
385). In sostanza, le nuove disposizioni statali, col  riclassificare
di  interesse  nazionale  l'implementazione  di  tutti  gli   Accordi
regionali, in via  generale  e  generica,  sottopongono  la  connessa
attivita'  amministrativa  e  gestionale  regionale  a  vigilanza   e
controllo del Comitato ministeriale, e consentono la nomina da  parte
del medesimo Comitato stesso di commissari ad acta  dotati  anche  di
poteri sostitutivi. 
    L'art. 29 del decreto-legge in oggetto attiene  palesemente  alla
materia dell'agricoltura, in relazione alla politica agricola  comune
dell'Unione  europea,  e  lede  pertanto  la  sfera   di   competenza
legislativa e amministrativa  esclusiva  propria  della  Regione  del
Veneto, ai sensi dell'art. 117, comma IV, della Costituzione. 
    La novella statale  avoca  in  sostanza  allo  Stato,  oltre  che
un'attivita' normativa non meglio precisata, perfino l'attuazione  in
sede  amministrativa  degli  Accordi   regionali   finalizzati   alla
ristrutturazione dell'industria saccarifera  nel  quadro  del  regime
temporaneo di aiuti istituito a livello dell'Unione,  dichiaratamente
nel quadro del  funzionamento  della  politica  agricola  comune,  in
violazione  anche  della  competenza  amministrativa  riservata  alle
Regioni dall'art. 118 Cost. Lede altresi' il principio costituzionale
di leale  collaborazione,  sotteso  all'art.  120  Cost.,  in  quanto
disarticola quell'equilibrio nella cooperazione fra Stato  e  Regioni
delineato dalla previgente normativa, fino a prefigurare una sorta di
commissariamento delle Regioni perfino  nella  gestione  operativa  e
dettagliata    degli    adempimenti    amministrativi     finalizzati
all'implementazione di Accordi con parti private. 
    Spetta invero  alle  Regioni,  oltre  che  la  conclusione  degli
Accordi di ristrutturazione nel quadro del Programma nazionale, anche
- a maggior ragione - la loro attuazione, attraverso la disciplina  e
l'attivazione degli appropriati procedimenti amministrativi. 
    La Regione del Veneto  ha  specifico  interesse  a  dolersene  in
relazione all'Accordo  e  al  procedimento  in  corso  e  in  via  di
conclusione,  volto  alla   riconversione   dello   stabilimento   ex
saccarifero di Porto Viro, che potrebbe ora essere pregiudicato. 
Articolo  40  "Soppressione  del  vincolo  in  materia  di   chiusura
domenicale e festiva  per  le  imprese  di  panificazione  di  natura
produttiva": violazione dell'art. 117, IV comma, della Costituzione. 
    L'art. 40 del decreto-legge consta di un solo comma,  del  tenore
seguente: "1. Il secondo periodo dell'art. 11, comma 13, della  legge
3 agosto 1999, n. 265, e' soppresso". 
    L'art. 11, comma 13, della legge n. 265/1999 dispone: 
        "E' abrogata la legge 13 luglio 1966, n.  611.  All'attivita'
di panificazione autorizzata ai sensi della legge 31 luglio 1956,  n.
1002, si applicano gli articoli 11, comma 4,  12  e  13  del  decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 114". 
    La disposizione statale censurata va dunque  ad  abrogare  quella
proposizione normativa (secondo periodo) che assoggettava l'attivita'
di panificazione ad alcune disposizioni del  decreto  legislativo  n.
114/1998 e precisamente: 
        - all'art. 11, comma 4, secondo il  quale  "Gli  esercizi  di
vendita al dettaglio  osservano  la  chiusura  domenicale  e  festiva
dell'esercizio  e,  nei  casi  stabiliti  dai  comuni,   sentite   le
organizzazioni di cui al comma  l,  la  mezza  giornata  di  chiusura
infrasettimanale"; 
        - all'art. 12, che ammette deroghe all'obbligo precedente nei
Comuni ed economia prevalentemente turistica e nelle citta' d'arte; 
        - all'art. 13, che detta ulteriori disposizioni  speciali  di
deroga. 
    La finalita' della novella, resa evidente  fin  dalla  rubrica  e
perseguita mediante l'abrogazione del rinvio  alle  disposizioni  che
disciplinavano la chiusura domenicale e festiva, e' costituita dunque
dalla  liberalizzazione  delle   aperture   dei   panifici   per   la
commercializzazione della propria produzione. 
    Si intende cosi' estendere ulteriormente la c.d. liberalizzazione
delle aperture degli esercizi commerciali al dettaglio, gia' disposta
con il c.d. decreto-legge "Salva Italia" del 6 dicembre 2011, n. 201,
anche  alle  imprese   artigiane   di   panificazione   quanto   alla
commercializzazione diretta di prodotti propri. 
    La nuova disposizione statale va peraltro a  confliggere  con  la
specifica disciplina dettata dalla Regione del Veneto con la legge 21
settembre  2007,  n.  29  (art.  25),  nell'esercizio  della  propria
competenza legislativa esclusiva sia in materia di commercio  che  di
artigianato. 
    In proposito, si segnala che il decreto-legge n. 201/2011 e' gia'
oggetto  di  un  giudizio  di   legittimita'   costituzionale   anche
relativamente  alla  disciplina   delle   aperture   degli   esercizi
commerciali (r.g. 29/2011, su ricorso proposto (anche) dalla  Regione
del Veneto). 
    In questa sede, la Regione del Veneto, coerentemente  con  quanto
dedotto nei suddetti giudizi,  a  tutela  delle  proprie  prerogative
costituzionali, e segnatamente della potesta'  legislativa  regionale
in materia di commercio e di  artigianato,  non  puo'  che  censurare
anche l'art. 40 del decreto-legge in oggetto,  per  violazione  della
competenza legislativa regionale residuale, ai sensi  dell'art.  117,
IV comma, della Costituzione. 
    In   sintesi,   e'   indubbio,    secondo    la    giurisprudenza
costituzionale, che la materia del commercio, cui sembra  appropriato
ricondurre la disciplina delle aperture e degli orari ai  fini  della
commercializzazione  dei  prodotti  anche  di  propria  produzione  -
analogamente  comunque  alla  materia  dell'artigianato  -   sia   di
competenza legislativa residuale regionale (sentenza n. 1  del  2004;
ord. 11 maggio 2006, n. 199; sentenze 9 marzo 2007, n. 64; 11  maggio
2007, n. 165; 12 dicembre 2007, n. 430; 24 ottobre 2008,  n.  350;  5
luglio 2010, n. 247; 8 ottobre 2010, n. 288; 21 aprile 2011, n. 150). 
    Rispetto alle prerogative regionali, la tutela della  concorrenza
rappresenta un limite "interno", da intendere pero' in modo tale  che
non possa  determinare  lo  svuotamento  della  competenza  esclusiva
regionale nella materia del commercio. 
    La legislazione regionale deve certamente conformarsi ai generali
obiettivi di non discriminazione fra operatori economici, di apertura
al mercato  e  di  eliminazione  di  barriere  e  vincoli  al  libero
esplicarsi dell'attivita' economica  (in  questo  senso,  da  ultimo,
Corte cost., sentenze n. 18 del 23 gennaio 2012, n. 150 del 2011), ma
allo  stesso  tempo  non  le  puo'  essere  negato  ogni  margine  di
intervento per modellare la  disciplina  concreta  in  modo  tale  da
salvaguardare altri valori che pure trovano  fondamento  nella  Carta
costituzionale e nell'insieme dell'ordinamento italiano. 
    La completa liberalizzazione delle aperture domenicali e  festive
non persegue affatto l'obiettivo di una piu'  efficace  tutela  della
concorrenza,  dal  momento  che  essa  determina,  al  contrario,  il
rafforzamento sul mercato delle sole aziende che per le loro maggiori
dimensioni sono in grado di cogliere tale opportunita',  a  discapito
delle imprese minori le quali, non essendo in grado di garantire  una
apertura  continuativa,  risulterebbero  penalizzate   e   giocoforza
emarginate  dal  mercato,  determinandosi,  quale   ulteriore   grave
conseguenza,  un'accentuazione  della  desertificazione  dei   centri
storici, gia' di  per  se'  in  atto  a  seguito  degli  effetti  del
perdurare della crisi economica (come infatti correttamente osservato
dalla piu' recente giurisprudenza amministrativa in materia:  in  tal
senso, cfr. ancora TAR Veneto, III Sez.,  sentenza  n.  1261  del  28
luglio 2011). 
    La  totale  liberalizzazione  delle   aperture   degli   esercizi
commerciali finisce percio' col produrre  effetti  opposti  a  quelli
voluti, non risulta adeguato e proporzionato rispetto  all'obiettivo,
priva di qualsiasi tutela  altri  interessi  pubblici  specifici  pur
meritevoli anch'essi di cura. 
    Anche l'Autorita' garante della concorrenza e  del  mercato,  nel
parere del 26 agosto 2011 in relazione alle disposizioni  in  materia
di  liberalizzazione  dell'esercizio   delle   attivita'   economiche
contenute nel decreto-legge 13 agosto 2011,  n.  138  (convertito  in
legge con modificazioni dalla legge 16 settembre 2011, n.  148),  ha,
seppure indirettamente, mostrato  di  ritenere  che  rientri  appieno
nell'ambito della potesta' normativa delle  Regioni  la  facolta'  di
introdurre  limitazioni   all'esercizio   dell'attivita'   economica,
allorche' esse discendono da motivi imperativi di interesse generale,
quali, tra  l'altro,  la  tutela  dell'ambiente,  incluso  l'ambiente
urbano, gli obiettivi di politica sociale e, non  ultima,  la  tutela
del consumatore. 
    L'esigenza di un ragionevole contemperamento  tra  valori  e'  al
fondo di quella giurisprudenza costituzionale  che,  di  recente,  ha
riconosciuto  la  legittimita'  di  leggi  regionali  in  materia  di
commercio  che   introducevano   differenziazioni   di   regime   con
riferimento  alle  dimensioni  dell'impresa,   in   quanto   ispirate
all'esigenza di interesse generale di riconoscimento e valorizzazione
del ruolo delle piccole e medie imprese gia' operanti sul  territorio
regionale (sentenze n. 64 del 2007, n. 288 del 2010). 
    La disposizione di legge qui  censurata,  cosi'  come  formulata,
nella sua assolutezza e inderogabilita',  non  trova  base  giuridica
legittimante ne' nel diritto dell'Unione, cui resta  estraneo  questo
tema, ne' nell'art. 117, II comma, della  Costituzione,  e  viola  la
competenza esclusiva regionale in  materia  di  commercio  attribuita
dall'art.   117,   IV    comma,    della    Costituzione.    Preclude
conseguentemente  alla  Regione  anche  l'esercizio   della   propria
autonomia amministrativa nella materia considerata e la  possibilita'
di attribuire funzioni amministrative ai Comuni. 
    La novella legislativa ha un effetto opposto a quello perseguito.
Essa non e' adeguata e proporzionata rispetto all'obiettivo  e  priva
di qualsiasi tutela altri interessi pubblici specifici pur meritevoli
anch'essi di cura. In particolare, finisce col precludere  la  stessa
possibilita' di graduare il processo di liberalizzazione, in modo che
non travolga gli operatori economici  piu'  deboli,  il  mondo  delle
piccole e medie imprese commerciali che per  dimensioni  e  struttura
non sono immediatamente in grado di competere 24 ore su 24, in  tutti
i giorni festivi dell'anno, cosi' come invece le grandi imprese,  col
rischio di disarticolare un mercato distributivo  caratterizzato  fin
qui da una pluralita' di formule e di offerte,  capace  di  garantire
anche servizi di prossimita', essenziali  nei  piccoli  paesi  e  nei
centri storici sia per i consumatori  che  per  l'ambiente  urbano  e
sociale. 
    Nel diritto vivente, segnatamente  nella  recente  giurisprudenza
amministrativa, non mancano precisi riferimenti alla  pluralita'  dei
valori messi in  gioco  dalla  disciplina  dei  giorni  ed  orari  di
apertura e chiusura degli esercizi commerciali. Si e' affermato,  fra
l'altro, che una disciplina  locale  che  differenziava  le  aperture
domenicali entro e fuori le mura storiche di una citta' "mira ad  una
regolamentazione finalizzata a contemperare i  principi  e  i  valori
della concorrenza con la salvaguardia delle aree urbane,  dei  centri
storici,  della  pluralita'  tra  diverse  tipologie   di   strutture
commerciali e della funzione sociale svolta dai  servizi  commerciali
di prossimita'" e che "alla luce di tale contemperamento vanno  lette
anche le norme sugli orari e sulle giornate di apertura e di chiusura
degli esercizi commerciali" (TAR Emilia-Romagna, sentenza n. 8002 del
2010). 
    Analogamente si e' espresso il TAR per il Veneto: 
        "la vigente disciplina in materia  di  commercio  (d.lgs.  n.
114/98 e d.-l. n. 223/06, conv. in l. n. 248/06) non persegue in  via
esclusiva una finalita' liberalizzatrice, connessa al solo  scopo  di
tutelare  la  liberta'  delle  imprese  e  la  concorrenza,  in   una
prospettiva di sostanziale deregolamentazione del  settore,  giacche'
questo obiettivo avrebbe quale esito  estremo  il  rafforzamento  sul
mercato (delle imprese) di maggiori dimensioni a discapito proprio di
un  mercato  concorrenziale,  ed  esaurirebbe   l'intera   disciplina
nell'ambito della competenza legislativa statale di cui all'art. 117,
secondo comma, lett. e) della Costituzione, giungendo  a  negare  una
propria autonomia al "commercio" inteso come "materia attribuita alla
competenza  legislativa  residuale  delle   regioni"   (pacificamente
riconosciuta invece dalla giurisprudenza della Corte  costituzionale:
cfr. le sentenze 12 dicembre 2007, n. 430, punto 3.2.2.  in  diritto;
11 maggio 2007, n. 165; 9 marzo 2007, n. 64;  11  maggio  2006  ,  n.
199)"; 
        "in ragione dei rilevanti effetti di carattere urbanistico  e
sociale che derivano dalla presenza o meno  di  esercizi  commerciali
sul territorio, la predetta disciplina mira  a  una  regolamentazione
finalizzata a contemperare i principi e i  valori  della  concorrenza
con la salvaguardia delle aree  urbane,  dei  centri  storici,  della
pluralita' tra diverse tipologie delle strutture commerciali e  della
funzione sociale svolta dai servizi commerciali  di  prossimita'  ...
per l'art. 1, comma 3, lett. b), d), ed e) del d.lgs. 31 marzo  1998,
n. 114, la disciplina sul commercio persegue anche le finalita' della
tutela  del  consumatore,  con  particolare   riguardo   (...)   alla
possibilita' di approvvigionamento, al servizio di  prossimita',  del
pluralismo ed equilibrio tra le  diverse  tipologie  delle  strutture
distributive e le diverse forme di vendita, con particolare  riguardo
al riconoscimento e alla valorizzazione del  ruolo  delle  piccole  e
medie imprese, e della valorizzazione  e  salvaguardia  del  servizio
commerciale nelle aree urbane, rurali, montane, insulari"; 
        "e'  pertanto  alla  luce  del  contemperamento  operato  dal
legislatore tra la pluralita' di questi interessi che  devono  essere
lette anche le norme sugli orari  e  sulle  giornate  di  apertura  e
chiusura degli esercizi commerciali, con la conseguente insussistenza
di una regola che preveda la totale liberalizzazione  dei  giorni  di
apertura." (sentenza n. 135 del 2010). 
    "L'art. 6 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114  attua  tali  principi
prevedendo una programmazione della rete distributiva che: 
        - renda  "compatibile  l'impatto  territoriale  e  ambientale
degli insediamenti commerciali con  particolare  riguardo  a  fattori
quali la mobilita', il traffico e  l'inquinamento  e  valorizzare  la
funzione commerciale  al  fine  della  riqualificazione  del  tessuto
urbano,  in  particolare  per  quanto  riguarda  i  quartieri  urbani
degradati al fine di ricostituire un ambiente  idoneo  allo  sviluppo
del commercio" (art. 6, comma 1, lett. c); 
        -  salvaguardi  e  riqualifichi  "i  centri   storici   anche
attraverso il mantenimento delle caratteristiche  morfologiche  degli
insediamenti e il rispetto  dei  vincoli  relativi  alla  tutela  del
patrimonio artistico ed ambientale" (art. 6, comma 1, lett. d); 
        -  favorisca  "gli  insediamenti  commerciali  destinati   al
recupero delle piccole e medie imprese gia' operanti  sul  territorio
interessato, anche al fine di salvaguardare i  livelli  occupazionali
reali  e  con  facolta'  di  prevedere   a   tale   fine   forme   di
incentivazione" (art. 6, comma 1, lett. f); 
        -  individui  "i  limiti  ai  quali   sono   sottoposti   gli
insediamenti commerciali in relazione alla tutela dei beni artistici,
culturali e ambientali, nonche' dell'arredo  urbano,  ai  quali  sono
sottoposte  le  imprese  commerciali  nei  centri  storici  e   nelle
localita' di particolare interesse artistico  e  naturale"  (art.  6,
comma 2, lett. b); 
        - tenga conto dei "centri storici, al fine di salvaguardare e
qualificare la presenza delle attivita' commerciali e artigianali  in
grado di svolgere un servizio di vicinato, di tutelare  gli  esercizi
aventi  valore  storico  e  artistico  ed  evitare  il  processo   di
espulsione delle attivita' commerciali e artigianali" (art. 6,  comma
3, lett. c). 
    E' pertanto alla luce del contemperamento operato dal legislatore
tra la pluralita' di questi interessi che devono essere  lette  anche
le norme sugli orari e sulle giornate di apertura  e  chiusura  degli
esercizi commerciali." (TAR Veneto, sez. III, 28 luglio 2011, n  126,
che richiama  la  propria  sentenza  n.  3819  del  2009;  conf.  TAR
Emilia-Romagna, sez. Bologna, n. 8002 del 2010; TAR Piemonte, n. 3585
del 2009; v. anche TAR Lombardia - Milano, n. 5658 del 2010). 
Art. 41 "Semplificazione in materia di somministrazione di alimenti e
bevande": violazione dell'art. 117, IV comma, della Costituzione. 
    Dispone il comma unico dell'art. 41 del decreto-legge censurato: 
        "1. L'attivita' temporanea di somministrazione di alimenti  e
bevande in  occasione  di  sagre,  fiere,  manifestazioni  religiose,
tradizionali e culturali o eventi  locali  straordinari,  e'  avviata
previa  segnalazione  certificata  di  inizio  attivita'   priva   di
dichiarazioni asseverate ai sensi dell'art. 19 della legge  7  agosto
1990, n. 241, e non e' soggetta al possesso  dei  requisiti  previsti
dall'art. 71 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59.". 
    La disposizione  citata  detta  dunque  una  disciplina  relativa
all'attivita' temporanea di somministrazione di alimenti e bevande in
situazioni  particolari  (sagre,  fiere,  manifestazioni   religiose,
tradizionali e culturali o eventi locali straordinari)  che  riguarda
sia le modalita' di avvio  (ridotte  ad  una  s.c.i.a.  ulteriormente
semplificata, non accompagnata cioe' da dichiarazioni asseverate) che
i requisiti da rispettare (soppressi, in totale deroga agli  ordinari
requisiti anche morali stabiliti a  livello  statale  dal  d.lgs.  n.
59/2010  di  attuazione  della  direttiva  Bolkestein  2006/123/CEE).
L'attivita', anche temporanea,  di  somministrazione  di  alimenti  e
bevande, anche in situazioni particolari, rientra pacificamente nella
materia del commercio, pertanto l'intervento statale e' lesivo  della
competenza  legislativa  regionale  residuale  delle  Regioni   nella
materia del commercio, attribuita  dall'art.  117,  IV  comma,  della
Costituzione (sentenza n. 1 del 2004; ord. 11 maggio  2006,  n.  199;
sentenze 9 marzo 2007, n. 64; 11 maggio 2007,  n.  165;  12  dicembre
2007, n. 430; 24 ottobre 2008, n. 350;  5  luglio  2010,  n.  247;  8
ottobre 2010, n. 288; 21 aprile 2011, n. 150). 
    La  Regione  del  Veneto  ha  gia'  esercitato  tale  competenza,
successivamente alla riforma costituzionale del 2001,  con  la  legge
regionale  21  settembre  2007,  n.  29,  "Disciplina  dell'esercizio
dell'attivita' e somministrazione di alimenti e bevande", ponendo fra
l'altro   una   regolamentazione   specifica   delle   autorizzazioni
temporanee  in  occasione  di   fiere,   feste   o   altre   riunioni
straordinarie  di  persone,  incidente  sia  sui  requisiti  che   il
richiedente deve soddisfare (art. 11, comma 3), che  sulle  modalita'
(art. 11, commi l e 4). 
    Nella  giurisprudenza  costituzionale  si  rinviene  un  puntuale
precedente in termini nella sentenza  13  gennaio  2004,  n.  1.  Con
quella pronuncia e' stata dichiarata l'illegittimita'  costituzionale
di una norma statale (art. 52, comma 17, l. 28 dicembre 2001, n. 448)
che escludeva l'applicabilita'  della  legge  n.  426  del  1971  sul
commercio alle sagre, fiere e manifestazioni a  carattere  religioso,
benefico o politico, per lesione della competenza riconosciuta  nella
materia del commercio alle regioni dall'art.  117,  IV  comma,  della
Costituzione. 
Art. 50,  comma  1,  relativamente  alla  emanazione  di  un  decreto
ministeriale recante linee guida in materia di istruzione: violazione
dell'art. 117, IV comma, della Costituzione, nonche' del principio di
leale collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione. 
    L'art. 50, comma 1, della legge  oggetto  del  presente  giudizio
rimette ad un decreto del Ministro dell'istruzione,  dell'universita'
e della ricerca, di concerto con il Ministro  dell'economia  e  delle
finanze, l'adozione di linee guida orientate al  perseguimento  degli
obiettivi specificati dalla norma  medesima,  sentita  la  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  Regioni  e  le  Province
autonome di Trento e di Bolzano. 
    Benche' le finalita' perseguite dalla norma di cui si tratta,  in
quanto afferenti alla "autonomia  delle  istituzioni  scolastiche"  e
alla "ridefinizione degli organici" siano  indubbiamente  ascrivibili
ad un ambito di competenza esclusiva statale quale e' appunto  quello
rubricato "norme generali sull'istruzione" di cui  all'art.  117,  II
comma, lettera n),  della  Costituzione,  la  disposizione  in  esame
interferisce con le competenze regionali laddove si intreccia con  il
dimensionamento delle istituzioni  scolastiche  di  spettanza  invece
regionale che, a propria volta, si correla necessariamente al diverso
ambito di competenza residuale regionale, nella misura  in  cui  puo'
interessare  la  materia   di   servizi   sociali,   violando   cosi'
direttamente il IV comma dell'art. 117 della  Costituzione,  valutato
in relazione al disposto del III comma, nonche' il principio di leale
collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione. 
    Preliminarmente,  si  reputa  utile   una   breve   ricostruzione
sistematica del contesto normativo di riferimento, costituzionalmente
inquadrato, allo scopo di evidenziare le disarmonie  strutturali  che
si  riverberano  sui  contenuti  disciplinatori,   generando   quelle
antinomie che, ad avviso della difesa regionale, fondano  le  censure
di illegittimita' sollevate. 
    Si rileva, infatti, come, nell'alveo  generico  qualificato  come
"istruzione pubblica", esista in realta'  una  pluralita'  di  ambiti
specifici, i cui contorni sono stati  progressivamente  delineati  in
forza di una notevolissima, intensa, attivita'  giurisprudenziale  di
codesta ecc.ma Corte, con la quale  sono  state  definite,  sotto  il
profilo  oggettivo,  le  linee  di  demarcazione   della   competenza
insistente in materia, e sono stati cosi' individuati come ambiti  di
attribuzione regionale il dimensionamento della rete scolastica e  la
programmazione dell'offerta formativa. 
    Tuttavia, tale competenza deve necessariamente  connettersi  alla
materia dei servizi sociali, particolarmente per quanto attiene  alle
scuole dell'infanzia, nonche' alle misure di prevenzione e  contrasto
del disagio di particolari utenti del servizio scolastico. 
    Inoltre, parimenti  intrecciata  ed  indissolubilmente  collegata
all'anzidetta   competenza   risulta,   altresi',    la    formazione
professionale, che per espressa previsione della  Carta  fondamentale
e'  ascrivibile  appunto  al  quarto  comma   dell'art.   117   della
Costituzione. 
    Pertanto, il contenuto del decreto ministeriale, pur  riguardando
espressamente  gli   organici   delle   istituzioni   scolastiche   e
l'autonomia  delle  medesime,  di  indiscussa  competenza   esclusiva
statale,   non   puo'   collocarsi   in   una   posizione   giuridica
sistematicamente avulsa e distante da quella competenza regionale  in
materia di dimensionamento della rete scolastica di cui si e'  detto.
In altri termini, la definizione  degli  organici  delle  istituzioni
scolastiche pare costituire il presupposto indefettibile affinche' la
Regione  sia  posta  nelle  condizioni  effettive,  e  non  meramente
virtuali, di programmare l'apertura e la chiusura  delle  istituzioni
scolastiche, nonche' gli eventuali accorpamenti. 
    Si richiama a tal proposito la decisione n. 34 del 2005,  con  la
quale codesta ecc.ma Corte ha  inequivocabilmente  precisato  che  il
dimensionamento della rete  delle  istituzionali  scolastiche  e'  un
ambito di spettanza regionale. 
    Segnatamente, ha affermato che "proprio alla luce del  fatto  che
gia' la normativa antecedente alla riforma del Titolo V prevedeva  la
competenza regionale in materia di dimensionamento delle  istituzioni
scolastiche e quindi postulava  la  competenza  sulla  programmazione
scolastica di cui all'art. 138 del d.lgs. n.  112  del  1998,  e'  da
escludersi che il legislatore costituzionale del  2001  abbia  voluto
spogliare le Regioni di una funzione  che  era  gia'  stata  ed  esse
conferita." 
    Tale  orientamento   giurisprudenziale   ha   trovato   ulteriore
conferma, dapprima, nella sentenza n. 200 del 2009, che ha dichiarato
illegittime le lettere f-bis) e f-ter) del comma 4 dell'art.  64  del
decreto legge n. 112 del 2008, concernente appunto  gli  accorpamenti
di  istituiti  scolastici  aventi   sede   in   piccoli   Comuni,   e
successivamente, nella decisione n. 92 del 2011, con la quale codesta
ecc.ma Corte ha dichiarato come la disciplina afferente l'istituzione
di nuove sezioni o  scuole  dell'infanzia  non  sia  di  attribuzione
statale. 
    Infine, ad ulteriore  riprova  della  labilita'  del  riparto  di
competenze in subiecta  materia,  testimoniato  dalla  vivacita'  del
contrasto  interpretativo,   cui   si   contrappongono   i   puntuali
accertamenti giurisprudenziali di legittimita', di recente  e'  stata
discussa, ma non ancora  decisa,  sempre  dinanzi  a  codesta  ecc.ma
Corte, anche la questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
19, commi 4 e 5, del decreto-legge  n.  98  del  2011,  che,  proprio
perche' disciplinante, con statuizioni  di  estrazione  statale,  gli
accorpamenti delle istituzioni scolastiche,  e'  stato  impugnato  da
alcune  Regioni,   per   violazione   delle   prerogative   regionali
costituzionalmente garantite. 
    Per evidenziare adeguatamente le modalita' ed i  contenuti  della
lamentata  lesione  alle   attribuzioni   regionali   operato   dalla
disposizione impugnata, si  ritiene  opportuno  soffermarsi  ora  sul
riparto delle funzioni esercitabili da  Regione  ed  Enti  Locali  in
materia di istruzione  scolastica,  con  particolare  riferimento  al
dimensionamento delle istituzioni scolastiche. 
    Sul punto, si rammenta che, al  fine  di  assicurare  l'autonomia
scolastica, l'art. 21 della legge 15  marzo  1997,  n.  59  prevedeva
l'obbligo, per le istituzioni scolastiche, di adeguarsi ai  requisiti
dimensionali, in conformita' ai piani di dimensionamento  della  rete
scolastica. 
    Successivamente, il d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 "Conferimento di
finzioni e compiti amministrativi dello Stato alle  regioni  ed  agli
enti locali", in attuazione proprio  della  legge  n.  59  del  1997,
all'art.  138,  comma  1,  lettere  a)  e   b),   ha   riorganizzato,
definendole,  seppure  con  qualche   difficolta'   applicativa,   le
competenze in materia di istruzione scolastica, secondo un  ulteriore
riparto. 
    Conseguentemente, il nuovo assetto istituzionale che  ne  risulta
vede riservate allo Stato le  funzioni  concernenti  i  criteri  e  i
parametri per l'organizzazione della  rete  scolastica;  mentre  alle
Regioni e' delegata la programmazione della  rete  scolastica,  sulla
base dei piani provinciali, nonche'  la  programmazione  dell'offerta
integrata tra istruzione e  formazione  professionale;  infine,  sono
trasferite  alle  Province  -   quanto   all'ambito   dell'istruzione
secondaria di secondo grado  -  ed  ai  Comuni  -  quanto  all'ambito
dell'istruzione primaria e secondaria di primo grado - le funzioni di
istituzione,  aggregazione,  fusione  e  soppressione   di   istituti
scolastici, in attuazione degli strumenti di programmazione,  nonche'
la redazione dei piani di organizzazione delle rete delle istituzioni
scolastiche. 
    Il regolamento 18 giugno 1998, n.  233,  recante  "Norme  per  il
dimensionamento ottimale  delle  istituzioni  scolastiche  e  per  la
determinazione  degli  organici  funzionali  dei  singoli   istituti"
individua, sempre in conformita' a quanto stabilito dalla L.  59  del
1997,  i  parametri  dimensionali  ottimali  ed  e'  proprio  a  tali
parametri che espressamente rinvia l'art. 64 del decreto-legge n. 112
del 2008. 
    Si precisa, al riguardo, che il  regolamento  citato  prevede  un
meccanismo di formazione progressiva della pianificazione di settore,
in base al quale i piani dimensionali contemplati dalla legge  n.  59
del  1997,  adottati  dalle   conferenze   provinciali   della   rete
scolastica, devono confluire nel piano regionale di  dimensionamento,
di competenza, appunto, della Regione. 
    Il medesimo regolamento, all'art. 4, nel confermare la competenza
regionale  ad  esercitare  funzioni  di  pianificazione  in  tema  di
dimensionamento ottimale, richiama altresi' la competenza  attribuita
dal d.lgs. n. 112 del  1998  agli  Enti  Locali,  che  attribuiva  ai
medesimi la competenza in ordine  alla  soppressione,  istituzione  e
trasferimento di sedi, plessi, unita' delle  istituzioni  scolastiche
titolari di personalita' giuridica e di autonomia scolastica, secondo
la nota allocazione funzionale. 
    Conformemente al riparto di competenze stabilito dalla disciplina
di fonte statale, il gia' menzionato art. 138 della  legge  regionale
n. 11/2001 ha ribadito che spettano agli Enti Locali, nei  rispettivi
ambiti di competenza sia  di  ordine  che  di  grado  scolastico,  la
istituzione, aggregazione, fusione e soppressione  delle  scuole,  in
attuazione degli strumenti di programmazione,  nonche'  la  redazione
dei piani di organizzazione della rete delle istituzioni scolastiche. 
    Cosi' brevemente riassunto il quadro normativo, si rileva che  lo
Stato, nonostante  il  riparto  di  competenze  sopra  descritto,  ha
perseguito la realizzazione di una linea di azione generalizzata tesa
a ridimensionare la rete scolastica, secondo modalita' centralistiche
e del tutto indifferenti  alle  prerogative  regionali  esistenti  in
materia, attraverso meccanismi temporali imposti a  Regioni  ed  enti
locali,  che,  nell'ambito  delle  rispettive  competenze,   dovevano
osservare  scadenze  restrittive  per   adottare   detti   piani   di
dimensionamento, in osservanza della modifica apportata  all'art.  64
del d.-l. n. 112 del 2008. 
    In dettaglio, infatti, la legge  4  dicembre  2008,  n.  189,  di
conversione del d.-l. 7 ottobre  2008,  n.  154,  ha  sostanzialmente
modificato l'art. 64  di  cui  si  tratta,  stabilendo  le  scansioni
cronologiche alle quali si e' accennato e che si riportano quale dato
utile  a  valutare  la  straordinaria   complessita'   del   contesto
legislativo progressivamente formatosi. 
    In punto, per il solo anno scolastico 2009/2010, il  termine  per
il dimensionamento delle istituzioni scolastiche da parte di  Regioni
ed Enti Locali, nell'ambito delle rispettive  competenze,  era  stato
fissato al 31  dicembre  2008.  Inoltre,  era  stata  introdotta  una
procedura di concertazione sempre con Regioni ed  Enti  Locali,  allo
scopo di conseguire  apposita  Intesa,  da  raggiungere  in  sede  di
Conferenza  unificata,  ma  con  esclusivo  riferimento   agli   anni
scolastici 2010/2011 e 2011/2012. 
    E' intervenuto, quindi, il DPR  20  marzo  2009,  n.  81  recante
"Norme per riorganizzazione della rete scolastica e il  razionale  ed
efficace utilizzo delle risorse umane della scuola" che, all'art.  1,
prevede che alla definizione dei  criteri  e  dei  parametri  per  il
dimensionamento della rete scolastica e per la  riorganizzazione  dei
punti di erogazione del servizio scolastico si provveda con  decreto,
previa intesa da raggiungere in sede di Conferenza Unificata. 
    Tale  regolamento,  tuttavia,  genera   non   poche   difficolta'
interpretative ed attuative, posto che, ai sensi del successivo  art.
2, la determinazione e la distribuzione delle dotazioni organiche tra
le Regioni doveva avvenire con  decreto,  ma  sentita  la  Conferenza
Unificata e, quindi, in  assenza  dell'intesa  alla  quale  rinviava,
invece, l'art. 1. 
    Infine, nella medesima logica di normazione statalistica  avviata
con il piu' volte ricordato art. 64 del d.-1.112/2008, il DPR  n.  22
giugno 2009, n. 119, che ha stabilito i criteri e i parametri per  la
determinazione degli organici, all'art. 2, comma 1, ha  previsto  che
la consistenza numerica complessiva dei  posti,  definita  a  livello
nazionale, venga ripartita in dotazioni regionali, tenuto conto anche
dei piani di dimensionamento delle istituzioni scolastiche. 
    Correlativamente, i commi successivi  indicano  le  modalita'  di
concreta  distribuzione  a  livello   territoriale,   temperando   la
statuizione con una disposizione cedevole  che  limitava  l'efficacia
degli anzidetti criteri di ripartizione fino all'adozione,  da  parte
delle Regioni, delle norme legislative necessarie ai sensi  dell'art.
117 della Costituzione. 
    Nella congerie  normativa  cui  si  e'  fatto  cenno  in  estrema
sintesi, codesta  ecc.ma  Corte  e'  stata  chiamata  a  pronunciarsi
proprio  in  ordine  all'individuazione  del  corretto   riparto   di
competenze tra  Stato  e  Regioni,  traendo  spunto  dalla  possibile
emanazione di un atto regolamentare di fonte statale disciplinante il
dettaglio della materia. 
    Con  la  decisione  n.  200  del  2009  ha   appunto   dichiarato
l'illegittimita' dell'art. 64 del  decreto-legge  n.  112  del  2008,
nella parte in cui demandava ad un regolamento statale i criteri  del
ridimensionamento scolastico. 
    Conseguentemente  si   e'   verificato   quell'impedimento   alla
prosecuzione  dell'attivita'  amministrativa  statale  che   non   ha
consentito l'emanazione del regolamento previsto dall'art. 1 del  DPR
n. 81/2009 ed attuativo dell'art. 64 del decreto-legge n. 112/2008. 
    Attualmente, l'art. 50, comma 1, del decreto-legge n. 5 del  2012
si inserisce nella vicenda legislativa di cui si  tratta  e,  laddove
"ri"definisce "un organico dell'autonomia", assegna a tale  locuzione
la  funzione  di  indicatore  della  sussistenza  di  quei  requisiti
essenziali del soggetto giuridico indispensabili per il conseguimento
ed  il  correlativo   riconoscimento   di   quella   differenziazione
amministrativa che trova la propria  legittimazione  nella  capacita'
autosufficiente  di  funzionamento  in  una  logica  complessiva   di
gestione ottimale delle risorse. 
    Appare del tutto  evidente  come  tale  impostazione  legislativa
diverga sostanzialmente e non sia assimilabile alla diversa  funzione
esercitata per la determinazione e  distribuzione  dell'organico  del
personale docente, di cui all'art. 2 del DPR n. 81 del 2009. 
    La definizione degli "organici dell'autonomia", ad  avviso  della
difesa  regionale,   e'   infatti   riconducibile   ad   aspetti   di
programmazione dei fabbisogni di personale  scolastico,  assumendo  a
parametro di riferimento un  arco  temporale  piu'  ampio  di  quello
annuale,  e  presenta  quel  carattere  di  stabilita'   -   peraltro
chiaramente espresso alla lettera e)  del  comma  1  in  argomento  -
strettamente correlato alla costituzione delle reti territoriali  tra
istituzioni scolastiche, per le  quali  e'  indefettibile  la  previa
intesa in sede di Conferenza unificata. 
    Ma la disposizione qui impugnata introduce  autoritativamente  un
sistema di definizione riferito non piu' esclusivamente "alla singola
istituzione  scolastica"  bensi'  alla  "rete   delle   istituzioni",
strutturata  in  base  a  criteri  e  parametri  del  dimensionamento
scolastico di cui all'articolo  1  del  DPR  n.  81  del  2009;  tali
criteri, tuttavia, non sono stati emanati  per  l'effetto  impeditivo
dispiegato dalla citata sentenza n. 200 del 2009. In  altri  termini,
lo Stato, nel disciplinare l'organico dell'autonomia, con  intervento
normativo assai discutibile quanto a  chiarezza  espositiva,  per  un
verso differenzia tra  "singola  istituzione  scolastica"  (art.  50,
comma 1, lettera b)) e "rete delle  istituzioni"(art.  50,  comma  1,
lettera c)) assoggettando la seconda e  non  la  prima  ad  un'intesa
obbligatoria da raggiungere in Conferenza Unificata; per altro verso,
dispone che alla costituzione degli organici di  entrambe  (art.  50,
comma 1, lettera e)) si possa procedere,  con  il  medesimo  decreto,
solo sentita la Conferenza Stato-Regioni, cosi' interferendo  con  il
dimensionamento  della  rete  scolastica,  e  ledendo   la   potesta'
legislativa  della  Regione  sussistente  in  detto  ambito,  seppure
connessa alla potesta' legislativa statale sul personale  scolastico,
con simultanea violazione del principio di leale cooperazione di  cui
all'art. 120 della Costituzione. 
    Infatti, nelle more dell'emanazione di una compiuta  legislazione
regionale al riguardo, lo Stato non puo' ridefinire gli organici  per
un periodo triennale, in assenza di un adeguato coinvolgimento  delle
Regioni che si  troverebbero,  in  quanto  esautorate  delle  proprie
competenze, ad esprimere un mero  parere,  ed  accettare  un  assetto
disciplinatorio con evidenti effetti compromissori e limitativi della
propria potesta' legislativa. 
    Correlativamente, laddove imposto normativamente,  il  rinvio  al
ricorso necessario allo strumento concertativo non puo' essere eluso,
non riconnettendo al mancato raggiungimento della  prescritta  intesa
alcuna conseguenza sostanziale, con cio' svuotando  l'istituto  degli
effetti che gli sono propri. 
    Sul punto, si richiama quanto affermato da codesta  ecc.ma  Corte
nelle sentenze n. 6 del 2004 e n. 303  del  2003,  laddove  e'  stato
sancito il principio che il mancato raggiungimento  della  prescritta
intesa deve necessariamente  costituire  ostacolo  insuperabile  alla
conclusione del procedimento. Nella specie, non pare  potersi  negare
che il dimensionamento scolastico produca  un  decisivo  impatto  sul
sistema regionale delle reti scolastiche, come  gia'  strutturato  in
attuazione dell'esercizio della pluralita' di funzioni conferite  dal
D.lgs. 112/1998, nonche' su una serie di funzioni regionali  relative
al  governo  del  territorio,   per   quanto   attiene   all'edilizia
scolastica, alla  formazione  professionale  ed  alla  programmazione
dell'offerta formativa. 
    Infine, si richiama il parere datato 22 febbraio 2012, rilasciato
in sede di Conferenza Unificata e concernente la legge di conversione
del decreto-legge n. 5 del 2012, nella parte in cui evidenzia che "La
norma conferma il contrasto con quanto recita la sentenza della Corte
costituzionale", vale a dire con la sentenza n. 13 del 2004, "che  ha
precisato che la funzione di programmazione della rete scolastica sul
territorio",  di  competenza  esclusiva  delle   Regioni,   "non   e'
compatibile  con  il  mantenimento  nelle  mani  dello  Stato   delle
decisioni  relative  alla  distribuzione   del   personale   tra   le
istituzioni scolastiche". 
    Per superare l'attuale incaglio legislativo, che si riverbera sul
corretto  esercizio  delle  funzioni,  sarebbe  necessario   chiarire
l'ambito  normativo  specifico  nel  quale  si  innesta  la  funzione
amministrativa. Sul punto, poiche' appare indiscutibile la competenza
statale a legiferare in materia di personale  scolastico,  docente  e
non docente,  trattandosi,  appunto,  di  personale  direttamente  ed
immediatamente dipendente dal Ministero competente, anche la funzione
concernente la ripartizione di detto personale deve permanere in capo
allo Stato, ma non puo' negarsi che debba comunque essere  assicurato
il  pieno   coinvolgimento   regionale,   attraverso   lo   strumento
dell'intesa, proprio per l'interferenza che tale profilo presenta con
quello della potesta' legislativa regionale. 
    Seppure  l'obiettivo  perseguito   dallo   Stato   consiste   nel
progressivo dimensionamento della rete scolastica, programmato in una
prospettiva di medio/lungo termine,  non  possono  da  questo  essere
adottati atti normativi che  incidano  sulle  attribuzioni  regionali
sussistenti in ordine a tale profilo, che  si  esprimono,  anche,  in
interventi finalizzati alla  riduzione  del  disagio  di  particolari
utenti, laddove tale particolare aspetto, pure presente nel  contesto
del  dimensionamento  della   rete   scolastica,   appartiene   pero'
all'ambito della  legislazione  esclusiva  regionale  in  materia  di
servizi sociali. 
    Conseguentemente, ad avviso del patrocinio regionale,  mentre  la
definizione del personale scolastico e la relativa distribuzione  tra
le  Regioni  rientra   nelle   competenze   esclusive   statali,   il
dimensionamento  della  rete  scolastica,  di   sicura   attribuzione
regionale, ovviamente non puo' e non deve determinarsi in un contesto
avulso dalle dotazioni di personale di cui si e' detto. 
    Proprio per tali considerazioni, la previsione di un mero  parere
in luogo della necessaria intesa viola l'art. 117,  IV  comma,  della
Costituzione, valutato in relazione al disposto  del  III  comma,  in
quanto lesiva delle prerogative regionali  legislative  esistenti  in
materia  di  dimensionamento  scolastico  e   di   servizi   sociali,
considerato che il mero parere non costituisce un adeguato modello di
concertazione in tale ambito. 
    Si richiama, sul punto quanto disposto all'art. 8 della  legge  5
giugno 2003, n. 131, recante "Disposizioni  per  l'adeguamento  della
Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001,  n.  3",  nella
parte in cui prevede che, nelle materie di competenza  concorrente  o
residuale,  lo  Stato  non  puo'  adottare  atti   di   indirizzo   e
coordinamento, per cui l'armonizzazione tra legislazioni e' possibile
solo attraverso intese; ma lo strumento dell'intesa riconosce proprio
quella competenza legislativa regionale che nella  fattispecie  della
norma impugnata, per converso, e' stata disconosciuta. 
Art. 53, comma 7, relativamente alla previsione dell'emanazione di un
decreto ministeriale recante le norme tecniche quadro in  materia  di
edilizia scolastica: violazione del principio di leale collaborazione
di cui all'art. 120 della Costituzione. 
    L'art. 53, rubricato "Modernizzazione del patrimonio  immobiliare
scolastico e riduzione dei consumi  e  miglioramento  dell'efficienza
degli usi finali di energia", al comma 7  prevede  l'adozione  di  un
decreto del Ministro competente, finalizzato a determinare  le  norme
tecniche-quadro,  contenenti  gli  indici   minimi   e   massimi   di
funzionalita' urbanistica, edilizia, anche riferite  alle  tecnologie
in materia di efficienza e risparmio energetico e produzione da fonti
energetiche  rinnovabili,   nonche'   didattica,   indispensabili   a
garantire indirizzi progettuali adeguati ed omogenei  sul  territorio
nazionale. 
    Anche tale decreto  dovrebbe,  pero',  essere  emanato  senza  il
necessario coinvolgimento delle Regioni, poiche' viene  richiesto  il
mero parere in  Conferenza  unificata,  e  non  viene  prescritta  la
necessaria   intesa,   in   violazione   del   principio   di   leale
collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione. 
    Ad avviso del  patrocinio  regionale,  l'edilizia  scolastica  e'
riconducibile alla materia  del  "governo  del  territorio"  al  pari
dell'edilizia privata e pubblica e come tale rientra nella competenza
concorrente  legislativa  di  cui  all'art.  117,  III  comma,  della
Costituzione. 
    Per altro verso, se si adottano criteri distintivi per tipologia,
le opere possono essere ascritte alla competenza esclusiva statale  o
regionale a seconda della titolarita'  delle  stesse,  ripartita  tra
Stato e Regione. 
    Al riguardo, codesta ecc.ma Corte, nella  decisione  n.  303  del
2003, ha per la prima volta sancito il principio secondo il  quale  i
lavori  pubblici  "non  sono  inquadrabili  in  una  materia  ma   si
qualificano a seconda dell'oggetto al quale  afferiscono  e  pertanto
possono essere ascritti di volta  in  volta  a  potesta'  legislative
esclusive dello Stato ovvero a potesta' legislative concorrenti". 
    Ne  consegue  che  la  competenza,  differenziata  in  statale  o
regionale, non riguarda la  "materia"  bensi'  l'oggetto  dei  lavori
pubblici, cioe' la tipologia dell'opera pubblica, che puo' afferire a
settori riconducibili a materie sia di competenza esclusiva  statale,
sia di competenza concorrente, sia di competenza residuale regionale. 
    Gli  assunti  che  precedono  devono  ora  essere   correttamente
rapportati ed inquadrati nella specifica normativa attualmente ancora
vigente contenuta nella legge 11 gennaio 1996, n. 23. 
    L'art. 3 di  detta  legge  individua,  quali  soggetti  giuridici
pubblici competenti alla realizzazione degli  edifici  scolastici,  i
Comuni e le Province, secondo un riparto ancorato  alla  destinazione
dell'edificio costruendo. Al riguardo,  la  Regione,  titolare  della
potesta'  legislativa  di  dettaglio  e'   altresi'   tributaria   di
specifiche funzioni amministrative, riconducibili all'alveo dell'art.
118  della  Costituzione,  di  natura  programmatoria   dell'edilizia
scolastica e consistenti nel  potere  di  adottare  piani  annuali  e
triennali, predisposti  ed  approvati  in  conformita'  alle  istanze
provenienti dagli enti territoriali minori. 
    Orbene, nella scansione procedurale alla quale si  e'  accennato,
la disposizione impugnata si configura  certamente  come  lesiva  del
principio di leale  collaborazione,  laddove  la  predisposizione  di
norme  tecniche,  anche  in  tale  settore,  interferisce  tanto  con
attribuzioni   regionali,   quanto   con   funzioni    amministrative
esercitabili dalle Regioni, atteso che l'esercizio delle funzioni  di
cui si tratta e' stato ripartito in vari livelli di governo. 
    A  tale  proposito,  la  disposizione   impugnata   prevede   una
pianificazione di livello nazionale fondata sulle indicazioni fornite
dalle  Regioni  come  contenute  ed  espresse  nella   programmazione
regionale. E poiche' la pianificazione  nazionale  richiede  l'intesa
con le Regioni, da raggiungere in sede di Conferenza Unificata, anche
la normativa tecnica dovrebbe essere  emanata  seguendo  la  medesima
procedura concertativa e utilizzando l'istituto  dell'intesa,  atteso
che la regolamentazione tecnica di dettaglio dovrebbe essere attratta
dalla  disciplina  sostanziale,  in  quanto  ad   essa   strettamente
correlata. 
    Si rammenta, al riguardo, che l'art. 5  della  legge  11  gennaio
1996, n. 23, tuttora vigente, ha superato il vaglio di codesta ecc.ma
Corte costituzionale, che con la decisione n.  381  del  1996  ne  ha
dichiarato l'illegittimita' limitatamente alla parte in  cui  trovava
applicazione anche per le Province autonome di Trento e Bolzano. 
    Detta norma, dunque, prevede che le Regioni approvino  specifiche
nonne tecniche  per  la  progettazione  esecutiva  degli  interventi,
definendo, in particolare,  indici  diversificati  in  ragione  della
specificita' dei centri storici e delle  aree  metropolitane  e,  per
l'effetto,  assegna  inequivocabilmente  alle  Regioni  funzioni  non
solamente pianificatorie ma anche di  legislazione  di  dettaglio  di
natura concretamente "tecnica". 
    Inoltre, a' termini del citato art. 5, doveva essere  emanato  un
decreto del Ministro competente, di  concerto  con  il  Ministro  dei
Lavori pubblici, tenuto conto delle  proposte  dell'Osservatorio  per
l'edilizia  scolastica,  nel  cui   seno   erano   presenti   appunto
rappresentanti delle Regioni. 
    Se la ricostruzione che precede e' condivisibile, ne consegue che
nell'adozione di linee guida tale  competenza  legislativa  non  puo'
essere disconosciuta e deve  anzi  essere  correttamente  valorizzata
attraverso il ricorso all'istituto concertativo dell'intesa. 
    La  disposizione  oggetto  del   presente   giudizio,   pur   non
dispiegando  alcuna  efficacia  abrogativa  dell'art.  5  piu'  volte
menzionato, per converso introduce  la  previsione  di  un  ulteriore
decreto  interministeriale,  per  il  quale  non  e'  contemplata  la
preventiva disamina delle proposte dell'Osservatorio  per  l'edilizia
scolastica di cui si  e'  detto,  ma  prevede  che  sia  "sentita  la
Conferenza Unificata.". 
    Orbene, la  difesa  regionale  reputa  che,  paradossalmente,  la
partecipazione collaborativa delle Regioni in sede  di  Osservatorio,
seppure secondo il riparto di competenze previgente all'attuale testo
della Carta fondamentale, fosse piu' garantista, quanto  al  rispetto
delle  prerogative  regionali  esistenti  in  materia,   dell'attuale
disciplina impugnata, che invece, sebbene sia ora vigente il Titolo V
della Costituzione modificato, pretende di ignorare,  eludendole,  le
attribuzioni regionali laddove richiede un mero  parere  espresso  in
Conferenza Unificata. 
    Per queste ragioni, si  reputa  insufficiente  tale  parere,  che
dovrebbe  essere  sostituito  con  la  piu'  corretta   ed   adeguata
previsione  della  necessaria  intesa,  da  raggiungere  in  sede  di
Conferenza Unificata. 
    Infine, anche qualora si reputasse ammissibile, in  tale  ambito,
invocare, a fondamento dell'intervento  normativo  posto  in  essere,
prevalenti ragioni di sicurezza ed incolumita' pubblica, in ogni caso
non  potrebbe  non  ritenersi  violato  il  principio   della   leale
collaborazione, di cui all'art. 120 della Costituzione,  che  postula
appunto il coinvolgimento regionale. 
    Da ultimo, in riferimento all'esercizio delle  funzioni  di  tipo
amministrativo, si rammenta che gia' con il  decreto  legislativo  n.
112 del 1998 lo Stato si era riservato la  predisposizione  di  norme
tecniche nazionali  concernenti  le  costruzioni  in  zone  sismiche,
subordinando  pero'  l'esercizio  concreto  di  tale  funzione   alla
preventiva intesa in sede di Conferenza Unificata. 
    Non si vede  pertanto  per  quale  ragione  giuridica  l'edilizia
scolastica dovrebbe rappresentare una  disciplina  con  un  grado  di
intensita' di tutela maggiore,  proprio  per  cio'  che  concerne  la
sicurezza ed incolumita' pubblica, rispetto  alla  normativa  tecnica
nazionale in materia di costruzioni in zone sismiche. 
    Poiche' l'istituto dell'intesa costituisce  una  delle  possibili
forme di attuazione del principio di leale cooperazione tra lo  Stato
e le Regioni, esso si sostanzia in una paritaria codeterminazione del
contenuto dell'atto ad essa soggetto e puo' implicare anche reiterate
trattative  volte  a  superare  le  divergenze  che   ostacolino   il
raggiungimento  di  un  accordo.  Va  da  se'  che  tale   forma   di
partecipazione, proprio  in  quanto  ispirata  a  esigenze  di  leale
cooperazione,  non  deve  condurre  a  situazioni  paralizzanti   ne'
tradursi in  una  lesione  del  principio  di  buon  andamento  della
pubblica amministrazione, sempre possibile ove il procedimento non si
concluda entro termini ragionevoli. 
    Tuttavia, come chiaramente sancito da codesta ecc.ma Corte  nella
sentenza n. 351 del 1991, tale eventualita' patologica  nell'utilizzo
dello strumento non puo' in alcun caso giustificare un  declassamento
dell'attivita'  di  codeterminazione  connessa  all'intesa,  a   mera
attivita' consultiva non vincolante. 
Art.  60,  concernente  la  proroga  del  programma  carta  acquisti:
violazione  dell'art.  117,  IV  comma,   e   dell'art.   120   della
Costituzione, in riferimento al principio di leale collaborazione. 
    L'art. 60 del decreto-legge n. 5/2012, rubricato "Sperimentazione
finalizzata alla proroga del programma carta acquisti", presenta  una
complessita' di contenuti, non agevolmente riassumibili,  si  ritiene
percio' indispensabile riportare qui di seguito il  testo  integrale,
come formulato per effetto  della  conversione  operata  dalla  legge
35/2012. 
    Si dispone: 
        "l. Al fine di favorire la diffusione della  carta  acquisti,
istituita dall'art. 81, comma 32, del decreto-legge 25  giugno  2008,
n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008,  n.
133, tra le fasce di popolazione in condizione di  maggiore  bisogno,
anche  al  fine  di  valutarne  la  possibile  generalizzazione  come
strumento  di  contrasto  alla  poverta'  assoluta,  e'  avviata  una
sperimentazione nei comuni con piu' di 250.000 abitanti. 
        2. Entro novanta giorni dalla data di entrata in  vigore  del
presente decreto,  con  decreto  del  Ministro  del  lavoro  e  delle
politiche sociali, adottato di concerto con il Ministro dell'economia
e delle finanze sono stabiliti: 
          a) i nuovi criteri di identificazione dei  beneficiari  per
il tramite dei Comuni, con riferimento ai  cittadini  italiani  e  di
altri Stati dell'Unione europea ovvero ai cittadini di  Stati  esteri
in possesso del permesso di soggiorno CE per  soggiornanti  di  lungo
periodo; 
          b) l'ammontare della  disponibilita'  sulle  singole  carte
acquisto, in funzione del nucleo familiare; 
          c)  le  modalita'  con  cui  i  comuni  adottano  la  carta
acquisti, anche attraverso l'integrazione o evoluzione del Sistema di
gestione delle agevolazioni sulle tariffe energetiche  (SGATE),  come
strumento all'interno del sistema integrato di interventi  e  servizi
sociali di cui alla legge 8 novembre 2000, n. 328; 
          d) le caratteristiche del progetto personalizzato di  presa
in  carico,  volto  al  reinserimento  lavorativo  e   all'inclusione
sociale,  anche  attraverso  il  condizionamento  del  godimento  del
beneficio alla partecipazione al progetto; 
          e) la decorrenza della sperimentazione, la cui  durata  non
puo' superare i dodici mesi; 
          f) i  flussi  informativi  da  parte  dei  Comuni  sul  cui
territorio e' attivata la sperimentazione, anche con  riferimento  ai
soggetti  individuati  come  gruppo  di  controllo  ai   fini   della
valutazione della sperimentazione stessa. 
        2-bis. I comuni, anche attraverso l'utilizzo  della  base  di
dati SGATE relativa ai soggetti gia' beneficiari del bonus gas e  del
bonus elettrico, possono,  al  fine  di  incrementare  il  numero  di
soggetti beneficiari della  carta  acquisti,  adottare  strumenti  di
comunicazione personalizzata in favore della cittadinanza. 
        3.  Per  le  risorse  necessarie  alla   sperimentazione   si
provvede, nel limite massimo di 50 milioni  di  euro,  a  valere  sul
Fondo di cui all'art. 81, comma 29, del decreto-legge 25 giugno 2008,
n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008,  n.
133, che viene corrispondentemente ridotto. 
        4. I commi 46, 47 e  48  dell'art.  2  del  decreto-legge  29
dicembre 2010, n. 225, convertito, con modificazioni, dalla legge  26
febbraio 2011, n. 10, sono abrogati". 
    Si rammenta innanzitutto, per completezza espositiva, che  l'art.
81, comma 32, del decreto-legge n. 112 del 2008, cui la  disposizione
investita dal presente ricorso fa rinvio, aveva  istituito  la  carta
acquisti, "in considerazione delle straordinarie  tensioni  cui  sono
sottoposti i prezzi dei generi alimentari e il costo  delle  bollette
energetiche, nonche' il costo per la fornitura di gas da privati,  al
fine di soccorrere  le  fasce  deboli  di  popolazione  in  stato  di
particolare  bisogno".  Ai  sensi  di  tale  disposizione,  la  carta
acquisti e' finalizzata all'acquisto di tali beni e servizi con onere
a carico dello Stato, a valere su  un  Fondo  speciale  destinato  al
soddisfacimento   delle   esigenze,   prioritariamente   di    natura
alimentare, e successivamente  anche  energetiche  e  sanitarie,  dei
cittadini meno abbienti. 
    In ordine all'art. 81, con specifico riferimento ai commi 29,  30
e da 32 a 38-bis del decreto-legge n. 112 del  2008,  codesta  ecc.ma
Corte si e' gia' pronunciata con la sentenza  10  del  2010,  con  la
quale  ha  dichiarato  non  fondate  le  questioni  di   legittimita'
costituzionale proposte dalla Regione Piemonte, dalla Regione  Emilia
Romagna e dalla Regione Liguria,  in  relazione  agli  articoli  117,
quarto e sesto comma,  118,  primo  e  secondo  comma,  e  119  della
Costituzione, ed al principio di leale collaborazione. 
    Tuttavia, appare utile richiamare, nei punti  essenziali,  talune
argomentazioni  contenute  in  tale  sentenza  che,  ad  avviso   del
patrocinio regionale, potrebbero essere utilmente applicate,  seppure
con effetti  diametralmente  opposti,  anche  alla  disposizione  qui
impugnata, atteso che quest'ultima fa espresso  richiamo  alla  norma
oggetto di giudicato costituzionale. 
    Codesta ecc.ma Corte ha distinto l'intervento finanziario di  cui
si tratta dalle altre  ipotesi  in  cui  il  legislatore  statale  ha
previsto finanziamenti vincolati in materie di competenza  regionale,
ed ha riconosciuto che le norme istitutive del Fondo  e  della  Carta
acquisti incidono nell'ambito materiale dell'assistenza e dei servizi
sociali, oggetto di competenza residuale delle regioni. 
    E' stato altresi' osservato, al riguardo, che tali norme  non  si
limitano alla mera enunciazione del proposito  di  destinare  risorse
per  una  finalita'  genericamente   indicata,   ma   prevedono   una
provvidenza  specifica  la  cui  attuazione   e'   disciplinata   nel
dettaglio. 
    A rigore, conducendo a logica  conseguenza  tali  argomentazioni,
assodato che non e' consentito allo Stato prevedere  finanziamenti  a
destinazione vincolata in ambiti di  competenza  regionale  residuale
ovvero concorrente, le norme in  allora  impugnate  avrebbero  dovuto
essere dichiarate costituzionalmente illegittime. 
    Per  contro,   la   pronuncia   emanata   non   contiene   alcuna
dichiarazione di incostituzionalita' delle norme censurate, in quanto
nell'analisi effettuata, posta a  fondamento  della  decisione,  sono
stati ritenuti determinanti ai fini della decisione gli elementi dati
dalla finalita' e  dal  contesto  in  cui  dette  norme  operano.  La
valutazione di tali elementi, secondo la sentenza de qua, in sostanza
differenzia l'intervento oggetto di sindacato costituzionale da tutti
gli altri che, precedentemente, erano  stati  sottoposti  ad  analogo
vaglio. 
    Per quanto concerne il profilo  attinente  alla  "finalita'",  e'
stato cosi' riconosciuto che  le  disposizioni  che  disciplinano  la
carta acquisti assicurano un diritto sociale, qual e' "il  diritto  a
conseguire le prestazioni imprescindibili per alleviare situazioni di
estremo bisogno - in particolare, alimentare". 
    Per  quanto  attiene  all'altro  profilo  dato  dal   "contesto",
l'intervento dello Stato e'  stato  ritenuto  ammissibile  in  quanto
avente carattere di "straordinarieta', eccezionalita' e  urgenza"  in
relazione  alla  "situazione  di  crisi  internazionale  economica  e
finanziaria che ha investito negli anni 2008 e 2009 anche  il  nostro
Paese". 
    Quindi, nel percorso argomentativo seguito dalla Corte, finalita'
e contesto caratterizzano in maniera  cosi'  stringente  l'intervento
normativo  statale  da  rendere  inevitabile  la  collocazione  della
disciplina del Fondo speciale e della carta  acquisti  nella  materia
"determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni  concernenti
i diritti civili e sociali che devono essere garantiti  su  tutto  il
territorio  nazionale"  di  competenza  statale  esclusiva  ai  sensi
dell'art. 117, secondo comma lettera m). 
    Se sono state correttamente intese le ragioni che  sorreggono  la
pronuncia di codesta ecc.ma Corte  in  riferimento  all'art.  81  del
d.-l. 112 del 2008, appare allora di tutta evidenza come le  medesime
ragioni non possano valere anche  con  riferimento  all'art.  60  del
d.-l. 9 febbraio 2012, n. 5, convertito dalla legge 4 aprile 2012, n.
35, oggetto del  presente  ricorso;  con  la  conseguenza  della  sua
illegittimita'  per  violazione  dell'art.  117,  IV   comma,   della
Costituzione, in materia di servizi sociali, e del principio di leale
collaborazione di  cui  all'art.  120  della  Costituzione  medesima,
nonche'  per  violazione  derivata,  emergente  per   effetto   della
comparazione sistematica proposta, degli articoli  118  e  119  della
Costituzione. 
    Infatti, mentre, apparentemente, l'art. 60 proroga  il  programma
carta  acquisti  avviato  con  il  d.l.  112  del  2008,   procedendo
attraverso un meccanismo  sperimentale  circoscritto  ai  comuni  con
popolazione superiore ai 250.000 abitanti, in  realta'  la  norma  si
aggancia alla disposizione che aveva istituito sia il  Fondo  che  la
carta acquisti, con un intervallo  temporale  di  ben  quattro  anni,
significativo soprattutto se valutato in riferimento a quelle ragioni
emergenziali che ne avevano legittimato l'assetto disciplinatorio. 
    Inoltre,  tale  sperimentazione  dovrebbe  essere  finalizzata  a
diffondere  la  carta  acquisti  "tra  le  fasce  di  popolazione  in
condizione  di  maggior  bisogno,  anche  al  fine  di  valutarne  la
possibile generalizzazione come strumento di contrasto alla  poverta'
assoluta" e deve avere una durata che "non  puo'  superare  i  dodici
mesi". 
    Dalla citata sentenza n. 10 del 2010, come si e' gia'  detto,  si
evince con sufficiente sicurezza che la carta acquisti e'  certamente
una prestazione sociale, destinata a persone in stato di bisogno, per
la quale lo Stato non si e' limitato a fissare il livello strutturale
e qualitativo ma ne ha disciplinato tutti gli aspetti  di  dettaglio,
benche', relativamente alla materia  dei  servizi  sociali,  sussista
un'indubitabile competenza legislativa regionale, a termini dell'art.
117, IV comma, della Costituzione. 
    Infatti, e questo e' il punto nodale, la previsione e la  diretta
erogazione di una determinata provvidenza da  parte  dello  Stato  e'
stata da codesta ecc.ma Corte ritenuta ammissibile solo "quando  cio'
sia reso imprescindibile, come nella specie, da peculiari circostanze
e situazioni, quale una fase di congiuntura economica eccezionalmente
negativa". 
    Conseguentemente, la  presenza  di  tali  "peculiari  situazioni"
sembra costituire la condizione di legittimita' costituzionale di  un
intervento diretto da parte dello Stato che investa una materia, come
nel caso di specie, di competenza regionale. 
    Pertanto,  se  e'  sulla   situazione   eccezionale   di   crisi,
riconosciuta da codesta ecc.ma Corte, che si  fonda  la  legittimita'
dell'art.  81  del  d.-l.  112/2008,  non  risulta  che  la  medesima
situazione di eccezionalita' possa  giustificare  l'emanazione  della
norma oggetto del  presente  ricorso.  Infatti,  stante  l'innegabile
lasso di tempo intercorso, seppure in un  contesto  generale  di  non
risolta crisi internazionale, tra la disposizione di cui all'art. 81,
comma 32, del d.-l. n. 112 del 2008 citato, istitutiva  del  Fondo  e
della Carta acquisti, e quella di cui all'art. 60  del  decreto-legge
n. 5/2012, non pare ammissibile la reiterazione  di  una  misura  che
aveva   trovato   la   propria   legittimazione   nell'eccezionalita'
temporalmente circoscritta. 
    Dal   tenore   letterale   della   disposizione   risulta    poi,
inequivocabilmente,  che  la  pretesa  sperimentazione,  destinata  a
cessare  decorsi  dodici  mesi,  si  pone  in  realta'   in   termini
anticipatori di quella che e' dichiaratamente  destinata  a  divenire
una  misura   strutturale,   dovendosene   valutare   "la   possibile
generalizzazione come strumento di contrasto alla poverta' assoluta".
Pertanto, per come e' congegnata, tale norma si pone gia', sin d'ora,
come lesiva  delle  competenze  residuali  regionali  in  materia  di
servizi sociali e di assistenza, ai  sensi  degli  articoli  117,  IV
comma, della Costituzione, oltre che dell'art. 118 della Costituzione
medesima. 
    Ove dunque sia accertata l'insussistenza attuale dei  presupposti
che avevano storicamente legittimato il diretto intervento statale in
un  ambito  di  competenza  residuale  regionale,  tale   competenza,
temporaneamente compressa dalle ragioni  eccezionali  di  cui  si  e'
detto, deve riespandersi pienamente. 
    Si rinvia sul punto alla copiosa giurisprudenza di codesta ecc.ma
Corte concernente i finanziamenti statali a  destinazione  vincolata.
Si richiamano, al riguardo, le numerose pronunce  di  codesto  ecc.mo
Collegio nelle quali e' stato  ribadito  il  principio  secondo  cui,
nell'ambito della Carta  fondamentale  novellata,  non  e'  di  norma
consentito  allo  Stato  prevedere   finanziamenti   a   destinazione
vincolata in ambiti di competenza regionale residuale o  concorrente,
in quanto  cio'  si  risolverebbe  in  uno  strumento  indiretto,  ma
pervasivo, di ingerenza nell'esercizio delle funzioni delle Regioni e
dei Comuni. 
    In  via  meramente  incidentale  rispetto   alle   eccezioni   di
illegittimita' sollevate con riferimento ai parametri  proposti,  per
mera completezza espositiva, si rinvia alle sentenze n. 370 del  2003
e n. 50 del 2008, con le quali e' stato affermato che il  nuovo  art.
119 della Costituzione, pur nella sua perdurante mancata  attuazione,
pone  precisi  limiti  al  legislatore  statale,  ammettendo  per  il
finanziamento  delle  normali  funzioni  regionali  l'erogazione   di
risorse senza vincoli specifici di destinazione. 
    Infine, il comma 2 dell'art. 60 viola palesemente il principio di
leale  collaborazione,  nella   parte   in   cui   non   prevede   il
coinvolgimento delle regioni nell'emanazione del decreto del Ministro
del lavoro e delle politiche sociali, da adottarsi di concerto con il
Ministro dell'Economia e delle Finanze. Anche  a  tale  proposito  si
rinvia nuovamente alla sentenza 10 del  2010,  nella  parte  in  cui,
ponendo a fondamento dell'intervento - significativamente  realizzato
con decreto-legge e in corso d'anno - le straordinarie  tensioni  cui
sono sottoposti i prezzi dei  generi  alimentari  e  il  costo  delle
bollette energetiche e  della  fornitura  di  gas  da  privati,  puo'
legittimamente indurre a ritenere che, al di fuori  degli  interventi
straordinariamente   consentiti    per    circostanze    eccezionali,
l'attivita'  istituzionale  concertativa   possa   e   debba   essere
correttamente ripresa. 
    In effetti, codesta ecc.ma Corte ha  affermato  come,  una  volta
cessata la situazione congiunturale che  ha  imposto  una  misura  di
politica sociale estesa alla diretta  erogazione  della  provvidenza,
non si possa prescindere  dagli  strumenti  di  coinvolgimento  delle
Regioni e delle Province autonome, "avendo cura  cosi'  di  garantire
anche la piena attuazione  del  principio  di  leale  collaborazione,
nell'osservanza  del  riparto   delle   competenze   definito   dalla
Costituzione". 
    In conclusione,  accertato  che  l'articolo  impugnato  e'  stato
emanato  in  assenza  di  quei  presupposti  di  straordinarieta'  ed
eccezionalita' che avevano legittimato l'emanazione dell'art. 81  del
d.-l. 112 del 2008, istitutivo del Fondo e della carta  acquisti,  la
disposizione, in quanto incidente nella materia dei  servizi  sociali
di competenza residuale regionale, viola l'art. 117, IV comma,  della
Costituzione, nonche' il principio di  leale  collaborazione  di  cui
all'art. 120 della Costituzione. 
Art. 61,  comma  3,  relativamente  alla  previsione  di  una  intesa
superabile  dal  Governo:   violazione   del   principio   di   leale
collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione e, quale  norma
interposta, dell'art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131. 
    L'art. 61, comma 3, del  decreto-legge  n.  5/2012  presenta  una
formulazione di cosi' dubbia chiarezza da  imporre  il  ricorso  alla
Consulta per ottenere quanto meno una pronuncia interpretativa  della
disposizione  nella  parte  in  cui,   eccettuati   gli   ambiti   di
attribuzione esclusiva regionale,  rende  superabili  le  intese  tra
Stato e Regioni, escludendo queste ultime dal processo normativa, con
modalita' del tutto incompatibili con  quanto  sancito  all'art.  120
della Carta fondamentale, nonche' con  quanto  previsto  dall'art.  8
della legge 5 giugno 2003, n. 131. 
    Si  fa  riferimento,  innanzitutto,  alle  numerose  pronunce  di
codesta ecc.ma Corte con le quali e' stata ripetutamente  ammessa  la
possibilita',  per  il  legislatore  statale,   di   determinare   il
coinvolgimento, nei procedimenti  di  propria  competenza,  dei  vari
soggetti  istituzionali,  alla  quale  fanno   da   contrappunto   le
statuizioni che, con pari costanza di orientamento,  hanno  ravvisato
la  lesione  delle  attribuzioni  regionali  qualora   si   verifichi
l'imposizione, nei procedimenti che si svolgono in  settori  di  loro
spettanza,  di  moduli  procedurali  che   condizionino   in   radice
l'esercizio delle attribuzioni loro costituzionalmente  riconosciute,
tanto piu' se dalla mancata intesa discenda l'esercizio di un  potere
sostitutivo dell'autorita' statale. (ex plurimis, cfr. le sentenze n.
121 del 2010, n. 24 del 2007, nn. 383 e 339 del 2005). 
    Nella  specie,  la  norma  censurata  incide  radicalmente  nella
competenza regionale concorrente  proprio  la'  dove  attribuisce  al
Consiglio dei ministri un potere sostitutivo,  nel  caso  di  mancato
raggiungimento delle necessarie intese con le Regioni. 
    Appare utile, al riguardo, richiamare in particolare la  sentenza
di codesta ecc.ma Corte n. 33 del 2011, con la quale e' stata esclusa
"la legittimita' di una disciplina che ai  fini  del  perfezionamento
dell'intesa contenga la «drastica previsione» della decisivita' della
volonta' di una sola parte, affermando, al contrario,  la  necessita'
che il contenuto dell'atto sia frutto di una codecisione paritaria  e
indicando, altresi', la necessita' di prevedere - in caso di dissenso
-  idonee  procedure  per  consentire  lo  svolgimento  di  reiterate
trattative volte a superare le divergenze". 
    Ma  v'e'  di  piu'.  Per  altro  verso,   il   comma   impugnato,
introducendo una disposizione dai connotati generici nei  presupposti
ed   oggettivamente   indifferenti   al   riparto    di    competenze
costituzionalmente  garantito,  ad  avviso  della  difesa   regionale
ripropone uno schema normativo gia' severamente valutato  da  codesta
ecc.ma Corte con la decisione n. 232 del 2011, che ha  dichiarato  la
parziale illegittimita' dell'art.  43  del  decreto-legge  31  maggio
2010, n. 78, nella parte in cui si  riferiva  anche  ai  procedimenti
amministrativi concernenti ambiti materiali  di  tipo  concorrente  e
residuale, poiche' si  trattava  di  "attribuzione  generalizzata  ed
astratta ad un  organo  statale  di  un  insieme  indifferenziato  di
funzioni  individuate  in  modo  generico  e  caratterizzate  da  una
notevole  eterogeneita'  quanto  alla   possibile   incidenza   sulle
specifiche attribuzioni di competenza". 
    Al riguardo, si condividono  i  medesimi  dubbi  di  legittimita'
costituzionale  espressi  nel  parere  datato  22  febbraio  2012   e
formulato dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome in
ordine al disegno di legge di conversione in legge del  decreto-legge
9 febbraio 2012, n. 5. Nel testo di tale parere - che si  riporta  in
parte per coglierne la poliedricita'  argomentativa  -  si  evidenzia
infatti la necessita' di abrogare la norma  oggetto  di  conversione,
proprio  perche'  "Il  comma  3  pare  di  oscura  formulazione:   fa
innanzitutto salva la competenza legislativa esclusiva delle Regioni,
facendo cosi' supporre che l'ambito  applicativo  della  disposizione
sia limitato  alle  materie  di  competenza  legislativa  concorrente
Stato-Regioni.   Il   seguito   della   disposizione   appare   assai
problematico e di dubbia costituzionalita', in quanto  disciplina  il
caso di mancato raggiungimento dell'intesa richiesta con una  o  piu'
Regioni per l'adozione di  un  atto  amministrativo  da  parte  dello
Stato;  si  prevede  la  deliberazione  motivata  del  Consiglio  dei
ministri in una serie di ipotesi ("gravi  esigenze  di  tutela  della
sicurezza, della salute, dell'ambiente o dei  beni  culturali  ovvero
per evitare un grave danno all'"erario") anche senza l'assenso  delle
Regioni interessate e non si capisce come cio' possa  avvenire,  come
pure previsto dall'inciso successivo "nel rispetto del  principio  di
leale collaborazione", nei sessanta giorni successivi  alla  scadenza
del termine per la sua adozione da parte dell'organo competente. Pare
dunque che per gravi motivi il Governo possa superare  la  prescritta
intesa attraverso una deliberazione motivata;". 
    Oscuro anche l'ultimo periodo della disposizione ove  si  prevede
che "qualora nel medesimo termine e' comunque raggiunta l'intesa", il
Consiglio  dei  Ministri  possa  deliberare  l'atto   motivando   con
esclusivo riguardo alla permanenza dell'interesse pubblico.". 
    Si consideri, sul punto, che il ricorso all'istituto  dell'intesa
con la Regione interessata e' necessario ogni qualvolta  sussista  un
intreccio delle diverse competenze tra Stato e Regione e pertanto  si
impone  la  concertazione,  in  ossequio  al   principio   di   leale
collaborazione. 
    Conseguentemente, la facolta' che la norma riconosce  al  Governo
di  superare  la  prescritta  intesa  per  ragioni  che  non   paiono
riconducibili all'art. 120 della Costituzione, vanifica  radicalmente
lo spessore  delle  attribuzioni  regionali,  negandone  le  potesta'
costituzionalmente garantite, atteso che comunque lo Stato avrebbe la
possibilita'  di  deliberare  sul  punto,  ledendo  ex  se  anche  il
principio della leale collaborazione. 
    La corretta dimensione della  lesione  cagionata  dall'intervento
della disposizione impugnata si percepisce  ancor  meglio  attraverso
un'attenta lettura sistematica dell'art. 8 della  legge  n.  131  del
2003. 
    Detto  articolo,  proprio  in  attuazione  dell'art.  120   della
Costituzione, al comma 6 prevede che "Il Governo puo'  promuovere  la
stipula di intese in sede di Conferenza Stato-Regioni o di Conferenza
unificata,  dirette  a  favorire  l'armonizzazione  delle  rispettive
legislazioni  o  il  raggiungimento  di  posizioni  unitarie   o   il
conseguimento  di  obiettivi  Comuni;  in  tale   caso   e'   esclusa
l'applicazione dei commi 3 e 4 dell'art. 3 del decreto legislativo 28
agosto 1997, n. 281.". 
    In dettaglio, il comma 3 dell'art. 3 del decreto  legislativo  n.
281  del  1997  stabilisce  che  il  Consiglio  dei  ministri   possa
provvedere  unilateralmente,  con  deliberazione   motivata,   quando
l'intesa non sia raggiunta entro trenta  giorni  dalla  prima  seduta
della Conferenza Stato-Regioni in cui l'oggetto e'  posto  all'ordine
del giorno; mentre il  comma  4  del  medesimo  art.  3  consente  al
Consiglio dei Ministri di provvedere senza la preventiva  intesa,  in
caso di motivata urgenza, purche' i provvedimenti  gia'  adottati  in
via esclusiva dallo Stato siano sottoposti all'esame della Conferenza
Stato-Regioni nei successivi quindici  giorni.  La  norma  specifica,
altresi', che il Consiglio dei Ministri e'  tenuto  ad  esaminare  le
osservazioni della Conferenza  ai  fini  di  eventuali  deliberazioni
successive. 
    Appare di tutta  evidenza  la  differente  portata  del  rapporto
collaborativo   istituzionale,   soprattutto   per   quanto   attiene
all'intensita' del vincolo procedurale che stabilisce nei due  ambiti
normativi e che si e' considerevolmente accresciuto a  seguito  della
nota modifica  del  Titolo  V  della  Costituzione.  Infatti,  mentre
l'intesa  raggiunta  nell'alveo  del  d.lgs.  n.  281  del  1997   e'
superabile dal Governo per quelle preminenti  esigenze  di  interesse
nazionale  gia'  menzionate,  l'intesa  raggiunta   in   applicazione
dell'art. 8, comma 6, della legge  n.  131  del  2003  rispecchia  il
corretto modello  della  necessaria  concertazione,  che  proprio  in
attuazione dell'art. 120  della  Costituzione  esclude  espressamente
ogni  potere  di  decisione  unilaterale  da   parte   dello   Stato,
incompatibile con l'attuale  assetto  di  competenze  legislative  ed
amministrative costituzionalmente garantite. 
    La difesa regionale e' consapevole dell'orientamento espresso  da
codesta ecc.ma Corte in una pluralita' di decisioni, tra le quali  la
sentenza n. 397 del 2006, ove ha chiarito che l'art. 120,  II  comma,
della  Costituzione  non  puo'  essere  interpretato  in  termini  di
completezza e tassativita' delle  possibili  forme  di  esercizio  di
poteri  sostitutivi,  concentrandoli  tutti  in  capo   allo   Stato.
Tuttavia, come asserito da codesta ecc.ma Corte nella pronuncia n. 43
del 2004, il principio di leale collaborazione deve trovare  puntuale
applicazione nelle  disposizioni  legislative  che  prevedono  poteri
sostitutivi, secondo i criteri e le modalita'  procedurali  delineate
dal giudice delle leggi, ed e' appunto la lesione di detti criteri  e
modalita' procedurali che  originano  le  censure  di  illegittimita'
costituzionale sollevate in riferimento alla norma impugnata. 
    Oltretutto, non si riscontra alcuna corrispondenza tra  le  gravi
esigenze sommariamente  indicate  dal  legislatore  e  la  previsione
tassativa delle ipotesi  di  cui  all'art.  120  della  Costituzione.
Infatti, se la tutela della sicurezza e della salute puo'  ricondursi
al  "pericolo  grave  per  l'incolumita'  pubblica  e  la   sicurezza
pubblica", non altrettanto puo' sostenersi in relazione  alla  tutela
dell'ambiente o dei beni culturali, che non sembrano  ascrivibili  ad
alcun ambito del precetto costituzionale di cui si tratta, cosi' come
il danno grave all'Erario  appare  difficilmente  riconducibile  alla
tutela "dell'unita' economica.". 
    La partecipazione regionale al procedimento di determinazione dei
criteri  che  vincolano  l'intesa   e'   percio'   costituzionalmente
indefettibile  e  deve  essere  effettivamente   resa,   poiche'   il
provvedimento conclusivo deve  tener  conto  dei  risultati  di  tale
partecipazione.  Laddove  tale  principio   risulti   violato,   come
affermato da codesta ecc.ma Corte nella sentenza n. 6 del  2004,  non
resta che l'impugnativa  come  ultimo  strumento  di  tutela  avverso
eventuali  prassi  applicative  che  non  risultassero  in   concreto
rispettose della doverosa leale collaborazione tra Stato e Regioni  ,
poiche' il giudice delle leggi e' tenuto a tutelare il rispetto delle
regole di  leale  collaborazione  che,  appunto,  nella  disposizione
censurata  sono  state  violate,  benche'  ammantate  da  apodittiche
dichiarazioni di formale osservanza, in  contrasto  con  la  sostanza
lesiva. 
    In conclusione, dalle sentenze nn. 378 e 339 del 2005, assunte da
codesta ecc.ma Corte in riferimento ad un'unica fattispecie complessa
concernente la nomina  del  Presidente  dell'Autorita'  Portuale,  si
estrapolano  taluni  principi,  ivi  sanciti,  che,  ad  avviso   del
patrocinio regionale, seppure in  linea  astratta  incontrovertibili,
risultano irrimediabilmente pregiudicati nel concreto  dall'art.  61,
comma 3, oggetto dell'odierna impugnazione. 
    Si  tratta  della  nozione  di  intesa  quale  atto  doveroso  di
codecisione tra Stato e Regione, non assimilabile ad un  mero  parere
non vincolante della Regione. Inoltre, laddove sussiste il potere  di
codeterminazione  tanto  dello  Stato  quanto   della   Regione,   le
rispettive  competenze  sono  poste  sullo  stesso  livello.  Infine,
1"intesa tra Stato e Regione  non  rappresenta  solo  l'esito  di  un
modello procedimentale, ma deve essere perseguita in  tutte  le  fasi
della procedura in modo serio e continuativo,  "attraverso  reiterate
trattative", allo scopo di pervenire ad una soluzione positiva  della
vicenda. 
    Orbene,  l'evidente  astrattezza  e  generalita'  del   comma   3
dell'art.  61  potrebbe  generare  effetti  applicativi   scardinanti
l'intero assetto istituzionale tra Stato e Regioni  in  ogni  settore
normativo,  eludendo  tutto   il   complesso   giurisprudenziale   di
legittimita'  intervenuto  al  riguardo.  Peraltro,   quale   sistema
alternativo teso a superare l'eventuale incaglio  nel  raggiungimento
dell'intesa a tutela dell'incomprimibile  salvaguardia  di  interessi
pubblici prevalenti, sarebbe stato utile l'inserimento, nel disposto,
di una clausola di  cedevolezza  nel  caso  di  raggiungimento  della
prescritta intesa, atteso che le trattative devono  essere  reiterate
anche a seguito della decisione unilaterale statale. 
    Si chiede, conseguentemente, a codesta ecc.ma Corte una pronuncia
interpretativa della disposizione impugnata, in ossequio al principio
di leale collaborazione consacrato nell'art. 120 della  Costituzione,
ovvero una pronuncia additiva del disposto normativo, nella parte  in
cui la delibera motivata del Consiglio dei Ministri  non  prevede  la
necessaria clausola di cedevolezza a fronte dell'intervenuta intesa. 
 
                                P.Q.M. 
 
    Chiede che codesta ecc.ma Corte costituzionale voglia  dichiarare
la illegittimita'  costituzionale  delle  seguenti  disposizioni  del
decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito in legge con legge  4
aprile 2012, n. 35, pubblicata sulla G.U.R.I.  n.  82  del  6  aprile
2012, S.O. n. 69: 
        art. 29, per violazione degli articoli 117, IV comma,  118  e
120 (in relazione al principio di leale collaborazione  tra  Stato  e
Regioni) della Costituzione; 
        art. 40, comma 1, per violazione  dell'art.  117,  IV  comma,
della Costituzione; 
        art. 41,  per  violazione  dell'art.  117,  IV  comma,  della
Costituzione; 
        art. 50, comma 1,  per  violazione  degli  articoli  117,  IV
comma, e 120 (in relazione al principio di leale  collaborazione  tra
Stato e Regioni) della Costituzione; 
        art.  53,  comma  7,  per  violazione  dell'art.  120   della
Costituzione, in relazione al principio di leale  collaborazione  tra
Stato e Regioni; 
        art. 60, per violazione degli articoli 117, IV comma,  e  120
(in relazione al  principio  di  leale  collaborazione  tra  Stato  e
Regioni) della Costituzione; 
        art. 61, comma 3, per violazione dell'art. 120 (in  relazione
al principio di leale  collaborazione  tra  Stato  e  Regioni)  della
Costituzione, e dell'art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131. 
    Si depositeranno in allegato al ricorso: 
        1. delibera della Giunta Regionale n. 869 del 22 maggio 2012,
di autorizzazione a proporre ricorso e affidamento  dell'incarico  di
patrocinio per la difesa regionale; 
        2. testo del  Programma  nazionale  di  ristrutturazione  del
settore bieticolo-saccarifero, del  19  dicembre  2006,  a  cura  del
Dipartimento  delle  Politiche  di  sviluppo  del   Ministero   delle
politiche agricole alimentari e forestali; 
        3. deliberazione della Giunta regionale del  Veneto  n.  1224
dell'8  maggio  2007,  con  l'allegato   Accordo   di   riconversione
produttiva dello stabilimento saccarifero di Porto Viro (RO); 
        - deliberazione della Giunta regionale del Veneto n. 983  del
21  aprile  2007,  con  l'allegato   Accordo   integrativo   per   la
riconversione produttiva dello stabilimento saccarifero di Porto Viro
(RO). 
    Treviso-Venezia-Roma, addi' 4 giugno 2012 
 
                    Avv. prof. Barel - Avv. Zanon 
 
 
                      Avv. Palumbo - Avv. Manzi