N. 143 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 maggio 2012

Ordinanza del  2  maggio  2012  emessa  dal  Tribunale  di  Roma  nei
procedimenti civili riuniti promossi da Napolitano Carla  e  Perrella
Salvatore Vittorio contro Ministero  dell'istruzione,  universita'  e
ricerca . 
 
Istruzione pubblica  -  Copertura  delle  cattedre  e  dei  posti  di
  insegnamento, che risultano effettivamente  vacanti  e  disponibili
  entro  la  data  del  31  dicembre,  mediante  il  conferimento  di
  supplenze annuali,  in  attesa  dell'espletamento  delle  procedure
  concorsuali per  l'assunzione  di  personale  docente  di  ruolo  -
  Conseguente successione di contratti o rapporti di lavoro  a  tempo
  determinato per  il  perseguimento  da  parte  dell'Amministrazione
  datore  di  lavoro  di  uno  scopo  (il  contenimento  della  spesa
  pubblica) non riconducibile ad una "finalita' di  politica  sociale
  di  uno  Stato  membro"  secondo   l'accezione   desumibile   dalla
  giurisprudenza della Corte di giustizia -  Violazione  di  obblighi
  internazionali derivanti dal diritto comunitario. 
- Legge 3 maggio 1999, n. 124, art. 4, comma 1. 
- Costituzione, art. 117, primo comma, in  relazione  alla  direttiva
  1999/70/CE del 28 giugno 1999. 
(GU n.33 del 22-8-2012 )
 
                             IL TRIBUNALE 
 
    Ha  pronunciato  e   pubblicato,   mediante   lettura   integrale
all'udienza del 2 maggio 2012,  la  seguente  ordinanza  nelle  cause
riunite in materia di lavoro, iscritte  ai  nn.  38419/10,  38440/10,
38449/10  e  38450/10,  vertenti  tra  Napolitano  Carla  e  Perrella
Salvatore Vittorio, elettivamente domiciliati in Palma Campania,  Via
Querce n. 149, presso lo studio  dell'avv.  Domenico  Balbi,  che  li
rappresenta  e  difende   per   procura   a   margine   dei   ricorsi
introduttivi ricorrenti e Ministero  dell'Istruzione,  Universita'  e
Ricerca,  in  persona  del   legale   rappresentante   pro   tempore,
domiciliato  in  Roma,  Via  Luigi  Pianciani  32  presso   l'Ufficio
Scolastico Regionale  per  il  Lazio,  in  giudizio  tramite  proprio
funzionario  (costituito  nei  soli  giudizi  38440/10,  38449/10   e
38450/10) resistente. 
    1. Con ricorso ex art. 409 c.p.c., depositato il 25 novembre 2010
(n. 38419/10), Carla Napolitano adiva questo Tribunale,  in  funzione
di giudice del lavoro, esponendo: 
        che ella, quale docente di  scuola  secondaria  di  II  grado
(classe di concorso Tecnica dei servizi ed esercitazioni pratiche  di
sala bar C510), aveva prestato attivita',  in  favore  del  Ministero
dell'Istruzione, dell'Universita'  e  della  Ricerca,  in  virtu'  di
plurimi contratti a  termine  per  i  seguenti  periodi:  1)  dal  16
febbraio 2005 al 30.6.2005 presso l'IPSAR di Castel San Pietro  Terme
(BO); 2) dal 6 settembre 2005 al 30 giugno 2006 pr esso  il  medesimo
plesso scolastico; 3) dal 1° settembre 2006 al 30 giugno 2007  presso
il medesimo plesso scolastico; 4) dal 10 gennaio 2008  al  31  agosto
2008 presso l'ISISS di Roma Via Domizia Lucilla; 5) dal 25  settembre
2008 al 31 agosto 2009 presso l'ISISS di  Civitavecchia;  6)  dal  1º
ottobre 2009 al 31 agosto 2010 presso l'IPSAR di Velletri  [supplenze
sino  al  termine  delle  attivita'  didattiche  le  prime  tre,  poi
supplenze annuali]; 
        che le assunzioni cosi disposte in successione avevano  avuto
la  funzione  di  sopperire  ad  esigenze  non   transitorie   bensi'
strutturali e permanenti e che nei relativi contratti non erano state
indicate  le  esigenze  e  le  ragioni  che  avrebbero   giustificato
l'apposizione del termine; 
        che  il  ricorso  sistematico  alle  assunzioni  a   termine,
necessario per la copertura di  una  rilevante  quota  dei  posti  in
organico, era illecito essendo in  contrasto  con  i  principi  posti
dalla direttiva europea  1999/70/CE,  cosi  come  interpretata  dalla
Corte di Giustizia ed attuata nell'ordinamento italiano  mediante  il
d.lgs. n. 368/01. 
    Cio'  esposto,  la   ricorrente,   sulla   base   di   articolate
considerazioni  in  diritto,  domandava  accertarsi  l'illegittimita'
delle clausole di apposizione del  termine  contenute  nei  contratti
suddetti  e  condannarsi  l'Amministrazione,  in  via  principale,  a
convertire il rapporto in uno a tempo indeterminato a far data  dalla
stipula del primo contratto nonche' a corrisponderle  le  conseguenti
differenze retributive, ovvero, in subordine, a risarcirle  il  danno
cagionato in misura proporzionata ed efficacemente dissuasiva. 
    Instaurato  ritualmente  il  contraddittorio,   l'Amministrazione
scolastica restava contumace. 
    2. Con ricorso coevo, contestualmente depositato  (n.  38450/10),
Napolitano, richiamata l'esistenza dei medesimi contratti come  sopra
caratterizzati, osservava che il suo trattamento economico,  al  pari
di quello di tutto il personale precario, era rimasto  sempre  quello
del livello  iniziale  e  che  cio'  costituiva  una  violazione  del
principio  di  non  discriminazione  tra  lavoratori  a   termine   e
lavoratori a tempo indeterminato, sancito  dalla  medesima  direttiva
europea. 
    Conseguentemente, la ricorrente, previa specifica  argomentazione
in diritto, domandava accertarsi il  suo  diritto  alla  progressione
professionale   retributiva   e   condannarsi   l'Amministrazione   a
corrisponderle  le  differenze  stipendiali   maturate   in   ragione
dell'anzianita' di servizio. 
    Nel giudizio cosi' instaurato si costituiva in giudizio, ex  art.
417-bis c.p.c.,  l'Amministrazione,  controdeducendo  in  diritto  ed
instando per la reiezione della domanda. 
    3. Identiche domande, identicamente argomentate,  erano  proposte
dal  docente  Salvatore  Vittorio  Perrella,  con  ricorsi  coevi   e
contestualmente depositati (nn. 38440/10 e 38449/10). 
    Perrella esponeva, in punto di fatto, di aver  insegnato,  sempre
in virtu' di contratti a termine e per la stessa classe  di  concorso
C510, nei seguenti periodi:  1)  dal  1.9.2003  al  31.8.2004  presso
1'IPSAR di Montesarchio (BN); 2) dal 15.9.2005 al 31.8.2005 presso il
medesimo plesso scolastico e presso  1'IPSAR  di  Fiumicino;  3)  dal
27.9.2005 al 31.8.2006 presso quest'ultimo plesso scolastico; 4)  dal
15.9.2006 al 31.8.2007  presso  quest'ultimo  plesso  scolastico;  5)
dall'11.9.2007 al 31.8.2008 presso quest'ultimo plesso scolastico; 6)
dal 29.9.2008 al 31.8.2009 presso quest'ultimo plesso scolastico;  7)
dal  21.9.2009  al  31.8.2010  presso  1'IPSAR  di  Velletri   [tutte
supplenze annuali]. 
    L'amministrazione si  costituiva  in  resistenza  in  entrambi  i
giudizi. 
    4. All'udienza dell'8 novembre 2011, le cause erano  riunite  per
connessione soggettiva ed oggettiva 
    All'udienza odierna,  all'esito  della  discussione,  il  giudice
pronunciava e dava lettura della presente ordinanza  di  promovimento
di questione di legittimita' costituzionale. 
    1. La disciplina legislativa delle assunzioni a tempo determinato
nel settore (pubblico) della scuola  si  rinviene  tuttora  nell'art.
4 legge n. 124/99, che recita testualmente: 
        «1. Alla copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento
che risultino effettivamente vacanti e disponibili entro la data  del
31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali  per  l'intero  anno
scolastico, qualora non sia possibile  provvedere  con  il  personale
docente di ruolo delle dotazioni  organiche  provinciali  o  mediante
l'utilizzazione del personale in soprannumero, e sempreche' ai  posti
medesimi non sia stato gia' assegnato a qualsiasi titolo personale di
ruolo, si provvede mediante il conferimento di supplenze annuali,  in
attesa dell'espletamento delle procedure concorsuali per l'assunzione
di personale docente di ruolo. 
        2. Alla copertura delle cattedre e dei posti di  insegnamento
non vacanti che si rendano di fatto disponibili entro la data del  31
dicembre e fino al termine dell'anno scolastico si provvede  mediante
il  conferimento  di  supplenze  temporanee  fino  al  termine  delle
attivita'  didattiche.  Si  provvede  parimenti  al  conferimento  di
supplenze temporanee fino al termine delle attivita'  didattiche  per
la  copertura  delle  ore  di  insegnamento  che  non  concorrono   a
costituire cattedre o posti orario. 
        3. Nei casi diversi da quelli previsti ai  commi  1  e  2  si
provvede con supplenze temporanee. 
        4-5. (...) 
        6. Per  il  conferimento  delle  supplenze  annuali  e  delle
supplenze temporanee sino al termine delle  attivita'  didattiche  si
utilizzano le graduatorie permanenti  di  cui  all'articolo  401  del
testo unico [approvato con decreto legislativo  16  aprile  1994,  n.
297], come sostituito dal comma  6  dell'articolo  1  della  presente
legge [graduatorie poi divenute ad esaurimento per effetto  dell'art.
1 comma 605 lett. c) legge n. 296/06]. 
        7-10. (..) 
        11. Le disposizioni di cui ai precedenti commi  si  applicano
anche al personale amministrativo, tecnico ed ausiliario  (ATA).  Per
il conferimento delle supplenze al personale della terza qualifica di
cui all'articolo 51 del contratto collettivo nazionale di lavoro  del
comparto "Scuola% pubblicato nel supplemento ordinario  n.  109  alla
Gazzetta Ufficiale n. 207 del 5  settembre  1995,  si  utilizzano  le
graduatorie dei concorsi provinciali per titoli di  cui  all'articolo
554 del testo unico. 
        (...)» . 
    Di  recente,  il  legislatore  e'  intervenuto  su   tale   corpo
normativo, aggiungendovi - con l'art. 1, comma 1, D.L. 134/09,  conv.
in L. 167/09 - il comma 14-bis, per affermare espressamente: 
        «14-bis. I contratti a tempo  determinato  stipulati  per  il
conferimento delle supplenze previste dai commi 1, 2 e 3,  in  quanto
necessari  per  garantire  la  costante   erogazione   del   servizio
scolastico ed educativo, possono trasformarsi in rapporti di lavoro a
tempo indeterminato solo nel caso di immissione in  ruolo,  ai  sensi
delle disposizioni vigenti e sulla base  delle  graduatorie  previste
dalla presente legge e dall'articolo 1, comma 605, lettera c),  della
legge 27 dicembre 2006, n.296, e successive modificazioni». 
    Il citato art. 1, comma 605, lett. c), L. 296/06  contempla,  tra
l'altro,  distinti  piani  triennali   per   l'assunzione   a   tempo
indeterminato, per gli anni 2007-2009, di personale,  docente  e  non
docente, nei rispettivi contingenti di 150.000 e  20.000  unita',  da
verificare annualmente nella  loro  fattibilita',  al  fine  di  dare
adeguata soluzione al fenomeno del precariato storico e  di  evitarne
la ricostituzione, di stabilizzare  e  rendere  piu'  funzionali  gli
assetti scolastici, di attivare azioni tese ad abbassare l'eta' media
del personale docente. 
    Il medesimo art. 1  D.L.  134/09  cit.,  come  sopra  convertito,
prevede ancora, al comma seguente: 
        "2. Tenuto conto di quanto previsto dal comma 1 e al fine  di
assicurare la qualita' e la continuita' del  servizio  scolastico  ed
educativo,  per  l'anno  scolastico  2009-2010  ed  in  deroga   alle
disposizioni contenute nella  legge  3  maggio  1999,  n.124,  e  nei
regolamenti attuativi relativi al  conferimento  delle  supplenze  al
personale  docente  e  al  personale   amministrativo,   tecnico   ed
ausiliario, l'amministrazione scolastica  assegna  le  supplenze  per
assenza  temporanea  dei  titolari,  con  precedenza  assoluta  ed  a
prescindere  dall'inserimento  nelle  graduatorie  di  istituto,   al
personale  inserito  nelle  graduatorie   ad   esaurimento   previste
dall'articolo 1, comma 605, lettera c), della legge 27 dicembre 2006,
n.296, e successive modificazioni, ed al personale ATA inserito nelle
graduatorie permanenti di cui all'articolo 554 del testo unico  delle
disposizioni legislative vigenti in materia di  istruzione,  relative
alle scuole di ogni ordine e grado, di cui al decreto legislativo  16
aprile 1994, n.297, e nelle graduatorie provinciali  ad  esaurimento,
gia' destinatario di contratto a tempo determinato, annuale o fino al
termine delle attivita' didattiche, nell'anno scolastico 2008-2009  o
che abbia conseguito nel  medesimo  anno  scolastico,  attraverso  le
graduatorie di istituto, una supplenza di almeno centottanta  giorni,
che non abbia potuto stipulare per  l'anno  scolastico  2009-2010  la
stessa tipologia di contratto per carenza di posti  disponibili,  non
sia destinatario di un contratto a tempo indeterminato e non  risulti
collocato a riposo". 
    Ancor  piu'  recentemente,   il   legislatore   ha   emanato   le
disposizioni contenute nell'art. 9  D.L.  70/11,  conv.  in legge  n.
106/11, su cui, per la parte rilevante, si dira' infra sub 3. 
    2. Nel nostro ordinamento il d.lgs. 368/01, come integrato  dalla
L. 247/07, rappresenta viceversa un apparato di regole che - per dare
specifica  attuazione  alla  direttiva  europea  1999/70/CE  relativa
all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a  tempo  determinato
(su cui infra) - mira ad evitare l'abusivo  ricorso  al  contratto  a
termine. Tra tali regole quella (art. 5) che  impone  la  conversione
del rapporto in rapporto a tempo indeterminato nel caso  in  cui  una
nuova assunzione sia effettuata, senza soluzione di  continuita',  al
termine di un primo rapporto, e quella che fissa nel termine  massimo
di trentasei mesi il periodo durante il quale il medesimo  lavoratore
possa essere impiegato in virtu' di contratti a termine. 
    La disciplina del contratto a termine, posta dal d.lgs. 368/2001,
deve  ritenersi  di  massima  applicabile  anche  ai  rapporti   alle
dipendenze di pubbliche amministrazioni. 
    L'art. 36 d.lgs. n. 165/01 infatti, al comma 1, ribadisce,  sotto
il profilo delle esigenze di personale, il principio  gia'  enunciato
dal d.lgs. n. 368/01, secondo cui, di norma, il rapporto di lavoro e'
a tempo indeterminato.  Al  successivo  comma  2  esso  indica,  piu'
restrittivamente anzi che per il settore privato, le  circostanze  in
cui puo' farsi ricorso ad assunzioni a termine  ("Per  rispondere  ad
esigenze  temporanee  ed  eccezionali  le  amministrazioni  pubbliche
possano avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e
di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui
rapporti di  lavoro  subordinato  nell'impresa,  nel  rispetto  delle
procedure di reclutamento vigenti!). 
    Esiste - peraltro - l'importante differenza secondo cui, in  caso
di violazione delle norme imperative in materia, non e' possibile  la
conversione in  un  rapporto  di  impiego  pubblico,  secondo  quanto
espressamente prevede l'art. 36 cit., comma 5 (nel  testo  da  ultimo
risultante per effetto delle modifiche apportate dal D.L. 78/09 conv.
in L. 102/09); fermo il risarcimento del danno. 
    Il  legislatore  ha  quindi  fatto  espresso   riferimento   alla
disciplina privatistica  la  quale,  salvo  le  singole  disposizioni
speciali per il pubblico impiego sopra  evidenziate,  costituisce  la
normativa generale per tutti i lavoratori, a prescindere dalla natura
pubblica o privata del datore di lavoro. 
    3. Se cosi'  e'  in  linea  di  massima,  il  sistema  scolastico
pubblico sfugge a tale assimilazione. 
    L'art. 70 comma 8 d.lgs. 165/01 ("Le  disposizioni  del  presente
decreto si applicano al personale  della  scuola.  Restano  ferme  le
disposizioni di cui all'articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n.  59
e del decreto legislativo 12 febbraio 1993, n. 35. Sono  fatte  salve
le procedure di reclutamento del personale della  scuola  di  cui  al
decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 e successive modificazioni
ed  integrazioni'  afferma  bensi',  in  linea   generale,   che   le
disposizioni generali sull'ordinamento  del  lavoro  alle  dipendenze
delle amministrazioni pubbliche valgono anche per il personale  della
scuola, ma stabilisce espressamente che per tale  settore  continuano
ad aver vigore le  norme  speciali  sul  reclutamento,  che  derogano
ampiamente alla norma  posta  dal  precedente  art.  36,  recante  la
disciplina speciale in materia di rapporti di lavoro "flessibili" nel
pubblico impiego, e  a  fortiori  derogano  all'impianto  del  d.lgs.
368/01. 
    Nei termini sopra ricostruiti, il  sistema  di  reclutamento  del
personale scolastico risulta in se' compiuto, specifico e doppiamente
speciale, sia rispetto al sistema delle  assunzioni  alle  dipendenze
delle pubbliche amministrazioni diverse dalla  scuola  pubblica,  sia
rispetto alla normativa comune sui contratti  a  termine  (altrimenti
applicabili in via di principio  a  tutti  i  lavoratori,  e  quindi,
residualm ente, anche ai lavoratori pubblici). 
    La disciplina di settore riguardante la scuola pubblica ha dunque
natura chiusa e  speciale,  non  presenta  "lacune"  logico-normative
bisognose di essere colmate e  non  tollera  "integrazioni"  per  via
ermeneutica da parte di fonti piu' generali. 
    Tale   conclusione,   che    poteva    essere    attinta    anche
antecedentemente alla sua emanazione, e' ora definitivamente avallata
- a mo' d'interpretazione autentica - dall'art. 9 D.L. 70/11 conv. in
L. 106/11, cui si faceva sopra riferimento, che,  col  comma  18,  ha
aggiunto, all'art. 10 del  d.lgs.  n.  368/01,  un  comma  4-bis  del
seguente tenore: 
    "4-bis.  Stante  quanto  stabilito  dalle  disposizioni  di   cui
all'articolo 40, comma 1, della legge 27 dicembre  1997,  n.  449,  e
successive modificazioni, all'articolo 4, comma 14-bis, della legge 3
maggio  1999,  n.  124,  e  all'articolo  6,  comma  5,  del  decreto
legislativo  30  marzo  2001,   n.   165,   sono   altresi'   esclusi
dall'applicazione  del  presente  decreto   i   contratti   a   tempo
determinato  stipulati  per  il  conferimento  delle  supplenze   del
personale docente ed ATA, considerata la necessita' di  garantire  la
costante erogazione del servizio scolastico  ed  educativo  anche  in
caso di assenza temporanea del personale docente ed ATA con  rapporto
di lavoro a tempo indeterminato ed anche determinato.  In  ogni  caso
non si applica l'articolo 5, comma 4-bis, del presente decreto". 
    Lo stesso art. 9 D.L.  70/11  cit.  prevede,  per  quel  che  qui
rileva,  al  comma  17,  l'adozione  di  un  "piano   triennale   per
l'assunzione a tempo indeterminato, di personale  docente,  educativo
ed ATA, per gli anni  2011-2013,  sulla  base  dei  posti  vacanti  e
disponibili in ciascun anno, delle relative cessazioni  del  predetto
personale" e  degli  effetti  del  processo  di  rimodulazione  delle
dotazioni organiche previsto dall'articolo 64 D.L. 112/08 conv. in L.
133/08;  cio'  con  l'obiettivo  di   garantire   continuita'   nella
erogazione del  servizio  scolastico  ed  educativo  e  conferire  il
maggiore possibile  grado  di  certezza  nella  pianificazione  degli
organici della scuola, nel rispetto degli  obiettivi  programmati  di
finanza pubblica e salvo il criterio di invarianza finanziaria. 
    Che   si   sia   di   fronte   ad   un   intervento   legislativo
d'interpretazione autentica, ancorche' non espressa con  la  relativa
formula  sacramentale,   appare   indubitabile.   La   volonta'   del
legislatore  non  e',  palesemente,   quella   d'innovare   l'assetto
previgente delle assunzioni  nella  scuola  pubblica,  ma  quello  di
operare - a fronte di oscillazioni giurisprudenziali sul punto -  una
ricognizione "autoritativa" della materia. 
    4. Le disposizioni di  settore  sopra  citate,  prevalenti  sulla
disciplina comune, non contengono  prescrizioni  effettive,  volte  a
circoscrivere  le  ragioni  poste  a  sostegno  della   clausola   di
apposizione del termine, ne' a limitare le proroghe e  le  assunzioni
successive. 
    In base  alla  normativa  speciale  sulla  scuola,  pertanto,  e'
lecito, ed anzi doveroso per le  autorita'  scolastiche,  sulla  base
delle graduatorie - al fine di coprire posti  vacanti  e  disponibili
entro la data del 31 dicembre e che  rimangano  presumibilmente  tali
per tutto l'anno scolastico  (supplenze  annuali  o  su  organico  di
diritto), ovvero posti non vacanti, di  fatto  disponibili  entro  la
data  del  31  dicembre  e  fino  al  termine  dell'anno   scolastico
(supplenze temporanee fino  al  termine  dell'anno  scolastico  o  su
organico  di  fatto),  o  ancora  posti  scoperti  per   ogni   altra
contingente ragione (supplenze meramente temporanee)  -  assumere  un
medesimo lavoratore, siccome collocato in una  determinata  posizione
in graduatoria, ripetutamente da un anno all'altro,  senza  soluzione
di  continuita',  senza  l'indicazione  delle  specifiche  ragioni  a
giustificazione del termine, per il solo fatto che  vi  e'  un  posto
vacante che sara' coperto in un momento futuro  indeterminato,  ossia
in attesa dell'espletamento di procedure concorsuali, ovvero  perche'
persistono stabilmente  esigenze  di  coperture  di  posti  di  fatto
liberi. 
    In tal modo un lavoratore potrebbe, senza  che  cio'  costituisca
violazione delle norme specifiche di settore,  trascorrere  tutta  la
propria vita lavorativa quale "supplente annuale" o quale  "supplente
temporaneo". 
    Cio' e' tanto vero che il legislatore del 2009 e del 2011  si  e'
prefisso l'obiettivo di  dare  adeguata  soluzione  al  fenomeno  del
precariato storico e di evitarne la ricostituzione,  ben  consapevole
che esiste un rilevantissimo numero di personale scolastico  precario
impiegato tuttavia, continuativamente e di fatto, da molto  tempo,  e
dunque sostanzialmente necessario per soddisfare esigenze  stabili  e
consolidate dell'Amministrazione. 
    Per il settore (pubblico) della scuola non  vale  pertanto  -  in
base al diritto interno - alcuna delle norme  limitative  dettate  al
fine di dare attuazione alla citata direttiva europea del 1999. 
    5. Tale conclusione non e'  ammissibile  proprio  alla  luce  del
diritto dell'Unione europea, che fissa puntuali condizioni  affinche'
siano tutelati gli interessi ed i diritti dei lavoratori a termine. 
    5.1 L'accordo quadro CES, UNICE e CEEP  28.6.1999  sul  lavoro  a
tempo determinato, cui ha dato attuazione la Direttiva 1999/70/CE del
Consiglio del 28.6.1999, stabilisce il principio che gli Stati membri
dell'Unione  europea  sono  tenuti  ad  introdurre  nelle  rispettive
legislazioni nazionali norme  idonee  a  prevenire  ed  a  sanzionare
l'abuso nella successione di contratti di lavoro a tempo determinato. 
    Come risulta dalla clausola  1,  lett.  b),  dell'accordo  quadro
medesimo, suo obiettivo essenziale e',  infatti,  proprio  quello  di
creare un quadro normativo per la prevenzione degli  abusi  derivanti
dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro  a
tempo determinato. 
    La clausola 5, punto 1, a tal fine stabilisce: "Per prevenire gli
abusi derivanti dall'utilizzo  di  una  successione  di  contratti  o
rapporti di lavoro  a  tempo  determinato,  gli  Stati  membri  [...]
dovranno  introdurre,  in  assenza  di  norme  equivalenti   per   la
prevenzione degli abusi e in modo che tenga conto delle  esigenze  di
settori e/ o categorie specifici di lavoratori,  una  o  piu'  misure
relative a: a) ragioni obiettive per la giustificazione  del  rinnovo
dei suddetti contratti o rapporti; b) la durata  massima  totale  dei
contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi; c)  il
numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti". 
    5.2 E' da dire,  subito,  che  l'applicabilita'  della  direttiva
europea a tutti i lavoratori indistintamente, pubblici e privati,  e'
affermata senza equivoci dalla Corte di Giustizia medesima  (sentenza
4.7.2006, causa C-212/04, Adeneler). 
    5.3 In ordine alle misure previste sub b) e c) della clausola  5,
(durata massima totale dei contratti o rapporti  di  lavoro  a  tempo
determinato successivi, numero  dei  loro  rinnovi)  appare  evidente
l'assenza della loro previsione nella disciplina interna relativa  al
reclutamento del  personale  scolastico  a  tempo  determinato  (cfr.
Tribunale Trento, sezione lavoro, ordinanza 27.9.2011, di  rimessione
di analoga questione di legittimita' costituzionale). 
    5.4 In ordine alla  misura  prevista  sub  a)  della  clausola  5
(esistenza di "ragioni obiettive" che giustifichino  il  rinnovo  dei
rapporti a tempo determinato successivi), la Corte  di  giustizia  ha
precisato (sentenza  Adeneler  cit.;  sentenza  23.4.2009,  in  cause
riunite C-378/07 e 380/07, Angelidaki ed  altri)  che  "  (  ...)  La
nozione di «ragioni oggettive» dev'essere intesa nel senso  che  essa
si riferisce a circostanze precise e concrete che  contraddistinguono
una determinata attivita' e, pertanto, tali da  giustificare,  in  un
simile contesto particolare, l'utilizzo  di  contratti  di  lavoro  a
tempo determinato stipulati in successione".  "Dette  circostanze"  -
prosegue la Corte di Lussemburgo -  "possono  risultare  segnatamente
dalla particolare natura  delle  funzioni  per  l'espletamento  delle
quali siffatti contratti sono stati conclusi e dalle  caratteristiche
inerenti a queste ultime o, eventualmente, dal perseguimento  di  una
legittima finalita' di politica sociale di uno Stato membro (...) Per
contro, una disposizione nazionale che si limiti ad  autorizzare,  in
modo  generale  ed  astratto  attraverso  una  norma  legislativa   o
regolamentare, il ricorso a contratti di lavoro a  tempo  determinato
stipulati in successione, non soddisferebbe i  criteri  precisati  al
punto precedente (...)». 
    Ora  appare  evidente,  quanto  meno  per  le  supplenze  annuali
disposte in esecuzione dell'art. 4 comma 1 legge n. 124/1999 [che  in
questo  giudizio  riguardano  entrambi  i  ricorrenti],   che   dette
supplenze vengano conferite per  far  fronte  a  stabili  vacanze  di
organico, determinate dal  fatto  che  il  numero  delle  unita'  del
personale  in  ruolo  e'  inferiore  a  quello  dei  posti   previsti
nell'organico medesimo. Qualora venisse apprestata una  dotazione  di
personale effettivamente corrispondente alle posizioni  in  organico,
le variazioni in aumento della domanda di prestazioni lavorative  sul
territorio,  dovute  alle  annuali  modificazioni  della  popolazione
scolastica, potrebbero essere fronteggiate con  un  ricorso  a  forme
contrattuali flessibili meramente residuale (Trib. Trento  27.9.2011,
cit.). 
    E' innegabile che cio' comporterebbe un possibile aggravio per la
spesa pubblica, tenuto conto del rischio di possibili  variazioni  in
diminuzione di quello  stesso  fabbisogno  di  lavoratori  (per  calo
demografico degli studenti, o comunque per  ridimensionamento,  anche
rispetto solo a talune aree del  territorio  nazionale,  a  qualsiasi
ragione  dovuto,  delle  iscrizioni  o,   all'opposto,   dell'offerta
formativa)   e   del   conseguente   sovradimensionamento   (oneroso)
dell'organico. 
    Alla scelta del legislatore - di  consentire  all'Amministrazione
scolastica di procedere alla copertura delle cattedre e dei posti  di
insegnamento  effettivamente  vacanti  e  disponibili   mediante   il
conferimento  di  supplenze  anche   annuali,   anziche'   attraverso
assunzioni in ruolo  a  tempo  indeterminato  -  e'  sottesa  dunque,
unicamente, la  necessita'  di  contenere  la  spesa  pubblica  (onde
scongiurare  a  priori  la   possibilita'   di   docenti   di   ruolo
"soprannumerari", ossia in esubero rispetto alle  effettive  esigenze
del servizio scolastico). 
    Certamente la razionalizzazione,  il  controllo  e  la  riduzione
della spesa pubblica costituiscono interessi  generali  collegati  ai
principi costituzionali di rispetto degli equilibri di bilancio e  di
buon andamento dell'azione amministrativa (ex artt. 81 e  97  Cost.).
E, tuttavia, siffatte esigenze di natura economica,  proprio  per  la
loro tendenziale generalita', non caratterizzano in modo  particolare
il servizio  scolastico,  che  richiede  di  essere  gestito  secondo
criteri  di  economicita'  ed  efficienza  -mediante  un'efficace   e
tempestiva  programmazione  del  fabbisogno  scolastico,   un'accorta
gestione  del  turrt-over  di  personale,  un  pronto  ricorso   alle
procedure di mobilita', tutti meccanismi in grado  di  contenere  gli
oneri e garantire oculatezza di gestione -, alla pari di  ogni  altro
servizio pubblico; e le indubbie peculiarita' del settore  scolastico
non  appaiono  tali  da  giustificare  la  totale  obliterazione  dei
principi della legislazione europea in materia di contratti  a  tempo
determinato. 
    Tanto piu' se si considera che l'applicazione  di  questi  ultimi
principi inevitabilmente si riflette,  aumentandolo,  sul  costo  del
lavoro, ricadente su qualunque datore (incluso,  come  visto,  quello
pubblico) destinatario  della  normativa  restrittiva;  e  come  tale
limitato, a tutela dei maggiori valori della dignita' e liberta'  del
lavoro, nella sua autonomia negoziale in  ordine  alla  conformazione
della durata dei rapporti e pertanto chiamato a sopportare i connessi
prevedibili oneri aggiuntivi. 
    Ne' l'interesse di contenimento di quel costo, di "risparmio", e'
di per se' riconducibile a quella finalita' di politica  sociale,  il
cui perseguimento solo  consente,  secondo  la  Corte  di  giustizia,
l'utilizzo di contratti a tempo determinato in successione. 
    L'impegno  preso  dal  legislatore,  nel   2009   e   nel   2011,
d'implementare le assunzioni di ruolo, mediante  piani  triennali  da
adottare "all'esito di specifica sessione negoziale", non sembra tale
da giustificare - in  via  transitoria  -  la  disapplicazione  della
direttiva, giacche' trattasi di vincolo meramente  programmatico,  la
cui  attuazione   e'   resa   incerta   dall'espressa   clausola   di
compatibilita' con i saldi di finanza pubblica, e  che  comunque  non
assicura, in tempi ragionevolmente prevedibili, la  riconduzione  del
precariato  scolastico  entro  la  cornice  imposta  dalla  direttiva
europea. 
    5.5 Da ultimo occorre, sul punto, ricordare che l'accordo quadro,
al n. 10  del  "considerando",  facendo  salva  la  possibilita'  che
ciascuno Stato tenga conto di  "circostanze  relative  a  particolari
settori ed occupazioni", lascia - e' vero -  margini  per  discipline
ragionevolmente derogatorie rispetto  ai  suoi  stessi  principi,  se
giustificate da effettive peculiarita'. Alle quali sembra richiamarsi
il legislatore italiano con i piu'  recenti  interventi  legislativi,
li' dove il peculiare assetto derogatorio viene appunto fondato sulla
necessita'  di  "garantire  la  costante  erogazione   del   servizio
scolastico ed educativo". 
    La Corte di Giustizia UE, nella sentenza 7.9.2006, causa C-53/04,
Marrosu, ha tuttavia precisato che la citata  clausola  5,  punto  1,
impone - comunque - agli Stati membri  l'obbligo  di  introdurre  nel
loro ordinamento giuridico almeno una delle misure elencate nel detto
punto 1, lett. a)-c), qualora non siano gia' in  vigore  nello  Stato
membro  interessato  disposizioni  normative  equivalenti,  volte   a
prevenire in modo effettivo l'utilizzo abusivo di una successione  di
contratti di lavoro a tempo determinato. 
    La  stessa  sentenza  aggiunge  che  la  facolta'  di  tenere  in
considerazione le particolari  anzidette  esigenze  puo',  viceversa,
legittimare, nell'ambito dei singoli ordinamenti nazionali,  reazioni
sanzionatorie adeguatamente modulate e distinte per settori attivita'
e/ categorie di lavoratori, senza pregiudizio per la loro  efficacia,
come appresso si dira'. 
    5.6 In  conclusione,  l'indiscriminato  e  reiterato  rinnovo  di
contratti  a  tempo  determinato  risulta,   in   subiecta   materia,
certamente difforme dal diritto europeo. Palese appare  il  contrasto
tra quest'ultimo e la nostra disciplina interna del reclutamento  del
personale scolastico a tempo determinato. 
    6. Il contrasto tra tale  normativa  europea  e  la  legislazione
italiana sul lavoro precario nella scuola pubblica  non  puo'  essere
risolto - re melius perpensa  -  mediante  la  disapplicazione  della
fonte interna incompatibile, nella misura che  appaia  indispensabile
per risolvere l'antinomia. 
    I rapporti tra le fonti dell'Unione europea e  le  fonti  interne
sono da tempo ordinati dalla giurisprudenza costituzionale grazie  ad
una lettura dell'art. 11 Cost. capace di dare un significato concreto
alle "aperture" sovranazionali che la norma consente  al  legislatore
ordinario. Sin dalla sentenza n. 170 del 1984 la Corte Costituzionale
ha  adottato  la  teoria  della  separazione/  coordinamento  di  due
ordinamenti che rimangono formalmente distinti, giungendo,  sia  pure
sulla base di diversi fondamenti teorici, alle  medesime  conclusioni
offerte dalla giurisprudenza della Corte di giustizia in merito  alla
supremazia del diritto dell'Unione europea sul diritto interno ed  al
suo corollario della efficacia diretta delle  fonti  UE  direttamente
applicabili. 
    E'  dunque  del  tutto  incontroverso   che,   in   presenza   di
disposizioni  interne  irrimediabilmente  incompatibili   con   fonti
dell'Unione dotate di diretta efficacia, che  si  tratti  di  diritto
scritto (disposizioni del Trattato, regolamenti,  Carta  dei  diritti
fondamentali) o di fonti non scritte (principi generali del diritto),
e' compito del  giudice  (nonche',  a  monte,  dell'amministrazione),
procedere alla disapplicazione (o non applicazione)  delle  prime  al
fine di dare applicazione all'unica norma che regola la  fattispecie,
quella dell'Unione. 
    Quanto alle direttive, esse,  pur  concepite  dai  redattori  del
Trattato come una sorta di "legge-quadro", per definizione in  debito
di un compiuto intervento di dettaglio da parte degli  Stati  membri,
contengono   sovente   una   disciplina   (quantomeno   parzialmente)
dettagliata di determinate materie. Tale  prassi  (legittimata  dalla
Corte di Giustizia UE: cfr. sentenza 23.11.1977, causa  38/77,  Enka)
e' dovuta all'esigenza di evitare che Fazione di armonizzazione delle
discipline nazionali, sede elettiva per  il  ricorso  alle  direttive
medesime  da  parte  del  legislatore  europeo,  possa  essere   resa
inefficace  a   causa   dell'eccessiva   latitudine   dell'intervento
attuativo riconosciuto agli  Stati  membri,  in  particolare  qualora
detta attivita' si sia indirizzata verso la  disciplina  di  fenomeni
giuridici tipicamente privatistici: di conseguenza, pur se  destinate
formalmente agli Stati membri, le  direttive  includono  disposizioni
che nella sostanza disciplinano, anche in maniera esclusiva, rapporti
interindividuali (come, tipicamente, nella materia del lavoro). 
    Se il testo  del  Trattato  non  attribuisce  alle  direttive  la
qualifica di atti "direttamente applicabili", riservata dall'art. 288
TFUE ai regolamenti, e' un dato consolidato che  le  prime  siano  in
grado di produrre  "effetti  diretti",  potendo  essere  invocate  in
giudizio dai privati "per opporsi a qualsiasi disposizione di diritto
interno non conforme alla direttiva ovvero  in  quanto  sono  atte  a
definire diritti che i singoli possono far valere  nei  confronti  di
uno Stato" (sentenza Corte di Giustizia 19.1.1982, causa 8/81, Becker
c.d. effetti verticali). 
    Cio'  avviene,  pero',  nel   rispetto,   ineludibile,   di   due
condizioni: e' necessario, da un lato, che le disposizioni  contenute
in  una  direttiva  risultino,  dal  punto  di   vista   sostanziale,
incondizionate e sufficientemente precise; dall'altro, che  lo  Stato
membro in questione non abbia adottato,  entro  il  termine  indicato
dalla direttiva stessa, le  necessarie  disposizioni  di  attuazione,
ovvero che detta attivita' si sia  svolta  in  maniera  non  corretta
(cfr., ex pluribus, la sentenza Corte di Giustizia  5.10.2004,  cause
riunite da C-397/01 a C403/01, Pfeiffer, in cui si legge che "risulta
da una costante giurisprudenza della Corte che, in. tutti i  casi  in
cui le disposizioni di una direttiva appaiono,  dal  punto  di  vista
sostanziale, incondizionate e  sufficientemente  precise,  i  singoli
possono farle valere dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello
Stato, sia che questo non abbia recepito tempestivamente la direttiva
sia che l'abbia recepita in modo non corretto"). 
    Le  disposizioni   di   una   direttiva   hanno   dunque,   nella
ricostruzione operata dalla  Corte  di  giustizia,  la  capacita'  di
operare come precetto normativo che, in mancanza di (corrette)  norme
interne di attuazione, si pone come regola della singola fattispecie.
La circostanza che detto rimedio sia inteso  come  "reazione"  ad  un
inadempimento  da  parte  dello  Stato  membro  non  esclude  che  la
direttiva operi come fonte autonoma di diritto, la quale - situandosi
in un livello, nella gerarchia  delle  fonti,  superiore  alle  norme
interne - prevale, all'occorrenza, su  norme  interne  incompatibili,
anche di rango legislativo. Cio' avviene, e' il caso  di  precisarlo,
anche qualora le direttive siano invocate in giudizio in rapporti  di
contenuto privatistico, purche' sempre nei confronti di un  ente  pur
indirettamente riconducibile alla definizione di "Stato"  accolta  in
questo contesto dalla Corte  di  giustizia  (ad  esempio,  un'impresa
pubblica: cfr. sentenza 12.7.1990, causa C188/89, Foster). 
    La Corte di  giustizia  ha  invece  ripetutamente  escluso  (cfr.
sentenze 26.9.1996, causa C-168/95, Arcaro; 7.1.2004, causa C-201/02,
Wells)  che  le  direttive,   nonostante   il   loro   carattere   di
"completezza", siano capaci di produrre effetti diretti "orizzontali"
(ossia nei rapporti tra privati), ne' che siano invocabili dal potere
pubblico  nei  confronti  del  privato   (c.d.   "effetti   verticali
inversi"); soccorrendo tuttavia in  tali  casi  -  di  direttive  non
autoapplicative, o rilevanti in rapporti non direttamente  verticali,
ma pur sempre, per definizione,  incidenti  nel  sistema  "integrato"
delle fonti, in quanto contenenti norme che godono di  una  posizione
di   primaute'   rispetto   a   quelle   nazionali   -   il   rimedio
dell'interpretazione  conforme  (sentenza  Pfeiffer  citata)   ovvero
quello, residuale, della  responsabilita'  patrimoniale  dello  Stato
inadempiente (sentenza 25.2.1999, causa C-131/97, Carbonara) . 
    Orbene, nella fattispecie di  causa  non  ricorrono  i  requisiti
perche' la direttiva europea in discorso spieghi effetti diretti.  La
Corte di giustizia ha infatti  statuito  (sentenze  15.4.2008,  causa
C-268/2006, Impact; Angelidaki e altri,  cit.)  che  la  clausola  5,
punto 1, dell'accordo quadro non appare, sotto  il  profilo  del  suo
contenuto, incondizionata e sufficientemente precisa per poter essere
invocata da un singolo dinanzi ad un giudice nazionale in quanto,  ai
sensi di tale disposizione, rientra nel  potere  discrezionale  degli
Stati membri ricorrere, al fine di prevenire  l'utilizzo  abusivo  di
contratti di lavoro a tempo determinato, ad una o piu' tra le  misure
enunciate in tale clausola o, ancora, a norme equivalenti in  vigore,
purche' essi tengano conto delle esigenze di settori e/o di categorie
specifici di lavoratori; nel contempo non e' possibile determinare in
maniera sufficiente la protezione minima che dovrebbe comunque essere
attuata in virtu' di suddetta clausola. 
    7. Si e' dunque a cospetto  di  un  contrasto  tra  la  normativa
interna e una fonte europea priva di effetto diretto. 
    La Corte di giustizia insegna che il contrasto  va  composto,  se
possibile, in via interpretativa. 
    Il giudice nazionale, nell'applicare il  diritto  interno,  "deve
interpretare tale diritto per quanto possibile alla luce del testo  e
dello scopo della direttiva onde conseguire il  risultato  perseguito
da quest'ultima (... )" (sentenze 10.4.1984, causa C14/83, Von Colson
Kamann; 13.11.1990,  causa  C-106/89,  Marleasing;  14.7.1994,  causa
C-91/92, Faccini Dori; 23.2.1999, causa  C-63/97,  BMW;  Pfeiffer  ed
altri, citata). 
    "Il principio di interpretazione conforme richiede  (...)  che  i
giudici nazionali si  adoperino  al  meglio  nei  limiti  della  loro
competenza, prendendo in considerazione il diritto interno nella  sua
interezza e applicando i metodi di  interpretazione  riconosciuti  da
quest'ultimo, al  fine  di  garantire  la  piena  effettivita'  della
direttiva di cui trattasi e pervenire ad una soluzione conforme  alla
finalita' perseguita da quest'ultima" (Pfeiffer e altri, Adeneler  ed
altri, citate). 
    Tuttavia "l'obbligo per il giudice nazionale di fare  riferimento
al   contenuto    di    una    direttiva    nell'interpretazione    e
nell'applicazione delle norme pertinenti del  suo  diritto  nazionale
trova i suoi limiti nei principi generali del diritto, in particolare
in quelli di certezza del diritto e di non retroattivita', e non puo'
servire da fondamento ad un'interpretazione contra legem del  diritto
nazionale" (sentenze 8.10.1987, causa C-80/86, Kolpinghuis  Nijmegen;
16.6.2005, causa C-105/03, Pupino; Adeneler e altri, citata;  Impact,
citata). 
    Nella specie, il contrasto non e' rimediabile in via ermeneutica,
stante il carattere chiuso e in  se'  esaustivo  della  normativa  di
settore da cui origina, e  l'inequivoca  volonta'  legislativa  -  da
ultimo ribadita con l'art. 9 D.L. 70/11  conv.  in  L.  106/11  -  di
mettere siffatta normativa al riparo  da  ogni  "contaminazione"  con
regole e principi di genesi o derivazione europea. 
    8. Se cosi' e', la disciplina vincolante  per  il  giudice  resta
quella interna, salvo il potere/dovere del medesimo di  provocare  su
di essa il controllo della Corte costituzionale. 
    E' pacifico infatti, nella giurisprudenza di quest'ultima, che le
direttive comunitarie fungano da norme interposte, atte ad  integrare
il parametro per la valutazione  di  conformita'  della  legislazione
interna, nazionale e regionale, al precetto di cui all'art. 117 primo
comma Cost. (secondo cui "La potesta' legislativa e' esercitata dallo
Stato e dalle Regioni nel rispetto della  Costituzione,  nonche'  dei
vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario..."). 
    La violazione della direttiva 1999/70/CE, alla cui  illustrazione
e' dedicata la narrativa che precede, ridonda pertanto  in  vizio  di
legittimita' costituzionale della fonte interna. 
    Quest'ultima va identificata, precisamente, nell'art. 4  comma  1
L. 124/99, nella parte in cui la disposizione consente  la  copertura
delle  cattedre  e  dei  posti   di   insegnamento,   che   risultino
effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre  e
che rimangano prevedibilmente  tali  per  l'intero  anno  scolastico,
mediante  il   conferimento   di   supplenze   annuali,   in   attesa
dell'espletamento delle procedure  concorsuali  per  l'assunzione  di
personale docente di ruolo,  cosi'  da  determinare  una  successione
potenzialmente  illimitata  di  contratti  a  tempo  determinato,   e
comunque svincolata dall'indicazione di ragioni obiettive  e/o  dalla
predeterminazione di una durata massima  o  di  un  numero  certo  di
rinnovi. 
    In  questi  termini  deve  sollevarsi,  d'ufficio,  questione  di
legittimita' costituzionale. 
    9. Trattasi di questione rilevante per l'esito  del  processo  in
corso, giacche' entrambi i ricorrenti risultano assunti con contratti
in successione (e tali devono reputarsi  anche  i  contratti  che  si
ripetono nel tempo con intervalli ridotti: cfr.  ordinanza  Corte  di
Giustizia 12.6.2008, causa C- 364/07, Vassilakis), stipulati anche ai
sensi dell'art. 4 comma 1 L. 124/99, per una  durata  complessiva  di
oltre trentasei mesi, e cio' in  difetto  di  specifiche,  valide  ed
applicabili indicazioni su durata massima dei contratti o rapporti  e
numero dei loro rinnovi ed  in  assenza  di  ragioni  giustificatrici
obiettive (che non possono  risolversi  in  esigenze  permanenti  del
datore di lavoro, in fabbisogni tendenzialmente  immutabili  o  dalla
durata non preventivabile). 
    Tali  assunzioni,  allo  stato  conformi  al   diritto   interno,
muterebbero la loro  qualificazione  nel  caso  d'accoglimento  della
questione di legittimita' costituzionale,  essendo  l'intervento  del
giudice delle leggi qui indispensabile perche' il settore  (pubblico)
scolastico  italiano  possa  trovarsi  a  rispettare   il   principio
ispiratore, espresso al n. 6 del "considerando" dell'accordo  quadro,
secondo  cui  "i  contratti   di   lavoro   a   tempo   indeterminato
rappresentano la forma comune dei rapporti di lavoro e contribuiscono
alla qualita' della vita dei lavoratori interessati e a migliorare il
rendimento". 
    E' il caso di anticipare che,  secondo  quanto  sopra  accennato,
l'illegittima apposizione del termine non  potrebbe  comportare,  nel
nostro ordinamento, la costituzione con una pubblica  amministrazione
di un rapporto a tempo indeterminato, ostandovi il disposto dell'art.
36 D.  Lgs.  165/01  (e,  segnatamente  per  il  settore  scolastico,
dell'art. 4, comma 14-bis, L. 124/99). 
    Tuttavia, la pronuncia di accoglimento della Corte Costituzionale
schiuderebbe  le  porte  alla  domanda  di  risarcimento  dei  danni,
proposta da entrambi i ricorrenti in via  subordinata  rispetto  alla
richiesta conversione (e comunque logicamente pregiudiziale, rispetto
alla domanda di mero allineamento stipendiale contenuta  nel  secondo
dei ricorsi da ciascuno di essi proposto). 
    Con la citata sentenza Adeneler, la Corte di Giustizia UE ha  del
resto chiarito che la sanzione  della  conversione  del  contratto  a
tempo determinato in contratto a tempo indeterminato non  e'  l'unico
possibile mezzo di tutela che uno Stato membro  puo'  approntare  per
assicurare il raggiungimento degli obiettivi posti  dalla  direttiva;
che e' pur necessaria l'adozione di  misure  dirette  a  prevenire  e
contrastare  l'utilizzazione  abusiva  di  contratti  a  termine   in
successione; che ciascuno Stato puo' dunque escludere l'effetto della
conversione,  purche'  adotti  misure  concrete,   proporzionate   ed
effettive, volte a contrastare il fenomeno dell'abusivo ricorso  alle
assunzioni a termine. 
    Misure che, dunque, ben possono risolversi - lo si indica qui sin
d'ora, al solo scopo di  consentire  alla  Corte  adita  un'esaustiva
delibazione in punto  di  rilevanza  -  nel  risarcimento  dei  danni
previsto  dall'art.  36  d.lgs.  165/01,  modulato  in  modo  che  al
lavoratore della scuola, che sia  stato  illegittimamente  assunto  a
termine  e  che  non  possa  vedere  accertata  la  natura  a   tempo
indeterminato del rapporto di lavoro, sia riconosciuto un quantum che
insieme rappresenti  adeguato  ristoro  del  danno  costituito  dalla
impossibilita' di fruire di un'occupazione  stabile  alle  dipendenze
della pubblica amministrazione,  possibilita'  invece  attribuita  ai
dipendenti di aziende private assunti a termine  illegittimamente,  e
contemporaneamente costituisca una valida  misura  dissuasiva  contro
l'abusivo ricorso alle assunzioni a termine. 
 
                                P.Q.M. 
 
    Non definitivamente pronunciando: 
        dichiara  rilevante,  e  non  manifestamente  infondata,   la
questione di  legittimita'  costituzionale,  che  d'ufficio  solleva,
dell'art.  4  comma  1 legge  n. 124/99,  nella  parte  in   cui   la
disposizione consente la copertura delle  cattedre  e  dei  posti  di
insegnamento, che  risultino  effettivamente  vacanti  e  disponibili
entro la data del 31 dicembre e che  rimangano  prevedibilmente  tali
per l'intero anno scolastico, mediante il conferimento  di  supplenze
annuali, in attesa dell'espletamento delle procedure concorsuali  per
l'assunzione di personale docente di ruolo, cosi' da determinare  una
successione  potenzialmente   illimitata   di   contratti   a   tempo
determinato,  e  comunque  svincolata  dall'indicazione  di   ragioni
obiettive e/o dalla predeterminazione di una durata massima o  di  un
numero certo di rinnovi, e cio' per contrasto con  l'art.  117  primo
comma Cost., in riferimento alla clausola 5,  punto  1,  dell'accordo
quadro CES, UNICE e CEEP su lavoro a tempo determinato, alla quale ha
dato attuazione la direttiva 1999/70/CE del Consiglio del  28  giugno
1999; 
        dispone  l'immediata  trasmissione  degli  atti  alla   Corte
costituzionale; 
        sospende il processo in corso; 
        dispone che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza,
pronunciata e letta in udienza,  sia  notificata  al  Presidente  del
Consiglio dei Ministri nonche' comunicata  ai  Presidenti  delle  due
Camere del Parlamento. 
          Cosi' deciso in Roma il 2 maggio 2012 
 
                       Il Giudice: Centofanti