N. 209 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 febbraio 2012

Ordinanza del 28 febbraio 2012 emessa  dal  Tribunale  amministrativo
regionale per il Lazio sul ricorso proposto da Oriani Domenico contro
Presidenza del Consiglio  dei  ministri,  Varazzani  Massimo  e  Roma
Capitale. 
 
Comuni, province, citta' metropolitane  -  Commissario  straordinario
  del Governo per la gestione del piano di rientro per Roma  Capitale
  - Previsione con  norma  ad  efficacia  retroattiva  dell'ulteriore
  requisito    dell'"elevata    professionalita'    nella    gestione
  economico-finanziaria, acquisita nel settore privato" -  Violazione
  della norma costituzionale sulla decretazione d'urgenza - Incidenza
  sui principi di  imparzialita'  e  buon  andamento  della  pubblica
  amministrazione - Indebita interferenza sul potere  giurisdizionale
  - Violazione del principio della parita' delle armi  processuali  -
  Violazione di obblighi internazionali derivanti dalla CEDU. 
- Legge 23 dicembre 2009, n. 191, art.  2,  comma  196-bis,  inserito
  dall'art. 2, comma 7, del decreto legge 29 dicembre 2010,  n.  225,
  convertito con modificazioni nella legge 26 febbraio 2011, n. 10. 
- Costituzione, artt. 77, comma secondo, 97, 101, 102, 104, 108, 111,
  e 117, primo comma, in relazione all'art. 6 della  Convenzione  per
  la  salvaguardia   dei   diritti   dell'uomo   e   delle   liberta'
  fondamentali. 
(GU n.40 del 10-10-2012 )
 
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale  2985  del  2011,  proposto  da:  Domenico  Oriani,
rappresentato  e  difeso  dagli  avv.  Celestino  Biagini,   Vittorio
Morrone, con domicilio eletto presso Vittorio Morrone  in  Roma,  via
della Giuliana, 9; 
    Contro Presidenza del Consiglio  dei  Ministri,  in  persona  del
Presidente del Consiglio dei Ministri pro  tempore,  rappresentata  e
difesa dall'Avvocatura  Generale  dello  Stato  e  presso  la  stessa
domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
    Nei confronti di Massimo Varazzani, non costituito; 
    e con l'intervento di ad opponendum: 
    Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro  tempore,
rappresentata  e  difesa  dagli  avv.ti  Andrea  Magnanelli  e  Luigi
D'Ottavi, con domicilio eletto  presso  l'Avvocatura  del  Comune  di
Roma; 
    Per l'annullamento: 
        del decreto del 4 gennaio 2011, con il  quale  il  Presidente
del Consiglio dei ministri ha revocato la nomina del  dott.  Domenico
Oriani a Commissario del Governo per la gestione del piano di rientro
del Comune di Roma, sostituendolo con il dott. Massimo Varazzani; 
        di ogni altro atto antecedente, contemporaneo, successivo e/o
comunque connesso; 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visto l'atto  di  costituzione  in  giudizio  di  Presidenza  del
Consiglio dei Ministri; 
    Visti gli articoli 134 della Costituzione; l'art. 1  della  legge
costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; 23 della legge 11  marzo  1953,
n. 87; 
    Relatore nell'udienza pubblica del  giorno  7  dicembre  2011  il
Consigliere Solveig Cogliani e uditi per le parti  i  difensori  come
specificato nel verbale; 
 
                                Fatto 
 
    Con il ricorso indicato in epigrafe, l'istante esponeva  che  con
il decreto del Presidente del  Consiglio  5  maggio  2010  era  stato
nominato Commissario straordinario del Governo per  la  gestione  del
piano di rientro di cui all'art. 78, d.lgs. 25 giugno 2008,  n.  112,
convertito con modificazioni dalla legge  6  agosto  2008  n.  133  e
successive modificazioni. Ai sensi del  decreto  del  Presidente  del
Consiglio, l'istante  era  nominato  per  procedere  alla  definitiva
ricognizione della massa attiva  e  passiva  del  piano  di  rientro,
attestandone le conseguenti necessarie copertura finanziarie. 
    Il d.l. 25 gennaio 2010, n. 2, convertito dalla  legge  26  marzo
2010, n. 42, recante «interventi urgenti concernenti  enti  locali  e
regioni»  aveva,  infatti,  stabilito  la  nomina  con  d.P.C.M.  del
Commissario straordinario per  la  gestione  del  predetto  piano  di
rientro, al fine di procedere alla ricognizione della massa attiva  e
passiva. 
    Con il successivo d.l. 31  maggio  2010  n.  78,  convertito  con
modificazioni dalla legge 30 luglio 2010 n. 122, si  determinava  che
il  Commissario  straordinario  dovesse  procedere   all'accertamento
definitivo  del  debito  da  approvarsi  con  decreto  del   Ministro
dell'economia e delle finanze. 
    Nelle  more  dello  svolgimento  dell'attivita'  da   parte   del
ricorrente, allo  stesso  giungeva  notizia  della  sua  sostituzione
dall'incarico  anche  attraverso  articoli  di  stampa,  sicche'   il
medesimo  chiedeva  informazioni.  Solo  successivamente,  lo  stesso
apprendeva che con decreto del Presidente del Consiglio 22  settembre
2010 la sua nomina era stata revocata  ed  al  suo  posto  era  stato
nominato l'odierno controinteressato. 
    Avverso siffatto decreto l'istante proponeva ricorso  davanti  al
TAR Lazio, che con sentenza n.  37085  del  2010,  lo  accoglieva  ed
evidenziava che non risultava giustificata la  sua  sostituzione  con
altro soggetto, stante, peraltro, l'unitarieta'  delle  funzioni  del
Commissario straordinario. 
    Tuttavia, poco dopo la pubblicazione della sentenza predetta, era
emanata, con l'art. 2 comma 196-bis, d.l. 29  dicembre  2010  n.  225
(c.d. legge mille proroghe) una disposizione che, nello specificare i
compiti del Commissario di Governo per il comune di  Roma,  precisava
che questi «deve  essere  in  possesso  di  comprovati  requisiti  di
elevata  professionalita'   nella   gestione   economico:finanziaria,
acquisiti  nel  settore  privato,  necessari  per  gestire  la   fase
operativa di attuazione del piano di rientro». 
    Sicche' con il decreto del Presidente del  Consiglio,  4  gennaio
2011, oggetto  della  presente  impugnativa,  di  cui  il  ricorrente
dichiara di avere avuto conoscenza solo in occasione dell'udienza  di
discussione dell'istanza cautelare tenutasi il 15 marzo 2011  innanzi
alla IV Sezione del Consiglio di Stato a seguito del deposito fattone
dell'Avvocatura dello Stato, si  dava  atto  del  precedente  decreto
annullato da questo TAR, ma ribadendo che doveva  ritenersi  conclusa
la fase procedimentale per la  quale  si  ritenevano  appropriate  le
qualita' del dott. Oriani, ed  avviandosi  una  successiva  fase,  in
relazione alla quale, in ragione di quanto disposto dall'art. 196-bis
cit. il Commissario di Governo deve essere in possesso di  «requisiti
di elevata  professionalita'  nella  gestione  economico-finanziaria,
acquisiti  nel  settore  privato,  necessari  per  gestire  la   fase
operativa di attuazione  del  piano  di  rientro»  si  disponeva  che
«revocata la nomina del  dott.  Domenico  Ortani,  al  dott.  Massimo
Varazzani...resta affidata in qualita' di  Commissario  straordinario
del Governo la gestione delle ulteriori  fasi  procedimentali  citate
nel preambolo». 
    Avverso  siffatto  provvedimento,  l'istante  proponeva   ricorso
deducendo i seguenti profili di gravame: 
        1. - eccesso di potere per manifesta irrazionalita',  erronea
motivazione, violazione di una decisione  giurisdizionale  esecutiva,
violazione  del  principio  di  separazione  dei  poteri,   manifesta
ingiustizia, manifesta illogicita',  poiche'  il  nuovo  decreto  del
Presidente del Consiglio riproponeva la precedente revoca di  cui  al
decreto annullato dal TAR (con sentenza n. 37085 del 2010 non sospesa
in sede di appello, cfr. Cons. St., sez. TV, ordinanza  n.  1231  del
2011 in atti), non chiarendo se si intenda confermare  la  precedente
nomina del Varazzani (alla  luce  delle  parole  «resta  affidata  in
qualita' di Commissario») in violazione  della  pronuncia  esecutiva,
nonche'  sulla  base  del  medesimo  discorso   argomentativo   della
differenza delle fasi procedimentali, gia' esaminato e  smentito  dal
Tribunale amministrativo; 
        2. - eccesso di potere, per carenza  di  idonea  motivazione,
illogicita' manifesta, risultando l'esperienza nel settore privato un
«artificio» al fine  di  giustificare  la  sostituzione  dell'Oriani,
Presidente della Corte conti, con il Varazzani; 
        3.  -  eccesso  di  potere   per   perplessita'   nell'azione
amministrativa, poiche' ove la nuova norma avesse  solo  una  portata
interpretativa,  surrettiziamente  introdurrebbe  un  requisito   non
previsto dalla precedente norma. 
    Ulteriormente il ricorrente, per il caso che si ritenesse che  il
decreto impugnato abbia il suo presupposto nel d.l. n. 225 del  2010,
poi convertito con la legge n. 20 del 2011,  proponeva  questione  di
legittimita' costituzionale, ponendo in  evidenza  la  giurisprudenza
creatasi in materia di «eccesso di potere legislativo»,  cui  sarebbe
da ricondurre l'ipotesi in cui  la  legge  sia  dettata  al  fine  di
imporre o impedire al giudice una  decisione  o  per  correggere  gli
effetti di una decisione  giudiziaria  gia'  resa.  Di  tal  che'  il
ricorrente sollevava questione di legittimita'  costituzionale  della
richiamata norma, con riguardo ai seguenti profili: 
        1. - per  violazione  dell'art.  102,  comma  1,  Cost.,  con
riferimento agli artt.  101,  104  e  108  nella  parte  in  cui,  in
violazione della riserva della funzione giurisdizionale ed  incidendo
intenzionalmente  su  un'unica,  concreta  fattispecie  sub   judice,
introduce, con valore di interpretazione autentica  della  precedente
normativa e con  efficacia,  quindi  retroattiva,  requisiti  per  la
nomina del Commissario straordinario del Governo per la gestione  del
piano di rientro del Comune di Roma, non previsti da detta previgente
normativa, quali i «comprovati requisiti di elevata  professionalita'
nella   gestione   economico-finanziaria,   acquisiti   nel   settore
privato...»; 
        2. - per violazione dell'art. 111  comma  1  Cost.  sull'equo
processo,   in    quanto,    con    un    intervento    del    potere
governativo-legislativo,  si  interferisce  su  di  un   procedimento
giurisdizionale avviato da un soggetto  che  lamenta  la  lesione  di
proprie posizioni giuridiche soggettive; 
        3. - per violazione del medesimo art.  111  Cost.,  correlato
con l'art. 6 Convenzione europea dei diritti dell'uomo tramite l'art.
117 Cost., primo comma, nella parte  in  cui  detta  norma  viola  il
principio del giusto processo, poiche' il provvedimento normativo del
Governo avrebbe solo lo scopo di incidere su un processo  in  cui  e'
parte lo stesso Presidente del Consiglio dei Ministri; 
        4. - per violazione dell'art. 77, comma 2, Cost. per  carenza
dei presupposti di necessita' e di urgenza che  possono  giustificare
la decretazione governativa. 
    Si costituiva  la  Presidenza  del  Consiglio  dei  Ministri  per
resistere avverso il nuovo gravame. 
    Interveniva, altresi', ad opponendum, Roma Capitale, premessa  la
propria legittimazione in ragione, affermando che  l'annullamento  di
atti  concernenti  la  gestione  commissariale  del  Comune  di  Roma
produrrebbe la lesione di interessi diretti e concreti ed attuali  in
capo all'Amministrazione locale. 
    L'Avvocatura dello Stato, peraltro, produceva in giudizio la nota
del Ministero dell'economia e delle finanze del 15 aprile  2011,  con
cui quella Amministrazione evidenziava il proprio  coinvolgimento  in
ragione   dei   superiori   e   sostanziali   interessi   di   natura
economico-finanziaria, sottolineando  che  i  vizi  del  procedimento
sarebbero gia'  oggetto  dell'altro  giudizio  pendente  in  fase  di
appello dinanzi al Consiglio di' Stato, mentre  il  presente  gravame
non potrebbe prescindere dal disposto di cui all'art. 2 comma 7, d.l.
n. 225 del 2010 che ha inserito dopo il comma 196 dell'art. 3,  legge
n. 191 del 2009, il  comma  196-bis  che  prevede  specificamente  il
requisito  della  elevata  professionalita'  acquisita  nel   settore
privato. Per quanto attiene allo «spacchettamento» delle funzioni del
Commissario  governativo,  questo  sarebbe   gia'   contenuto   nella
disciplina preesistente. 
    Con ordinanza n. 1737 del 2011 questa Sezione, considerato che il
decreto gravato «riproduce le medesime argomentazioni  gia'  poste  a
sostegno del decreto 22 settembre 2010, le quali non  trovano  valido
fondamento ne' nella normativa di  riferimento  ne'  nel  decreto  di
nomina del ricorrente, come statuito chiaramente da questo  Tribunale
con la sentenza n. 37085/2010 di annullamento del citato  decreto»  e
premesso, dunque, che il nuovo decreto appare viziato per i  medesimi
profili gia' esaminati dal Tribunale, nonche' che nessun rilievo puo'
essere  assegnato  alla  previsione  normativa  sopravvenuta  di  cui
all'art. 2, comma 7, d.l. n. 225 cit.  che  ha  introdotto  il  comma
196-bis,   sopra   specificato,   accoglieva   l'istanza   cautelare,
sospendendo  dunque  gli  effetti  del  decreto  del  Presidente  del
Consiglio del 4 gennaio 2011. 
    Con due successive ordinanze, nn. 2524 e  2526  del  2011,  negli
appelli proposti dalla  Presidenza  del  Consiglio  e  dal  Ministero
dell'economia e delle finanze e da Roma  Capitale,  il  Consiglio  di
Stato affermava che  l'ordinanza  pronunziata  da  questo  TAR  aveva
sottovalutato  la  rilevanza  della  normativa   sopravvenuta   nella
definizione  dei  requisiti  professionali  richiesti  e,   pertanto,
accoglieva l'appello in riforma dell'ordinanza impugnata e respingeva
l'istanza cautelare proposta in primo grado. 
    A seguito dello scambio di memorie per l'udienza di  discussione,
la causa veniva in discussione all'udienza pubblica  del  7  dicembre
2011. 
 
                               Diritto 
 
    1. - Osserva il Collegio che ad un primo  esame  svolto  in  sede
cautelare, questa Sezione aveva ritenuto che la norma inserita  nella
c.d. legge mille proroghe non potesse avere rilevanza sulla questione
in esame, poiche' contenente portata innovativa e come  tale  non  in
grado di insistere sulle situazioni  giuridiche  soggettive  gia'  in
essere e  decise  con  sentenza  esecutiva,  seppure  al  vaglio  del
Consiglio di Stato in sede di appello. Sulla natura  della  norma  in
oggetto, in vero, sussiste un'interpretazione  ambivalente  da  parte
della difesa erariale; infatti,  per  un  verso,  se  ne  afferma  la
portata meramente interpretativa  della  preesistente  disciplina  e,
conseguentemente, la  si  intende  applicabile  alla  fattispecie  in
esame. Tale sarebbe la portata per  quanto  attiene  alla  duplicita'
procedimentale dei compiti affidati al Commissario  governativo.  Per
altro verso,  sembra  essere  evidenziata  una  componente  novativa,
laddove la norma introduce un requisito ulteriore per  l'assegnazione
dell'incarico  di  Commissario,  ovvero   la   specifica   esperienza
acquisita in campo privato. 
    Sul  primo  punto,  questo  Tribunale  si  era  gia'  chiaramente
pronunciato affermando l'unicita' del procedimento teso al  piano  di
rientro, sicche' l'articolazione  dei  compiti  del  Commissario  non
corrisponderebbe a due distinte fasi  procedimentali.  Del  resto  la
stessa portata letterale del provvedimento gia' annullato  da  questo
Tribunale e del provvedimento in  esame  sembrerebbe  confermare  una
siffatta lettura, laddove si dispone la revoca dell'incarico che  non
avrebbe ragion d'essere nel caso in cui lo  stesso  incarico  dovesse
ritenersi concluso. 
    Sul secondo punto, a fronte della  prima  lettura,  si  impone  a
seguito delle ordinanze di riforma del Consiglio di Stato,  una  piu'
attenta riflessione. Infatti il Consiglio di Stato,  come  detto,  in
sede di appello ha ritenuto  che  il  Tribunale  avesse  erroneamente
inteso  non  applicabile  alla  fattispecie  la  nuova   disposizione
relativa al requisito della pregressa specifica  esperienza  in  sede
privata, che  chiaramente,  ove  ne  fosse  riconosciuta  la  valenza
retroattiva, giustificherebbe la revoca dell'incarico al  ricorrente,
magistrato contabile, il quale, pur avendo una  specifica  esperienza
nel settore economico-finanziario,  non  potrebbe  competere  con  il
controinteressato, che ha sicuramente una comprovata  esperienza  nel
settore al servizio di soggetti privati. 
    Si tratta, dunque, dato  atto  dell'interpretazione  seguita  dal
Consiglio di Stato che ritiene applicabile alla fattispecie in esame,
la  norma  sopravvenuta,  di  esaminare  i  profili  di  legittimita'
costituzionale prospettati dalla  parte  ricorrente  in  ordine  alla
legittimita'  della  norma  retroattiva  ed  alla  sua  coerenza  con
l'ordinamento. 
    Il Tribunale  ritiene  sussistenti,  dunque,  i  presupposti  per
sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma
7, del d.l. 29 dicembre 2010 n. 225,  c.d.  decreto  mille  proroghe,
convertito dalla legge n. 10 del 2011, nella  parte  in  cui  dispone
«Con provvedimenti  predisposti  dal  Commissario  straordinario  del
Governo del comune di Roma, nominato ai sensi dell'articolo 4,  comma
8-bis del decreto-legge  25  gennaio  2010,  n.  2,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 26 marzo 2010, n. 42, che deve  essere  in
possesso di comprovati requisiti di  elevata  professionalita'  nella
gestione  economico-finanziaria,  acquisiti  nel   settore   privato,
necessari per (gestire la fase operativa di attuazione del  piano  di
rientro, sono accertate le eventuali ulteriori partite  creditorie  e
debitorie rispetto al documento predisposto  ai  sensi  dell'articolo
14,  comma  13-bis,  del  decreto-legge  31  maggio  2010,   n.   78,
convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio  2010,  n.  122,
dal medesimo Commissario, concernente l'accertamento del  debito  del
comune di Roma alla data del 30 luglio 2010,  che  e'  approvato  con
effetti a decorrere dal 29 dicembre 2010.». 
    2. - Sulla rilevanza della questione nel  caso  di  specie  della
norma de qua, ai fini del thema decidendum, non vi e' dubbio  che  la
natura   assertivamente   interpretativa   della    stessa,    datane
dall'amministrazione  che  ha  inteso  porre  la  norma  in  esame  a
fondamento  del  nuovo  provvedimento  di  revoca   del   ricorrente,
unitamente all'indicazione contenuta nelle ordinanze del Consiglio di
Stato, ne impongano la considerazione nel caso concreto. 
    Pertanto,   questo   Tribunale,   dovendosi   pronunciare   sulla
legittimita' del decreto di  revoca,  che  si  fonda  sulla  predetta
norma,  dandone  immediata   applicazione,   non   puo'   prescindere
dall'esame della norma stessa. 
    3. - Il  Tribunale  ritiene  che  la  questione  di  legittimita'
costituzionale prospettata in ordine alla legittimita' costituzionale
dell'art. 2, comma 7, in parte  qua,  del  d.l.  n.  225  cit.,  come
convertito dalla legge n. 10 del 2011, si rileva  non  manifestamente
infondata alla luce delle considerazioni che seguono. 
    Invero, da un lato, appaiono ragionevoli  dubbi  in  ordine  alle
condizioni necessarie per l'esercizio del potere di legislazione, con
funzione interpretativa  nell'ambito  dei  poteri  d'urgenza  di  cui
all'art. 77 Cost. e, quindi, con efficacia ex  tunc;  dall'altro,  la
norma impugnata manifesta profili tali da incidere  irragionevolmente
sui principi fondamentali dell'ordinamento. 
    In  particolar  modo  la  norma  in  esame  appare  sospetta   di
intrinseca irragionevolezza  o  irrazionalita',  con  riferimento  ai
principi    d'integrita'    delle     attribuzioni     costituzionali
dell'autorita' giudiziaria (art. 102 Cost.), ed, ancora, al principio
del giusto processo, cosi' come  l'art.  117  Cost.,  in  materia  di
rispetto degli obblighi assunti  sul  piano  internazionale,  con  la
sottoscrizione della CEDU, come dedotto da parte del ricorrente. 
    4. - Ne consegue che devono essere  sottoposti  al  vaglio  della
Corte costituzionale i seguenti motivi di  incostituzionalita'  della
norma riportata. 
    In primo luogo, la norma, contenuta in un  atto  di  decretazione
d'urgenza  appare  violare  i  limiti  sulla  decretazione  d'urgenza
fissati dall'art. 77 Cost.. Sotto tale profilo non si  puo'  ignorare
che con la sentenza n.  171  del  2007  la  Corte  costituzionale  ha
sottolineato  come  l'assetto  delle  fonti  normative  sia  uno  dei
principali elementi  che  caratterizzano  la  forma  di  governo  nel
sistema costituzionale, elemento correlato alla tutela dei  valori  e
diritti fondamentali. 
    In  particolare,  nei  sistemi  ispirati   al   principio   della
separazione dei poteri  e  della  soggezione  della  giurisdizione  e
dell'amministrazione  alla  legge  l'adozione  delle  norme  primarie
spetta agli organi o all'organo il cui potere deriva direttamente dal
popolo. 
    Proprio  al  principio  di  separazione   vanno   ricondotte   la
previsioni di cui agli articoli 70 e  77  della  Costituzione,  dalle
quali si desume che il potere governativo di emanare decreti-legge ha
carattere  derogatorio  rispetto   all'essenziale   attribuzione   al
Parlamento della funzione di  porre  le  norme  primarie  nell'ambito
delle competenze dello Stato centrale. 
    Sulla  scorta  di  tale  premessa,  la  Corte  Costituzionale  ha
confermato la giurisprudenza inaugurata  dalla  sentenza  n.  29  del
1995,  in  base  alla   quale   l'esistenza   dei   requisiti   della
straordinarieta' del caso  di  necessita'  e  d'urgenza  puo'  essere
oggetto di scrutinio di  costituzionalita',  anche  a  seguito  della
conversione. Secondo le previsioni della  Corte  detto  scrutinio  e'
limitato ai soli profili  di  «evidente»  mancanza  dei  presupposti,
sulla base della necessita' di tener distinto il ruolo  delle  Camere
da quello del Giudice delle leggi. Infatti, mentre al Parlamento,  in
sede di conversione, spetta un controllo in cui non sono estranee  le
valutazioni politiche, la Corte esercita il proprio scrutinio al fine
di preservare  l'assetto  delle  fonti  normative  e,  con  esso,  il
rispetto dei valori a tutela dei quali detto compito e'  predisposto.
Ne deriva che in applicazione del dettato  di  cui  all'articolo  77,
comma secondo della Costituzione, se le Camere in sede di conversione
possono  valutare  la  pluralita'  di  situazioni   legittimanti   la
decretazione d'urgenza, la Corte nel suo  controllo  successivo  puo'
sindacare  gli  aspetti  di  macroscopica  mancanza  dei  presupposti
costituzionali. 
    Sotto   tale    profilo,    ne    deriverebbe    l'illegittimita'
costituzionale della legge di conversione,  non  per  vizi  autonomi.
Tale vizio risulterebbe, peraltro,  integrato  dalla  violazione  dei
limiti per  la  decretazione  d'urgenza  riscontrabili  nella  stessa
asserita valenza di norma interpretativa della norma. 
    Peraltro, nella specie, la norma in esame  manifesta  profili  di
dubbia legittimita' in ordine agli stessi limiti  sull'ammissibilita'
di una legge interpretativa e  dunque  con  portata  retroattiva,  in
relazione a quanto individuato dalla stessa Corte costituzionale. 
    Infatti, come e' stato affermato dalla Corte  costituzionale,  il
legislatore puo' adottare  norme  di  interpretazione  autentica  non
soltanto  in  presenza  di  incertezze   sull'applicazione   di   una
disposizione o di contrasti giurisprudenziali, ma  anche  «quando  la
scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso
del testo originario, con cio' vincolando un significato  ascrivibile
alla norma anteriore» (sentenza n. 525 del 2000; in  senso  conforme,
ex plurimis, sentenze n. 374 del 2002, n. 26 del  2003,  n.  274  del
2006, n. 234 del 2007, n. 170 del 2008, n. 24 del 2009). 
    Orbene, tale condizione non appare rispettata nel caso di specie,
per quanto attiene alla individuazione  di  uno  specifico  ulteriore
requisito per la nomina di Commissario straordinario gia'  effettuata
e sub judice. Ne deriva che profili  di  perplessita'  risultano  con
riferimento alla scelta di emanare una norma interpretativa,  laddove
si intendeva introdurre una nuova disposizione,  risultando  preclusa
la previsione in sede di decretazione d'urgenza di una siffatta nuova
disposizione con portata retroattiva. 
    In secondo  luogo,  vengono  in  evidenza  ragionevoli  dubbi  di
legittimita' costituzionale con  riguardo  all'art.  111  Cost.,  che
costituzionalizza il principio del giusto processo, sub specie «della
parita' delle armi» tra le parti del processo. Infatti, limitatamente
al processo pendente  gia'  in  sede  di  appello,  che  riguarda  la
posizione del ricorrente, la  norma  de  qua,  supportata  -  secondo
l'interpretazione datane  dall'amministrazione  e  dal  Consiglio  di
Stato - dalla previsione di retroattivita', viene a porre  nel  nulla
la pronuncia esecutiva resa da questo TAR sul primo decreto di revoca
dell'istante,  realizzando  cosi'  un  vulnus  della  posizione   del
ricorrente. 
    Tale violazione, peraltro, realizzerebbe,  altresi',  la  lesione
dell'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali, che assume rango di  diritto
costituzionale tramite il rinvio di  cui  all'art.  117  primo  comma
Cost. 
    Siffatta norma internazionale, che  sancisce  il  diritto  ad  un
giusto processo dinanzi ad un tribunale indipendente  ed  imparziale,
impone al legislatore di uno Stato  contraente,  nell'interpretazione
della Corte Europea dei  diritti  dell'uomo  di  Strasburgo,  di  non
interferire   nell'amministrazione   della   giustizia   allo   scopo
d'influire sulla singola causa o su di una determinata  categoria  di
controversie, attraverso  norme  interpretative  che  assegnino  alla
disposizione interpretata un significato vantaggioso  per  una  parte
del procedimento, salvo il caso di  «ragioni  imperative  d'interesse
generale». 
    Nella  specie  lo  Stato   nazionale   ha   emanato   una   norma
interpretativa, in presenza di un contenzioso relativo ad una singola
e ben individuabile posizione, cosi'  ponendosi  la  questione  della
legittimita'  costituzionale  della  norma   con   riferimento   alla
violazione del principio di «parita'» tra le parti del processo,  non
essendo prefigurabili «ragioni imperative d'interesse  generale»  che
permettano di escludere la violazione del divieto d'ingerenza. 
    A riguardo vale la pena di  richiamare  la  giurisprudenza  delle
Corte costituzionale formatasi in ordine  al  rango  e  all'efficacia
delle norme della CEDU ed  il  ruolo,  rispettivamente,  dei  giudici
nazionali  e  della  Corte  di  Strasburgo,  nell'interpretazione  ed
applicazione della Convenzione europea. 
    In primo luogo va rammentato che tale tematica e'  stata  oggetto
di disamina, da parte delle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, con le
quali la Corte ha rilevato che l'art. 117, primo comma, Cost., ed  in
particolare   l'espressione   «obblighi   internazionali»   in   esso
contenuta, si riferisce alle norme internazionali convenzionali anche
diverse da quelle contemplate dagli artt. 10 e 11 Cost. 
    Dunque, l'art. 117, primo comma, Cost.,  cosi'  interpretato,  ha
consentito di rinvenire un fondamento  costituzionale  all'osservanza
degli obblighi internazionali pattizi. 
    Ne consegue che il contrasto di una norma nazionale con una norma
convenzionale, in particolare della CEDU, e' idoneo a  dar  luogo  ad
una violazione (mediata) dell'art. 117, primo comma, Cost. 
    Infatti,  la  clausola  del  necessario  rispetto   dei   vincoli
derivanti dagli obblighi internazionali, dettata dall'art. 117, primo
comma, Cost., attraverso un meccanismo di rinvio mobile  del  diritto
interno  alle  norme  internazionali  pattizie  di  volta  in   volta
rilevanti, impone  il  controllo  di  costituzionalita'  della  norma
interna,   qualora   il   giudice   comune   ritenga   lo   strumento
dell'interpretazione insufficiente ad eliminare il contrasto. 
    Quando, dunque, il giudice ritenga che non sia possibile comporre
il contrasto in via interpretativa, deve sollevare  la  questione  di
costituzionalita' (cfr. anche sent. Corte cost. n. 239 del 2009), con
riferimento al parametro dell'art. 117, primo  comma,  Cost.,  ovvero
anche dell'art. 10, primo comma, Cost., ove si tratti  di  una  norma
convenzionale ricognitiva di una  norma  del  diritto  internazionale
generalmente riconosciuta. 
    Orbene, si ritiene che, in questo specifico caso, anche in virtu'
del carattere univoco della disposizione censurata, non sia possibile
un'interpretazione  della  stessa  conforme  a  quella  convenzionale
internazionale (art. 6 CEDU). 
    Cio' premesso, si deve  ricordare  la  sentenza  SCM  Scanner  de
l'Ouest Lyonnais e altri c. Francia, del 21 giugno 2007,  ricorso  n.
12106/03,  in  cui  la  Corte   di   Strasburgo,   ha   ulteriormente
sottolineato come  lo  Stato  non  possa  introdurre  slealmente  una
interpretazione normativa a suo favore della norma  sub  iudice,  nei
giudizi iniziati ed impostati secondo diversi presupposti normativi o
giurisprudenziali. L'applicazione  dello  ius  superveniens  potrebbe
ritenersi lecita soltanto in presenza di «imperieux motifis d'interet
general», non ravvisabili in «mere  esigenze  di  natura  finanziaria
connesse al rischio derivante dalla soccombenza nei  giudizi  avviati
nei confronti dello Stato amministrazione» (sent. Corte cost. n.  311
del 2009). 
    Infatti,  il  requisito  della  «parita'  delle  armi»   comporta
l'obbligo  di  dare  alle  parti  una  ragionevole  possibilita'   di
perseguire le proprie  azioni  giudiziarie,  senza  essere  poste  in
condizione di sostanziale svantaggio rispetto agli avversari. 
    Come ricordato dalla stessa Corte costituzionale,  infatti,  tale
orientamento (che  trova  i  suoi  precedenti  nei  casi  Raffineries
Grecques Stran e Stratis Andreadis c. Grecia del 9 dicembre  1994,  e
Zielinski e altri c. Francia, del 28 ottobre 1999) censura la  prassi
di   interventi    legislativi    sopravvenuti,    che    modifichino
retroattivamente  in  senso  sfavorevole  per  gli   interessati   le
disposizioni di legge attributive di diritti, la  cui  lesione  abbia
dato luogo ad azioni  giudiziarie  ancora  pendenti  all'epoca  della
modifica, poiche' suscettibile di comportare una violazione dell'art.
6 della  CEDU,  risolvendosi  in  un'indebita  ingerenza  del  potere
legislativo sull'amministrazione  della  giustizia,  fatta  salva  la
sussistenza di «motivi imperativi di interesse generale». 
    Nei casi sottoposti al Suo  esame,  la  Corte  costituzionale  ha
avuto modo di ricordare che la Corte europea, peraltro, ha  precisato
che i motivi imperativi menzionati non possono essere individuati nel
mero rischio finanziario. 
    Per  contro,  la  legittimita'  di  simili  interventi  e'  stata
riconosciuta dalla Corte europea,  solo  quando  ricorrevano  ipotesi
eccezionali ed, in primo luogo, ragioni «storiche epocali», come  nel
caso  della  riunificazione  tedesca   (caso   Forrer-Niederthal   c.
Germania, sentenza del 20 febbraio 2003). 
    In questo caso, la Corte europea, di  fronte  ad  una  norma  che
faceva salvi con effetto retroattivo i trasferimenti  di  proprieta',
senza indennizzo, in «proprieta' del  popolo»  della  ex  D.D.R.,  ha
concluso  per  la  compatibilita'  dell'intervento   con   la   norma
convenzionale; cio' non soltanto per il motivo  «epocale»  del  nuovo
riassetto dei conflitti patrimoniali conseguenti alla riunificazione,
ma anche in considerazione della sussistenza effettiva di un  sistema
che aveva garantito alle parti, che  contestavano  le  modalita'  del
riassetto, l'accesso a, e lo  svolgimento  di,  un  processo  equo  e
garantito. 
    In altri casi, nello specificare la sussistenza o meno dei motivi
imperativi d'interesse generale, la Corte di Strasburgo  ha  ritenuto
legittimo l'intervento del legislatore che, per porre rimedio ad  una
imperfezione tecnica della legge interpretata, aveva inteso,  con  la
legge  retroattiva,  ristabilire  un'interpretazione  piu'   aderente
all'originaria volonta' del legislatore. 
    Cosi nella sentenza 23 ottobre 1997 - caso National &  Provincial
Building  Society,  Leeds  Permanent  Building  Society  e  Yorkshire
Building Society  c.  Regno  Unito  (utilizzata  anche  nella  citata
pronuncia  Forrer-Niederthal  c.  Germania)  -  si  e'  ritenuto  che
l'adozione di una disposizione interpretativa puo' essere considerata
giustificata allorche' lo Stato, nella logica di  interesse  generale
di garantire il pagamento delle imposte, abbia inteso  porre  rimedio
al rischio che l'intenzione originaria del legislatore fosse, in quel
caso, sovvertita da disposizioni fissate in circolari. 
    E  nella  sentenza  del  27  maggio  2004  -  caso  Ogis-institut
Stanislas, Ogec St. Pie X e Blanche De Castille e altri  c.  Francia,
in cui le circostanze del caso di specie non erano identiche a quelle
del caso Zielinski del 1999 - si e' affermato  che  l'intervento  del
legislatore  non  aveva  inteso  sostenere   la   posizione   assunta
dall'amministrazione dinanzi ai  giudici,  ma  porre  rimedio  ad  un
errore tecnico di  diritto,  al  fine  di  garantire  la  conformita'
all'intenzione  originaria  del  legislatore,  nel  rispetto  di   un
principio di perequazione. 
    Analogamente al caso National & Provincial Building  Society  del
1997,  nel  quale  l'intervento  del  legislatore  era   giustificato
dall'obiettivo  finale  di  «riaffermare  l'intento   originale   del
Parlamento», la  Corte  riteneva  che  la  finalita'  dell'intervento
legislativo  fosse  quindi  quella  di   garantire   la   conformita'
all'intenzione originaria del legislatore a sostegno di un  principio
di perequazione, aggiungendo che  gli  attori  non  avrebbero  potuto
validamente invocare un «diritto» tecnicamente errato  o  carente,  e
dolersi quindi dell'intervento del  legislatore  teso  a  chiarire  i
requisiti ed i limiti che la legge interpretata contemplava. 
    In  considerazione   dei   suddetti   principi,   nonche'   della
ricostruzione  della  portata  e  degli  obiettivi  della  norma  qui
censurata, si rilevano dunque i profili  di  ragionevole  dubbio  sul
contrasto della stessa con l'art. 6 della CEDU. 
    Infatti, non  si  rinvengono,  nel  caso  di  specie,  i  «motivi
imperativi   di   interesse   generale»,   quali   enucleati    dalla
giurisprudenza della CEDU, ne' nella forma  di  eventi  di  carattere
storico-epocale,  ne'  nella  finalita'  di  assicurare  l'originaria
volonta' del legislatore che, come gia' evidenziato,  aveva  in  vero
omesso  di  disciplinare  l'ulteriore  requisito  per  la  nomina   a
Commissario governativo. 
    Ed ancora la norma comporta,  per  i  motivi  sopra  espressi  la
violazione degli artt. 101, 102, 104 e 108 Cost. 
    La Corte costituzionale ha ripetutamente affermato  il  principio
secondo cui il legislatore vulnera le funzioni giurisdizionali quando
la  legge  sia  intenzionalmente  diretta  ad  incidere  su  concrete
fattispecie sub judice (cfr. Corte cost. nn.  397/94,  6/94,  429/93,
424/93, 283/93, 39/93, 440/92, 429/91 ed altre). Si  tratta,  allora,
di stabilire  se  la  statuizione  contenuta  nella  norma  censurata
integri effettivamente i requisiti del precetto di fonte legislativa,
come tale dotato dei  caratteri  della  generalita'  ed  astrattezza,
ovvero sia diretto ad incidere su concrete fattispecie  «sub  judice»
e, come piu' volte ribadito, a vantaggio di una delle due  parti  del
giudizio. 
    Infine, va  ulteriormente  rilevata  d'ufficio  la  questione  di
legittimita' costituzionale della norma in argomento con  riferimento
all'art.  97  Cost.  sotto  il  profilo  della  ragionevolezza  della
previsione contenuta. Infatti, non  e'  rinvenibile  nell'ordinamento
alcun argomento che giustifichi la previsione contenuta  nella  nuova
disposizione che prevede  il  necessario  compimento  dell'esperienza
pregressa nel  settore  privato.  Non  si  tratta,  infatti,  di  una
possibilita'  ulteriore  di  scelta  nella  nomina  affinche'   siano
esaminate le posizioni dei «candidati»  all'incarico  di  Commissario
straordinario, allo scopo di garantire la selezione del soggetto  con
una  piu'  elevata  e  qualificata  esperienza  nel  settore,  ma  di
precludere completamente la possibilita' per  i  soggetti  che  hanno
maturato la propria professionalita'  -  seppure  specificamente  con
riguardo a tematiche attinenti ai profili contabili  e  finanziari  -
nel settore pubblico. Cosi' la norma  in  esame  appare  statuire  un
giudizio di disvalore con riguardo  alle  professionalita'  acquisite
nel pubblico che non trova fondamento  nell'ordinamento,  laddove  al
contrario l'art. 97  Cost.,  a  garanzia  del  buon  andamento  della
pubblica amministrazione, prevede per l'accesso agli  impieghi  nelle
p.a., il principio della selezione del  merito  attraverso  le  prove
concorsuali (principio piu' volte posto a fondamento delle  pronunzie
della Corte costituzionale, cfr. da ultimo, sent. 15 giugno 2011,  n.
189). 
    Non puo', pertanto, non osservarsi come, al contrario  di  quanto
prescritto dalla norma in esame, la delicatezza dei compiti assegnati
per  l'interesse   pubblico   ed   in   sostituzione   dell'ordinario
svolgimento delle funzioni e competenze proprie degli organi  a  cio'
preposti non dovrebbe comportare l'esclusione dal novero dei soggetti
ai quali e' possibile conferire l'incarico di Commissario del Governo
proprio di coloro che abbiano svolto specifiche funzioni e conseguito
particolari professionalita' a seguito del lavoro svolto al  servizio
della pubblica amministrazione, avendo gia', dunque, dovuto  superare
una selezione di merito tramite le prove concorsuali di accesso. 
    Per quanto sin qui esposto, non definitivamente pronunciando  sul
ricorso indicato in epigrafe, deve essere dichiarata rilevante e  non
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 2, comma 7, del d.l. n. 225  cit.,  come  convertito  dalla
legge n. 10 del 2011, in parte qua, con riferimento  agli  artt.  77,
97, 101, 102, 104, 108 e 111 Cost. e 117  Cost.,  con  riguardo  alla
violazione dell'art. 6 della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei
diritti  dell'uomo;  pertanto,  deve  disporsi  la  sospensione   del
presente giudizio e l'immediata trasmissione degli  atti  alla  Corte
costituzionale. 
    Deve ordinarsi, altresi',  che  a  cura  della  segreteria  della
Sezione la presente ordinanza sia notificata alle parti in  causa  ed
al Presidente del  Consiglio  dei  ministri,  nonche'  comunicata  ai
Presidenti della Camere dei deputati e del Senato della Repubblica. 
    Rimane  riservata  alla  decisione  definitiva   ogni   ulteriore
statuizione in rito, in merito ed in ordine alle spese. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Ritenuta  non  manifestamente  infondata  e  rilevante,  per   la
decisione  del  presente  giudizio,  la  questione  di   legittimita'
costituzionale dell'art. 2 comma 7, del d.l. 29 dicembre 2010 n. 225,
c.d. decreto mille proroghe (pubblicato sul supplemento ordinario  n.
53 della Gazzetta  Ufficiale  n.  47  del  26  febbraio  2011),  come
convertito dalla legge n. 10 del 2011, in parte qua, per  violazione,
non  solo  dei  limiti  interni  all'ammissibilita'  di   una   legge
interpretativa, ma anche degli artt. 77, 97, 101, 102, 104, 108 e 111
Cost. e 117 Cost., con riferimento alla violazione dell'art. 6  della
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo nei  termini  e
per le ragioni di' cui in motivazione; 
    Dispone la sospensione del procedimento in corso; 
    Ordina la notificazione della presente  ordinanza  al  Presidente
del Consiglio  dei  ministri  e  la  comunicazione  della  stessa  ai
Presidenti della Camera dei deputati e del Senato; 
    Ordina la trasmissione dell'ordinanza alla  Corte  costituzionale
insieme con gli atti del giudizio e con la prova delle  notificazioni
e delle comunicazioni prescritte. 
    Cosi' deciso in Roma nella  camera  di  consiglio  del  giorno  7
dicembre 2011. 
 
                      Il Presidente: Giovannini 
 
 
                                                L'estensore: Cogliani