N. 144 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 maggio 2012
Ordinanza del 2 maggio 2012 emessa dal Tribunale di Roma nel procedimento civile promosso da Romano Gaetano contro Ministero dell'istruzione, universita' e ricerca . Istruzione pubblica - Copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento, che risultano effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre, mediante il conferimento di supplenze annuali, in attesa dell'espletamento delle procedure concorsuali per l'assunzione di personale docente di ruolo - Conseguente successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato per il perseguimento da parte dell'Amministrazione datore di lavoro di uno scopo (il contenimento della spesa pubblica) non riconducibile ad una "finalita' di politica sociale di uno Stato membro" secondo l'accezione desumibile dalla giurisprudenza della Corte di giustizia - Violazione di obblighi internazionali derivanti dal diritto comunitario. - Legge 3 maggio 1999, n. 124, art. 4, commi 1 e 11. - Costituzione, art. 117, primo comma, in relazione alla direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999.(GU n.33 del 22-8-2012 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato e pubblicato, mediante lettura integrale all'udienza del 2 maggio 2012, la seguente ordinanza nella causa in materia di lavoro, iscritta al n. 38445/10, vertente tra Romano Gaetano, elettivamente domiciliato in Palma Campania, via Querce 149, presso lo studio dell'avv. Domenico Balbi, che lo rappresenta e difende per procura a margine del ricorso introduttivo ricorrente e Ministero dell'istruzione, universita' e ricerca, in persona del legale rappresentante pro-tempore, domiciliato in Roma, via Luigi Pianciani 32 presso l'Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio, in giudizio tramite proprio funzionario resistente. Con ricorso ex art. 409 c.p.c., depositato il 25 novembre 2010, Gaetano Romano adiva questo Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, esponendo: che egli, quale collaboratore scolastico (ruolo ATA), aveva prestato attivita', in favore del Ministero dell'Istruzione, dell'Universita' e della Ricerca, in virtu' di plurimi contratti a termine per i seguenti periodi: 1) dal 20 settembre 2007 al 31 agosto 2008 presso la Direzione didattica statale di Odenzo (TV); 2) dall'8 settembre 2008 al 31 agosto 2009 presso l'Istituto Comprensivo G. Pallavicini di Roma; 3) dal 18 settembre 2009 al 30 giugno 2010 presso l'Istituto Comprensivo La Giustiniana di Roma; 4) dall'11 settembre 2010 al 30 giugno 2011 presso il Liceo Artistico A. Caravillani di Roma (supplenze annuali le prime due, poi supplenze sino al termine delle attivita' didattiche); che le assunzioni cosi disposte in successione avevano avuto la funzione di sopperire ad esigenze non transitorie bensi' strutturali e permanenti e che nei relativi contratti non erano state indicate le esigenze e le ragioni che avrebbero giustificato l'apposizione del termine; che il ricorso sistematico alle assunzioni a termine, necessario per la copertura di una rilevante quota dei posti in organico, era illecito essendo in contrasto con i principi posti dalla direttiva europea 1999/70/CE, cosi come interpretata dalla Corte di Giustizia ed attuata nell'ordinamento italiano mediante il d.lgs. 368/01. Cio' esposto, il ricorrente, sulla base di articolate considerazioni in diritto, domandava accertarsi l'illegittimita' delle clausole di apposizione del termine contenute nei contratti suddetti e condannarsi l'Amministrazione, in via principale, a convertire il rapporto in uno a tempo indeterminato a far data dalla stipula del primo contratto nonche' a corrispondergli le conseguenti differenze retributive, ovvero, in subordine, a risarcirgli il danno cagionato in misura proporzionata ed efficacemente dissuasiva. Instaurato ritualmente il contraddittorio, si costituiva in giudizio, ex art. 417-bis c.p.c., l'Amministrazione, controdeducendo in diritto ed instando per la reiezione della domanda. All'udienza odierna, all'esito della discussione, il giudice pronunciava e dava lettura della presente ordinanza di promovimento di questione di legittimita' costituzionale. 1. La disciplina legislativa delle assunzioni a tempo determinato nel settore (pubblico) della scuola si rinviene tuttora nell'art. 4 L. 124/99, che recita testualmente: «1. Alla copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento che risultino effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l'intero anno scolastico, qualora non sia possibile provvedere con il personale docente di ruolo delle dotazioni organiche provinciali o mediante l'utilizzazione del personale in soprannumero, e sempreche' ai posti medesimi non sia stato gia' assegnato a qualsiasi titolo personale di ruolo, si provvede mediante il conferimento di supplenze annuali, in attesa dell'espletamento delle procedure concorsuali per l'assunzione di personale docente di ruolo. 2. Alla copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento non vacanti che si rendano di fatto disponibili entro la data del 31 dicembre e fino al termine dell'anno scolastico si provvede mediante il conferimento di supplenze temporanee fino al termine delle attivita' didattiche. Si provvede parimenti al conferimento di supplenze temporanee fino al termine delle attivita' didattiche per la copertura delle ore di insegnamento che non concorrono a costituire cattedre o posti orario. 3. Nei casi diversi da quelli previsti ai commi 1 e 2 si provvede con supplenze temporanee. 4-5. (...) 6. Per il conferimento delle supplenze annuali e delle supplenze temporanee sino al termine delle attivita' didattiche si utilizzano le graduatorie permanenti di cui all'art. 401 del testo unico (approvato con decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297), come sostituito dal comma 6 dell'art. 1 della presente legge (graduatorie poi divenute ad esaurimento per effetto dell'art. 1, comma 605, lett. c, L. 296/06). 7-10. (...) 11. Le disposizioni di cui ai precedenti commi si applicano anche al personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA). Per il conferimento delle supplenze al personale della terza qualifica di cui all'art. 51 del contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto "Scuola", pubblicato nel supplemento ordinario n. 109 alla Gazzetta Ufficiale n. 207 del 5 settembre 1995, si utilizzano le graduatorie dei concorsi provinciali per titoli di cui all'art. 554 del testo unico. (...)». Di recente, il legislatore e' intervenuto su tale corpo normativo, aggiungendovi - con l'art. 1, comma 1, D.L. 134/09, conv. in L. 167/09 - il comma 14-bis, per affermare espressamente: «14-bis. I contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze previste dai commi 1, 2 e 3, in quanto necessari per garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo, possono trasformarsi in rapporti di lavoro a tempo indeterminato solo nel caso di immissione in ruolo, ai sensi delle disposizioni vigenti e sulla base delle graduatorie previste dalla presente legge e dall'art. 1, comma 605, lettera c), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni». Il citato art. 1, comma 605, lett. c), L. 296/06 contempla, tra l'altro, distinti piani triennali per l'assunzione a tempo indeterminato, per gli anni 2007-2009, di personale, docente e non docente, nei rispettivi contingenti di 150.000 e 20.000 unita', da verificare annualmente nella loro fattibilita', al fine di dare adeguata soluzione al fenomeno del precariato storico e di evitarne la ricostituzione, di stabilizzare e rendere piu' funzionali gli assetti scolastici, di attivare azioni tese ad abbassare l'eta' media del personale. Il medesimo art. 1 D.L. 134/09 cit., come sopra convertito, prevede ancora, al comma seguente: «2. Tenuto conto di quanto previsto dal comma 1 e al fine di assicurare la qualita' e la continuita' del servizio scolastico ed educativo, per l'anno scolastico 2009-2010 ed in deroga alle disposizioni contenute nella legge 3 maggio 1999, n. 124, e nei regolamenti attuativi relativi al conferimento delle supplenze al personale docente e al personale amministrativo, tecnico ed ausiliario, l'amministrazione scolastica assegna le supplenze per assenza temporanea dei titolari, con precedenza assoluta ed a prescindere dall'inserimento nelle graduatorie di istituto, al personale inserito nelle graduatorie ad esaurimento previste dall'art. 1, comma 605, lettera c), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni, ed al personale ATA inserito nelle graduatorie permanenti di cui all'art. 554 del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado, di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, e nelle graduatorie provinciali ad esaurimento, gia' destinatario di contratto a tempo determinato, annuale o fino al termine delle attivita' didattiche, nell'anno scolastico 2008-2009 o che abbia conseguito nel medesimo anno scolastico, attraverso le graduatorie di istituto, una supplenza di almeno centottanta giorni, che non abbia potuto stipulare per l'anno scolastico 2009-2010 la stessa tipologia di contratto per carenza di posti disponibili, non sia destinatario di un contratto a tempo indeterminato e non risulti collocato a riposo». Ancor piu' recentemente, il legislatore ha emanato le disposizioni contenute nell'art. 9 D.L. 70/11, conv. in L. 106/11, su cui, per la parte rilevante, si dira' infra sub 3. 2. Nel nostro ordinamento il d.lgs. 368/01, come integrato dalla L. 247/07, rappresenta viceversa un apparato di regole che - per dare specifica attuazione alla direttiva europea 1999/70/CE relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato (su cui infra) - mira ad evitare l'abusivo ricorso al contratto a termine. Tra tali regole quella (art. 5) che impone la conversione del rapporto in rapporto a tempo indeterminato nel caso in cui una nuova assunzione sia effettuata, senza soluzione di continuita', al termine di un primo rapporto, e quella che fissa nel termine massimo di trentasei mesi il periodo durante il quale il medesimo lavoratore possa essere impiegato in virtu' di contratti a termine. La disciplina del contratto a termine, posta dal d.lgs. 368/2001, deve ritenersi di massima applicabile anche ai rapporti alle dipendenze di pubbliche amministrazioni. L'art. 36 d.lgs. 165/01 infatti, al comma 1, ribadisce, sotto il profilo delle esigenze di personale, il principio gia' enunciato dal d.lgs. 368/01, secondo cui, di norma, il rapporto di lavoro e' a tempo indeterminato. Al successivo comma 2 esso indica, piu' restrittivamente anzi che per il settore privato, le circostanze in cui puo' farsi ricorso ad assunzioni a termine («Per rispondere ad esigenze temporanee ed eccezionali le amministrazioni pubbliche possano avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, nel rispetto delle procedure di reclutamento vigenti»). Esiste - peraltro - l'importante differenza secondo cui, in caso di violazione delle norme imperative in materia, non e' possibile la conversione in un rapporto di impiego pubblico, secondo quanto espressamente prevede l'art. 36 cit., comma 5 (nel testo da ultimo risultante per effetto delle modifiche apportate dal D.L. 78/09 conv. in L. 102/09); fermo il risarcimento del danno. Il legislatore ha quindi fatto espresso riferimento alla disciplina privatistica la quale, salvo le singole disposizioni speciali per il pubblico impiego sopra evidenziate, costituisce la normativa generale per tutti i lavoratori, a prescindere dalla natura pubblica o privata del datore di lavoro. 3. Se cosi' e' in linea di massima, il sistema scolastico pubblico sfugge a tale assimilazione. L'art. 70 comma 8 d.lgs. 165/01 («Le disposizioni del presente decreto si applicano al personale della scuola. Restano ferme le disposizioni di cui all'art. 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59 e del decreto legislativo 12 febbraio 1993, n. 35. Sono fatte salve le procedure di reclutamento del personale della scuola di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 e successive modificazioni ed integrazioni») afferma bensi', in linea generale, che le disposizioni generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche valgono anche per il personale della scuola, ma stabilisce espressamente che per tale settore continuano ad aver vigore le norme speciali sul reclutamento, che derogano ampiamente alla norma posta dal precedente art. 36, recante la disciplina speciale in materia di rapporti di lavoro "flessibili" nel pubblico impiego, e a fortiori derogano all'impianto del d.lgs. 368/01. Nei termini sopra ricostruiti, il sistema di reclutamento del personale scolastico risulta in se' compiuto, specifico e doppiamente speciale, sia rispetto al sistema delle assunzioni alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni diverse dalla scuola pubblica, sia rispetto alla normativa comune sui contratti a termine (altrimenti applicabili in via di principio a tutti i lavoratori, e quindi, residualmente, anche ai lavoratori pubblici). La disciplina di settore riguardante la scuola pubblica ha dunque natura chiusa e speciale, non presenta «lacune» logico-normative bisognose di essere colmate e non tollera «integrazioni» per via ermeneutica da parte di fonti piu' generali. Tale conclusione, che poteva essere attinta anche antecedentemente alla sua emanazione, e' ora definitivamente avallata - a mo' d'interpretazione autentica - dall'art. 9 D.L. 70/11 conv. in L. 106/11, cui si faceva sopra riferimento, che, col comma 18, ha aggiunto, all'art. 10 del d.lgs. 368/01, un comma 4-bis del seguente tenore: «4-bis. Stante quanto stabilito dalle disposizioni di cui all'art. 40, comma 1, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, all'art. 4, comma 14-bis, della legge 3 maggio 1999, n. 124, e all'art. 6, comma 5, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sono altresi' esclusi dall'applicazione del presente decreto i contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze del personale docente ed ATA, considerata la necessita' di garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo anche in caso di assenza temporanea del personale docente ed ATA con rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed anche determinato. In ogni caso non si applica l'art. 5, comma 4-bis, del presente decreto». Lo stesso art. 9 D.L. 70/11 cit. prevede, per quel che qui rileva, al comma 17, l'adozione di un "piano triennale per l'assunzione a tempo indeterminato, di personale docente, educativo ed ATA, per gli anni 2011-2013, sulla base dei posti vacanti e disponibili in ciascun anno, delle relative cessazioni del predetto personale" e degli effetti del processo di rimodulazione delle dotazioni organiche previsto dall'art. 64 D.L. 112/08 conv. in L. 133/08; cio' con l'obiettivo di garantire continuita' nella erogazione del servizio scolastico ed educativo e conferire il maggiore possibile grado di certezza nella pianificazione degli organici della scuola, nel rispetto degli obiettivi programmati di finanza pubblica e salvo il criterio di invarianza finanziaria. Che si sia di fronte ad un intervento legislativo d'interpretazione autentica, ancorche' non espressa con la relativa formula sacramentale, appare indubitabile. La volonta' del legislatore non e', palesemente, quella d'innovare l'assetto previgente delle assunzioni nella scuola pubblica, ma quello di operare - a fronte di oscillazioni giurisprudenziali sul punto - una ricognizione "autoritativa" della materia. 4. Le disposizioni di settore sopra citate, prevalenti sulla disciplina comune, non contengono prescrizioni effettive, volte a circoscrivere le ragioni poste a sostegno della clausola di apposizione del termine, ne' a limitare le proroghe e le assunzioni successive. In base alla normativa speciale sulla scuola, pertanto, e' lecito, ed anzi doveroso per le autorita' scolastiche, sulla base delle graduatorie - al fine di coprire posti vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano presumibilmente tali per tutto l'anno scolastico (supplenze annuali o su organico di diritto), ovvero posti non vacanti, di fatto disponibili entro la data del 31 dicembre e fino al termine dell'anno scolastico (supplenze temporanee fino al termine dell'anno scolastico o su organico di fatto), o ancora posti scoperti per ogni altra contingente ragione (supplenze meramente temporanee) - assumere un medesimo lavoratore, siccome collocato in una determinata posizione in graduatoria, ripetutamente da un anno all'altro, senza soluzione di continuita', senza l'indicazione delle specifiche ragioni a giustificazione del termine, per il solo fatto che vi e' un posto vacante che sara' coperto in un momento futuro indeterminato, ossia in attesa dell'espletamento di procedure concorsuali, ovvero perche' persistono stabilmente esigenze di coperture di posti di fatto liberi. In tal modo un lavoratore potrebbe, senza che cio' costituisca violazione delle norme specifiche di settore, trascorrere tutta la propria vita lavorativa quale "supplente annuale" o quale "supplente temporaneo". Cio' e' tanto vero che il legislatore del 2009 e del 2011 si e' prefisso l'obiettivo di dare adeguata soluzione al fenomeno del precariato storico e di evitarne la ricostituzione, ben consapevole che esiste un rilevantissimo numero di personale scolastico precario impiegato tuttavia, continuativamente e di fatto, da molto tempo, e dunque sostanzialmente necessario per soddisfare esigenze stabili e consolidate dell'Amministrazione. Per il settore (pubblico) della scuola non vale pertanto - in base al diritto interno - alcuna delle norme limitative dettate al fine di dare attuazione alla citata direttiva europea del 1999. 5. Tale conclusione non e' ammissibile proprio alla luce del diritto dell'Unione europea, che fissa puntuali condizioni affinche' siano tutelati gli interessi ed i diritti dei lavoratori a termine. 5.1 L'accordo quadro CES, UNICE e CEEP 28 giugno 1999 sul lavoro a tempo determinato, cui ha dato attuazione la Direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999, stabilisce il principio che gli Stati membri dell'Unione europea sono tenuti ad introdurre nelle rispettive legislazioni nazionali norme idonee a prevenire ed a sanzionare l'abuso nella successione di contratti di lavoro a tempo determinato. Come risulta dalla clausola 1, lett. b), dell'accordo quadro medesimo, suo obiettivo essenziale e', infatti, proprio quello di creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato. La clausola 5, punto 1, a tal fine stabilisce: «Per prevenire gli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri [...] dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in modo che tenga conto delle esigenze di settori e/ o categorie specifici di lavoratori, una o piu' misure relative a: a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti; b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi; c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti». 5.2 E' da dire, subito, che l'applicabilita' della direttiva europea a tutti i lavoratori indistintamente, pubblici e privati, e' affermata senza equivoci dalla Corte di Giustizia medesima (sentenza 4 luglio 2006, causa C-212/04, Adeneler). 5.3 In ordine alle misure previste sub b) e c) della clausola 5, (durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi, numero dei loro rinnovi) appare evidente l'assenza della loro previsione nella disciplina interna relativa al reclutamento del personale scolastico a tempo determinato (cfr. Tribunale Trento, sezione lavoro, ordinanza 27 settembre 2011, di rimessione di analoga questione di legittimita' costituzionale). 5.4 In ordine alla misura prevista sub a) della clausola 5 esistenza di «ragioni obiettive» che giustifichino il rinnovo dei rapporti a tempo determinato successivi), la Corte di giustizia ha precisato (sentenza Adeneler cit.; sentenza 23 aprile 2009, in cause riunite C-378/07 e 380/07, Angelidaki ed altri) che «(...) La nozione di "ragioni oggettive" dev'essere intesa nel senso che essa si riferisce a circostanze precise e concrete che contraddistinguono una determinata attivita' e, pertanto, tali da giustificare, in un simile contesto particolare, l'utilizzo di contratti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione». «Dette circostanze» - prosegue la Corte di Lussemburgo - «possono risultare segnatamente dalla particolare natura delle funzioni per l'espletamento delle quali siffatti contratti sono stati conclusi e dalle caratteristiche inerenti a queste ultime o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalita' di politica sociale di uno Stato membro (...) Per contro, una disposizione nazionale che si limiti ad autorizzare, in modo generale ed astratto attraverso una norma legislativa o regolamentare, il ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione, non soddisferebbe i criteri precisati al punto precedente (...)». Ora appare evidente, quanto meno per le supplenze annuali disposte in esecuzione dell'art. 4, comma 1 L. 124/1999 (che in questo giudizio hanno riguardato il ricorrente), che dette supplenze vengano conferite per far fronte a stabili vacanze di organico, determinate dal fatto che il numero delle unita' del personale in ruolo e' inferiore a quello dei posti previsti nell'organico medesimo. Qualora venisse apprestata una dotazione di personale effettivamente corrispondente alle posizioni in organico, le variazioni in aumento della domanda di prestazioni lavorative sul territorio, dovute alle annuali modificazioni della popolazione scolastica, potrebbero essere fronteggiate con un ricorso a forme contrattuali flessibili meramente residuale (Trib. Trento 27 settembre 2011, cit.). E' innegabile che cio' comporterebbe un possibile aggravio per la spesa pubblica, tenuto conto del rischio di possibili variazioni in diminuzione di quello stesso fabbisogno di lavoratori (per calo demografico degli studenti, o comunque per ridimensionamento, anche rispetto solo a talune aree del territorio nazionale, a qualsiasi ragione dovuto, delle iscrizioni o, all'opposto, dell'offerta formativa) e del conseguente sovradimensionamento (oneroso) dell'organico. Alla scelta del legislatore - di consentire all'Amministrazione scolastica di procedere alla copertura delle cattedre, dei posti di insegnamento e di quelli ausiliari effettivamente vacanti e disponibili mediante il conferimento di supplenze anche annuali, anziche' attraverso assunzioni in ruolo a tempo indeterminato - e' sottesa dunque, unicamente, la necessita' di contenere la spesa pubblica (onde scongiurare a priori la possibilita' di personale di ruolo «soprannumerario», ossia in esubero rispetto alle effettive esigenze del servizio scolastico). Certamente la razionalizzazione, il controllo e la riduzione della spesa pubblica costituiscono interessi generali collegati ai principi costituzionali di rispetto degli equilibri di bilancio e di buon andamento dell'azione amministrativa (ex artt. 81 e 97 Cost.). E, tuttavia, siffatte esigenze di natura economica, proprio per la loro tendenziale generalita', non caratterizzano in modo particolare il servizio scolastico, che richiede di essere gestito secondo criteri di economicita' ed efficienza -mediante un'efficace e tempestiva programmazione del fabbisogno scolastico, un'accorta gestione del turn-over di personale, un pronto ricorso alle procedure di mobilita', tutti meccanismi in grado di contenere gli oneri e garantire oculatezza di gestione -, alla pari di ogni altro servizio pubblico; e le indubbie peculiarita' del settore scolastico non appaiono tali da giustificare la totale obliterazione dei principi della legislazione europea in materia di contratti a tempo determinato. Tanto piu' se si considera che l'applicazione di questi ultimi principi inevitabilmente si riflette, aumentandolo, sul costo del lavoro, ricadente su qualunque datore (incluso, come visto, quello pubblico) destinatario della normativa restrittiva; e come tale limitato, a tutela dei maggiori valori della dignita' e liberta' del lavoro, nella sua autonomia negoziale in ordine alla conformazione della durata dei rapporti e pertanto chiamato a sopportare i connessi prevedibili oneri aggiuntivi. Ne' l'interesse di contenimento di quel costo, di «risparmio», e' di per se' riconducibile a quella finalita' di politica sociale, il cui perseguimento solo consente, secondo la Corte di giustizia, l'utilizzo di contratti a tempo determinato in successione. L'impegno preso dal legislatore, nel 2009 e nel 2011, d'implementare le assunzioni di ruolo, mediante piani triennali da adottare «all'esito di specifica sessione negoziale», non sembra tale da giustificare - in via transitoria - la disapplicazione della direttiva, giacche' trattasi di vincolo meramente programmatico, la cui attuazione e' resa incerta dall'espressa clausola di compatibilita' con i saldi di finanza pubblica e che comunque non assicura, in tempi ragionevolmente prevedibili, la riconduzione del precariato scolastico entro la cornice imposta dalla direttiva europea. 5.5 Da ultimo occorre, sul punto, ricordare che l'accordo quadro, al n. 10 del «considerando», facendo salva la possibilita' che ciascuno Stato tenga conto di «circostanze relative a particolari settori ed occupazioni», lascia - e' vero -margini per discipline ragionevolmente derogatorie rispetto ai suoi stessi principi, se giustificate da effettive peculiarita'. Alle quali sembra richiamarsi il legislatore italiano con i piu' recenti interventi legislativi, li' dove il peculiare assetto derogatorio viene appunto fondato sulla necessita' di «garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo». La Corte di Giustizia UE, nella sentenza 7 settembre 2006, causa C-53/04, Marrosu, ha tuttavia precisato che la citata clausola 5, punto 1, impone - comunque - agli Stati membri l'obbligo di introdurre nel loro ordinamento giuridico almeno una delle misure elencate nel detto punto 1, lett. a)-c), qualora non siano gia' in vigore nello Stato membro interessato disposizioni normative equivalenti, volte a prevenire in modo effettivo l'utilizzo abusivo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato. La stessa sentenza aggiunge che la facolta' di tenere in considerazione le particolari anzidette esigenze puo', viceversa, legittimare, nell'ambito dei singoli ordinamenti nazionali, reazioni sanzionatorie adeguatamente modulate e distinte per settori attivita' e/categorie di lavoratori, senza pregiudizio per la loro efficacia, come appresso si dira'. 5.6 In conclusione, l'indiscriminato e reiterato rinnovo di contratti a tempo determinato risulta, in subiecta materia, certamente difforme dal diritto europeo. Palese appare il contrasto tra quest'ultimo e la nostra disciplina interna del reclutamento del personale scolastico a tempo determinato. 6. Il contrasto tra tale normativa europea e la legislazione italiana sul lavoro precario nella scuola pubblica non puo' essere risolto - re melius perpensa - mediante la disapplicazione della fonte interna incompatibile, nella misura che appaia indispensabile per risolvere l'antinomia. I rapporti tra le fonti dell'Unione europea e le fonti interne sono da tempo ordinati dalla giurisprudenza costituzionale grazie ad una lettura dell'art. 11 cost. capace di dare un significato concreto alle «aperture» sovranazionali che la norma consente al legislatore ordinario. Sin dalla sentenza n. 170 del 1984 la Corte costituzionale ha adottato la teoria della separazione/coordinamento di due ordinamenti che rimangono formalmente distinti, giungendo, sia pure sulla base di diversi fondamenti teorici, alle medesime conclusioni offerte dalla giurisprudenza della Corte di giustizia in merito alla supremazia del diritto dell'Unione europea sul diritto interno ed al suo corollario della efficacia diretta delle fonti UE direttamente applicabili. E' dunque del tutto incontroverso che, in presenza di disposizioni interne irrimediabilmente incompatibili con fonti dell'Unione dotate di diretta efficacia, che si tratti di diritto scritto (disposizioni del Trattato, regolamenti, Carta dei diritti fondamentali) o di fonti non scritte (principi generali del diritto), e' compito del giudice (nonche', a monte, dell'amministrazione), procedere alla disapplicazione (o non applicazione) delle prime al fine di dare applicazione all'unica norma che regola la fattispecie, quella dell'Unione. Quanto alle direttive, esse, pur concepite dai redattori del Trattato come una sorta di «legge-quadro», per definizione in debito di un compiuto intervento di dettaglio da parte degli Stati membri, contengono sovente una disciplina (quantomeno parzialmente) dettagliata di determinate materie. Tale prassi (legittimata dalla Corte di Giustizia UE: cfr. sentenza 23 novembre 1977, causa 38/77, Enka) e' dovuta all'esigenza di evitare che l'azione di armonizzazione delle discipline nazionali, sede elettiva per il ricorso alle direttive medesime da parte del legislatore europeo, possa essere resa inefficace a causa dell'eccessiva latitudine dell'intervento attuativo riconosciuto agli Stati membri, in particolare qualora detta attivita' si sia indirizzata verso la disciplina di fenomeni giuridici tipicamente privatistici: di conseguenza, pur se destinate formalmente agli Stati membri, le direttive includono disposizioni che nella sostanza disciplinano, anche in maniera esclusiva, rapporti interindividuali (come, tipicamente, nella materia del lavoro). Se il testo del Trattato non attribuisce alle direttive la qualifica di atti «direttamente applicabili», riservata dall'art. 288 TFUE ai regolamenti, e' un dato consolidato che le prime siano in grado di produrre «effetti diretti», potendo essere invocate in giudizio dai privati «per opporsi a qualsiasi disposizione di diritto interno non conforme alla direttiva ovvero in quanto sono atte a definire diritti che i singoli possono far valere nei confronti di uno Stato» (sentenza Corte di Giustizia 19 gennaio 1982, causa 8/81, Becker: c.d. effetti verticali). Cio' avviene, pero', nel rispetto, ineludibile, di due condizioni: e' necessario, da un lato, che le disposizioni contenute in una direttiva risultino, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise; dall'altro, che lo Stato membro in questione non abbia adottato, entro il termine indicato dalla direttiva stessa, le necessarie disposizioni di attuazione, ovvero che detta attivita' si sia svolta in maniera non corretta (cfr., ex pluribus, la sentenza Corte di Giustizia 5 ottobre 2004, cause riunite da C-397/01 a C-403/01, Pfeiffer, in cui si legge che «risulta da una costante giurisprudenza della Corte che, in tutti i casi in cui le disposizioni di una direttiva appaiono, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, i singoli possono farle valere dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato, sia che questo non abbia recepito tempestivamente la direttiva sia che l'abbia recepita in modo non corretto»). Le disposizioni di una direttiva hanno dunque, nella ricostruzione operata dalla Corte di giustizia, la capacita' di operare come precetto normativo che, in mancanza di (corrette) norme interne di attuazione, si pone come regola della singola fattispecie. La circostanza che detto rimedio sia inteso come «reazione» ad un inadempimento da parte dello Stato membro non esclude che la direttiva operi come fonte autonoma di diritto, la quale - situandosi in un livello, nella gerarchia delle fonti, superiore alle norme interne - prevale, all'occorrenza, su norme interne incompatibili, anche di rango legislativo. Cio' avviene, e' il caso di precisarlo, anche qualora le direttive siano invocate in giudizio in rapporti di contenuto privatistico, purche' sempre nei confronti di un ente pur indirettamente riconducibile alla definizione di «Stato» accolta in questo contesto dalla Corte di giustizia (ad esempio, un'impresa pubblica: cfr. sentenza 12 luglio 1990, causa C-188/89, Foster). La Corte di giustizia ha invece ripetutamente escluso (cfr. sentenze 26 settembre 1996, causa C-168/95, Arcaro; 7 gennaio 2004, causa C-201/02, Wells) che le direttive, nonostante il loro carattere di «completezza», siano capaci di produrre effetti diretti «orizzontali» (ossia nei rapporti tra privati), ne' che siano invocabili dal potere pubblico nei confronti del privato (c.d. «effetti verticali inversi»); soccorrendo tuttavia in tali casi - di direttive non autoapplicative, o rilevanti in rapporti non direttamente verticali, ma pur sempre, per definizione, incidenti nel sistema «integrato» delle fonti, in quanto contenenti norme che godono di una posizione di primaute' rispetto a quelle nazionali - il rimedio dell'interpretazione conforme (sentenza Pfeiffer citata) ovvero quello, residuale, della responsabilita' patrimoniale dello Stato inadempiente (sentenza 25 febbraio 1999, causa C-131/97, Carbonari). Orbene, nella fattispecie di causa non ricorrono i requisiti perche' la direttiva europea in discorso spieghi effetti diretti. La Corte di giustizia ha infatti statuito (sentenze 15 aprile 2008, causa C-268/2006, Impact; Angelidaki e altri, cit.) che la clausola 5, punto 1, dell'accordo quadro non appare, sotto il profilo del suo contenuto, incondizionata e sufficientemente precisa per poter essere invocata da un singolo dinanzi ad un giudice nazionale in quanto, ai sensi di tale disposizione, rientra nel potere discrezionale degli Stati membri ricorrere, al fine di prevenire l'utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato, ad una o piu' tra le misure enunciate in tale clausola o, ancora, a norme equivalenti in vigore, purche' essi tengano conto delle esigenze di settori e/o di categorie specifici di lavoratori; nel contempo non e' possibile determinare in maniera sufficiente la protezione minima che dovrebbe comunque essere attuata in virtu' di suddetta clausola. 7. Si e' dunque a cospetto di un contrasto tra la normativa interna e una fonte europea priva di effetto diretto. La Corte di giustizia insegna che il contrasto va composto, se possibile, in via interpretativa. Il giudice nazionale, nell'applicare il diritto interno, «deve interpretare tale diritto per quanto possibile alla luce del testo e dello scopo della direttiva onde conseguire il risultato perseguito da quest'ultima (...)» (sentenze 10 aprile 1984, causa C-14/83, Von Colson Kamann; 13 novembre 1990, causa C-106/89, Marleasing; 14 luglio 1994, causa C-91/92, Faccini Dori; 23 febbraio 1999, causa C-63/97, BMW; Pfeiffer ed altri, citata). «Il principio di interpretazione conforme richiede (...) che i giudici nazionali si adoperino al meglio nei limiti della loro competenza, prendendo in considerazione il diritto interno nella sua interezza e applicando i metodi di interpretazione riconosciuti da quest'ultimo, al fine di garantire la piena effettivita' della direttiva di cui trattasi e pervenire ad una soluzione conforme alla finalita' perseguita da quest'ultima» (Pfeiffer e altri, Adeneler ed altri, citate). Tuttavia «l'obbligo per il giudice nazionale di fare riferimento al contenuto di una direttiva nell'interpretazione e nell'applicazione delle norme pertinenti del suo diritto nazionale trova i suoi limiti nei principi generali del diritto, in particolare in quelli di certezza del diritto e di non retroattivita', e non puo' servire da fondamento ad un'interpretazione contra legem del diritto nazionale» (sentenze 8 ottobre 1987, causa C-80/86, Kolpinghuis Nijmegen; 16 giugno 2005, causa C-105/03, Pupino; Adeneler e altri, citata; Impact, citata). Nella specie, il contrasto non e' rimediabile in via ermeneutica, stante il carattere chiuso e in se' esaustivo della normativa di settore da cui origina, e l'inequivoca volonta' legislativa - da ultimo ribadita con l'art. 9 D.L. 70/11 conv. in L. 106/11 - di mettere siffatta normativa al riparo da ogni «contaminazione» con regole e principi di genesi o derivazione europea. 8. Se cosi' e', la disciplina vincolante per il giudice resta quella interna, salvo il potere/dovere del medesimo di provocare su di essa il controllo della Corte costituzionale. E' pacifico infatti, nella giurisprudenza di quest'ultima, che le direttive comunitarie fungano da norme interposte, atte ad integrare il parametro per la valutazione di conformita' della legislazione interna, nazionale e regionale, al precetto di cui all'art. 117 primo comma cost. (secondo cui «La potesta' legislativa e' esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonche' dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario.»). La violazione della direttiva 1999/70/CE, alla cui illustrazione e' dedicata la narrativa che precede, ridonda pertanto in vizio di legittimita' costituzionale della fonte interna. Quest'ultima va identificata, precisamente, nell'art. 4 comma 1 e 11 L. 124/99, nella parte in cui la disposizione consente la copertura dei posti riservati al personale ATA, che risultino effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l'intero anno scolastico, mediante il conferimento di supplenze annuali, in attesa dell'espletamento delle procedure concorsuali per l'assunzione di personale di ruolo, cosi' da determinare una successione potenzialmente illimitata di contratti a tempo determinato, e comunque svincolata dall'indicazione di ragioni obiettive e/o dalla predeterminazione di una durata massima o di un numero certo di rinnovi. In questi termini deve sollevarsi, d'ufficio, questione di legittimita' costituzionale. 9. Trattasi di questione rilevante per l'esito del processo in corso, giacche' entrambi il ricorrente risulta assunto con contratti in successione (e tali devono reputarsi anche i contratti che si ripetono nel tempo con intervalli ridotti: cfr. ordinanza Corte di Giustizia 12 giugno 2008, causa C-364/07, Vassilakis), stipulati anche ai sensi dell'art. 4, comma 1 L. 124/99, per una durata complessiva di oltre trentasei mesi, e cio' in difetto di specifiche, valide ed applicabili indicazioni su durata massima dei contratti o rapporti e numero dei loro rinnovi ed in assenza di ragioni giustificatrici obiettive (che non possono risolversi in esigenze permanenti del datore di lavoro, in fabbisogni tendenzialmente immutabili o dalla durata non preventivabile). Tali assunzioni, allo stato conformi al diritto interno, muterebbero la loro qualificazione nel caso d'accoglimento della questione di legittimita' costituzionale, essendo l'intervento del giudice delle leggi qui indispensabile perche' il settore (pubblico) scolastico italiano possa trovarsi a rispettare il principio ispiratore, espresso al n. 6 del «considerando» dell'accordo quadro, secondo cui «i contratti di lavoro a tempo indeterminato rappresentano la forma comune dei rapporti di lavoro e contribuiscono alla qualita' della vita dei lavoratori interessati e a migliorare il rendimento». E' il caso di anticipare che, secondo quanto sopra accennato, l'illegittima apposizione del termine non potrebbe comportare, nel nostro ordinamento, la costituzione con una pubblica amministrazione di un rapporto a tempo indeterminato, ostandovi il disposto dell'art. 36 d.lgs. 165/01 (e, segnatamente per il settore scolastico, dell'art. 4, comma 14-bis, L. 124/99). Tuttavia, la pronuncia di accoglimento della Corte costituzionale schiuderebbe le porte alla domanda di risarcimento dei danni, proposta dal ricorrente in via subordinata rispetto alla richiesta conversione. Con la citata sentenza Adeneler, la Corte di Giustizia UE ha del resto chiarito che la sanzione della conversione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato non e' l'unico possibile mezzo di tutela che uno Stato membro puo' approntare per assicurare il raggiungimento degli obiettivi posti dalla direttiva; che e' pur necessaria l'adozione di misure dirette a prevenire e contrastare l'utilizzazione abusiva di contratti a termine in successione; che ciascuno Stato puo' dunque escludere l'effetto della conversione, purche' adotti misure concrete, proporzionate ed effettive, volte a contrastare il fenomeno dell'abusivo ricorso alle assunzioni a termine. Misure che, dunque, ben possono risolversi - lo si indica qui sin d'ora, al solo scopo di consentire alla Corte adita un'esaustiva delibazione in punto di rilevanza - nel risarcimento dei danni previsto dall'art. 36 d.lgs. 165/01, modulato in modo che al lavoratore della scuola, che sia stato illegittimamente assunto a termine e che non possa vedere accertata la natura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro, sia riconosciuto un quantum che insieme rappresenti adeguato ristoro del danno costituito dalla impossibilita' di fruire di un'occupazione stabile alle dipendenze della pubblica amministrazione, possibilita' invece attribuita ai dipendenti di aziende, private assunti a termine illegittimamente, e contemporaneamente costituisca una valida misura dissuasiva contro l'abusivo ricorso alle assunzioni a termine.
P. Q. M. Non definitivamente pronunciando: dichiara rilevante, e non manifestamente infondata, la questione di legittimita' costituzionale, che d'ufficio solleva, dell'art. 4 comma 1 e 11 L. 124/99, nella parte in cui la disposizione consente la copertura dei posti riservati al personale ATA, che risultino effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l'intero anno scolastico, mediante il conferimento di supplenze annuali, in attesa dell'espletamento delle procedure concorsuali per l'assunzione di personale di ruolo, cosi' da determinare una successione potenzialmente illimitata di contratti a tempo determinato, e comunque svincolata dall'indicazione di ragioni obiettive e/o dalla predeterminazione di una durata massima o di un numero certo di rinnovi, e cio' per contrasto con l'art. 117, primo comma Cost., in riferimento alla clausola 5, punto 1, dell'accordo quadro CES, UNICE e CEEP su lavoro a tempo determinato, alla quale ha dato attuazione la direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999; dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; sospende il processo in corso; dispone che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza, pronunciata e letta in udienza, sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri nonche' comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Roma il 2 maggio 2012 Il Giudice: Centofanti