N. 209 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 febbraio 2012
Ordinanza del 28 febbraio 2012 emessa dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio sul ricorso proposto da Oriani Domenico contro Presidenza del Consiglio dei ministri, Varazzani Massimo e Roma Capitale. Comuni, province, citta' metropolitane - Commissario straordinario del Governo per la gestione del piano di rientro per Roma Capitale - Previsione con norma ad efficacia retroattiva dell'ulteriore requisito dell'"elevata professionalita' nella gestione economico-finanziaria, acquisita nel settore privato" - Violazione della norma costituzionale sulla decretazione d'urgenza - Incidenza sui principi di imparzialita' e buon andamento della pubblica amministrazione - Indebita interferenza sul potere giurisdizionale - Violazione del principio della parita' delle armi processuali - Violazione di obblighi internazionali derivanti dalla CEDU. - Legge 23 dicembre 2009, n. 191, art. 2, comma 196-bis, inserito dall'art. 2, comma 7, del decreto legge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito con modificazioni nella legge 26 febbraio 2011, n. 10. - Costituzione, artt. 77, comma secondo, 97, 101, 102, 104, 108, 111, e 117, primo comma, in relazione all'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali.(GU n.40 del 10-10-2012 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 2985 del 2011, proposto da: Domenico Oriani, rappresentato e difeso dagli avv. Celestino Biagini, Vittorio Morrone, con domicilio eletto presso Vittorio Morrone in Roma, via della Giuliana, 9; Contro Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato e presso la stessa domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12; Nei confronti di Massimo Varazzani, non costituito; e con l'intervento di ad opponendum: Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Andrea Magnanelli e Luigi D'Ottavi, con domicilio eletto presso l'Avvocatura del Comune di Roma; Per l'annullamento: del decreto del 4 gennaio 2011, con il quale il Presidente del Consiglio dei ministri ha revocato la nomina del dott. Domenico Oriani a Commissario del Governo per la gestione del piano di rientro del Comune di Roma, sostituendolo con il dott. Massimo Varazzani; di ogni altro atto antecedente, contemporaneo, successivo e/o comunque connesso; Visti il ricorso e i relativi allegati; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Presidenza del Consiglio dei Ministri; Visti gli articoli 134 della Costituzione; l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 dicembre 2011 il Consigliere Solveig Cogliani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Fatto Con il ricorso indicato in epigrafe, l'istante esponeva che con il decreto del Presidente del Consiglio 5 maggio 2010 era stato nominato Commissario straordinario del Governo per la gestione del piano di rientro di cui all'art. 78, d.lgs. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008 n. 133 e successive modificazioni. Ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio, l'istante era nominato per procedere alla definitiva ricognizione della massa attiva e passiva del piano di rientro, attestandone le conseguenti necessarie copertura finanziarie. Il d.l. 25 gennaio 2010, n. 2, convertito dalla legge 26 marzo 2010, n. 42, recante «interventi urgenti concernenti enti locali e regioni» aveva, infatti, stabilito la nomina con d.P.C.M. del Commissario straordinario per la gestione del predetto piano di rientro, al fine di procedere alla ricognizione della massa attiva e passiva. Con il successivo d.l. 31 maggio 2010 n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010 n. 122, si determinava che il Commissario straordinario dovesse procedere all'accertamento definitivo del debito da approvarsi con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze. Nelle more dello svolgimento dell'attivita' da parte del ricorrente, allo stesso giungeva notizia della sua sostituzione dall'incarico anche attraverso articoli di stampa, sicche' il medesimo chiedeva informazioni. Solo successivamente, lo stesso apprendeva che con decreto del Presidente del Consiglio 22 settembre 2010 la sua nomina era stata revocata ed al suo posto era stato nominato l'odierno controinteressato. Avverso siffatto decreto l'istante proponeva ricorso davanti al TAR Lazio, che con sentenza n. 37085 del 2010, lo accoglieva ed evidenziava che non risultava giustificata la sua sostituzione con altro soggetto, stante, peraltro, l'unitarieta' delle funzioni del Commissario straordinario. Tuttavia, poco dopo la pubblicazione della sentenza predetta, era emanata, con l'art. 2 comma 196-bis, d.l. 29 dicembre 2010 n. 225 (c.d. legge mille proroghe) una disposizione che, nello specificare i compiti del Commissario di Governo per il comune di Roma, precisava che questi «deve essere in possesso di comprovati requisiti di elevata professionalita' nella gestione economico:finanziaria, acquisiti nel settore privato, necessari per gestire la fase operativa di attuazione del piano di rientro». Sicche' con il decreto del Presidente del Consiglio, 4 gennaio 2011, oggetto della presente impugnativa, di cui il ricorrente dichiara di avere avuto conoscenza solo in occasione dell'udienza di discussione dell'istanza cautelare tenutasi il 15 marzo 2011 innanzi alla IV Sezione del Consiglio di Stato a seguito del deposito fattone dell'Avvocatura dello Stato, si dava atto del precedente decreto annullato da questo TAR, ma ribadendo che doveva ritenersi conclusa la fase procedimentale per la quale si ritenevano appropriate le qualita' del dott. Oriani, ed avviandosi una successiva fase, in relazione alla quale, in ragione di quanto disposto dall'art. 196-bis cit. il Commissario di Governo deve essere in possesso di «requisiti di elevata professionalita' nella gestione economico-finanziaria, acquisiti nel settore privato, necessari per gestire la fase operativa di attuazione del piano di rientro» si disponeva che «revocata la nomina del dott. Domenico Ortani, al dott. Massimo Varazzani...resta affidata in qualita' di Commissario straordinario del Governo la gestione delle ulteriori fasi procedimentali citate nel preambolo». Avverso siffatto provvedimento, l'istante proponeva ricorso deducendo i seguenti profili di gravame: 1. - eccesso di potere per manifesta irrazionalita', erronea motivazione, violazione di una decisione giurisdizionale esecutiva, violazione del principio di separazione dei poteri, manifesta ingiustizia, manifesta illogicita', poiche' il nuovo decreto del Presidente del Consiglio riproponeva la precedente revoca di cui al decreto annullato dal TAR (con sentenza n. 37085 del 2010 non sospesa in sede di appello, cfr. Cons. St., sez. TV, ordinanza n. 1231 del 2011 in atti), non chiarendo se si intenda confermare la precedente nomina del Varazzani (alla luce delle parole «resta affidata in qualita' di Commissario») in violazione della pronuncia esecutiva, nonche' sulla base del medesimo discorso argomentativo della differenza delle fasi procedimentali, gia' esaminato e smentito dal Tribunale amministrativo; 2. - eccesso di potere, per carenza di idonea motivazione, illogicita' manifesta, risultando l'esperienza nel settore privato un «artificio» al fine di giustificare la sostituzione dell'Oriani, Presidente della Corte conti, con il Varazzani; 3. - eccesso di potere per perplessita' nell'azione amministrativa, poiche' ove la nuova norma avesse solo una portata interpretativa, surrettiziamente introdurrebbe un requisito non previsto dalla precedente norma. Ulteriormente il ricorrente, per il caso che si ritenesse che il decreto impugnato abbia il suo presupposto nel d.l. n. 225 del 2010, poi convertito con la legge n. 20 del 2011, proponeva questione di legittimita' costituzionale, ponendo in evidenza la giurisprudenza creatasi in materia di «eccesso di potere legislativo», cui sarebbe da ricondurre l'ipotesi in cui la legge sia dettata al fine di imporre o impedire al giudice una decisione o per correggere gli effetti di una decisione giudiziaria gia' resa. Di tal che' il ricorrente sollevava questione di legittimita' costituzionale della richiamata norma, con riguardo ai seguenti profili: 1. - per violazione dell'art. 102, comma 1, Cost., con riferimento agli artt. 101, 104 e 108 nella parte in cui, in violazione della riserva della funzione giurisdizionale ed incidendo intenzionalmente su un'unica, concreta fattispecie sub judice, introduce, con valore di interpretazione autentica della precedente normativa e con efficacia, quindi retroattiva, requisiti per la nomina del Commissario straordinario del Governo per la gestione del piano di rientro del Comune di Roma, non previsti da detta previgente normativa, quali i «comprovati requisiti di elevata professionalita' nella gestione economico-finanziaria, acquisiti nel settore privato...»; 2. - per violazione dell'art. 111 comma 1 Cost. sull'equo processo, in quanto, con un intervento del potere governativo-legislativo, si interferisce su di un procedimento giurisdizionale avviato da un soggetto che lamenta la lesione di proprie posizioni giuridiche soggettive; 3. - per violazione del medesimo art. 111 Cost., correlato con l'art. 6 Convenzione europea dei diritti dell'uomo tramite l'art. 117 Cost., primo comma, nella parte in cui detta norma viola il principio del giusto processo, poiche' il provvedimento normativo del Governo avrebbe solo lo scopo di incidere su un processo in cui e' parte lo stesso Presidente del Consiglio dei Ministri; 4. - per violazione dell'art. 77, comma 2, Cost. per carenza dei presupposti di necessita' e di urgenza che possono giustificare la decretazione governativa. Si costituiva la Presidenza del Consiglio dei Ministri per resistere avverso il nuovo gravame. Interveniva, altresi', ad opponendum, Roma Capitale, premessa la propria legittimazione in ragione, affermando che l'annullamento di atti concernenti la gestione commissariale del Comune di Roma produrrebbe la lesione di interessi diretti e concreti ed attuali in capo all'Amministrazione locale. L'Avvocatura dello Stato, peraltro, produceva in giudizio la nota del Ministero dell'economia e delle finanze del 15 aprile 2011, con cui quella Amministrazione evidenziava il proprio coinvolgimento in ragione dei superiori e sostanziali interessi di natura economico-finanziaria, sottolineando che i vizi del procedimento sarebbero gia' oggetto dell'altro giudizio pendente in fase di appello dinanzi al Consiglio di' Stato, mentre il presente gravame non potrebbe prescindere dal disposto di cui all'art. 2 comma 7, d.l. n. 225 del 2010 che ha inserito dopo il comma 196 dell'art. 3, legge n. 191 del 2009, il comma 196-bis che prevede specificamente il requisito della elevata professionalita' acquisita nel settore privato. Per quanto attiene allo «spacchettamento» delle funzioni del Commissario governativo, questo sarebbe gia' contenuto nella disciplina preesistente. Con ordinanza n. 1737 del 2011 questa Sezione, considerato che il decreto gravato «riproduce le medesime argomentazioni gia' poste a sostegno del decreto 22 settembre 2010, le quali non trovano valido fondamento ne' nella normativa di riferimento ne' nel decreto di nomina del ricorrente, come statuito chiaramente da questo Tribunale con la sentenza n. 37085/2010 di annullamento del citato decreto» e premesso, dunque, che il nuovo decreto appare viziato per i medesimi profili gia' esaminati dal Tribunale, nonche' che nessun rilievo puo' essere assegnato alla previsione normativa sopravvenuta di cui all'art. 2, comma 7, d.l. n. 225 cit. che ha introdotto il comma 196-bis, sopra specificato, accoglieva l'istanza cautelare, sospendendo dunque gli effetti del decreto del Presidente del Consiglio del 4 gennaio 2011. Con due successive ordinanze, nn. 2524 e 2526 del 2011, negli appelli proposti dalla Presidenza del Consiglio e dal Ministero dell'economia e delle finanze e da Roma Capitale, il Consiglio di Stato affermava che l'ordinanza pronunziata da questo TAR aveva sottovalutato la rilevanza della normativa sopravvenuta nella definizione dei requisiti professionali richiesti e, pertanto, accoglieva l'appello in riforma dell'ordinanza impugnata e respingeva l'istanza cautelare proposta in primo grado. A seguito dello scambio di memorie per l'udienza di discussione, la causa veniva in discussione all'udienza pubblica del 7 dicembre 2011. Diritto 1. - Osserva il Collegio che ad un primo esame svolto in sede cautelare, questa Sezione aveva ritenuto che la norma inserita nella c.d. legge mille proroghe non potesse avere rilevanza sulla questione in esame, poiche' contenente portata innovativa e come tale non in grado di insistere sulle situazioni giuridiche soggettive gia' in essere e decise con sentenza esecutiva, seppure al vaglio del Consiglio di Stato in sede di appello. Sulla natura della norma in oggetto, in vero, sussiste un'interpretazione ambivalente da parte della difesa erariale; infatti, per un verso, se ne afferma la portata meramente interpretativa della preesistente disciplina e, conseguentemente, la si intende applicabile alla fattispecie in esame. Tale sarebbe la portata per quanto attiene alla duplicita' procedimentale dei compiti affidati al Commissario governativo. Per altro verso, sembra essere evidenziata una componente novativa, laddove la norma introduce un requisito ulteriore per l'assegnazione dell'incarico di Commissario, ovvero la specifica esperienza acquisita in campo privato. Sul primo punto, questo Tribunale si era gia' chiaramente pronunciato affermando l'unicita' del procedimento teso al piano di rientro, sicche' l'articolazione dei compiti del Commissario non corrisponderebbe a due distinte fasi procedimentali. Del resto la stessa portata letterale del provvedimento gia' annullato da questo Tribunale e del provvedimento in esame sembrerebbe confermare una siffatta lettura, laddove si dispone la revoca dell'incarico che non avrebbe ragion d'essere nel caso in cui lo stesso incarico dovesse ritenersi concluso. Sul secondo punto, a fronte della prima lettura, si impone a seguito delle ordinanze di riforma del Consiglio di Stato, una piu' attenta riflessione. Infatti il Consiglio di Stato, come detto, in sede di appello ha ritenuto che il Tribunale avesse erroneamente inteso non applicabile alla fattispecie la nuova disposizione relativa al requisito della pregressa specifica esperienza in sede privata, che chiaramente, ove ne fosse riconosciuta la valenza retroattiva, giustificherebbe la revoca dell'incarico al ricorrente, magistrato contabile, il quale, pur avendo una specifica esperienza nel settore economico-finanziario, non potrebbe competere con il controinteressato, che ha sicuramente una comprovata esperienza nel settore al servizio di soggetti privati. Si tratta, dunque, dato atto dell'interpretazione seguita dal Consiglio di Stato che ritiene applicabile alla fattispecie in esame, la norma sopravvenuta, di esaminare i profili di legittimita' costituzionale prospettati dalla parte ricorrente in ordine alla legittimita' della norma retroattiva ed alla sua coerenza con l'ordinamento. Il Tribunale ritiene sussistenti, dunque, i presupposti per sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 7, del d.l. 29 dicembre 2010 n. 225, c.d. decreto mille proroghe, convertito dalla legge n. 10 del 2011, nella parte in cui dispone «Con provvedimenti predisposti dal Commissario straordinario del Governo del comune di Roma, nominato ai sensi dell'articolo 4, comma 8-bis del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 marzo 2010, n. 42, che deve essere in possesso di comprovati requisiti di elevata professionalita' nella gestione economico-finanziaria, acquisiti nel settore privato, necessari per (gestire la fase operativa di attuazione del piano di rientro, sono accertate le eventuali ulteriori partite creditorie e debitorie rispetto al documento predisposto ai sensi dell'articolo 14, comma 13-bis, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, dal medesimo Commissario, concernente l'accertamento del debito del comune di Roma alla data del 30 luglio 2010, che e' approvato con effetti a decorrere dal 29 dicembre 2010.». 2. - Sulla rilevanza della questione nel caso di specie della norma de qua, ai fini del thema decidendum, non vi e' dubbio che la natura assertivamente interpretativa della stessa, datane dall'amministrazione che ha inteso porre la norma in esame a fondamento del nuovo provvedimento di revoca del ricorrente, unitamente all'indicazione contenuta nelle ordinanze del Consiglio di Stato, ne impongano la considerazione nel caso concreto. Pertanto, questo Tribunale, dovendosi pronunciare sulla legittimita' del decreto di revoca, che si fonda sulla predetta norma, dandone immediata applicazione, non puo' prescindere dall'esame della norma stessa. 3. - Il Tribunale ritiene che la questione di legittimita' costituzionale prospettata in ordine alla legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 7, in parte qua, del d.l. n. 225 cit., come convertito dalla legge n. 10 del 2011, si rileva non manifestamente infondata alla luce delle considerazioni che seguono. Invero, da un lato, appaiono ragionevoli dubbi in ordine alle condizioni necessarie per l'esercizio del potere di legislazione, con funzione interpretativa nell'ambito dei poteri d'urgenza di cui all'art. 77 Cost. e, quindi, con efficacia ex tunc; dall'altro, la norma impugnata manifesta profili tali da incidere irragionevolmente sui principi fondamentali dell'ordinamento. In particolar modo la norma in esame appare sospetta di intrinseca irragionevolezza o irrazionalita', con riferimento ai principi d'integrita' delle attribuzioni costituzionali dell'autorita' giudiziaria (art. 102 Cost.), ed, ancora, al principio del giusto processo, cosi' come l'art. 117 Cost., in materia di rispetto degli obblighi assunti sul piano internazionale, con la sottoscrizione della CEDU, come dedotto da parte del ricorrente. 4. - Ne consegue che devono essere sottoposti al vaglio della Corte costituzionale i seguenti motivi di incostituzionalita' della norma riportata. In primo luogo, la norma, contenuta in un atto di decretazione d'urgenza appare violare i limiti sulla decretazione d'urgenza fissati dall'art. 77 Cost.. Sotto tale profilo non si puo' ignorare che con la sentenza n. 171 del 2007 la Corte costituzionale ha sottolineato come l'assetto delle fonti normative sia uno dei principali elementi che caratterizzano la forma di governo nel sistema costituzionale, elemento correlato alla tutela dei valori e diritti fondamentali. In particolare, nei sistemi ispirati al principio della separazione dei poteri e della soggezione della giurisdizione e dell'amministrazione alla legge l'adozione delle norme primarie spetta agli organi o all'organo il cui potere deriva direttamente dal popolo. Proprio al principio di separazione vanno ricondotte la previsioni di cui agli articoli 70 e 77 della Costituzione, dalle quali si desume che il potere governativo di emanare decreti-legge ha carattere derogatorio rispetto all'essenziale attribuzione al Parlamento della funzione di porre le norme primarie nell'ambito delle competenze dello Stato centrale. Sulla scorta di tale premessa, la Corte Costituzionale ha confermato la giurisprudenza inaugurata dalla sentenza n. 29 del 1995, in base alla quale l'esistenza dei requisiti della straordinarieta' del caso di necessita' e d'urgenza puo' essere oggetto di scrutinio di costituzionalita', anche a seguito della conversione. Secondo le previsioni della Corte detto scrutinio e' limitato ai soli profili di «evidente» mancanza dei presupposti, sulla base della necessita' di tener distinto il ruolo delle Camere da quello del Giudice delle leggi. Infatti, mentre al Parlamento, in sede di conversione, spetta un controllo in cui non sono estranee le valutazioni politiche, la Corte esercita il proprio scrutinio al fine di preservare l'assetto delle fonti normative e, con esso, il rispetto dei valori a tutela dei quali detto compito e' predisposto. Ne deriva che in applicazione del dettato di cui all'articolo 77, comma secondo della Costituzione, se le Camere in sede di conversione possono valutare la pluralita' di situazioni legittimanti la decretazione d'urgenza, la Corte nel suo controllo successivo puo' sindacare gli aspetti di macroscopica mancanza dei presupposti costituzionali. Sotto tale profilo, ne deriverebbe l'illegittimita' costituzionale della legge di conversione, non per vizi autonomi. Tale vizio risulterebbe, peraltro, integrato dalla violazione dei limiti per la decretazione d'urgenza riscontrabili nella stessa asserita valenza di norma interpretativa della norma. Peraltro, nella specie, la norma in esame manifesta profili di dubbia legittimita' in ordine agli stessi limiti sull'ammissibilita' di una legge interpretativa e dunque con portata retroattiva, in relazione a quanto individuato dalla stessa Corte costituzionale. Infatti, come e' stato affermato dalla Corte costituzionale, il legislatore puo' adottare norme di interpretazione autentica non soltanto in presenza di incertezze sull'applicazione di una disposizione o di contrasti giurisprudenziali, ma anche «quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, con cio' vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore» (sentenza n. 525 del 2000; in senso conforme, ex plurimis, sentenze n. 374 del 2002, n. 26 del 2003, n. 274 del 2006, n. 234 del 2007, n. 170 del 2008, n. 24 del 2009). Orbene, tale condizione non appare rispettata nel caso di specie, per quanto attiene alla individuazione di uno specifico ulteriore requisito per la nomina di Commissario straordinario gia' effettuata e sub judice. Ne deriva che profili di perplessita' risultano con riferimento alla scelta di emanare una norma interpretativa, laddove si intendeva introdurre una nuova disposizione, risultando preclusa la previsione in sede di decretazione d'urgenza di una siffatta nuova disposizione con portata retroattiva. In secondo luogo, vengono in evidenza ragionevoli dubbi di legittimita' costituzionale con riguardo all'art. 111 Cost., che costituzionalizza il principio del giusto processo, sub specie «della parita' delle armi» tra le parti del processo. Infatti, limitatamente al processo pendente gia' in sede di appello, che riguarda la posizione del ricorrente, la norma de qua, supportata - secondo l'interpretazione datane dall'amministrazione e dal Consiglio di Stato - dalla previsione di retroattivita', viene a porre nel nulla la pronuncia esecutiva resa da questo TAR sul primo decreto di revoca dell'istante, realizzando cosi' un vulnus della posizione del ricorrente. Tale violazione, peraltro, realizzerebbe, altresi', la lesione dell'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, che assume rango di diritto costituzionale tramite il rinvio di cui all'art. 117 primo comma Cost. Siffatta norma internazionale, che sancisce il diritto ad un giusto processo dinanzi ad un tribunale indipendente ed imparziale, impone al legislatore di uno Stato contraente, nell'interpretazione della Corte Europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, di non interferire nell'amministrazione della giustizia allo scopo d'influire sulla singola causa o su di una determinata categoria di controversie, attraverso norme interpretative che assegnino alla disposizione interpretata un significato vantaggioso per una parte del procedimento, salvo il caso di «ragioni imperative d'interesse generale». Nella specie lo Stato nazionale ha emanato una norma interpretativa, in presenza di un contenzioso relativo ad una singola e ben individuabile posizione, cosi' ponendosi la questione della legittimita' costituzionale della norma con riferimento alla violazione del principio di «parita'» tra le parti del processo, non essendo prefigurabili «ragioni imperative d'interesse generale» che permettano di escludere la violazione del divieto d'ingerenza. A riguardo vale la pena di richiamare la giurisprudenza delle Corte costituzionale formatasi in ordine al rango e all'efficacia delle norme della CEDU ed il ruolo, rispettivamente, dei giudici nazionali e della Corte di Strasburgo, nell'interpretazione ed applicazione della Convenzione europea. In primo luogo va rammentato che tale tematica e' stata oggetto di disamina, da parte delle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, con le quali la Corte ha rilevato che l'art. 117, primo comma, Cost., ed in particolare l'espressione «obblighi internazionali» in esso contenuta, si riferisce alle norme internazionali convenzionali anche diverse da quelle contemplate dagli artt. 10 e 11 Cost. Dunque, l'art. 117, primo comma, Cost., cosi' interpretato, ha consentito di rinvenire un fondamento costituzionale all'osservanza degli obblighi internazionali pattizi. Ne consegue che il contrasto di una norma nazionale con una norma convenzionale, in particolare della CEDU, e' idoneo a dar luogo ad una violazione (mediata) dell'art. 117, primo comma, Cost. Infatti, la clausola del necessario rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali, dettata dall'art. 117, primo comma, Cost., attraverso un meccanismo di rinvio mobile del diritto interno alle norme internazionali pattizie di volta in volta rilevanti, impone il controllo di costituzionalita' della norma interna, qualora il giudice comune ritenga lo strumento dell'interpretazione insufficiente ad eliminare il contrasto. Quando, dunque, il giudice ritenga che non sia possibile comporre il contrasto in via interpretativa, deve sollevare la questione di costituzionalita' (cfr. anche sent. Corte cost. n. 239 del 2009), con riferimento al parametro dell'art. 117, primo comma, Cost., ovvero anche dell'art. 10, primo comma, Cost., ove si tratti di una norma convenzionale ricognitiva di una norma del diritto internazionale generalmente riconosciuta. Orbene, si ritiene che, in questo specifico caso, anche in virtu' del carattere univoco della disposizione censurata, non sia possibile un'interpretazione della stessa conforme a quella convenzionale internazionale (art. 6 CEDU). Cio' premesso, si deve ricordare la sentenza SCM Scanner de l'Ouest Lyonnais e altri c. Francia, del 21 giugno 2007, ricorso n. 12106/03, in cui la Corte di Strasburgo, ha ulteriormente sottolineato come lo Stato non possa introdurre slealmente una interpretazione normativa a suo favore della norma sub iudice, nei giudizi iniziati ed impostati secondo diversi presupposti normativi o giurisprudenziali. L'applicazione dello ius superveniens potrebbe ritenersi lecita soltanto in presenza di «imperieux motifis d'interet general», non ravvisabili in «mere esigenze di natura finanziaria connesse al rischio derivante dalla soccombenza nei giudizi avviati nei confronti dello Stato amministrazione» (sent. Corte cost. n. 311 del 2009). Infatti, il requisito della «parita' delle armi» comporta l'obbligo di dare alle parti una ragionevole possibilita' di perseguire le proprie azioni giudiziarie, senza essere poste in condizione di sostanziale svantaggio rispetto agli avversari. Come ricordato dalla stessa Corte costituzionale, infatti, tale orientamento (che trova i suoi precedenti nei casi Raffineries Grecques Stran e Stratis Andreadis c. Grecia del 9 dicembre 1994, e Zielinski e altri c. Francia, del 28 ottobre 1999) censura la prassi di interventi legislativi sopravvenuti, che modifichino retroattivamente in senso sfavorevole per gli interessati le disposizioni di legge attributive di diritti, la cui lesione abbia dato luogo ad azioni giudiziarie ancora pendenti all'epoca della modifica, poiche' suscettibile di comportare una violazione dell'art. 6 della CEDU, risolvendosi in un'indebita ingerenza del potere legislativo sull'amministrazione della giustizia, fatta salva la sussistenza di «motivi imperativi di interesse generale». Nei casi sottoposti al Suo esame, la Corte costituzionale ha avuto modo di ricordare che la Corte europea, peraltro, ha precisato che i motivi imperativi menzionati non possono essere individuati nel mero rischio finanziario. Per contro, la legittimita' di simili interventi e' stata riconosciuta dalla Corte europea, solo quando ricorrevano ipotesi eccezionali ed, in primo luogo, ragioni «storiche epocali», come nel caso della riunificazione tedesca (caso Forrer-Niederthal c. Germania, sentenza del 20 febbraio 2003). In questo caso, la Corte europea, di fronte ad una norma che faceva salvi con effetto retroattivo i trasferimenti di proprieta', senza indennizzo, in «proprieta' del popolo» della ex D.D.R., ha concluso per la compatibilita' dell'intervento con la norma convenzionale; cio' non soltanto per il motivo «epocale» del nuovo riassetto dei conflitti patrimoniali conseguenti alla riunificazione, ma anche in considerazione della sussistenza effettiva di un sistema che aveva garantito alle parti, che contestavano le modalita' del riassetto, l'accesso a, e lo svolgimento di, un processo equo e garantito. In altri casi, nello specificare la sussistenza o meno dei motivi imperativi d'interesse generale, la Corte di Strasburgo ha ritenuto legittimo l'intervento del legislatore che, per porre rimedio ad una imperfezione tecnica della legge interpretata, aveva inteso, con la legge retroattiva, ristabilire un'interpretazione piu' aderente all'originaria volonta' del legislatore. Cosi nella sentenza 23 ottobre 1997 - caso National & Provincial Building Society, Leeds Permanent Building Society e Yorkshire Building Society c. Regno Unito (utilizzata anche nella citata pronuncia Forrer-Niederthal c. Germania) - si e' ritenuto che l'adozione di una disposizione interpretativa puo' essere considerata giustificata allorche' lo Stato, nella logica di interesse generale di garantire il pagamento delle imposte, abbia inteso porre rimedio al rischio che l'intenzione originaria del legislatore fosse, in quel caso, sovvertita da disposizioni fissate in circolari. E nella sentenza del 27 maggio 2004 - caso Ogis-institut Stanislas, Ogec St. Pie X e Blanche De Castille e altri c. Francia, in cui le circostanze del caso di specie non erano identiche a quelle del caso Zielinski del 1999 - si e' affermato che l'intervento del legislatore non aveva inteso sostenere la posizione assunta dall'amministrazione dinanzi ai giudici, ma porre rimedio ad un errore tecnico di diritto, al fine di garantire la conformita' all'intenzione originaria del legislatore, nel rispetto di un principio di perequazione. Analogamente al caso National & Provincial Building Society del 1997, nel quale l'intervento del legislatore era giustificato dall'obiettivo finale di «riaffermare l'intento originale del Parlamento», la Corte riteneva che la finalita' dell'intervento legislativo fosse quindi quella di garantire la conformita' all'intenzione originaria del legislatore a sostegno di un principio di perequazione, aggiungendo che gli attori non avrebbero potuto validamente invocare un «diritto» tecnicamente errato o carente, e dolersi quindi dell'intervento del legislatore teso a chiarire i requisiti ed i limiti che la legge interpretata contemplava. In considerazione dei suddetti principi, nonche' della ricostruzione della portata e degli obiettivi della norma qui censurata, si rilevano dunque i profili di ragionevole dubbio sul contrasto della stessa con l'art. 6 della CEDU. Infatti, non si rinvengono, nel caso di specie, i «motivi imperativi di interesse generale», quali enucleati dalla giurisprudenza della CEDU, ne' nella forma di eventi di carattere storico-epocale, ne' nella finalita' di assicurare l'originaria volonta' del legislatore che, come gia' evidenziato, aveva in vero omesso di disciplinare l'ulteriore requisito per la nomina a Commissario governativo. Ed ancora la norma comporta, per i motivi sopra espressi la violazione degli artt. 101, 102, 104 e 108 Cost. La Corte costituzionale ha ripetutamente affermato il principio secondo cui il legislatore vulnera le funzioni giurisdizionali quando la legge sia intenzionalmente diretta ad incidere su concrete fattispecie sub judice (cfr. Corte cost. nn. 397/94, 6/94, 429/93, 424/93, 283/93, 39/93, 440/92, 429/91 ed altre). Si tratta, allora, di stabilire se la statuizione contenuta nella norma censurata integri effettivamente i requisiti del precetto di fonte legislativa, come tale dotato dei caratteri della generalita' ed astrattezza, ovvero sia diretto ad incidere su concrete fattispecie «sub judice» e, come piu' volte ribadito, a vantaggio di una delle due parti del giudizio. Infine, va ulteriormente rilevata d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale della norma in argomento con riferimento all'art. 97 Cost. sotto il profilo della ragionevolezza della previsione contenuta. Infatti, non e' rinvenibile nell'ordinamento alcun argomento che giustifichi la previsione contenuta nella nuova disposizione che prevede il necessario compimento dell'esperienza pregressa nel settore privato. Non si tratta, infatti, di una possibilita' ulteriore di scelta nella nomina affinche' siano esaminate le posizioni dei «candidati» all'incarico di Commissario straordinario, allo scopo di garantire la selezione del soggetto con una piu' elevata e qualificata esperienza nel settore, ma di precludere completamente la possibilita' per i soggetti che hanno maturato la propria professionalita' - seppure specificamente con riguardo a tematiche attinenti ai profili contabili e finanziari - nel settore pubblico. Cosi' la norma in esame appare statuire un giudizio di disvalore con riguardo alle professionalita' acquisite nel pubblico che non trova fondamento nell'ordinamento, laddove al contrario l'art. 97 Cost., a garanzia del buon andamento della pubblica amministrazione, prevede per l'accesso agli impieghi nelle p.a., il principio della selezione del merito attraverso le prove concorsuali (principio piu' volte posto a fondamento delle pronunzie della Corte costituzionale, cfr. da ultimo, sent. 15 giugno 2011, n. 189). Non puo', pertanto, non osservarsi come, al contrario di quanto prescritto dalla norma in esame, la delicatezza dei compiti assegnati per l'interesse pubblico ed in sostituzione dell'ordinario svolgimento delle funzioni e competenze proprie degli organi a cio' preposti non dovrebbe comportare l'esclusione dal novero dei soggetti ai quali e' possibile conferire l'incarico di Commissario del Governo proprio di coloro che abbiano svolto specifiche funzioni e conseguito particolari professionalita' a seguito del lavoro svolto al servizio della pubblica amministrazione, avendo gia', dunque, dovuto superare una selezione di merito tramite le prove concorsuali di accesso. Per quanto sin qui esposto, non definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, deve essere dichiarata rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 7, del d.l. n. 225 cit., come convertito dalla legge n. 10 del 2011, in parte qua, con riferimento agli artt. 77, 97, 101, 102, 104, 108 e 111 Cost. e 117 Cost., con riguardo alla violazione dell'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo; pertanto, deve disporsi la sospensione del presente giudizio e l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Deve ordinarsi, altresi', che a cura della segreteria della Sezione la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camere dei deputati e del Senato della Repubblica. Rimane riservata alla decisione definitiva ogni ulteriore statuizione in rito, in merito ed in ordine alle spese.
P.Q.M. Ritenuta non manifestamente infondata e rilevante, per la decisione del presente giudizio, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 comma 7, del d.l. 29 dicembre 2010 n. 225, c.d. decreto mille proroghe (pubblicato sul supplemento ordinario n. 53 della Gazzetta Ufficiale n. 47 del 26 febbraio 2011), come convertito dalla legge n. 10 del 2011, in parte qua, per violazione, non solo dei limiti interni all'ammissibilita' di una legge interpretativa, ma anche degli artt. 77, 97, 101, 102, 104, 108 e 111 Cost. e 117 Cost., con riferimento alla violazione dell'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo nei termini e per le ragioni di' cui in motivazione; Dispone la sospensione del procedimento in corso; Ordina la notificazione della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri e la comunicazione della stessa ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato; Ordina la trasmissione dell'ordinanza alla Corte costituzionale insieme con gli atti del giudizio e con la prova delle notificazioni e delle comunicazioni prescritte. Cosi' deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 dicembre 2011. Il Presidente: Giovannini L'estensore: Cogliani