N. 201 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 febbraio 2012

Ordinanza del 25 febbraio 2012 emessa dal  Tribunale  di  Verona  nel
procedimento penale a carico di Augussori Luigi ed altri 35. 
 
Legge  e  atti  equiparati  -  Decreto  legislativo  modificativo  di
  precedente decreto  legislativo  recante  disposizioni  legislative
  anteriori al 1° gennaio 1970 di cui si  ritiene  indispensabile  la
  permanenza in vigore -  Previsione  che  sia  espunto  dalle  norme
  mantenute in vigore il decreto legislativo 14 febbraio 1948, n.  43
  (Divieto delle associazioni di carattere militare)  -  Mancanza  di
  una valida delega - Contrasto con il  principio  della  riserva  di
  legge. 
- Decreto legislativo 13 dicembre 2010, n. 213, art. 1. 
- Costituzione, artt. 18, 25 e 76. 
In via subordinata: Legge e atti equiparati -  Semplificazione  della
  legislazione  -  Delega  al  Governo  per  l'adozione  di   decreti
  legislativi che individuino  le  disposizioni  legislative  statali
  delle quali si ritiene indispensabile la  permanenza  in  vigore  -
  Mancanza di una  valida  delega  per  genericita'  dei  principi  e
  criteri direttivi e assenza di indicazione di oggetti definiti. 
- Legge 28 novembre 2005, n. 246, art. 14, commi 18 e 14. 
- Costituzione, art. 76. 
In via conseguenziale: Legge  e  atti  equiparati  -  Semplificazione
  della legislazione - Delega al Governo per  l'adozione  di  decreti
  legislativi che individuino  le  disposizioni  legislative  statali
  delle quali si ritiene indispensabile la  permanenza  in  vigore  -
  Abrogazione con decreto  legislativo  del  decreto  legislativo  14
  febbraio 1948, n.  43  (Divieto  delle  associazioni  di  carattere
  militare) - Mancanza di  una  valida  delega  -  Contrasto  con  il
  principio della riserva di legge. 
- Decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, art. 2268,  comma  1,  n.
  297. 
- Costituzione, artt. 18, 25 e 76. 
In via subordinata: Legge e atti equiparati -  Semplificazione  della
  legislazione  -  Delega  al  Governo  per  l'adozione  di   decreti
  legislativi che individuino  le  disposizioni  legislative  statali
  delle quali si ritiene indispensabile la  permanenza  in  vigore  -
  Mancanza di una  valida  delega  per  genericita'  dei  principi  e
  criteri direttivi e assenza di indicazione di oggetti definiti. 
- Legge 28 novembre 2005, n. 246, art. 14, comma 14. 
- Costituzione, art. 76. 
(GU n.39 del 3-10-2012 )
 
                            IL TRIBUNALE 
 
I. Premesse ricostruttive dell'iter processuale. 
    Premesso che: 
        questo  collegio   e'   investito   della   trattazione   del
procedimento a carico di Augussori + 35, ai quali  e'  contestata  la
violazione dell'art. 3 del decreto legislativo 14 febbraio 1948 n. 43
in  riferimento  all'azione  dell'associazione  denominata   «Camicie
verdi», poi confluita nell'associazione denominata «Guardia Nazionale
Padana»; 
        questo collegio in data 10 dicembre 2010, accertato  che  con
l'art. 2268 del decreto legislativo n. 66 del 15 marzo 2010 era stato
abrogato predetto art. 3 del decreto legislativo 14 febbraio 1948  n.
43, ha ritenuto che cio' fosse avvenuto  in  totale  assenza  di  una
valida delega  al  Governo  per  realizzare  quell'abrogazione  e  ha
sollevato questione di legittimita' costituzionale; 
        dopo tre giorni dalla proposizione  di  quella  questione  il
Governo, con altro decreto legislativo, il n.  213  del  13  dicembre
2010, ha di nuovo abrogato il predetto art. 3 del decreto legislativo
14 febbraio  1948  n.  43,  espungendo  la  norma  dall'elenco  delle
disposizioni  che  lo  stesso  Governo,  con  il  precedente  decreto
legislativo n.  179  del  2009,  aveva  espressamente  deliberato  di
mantenere in vigore; 
        in conseguenza  di  questa  sopravvenuta  nuova  ed  autonoma
abrogazione dell'art. 3 del decreto legislativo 14 febbraio  1948  n.
43 la Corte costituzionale ha restituito gli atti a  questo  collegio
affinche' sia valutato se la questione proposta mantenga rilievo; 
        questo  collegio,  per  le   ragioni   che   saranno   meglio
esplicitate sotto, ha ritenuto che anche con questo nuovo  intervento
legislativo il Governo  abbia  operato  senza  averne  il  potere  e,
pertanto, che anche il decreto legislativo 213 del 2010  sia  affetto
da manifesta e evidente illegittimita' costituzionale; 
        va  da  se'  che,  una  volta   dichiarata   l'illegittimita'
costituzionale del decreto legislativo 213 del 2010, nella  parte  in
cui modifica il decreto legislativo 179 del 2009 espungendo  ex  post
dalle norme mantenute in vigore l'art. 3 del decreto  legislativo  14
febbraio1948  n.  43,  tornera'  ad  essere  rilevante   l'originaria
questione  di  legittimita'  gia'  proposta  -  e  che   qui   andra'
risollevata - dell'art. 2268 del decreto legislativo  n.  66  del  15
marzo 2010, nella parte in cui, anch'esso, ha  abrogato  il  predetto
art. 3 del decreto legislativo 14 febbraio 1948 n. 43. 
II. La manifesta illegittimita' dell'intervento governativo di cui al
decreto legislativo 213 del 2010 di modifica del decreto  legislativo
179 del 2009. 
    Come  e'  noto,  con  la  legge  28  novembre  2005,  n.  246  il
legislatore, all'art.  14,  comma  14,  nell'ambito  di  un  progetto
complessivo di semplificazione  del  tessuto  normativo  vigente,  ha
delegato il governo "ad adottare, con le modalita' di cui all'art. 20
della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, decreti
legislativi che  individuano  le  disposizioni  legislative  statali,
pubblicate anteriormente al 1° gennaio 1970, anche se modificate  con
provvedimenti successivi, delle quali si  ritiene  indispensabile  la
permanenza in vigore»; stabilendo, al successivo  comma  14-ter,  che
"decorso un anno dalla scadenza del  termine  di  cui  al  comma  14,
ovvero del maggior termine previsto dall'ultimo periodo del comma 22,
tutte le disposizioni legislative statali non  comprese  nei  decreti
legislativi di cui al comma 14, anche se modificate con provvedimenti
successivi, sono abrogate". 
    Costituendo quest'ultima una delega  al  Governo  ad  individuare
quali previsioni normative mantenere  in  vigore  e  quali  destinare
all'effetto abrogativo, il legislatore ha dovuto necessariamente,  in
forza dell'art. 76 Cost.,  fissare  un  termine  per  l'esercizio  di
quella delega e dettare i  "principi  e  criteri  direttivi"  che  il
Governo avrebbe dovuto seguire nell'opera di selezione delle norme da
mantenere in vigore. 
    Il termine per l'esercizio della delega era fissato dal combinato
disposto del citato comma 14 e del precedente comma 12. Il comma  14,
infatti, fissava il termine ultimo per l'esercizio  della  delega  ad
individuare le norme da mantenere in vigore "entro ventiquattro  mesi
dalla scadenza del termine di cui al comma 12" e il comma 12,  a  sua
volta, prevedeva un termine  di  "ventiquattro  mesi  dalla  data  di
entrata  in  vigore  della  presente  legge  [2005/246  ndr]:   legge
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 1° dicembre 2005,  n.  280  e
che, quindi, mancando nel testa una diversa disposizione, e'  entrata
in vigore il 16 dicembre 2005. 
    Con l'effetto che il termine per esercitare la  delega  andava  a
scadere il 16 dicembre del 2009. 
    I principi e criteri direttivi per l'esercizio di  quella  delega
erano, invece, dettati nel citato comma 14  ed  erano  enucleati  nel
modo seguente: 
        "a) esclusione  delle  disposizioni  oggetto  di  abrogazione
tacita o implicita; 
        b) esclusione delle disposizioni che abbiano esaurito la loro
funzione o siano prive  di  effettivo  contenuto  normativa  o  siano
comunque obsolete; 
        c) identificazione  delle  disposizioni  la  cui  abrogazione
comporterebbe lesione dei diritti costituzionali; 
        d) identificazione delle disposizioni indispensabili  per  la
regolamentazione di ciascun settore, anche utilizzando a tal fine  le
procedure di analisi e verifica dell'impatto della regolazione; 
        e) organizzazione delle disposizioni da mantenere  in  vigore
per settori omogenei o per materie, secondo il  contenuto  precettivo
di ciascuna di esse; 
        f) garanzia della coerenza giuridica,  logica  e  sistematica
della normativa; 
        g) identificazione  delle  disposizioni  la  cui  abrogazione
comporterebbe effetti anche indiretti sulla finanza pubblica; 
        h) identificazione delle disposizioni contenute  nei  decreti
ricognitivi, emanati ai sensi dell'art. comma 4, della legge 5 giugno
2003, n. 131,  aventi  per  oggetto  i  principi  fondamentali  della
legislazione dello Stato nelle materie previste dall'art. 117,  terzo
comma, della Costituzione". 
    A fronte di questa delega il Governo ha, infatti,  provveduto  ad
adottare il decreto legislativo 1° dicembre 2009, n. 179 con il quale
ha elencato le leggi dello Stato anteriori al 1970 per le  quali  era
"indispensabile la permanenza in vigore". 
    E tra queste previsioni, al punto 1001 dell'allegato 1 al  citato
decreto, ha indicato, appunto, il decreto legislativo n. 43 del 1948. 
    Ora, per prima cosa, appare di palese evidenza che il  successivo
intervento operato con il decreto legislativo 13  dicembre  2010,  n.
213 sul decreto legislativo 1° dicembre 2009, n. 179, per modificarne
il contenuto, sia del tutto illegittimo per l'assoluta assenza di una
delega al Governo ad abrogare leggi o  provvedimenti  gia'  sottratti
all'effetto abrogativo del comma 14-ter dell'art. 14 della legge 2005
n. 246. 
    Infatti,  nel  momento  in  cui  il  Governo   ha   indicato   un
provvedimento  tra  quelli  per  i  quali  era   «indispensabile   la
permanenza in vigore» ha impedito che quel testo  venisse  ad  essere
travolto dall'effetto  abrogativo  altrimenti  conseguente  al  comma
14-ter della legge 2005 n. 246. 
    Con la conseguenza che solo il  legislatore,  con  un  successivo
provvedimento di legge, potrebbe disporne l'abrogazione, non certo il
Governo. 
    Ne', peraltro, il potere esercitato dal Governo, ritornando sulle
determinazioni gia' adottate con il decreto  legislativo 1°  dicembre
2009, n. 179, puo' trovare  la  sua  fonte  di  legittimazione  nella
delega all'epoca conferita con il comma 14 della legge 2005  n.  246,
perche' quel potere era conferito, come si e' visto, per  un  termine
complessivo di quattro anni, decorrenti  dalla  data  di  entrata  in
vigore della stessa legge, ossia dal 16 dicembre 2005, per  cui  quel
termine era spirato gia' nel dicembre  del  2009,  esattamente  pochi
giorni dopo l'adozione del decreto legislativo 2009, n. 179. 
    Anche per questo aspetto, quindi, al dicembre del 2010, allorche'
venne adottato il decreto legislativo 13 dicembre 2010,  n.  213,  il
Governo non aveva alcun potere di modificare le  determinazioni  gia'
adottate con il citato decreto legislativo 1° dicembre 2009, n. 179. 
    Men che meno, peraltro, un potere  del  Governo  di  abrogare  ex
post, e oltre il termine, un provvedimento legislativo gia' sottratto
all'effetto abrogativo del comma 14-ter dell'art. 14 della  legge  n.
2005/246, puo' discendere dal comma 18 dello stesso art. 14 legge  n.
2005/246, citato nel corpo dell'art.  1  del  d.lgs.  n.  213/2010  e
richiamato all'odierna udienza da alcune delle difese. 
    Il citato comma 18 prevede che: «Entro due  anni  dalla  data  di
entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 14, possono
essere emanate, con uno  o  piu'  decreti  legislativi,  disposizioni
integrative, di riassetto o correttive, esclusivamente  nel  rispetto
dei principi e criteri direttivi di cui al comma 15 e  previo  parere
della Commissione di cui al comma 19". 
    La  norma  citata,  dunque,   non   consente   all'esecutivo   di
intervenire nuovamente sulla scelta operata nell'individuazione delle
norme per le quali era «indispensabile la  permanenza  in  vigore»  e
sottratte all'effetto abrogativo altrimenti conseguente, ma si limita
a  consentire  interventi  integrativi,  di  riassetto  o  correttivi
rispetto alle norme mantenute in vigore e  alle  norme  adottate  per
ragioni di semplificazione e di riassetto delle stesse leggi. 
    Infatti, comma 15 dell'art. 14 della legge n. 2005/246  prevedeva
che il Governo con  i  «decreti  legislativi  di  cui  al  comma  14»
provvedesse,  oltre  ad  indicare  le  norme  mantenute  in   vigore,
«altresi' alla semplificazione o al riassetto della materia che ne e'
oggetto, nel  rispetto  dei  principi  e  criteri  direttivi  di  cui
all'art.  20  della  legge  15  marzo  1997,  n.  59,  e   successive
modificazioni, anche al fine di armonizzare le disposizioni mantenute
in vigore con quelle pubblicate  successivamente  alla  data  del  1°
gennaio 1970». 
    Il comma 18 in esame, quindi, consente al Governo  esclusivamente
un ulteriore intervento di assestamento della  disciplina  risultante
da questi decreti legislativi, ma  non  permette  in  alcun  modo  di
ritornare anche sulle scelte gia'  compiute  circa  la  normativa  da
mantenere in vigore ex comma 14. 
    La conferma di cio' deriva, oltre che dal chiaro tenore del comma
18, dal fatto che la previsione del comma 14 fissa un termine preciso
e definito per l'individuazione delle norme da mantenere in vigore  o
da lasciar perire, mentre se si ammettesse che  nel  diverso  e  piu'
ampio termine di cui al comma 18 il Governo avesse ancora la medesima
facolta', il termine di cui al  comma  14  non  avrebbe  avuto  alcun
significato. 
    La riprova ulteriore che questo ragionamento e'  corretto  emerge
in modo indiscutibile dalla previsione del comma 14-ter dello  stesso
art. 14 in esame, la quale stabilisce inderogabilmente  l'abrogazione
delle norme non mantenute in vigore «decorso un anno  dalla  scadenza
del termine di cui al comma 14». 
    Abrogazione che, quindi, si verifica un anno prima della scadenza
del termine di cui al comma 18, con l'effetto  che  se  si  ritenesse
ancora possibile al Governo, nel  termine  ulteriore  del  comma  18,
modificare le scelte compiute entro il termine di cui  al  comma  14,
l'elenco delle leggi  destinate  all'abrogazione  o  al  mantenimento
verrebbe ad essere definito addirittura successivamente alla scadenza
del termine di cui al comma 14-ter, cui  la  legge  delega  ricollega
l'effetto abrogativo o di mantenimento in vigore. Con la  conseguenza
che, paradossalmente, l'elenco delle leggi  gia'  abrogate  ex  comma
14-ter dal dicembre 2010 potrebbe  essere  formato  dal  Governo  nel
dicembre del 2011. 
    Ma, soprattutto, la conferma che gli  interventi  consentiti  dal
comma 18 siano solo di adeguamento e armonizzazione della  disciplina
in vigore (conservata in vigore o successiva al 1970) si ricava anche
da un altro aspetto testuale del comma 18, nella parte in cui vincola
il Governo ad adottare  questi  nuovi  interventi  di  adeguamento  e
armonizzazione nel rispetto «esclusivamente» dei criteri dettati  dal
comma 15 e non gia' dei criteri di cui al comma 14, che sono  proprio
quelli dettati per guidare il Governo nella  scelta  delle  leggi  da
mantenere in vigore. 
    Mentre  i  criteri  di  cui  al  comma  15  sono  quelli  dettati
esclusivamente  per  guidare   il   Governo   nelle   operazioni   di
semplificazione e armonizzazione della normativa mantenuta in vigore. 
    Ne' depone in senso contrario il fatto che  il  comma  18  faccia
riferimento, per la determinazione del  termine  per  l'adozione  dei
decreti di riassetto, ai decreti legislativi  di  cui  al  comma  14,
perche' i decreti di cui al comma 14, nella volonta'  originaria  del
legislatore, sono  al  contempo  sia  finalizzati  all'individuazione
delle norme da mantenere in vigore sia, come  emerge  dal  comma  15,
finalizzati alla  semplificazione  e  al  riassetto  della  normativa
mantenuta in vigore. 
    Conclusivamente,  dunque,  appare  chiaro  che   il   legislatore
delegante ha inteso assegnare al delegato un primo termine di 48 mesi
per compiere le scelte relative all'individuazione delle  norme  ante
1970 da mantenere in vigore e un secondo termine di ulteriori 24 mesi
per  gli  interventi  di  semplificazione  e   armonizzazione   della
normativa mantenuta in vigore e di quella successiva al 1970. 
III. Eventuale subordinata illegittimita' costituzionale dei commi 18
e 14 art. 14 legge 28 novembre 2005, n. 246. 
    Ove si dovesse ritenere, che, per qualche  ragione,  permanga  in
capo al Governo un potere di abrogazione in forza dei citati commi 14
e 18, in tale ipotesi ci si dovrebbe confrontare con l'illegittimita'
costituzionale di queste disposizioni, per contrasto  con  l'art.  76
della  Costituzione  e  con  la  conseguente   illegittimita'   della
disposizione abrogatrice in discussione per assenza di delega. 
    Infatti, la norma costituzionale consente di delegare  il  potere
legislativo al Governo solo previa fissazione di principi  e  criteri
direttivi e per oggetti definiti. 
    Per cominciare, infatti, il comma 18, richiamando  i  criteri  di
cui al comma 15, non detta alcun criterio che sia realmente effettivo
nel guidare il Governo nell'intervento di selezione  delle  norme  da
mantenere in vigore o lasciar cadere, atteso che, come si  e'  visto,
neppure richiama i criteri, di per se' minimali, di cui al comma 14. 
    Con l'effetto che il Governo e'  lasciato  totalmente  libero  di
individuare le norme da abrogare o da mantenere in vigore. 
    Se  poi  si  ritenesse  che  anche  l'intervento  di   successivo
ripensamento dovesse essere almeno rispettoso dei criteri di  cui  al
comma 14,  non  potrebbe  essere  trascurata,  in  via  ulteriormente
subordinata, la genericita' anche dei criteri elencati in detto comma
e dell'assenza di oggetti definiti, ossia di previa definizione della
materia. 
    Infatti, la legge delega anche al comma 14 e' totalmente muta  in
ordine al settore nel quale il Governo e' chiamato a  legiferare,  in
quanto, a fronte di una deliberata  abrogazione  di  tutte  le  norme
anteriori ad una certa data senza distinzione di materie, il  Governo
e' stato delegato a scegliere quali  pregresse  discipline  normative
mantenere in vigore. 
    Con  l'effetto  che  al  Governo,  in  questo  modo,   e'   stato
trasferito, sia pure indirettamente, il potere di  normazione,  senza
delimitazione nella  delega  della  materia  oggetto  dell'intervento
normativo delegato. 
    Inoltre, i principi e criteri direttivi in esame si risolvono, in
gran  parte,  in  prospettazioni  prive  di  contenuto  concreto   ed
effettivamente delimitante del potere delegato. 
    Infatti, a  parte  l'ovvia  previsione  che  non  debbano  essere
mantenute in vigore le norme gia' abrogate o quelle  ormai  prive  di
effetto (lettere a e b), per il resto nessun criterio appare idoneo a
condizionare e dirigere la scelta del Governo circa  l'individuazione
delle norme che siano da mantenere in vigore. Escluso forse  solo  il
criterio previsto nella lettera c),  che  impedisce  di  abrogare  le
disposizioni la cui abrogazione  comporterebbe  lesione  dei  diritti
costituzionali. 
    L'effetto e' che i  predetti  criteri  lasciano  al  Governo  una
totale  discrezionalita',  il  che  contrasta  indiscutibilmente  con
l'art. 76 Cost. fatto tanto piu' grave ove, come nel caso di  specie,
il legislatore delegato utilizzi questa  ampia  discrezionalita'  per
andare ad attingere norme che  sono  comunque  poste  a  presidio  di
valori  costituzionali,   atteso   che   indubbiamente   il   decreto
legislativo n. 43 del 1948 da' attuazione all'art. 18, comma 2, della
Costituzione, sanzionando penalmente il divieto ivi previsto. 
IV. Rilevanza e ammissibilita' della questione di Costituzionalita'. 
    In merito alla rilevanza e' evidentemente indubbio  che,  ove  la
norma che ha abrogato il reato per cui si procede fosse legittima, il
presente  procedimento  si  dovrebbe  concludere  con  una   sentenza
immediata di improcedibilita' per intervenuta abrogazione; mentre ove
l'intervento  abrogativo  fosse  da  ritenere  illegittimo,   perche'
adottato da  un  organo  privo  del  potere  legislativo  idoneo,  il
procedimento dovrebbe proseguire per pervenire ad una  pronuncia  nel
merito, anche eventualmente in applicazione dell'art. 2 c.p. 
    Al riguardo si puo' richiamare l'orientamento gia' espresso dalla
Corte costituzionale con la sentenza n. 148 del 1983, nonche' con  la
sentenza 394 del 2006. 
    La circostanza che, nel caso di specie, si invochi da parte della
Corte costituzionale un sindacato di legittimita'  costituzionale  su
una norma abrogatrice di altra disposizione sanzionatoria  di  natura
penale impone preliminarmente una riflessione in merito all'esistenza
del potere della Corte di sindacare detta norma abrogatrice. 
    Aspetto sul quale si sono soffermate anche le difese. 
    In proposito questo Collegio ritiene che detto  potere  esista  e
che non trovi un limite nella giurisprudenza della Corte adita  circa
i limiti al controllo di costituzionalita' delle norme penali. 
    E' noto, infatti, che  la  Corte  costituzionale  ha  stabilmente
ritenuto di non poter estendere il proprio  controllo  su  interventi
legislativi in materia penale ove l'effetto della  propria  decisione
si risolva in una violazione della riserva di legge vigente in  forza
dell'art. 25, comma 2, Cost. 
    Afferma, in particolare, la Corte costituzionale che  il  proprio
sindacato su interventi legislativi in materia penale sia limitato al
vaglio delle  sole  «norme  penali  di  favore»,  tra  le  quali  non
rientrerebbe il caso qui  in  esame,  di  una  norma  direttamente  e
integralmente abrogativa di un reato. 
    Rispetto ad interventi  integralmente  abrogativi  di  un  reato,
afferma  la  Corte  che  una  propria  pronuncia  di   illegittimita'
costituzionale della norma abrogatrice comporterebbe la  reviviscenza
dell'originaria norma incriminatrice e  che  cio'  determinerebbe  la
sostituzione della Corte al legislatore nella scelta  delle  condotte
passibili di sanzione penale. 
    In relazione a questa problematica va premesso, in  primo  luogo,
che una simile limitazione dei  poteri  della  Corte  non  appare  in
realta' condivisibile, proprio perche',  quanto  meno,  in  tal  modo
vengono a residuare aree dell'ordinamento sottratte al  controllo  di
costituzionalita',  mentre  cio',  come  afferma  la   stessa   Corte
costituzionale (1983 n. 148), non dovrebbe essere possibile alla luce
della collocazione della Corte quale organo preposto al controllo  di
compatibilita' costituzionale delle leggi: di tutte le leggi. 
    Con questa limitazione, infatti, si puo'  arrivare  al  paradosso
che scelte legislative di abrogazione di reati  offensivi  di  valori
costituzionalmente protetti o di diritti  inviolabili  dell'uomo  non
potrebbero mai essere sindacate dal giudice delle leggi. 
    In   ogni   caso,   anche   considerando   condivisibile   quella
giurisprudenza e ritenendo che la riserva di legge  di  cui  all'art.
25, comma 2, Cost., precluda alla  Corte  un  sindacato  sulle  leggi
abrogative di reati, di certo quella giurisprudenza non puo'  trovare
applicazione nel caso di specie. 
    In questa sede, infatti, la pronuncia che e' richiesta alla Corte
e' diretta espressamente a riaffermare il  principio  di  riserva  di
legge  di  cui  all'art.  25,  comma  2,   Cost.,   violato   proprio
dall'illegittimo intervento di un organo diverso dal Parlamento. 
    Ove la Corte ritenesse di ricondurre  questa  vicenda  nell'alveo
della propria richiamata giurisprudenza si produrrebbe l'effetto  non
gia' di garantire il rispetto da  parte  della  Corte  del  monopolio
riservato al Parlamento dall'art.  25,  comma  2,  Cost.,  bensi'  di
legittimare la violazione del medesimo principio ad opera del Governo
in carenza assoluta del relativo potere. 
    Negare questo potere  di  intervento  alla  Corte  costituzionale
potrebbe   produrre   effetti   paradossali   come,    ad    esempio,
l'intangibilita' dell'abrogazione  del  reato  di  violenza  sessuale
operata in appendice ad un decreto legislativo fondato su una  delega
al riordino della disciplina dei contratti agrari. 
    E' evidente come cio', a tacer d'altro (come la  possibilita'  di
strumentalizzazioni personali), realizzi un totale stravolgimento dei
rapporti tra i  Poteri  dello  Stato,  rispetto  al  quale  la  Corte
costituzionale non avrebbe alcun potere di intervento dirimente. 
    E merita che si segnali come in tal modo la decisione della Corte
legittimerebbe effetti assai piu' gravi e pervasivi di quelli che  la
stessa Corte ha voluto impedire con la pronuncia n. 51 del 1985. 
    In quell'occasione,  infatti,  il  Supremo  Consesso  esattamente
ritenne di escludere che i decreti legge non  convertiti  implicanti,
per quel che interessa in questa sede, effetti  abrogativi  di  norme
penali, potessero esplicare gli effetti di favore di cui ai commi 2 e
3 dell'art. 2 c.p. 
    Se  in  quella  sede  si  ritenne  di  privare  di   effetti   il
decreto-legge  non  convertito,  perche'  senza  conversione  non  e'
parificabile ad un atto legislativo, tanto piu' deve essere  precluso
ad un atto di valore ancora inferiore, come  un  decreto  legislativo
adottato senza delega, di esplicare effetti abrogativi. 
    In sede di adozione di un decreto legge quanto meno il Governo ha
il potere di introdurre norme anche penali,  mentre  non  ha  neppure
tale potere ove agisca con la forma  del  decreto  legislativo  senza
delega o in eccesso rispetto alla delega. 
    A fronte di tutto cio' e' evidente come il decreto legislativo n.
213 del 2010 nella parte in cui modifica il decreto legislativo n.179
del 2009 nella parte in cui aveva mantenuto in vigore il reato di cui
qui si tratta sia da dichiarare  illegittimo  da  parte  della  Corte
costituzionale. 
V. Riproposizione della questione di costituzionalita' dell'art. 2268
del decreto legislativo 66 del 2010. 
    Alla dichiarazione di illegittimita' costituzionale  del  decreto
legislativo n. 213 del 2010 ove abroga il mantenimento in vigore  del
reato per cui si procede disposto con il decreto legislativo  n.  179
del 2009 consegue la necessita' di confrontarsi con la permanenza  in
vigore dell'ulteriore norma abrogatrice dello stesso  reato,  attuata
con il precedente decreto legislativo n. 66 del 2010. 
    Rispetto  a  quest'ultimo,  quindi,  deve  essere   integralmente
riproposta la questione gia' sollevata con l'ordinanza che si riporta
integralmente. 
 
                        «TRIBUNALE DI VERONA 
 
 
                              Ordinanza 
 
    Il collegio, composto dai sig.ri magistrati 
    Dott. Marzio Bruno Guidorizzi; 
    Dott. Giorgio Piziali; 
    Dott.ssa Livia Magri; 
    Premesso che: 
        questo collegio e'  stato  investito  della  trattazione  del
procedimento a carico di Augussori + 35, ai quali  e'  contestata  la
violazione dell'art. 3 del decreto legislativo 14 febbraio 1948 n. 43
in  riferimento  all'azione  dell'associazione  denominata   «Camicie
verdi», poi confluita nell'associazione denominata «Guardia Nazionale
Padana»; 
        all'udienza del 1° ottobre 2010 le difese hanno segnalato che
la  norma  sanzionatoria  contestata  risulta  abrogata  per  effetto
dell'art. 2268 del decreto legislativo n. 66 del 15  marzo  2010  con
decorrenza dall'8 ottobre 2010 e  hanno  chiesto  un  rinvio  a  data
successiva  allo  scopo  di  ottenere  una  pronuncia  di   immediato
proscioglimento per intervenuta abrogazione del reato; 
        all'udienza del 19 novembre 2010  il  Pubblico  ministero  ha
proposto  istanza  affinche'  venga  sollevata   una   questione   di
legittimita' costituzionale della norma  di  cui  all'art.  2268  del
decreto legislativo n. 66 del 15 marzo 2010 nella  parte  in  cui  ha
abrogato l'intero decreto legislativo 14 febbraio 1948 n. 43; 
        le  difese  hanno  chiesto  un  ulteriore  rinvio  per  poter
interloquire su questo punto, prospettando, peraltro,  a  loro  volta
altra questione di legittimita' costituzionale in relazione  all'art.
161 c.p. nella parte in cui estende a  tutti  i  correi  gli  effetti
sospensivi della prescrizione previsti  per  alcuni  di  essi  e  non
contempla  un  termine  massimo  per  i  casi  di  sospensione  della
prescrizione; 
        il procedimento e' stato differito alla  data  odierna  anche
con fissazione di un termine per il deposito di eventuali memorie  in
ordine alle questioni di illegittimita' costituzionale sollevate; 
        nel corpo di alcune delle memorie depositate dalle difese  e'
stato osservato  che  non  potrebbe  essere  sollevata  la  questione
proposta dal Pubblico ministero in quanto  questo  Tribunale  sarebbe
incompetente per  territorio  rispetto  al  reato  contestato  e  che
dovrebbe essere dichiarata la nullita' del  decreto  che  dispone  il
giudizio per la sua genericita'; 
        all'odierna udienza le parti  hanno  ribadito  gli  argomenti
gia' svolti alla precedente udienza e nelle rispettive memorie; 
        la questione appare fondata,  rilevante  e  prospettabile  in
questa sede. 
    Infatti, per cominciare, come si vedra' nel dettaglio in seguito,
il Governo non aveva il potere di abrogare il decreto legislativo  14
febbraio 1948 n. 43, sia perche' l'unico potere  delegatogli  era  di
adottare  (come  emerge  dai  lavori  preparatori  e  confermato  dal
Consiglio di Stato) un provvedimento avente «valore  di  ricognizione
della legislazione vigente», sia perche'  il  decreto  esulava  dalla
materia dell'ordinamento militare, come definita  nell'art.  1  dello
stesso codice. 
    Inoltre, il Governo ha effettuato  l'abrogazione  avvalendosi  di
una delega (art. 14 comma 14 legge n. 246/2005) gia'  utilizzata  nel
senso opposto, atteso che il 1° dicembre 2009 (d.lgs. n.  179)  aveva
espressamente affermato la permanenza in vigore del d.lgs. n. 1948/43
in quanto «indispensabile». 
    Infine, l'abrogazione lascia priva di copertura sanzionatoria  la
violazione del divieto costituzionale di cui all'art.  18  Cost,  che
proibisce associazioni a  struttura  militare  che  perseguano  scopi
politici. 
    1. Il quadro normativo relativo alla fattispecie  contestata:  il
decreto legislativo 14 febbraio 1948 n. 43. 
    Il decreto legislativo 14 febbraio  1948  n.  43  e'  entrato  in
vigore il 17 febbraio 1948. 
    Poiche' il decreto era stato emanato in forza del  D.lgs.Lgt.  16
marzo 1946 n. 98, che attribuiva il  potere  legislativo  al  Governo
salva ratifica del Parlamento, con  legge  1956  n.  561  il  decreto
legislativo 1948 n. 43 e' stato ratificato dal Parlamento. 
    In data 1° dicembre 2009 il decreto legislativo 4  febbraio  1948
n. 43 e' stato confermato nella sua vigenza con  decreto  legislativo
n. 179, intitolato «Disposizioni  legislative  statali  anteriori  al
primo gennaio 1970, di cui si ritiene indispensabile la permanenza in
vigore, a norma dell'art. 14 della legge 28 novembre  2005  n.  246»,
adottato, per l'appunto, in forza della delega conferita  al  Governo
per individuare le norme anteriori al 1970 da mantenere in vigore. 
    E parimenti con lo stesso d.lgs. n. 2009/179 e'  stata  mantenuta
in vigore la legge 1956 n. 561. 
    Con successivo decreto legislativo  n.  66  del  15  marzo  2010,
pubblicato il giorno 8 maggio 2010, con il quale e' stato  introdotto
il «Codice dell'ordinamento militare»,  all'art.  2268,  comma  1,  a
decorrere dalla entrata in vigore  della  nuova  disciplina,  vengono
abrogati una serie di atti normativi specificamente elencati,  tra  i
quali, indicato al n. 297, anche il decreto legislativo  14  febbraio
1948 n. 43. 
    Ai sensi dell'art. 2272 dello stesso Codice, quindi, a  far  data
dal giorno 8 ottobre 2010, il decreto legislativo 14 febbraio 1948 n.
43 risulta abrogato. 
    Non e' stata abrogata, invece, la legge 1956 n. 561  di  ratifica
dello stesso. 
    Peraltro, essendo quest'ultima una mera  legge  di  ratifica,  si
deve intendere che l'espressa abrogazione del decreto legislativo  14
febbraio 1948 n. 43 comporti  la  perdita  di  effetti  di  ogni  sua
disposizione, senza che sia necessario  che  il  legislatore  abroghi
anche la legge 1956 n. 561 di ratifica. 
    2.  Fonti  sulle  quali  e'  fondata   l'adozione   del   decreto
legislativo n. 66 del 15 marzo 2010. 
    Il decreto legislativo n. 66 del 15  marzo  2010,  come  indicato
nella sua stessa premessa, trova la propria  legittimazione  generale
negli articoli 76,  87  e  117,  secondo  comma,  lettera  d),  della
Costituzione, che autorizzano il Governo a legiferare in materie allo
stesso delegate dal Parlamento e, nel dettaglio, nella  legge  delega
28 novembre 2005, n. 246, articolo 14, comma 14 e comma 15. 
    La prima delle due  previsioni  ora  indicate  (comma  14),  come
sostituita dall'art. 4, comma 1, lettera a), della  legge  18  giugno
2009, n. 69, ha conferito al Governo la delega ad  adottare,  con  le
modalita' di cui all'art. 20  della  legge  15  marzo  1997,  n.  59,
decreti  legislativi  che  individuano  le  disposizioni  legislative
statali, pubblicate  anteriormente  al  1°  gennaio  1970,  anche  se
modificate con  provvedimenti  successivi,  delle  quali  si  ritiene
indispensabile la permanenza in vigore, secondo i principi e  criteri
direttivi fissati nello  stesso  comma  14,  dalla  lettera  a)  alla
lettera h). 
    La seconda  previsione  (comma  15),  stabilisce  che  i  decreti
legislativi di cui al citato  comma  14  provvedono,  altresi',  alla
semplificazione o al riassetto della materia che ne e'  oggetto,  nel
rispetto dei principi e criteri direttivi di cui  all'art.  20  della
legge 15  marzo  1997,  n.  59,  anche  al  fine  di  armonizzare  le
disposizioni   mantenute   in   vigore    con    quelle    pubblicate
successivamente alla data del 1° gennaio 1970. 
    Sia in relazione alla delega di cui al citato  comma  14  che  in
relazione alla delega ricavabile dal comma 15 in realta'  il  Governo
non aveva il potere di abrogare il decreto  legislativo  14  febbraio
1948 n. 43. 
    3. Profili di illegittimita' costituzionale. 
    A) Insussistenza potere di abrogazione in forza del comma 14 art.
14 legge 28 novembre 2005, n. 246. 
    Rispetto alla delega di cui al citato comma 14,  che  demanda  al
Governo  di  individuare   le   disposizioni   legislative   statali,
pubblicate anteriormente al 1° gennaio 1970, delle quali  si  ritiene
indispensabile la permanenza in vigore, si tratta, in realta', di una
delega che il Governo aveva gia' esercitato. 
    Infatti, con il d.lgs. n.  2009/179  legislatore  delegato  aveva
gia' indicato tutte le norme pubblicate anteriormente al  1°  gennaio
1970 che era indispensabile mantenere in vigore. 
    E tra queste norme aveva espressamente indicato anche il  decreto
legislativo 14 febbraio 1948 n. 43. 
    E' certo, quindi, che il potere dimesso al Governo con il  citato
art. 14, comma 14, della legge 28 novembre  2005,  n.  246  non  puo'
essere nuovamente esercitato e per  di  piu'  non  puo'  esserlo  per
conseguire un effetto opposto a quello gia' prodotto con  l'esercizio
della delega avvenuto con il d.lgs. n. 2009/179. 
    La delega, infatti, era conferita per  individuare  le  norme  da
mantenere in vigore, non gia' per abrogare norme mantenute in vigore. 
    Quindi, una volta individuato tra le norme che era indispensabile
mantenere in vigore il decreto legislativo 14 febbraio 1948 n. 43, la
sua successiva abrogazione  non  poteva  che  essere  deliberata  dal
Parlamento o dal legislatore delegato in forza di altra delega. 
    Se, dunque,  il  Governo  ha  ritenuto  di  abrogare  il  decreto
legislativo 14 febbraio 1948 n. 43 avvalendosi dei poteri a suo tempo
delegatigli con l'art. 14, comma 14, della legge 28 novembre 2005, n.
246,10 ha fatto in  totale  assenza  di  delega  per  due  ordini  di
ragioni. 
    La prima, perche' il potere delegato si  era  gia'  esaurito  con
l'emanazione del decreto legislativo 2009/179, che  ha  mantenuto  in
vigore la norma ritenendola indispensabile. 
    La seconda, perche' la delega era  conferita  al  solo  scopo  di
selezionare le norme da mantenere in vigore  e,  una  volta  compiuta
questa selezione, non vi  era  alcuno  spazio  nella  delega  per  un
successivo intervento abrogativo. 
    E nulla nel corpo  della  delega  consente  di  ritenere  che  il
Parlamento avesse delegato al Governo la possibilita'  di  rimeditare
successivamente, fra l'altro senza limiti  di  tempo,  il  potere  di
individuazione delle norme da non abrogare, perche', come detto, cio'
realizzerebbe  l'effetto  opposto  e  non  voluto   dal   legislatore
delegante  di   demandare   al   Governo   la   decisione   di   cosa
successivamente abrogare malgrado l'affermata permanenza in vigore. 
    Peraltro, l'abrogazione non  era  (come  invece  sostenuto  dalle
difese) consentita dal criterio  sub  b)  secondo  cui  non  potevano
essere mantenute in vigore le «disposizioni che abbiano  esaurito  la
loro funzione o siano prive di effettivo contenuto normativo o  siano
comunque  obsolete»,  perche'  la   norma   in   questione   non   e'
assolutamente obsoleta. 
    E cio' in quanto quella norma e' espressione di un principio  che
e'  stato  inserito  nel  corpo  della  Costituzione,  tra  le  norme
fondamentali, a differenza, ad esempio, di altri divieti  espressione
del particolare momento storico, che sono inseriti, non a caso, nelle
norme transitorie della  stessa  Costituzione,  come  il  divieto  di
riorganizzazione del partito fascista (disp. XII). 
    Non ha, poi, alcun rilievo il fatto che la  norma  incriminatrice
abbia  avuto  scarsa  applicazione,  argomento  che,  al   contrario,
potrebbe anche  portare  a  ritenere  la  sua  particolare  efficacia
deterrente ed utilita'. Il fatto che un reato sia commesso  raramente
non lo rende per cio' solo obsoleto. 
    A.2). Eventuale subordinata illegittimita'  costituzionale  comma
14 art. 14 legge 28 novembre 2005, n. 246. 
    Inoltre, ove si  dovesse  ritenere,  che,  per  qualche  ragione,
permanga in capo al Governo un potere di  abrogazione  in  forza  del
citato comma 14, in tale  ipotesi  ci  si  dovrebbe  confrontare  con
l'illegittimita' costituzionale  della  stessa  disposizione  di  cui
all'art. 14, comma 14, qui in esame,  per  contrasto  con  l'art.  76
della  Costituzione  e  con  la  conseguente   illegittimita'   della
disposizione abrogatrice in discussione per assenza di delega. 
    Infatti, la norma costituzionale consente di delegare  il  potere
legislativo al Governo solo previa fissazione di principi  e  criteri
direttivi e solo «per oggetti  definiti»,  ossia  previa  definizione
della materia dell'intervento normativo delegato. 
    Nel caso di specie, al contrario, la legge delega  e'  totalmente
muta in ordine  al  settore  nel  quale  il  Governo  e'  chiamato  a
legiferare, in quanto a fronte di una deliberata abrogazione di tutte
le norme anteriori ad una certa data senza distinzione di materie, il
Governo e' stato delegato  a  scegliere  quali  pregresse  discipline
normative mantenere in vigore. 
    Con  l'effetto  che  al  Governo,  in  questo  modo,   e'   stato
trasferito, sia pure indirettamente, il potere di  normazione,  senza
delimitazione nella  delega  della  materia  oggetto  dell'intervento
normativo delegato. 
    Inoltre, anche i principi  e  criteri  direttivi  indicati  nella
legge delega sono del tutto privi  del  requisito  di  determinazione
voluto  sempre  dall'art.  76  della  Costituzione,  in   quanto   si
risolvono, in  gran  parte,  in  prospettazioni  prive  di  contenuto
concreto ed effettivamente delimitante del potere delegato. 
    Infatti, a  parte  l'ovvia  previsione  che  non  debbano  essere
mantenute in vigore le norme gia' abrogate o quelle  ormai  prive  di
effetto (lettere a e b), per il resto nessun criterio appare idoneo a
condizionare e dirigere la scelta del Governo circa  l'individuazione
delle norme che siano da mantenere in vigore. Escluso forse  solo  il
criterio citato previsto nella lettera c), che impedisce di  abrogare
le disposizioni la cui abrogazione comporterebbe lesione dei  diritti
costituzionali. 
    L'effetto e' che i  predetti  criteri  lasciano  al  Governo  una
totale  discrezionalita',  il  che  contrasta  indiscutibilmente  con
l'art. 76 Cost. 
    B) Insussistenza del potere di abrogazione in forza del comma  15
art. 14 legge 28 novembre 2005, n. 246. 
    In relazione alla seconda  previsione  indicata  come  fonte  del
potere esercitato dal Governo, ossia il comma 15 dell'art. 14 citato,
si tratta di una delega alla «semplificazione o al  riassetto»  delle
norme mantenute in vigore, anche al fine di armonizzarle  con  quelle
pubblicate successivamente alla data del 1° gennaio 1970. 
    In questo caso, i principi e criteri direttivi cui il Governo  si
dovra' attenere sono quelli gia' elencati nell'art. 20 della legge 15
marzo 1997, n. 59, espressamente richiamato dal citato comma 15. 
    Al riguardo l'art. 20 (dettato a sua  volta  all'interno  di  una
procedura  di  semplificazione  legislativa)  prevede  l'adozione  di
decreti legislativi che si conformino ai seguenti principi e  criteri
direttivi specifici: 
        «a) definizione del riassetto normativo e codificazione della
normativa primaria regolante  la  materia,  previa  acquisizione  del
parere del Consiglio di Stato, reso nel termine di novanta giorni dal
ricevimento  della  richiesta,  con   determinazione   dei   principi
fondamentali nelle materie di legislazione concorrente; 
        a-bis) coordinamento formale e sostanziale  del  testo  delle
disposizioni  vigenti,  apportando  le   modifiche   necessarie   per
garantire la coerenza giuridica, logica e sistematica della normativa
e per adeguare, aggiornare e semplificare il linguaggio normativo; 
        b) indicazione esplicita delle norme  abrogate,  fatta  salva
l'applicazione dell'art. 3 delle disposizioni sulla legge in generale
premesse al codice civile; 
        c) indicazione dei  principi  generali,  in  particolare  per
quanto   attiene   alla   informazione,   alla   partecipazione,   al
contraddittorio,  alla  trasparenza  e  pubblicita'  che  regolano  i
procedimenti amministrativi  ai  quali  si  attengono  i  regolamenti
previsti dal comma 2 del presente articolo, nell'ambito dei  principi
stabiliti  dalla  legge  7  agosto  1990,  n.   241,   e   successive
modificazioni; 
        d) eliminazione degli interventi amministrativi autorizzatori
e delle misure di condizionamento della  liberta'  contrattuale,  ove
non vi contrastino gli  interessi  pubblici  alla  difesa  nazionale,
all'ordine  e  alla  sicurezza  pubblica,  all'amministrazione  della
giustizia,  alla  regolazione  dei  mercati  e  alla   tutela   della
concorrenza,   alla   salvaguardia   del   patrimonio   culturale   e
dell'ambiente,  all'ordinato  assetto  del  territorio,  alla  tutela
dell'igiene e della salute pubblica; 
        e)  sostituzione  degli  atti  di  autorizzazione,   licenza,
concessione, nulla osta, permesso e di consenso  comunque  denominati
che non implichino esercizio di discrezionalita' amministrativa e  il
cui rilascio dipenda dall'accertamento dei requisiti e presupposti di
legge, con una denuncia di inizio di attivita' da presentare da parte
dell'interessato  all'amministrazione  competente   corredata   dalle
attestazioni e dalle certificazioni eventualmente richieste; 
        f) determinazione dei casi in cui le domande di  rilascio  di
un atto di consenso, comunque denominato, che non implichi  esercizio
di discrezionalita' amministrativa, corredate dalla documentazione  e
dalle  certificazioni  relative  alle  caratteristiche   tecniche   o
produttive dell'attivita' da svolgere,  eventualmente  richieste,  si
considerano   accolte   qualora   non   venga   comunicato   apposito
provvedimento di diniego entro il termine fissato  per  categorie  di
atti in relazione alla complessita' del procedimento, con esclusione,
in ogni caso, dell'equivalenza tra silenzio e diniego o rifiuto; 
        g) revisione e riduzione delle  funzioni  amministrative  non
direttamente rivolte: 
          1)  alla  regolazione  ai  fini  dell'incentivazione  della
concorrenza; 
          2)  alla  eliminazione  delle  rendite  e  dei  diritti  di
esclusivita', anche alla luce della normativa comunitaria; 
          3) alla eliminazione dei limiti all'accesso e all'esercizio
delle attivita' economiche e lavorative; 
          4) alla protezione di interessi primari, costituzionalmente
rilevanti, per la realizzazione della solidarieta' sociale; 
          5)  alla  tutela  dell'identita'  e  della  qualita'  della
produzione tipica e tradizionale e della professionalita'; 
        h)  promozione  degli  interventi  di   autoregolazione   per
standard qualitativi e delle certificazioni di conformita'  da  parte
delle  categorie  produttive,  sotto  la  vigilanza  pubblica  o   di
organismi indipendenti, anche privati, che accertino  e  garantiscano
la qualita' delle fasi delle attivita'  economiche  e  professionali,
nonche' dei processi produttivi e dei prodotti o dei servizi; 
        i) per le ipotesi  per  le  quali  sono  soppressi  i  poteri
amministrativi  autorizzatori  o  ridotte   le   funzioni   pubbliche
condizionanti  l'esercizio  delle   attivita'   private,   previsione
dell'autoconformazione degli interessati  a  modelli  di  regolatone,
nonche' di adeguati strumenti di verifica e controllo  successivi.  I
modelli  di  regolazione  vengono  definiti   dalle   amministrazioni
competenti in relazione all'incentivazione  della  concorrenzialita',
alla riduzione dei  costi  privati  per  rispetto  dei  parametri  di
pubblico interesse, alla flessibilita' dell'adeguamento dei parametri
stessi alle esigenze manifestatesi nel settore regolato; 
        l) attribuzione  delle  funzioni  amministrative  ai  comuni,
salvo il conferimento di funzioni a province,  citta'  metropolitane,
regioni e Stato al fine di assicurarne l'esercizio unitario  in  base
ai  principi  di  sussidiarieta',  differenziazione  e   adeguatezza;
determinazione  dei  principi  fondamentali  di  attribuzione   delle
funzioni secondo gli stessi criteri  da  parte  delle  regioni  nelle
materie di competenza legislativa concorrente; 
        m) definizione dei criteri di adeguamento dell'organizzazione
amministrativa alle modalita' di esercizio delle funzioni di  cui  al
presente comma; 
        n) indicazione esplicita dell'autorita' competente a ricevere
rapporto relativo alle sanzioni amministrative, ai sensi dell'art. 17
della legge 24 novembre 1981, n. 689». 
    Si vede bene come  questi  criteri  per  la  parte  preponderante
attengano alla regolamentazione di procedimenti amministrativi  o  di
compiti propri di enti pubblici (lettere da c a  n)  e  pertanto  non
siano pertinenti rispetto alla materia di cui al decreto  legislativo
n. 66 del 15 marzo 2010 e, tanto meno, di cui al decreto  legislativo
14 febbraio 1948 n. 43. 
    Gli unici criteri effettivamente idonei a definire l'ambito entro
cui doveva muoversi il legislatore delegato sono, quindi,  quelli  di
cui alla lettera a) e,  in  parte,  a  bis),  i  quali  prevedono  la
possibilita'  di  un  «riassetto  normativo  e  codificazione   della
normativa primaria regolante  la  materia»  e  di  «un  coordinamento
formale  e  sostanziale  del  testo   delle   disposizioni   vigenti,
apportando  le  modifiche  necessarie  per  garantire   la   coerenza
giuridica, logica e  sistematica  della  normativa  e  per  adeguare,
aggiornare e semplificare il linguaggio normativo». 
    Quanto al criterio sub b), che richiede l'«indicazione  esplicita
delle norme abrogate», e' solo una previsione funzionale ad una buona
normazione, in quanto ha lo scopo esclusivo di imporre di indicare in
modo espresso le norme che debbono essere  abrogate  proprio  perche'
sostituite da altre disposizioni confluite nel Codice o incompatibili
con queste. 
    I criteri indicati come rilevanti (a  e  in  parte  a  bis)  sono
fondamentali perche' confermano che la delega non era  conferita  per
riformare  le  diverse  materie  individuate,  ma  semplicemente  per
realizzare Testi Unici delle  disposizioni  ante  1970  mantenute  in
vigore (con eventuale armonizzazione  delle  disposizioni  successive
vigenti), con la facolta' aggiuntiva costituita dalla possibilita' di
modificare le disposizioni medesime, ma esclusivamente per «garantire
la coerenza logica e sistematica della normativa», anche al  fine  di
adeguare e semplificare il linguaggio normativa,  nell'ambito  di  un
coordinamento formale del testo. 
    Questa precisa delimitazione dell'oggetto del potere  legislativo
attribuito   al   legislatore   delegato,   d'altro   canto,   emerge
direttamente anche dal testo del comma 15 in esame, il quale, come si
e' visto, testualmente prevede la delega «alla semplificazione  o  al
riassetto  della  materia»,  anche  al  fine   di   «armonizzare   le
disposizioni   mantenute   in   vigore    con    quelle    pubblicate
successivamente alla data del 1° gennaio 1970». 
    Che questo fosse il  contenuto  della  delega,  peraltro,  emerge
anche dai lavori preparatori, nel corso dei quali  si  osservo'  come
alla luce del quadro normativa «il provvedimento assume un valore  di
ricognizione della  legislazione  vigente»  (v.  Nota  breve  dell'11
gennaio 2010 della Commissione per la  semplificazione  della  Camera
dei Deputati, ma analogamente si e' espresso il  Consiglio  di  Stato
citato dalle stesse difese, il quale espressamente riconosce  che  se
cosi' non fosse la delega sarebbe violata). 
    La  suddetta  delimitazione  dell'intervento  delegato,   d'altra
parte, spiega e giustifica l'assenza di criteri e principi  direttivi
sull'oggetto delle singole materie, come altrimenti  sarebbe  imposto
dall'art. 76 Cost., perche' le strutture portanti che  la  disciplina
delle diverse materie gia' possiede non  possono  essere  modificate,
mentre oggetto di modifica possono essere  solo  quegli  aspetti  che
servono a semplificare il linguaggio o a garantire armonizzazione tra
piu' testi, nonche' coerenza logica e sistematica alla normativa. 
    Non puo', quindi,  discendere  da  questa  delega  il  potere  di
abrogare sic et simpliciter una disposizione mantenuta in  vigore  ai
sensi del comma 14, qual  era  il  decreto  legislativo  n.  1948/43,
espressamente mantenuto in vigore dal decreto legislativo del 2009 n.
179. 
    Infatti, l'abrogazione di questa norma, senza  alcuna  attrazione
nel  Codice  dell'ordinamento  militare  di  una   disposizione   dal
contenuto corrispondente, realizza un effetto del  tutto  diverso  da
quello legittimato dal legislatore delegante con i principi e criteri
gia' analizzati. 
    In  vero,  la  specifica   disciplina   contenuta   nel   decreto
legislativo 14 febbraio 1948 n. 43, con particolare riferimento  alla
fattispecie penale  oggetto  del  presente  procedimento,  non  trova
alcuna regolamentazione ne'  identica,  ne'  analoga  nel  corpo  del
Codice, cosicche' rispetto a quel reato non si sono realizzati ne' un
riassetto  normativo   ne'   tanto   meno   una   codificazione,   ma
semplicemente se ne  e'  disposta  l'abrogazione,  con  l'effetto  di
rendere lecito un comportamento prima penalmente punito. 
    E non si puo' neppure  sostenere  che  quella  abrogazione  fosse
imposta o consentita da esigenze di  coordinamento  o  armonizzazione
con altre previsioni contenute nel Codice,  sia  perche'  il  decreto
legislativo 14 febbraio 1948 n. 43 aveva ad oggetto una  materia  del
tutto  diversa  da  quella  regolata  nel   Codice   dell'ordinamento
militare, sia perche', in ogni caso, il mantenimento del reato di cui
si discute non  si  pone  in  contrasto  (come  non  potrebbe  essere
altrimenti) con alcuna previsione dettata nel Codice. 
    E il fatto che nel  Codice  non  si  rinvenga  alcuna  disciplina
riguardante le associazioni con scopi politici a  struttura  militare
conferma che la materia di cui al  decreto  legislativo  14  febbraio
1948 n. 43 nulla ha a che fare con  la  materia  oggetto  del  Codice
dell'ordinamento militare, come specifica, del resto, lo stesso  art.
1 del decreto legislativo 66 del  2010,  il  quale  precisa  che  "il
presente decreto, con la denominazione  di  «codice  dell'ordinamento
militare», e le altre disposizioni da esso espressamente  richiamate,
disciplinano l'organizzazione, le funzioni e l'attivita' della difesa
e sicurezza militare e delle Forze armate''. 
    Anche per questo, pertanto, va esclusa in radice la  possibilita'
che con quel Codice  il  legislatore  delegato  potesse  abrogare  il
decreto  legislativo  14  febbraio  1948  n.  43,  che  non  riguarda
«l'organizzazione, le funzioni e l'attivita' della difesa e sicurezza
militare e delle Forze armate». 
    Tanto piu', inoltre, era precluso in un  ambito  come  quello  in
esame, di mero coordinamento  tra  disposizioni  in  vigore,  che  il
legislatore delegato potesse abrogare una  disposizione  direttamente
attuativa di un precetto costituzionale (art. 18  Cost.),  senza  far
confluire nel Codice militare una norma penale analoga. 
C) Illegittimita' in relazione all'art. 18 Cost. 
    In relazione all'art. 18 Cost., infatti,  proposto  dal  Pubblico
ministero  come  parametro  costituzionale  di  riferimento,  occorre
osservare che, in realta', come sostenuto da alcuni difensori, l'art.
18 non impone la previsione di una sanzione e, men che meno,  di  una
sanzione penale. 
    Tuttavia, l'abrogazione della norma che costituisce  la  concreta
attuazione del precetto costituzionale  fa  venir  meno  il  supporto
sanzionatorio penale apprestato al divieto costituzionale. 
    L'effetto di un simile intervento e' che la condotta, pur vietata
dalla Costituzione, diviene  lecita  per  l'ordinamento  penale,  non
essendo sanzionata da altre norme penali. 
    Di conseguenza, proprio il fatto che  il  divieto  di  costituire
associazioni con struttura militare che perseguono scopi politici sia
fissato dalla Costituzione comporta che la  scelta  di  sanzionare  o
meno quel divieto e la selezione degli interventi  sanzionatori  piu'
adeguati tanto piu' non puo' essere compiuta dal  Governo  senza  una
delega specifica sul punto. 
    E  per  la  stessa  ragione  non  puo'  qui  essere  invocata  la
possibilita' di una lettura ampia dei criteri direttivi. 
    3.   Rilevanza    e    ammissibilita'    della    questione    di
Costituzionalita'. 
    In merito alla rilevanza e' evidentemente indubbio  che,  ove  la
norma che ha abrogato il reato per cui si procede fosse legittima, il
presente  procedimento  si  dovrebbe  concludere  con  una   sentenza
immediata di improcedibilita' per intervenuta abrogazione; mentre ove
l'intervento  abrogativo  fosse  da  ritenere  illegittimo,   perche'
adottato da  un  organo  privo  del  potere  legislativo  idoneo,  il
procedimento dovrebbe proseguire per pervenire ad una  pronuncia  nel
merito, anche eventualmente in applicazione dell'art. 2 c.p. 
    Al riguardo si puo' richiamare l'orientamento gia' espresso dalla
Corte costituzionale con la sentenza n. 148 del 1983, nonche' con  la
sentenza 394 del 2006. 
    La circostanza che, nel caso di specie, si invochi da parte della
Corte costituzionale un sindacato di legittimita'  costituzionale  su
una norma abrogatrice di altra disposizione sanzionatoria  di  natura
penale impone preliminarmente una riflessione in merito all'esistenza
del potere della Corte di sindacare detta norma abrogatrice. 
    Aspetto sul quale si sono soffermate anche le difese. 
    In proposito questo Collegio ritiene che detto  potere  esista  e
che non trovi un limite nella giurisprudenza della Corte adita  circa
i limiti al controllo di costituzionalita' delle norme penali. 
    E' noto, infatti, che  la  Corte  costituzionale  ha  stabilmente
ritenuto di non poter estendere il proprio  controllo  su  interventi
legislativi in materia penale ove l'effetto della  propria  decisione
si risolva in una violazione della riserva di legge vigente in  forza
dell'art. 25, comma 2, Cost. 
    Afferma, in particolare, la Corte costituzionale che  il  proprio
sindacato su interventi legislativi in materia penale sia limitato al
vaglio delle  sole  «norme  penali  di  favore»,  tra  le  quali  non
rientrerebbe il caso qui  in  esame,  di  una  norma  direttamente  e
integralmente abrogativa di un reato. 
    Rispetto ad interventi  integralmente  abrogativi  di  un  reato,
afferma  la  Corte  che  una  propria  pronuncia  di   illegittimita'
costituzionale della norma abrogatrice comporterebbe la  reviviscenza
dell'originaria norma incriminatrice e  che  cio'  determinerebbe  la
sostituzione della Corte al legislatore nella scelta  delle  condotte
passibili di sanzione penale. 
    In relazione a questa problematica va premesso, in  primo  luogo,
che una simile limitazione dei  poteri  della  Corte  non  appare  in
realta' condivisibile, proprio perche',  quanto  meno,  in  tal  modo
vengono a residuare aree dell'ordinamento sottratte al  controllo  di
costituzionalita',  mentre  cio',  come  afferma  la   stessa   Corte
costituzionale (1983 n. 148), non dovrebbe essere possibile alla luce
della collocazione della Corte quale organo preposto al controllo  di
compatibilita' costituzionale delle leggi: di tutte le leggi. 
    Con questa limitazione, infatti, si puo'  arrivare  al  paradosso
che scelte legislative di abrogazione di reati  offensivi  di  valori
costituzionalmente protetti o di diritti  inviolabili  dell'uomo  non
potrebbero mai essere sindacate dal giudice delle leggi. 
    In   ogni   caso,   anche   considerando   condivisibile   quella
giurisprudenza e ritenendo che la riserva di legge  di  cui  all'art.
25, comma 2, Cost., precluda alla  Corte  un  sindacato  sulle  leggi
abrogative di reati, di certo quella giurisprudenza non puo'  trovare
applicazione nel caso di specie. 
    In questa sede, infatti, la pronuncia che e' richiesta alla Corte
e' diretta espressamente a riaffermare il  principio  di  riserva  di
legge  di  cui  all'art.  25,  comma  2,   Cost.,   violato   proprio
dall'illegittimo intervento di un organo diverso dal Parlamento. 
    Ove la Corte ritenesse di ricondurre  questa  vicenda  nell'alveo
della propria richiamata giurisprudenza si produrrebbe l'effetto  non
gia' di garantire il rispetto da  parte  della  Corte  del  monopolio
riservato al Parlamento dall'art.  25,  comma  2,  Cost.,  bensi'  di
legittimare la violazione del medesimo principio ad opera del Governo
in carenza assoluta del relativo potere. 
    Negare questo potere  di  intervento  alla  Corte  costituzionale
potrebbe   produrre   effetti   paradossali   come,    ad    esempio,
l'intangibilita' dell'abrogazione  del  reato  di  violenza  sessuale
operata in appendice ad un decreto legislativo fondato su una  delega
al riordino della disciplina dei contratti agrari. 
    E' evidente come cio', a tacer d'altro (come la  possibilita'  di
strumentalizzazioni personali), realizzi un totale stravolgimento dei
rapporti tra i  Poteri  dello  Stato,  rispetto  al  quale  la  Corte
costituzionale non avrebbe alcun potere di intervento dirimente. 
    E merita che si segnali come in tal modo la decisione della Corte
legittimerebbe effetti assai piu' gravi e pervasivi di quelli che  la
stessa Corte ha voluto impedire con la  pronuncia  n.  51  del  1985,
allorche', esattamente, ritenne di escludere che i decreti legge  non
convertiti implicanti, per quel che interessa in questa sede, effetti
abrogativi di norme penali, potessero esplicare gli effetti di favore
di cui ai commi 2 e 3 dell'art. 2 c.p. 
    Se, infatti, in quella sede si ritenne di privare di  effetti  il
decreto legge  non  convertito,  perche'  senza  conversione  non  e'
parificabile ad un atto legislativo, tanto piu' deve essere  precluso
ad un atto di valore ancora inferiore, come  un  decreto  legislativo
adottato senza delega, di esplicare effetti abrogativi. 
    In sede di adozione di un decreto legge quanto meno il Governo ha
il potere di introdurre norme anche penali,  mentre  non  ha  neppure
tale potere ove agisca con la forma  del  decreto  legislativo  senza
delega o in eccesso rispetto alla delega. 
Posizione Pollini Alfredo. 
    Per la posizione dell'imputato Pollini Alfredo, per il  quale  si
e' gia' accertata la morte, e' necessario,  come  per  i  coimputati,
attendere la chiesta pronuncia della Corte costituzionale, in  quanto
deve prevalere, tra le formule terminative, quella di estinzione  del
reato per abolitio criminis rispetto a quella di estinzione del reato
per morte del reo,. 
    Questioni di costituzionalita' relative all'art. 161 c.p. 
    Anche rispetto alle questioni svolte dalle difese con riferimento
all'art. 161 c.p. occorre osservare che l'eventuale  accoglimento  di
esse comporterebbe la necessita' di una pronuncia di  estinzione  del
reato per intervenuta  prescrizione,  rispetto  alla  quale  dovrebbe
prevalere  una  pronuncia  di  estinzione  del  reato  per   abolitio
criminis. 
    Fermo  che,  rispetto  all'art.   161   c.p.,   potrebbe   essere
prospettata una lettura coerente con la Costituzione ove si ritenesse
che la norma sostanziale operi solo nel  caso  in  cui  non  si  sia,
illegittimamente,  proceduto  alla   separazione   del   procedimento
prevista dall'art. 18 c.p.p.. 
    Nullita' del capo di imputazione. 
    Non puo' essere valutata in questa fase l'eventuale nullita'  del
capo di imputazione atteso che,  ove  la  fattispecie  incriminatrice
fosse stata legittimamente abrogata, non si potrebbe  che  dar  corso
alla  consequenziale  pronuncia  di  proscioglimento,  senza  potersi
sindacare in ordine alla completezza dell'accusa. 
    Sulla competenza territoriale. 
    In relazione alla competenza territoriale di questo Tribunale, va
preliminarmente sottolineato che, subito  dopo  l'accertamento  della
regolare costituzione delle parti, in prima udienza, le difese  hanno
richiesto  a  questo  Tribunale  una  pronuncia  di   proscioglimento
immediato adducendo l'avvenuta abolitio criminis. 
    Solo con la memoria autorizzata  in  replica  alla  questione  di
costituzionalita' sollevata dal Pubblico ministero  l'Avv.  Gasperini
ha prospettato l'incompetenza  di  questo  Tribunale,  rilevando  che
dall'incompetenza conseguirebbe l'impossibilita' per questo Tribunale
di sollevare la questione di costituzionalita'. 
    In realta' proprio l'ambito processuale in  cui  ci  si  trova  a
seguito della richiesta delle stesse  difese  di  un  proscioglimento
immediato impedisce una  verifica  approfondita  della  questione  di
competenza,  sulla  quale,  peraltro,  anche  alla  luce  degli  atti
contenuti nel fascicolo per il dibattimento, non vi sono elementi  di
evidenza che escludano con sicurezza il radicamento della  competenza
territoriale presso questo  Tribunale.  Tanto  piu'  considerato  che
rispetto ai reati associativi l'orientamento giurisprudenziale che si
ritiene  corretto  fissa  la  regola   per   cui   "ai   fini   della
determinazione del giudice territorialmente  competente,  essendo  il
reato associativo reato permanente, criterio principale  cui  occorre
avere riguardo e' quello dell'art. 8 comma 3, c.p.p., secondo cui  e'
competente  il  giudice  del  luogo  in  cui  ha  avuto   inizio   la
consumazione. A tale riguardo, ai fini cioe' dell'individuazione  del
luogo in cui ha avuto inizio la consumazione  del  reato  associativo
questo va individuato  non  in  quello  della  stipula  dell'accordo,
perche' non e' con questo che il delitto si consuma, ma in quello  in
cui   e'   concretamente   iniziata   la   vita   e   la   permanenza
dell'associazione, ossia il luogo in cui il sodalizio criminoso si e'
manifestato per la prima volta all'esterno  con  la  concretizzazione
dei primi segni della sua operativite (Cassazione penale , sez. I, 17
novembre 2009, n. 49627). 
    Peraltro,  nella  stessa  discussione  odierna  le  difese  hanno
variamente  indicato   come   luogo   di   radicamento   territoriale
dell'associazione varie localita' (Varese,  Bergamo,  Mantova,  Busto
Arsizio), a riprova  dell'impossibilita',  in  questa  fase,  di  una
delibazione che abbia caratteri di certezza circa  l'incompetenza  di
questo Tribunale,  allo  stato  esclusa  dal  G.U.P.  in  ragione  di
attivita'   di   concreta    operativita'    dell'associazione    che
emergerebbero dagli atti, in questa fase non a conoscenza del giudice
del dibattimento, come poste in essere nel territorio veronese. 
    Come indicato dallo stesso difensore, mediante richiamo  all'Ord.
120 del 1993, e' solo in caso di manifesta incompetenza del giudice a
quo, rilevabile ictu oculi, che la  questione  puo'  essere  ritenuta
inammissibile dalla Corte Costituzionale. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visto l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948 n. 1  e
l'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87; 
    Dichiara   non   manifestamente   infondata   la   questione   di
legittimita' costituzionale per contrarieta' all'art.  76,  18  e  25
Cost. dell'art. 2268 del decreto legislativo n. 66 del 15 marzo 2010,
nella  parte  in  cui  al  n.  297  del  comma 1  abroga  il  decreto
legislativo n. 43 del 1948  per  mancanza  di  una  valida  delega  e
contrarieta' alla riserva di legge; 
    Dichiara, in via subordinata,  non  manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale per contrarieta' all'art. 76
Cost. dell'art. 14,  comma  14  della  legge  n.  246  del  2005  per
genericita' dei principi e  criteri  direttivi  e  per  l'assenza  di
indicazione di oggetti definiti e, per l'effetto, non  manifestamente
infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art.  2268
del decreto legislativo n. 66 del 15 marzo 2010, nella parte  in  cui
al n. 297 del comma 1 abroga il decreto legislativo n.  43  del  1948
per mancanza di una valida delega  e  contrarieta'  alla  riserva  di
legge. 
    Ordina, di conseguenza, l'immediata trasmissione degli atti  alla
Corte costituzionale; 
    Dispone che la presente ordinanza sia integralmente notificata  e
comunicata alle parti che non siano presenti o  rappresentate  e  che
sia altresi' notificata al Presidente del Consiglio  dei  ministri  e
comunicata al Presidente della Camera dei deputati  e  al  Presidente
del Senato della Repubblica. 
    Dispone la sospensione del procedimento. 
    Manda la cancelleria per gli adempimenti. 
        Verona, 10 dicembre 2010 
 
                      Il Presidente: Guidorizzi 
 
    I Giudici: Piziali -  Magri». 
VI. Questioni residuali. 
    Vi  e',  da   ultimo,   da   confermare   quanto   gia'   esposto
nell'ordinanza appena trascritta  circa  la  posizione  dell'imputato
deceduto Pollini Alfredo, nonche' quanto gia' ritenuto rispetto  alla
secondarieta' delle questione di nullita' del capo di  imputazione  e
l'infondatezza della questione di competenza,  mentre  parimenti  non
valutabile  in  questa  sede  e'  la  richiesta  di  declaratoria  di
prescrizione previa riqualificazione dei ruoli rivestiti dai  singoli
imputati,  dovendo  prevalere  la  pronuncia   piu'   favorevole   di
sopravvenuta  irrilevanza  penale  del  fatto   rispetto   all'evento
estintivo ipotizzato,  per  il  quale,  peraltro,  e'  necessario  un
accesso a valutazioni di merito non possibili in questa fase. 
    Vi e' da  ultimo  da  rilevare  che  del  tutto  inconferente  e'
l'ordinanza della Corte costituzionale n. 341 del 2011, atteso che in
quella sede la Corte, del  tutto  correttamente,  si  e'  limitata  a
dichiarare inammissibile la questione di legittimita'  sollevata  dal
Tribunale di Treviso sull'art. 2268 del d.lgs. 66 del 2010, in quanto
la questione, in  quella  sede,  fu  sottoposta  dopo  che  gia'  era
intervenuto l'ulteriore preminente effetto abrogativo conseguente  al
d.lgs. 213 del 2010, senza che il S.C. si sia pronunciato sul  merito
delle questioni poste rispetto al d.lgs. 66 del 2010 o men  che  meno
sulla legittimita' del d.lgs. 213 del 2010 nella  parte  che  qui  si
impugna. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visto l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948 n. 1  e
l'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87; 
    Dichiara   non   manifestamente   infondata   la   questione   di
legittimita' costituzionale per contrarieta' agli artt. 76, 18  e  25
Cost. dell'art. 1 del decreto legislativo  n.  213  del  2010,  nella
parte in  cui  modifica  il  decreto  legislativo  n.  179  del  2009
espungendo dalle norme mantenute in vigore il decreto legislativo  n.
43 del 1948, per mancanza di una valida delega  e  contrarieta'  alla
riserva di legge; 
    Dichiara, in via subordinata,  non  manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale per contrarieta' all'art. 76
Cost. dell'art. 14, commi 18 e 14 della legge n.  246  del  2005  per
assenza o  genericita'  dei  principi  e  criteri  direttivi  e,  per
l'effetto, non manifestamente infondata la questione di  legittimita'
costituzionale del decreto legislativo n. 213 del 2010,  nella  parte
in cui modifica il decreto legislativo n.  179  del  2009  espungendo
dalle norme mantenute in vigore il decreto legislativo n. 43 del 1948
per mancanza di una valida delega  e  contrarieta'  alla  riserva  di
legge; 
    Consequenzialmente  dichiara  non  manifestamente  infondata   la
questione di legittimita' costituzionale per contrarieta' agli  artt.
76, 18 e 25 Cost. dell'art. 2268 del decreto legislativo n. 66 del 15
marzo 2010, nella parte in cui al  n.  297  del  comma  1  abroga  il
decreto legislativo n. 43 del 1948 per mancanza di una valida  delega
e contrarieta' alla riserva di legge; 
    Dichiara, in via subordinata,  non  manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale per contrarieta' all'art. 76
Cost. dell'art. 14,  comma  14  della  legge  n.  246  del  2005  per
genericita' dei principi e  criteri  direttivi  e  per  l'assenza  di
indicazione di oggetti definiti e, per l'effetto, non  manifestamente
infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art.  2268
del decreto legislativo n. 66 del 15 marzo 2010, nella parte  in  cui
al n. 297 del comma 1 abroga il decreto legislativo n.  43  del  1948
per mancanza di una valida delega  e  contrarieta'  alla  riserva  di
legge; 
    Ordina, di conseguenza, l'immediata trasmissione degli atti  alla
Corte costituzionale; 
    Dispone che la presente ordinanza sia integralmente notificata  e
comunicata alle parti che non siano presenti o  rappresentate  e  che
sia altresi' notificata al Presidente del Consiglio  dei  ministri  e
comunicata al Presidente della Camera dei deputati  e  al  Presidente
del Senato della Repubblica. 
    Dispone la sospensione del procedimento. 
    Manda la cancelleria per gli adempimenti. 
        Verona, 25 febbraio 2012 
 
                      Il Presidente: Guidorizzi