N. 223 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 luglio 2012
Ordinanza del 16 luglio 2012 emessa dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto sul ricorso proposto da Sifeddine Badre contro il Ministero dell'interno e Questura di Venezia. Straniero - Ingresso e permanenza nello Stato - Espulsione dal territorio dello Stato in caso di condanna per determinati reati - Prevista tutela rafforzata contro l'allontanamento limitata ai soli soggetti che abbiano presentato domanda di ricongiungimento o siano ricongiunti o siano titolari di un permesso di soggiorno di lungo periodo o abbiano fatto richiesta di tale titolo di soggiorno - Estensione di tutela rafforzata da soggetti che si trovino nelle medesime condizioni sostanziali contemplate dalla norma censurata, indipendentemente dalla circostanza di aver presentato un'istanza formale - Mancata previsione - Lesione del diritto fondamentale della persona - Violazione del principio di uguaglianza - Violazione dei principi di tutela del matrimonio, della famiglia e dei figli - Violazione di obblighi internazionali derivanti dalla CEDU. - Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, artt. 4, comma 3, 5, comma 5, e 9, comma 4. - Costituzione, artt. 2, 3, 29, 30, 31, e 117, primo comma, in relazione all'art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali .(GU n.41 del 17-10-2012 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 571 del 2012, proposto da: Sifeddine Badre, rappresentato e difeso dall'avv. Stefania Filippi, con domicilio presso la Segreteria del T.A.R. ai sensi dell'art. 25, cod. proc. amm.; contro l'Amministrazione dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliata per legge in Venezia, San Marco, 63; per l'annullamento del decreto emesso dal Questore di' Venezia in data 20 marzo 2012 e notificato in data 2 aprile 2012 con cui e' stata respinta l'istanza presentata il 13 novembre 2007 volta ad ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo. Visti il ricorso e i relativi allegati; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno; Relatore nella camera di consiglio del giorno 14 giugno 2012 il dott. Stefano Mielli e uditi per le parti i difensori S. Filippi per la parte ricorrente e l'avvocato dello Stato Greco per l'Amministrazione resistente; Fatto, svolgimento del processo e motivi della decisione. 1. Il ricorrente, cittadino del Marocco, e' presente in Italia dal 1992, anno in cui ha contratto matrimonio con una cittadina italiana (cfr. la copia dell'atto di matrimonio di cui al doc. 2 allegato al ricorso) con la quale ha avuto un figlio (di nazionalita' italiana e ancora minorenne al momento in cui l'Amministrazione si e' pronunciata: cfr. la copia del certificato di nascita di cui al doc. 3 allegato al ricorso). Nel 1998 i coniugi si sono separati e con sentenza del 4 luglio 2007, e' stato pronunciato lo scioglimento del matrimonio, con affidamento del minore alla madre, ponendo a carico del padre, odierno ricorrente, gli obblighi di mantenimento del figlio con facolta' di visita. Successivamente il ricorrente si e' coniugato con una cittadina di un paese non appartenente all'Unione Europea, titolare di un permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo, con la quale ha avuto due figli (cfr. gli atti di nascita e i permessi di soggiorno di cui ai docc. da 10 a 12 allegati al ricorso) ancora minorenni. Il ricorrente nel corso di questi anni non ha acquisito la cittadinanza italiana, ne' il permesso di soggiorno per soggiornanti lungo periodo (ex carta di soggiorno) ne' un permesso di soggiorno per motivi di famiglia. Il 13 novembre 2007, il ricorrente ha presentato istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo, riscontrato dalla Questura con provvedimento del 20 marzo 2012, con il quale la domanda e' stata respinta. Il diniego e' motivato con riferimento ad una condanna del 22 gennaio 2010 in materia di stupefacenti, all'esistenza di una precedente espulsione del 15 febbraio 1992 del Prefetto di Milano, e ad un deferimento all'autorita' giudiziaria del 2006 per appropriazione indebita. Da questi elementi la Questura ha formulato un giudizio di pericolosita' sociale disponendo l'obbligo di allontanamento dal territorio nazionale entro il termine di quindici giorni. 2. Con il ricorso in epigrafe il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno e' impugnato per le censure di violazione ed erronea applicazione dell'art. 4, comma 3, e 5 comma 5, del d.lgs.25 luglio 1998, n. 286, carenza di motivazione e difetto di istruttoria perche' il giudizio di pericolosita' sociale e' automaticamente desunto dalla condanna del 2010, per la quale pende ancora il giudizio di appello, relativa a fatti del 2002, e per il quale mancano pertanto i requisiti dell'attualita' della pericolosita' sociale, della valutazione globale del soggetto, del grado di inserimento sociale e familiare, e non risultano valutati il carattere isolato dell'episodio tenuto conto che il ricorrente e' presente in Italia dal 1992, e si lamenta altresi' la violazione degli artt. 12, 17 e 18 del Trattato FUE e degli artt. 21, 24 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea perche' il diniego di un permesso di soggiorno ad un genitore cittadino di un paese terzo comprime anche il diritto di soggiorno dei figli cittadini di un paese membro dell'Unione Europea (viene citata la sentenza Corte di Giustizia Europea, 28 marzo 2011 resa in causa C-34/09, che pero' non si attaglia al caso di specie, perche' imperniata sulla tenera eta' del figlio). Si e' costituita in giudizio l'Amministrazione eccependo che il ricorrente non puo' godere della tutela rafforzata contro l'allontanamento perche' e' titolare di un permesso di soggiorno per lavoro autonomo e non di un permesso di soggiorno per motivi di famiglia o per soggiornanti di lungo periodo, e quindi la condanna riportata rientra tra quelle automaticamente ostative alla permanenza nel territorio italiano ai sensi degli artt. 4, comma 3, e 5 comma 5, del D.lgs. n. 286 del 1998, cosi' come deve considerarsi automaticamente ostativa l'esistenza di un'espulsione del 15 febbraio 1992. 3. Il Collegio, ritenendo non sufficientemente motivato il giudizio di pericolosita' sociale per le ragioni dedotte nel ricorso (e' significativo in tal senso che l'Autorita' di pubblica sicurezza sia rimasta inerte per molti anni nonostante i fatti addebitati risalgano al 2002), ha preso atto della mancanza di una motivazione riferibile agli elementi indicati dall'art. 5, comma 5, ultimo periodo del d.lgs. n. 286 del 1998, o dell'art. 9, comma 4, del d.lgs. n. 286 del 1998, come modificati dai d.lgs. 8 gennaio 2007, nn. 3 e 5, e tuttavia ha ritenuto il ricorso allo stato non accoglibile in ragione dell'operativita' nella fattispecie dell'automatismo ostativo eccepito dall'Amministrazione. Poiche' si e' posto il dubbio della legittimita' costituzionale delle predette norme nella parte in cui prevedono una tutela rafforzata contro l'allontanamento solo nei confronti dei soggetti che abbiano presentato una domanda di ricongiungimento, o siano ricongiunti, o siano titolari di un permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo o abbiano fatto richiesta di rilascio di tale titolo di soggiorno, anziche' nei confronti di quanti si trovino in quelle medesime condizioni sostanziali contemplate dalle norme citate indipendentemente dalla circostanza di aver presentato un'istanza formale, il Collegio con ordinanza n. 365 del 14 giugno 2012, ha interinalmente accolto la domanda cautelare, rinviandone il successivo esame alla Camera di consiglio che sara' fissata dopo la comunicazione della decisione della Corte Costituzionale, riservandosi di rimettere la questione di legittimita' costituzionale con separata ordinanza. 4. In primo luogo appare opportuno svolgere una ricognizione del quadro normativo nel quale si inseriscono le norme sottoposte al vaglio di costituzionalita'. L'art. 4, comma 3, ultimo periodo del d.lgs. n. 286 del 1998 come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, relativamente all'ingresso nel territorio dello Stato dispone che «non e' ammesso in Italia lo straniero che ... risulti condannato, anche a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per reati previsti dall'articolo 380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la liberta' sessuale, il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina verso l'Italia e dell'emigrazione clandestina dall'Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attivita' illecite». L'identica disciplina, per effetto di un espresso richiamo, trova applicazione anche per il diverso caso del rinnovo o della revoca del permesso di soggiorno. Infatti l'art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 286 del 1998 dispone che «il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno e' stato rilasciato, esso e' revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l'ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 22, comma 9, e sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio e che non si tratti di irregolarita' amministrative sanabili». Il testo originario di quest'ultima disposizione non e' stato modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189; tuttavia il rinvio in essa contenuto ai requisiti previsti per l'ingresso ha radicalmente mutato lo status giuridico dello straniero regolarmente soggiornante in quanto, per effetto delle modifiche apportate dall'art. 4, comma 1, lett. b) della legge 30 luglio 2002, n. 189 all'art. 4 comma 3 ultimo periodo del d.lgs. n. 286 del 1998, il rinnovo del permesso di soggiorno ha dovuto essere in modo automatico e perentorio negato e, ove gia' rilasciato, revocato, in presenza di una condanna per uno dei reati previsti dalla norma, senza che sia possibile, da parte dell'Autorita' Amministrativa, alcuna valutazione in concreto della pericolosita' sociale. 4.1 Successivamente il rigore di tale automatismo ostativo e' stato mitigato dal legislatore con i decreti legislativi 8 gennaio 2007, nn. 3 e 5, che hanno recepito nell'ordinamento nazionale la direttiva 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo e la direttiva 2003/86/CE relativa al diritto di ricongiungimento familiare, eliminando per tali particolari categorie di soggetti l'operativita' di automatismi ostativi al soggiorno. Per effetto di tali norme non e' stata prevista l'esistenza di un diritto incondizionato alla permanenza nel territorio nazionale per i cittadini di paesi non appartenenti all'Unione Europea, ma si e' demandato all'autorita' amministrativa un'opera di bilanciamento da svolgersi in concreto, caso per caso, tra diversi elementi prima di assumere una decisione nel senso dell'allontanamento dal territorio nazionale, dovendosi valutare anche la «durata del soggiorno nel territorio nazionale e dell'inserimento sociale, familiare e lavorativo dello straniero» (cfr. l'art. 9, comma 4, ultima parte, nel testo modificato) ovvero la «natura e effettivita' dei vincoli familiari dell'interessato e l'esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d'origine, nonche', per lo straniero gia' presente sul territorio nazionale, anche la durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale» (cfr. l'art. 5, comma 5, ult. periodo, nel testo modificato). Si e' pertanto venuto a determinare un sistema di carattere duale, nel quale per la generalita' degli stranieri che abbiano subito una condanna penale nei casi contemplati dalla legge, ai sensi degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del d.lgs. n. 286 del 1998, opera l'automatismo ostativo alla permanenza nel territorio nazionale, senza che residui in capo all'Amministrazione alcun margine di apprezzamento discrezionale. Mentre per i soli soggetti che ricadano nelle specifiche condizioni previste dagli artt. 5, comma 5, ultimo periodo (che sono coloro che siano ricongiunti o abbiano esercitato il ricongiungimento con i familiari indicati all'art. 29), e 9 del d.lgs. n. 286 del 1998 (che sono coloro che abbiano richiesto o siano titolari di un permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo che e' rilasciato dopo almeno cinque anni di presenza regolare nel territorio nazionale), e' prevista una tutela rafforzata contro l'allontanamento consistente nella necessita' che questo sia disposto solo dopo una decisione motivata dell'Autorita' di pubblica sicurezza (cfr. Cassazione, Sez. I, 15 aprile 2011, n. 8795; id. 7 ottobre 2010, n. 20838). La Corte Costituzionale con sentenza 16 maggio 2008, n. 148, ha ritenuto costituzionalmente legittimo un tale assetto normativo da una lato osservando che puo' ritenersi «che non sia manifestamente irragionevole condizionare l'ingresso e la permanenza dello straniero nel territorio nazionale alla circostanza della mancata commissione di reati di non scarso rilievo. In tale ordine di idee, la condanna per un delitto punito con la pena detentiva, la cui configurazione e' diretta a tutelare beni giuridici di rilevante valore sociale - quali sono le fattispecie incriminatrici prese in considerazione dalla normativa censurata - non puo', di per se', essere considerata circostanza ininfluente ai fini di cui trattasi, al punto di far ritenere manifestamente irragionevole la disciplina legislativa che siffatta condanna assume come circostanza ostativa all'accettazione dello straniero nel territorio dello Stato»; dall'altro rilevando che «con i decreti legislativi n. 3 e n. 5 dell'8 gennaio 2007 - rispettivamente, di attuazione delle direttive 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo e 2003/86/CE relativa al ricongiungimento familiare - il legislatore ha dato rilievo, in via generale, a ragioni umanitarie e solidaristiche idonee a giustificare il superamento di cause ostative al rilascio o al rinnovo dei titoli autorizzativi dell'ingresso o della permanenza nel territorio nazionale da parte degli stranieri». 5. Per quanto riguarda la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale nella controversia all'esame, va osservato che il Collegio ritiene che le predette norme, in base al loro tenore letterale e ad un'interpretazione sistematica che tenga conto anche del contenuto delle direttive di cui costituiscono il recepimento, prevedano una tutela rafforzata contro l'allontanamento solo nei confronti di determinati soggetti, che abbiano svolto precisi adempimenti formali, e che non possano essere estese in via interpretativa, ne' con la tecnica dell'interpretazione costituzionalmente orientata, ne' con la tecnica dell'interpretazione conforme alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, a soggetti che, come l'odierno ricorrente, avrebbero le condizioni sostanziali per ottenere la tutela rafforzata contro l'allontanamento (quali la presenza di familiari che rientrano nel novero dei soggetti con i quali e' possibile ottenere il ricongiungimento o il soggiorno legale in Italia protratto per piu' di cinque anni) ma non abbiano svolto, o non siano stati in grado di svolgere, gli adempimenti formali necessari. 5.1 Infatti la tutela rafforzata contro l'allontanamento prevista dall'art. 5, comma 5, ult. periodo cit., si applica allo «straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto», mentre la medesima tutela per il soggiornante di lungo periodo di cui all'art. 9, comma 4, cit. si applica «ai fini dell'adozione di un provvedimento di diniego di' rilascio del permesso di soggiorno» per soggiornanti di lungo periodo o ai fini dell'espulsione (cfr. l'art. 9, comma 11, che dispone che ai fini dell'allontanamento di tali soggetti si debba tener conto «anche dell'eta' dell'interessato, della durata del soggiorno sul territorio nazionale, delle conseguenze dell'espulsione per l'interessato e i suoi familiari, dell'esistenza di legami familiari e sociali nel territorio nazionale e dell'assenza di tali vincoli con il Paese di origine»). L'esame delle direttive conferma tali conclusioni. Infatti che la tutela prevista dalla direttiva 2003/86/CE relativa al ricongiungimento familiare si applichi solo ai soggetti che abbiano chiesto il ricongiungimento o siano ricongiunti e non anche ai soggetti che si trovino nelle medesime condizioni sostanziali senza aver adempiuto alle predette formalita', lo si ricava, oltre che dal contenuto letterale dell'art. 17 della direttiva, indirettamente anche dal settimo considerando il quale prevede che «gli Stati membri possono considerare che le disposizioni stabilite dalla presente direttiva si applichino anche ai familiari che arrivano insieme». Orbene, i familiari che arrivano assieme sono soggetti che dal punto di vista della tutela dell'unita' familiare versano nella stessa condizione sostanziale di chi richieda o abbia ottenuto il ricongiungimento, ma per la direttiva non debbono necessariamente godere del medesimo trattamento, in quanto vi e' solo una facolta' e non un obbligo per gli Stati di estendere la tutela nei loro confronti o comunque di mantenere o introdurre norme piu' favorevoli (cfr. art. 3, comma 5, della direttiva). In base alla direttiva non debbono pertanto necessariamente godere dei benefici derivanti dalla tutela rafforzata contro l'allontanamento ne' i familiari che giungono insieme, ne' i nuclei familiari che si formano in Italia (per matrimonio o nascita dei figli) se non vi sia stata una procedura di ricongiungimento. Del pari la tutela rafforzata contro l'allontanamento dal territorio nazionale e' obbligatoriamente prevista dalla direttiva 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo solo per i soggetti che abbiano richiesto l'acquisizione del relativo status (cfr. l'art. 6, comma 1, ultimo periodo) o lo abbiano gia' acquisito (cfr. l'art. 12, comma 3). Per tali ragioni, a giudizio del Collegio, il tenore letterale delle norme e il loro inquadramento sistematico, comportano la non condivisibilita' di attivita' interpretative che con l'argomentazione della necessita' di svolgere un'interpretazione costituzionalmente orientata o conforme alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo si sostanziano in realta' in una disapplicazione della legge per contrasto con la Convenzione, non ammessa dalla Corte Costituzionale (cfr. le sentenze nn. 348 e 349 del 2007, e n. 317 del 2009, nn. 113 e 245 del 2011, n. 80 del 2011, e nn. 236 e 257 del 2011) ferma nel ribadire in proposito il proprio sindacato accentrato in relazione all'eventuale contrasto con l'art. 117, primo comma, della Costituzione, rispetto al quale le norme della Convenzione vengono a costituire norme interposte. 5.2 Il Collegio non ignora che alcune pronunce del Consiglio di Stato hanno applicato i benefici della tutela rafforzata contro l'allontanamento anche a soggetti che erano privi dei requisiti formali dell'essere ricongiunti o dell'aver esercitato il ricongiungimento, ritenendo le norme nazionali in contrasto con l'art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo. Tuttavia, come appena precisato, il Collegio ritiene di non poter condividere tali pronunce perche' le norme interne non appaiono suscettibili di un'interpretazione adeguatrice (e' infatti il contenuto stesso delle direttive che potrebbe porre un dubbio di compatibilita' con la Convenzione e con la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea nella parte in cui non obbligano gli Stati ad una parita' di trattamento tra situazioni identiche: assume rilievo in questo senso la sentenza della Corte europea di giustizia 4 marzo 2010, resa in causa C 578-08, che al paragrafo 63, interpretando l'art. 8 della C.E.D.U. e l'art. 7 della Carta, afferma che, ai fini della tutela dell'unita' familiare, tali disposizioni non consentono alcuna distinzione a seconda delle circostanze e del momento in cui una famiglia si costituisce) e, a meno di non voler ipotizzare un ripensamento da parte della Corte Costituzionale sul punto, non e' possibile la loro disapplicazione per contrasto con la Convenzione, (in particolare afferma di operare un'interpretazione conforme senza indicare i margini entro i quali deve ritenersi consentita Consiglio di Stato, Sez. VI, 15 giugno 2010, n. 3760: cfr. punto 9 in diritto; operano la disapplicazione della normativa interna richiamandosi all'art. 8 della Convenzione Consiglio di Stato, Sez. VI, 13 settembre 2010, n. 6566; Consiglio di Stato, Sez. III, 26 ottobre 2011, n. 5727; opera una disapplicazione richiamandosi all'equita' Consiglio di Stato, Sez. III, 28 novembre 2011, n. 6287; afferma che si puo' prescindere dall'avvenuta presentazione di un'istanza ai fini del riconoscimento della tutela accordata ai lungo soggiornanti Consiglio di Stato, Sez. VI, 3 agosto 2010, n. 5148; id. 10 febbraio 2010, n. 683; id 26 febbraio 2010, n. 1133; id. 21 giugno 2011, n. 3720; in senso contrario id. 30 settembre 2010, n. 7230; id. 18 ottobre 2010, n. 7541), e non pare essersi formato in base a queste pronunce, anche perche' contrastanti con quanto afferma la Corte Costituzionale, un diverso significato delle norme interne cosi' diffuso da poter essere definito come «diritto vivente». In definitiva non e' possibile aderire agli orientamenti espressi da queste pronunce, perche', nella varieta' delle argomentazioni utilizzate, appaiono in contrasto con l'inequivocabile significato della legge nazionale e con il principio del controllo accentrato della Corte Costituzionale sul conflitto tra ordinamento interno e Convenzione, cui e' connessa l'uniforme applicazione della legge (in sede giurisdizionale e da parte delle Amministrazioni) a tutela del principio di eguaglianza, che solo l'efficacia erga omnes delle sentenze della Corte Costituzionale puo' assicurare. 5.3 In base alla normativa nazionale applicabile alla fattispecie in esame, come eccepito dall'Amministrazione resistente, il ricorso dovrebbe quindi essere respinto ai sensi degli artt. 4, comma 3, e 5 comma 5, del d.lgs. n. 286 del 1998, perche' il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno nel caso di specie costituisce esercizio di attivita' vincolata. Ove invece dovesse essere accolta la prospettata questione di legittimita' costituzionale degli artt. 5, comma 5, ultimo periodo, e 9, comma 4 del d.lgs. n. 286 del 1998, nella parte in cui limitano la tutela rafforzata contro l'allontanamento ai soli soggetti che abbiano presentato una domanda di ricongiungimento, o siano ricongiunti, o siano titolari di un permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo o abbiano fatto richiesta di rilascio di tale titolo di soggiorno, anziche' nei confronti di quanti si trovino quelle medesime condizioni sostanziali contemplate dalle norme citate indipendentemente dalla circostanza di aver presentato un'istanza formale, il ricorso dovrebbe essere accolto. Da cio' discende la rilevanza della questione nel presente giudizio. 6. Quanto alla non manifesta infondatezza il Collegio ritiene violati gli artt. 2, 3, 29, 30, 31 e 117 primo comma della Costituzione. Va precisato che il Collegio non intende contestare o mettere in discussione quanto affermato nella sentenza della Corte Costituzionale n. 148 del 2008, per la quale, come sopra ricordato, in un'ottica di un ragionevole e proporzionato bilanciamento tra i diversi interessi di rango costituzionale implicati dalle scelte legislative in materia di disciplina dell'immigrazione, deve ritenersi compatibile con la Costituzione il mantenimento di automatismi ostativi alla permanenza nel territorio nazionale collegati alla commissione di determinate categoria di reati, salvo che vengano in rilievo ragioni umanitarie e solidaristiche idonee a giustificare il superamento di cause ostative al rilascio o al rinnovo dei titoli autorizzativi dell'ingresso o della permanenza nel territorio nazionale da parte degli stranieri, quali quella contemplate dai decreti legislativi n. 3 e n. 5 dell'8 gennaio 2007 - rispettivamente, di attuazione delle direttive 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo e 2003/86/CE relativa al ricongiungimento familiare. Ritiene che gli artt. 5, comma 5, ultimo periodo, e 9, comma 4 del d.lgs. n. 286 del 1998, nella parte in cui non estendono la tutela rafforzata contro l'allontanamento a quanti siano nelle medesime condizioni di chi abbia esercitato il ricongiungimento familiare o a quanti abbiano i requisiti per ottenere il permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo indipendentemente dall'avvenuta presentazione di un'apposita istanza, comportino una violazione dei principi di uguaglianza e di proporzionalita', perche' discriminano situazioni tra loro identiche dal punto di vista sostanziale, ledendo ingiustificatamente i diritti fondamentali degli stranieri e dei loro familiari, per una ragione di carattere meramente formale, consistente nella mancata presentazione di un'istanza amministrativa (il sedicesimo considerando della direttiva 109/2003/CE stabilisce che «il soggiornante di lungo periodo dovrebbe godere di una tutela rafforzata contro l'espulsione. Tale protezione e' fondata sui criteri fissati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo). L'art. 8 della C.E.D.U., dispone che «ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza» e «non puo' esservi ingerenza della pubblica autorita' nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una societa' democratica, e' necessaria per la sicurezza nazionale, l'ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, o la protezione dei diritti e delle liberta' altrui». In tema di protezione dell'unita' familiare dello straniero nel caso di espulsione a seguito di condanna penale, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo da un lato premette che non puo' essere invocato l'art. 8 della C.E.D.U. per affermare l'esistenza di un diritto assoluto dello straniero a non essere espulso, dall'altro ha elaborato una serie di criteri e parametri elastici al fine di bilanciare la tutela della vita familiare con la tutela degli interessi pubblici che giustificano invece un'ingerenza pubblica, valutando volta per volta il rispetto o meno del principio di proporzionalita' rispetto all'interferenza sulla vita privata e familiare determinata dall'allontanamento coattivo dal territorio nazionale (cfr. Corte europea dei diritti dell'uomo, Omojudi c. Regno Unito, 24 novembre 2009; Abdulaziz, Cabales e Baikandali c. Regno Unito, 28 maggio 1985; Moustaquim c. Belgio, 18 febbraio 1991; Beldjoudi c. Francia, 26 marzo 1992; Boultif c. Svizzera, 2 settembre 2001; Amrollahi c. Danimarca, 11 luglio 2002; Yilmaz c. Germania, 17 aprile 2003; Keles c. Germania, 27 ottobre 2005). Tale orientamento e' chiaramente incompatibile con il mantenimento di automatismi ostativi al soggiorno determinati dalla commissione di reati quando entri in gioco la necessita' di bilanciare le esigenze di sicurezza e di ordine pubblico con la tutela della vita familiare (si possono richiamare in proposito le considerazioni contenute nell'ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale dell'art. 1-ter, comma 13, del decreto-legge n. 78 del 2009 Tar Calabria, Reggio Calabria, 13 ottobre 2011, n. 732; peraltro la Corte E.D.U., svolgendo la predetta opera di bilanciamento, in diverse occasioni ha ammesso la legittimita' di decisioni volte a far prevalere le esigenze di tutela della sicurezza e dell'ordine pubblico: cfr. Boughanemi c. Francia, 24 aprile 1996; Bouchelkia c. Francia, 27 gennaio 1997; Boujaidi c. Francia, 26 ottobre 1997; Dalia c. Francia, 19 febbraio 1998; Baghli c. Francia, 30 novembre 1999). A maggior ragione deve ritenersi che violi il diritto al rispetto della vita familiare previsto dall'art. 8 C.E.D.U. un'ingerenza giustificata dal mancato espletamento di una mera formalita' amministrativa, non finalizzata al perseguimento di uno specifico interesse pubblico, consistente nell'aver presentato o meno una formale istanza di ricongiungimento o di rilascio di un permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo, con conseguente irragionevole sacrificio dei diritti fondamentali connessi alla salvaguardia dell'unita' familiare per i soggetti che non abbiano svolto o non abbiano potuto svolgere questi adempimenti. Per tali ragioni le norme di cui agli artt. 4, comma, 3, 5, comma 5, e 9, comma 4 del d.lgs. n. 286 del 1998 nella parte in cui mantengono un automatismo ostativo al soggiorno in caso della commissione di reati, senza consentire alcun'opera di valutazione del caso in concreto all'Autorita' di pubblica sicurezza circa la durata del soggiorno e la presenza di familiari, violano l'art. 117 primo comma della Costituzione. 6.1. A risultati non differenti si perviene anche con riguardo al solo diritto interno. In primo luogo va rilevata l'irragionevole sottoposizione a regimi profondamente differenziati circa l'aspettativa a soggiornare in Italia rispetto al riconoscimento o meno di una tutela rafforzata contro l'allontanamento, nonostante l'esistenza di situazioni sostanzialmente identiche, in violazione il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione, a seconda dell'avvenuta presentazione o meno di un'istanza di ricongiungimento, che puo' non essere stata presentata perche' l'interessato e i familiari sono giunti insieme in Italia o perche', come nel caso di specie, la famiglia si e' formata in Italia. In secondo luogo va rilevata la lesione dei diritti fondamentali degli stranieri e dei loro familiari in violazione degli artt. 2, 3, 29, 30 e 31 della Costituzione che cio' comporta. La tutela delle posizioni giuridiche connesse all'unita' familiare infatti va riconosciuta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunita' politica, ma in quanto esseri umani, e quindi anche agli stranieri, e la presunzione assoluta di pericolosita' sociale insita nell'automatismo ostativo al rinnovo del permesso di soggiorno, impedisce di accertare se i medesimi rappresentino in concreto un'effettiva minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato che giustifichi il loro allontanamento a causa del prevalere delle esigenze di sicurezza ed ordine pubblico rispetto a quelle volte alla tutela della coesione familiare. La necessita' di un bilanciamento discende dall'art. 2 della Costituzione che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalita', dall'art. 29 che riconosce i diritti della famiglia come societa' naturale fondata sul matrimonio, dall'art. 30 che sancisce che e' dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli e dall'art. 31 che dispone che spetta alla Repubblica agevolare la formazione della famiglie proteggendo l'infanzia e la gioventu'. Per questi profili va osservato che se e' vero che il legislatore puo' subordinare la permanenza nel territorio dello Stato alla non compromissione degli interessi coinvolti dalla disciplina dell'immigrazione, la relativa scelta deve tuttavia costituire il risultato di un ragionevole e proporzionato bilanciamento degli stessi, soprattutto quando sia suscettibile di incidere sul godimento dei diritti fondamentali dei quali e' titolare anche lo straniero extracomunitario (cfr. Corte Costituzionale n. 245 del 2011, n. 299 e n. 249 del 2010), perche' la condizione giuridica dello straniero non deve essere «considerata - per quanto riguarda la tutela di tali diritti - come causa ammissibile di trattamenti diversificati o peggiorativi» (cfr. Corte Costituzionale n. 245 del 2011 ed altresi' le ordinanze collegiali Tar Marche, 8 luglio 2011, n. 580 e Tar Calabria, Reggio Calabria, 13 ottobre 2011, n. 732, iscritte ai nn. 22 e 26 del registro ordinanze 2012 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 9 e 10, prima serie speciale, dell'anno 2012). 7. In definitiva il Collegio, che con separata ordinanza assunta nella camera di consiglio del 14 giugno 2012, ha interinalmente sospeso l'efficacia dell'atto impugnato sino alla prima Camera di consiglio successiva alla restituzione degli atti relativi al presente giudizio da parte della Corte Costituzionale, ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 5, comma 5, e 9 del d.lgs. n. 286 del 1998, nella parte in cui prevedono una tutela rafforzata contro l'allontanamento solo nei confronti dei soggetti che abbiano presentato una domanda di ricongiungimento, o siano ricongiunti, o siano titolari di un permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo o abbiano fatto richiesta di rilascio di tale titolo di soggiorno, anziche' nei confronti di quanti si trovino nelle medesime condizioni sostanziali contemplate dalle norme citate indipendentemente dalla circostanza di aver presentato un'istanza formale, per violazione degli artt. 2, 3, 29, 30, 31 e 117 primo comma della Costituzione.
P. Q. M. Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, III Sezione, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 2, 3, 29, 30, 31 e 117 primo comma della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 5, comma 5, e 9 del d.lgs. n. 286 del 1998, nel senso precisato in motivazione. Sospende il giudizio in corso e dispone, a cura della segreteria della Sezione, che gli atti dello stesso siano trasmessi alla Corte Costituzionale per la risoluzione della prospettata questione, nonche' la notifica della presente ordinanza alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri e la comunicazione della medesima ai Presidenti dei due rami del Parlamento. Cosi' deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 14 giugno 2012 con l'intervento dei magistrati: Il Presidente: Di Nunzio L'Estensore: Mielli