N. 205 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 febbraio 2012

Ordinanza dell'8 febbraio 2012 emessa dal Tribunale di  Oristano  nel
procedimento penale a carico di Brau Francesco Quirico Andrea. 
 
Edilizia e urbanistica - Norme della  Regione  Sardegna  -  Modifiche
  alle norme sulla classificazione delle aziende ricettive -  Aziende
  ricettive all'aria aperta - Previsione che gli allestimenti  mobili
  di pernottamento, quali le case mobili, non costituiscano attivita'
  rilevante a fini urbanistici, edilizi e paesaggistici -  Violazione
  della competenza esclusiva statale in materia penale, a  fronte  di
  un'indebita restrizione dell'ambito applicativo di tutte e  tre  le
  fattispecie di reato di cui all'art. 44, primo comma,  lettere  a),
  b) e c), del d.P.R. n. 380 del 2001  -  Disparita'  di  trattamento
  rispetto a quanto previsto nel resto  del  territorio  nazionale  e
  nella stessa Regione al di fuori delle aziende  ricettive  all'aria
  aperta - Contrasto con la norma statutaria regionale che impone  il
  rispetto delle norme  statali  fondamentali  di  riforma  economico
  sociali. 
- Legge della Regione Sardegna 8 novembre 2011  (recte:  21  novembre
  2011), n. 21, art. 20. 
- Costituzione, artt. 3, 25, comma secondo, 117, comma secondo, lett.
  l), e 118; Statuto della Regione Sardegna,  art.  3,  primo  comma;
  d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. 
(GU n.40 del 10-10-2012 )
 
                            IL TRIBUNALE 
 
    Letti gli atti del procedimento penale  sopra  indicato  iscritto
nei confronti di Brau Francesco Quirico Andrea, nato a Sassari il  22
marzo 1960 Imputato in relazione: 
        a) alla contravvenzione p. e p. dagli artt. 44, lett. c),  in
relazione all'art. 30, del d.P.R n. 380 del 2001 e all'art. 17  della
legge n. 23 del 1985  della  regione  Sardegna,  perche',  nella  sua
qualita'  di  legale  rappresentante  della  soc.  coop.  La  Peonia,
eseguiva una lottizzazione abusiva a scopo edificatorio  del  terreno
di circa 2700 mq., sito in zona F  del  piano  urbanistico  comunale,
localita' «S'Ena Arrubia», e identificato nel catasto  al  foglio  5,
mappale  2  parte,  con  conseguente  trasformazione  urbanistica  ed
edilizia del terreno stesso, collocando un chiosco prefabbricato e 26
unita' abitative pure prefabbricate, aventi dimensioni  variabili  da
m. 6,90 a m. 8,58 di lunghezza, da m. 2,60 a m. 2,95 di  larghezza  e
da m. 2,20 a  m.  2,55  di  altezza,  alcune  dotate  di  veranda  in
struttura tubolare  e  tutte  collegate  a  opere  di  urbanizzazione
primaria,  consistenti  nelle  reti  idrica,  elettrica  e  fognaria,
effettuate allo scopo; 
        b) della contravvenzione p. e p. dall'art. 44, lett. c),  del
d.P.R. n. 380 del 2001, in relazione all'art.  3  della  legge  della
regione Sardegna n. 23 del 1985 e  succ.  mod.,  perche',  nella  sua
qualita' di legale rappresentante della soc. coop.  La  Peonia  e  in
assenza della prescritta concessione edilizia, in zona  sottoposta  a
vincolo  paesaggistico  con  decreto  6  aprile   1990   n.   TPUC/21
dell'assessore   della   pubblica   istruzione,    beni    culturali,
informazione, spettacolo  e  sport,  e  inoltre  tutelata  per  legge
poiche' compresa in una fascia  di  trecento  metri  dalla  linea  di
battigia e coperta da bosco, effettuava le  opere  di  urbanizzazione
primaria e collocava il chiosco e le unita'  abitative  prefabbricate
indicate alla precedente lett. a); 
        c) della contravvenzione p. e p. dall'art. 734 c.p.  perche',
nella sua qualita' di  legale  rappresentante  della  soc.  coop.  La
Peonia, collocando i manufatti descritti nella precedente  lett.  a),
distruggeva e  comunque  alterava  le  bellezze  naturali  di  luoghi
soggetti   a   speciale   protezione   dell'autorita',    scarsamente
interessati,  nel  loro   complesso,   da   rilevanti   processi   di
antropizzazione   e   caratterizzati    da    eccezionali    elementi
paesaggistici, naturalistici e geomorfologici, fra i  quali  spiccano
la pineta di pini  domestici  e  eucalipti  e  lo  stagno  di  «S'Ena
Arrubia». 
    In Arborea, nel mese di luglio 2008. 
 
                               Osserva 
 
    All'esito dell'istruttoria dibattimentale il  pubblico  ministero
ha prospettato l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  20  della
legge  regionale  8  novembre  2011  n.  21  della  regione  autonoma
Sardegna, nella parte in cui sostituisce  l'articolo  6  comma  4-bis
della legge 14 maggio 1984 n. 22 a  sua  volta  introdotto  da  legge
regionale 7 agosto 2009 n. 3. 
    Le   considerazioni   svolte   dal   pubblico   ministero    sono
assolutamente condivisibili ad avviso di questo giudice e  dimostrano
che l'intento del legislatore della regione Sardegna  di  perseverare
nel tentativo di anteporre esigenze di  tipo  economico  alla  tutela
dell'ambiente  ed  alla  corretta  programmazione  degli   interventi
edilizi  sul  territorio  urtano  inesorabilmente  con   i   principi
dell'ordinamento giuridico e con le norme fondamentali delle  riforme
economico sociali della Repubblica quali quelli contenuti nel  d.P.R.
n. 380/2001 intaccando la potesta' legislativa esclusiva dello  Stato
in materia penale. Di conseguenza non appare manifestamente infondata
la questione di costituzionalita' della norma regionale in  relazione
agli articoli 25 comma 2 e 117 comma 2 lettera L) della  Costituzione
nonche'  in  relazione   all'articolo   3   della   Costituzione   ed
all'articolo 3 comma 1 dello statuto speciale della regione Sardegna. 
    Il preciso dettagliato iter argomentativo del pubblico  ministero
puo' essere integralmente trasfuso nella presente ordinanza  muovendo
proprio dall'esame testuale  della  norma  che  viene  sottoposta  al
vaglio del Giudice delle Leggi: 
    « (1) Tale articolo, la cui rubrica  s'intitola  «Modifiche  alle
norme sulla classificazione delle aziende ricettive», stabilisce: 
    1. Alla legge regionale 14 maggio  1984,  n.  22  (Norme  per  la
classificazione   delle   aziende   ricettive),   il   comma    4-bis
dell'articolo 6, introdotto dalla legge regionale 7 agosto 2009, n. 3
(Disposizioni urgenti nei settori economico e sociale) e'  sostituito
dal seguente: 
    "4-bis. Fatto salvo quanto previsto nel presente articolo,  nelle
aziende ricettive all'area  aperta  regolarmente  autorizzate  e  nei
limiti della ricettivita' autorizzata,  gli  allestimenti  mobili  di
pernottamento,   quali   tende,   roulotte,   caravan,    mobil-home,
maxicaravan o  case  mobili  e  pertinenze  ed  accessori  funzionali
all'esercizio dell'attivita', sono diretti a soddisfare  esigenze  di
carattere turistico meramente temporanee e, anche se collocati in via
continuativa,  non   costituiscono   attivita'   rilevante   a   fini
urbanistici, edilizi e paesaggistici. A tal  fine  tali  allestimenti
devono: 
        a) conservare i meccanismi di rotazione in funzione; 
        b) non possedere alcun collegamento di natura  permanente  al
terreno e gli allacciamenti alle reti tecnologiche, gli  accessori  e
le pertinenze devono essere rimovibili in ogni momento.". 
    E' opportuno, per una migliore lettura  della  norma,  dar  conto
anche della precedente formulazione dell'art. 6, comma  4-bis,  della
legge regionale n. 22 del 1984, inserito da quella in data  7  agosto
2009, n. 3, sempre della regione Sardegna,  il  quale,  testualmente,
recitava: 
    "4-bis. Nei campeggi  non  e'  richiesto  il  titolo  abilitativo
edilizio per gli allestimenti mobili di pernottamento che  conservano
i  meccanismi  di  rotazione  in   funzione,   non   sono   collegati
permanentemente al terreno e i cui allacciamenti  alla  rete  idrica,
elettrica e fognaria sono amovibili in qualsiasi momento." 
    Quest'ultima disposizione era stata introdotta a pochi giorni  di
distanza dall'approvazione, da parte del legislatore  statale,  della
legge  23  luglio  2009,  n.  99  (Disposizioni  per  lo  sviluppo  e
l'internazionalizzazione delle imprese nonche' in materia di energia)
il cui art. 3, comma 9, pure si stima utile trascrivere: 
        "3.   Al   fine   di   garantire   migliori   condizioni   di
competitivita' sul mercato internazionale e dell'offerta  di  servizi
turistici,  nelle  strutture   turistico-ricettive   all'aperto,   le
installazioni e i rimessaggi dei mezzi mobili di pernottamento, anche
se collocati permanentemente, per l'esercizio  dell'attivita',  entro
il  perimetro  delle   strutture   turistico-ricettive   regolarmente
autorizzate,   purche'   ottemperino   alle   specifiche   condizioni
strutturali e di mobilita' stabilite dagli ordinamenti regionali, non
costituiscono in alcun caso attivita' rilevanti ai fini  urbanistici,
edilizi e paesaggistici." 
    Peraltro, con sentenza n. 278 del 2010, la Corte  costituzionale,
su  ricorso  della  regione  Lazio,  ha  dichiarato  l'illegittimita'
costituzionale di tale norma  non  essendosi  la  stessa  limitata  a
prevedere soltanto criteri  e  obiettivi  ma  avendo  introdotto  una
disciplina "dettagliata e specifica che non lascia alcuno  spazio  al
legislatore regionale" con  conseguente  superamento  dell'ambito  di
competenza che, in materia di governo del territorio, e'  imposto  al
legislatore statale dall'art. 117, 3° comma, della Costituzione. 
    Ai fini che qui interessano, e' il caso di precisare che la Corte
costituzionale ha individuato gli aspetti di  dettaglio  della  norma
dichiarata incostituzionale nella circostanza che si trattava di  una
disciplina concernente specifiche tipologie  d'interventi  edilizi  e
applicabile  alle  sole  strutture  turistico-ricettive   all'aperto.
Limitatamente a tali ambiti, come del resto  ha  rilevato  la  stessa
Corte costituzionale, la disposizione in esame costituisce una deroga
a quella, posta dall'art. 3, 1° comma, punto e.5), del d.P.R. n.  380
del 2001, secondo la quale rientra nell'ambito  degli  interventi  di
nuova  costruzione:  "l'installazione  di  manufatti  leggeri   anche
prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere,  quali  roulottes,
campers,  case  mobili,  imbarcazioni,  che  siano  utilizzati   come
abitazioni, ambienti di lavoro, oppure  come  depositi,  magazzini  e
simili, e che non  siano  diretti  a  soddisfare  esigenze  meramente
temporanee;". 
    Trattandosi,  come  si  e'  ora  detto,  di  un  intervento   che
appartiene alla piu' ampia categoria di quelli di nuova  costruzione,
anche  l'installazione  dei  manufatti  indicati  e'  subordinata  al
preventivo rilascio del permesso di costruire  o,  in  alternativa  e
alla presenza di  determinati  presupposti,  alla  denuncia  d'inizio
attivita', ai sensi, rispettivamente, degli artt. 10, 1° comma, e 22,
3° comma, del citato  d.P.R.  n.  380.  La  Corte  costituzionale  ha
osservato,  sulla  scia  di  un  risalente  e  pacifico  orientamento
giurisprudenziale dei giudici sia ordinari sia amministrativi, che il
legislatore ha recepito con la disposizione ora riportata,  che:  "In
sostanza, la normativa statale sancisce il  principio  per  cui  ogni
trasformazione  permanente  del  territorio   necessita   di   titolo
abilitativi e cio' anche ove si tratti di strutture mobili  allorche'
esse non abbiano carattere precario. 
    Il discrimine tra necessita' o meno di titolo abilitativo e' dato
dal duplice elemento: precarieta' oggettiva dell'intervento, in  base
alle tipologie dei materiali utilizzati e precarieta' funzionale,  in
quanto  caratterizzata  dalla  temporaneita'  dello  stesso."   Nelle
ipotesi considerate, invece: "(...) la disposizione impugnata esclude
la rilevanza di tali attivita' a fini urbanistici ed  edilizi  (oltre
che paesaggistici), e, conseguentemente, la necessita' di  conseguire
apposito titolo abilitativo per la loro realizzazione, sulla base del
mero dato oggettivo, cioe' della precarieta' del  manufatto,  dovendo
trattarsi  di  'mezzi  mobili'   secondo   quanto   stabilito   dagli
ordinamenti regionali. 
    Tale elemento strutturale e' considerato  a  priori  di  per  se'
sufficiente, ed anzi e' espressamente esclusa la rilevanza  del  dato
temporale   e   funzionale   dell'opera,   in   quanto   si   prevede
esplicitamente che possa trattarsi anche  di  opere  permanenti,  sia
pure connesse all'esercizio dell'attivita' turistico-ricettiva." 
    Per   la    verita',    secondo    il    costante    orientamento
giurisprudenziale al  quale  si  e'  sopra  accennato,  cio'  che  e'
essenziale per stabilire se un manufatto sia precario o meno, con  la
facolta' di erigerlo senza  alcun  titolo,  nel  primo  caso,  o  con
l'obbligo di ottenere quest'ultimo,  nel  secondo  caso,  non  e'  la
tipologia dei materiali impiegati o  le  modalita'  costruttive,  dal
momento che un'opera edilizia puo' ben essere  diretta  a  soddisfare
esigenze temporanee anche se stabilmente infissa al suolo  (l'esempio
ricorrente e' quello della struttura di cantiere adibita  a  ricovero
dei macchinari e degli attrezzi, che puo' anche essere  edificata  in
muratura). Decisiva, invece, e' la circostanza  che  la  costruzione,
senza che possa attribuirsi alcun rilievo alle intenzioni manifestate
dal responsabile, presenti  oggettivamente  caratteristiche  tali  da
potersi desumere che essa sia stata eseguita per assicurare  esigenze
cronologicamente circoscritte o, al contrario, destinate a  permanere
nel tempo, anche in modo non continuo ma ricorrente (e in tale ultimo
caso si parla di  opere  stagionali  per  le  quali  vige,  comunque,
l'obbligo di munirsi di titolo abilitativo). 
    E' questa la ragione per cui, come esattamente  ha  affermato  la
Corte  costituzionale   nella   sentenza   in   commento,   qualsiasi
trasformazione  permanente   del   territorio   e'   subordinata   al
conseguimento del prescritto titolo edilizio anche qualora l'opera da
realizzare, pur se non saldamente  infissa  al  suolo  e  prontamente
rimovibile, debba essere destinata a un'utilizzazione non temporanea,
come fra l'altro dispone l'art. 3, 1° comma, punto e5.) del d.P.R. n.
380 del 2001 per specifiche tipologie d'installazioni. 
    Invece, la disposizione statale dichiarata incostituzionale,  sia
pure, come si e'  visto,  in  ambiti  e  per  attivita'  determinate,
attribuiva rilievo alle caratteristiche di pronta rimozione  di  tali
installazioni, al contempo e contraddittoriamente consentendo che  le
stesse  potessero  rimanere  indefinitamente  sull'area  della   loro
collocazione senza che cio' fosse  rilevante  sia  sotto  il  profilo
urbanistico e edilizio sia sotto quello paesaggistico. 
    Anche l'art. 6, comma 4-bis, della legge della  regione  Sardegna
n.  22  del  1984,  non  solo  nella  sua  precedente   formulazione,
introdotta dalla gia' citata legge regionale n. 3 del 2009  ma  anche
in quella attuale dovuta alla legge regionale n. 21 del 2011, prevede
l'installazione dei manufatti appartenenti  alle  tipologie  elencate
nel testo della  norma,  nelle  sole  strutture  turistico  ricettive
all'aria  aperta  regolarmente  autorizzate  e   nei   limiti   della
ricettivita' autorizzata, purche' si tratti di manufatti destinati  a
soddisfare esigenze turistiche di carattere temporaneo e  sempre  che
le strutture in questione  non  siano  permanentemente  collegate  al
suolo, conservino i meccanismi di rotazione  in  funzione  e  i  loro
accessori e pertinenze, oltre che  gli  allacciamenti  agli  impianti
tecnologici, possano essere prontamente rimovibili. 
    In  casi  del   genere,   la   vigente   disposizione   autorizza
l'installazione  dei  manufatti  di  cui  si  tratta  in  assenza  di
qualsiasi titolo abilitativo, ritenendo la loro irrilevanza sotto  il
profilo urbanistico, edilizio  e  paesaggistico,  anche  in  caso  di
sistemazione degli stessi in via permanente. 
    Peraltro, sotto  il  vigore  della  precedente  disposizione,  il
tribunale di Oristano, con alcune sentenze e ordinanze, per le  quali
si veda, per tutte, l'ordinanza in data 15 gennaio  2010  pronunciata
in sede di riesame del decreto di sequestro preventivo di alcune case
mobili installate in un camping, in assenza di concessione edilizia e
di autorizzazione paesaggistica, aveva stabilito,  vigente  anche  la
legge statale n. 99 del 2009, che tra i mezzi mobili di pernottamento
contemplati  da   quest'ultima   e   gli   allestimenti   mobili   di
pernottamento previsti dal citato art. 6, comma  4-bis,  della  legge
regionale n. 22 del 1984, non potessero farsi rientrare le c.d.  case
mobili. 
    Secondo il tribunale, infatti, anche alla  luce  della  decisione
della Comunita' europea del 14 aprile 2005, che era stata  richiamata
dal ricorrente: "(...) va osservato che  la  caratteristica  precipua
del mezzo mobile di pernottamento e' da rinvenirsi nella sua naturale
destinazione ad offrire all'utilizzatore la possibilita' di  abbinare
la facilita' di spostamento - di solito, ma non  necessariamente  con
finalita' turistiche - con la costante disponibilita' di un  alloggio
nel quale pernottare. Pur non volendosi intendere  pernottamento  nel
senso stretto di trascorrere la notte, ed anche a voler  ampliare  il
concetto fino a ricomprendervi strutture che consentano  un  alloggio
piu' comodo di una roulotte e piu' affine, anche per la conformazione
esterna ad un'abitazione, i beni oggetto del sequestro non potrebbero
rientrare nel concetto di 'mezzi mobili'. Le otto case  mobili  hanno
invero dimensione di circa 2-1 mq (8x3) che lungi dal renderle idonee
a  svolgere  quella  funzione  di  agevole   movimento   che   invece
caratterizza tende,  roulotte  e  camper,  le  assimila  piuttosto  a
strutture di pernottamento quali ad esempio i bungalow." 
    Per  il  tribunale,  la  stessa  conformazione  delle   strutture
considerate  ne  escludeva,  all'evidenza:  "(...)  l'utilizzabilita'
anche in  astratto  quale  mezzo  mobile  di  pernottamento  a  nulla
rilevando che le stesse siano fornite di ruote.  Tali  ruote  infatti
come si evince anche dalla  documentazione  fotografica  appaiono  di
fatto un elemento secondario nella struttura complessiva  e  sembrano
funzionalmente destinate non all'abituale seppur astratta,  mobilita'
quanto piuttosto a rendere piu'  agevole  l'amovibilita'  di  ciascun
bene." 
    Il tribunale, pertanto, concludeva  rigettando  la  richiesta  di
riesame e confermando il decreto di sequestro preventivo  delle  otto
case mobili disposto dal gip, perche': "(...) e' evidente che i  beni
sequestrati siano privi 'a monte' di meccanismi di rotazione da poter
mantenere in funzione, in quanto  anche  per  la  legge  regionale  i
suddetti meccanismi dovrebbero essere  quelli  che  rendono  il  bene
idoneo ad una agevole e naturale destinazione alla mobilita'  e  alla
circolazione e non semplicemente quelli che ne facilitino l'eventuale
rimozione o amovibilita'." 
    Ad  avviso  del  sottoscritto  pubblico   ministero,   la   nuova
disposizione introdotta in sostituzione del precedente art. 6,  comma
4-bis, della legge regionale n. 22 del 1984.  non  puo'  piu'  essere
interpretata nei termini, allora condivisibili, di cui alla  suddetta
ordinanza. 
    Anche senza considerare  la  voluntas  legis,  inequivocabilmente
rivolta  ad  ampliare  la   categoria   dei   manufatti   liberamente
installabili  nelle  strutture  turistico-ricettive  all'aria  aperta
proprio in seguito al restrittivo orientamento  seguito  in  Sardegna
non solo dal tribunale di  Oristano  e  che  ha  comportato  numerosi
sequestri di case mobili in  diversi  campeggi  situati  nelle  fasce
costiere,  il  testo  della  norma  non  sembra  lasciare  spazio  in
proposito. La specifica indicazione fra  le  tende,  le  roulotte,  i
caravan e i maxicaravan, anche delle case mobili  e  dei  mobil-home,
che  ne  costituiscono  il  corrispettivo  termine   inglese,   rende
applicabile la disposizione, al ricorrere  dei  presupposti  in  essa
previsti, anche a tali  manufatti.  Questi  ultimi,  e'  il  caso  di
osservare per completezza, sono effettivamente muniti  di  ruote  ma,
come esattamente osservato dal tribunale di Oristano,  si  tratta  di
meccanismi che non consentono in alcun modo il traino degli stessi su
strada, per cui il loro trasporto puo' avvenire soltanto collocandoli
sopra un veicolo idoneo a portarli a  destinazione.  In  realta',  le
ruote  in  questione  costituiscono  nient'altro  che  un  espediente
escogitato  dai  costruttori  per   attribuire   alle   case   mobili
caratteristiche di precarieta' e di  pronta  amovibilita'  e  poterle
cosi'  pubblicizzare  per  la  vendita  come  installazioni  la   cui
collocazione  non  richiede  ne'  il  titolo  edilizio   ne'   quello
paesaggistico. Tuttavia, una volta appoggiate al suolo, in  posizione
leggermente sopraelevata  per  impedire  che  le  ruote  tocchino  il
terreno provocando leggere ma  fastidiose  oscillazioni  per  chi  le
abita, simili a quelle di un'imbarcazione, le  strutture  di  cui  si
tratta sono destinate a non essere  piu'  rimosse,  se  non  in  casi
eccezionali,  e  in  nulla   differiscono   da   una   normale   casa
prefabbricata. 
    A ogni modo, anche la Corte costituzionale, nella citata sentenza
n. 278 del 2010 con la quale  e'  stata  dichiarata  l'illegittimita'
dell'art. 3, comma 9, della legge n. 99  del  2009,  ha  mostrato  di
ritenere pacificamente comprese, fra i mezzi mobili di  pernottamento
e i relativi rimessaggi previsti dalla norma, anche  le  case  mobili
che, del resto, sono espressamente indicate, come si e' appena detto,
nell'art. 6, comma 4-bis, della legge regionale n. 22 del 1984, nella
sua attuale formulazione. 
    Tanto  premesso,  quest'ultima  disposizione,  a   parere   dello
scrivente,  suscita  dubbi   di   legittimita'   costituzionale   per
violazione degli artt. 3, 25, 2° comma, e 117, 2° comma, lett. l)  ed
s)  della  Costituzione  e  dell'art.  3,  1°  comma,   della   legge
costituzionale 26 febbraio 1948,  n.  3 -  Statuto  speciale  per  la
Sardegna. 
    Al riguardo, va preso in considerazione, per primo,  quello  che,
nel  caso  di  specie,  sembra  essere  il  profilo  d'illegittimita'
costituzionale piu' evidente e  che  consiste  nella  violazione  del
principio che riserva al solo  legislatore  statale  la  potesta'  di
emanare norme di natura penale. In proposito, e' doveroso  richiamare
l'art.  117,  2°  comma,  lett.  1)  della  Costituzione,  nel  testo
introdotto dalla legge cost. n. 3 del 2001 che ha riformato il titolo
V della Carta fondamentale, il quale ha espressamente attribuito, fra
l'altro,  la  materia  dell'ordinamento  penale   alla   legislazione
esclusiva dello Stato.  In  tal  modo  e'  stato  formalizzato,  come
riconosciuto dalla dottrina pressoche' unanime e dalla  stessa  Corte
costituzionale, quell'orientamento,  del  tutto  prevalente,  che  ha
sempre assegnato al  termine  "legge",  contenuto  nell'art.  25,  2°
comma,  della  Costituzione,  il  significato  restrittivo  di  "atto
normativo emanato dal Parlamento ai sensi degli artt.  70-74  Cost.",
comprendendo in esso anche i decreti-legge e le leggi delegate ma non
le leggi regionali. 
    Si legge, cosi', nella sentenza n. 185 del 24 giugno  2004  della
Corte costituzionale che: "Nella giurisprudenza di questa Corte  era,
infatti, ricorrente l'affermazione secondo  cui  la  sola  fonte  del
potere punitivo e' la legge statale e le Regioni  non  dispongono  di
alcuna competenza che le abiliti a introdurre,  rimuovere  o  variare
con proprie leggi le pene previste dalle leggi dello  Stato  in  tale
materia; non possono in particolare considerare  lecita  un'attivita'
penalmente sanzionata nell'ordinamento nazionale (...) Dalla  riforma
costituzionale del 2001,  questo  orientamento  giurisprudenziale  ha
ricevuto una esplicita conferma (...)." 
    E' bene precisare che la competenza  statale  in  tema  di  norme
penali puo'  esercitarsi  in  relazione  a  ogni  materia,  anche  se
appartenente a quelle rientranti nella sfera esclusiva o  concorrente
delle regioni e riguarda sia quelle a statuto ordinario sia quelle  a
statuto speciale. E' appena il caso di aggiungere,  inoltre,  che  il
divieto per le regioni di emanare norme che incidono sull'ordinamento
penale abbraccia due distinti aspetti: e' innanzitutto inibito a tali
enti territoriali (salvo alcune limitate eccezioni sulle quali si  e'
pronunciata anche la Corte costituzionale  ma  che  non  rilevano  in
questa sede) di introdurre  nuove  fattispecie  di'  reato  corredate
delle  relative  sanzioni,  evenienza   questa   peraltro   raramente
avvenuta; in secondo luogo, le regioni non possono  intervenire,  con
proprie  leggi,  su  condotte  penalmente  previste  dal  legislatore
statale, modificando, eliminando o introducendo presupposti, elementi
normativi, cause di giustificazione o di  estinzione  dei  reati,  in
modo da  ampliare  o  ridurre  l'ambito  applicativo  degli  illeciti
disciplinati da norme statali. Cio' e' consentito  solo  in  limitati
casi  e  precisamente  quando  sia  il  legislatore  nazionale,  come
avviene, talora, per le c.d. norme penali in bianco, a strutturare la
fattispecie in termini  tali  da  richiedere,  per  la  sua  concreta
applicazione o per  la  specifica  determinazione  di  cause  di  non
punibilita' o di estinzione, un'attivita' integrativa che,  peraltro,
non e' esclusiva del legislatore regionale ma, secondo i  casi,  puo'
essere demandata  anche  a  regolamenti  o  a  singoli  provvedimenti
dell'autorita' amministrativa. 
    Sul  punto,  ancora  una  volta  e'  opportuno  riportare  quanto
affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza 25 ottobre  1989,
n. 487, laddove si rileva che gli elementi extrapenali che concorrono
a  determinare  una  fattispecie  di  reato,  incidendo   sulla   sua
estensione in  termini  ampliativi  o  restrittivi,  sono  consentiti
soltanto  quando:  "dalle  leggi  statali  si   subordinino   effetti
incriminatori  o  decriminalizzanti   ad   atti   amministrativi   (o
legislativi) regionali: in tal caso, nel  determinare  i  presupposti
dai quali sono condizionati gli effetti penali (e.  conseguentemente,
nel   modificare   i   presupposti   stessi)   le   leggi   regionali
indirettamente e  per  determinazione  delle  stesse  leggi  statali,
incidono su fattispecie penali previste da leggi statali." 
    Venendo  all'esame  della   specifica   questione,   si   rileva,
innanzitutto, che con la disposizione di cui si chiede l'impugnazione
per illegittimita' costituzionale  il  legislatore  regionale,  cosi'
come aveva fatto quello statale con l'art. 3, comma 9, della legge 23
luglio 2009, n. 99. poi dichiarato incostituzionale per i motivi gia'
illustrati, ha introdotto una deroga  alla  norma,  sopra  riportata,
prevista dall'art. 3, 1° comma, punto e.5)  del  d.P.R.  n.  380  del
2001. 
    In sostanza, e' come se il predetto legislatore avesse aggiunto a
quest'ultima  disposizione,  che  qualifica   intervento   di   nuova
costruzione la collocazione  dei  manufatti  e  delle  strutture  ivi
indicati qualora gli stessi non siano destinati a soddisfare esigenze
di carattere temporaneo, un ulteriore periodo il  quale  esclude  che
l'apposizione sul suolo dei medesimi manufatti sia rilevante ai  fini
edilizi e urbanistici (oltre che paesaggistici),  se  eseguita,  alla
presenza   dei   presupposti   gia'   considerati,    in    strutture
turistico-ricettive all'aria aperta, e, di  conseguenza,  la  sottrae
dal novero degli interventi di nuova costruzione. 
    In  altre  parole,  la  disposizione   in   esame   consente   la
collocazione anche a tempo indeterminato dei manufatti  in  questione
all'interno di specifici contesti,  senza  alcun  titolo  abilitativo
mentre, com'e' noto, gli interventi di  nuova  costruzione,  definiti
dall'art. 3, 1° comma, punto e), del d.P.R. n.  380  del  2001  come:
"quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del  territorio  non
rientranti nelle categorie definite alle  lettere  precedenti."  sono
subordinati, ai sensi del successivo art. 10, 1° comma, a permesso di
costruire (in Sardegna, alla concessione)  o,  in  alternativa  e  ai
sensi dell'art. 22, commi 3° e 4°, dello stesso d.P.R., alla denuncia
d'inizio attivita' (o, sempre in Sardegna, alla  DUAP,  dichiarazione
unica di attivita' produttiva). 
    Nel caso in cui manchi l'uno o  l'altro  dei  titoli  abilitativi
oppure l'intervento di nuova costruzione sia eseguito in  difformita'
rispetto a essi, il d.P.R. n. 380 prevede per i responsabili sanzioni
penali e amministrative, rispettivamente contemplate dall'art.  44  e
dagli artt. 31 e segg. 
    Ebbene, la norma impugnata, per quel che si e' detto,  sottrae  a
ogni conseguenza di carattere penale o amministrativo l'installazione
delle strutture di cui si tratta, alla presenza  dei  presupposti  in
essa stabiliti, e, in particolare, non consente, in primo  luogo,  di
contestare la contravvenzione prevista dall'art. 44, lett. a) del  d.
P. R. n. 380 del 2001, nell'ipotesi in cui l'installazione avvenga in
contrasto con le norme, le  prescrizioni  e  le  modalita'  esecutive
previste dai regolamenti edilizi e dagli strumenti  urbanistici.  Per
la stessa ragione, poi, vale a dire perche'  si  tratta  d'interventi
che il legislatore regionale ha ritenuto privi di  rilevanza  a  fini
urbanistici e edilizi e, dunque, liberamente eseguibili, neppure puo'
venire in considerazione la predetta contravvenzione o quelle di  cui
alle successive lett. b) e c), secondo  periodo,  dell'art.  44,  che
presuppongono l'esecuzione di lavori  in  assenza,  in  totale  o  in
parziale difformita'  oppure  in  variazione  essenziale  rispetto  a
titoli edilizi che non sono richiesti nelle ipotesi in questione. 
    Non basta. La disposizione regionale pone come  unico  limite  al
numero  dei   manufatti   liberamente   installabili   quello   della
ricettivita' autorizzata delle singole strutture  turistico-ricettive
all'interno delle quali possono essere collocati detti manufatti. 
    Questi ultimi, pertanto, possono essere collocati,  come  recenti
vicende hanno eloquentemente dimostrato, in numero  elevato  e,  piu'
esattamente, anche nell'ordine di diverse decine. Inoltre,  la  norma
autorizza il loro allacciamento agli impianti tecnologici purche'  il
collegamento possa essere rimosso in ogni momento. 
    Di conseguenza, ricorrendo determinate condizioni, vale a dire il
numero dei prefabbricati e delle altre strutture a essi  connesse,  e
cioe' accessori, pertinenze e impianti tecnologici, la  quantita'  di
persone ospitate, nonche' le caratteristiche della zona  nella  quale
sorge   la   struttura   turistico-ricettiva,   non   urbanizzata   o
parzialmente  urbanizzata  e,  quindi,  l'esigenza  di   eseguire   o
incrementare  opere  di   urbanizzazione   primaria   e   secondaria,
l'insediamento  risultante  dalla  collocazione  dei   manufatti   in
questione  puo'  integrare  gli  estremi  di  una  lottizzazione  non
autorizzata. 
    In tal  senso  si  e'  pronunciata  una  recente  sentenza  della
Cassazione (Cass., sez. III, 17  dicembre  2007,  Spaccialbelli)  che
segue altra, piu' risalente (Cass., sez. III,  29  aprile-27  ottobre
1983, Angiulli) la quale pure ha ritenuto la sussistenza del reato di
lottizzazione in considerazione  delle  dimensioni  di  un  campeggio
sorto in zona agricola, sia pure senza autorizzazione, del numero dei
suoi ospiti e della presenza d'infrastrutture  destinate  a  servizi,
che avevano comportato la creazione  di  un  insediamento  permanente
nell'area in questione. 
    La  prima  e  piu'  recente  delle  decisioni   citate,   invece,
pronunciandosi in sede di ricorso contro  l'ordinanza  del  tribunale
emessa quale  giudice  del  riesame,  ha  confermato  il  decreto  di
sequestro preventivo disposto dai gip di  un  campeggio  regolarmente
autorizzato, ravvisando il fumus del reato di  lottizzazione  abusiva
nel fatto di avere eseguito: "(...) opere edilizie non autorizzate  e
roulotte posizionate a terra non  piu'  agevolmente  trasportabili  e
quindi ormai trasformate in vere unita' abitative dotate di strutture
permanenti   (cosi'   da   comportare)   una   immutazione   radicale
dell'originaria struttura del campeggio in uno  stabile  insediamento
abitativo." 
    Anche  con  riguardo  al  fatto  per  cui  si  procede  e'  stato
contestato il reato di lottizzazione abusiva, oltre a quello previsto
dallo stesso art. 44, lett. e) del d.P.R. n. 380 del 2001, per  avere
eseguito opere in assenza della prescritta concessione edilizia e  in
zona sottoposta a vincolo paesaggistico, conformemente, del resto, ad
altre vicende precedenti  che  pure  hanno  superato  il  vaglio  del
tribunale in sede di riesame e, in un caso,  anche  del  giudice  del
dibattimento. 
    Piu' precisamente, si tratta dell'installazione,  all'interno  di
un  campeggio  regolarmente  autorizzato,  di  undici    (2)   unita'
abitative prefabbricate, del genere case mobili,  tutte  collegate  a
opere di urbanizzazione  primaria,  consistenti  nelle  reti  idrica,
elettrica e fognaria realizzate allo scopo. 
    In seguito alla norma regionale sospettata d'incostituzionalita',
anche a fronte dell'installazione duratura, all'interno di  strutture
turistico-ricettive all'aria aperta, di numerose strutture (roulotte,
camper, maxicaravan, case mobili) e  del  conseguente  fabbisogno  di
opere  d'urbanizzazione  primaria  in  un'area  non   urbanizzata   o
parzialmente urbanizzata, in  assenza  dell'autorizzazione  comunale,
non sara' ravvisabile la contravvenzione di lottizzazione abusiva; di
conseguenza e fra l'altro, non potra' piu'  disporsi,  da  parte  del
giudice penale, la confisca dei terreni e  delle  opere  abusivamente
costruite e, da  parte  dell'autorita'  comunale,  l'acquisizione  di
diritto dei primi e la demolizione delle seconde. 
    Ad avviso di questo pubblico ministero, non vale osservare che la
sistemazione  di  tali  strutture  e'  pur  sempre  consentita  dalla
disposizione regionale soltanto alla presenza di aziende regolarmente
autorizzate  e  nei  limiti  della  ricettivita'  pure   autorizzata.
Infatti, l'autorizzazione rilasciata per l'apertura e la gestione  di
una struttura turistico-ricettiva del genere considerato si fonda  su
presupposti e requisiti che non hanno nulla a che vedere con  quelli,
che attengono alla corretta pianificazione  urbanistica  ed  edilizia
del  territorio,  sui  quali  si  fonda  la  diversa  autorizzazione,
rilasciata dal consiglio comunale  e  accompagnata  dalla  necessaria
convenzione, per  eseguire  interventi  di  lottizzazione;  ne'  puo'
costituire un limite  al  numero  dei  manufatti  e  delle  strutture
collocabili,  quello  della  capacita'   ricettiva   la   quale,   in
considerazione delle dimensioni dall'azienda, puo' essere anche molto
elevata e, comunque, anche in quelle  di  dimensioni  inferiori,  mai
trascurabile. 
    Anche sotto questo profilo,  quindi,  vale  a  dire  restringendo
l'ambito  di  applicazione  della  contravvenzione  di  lottizzazione
abusiva, la  norma  di  cui  si  tratta  sembra  comportare  una  non
consentita  invasione,  da  parte  del  legislatore   della   regione
Sardegna, della competenza  nella  materia  dell'ordinamento  penale,
riservata in via esclusiva al legislatore statale dall'art.  117,  2°
comma, lett. l) della Costituzione. 
    Peraltro, restando  sul  terreno  urbanistico-edilizio,  potrebbe
osservarsi che con la sentenza piu' volte citata, con  cui  la  Corte
costituzionale ha dichiarato l'illegittimita' dell'art. 3,  comma  9,
della legge 23 luglio 2009,  n.  99,  perche',  in  quanto  norma  di
dettaglio, lo stesso era invasivo della competenza concorrente  delle
regioni a statuto ordinario in materia di governo del territorio,  si
e' implicitamente e all'opposto affermata la liceita'  di  interventi
da parte delle regioni in merito allo specifico oggetto disciplinato.
Anzi, avendo la regione autonoma della Sardegna,  ai  sensi  del  suo
Statuto speciale (legge costituzionale n. 3 del  26  febbraio  1948),
potesta'  legislativa  esclusiva  nella   materia   dell'edilizia   e
dell'urbanistica,  tanto  piu'  dovrebbe  valere,  per  questo   ente
territoriale, una simile conclusione. 
    Certamente spetta alle regioni, tanto piu'  a  quelle  a  Statuto
speciale, il potere di intervenire per disciplinare numerosi  aspetti
della materia in questione e di quella, piu' vasta, nella quale  essa
e' compresa, del governo del territorio. Lo stesso d.P.R. n. 380  del
2001, d'altra parte, contiene numerose  norme  che  riconoscono  alle
regioni ampi spazi  d'intervento  (si  vedano,  a  titolo  d'esempio,
l'art. 10, 2° e 3° comma, e l'art. 22, 4° comma). 
    Addirittura, l'art. 6, 6° comma, lett. a), sempre del  d.P.R.  n.
380  del  2001,  nella  sua  attuale   formulazione,   riconosce   la
possibilita', per le  regioni  a  statuto  ordinario  (e,  quindi,  a
maggior ragione, cio' e' lecito per quelle  a  statuto  speciale)  di
estendere la disciplina per l'attivita' edilizia  libera  contemplata
dal medesimo art. 6:  "a  interventi  edilizi  ulteriori  rispetto  a
quelli previsti dai commi 1 e 2", ed e' proprio di tale facolta',  si
potrebbe sostenere, che si e' avvalsa la regione Sardegna emanando la
disposizione di cui si discute. 
    Tuttavia,  se  nelle  materie  di  legislazione  concorrente,  le
regioni a statuto ordinario,  in  virtu'  dell'art.  117,  3°  comma,
ultimo periodo, sono tenute a rispettare i principi fondamentali,  la
cui determinazione e' riservata alla  legislazione  dello  Stato,  le
regioni a statuto speciale, anche nelle  materie  di  loro  esclusiva
competenza devono osservare, fra l'altro, i principi dell'ordinamento
giuridico e le norme  fondamentali  delle  riforme  economico-sociali
della Repubblica (cfr., ad esempio, l'art. 3 della gia' citata  legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n.  3  -  Statuto  speciale  per  la
Sardegna.  In  particolare,  le   norme   fondamentali   di   riforma
economico-sociale della Repubblica sono state  cosi'  definite  dalla
Corte costituzionale (cfr. la sentenza 15 novembre  1988,  n.  1034):
"a) si deve  trattare  di  norme  legislative  dello  Stato  che  -in
considerazione  del  contenuto,  della  motivazione  politico-sociale
degli scopi che si prefiggono - presentino un carattere  riformatore,
diretto  a  incidere   significativamente   nel   tessuto   normativo
dell'ordinamento  giuridico  o  nella  vita  della  nostra  comunita'
giuridica nazionale; b) le stesse leggi, tenuto conto della tavola di
valori costituzionali, devono avere ad oggetto settori o  beni  della
vita economico-sociale di rilevante importanza.  quali,  ad  esempio,
'la  soddisfazione  di  un  bisogno  primario  o  'fondamentale   dei
cittadini' o 'un essenziale settore economico del paese'; c) si  deve
trattare inoltre di 'norme fondamentali', vale a dire della posizione
di norme principio o della disciplina di istituti giuridici - nonche'
delle norme legate con queste da un rapporto di coessenzialita' o  di
necessaria integrazione  -  che  rispondano  complessivamente  ad  un
interesse unitario ed esigano, pertanto, un'attuazione  su  tutto  il
territorio nazionale e che, in ogni caso, lascino alle Regioni, nelle
materie di propria competenza, uno spazio normativo sufficiente,  per
adattare alle proprie peculiarita' locali i principi e  gli  istituti
introdotti dalle leggi nazionali di riforma." 
    Specialmente  sulla  scorta  di  quest'ultima   indicazione,   le
disposizioni di rango legislativo contenute nel  d.P.R.  n.  380  del
2001 che individuano gli interventi di trasformazione urbanistica del
territorio subordinandoli al conseguimento di un titolo edilizio  (si
tratti del permesso di costruire, della denuncia  d'inizio  attivita'
e, ora, della SCIA, segnalazione certificata d'inizio attivita') e il
connesso sistema sanzionatorio, anche amministrativo,  costituiscono,
a parere di chi scrive, per le regioni a statuto ordinario,  principi
fondamentali dello Stato e, per quelle a statuto speciale, anche  con
competenza  esclusiva  in  materia,  norme  fondamentali  di  riforma
economico-sociale. 
    Ne consegue che esse possono essere modificate dalle regioni  nei
limiti consentiti e in quelli ricavabili dal sistema ma non stravolte
in  modo  da  intaccare  quell'interesse  unitario  che  esige,  come
rilevato dalla Corte costituzionale, la loro applicazione uniforme su
tutto il territorio nazionale. 
    Cosi',  alla  stregua  della  richiamata  disposizione  contenuta
nell'art. 6, 6° comma, del d.P.R. n. 380 del 2001, le regioni possono
individuare  altri  interventi  edilizi  eseguibili  liberamente   in
assenza di titolo abilitativo o mediante  semplice  comunicazione  al
comune,  oppure  possono  modificare,  specificare  o  integrare   le
definizioni degli interventi edilizi elencati nel precedente  art.  3
(argomentando a contrario dall'ultimo comma di tale articolo), ma non
al  punto  tale  da  innovare  in   termini   essenziali   l'impianto
complessivo voluto dal legislatore che vuole che gli interventi  piu'
rilevanti, vale a  dire  quelli  di  trasformazione  urbanistica  del
territorio, siano sottoposti a controllo, preventivo o successivo, da
parte della competente autorita' e presidiati, nei congrui  casi,  da
sanzioni penali e amministrative. 
    Per completezza, e' il caso di precisare che l'art. 1, 4°  comma,
della legge n. 131 del  2003,  piu'  volte  menzionata,  delegava  il
governo ad adottare entro un anno dalla data  della  sua  entrata  in
vigore: "(...) uno o piu' decreti legislativi  meramente  ricognitivi
dei principi fondamentali che si traggono dalle leggi vigenti,  nelle
materie previste dall'art.  117,  terzo  comma,  della  Costituzione,
attenendosi ai principi della esclusivita',  adeguatezza,  chiarezza,
proporzionalita' ed omogeneita'." Nel successivo 6° comma, lett.  b),
poi, lo stesso articolo  precisava  che,  nella  predisposizione  dei
decreti legislativi delegati, il governo si sarebbe dovuto  attenere,
fra gli altri criteri direttivi, alla:  "considerazione  prioritaria,
ai  fini  dell'individuazione  dei   principi   fondamentali,   delle
disposizioni statali rilevanti per garantire  l'unita'  giuridica  ed
economica,  la  tutela  dei  livelli  essenziali  delle   prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali, (...),  nonche'  il  rispetto
dei principi generali in materia di procedimenti amministrativi e  di
atti concessori o autorizzatori." 
    Nessun decreto delegato e' pero' stato adottato  dal  governo  e,
pertanto, nelle materie di legislazione  concorrente,  e'  necessario
desumere i principi fondamentali di  ciascuna  di  esse  dalle  leggi
statali vigenti. 
    Per quanto concerne l'edilizia, l'art. 1 del d.P.R. n. 380 del  6
giugno  2001,  Testo   unico   delle   disposizioni   legislative   e
regolamentari in materia edilizia, stabilisce nel 1° comma  che:  "Il
presente testo unico contiene i principi fondamentali e generali e le
disposizioni  per  la  disciplina  dell'attivita'  edilizia."  ma  e'
pacifico  che  una  simile  enunciazione  non  abbia   alcun   valore
vincolante  poiche'  il  testo  unico  contiene  numerose  norme   di
dettaglio che non sono certo  espressione  di  principi  fondamentali
della materia. Lo dimostra, fra l'altro,  la  circostanza  che  molte
delle sue disposizioni, e la stessa intitolazione del testo unico  lo
attesta, hanno rango regolamentare e  sono  dunque  derogabili  dalla
normativa regionale. 
    Preso atto di una tale situazione,  un'attenta  dottrina  che  ha
tentato di operare una ricognizione  dei  principi  fondamentali  del
diritto  urbanistico,  desumendoli  dal  complesso  della   normativa
vigente,  fermo  restando   l'invalicabile   limite   fissato   dalle
disposizioni penali nei termini prima  illustrati,  ha  osservato,  a
proposito dei titoli  abilitativi:  "(...)  l'unico  principio  certo
attiene al  necessario  assoggettamento  controllo  preventivo  degli
interventi  di  trasformazione  urbanisticamente  rilevanti,  per  il
rimanente la materia  rientrando  nella  potesta'  legislativa  delle
Regioni, che ben potrebbero quindi attuare  il  principio  anche  con
modalita' originali." 
    E' significativo, del resto, che, nella sentenza n. 278 del  2010
con la quale, come si e' piu' volte detto, la Corte costituzionale ha
dichiarato illegittimo l'art. 3, comma della legge n. 99 del 2010, la
Corte richiama, come esempio di normazione secondaria  intervenuta  a
disciplinare  l'installazione  di  strutture  mobili,  alcune   leggi
regionali, quella della regione Toscana  3  gennaio  2005,  n.  1,  e
quella della regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12, le quali,  lungi
dall'innovare  o  derogare  ai  principi   fondamentali   posti   dal
legislatore statale, ne  ricalcano  sostanzialmente  la  disposizione
contenuta nell'art. 3 del d.P.R.  n.  380  del  2001,  affermando  la
natura d'interventi  di  nuova  costruzione  delle  installazioni  in
questione, se collocate in modo permanente. 
    Al contrario, sempre la  Corte  costituzionale,  con  la  recente
sentenza   n.   309   del   2011   ha   dichiarato   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 27, 1° comma, lett. d) della ora  richiamata
legge della regione Lombardia n. 12 del 2005, con il quale  si  erano
compresi, nel concetto di ristrutturazione edilizia consistente nella
demolizione e ricostruzione di un edificio, anche  quegli  interventi
modificativi della  sagoma  degli  edifici  preesistenti,  la  quale,
invece,  per  la  definizione  di   questa   specifica   ipotesi   di
ristrutturazione,   e'   requisito   essenziale    richiesto    dalla
disposizione statale, che deve restare inalterato. 
    La  Corte,  nella  circostanza,  ha  affermato  che  alle   norme
contenute nel d.P.R. n. 380  del  2001  che  definiscono  le  diverse
tipologie d'interventi edilizi deve  essere  riconosciuta  natura  di
principi fondamentali della materia perche' su di esse  si  fonda  la
diversa disciplina, non solo dei titoli abilitativi  e  del  relativo
procedimento, ma anche il  regime  delle  sanzioni  amministrative  e
penali in caso di violazioni. 
    Proprio alla luce delle considerazioni svolte  poc'anzi  e  delle
conclusioni alle quali e' pervenuta  la  Corte  costituzionale  nella
sentenza in questione, sebbene la  Sardegna  sia  regione  a  statuto
speciale e abbia  competenza  esclusiva  in  materia  di  edilizia  e
urbanistica, e' da ritenersi che i principi fondamentali ora indicati
siano,  a   un   tempo,   anche   norme   fondamentali   di   riforma
economico-sociale  alla  cui  osservanza  detta  regione   non   puo'
sottrarsi. 
    Non vale rilevare, del resto, che quest'ultima non ha  modificato
alcuna delle categorie  d'interventi  edilizi  fornendo  una  diversa
definizione delle medesime rispetto a quella dettata dal  legislatore
statale perche', se e' vero che cio' non e' stato fatto  direttamente
ed esplicitamente, non vi e' dubbio  che  con  la  norma  di  cui  si
discute e come gia' si e' osservato e' stato ridotto  l'ambito  degli
interventi di nuova costruzione escludendo che un'intera tipologia di
essi potesse continuare a considerarsi tale  all'interno  dell'intero
territorio regionale. 
    Con riferimento al caso di specie, in definitiva,  nulla  vietava
alla  regione  Sardegna  di  intervenire  con   proprie   norme   per
regolamentare la materia, disponendo anche  in  modo  difforme  dalla
legislazione nazionale ma senza incidere sugli aspetti essenziali  di
quest'ultima. 
    E' quanto, per esempio, ha fatto  la  regione  Sicilia  che,  con
l'art. 5 della legge regionale 10 agosto 1985, n. 37, come modificato
dall'art. 6 della legge 15 maggio 1986, n. 26, ha previsto tutta  una
serie d'interventi eseguibili con la sola autorizzazione e non con la
concessione,  fra  cui  "l'impianto  di  prefabbricati  ad  una  sola
elevazione  non  adibiti  ad  uso  abitativo"  purche'  in  zone  non
sottoposte a vincolo paesaggistico. 
    La Corte costituzionale,  con  ordinanza  n.  187  del  1997,  ha
dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di  legittimita'
costituzionale sollevate nei confronti della norma in questione,  con
riferimento agli arti. 25, 2° comma, e 3 della Costituzione,  poiche'
la  stessa:  "(...)  cosi'  come  interpretata  dalla  giurisprudenza
amministrativa  e  applicata  nella  prassi,  sottopone   al   regime
autorizzatorio  soltanto  le  costruzioni  prefabbricate  di  modeste
dimensioni, tali da non alterare stabilmente l'assetto del territorio
ne'  determinare  un  nuovo  carico  urbanistico,  senza  venire   in
contrasto con i principi della legislazione dello Stato." 
    Si tratta di una conclusione alla quale, sulla scorta  di  quanto
sino ad ora osservato e per quanto  si  dira'  appresso,  non  sembra
possibile pervenire a proposito della norma della  regione  Sardegna,
atteso che la stessa consente la collocazione di manufatti  che,  per
definizione, sono ad uso abitativo, non  sono  per  tale  ragione  di
ridotte dimensioni e,  anzi,  possono  avere  una  superficie  e  una
volumetria non trascurabili,  possono  essere  installati  in  numero
elevato e, infine, sono destinati a insistere, prevalentemente se non
esclusivamente,  in  zone  di  elevato  valore  paesaggistico   senza
necessita' della relativa autorizzazione. 
    Cio'     premesso,     sotto     il     profilo      strettamente
urbanistico-edilizio, sussiste, ad avviso del  sottoscritto  pubblico
ministero, la violazione dell'art. 25, 2° comma,  e  117,  2°  comma,
lett. l) della Costituzione, perche' la norma di  cui  si  tratta  ha
invaso la competenza in materia penale riservata esclusivamente  allo
Stato, comportando un'indebita restrizione dell'ambito applicativo di
tutte e tre le fattispecie di reato p. e p. dall'art. 44,  1°  comma,
lett. a), b) e c) del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. 
    Sembra, poi, violato anche l'art. 3 della Costituzione poiche' in
Sardegna nessun trattamento sanzionatorio, penale  o  amministrativo,
e' previsto, in caso d'installazione dei manufatti e delle  strutture
previsti dalla disposizione. se collocati nelle aziende di cui si  e'
detto, a differenza di quanto avviene, non solo nella stessa  regione
al di fuori delle aziende  in  questione,  ma  anche  nel  resto  del
territorio nazionale. 
    Da ultimo, se e' fondato il rilievo che le norme del  d.P.R.  che
stabiliscono incisive conseguenze di natura  amministrativa  per  gli
illeciti edilizi (acquisizione  di  diritto  al  patrimonio  comunale
delle aree e degli  immobili,  demolizione  dei  fabbricati  abusivi,
confisca dei terreni lottizzati e delle opere eseguite sugli  stessi)
devono   essere   considerate   norme   fondamentali    di    riforma
economico-sociale  o  principi   dell'ordinamento   giuridico   della
Repubblica (pure menzionati nella disposizione appresso indicata), la
sottrazione totale di un'intera categoria di abusi a tali conseguenze
contrasta anche con  il  citato  art.  3,  1°  comma,  dello  Statuto
speciale per la Sardegna.». 
    Ritenuta  per  le  ragioni  sopra  riportate  la  non   manifesta
infondatezza della questione  di  costituzionalita'  prospettata  dal
pubblico ministero va osservato quanto alla rilevanza della questione
che, come evidenziato dal pubblico ministero, i reati  contestati  al
Brau sono stati commessi prima dell'entrata  in  vigore  della  norma
regionale di cui si discute e  che  non  si  e'  in  presenza  di  un
fenomeno di successione  di  leggi  penali  nel  tempo  riconducibile
all'art. 2, 2° comma, c.p. In primo luogo, infatti,  la  disposizione
regionale non ha natura penale,  limitandosi  solo  indirettamente  a
incidere sull'ambito applicativo dei reati di cui  si  e'  detto;  in
secondo luogo e soprattutto, perche' dottrina e  giurisprudenza  sono
pressoche' unanimi nel ritenere che il significato di legge contenuto
nel citato art. 2 c.p. e' lo stesso di quello, al quale  si  e'  gia'
accennato, conferito al medesimo termine nel  contesto  dell'art.  25
della Costituzione,  vale  a  dire  di  atto  normativo  emanato  dal
Parlamento. Di conseguenza, la norma regionale non e' applicabile, in
quanto piu' favorevole, ai fatti commessi antecedentemente  alla  sua
entrata in vigore, e non  potrebbe  comportare,  ove  questo  giudice
arrivasse alla determinazione che il fatto sussiste e che  l'imputato
lo ha commesso, l'assoluzione perche' il fatto non e'  piu'  previsto
come reato,  che  si  trova  in  fase  d'indagini,  perche'  i  fatti
contestati non sono piu' preveduti dalla legge come reato. 
    Tuttavia, fra i reati in questione vi e' quello di  lottizzazione
che, nell'ipotesi di condanna e, comunque, in tutti i casi in cui  il
fatto sia accertato, prevede la  confisca  dei  terreni  abusivamente
lottizzati e delle opere su di essi costruite. 
    Ferma restando, come  si  e'  detto,  la  valutazione  in  ordine
all'esistenza del reato, non vi e' dubbio che l'istanza,  qualora  la
norma regionale sulla quale  la  stessa  si  fonda  fosse  legittima,
dovrebbe essere accolta poiche' la giurisprudenza,  sia  in  tema  di
ordine di demolizione sia in tema  di  confisca,  si  e'  piu'  volte
pronunciata affermando che, sino a quando la sentenza di condanna che
dispone la confisca (per l'ordine di  demolizione  anche  nella  fase
dell'esecuzione se la demolizione non e'  ancora  avvenuta)  non  sia
passata in giudicato: "(...) la successiva adozione di  un  piano  di
recupero urbanistico dell'area abusivamente lottizzata da  parte  del
consiglio comunale o la successiva autorizzazione a lottizzare. anche
se atti non idonei  ad  incidere  sulla  penale  responsabilita'  dei
soggetti coinvolti, impedisce che con la sentenza di  condanna  venga
disposta la confisca prevista dall'art. 19 della  legge  28  febbraio
1985, n. 47 e, se la  confisca  sia  stata  disposta,  ne  impone  la
revoca, atteso che diversamente il provvedimento  giurisdizionale  si
renderebbe incompatibile con l'esercizio dei poteri  legislativamente
attribuiti  alla  pubblica  amministrazione."  (Cass.,  sez.  III,  5
dicembre 2001, Venuti e altri). 
    Ora, non vi e' dubbio che se la confisca non puo' essere disposta
o deve essere revocata tutte le volte che essa risulti  incompatibile
con un legittimo provvedimento amministrativo, a maggior ragione  non
possa essere applicata qualora sia una legge, anche se  regionale,  a
rendere legittima un'attivita' prima integrante gli  estremi  di  una
lottizzazione abusiva. 
    A maggior ragione se volesse ritenersi che la disposizione di cui
si tratta ha determinato un fenomeno di successione di  leggi  penali
nel tempo riconducibile all'art.  2,  2°  comma,  c.  p.,  allora  la
rilevanza della questione sarebbe ancor  piu'  evidente  per  la  sua
incidenza sul piano del giudizio di colpevolezza. 
    Va infine rilevato come la  questione  di  costituzionalita'  sia
gia' stata sollevata dal giudice per le indagini  preliminari  presso
questo tribunale, ma che come insegna la suprema  corte  In  tema  di
pregiudiziale costituzionale, la sospensione del  giudizio  ai  sensi
dell'art.  23  della   legge   11   marzo   1953   n.   87   consegue
obbligatoriamente  solo  alla  trasmissione  degli  atti  alla  Corte
costituzionale, che  il  giudice  dispone  previa  delibazione  della
rilevanza  nel  procedimento  in  corso   e   della   non   manifesta
infondatezza della questione sollevata; ove pertanto una questione di
legittimita' costituzionale sia stata rimessa  alla  Consulta  in  un
procedimento  diverso,  non  puo'  configurarsi  l'esistenza  di  una
pregiudiziale in senso proprio con conseguente obbligo del giudice di
sospendere il dibattimento. 
    Reputa questo giudice che anche per le ricadute che la scelta  di
sospendere il dibattimento senza trasmissione degli atti  alla  Corte
costituzionale  avrebbe  sulla   regime   della   prescrizione,   non
corrisponderebbe  ai  principi   di   buona   amministrazione   della
giustizia, non sollevare la questione  di  costituzionalita'  di  una
volta che la stessa sia stata ritenuta non manifestamente infondata e
rilevante, solo perche' la questione gia' pende dinanzi alla Corte. 

(1) Da tale virgolettatura si riporta integralmente quanto  sostenuto
    dal  pubblico  ministero  nella  nota   allegata   al   fascicolo
    dibattimentale con la quale era stata sollevata analoga questione
    di costituzionalita' in altro giudizio. 

(2) Nel presente procedimento le unita' abitative sono 26. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
costituzionalita' dell'articolo 20 della  legge  regione  Sardegna  8
novembre 2011 n. 21 in relazione agli articoli 3,  25  comma  2,  117
comma 2 lettera L, 118 della Costituzione e 3  comma  1  della  legge
costituzionale 26 febbraio 1948: «statuto speciale per la Sardegna». 
    Sospende  il  presente   procedimento   e   dispone   l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte  costituzionale,  unitamente  alla
prova  dell'avvenuta  notificazione  della  presente   ordinanza   al
presidente della Giunta regionale Sarda e della  comunicazione  della
stessa al presidente del  Consiglio  Regionale  della  Sardegna,  che
dispone sia effettuata a cura della cancelleria. 
    La presente ordinanza viene letta in udienza all'imputato, al suo
difensore ed al pubblico ministero presenti. 
        Oristano, 8 febbraio 2012 
 
                         Il giudice: Villani