N. 245 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 luglio 2012

Ordinanza del 6  luglio  2012  emessa  dal  Tribunale  amministrativo
regionale per il Lazio sul ricorso proposto da Sacco Pierfranceso  ed
altri contro Presidenza del Consiglio dei ministri e Ministero  degli
affari esteri. 
 
Bilancio e contabilita' pubblica  -  Misure  urgenti  in  materia  di
  stabilizzazione  finanziaria  e  di  competitivita'   economica   -
  Contenimento  della  spesa  in  materia  di  pubblico   impiego   -
  Dipendenti pubblici (nella specie,  consiglieri  di  ambasciata)  -
  Previsione che le progressioni di  carriera,  comunque  denominate,
  disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti
  anni, ai fini esclusivamente giuridici - Violazione  del  principio
  solidaristico - Lesione del principio di uguaglianza  -  Violazione
  del  principio  di  retribuzione  proporzionata   ed   adeguata   -
  Violazione del principio di capacita' contributiva - Violazione del
  principio di buon andamento della pubblica amministrazione. 
- Decreto-legge 31 marzo (recte: maggio) 2010, n. 78, convertito, con
  modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122,  art.  9,  comma
  21. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 36, 53 e 97. 
(GU n.44 del 7-11-2012 )
 
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 6829 del 2011, proposto da: 
        Pierfrancesco  Sacco,  Ernesto  Massimino  Bellelli,   Andrea
Tiriticco, Manuel Jacoangeli,  Giancarlo  Izzo,  Davide  La  Cecilia,
Uberto  Vanni  D'Archirafi,  Rossella  Francini,  Vincenzo   Celeste,
Cristiano Maggipinto, Giuseppe Perrone, Tullio Guma, Massimo  Lavezzo
Cassinelli,  Giorgio  Gugliemino,  Stefano  Baldi,  Luca  Sabbatucci,
Alessandro Levi Sandri, Alessandro Gaudiano, rappresentati  e  difesi
dagli avv.ti Ugo Sgueglia e Gea Sgueglia, con domicilio eletto presso
Ugo Sgueglia in Roma, via Ottonino Lazzarini, 19; 
    Contro Presidenza del Consiglio  dei  Ministri,  Ministero  degli
affari esteri, in persona del Ministro p.t., rappresentati  e  difesi
per legge dall'Avvocatura Generale Dello Stato, presso i  cui  Uffici
sono domiciliati in Roma, via di Portoghesi, 12; 
    Per l'annullamento in parte qua, del d.P.R. 17/11 nella parte  in
cui ha disposto che la nomina dei ricorrenti  al  grado  di  Ministro
Plenipotenziario per gli anni 2011, 2012 e 2013 debba  avere  effetto
ai fini esclusivamente giuridici; 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Visti gli atti di costituzione in giudizio della  Presidenza  del
Consiglio dei Ministri e del Ministero degli affari esteri; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 maggio 2012 il cons.
Rosa Perna e uditi per le parti  i  difensori  come  specificato  nel
verbale; 
    1. I  ricorrenti,  funzionari  diplomatici  del  Ministero  degli
affari esteri  rivestenti  il  grado  di  Ministro  Plenipotenziario,
impugnano il decreto del Ministero  degli  affari  esteri  17  maggio
2011, n. 0856 che, in seguito alla loro nomina al grado  di  Ministro
Plenipotenziario, intervenuta con d.P.R. 16 febbraio 2011, n. 4,  con
decorrenza 2 gennaio 2011, ha determinato l'attribuzione del relativo
trattamento economico, stabilendo che per gli anni 2011, 2012 e  2013
gli effetti sono «esclusivamente giuridici». 
    L'impugnazione avverso il predetto provvedimento viene interposta
anche dal Sindacato Nazionale Dipendenti Ministero  affari  esteri  -
SNDMAE,  sindacato  che  cura  gli  interessi  della  categoria   dei
diplomatici, nei confronti del quale  ogni  questione  relativa  alla
legittimazione ad agire, ed  ai  limiti  della  stessa,  puo'  essere
esaminata in sede di decisione definitiva, atteso che, in ogni  caso,
non sussiste alcun dubbio sulla legittimazione degli altri ricorrenti
ad agire nella presente sede avverso il gravato provvedimento. 
    L'impugnato decreto ministeriale espone di dare  applicazione  al
comma 21 dell'art. 9 del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, recante  «Misure
urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita'
economica», convertito, con modificazioni, dalla l. 30  luglio  2010,
n. 122. 
    La  disposizione  recita  che  «I   meccanismi   di   adeguamento
retributivo  per  il   personale   non   contrattualizzato   di   cui
all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165,  cosi'
come previsti dall'articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n.  448,
non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorche' a titolo di
acconto, e non danno comunque luogo a  successivi  recuperi.  Per  le
categorie di personale di cui all'articolo 3 del decreto  legislativo
30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, che fruiscono di un
meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni  2011,
2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle  classi  e
degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il
personale di cui all'articolo 3  del  decreto  legislativo  30  marzo
2001, n. 165 e successive modificazioni le progressioni  di  carriera
comunque denominate eventualmente disposte negli anni  2011,  2012  e
2013 hanno effetto, per  i  predetti  anni,  ai  fini  esclusivamente
giuridici. Per il  personale  contrattualizzato  le  progressioni  di
carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree  eventualmente
disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per  i  predetti
anni, ai fini esclusivamente giuridici». 
    Al riguardo, i ricorrenti sostengono  che  il  ripetuto  art.  9,
comma 21, non troverebbe ad essi applicazione,  che,  in  ogni  caso,
l'amministrazione ne avrebbe fatto erronea applicazione, e  sollevano
questione di costituzionalita', in relazione agli artt. 3, 35,  36  e
97 Cost., dell'art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010, convertito,
con modificazioni, dalla l. n. 122  del  2010,  se  applicabile  alle
nomine degli ambasciatori. 
    2. Negli esclusivi limiti imposti  dalla  verifica  di  rilevanza
della questione di costituzionalita', va quindi anzitutto chiarito se
e' vero che, come sostenuto dai ricorrenti, l'art. 9, comma  21,  del
d.l. n. 78 del 2010 non e' applicabile alle nomine degli ambasciatori
(rectius: dei Ministri plenipotenziari). 
    La questione in parola e' dai ricorrenti posta con il primo mezzo
(Violazione degli artt. 101, 105, 109-bis del d.P.R. 5 gennaio  1967,
n. 18 e s.m.i., dell'art. 9, comma 21, del  d.l.  78/2010  convertito
con modificazioni dalla l. 122/2010, degli artt. 3, 35, 36 e 97 della
Costituzione e dei principi generali - Eccesso  di  potere),  con  il
quale si sostiene che le nomine al grado di Ministro Plenipotenziario
non costituirebbero una progressione di carriera ma un vero e proprio
cambiamento di status, restando, pertanto, estranee alla  regolazione
discendente dal citato art. 9,  comma  21,  che  la  progressione  di
carriera, invece, presuppone. 
    Le  argomentazione  per  il  tramite  delle  quali  i  ricorrenti
pervengono a siffatta conclusione non risultano pero' persuasive. 
    Invero, per un  verso,  gli  stessi  ricorrenti  riconoscono  che
l'art. 101 del decreto del  Presidente  della  Repubblica  5  gennaio
1967, n. 18, «Ordinamento dell'Amministrazione degli affari  esteri»,
imprime  alla  carriera  diplomatica  -  i  cui  gradi,   in   ordine
decrescente,    sono    costituiti    da    ambasciatore,    ministro
plenipotenziario,   consigliere   di   ambasciata,   consigliere   di
legazione, segretario di legazione - la «unitarieta' del ruolo». 
    Il dato normativo,  che  e',  sul  punto,  di  indubbio  rilievo,
perche' connesso proprio alla modalita' organizzativa  del  personale
dell'Amministrazione degli affari esteri, consente di  ritenere  che,
nell'ambito dell'unicum costituito dal  ruolo,  il  passaggio  tra  i
predetti gradi realizza un vero e proprio sviluppo della carriera,  e
rende irrilevante la circostanza, segnalata dai  ricorrenti,  che  le
successive disposizioni prevedano che l'accesso ai  primi  tre  gradi
avviene per «promozione» (artt. 103, 107, 108), mentre  l'accesso  ai
due gradi apicali e' disposto per «nomina»  (artt.  109  e  109-bis):
infatti tali modalita', nel descritto contesto  generale,  riflettono
esclusivamente l'esistenza di un diverso rapporto fiduciario  tra  il
promosso ed il nominato con l'istituzione di appartenenza. 
    Per altro verso,  i  ricorrenti  evidenziano  che,  per  costante
giurisprudenza amministrativa, la nomina ai  gradi  piu'  alti  della
carriera diplomatica (ambasciatore e  ministro  plenipotenziario)  e'
espressione di esercizio di elevata discrezionalita' amministrativa. 
    L'argomentazione e' in se e per se condivisibile ma non conduce a
quanto auspicato dai ricorrenti. 
    Infatti, non solo  non  si  ravvisa  alcun  elemento  fattuale  o
giuridico che induce  a  ritenere  che  l'esercizio  di  una  elevata
discrezionalita' nella scelta dei diplomatici  da  porre  al  vertice
della carriera si pone come dato antinomico rispetto al  concetto  di
progressione in carriera, ma, vieppiu',  tenuto  conto  che  siffatta
scelta, indipendentemente  dal  nomen  della  procedura  a  tal  fine
utilizzata,  avviene  nell'ambito  di   una   platea   di   candidati
provenienti dai gradi inferiori, l'elemento  e'  idoneo  a  segnalare
proprio l'opposto, ovvero che la scelta  altamente  discrezionale  di
cui si discute costituisce evidente e squisita manifestazione di  una
modalita' di progressione tipica di una  tipologia  di  carriera,  di
tipo accentuatamente piramidale. Senza contare, poi,  in  ogni  caso,
che  l'art.  9,  comma  21,  del  d.l.  78/2010,  con  la   locuzione
«progressioni di  carriera  comunque  denominate»  fa  riferimento  a
qualsiasi tipo di avanzamento di carriera. 
    3.  Escluso,  per  quanto  sopra,  che  possa  convenirsi  con  i
ricorrenti quando affermano  che  la  nomina  al  grado  di  Ministro
Plenipotenziario non costituirebbe espressione di quella progressione
di carriera che il ridetto art. 9, comma 21, d.l. 78/2010 presuppone,
e sempre negli esclusivi limiti imposti dalla verifica  di  rilevanza
della questione di costituzionalita', va ora valutato se,  come  pure
sostenuto dai ricorrenti, l'art. 9, comma 21, del d.l. 78/2010, quale
norma di carattere generale,  non  potesse  derogare,  modificandola,
alla disciplina speciale che  regola  il  trattamento  economico  dei
diplomatici, di cui all'artt. 101 e 112 del predetto d.P.R. n. 18 del
1967 ed all'art. 1 e ss. del d.P.R. 13 agosto 2010, n. 206. 
    I ricorrenti  introducono  infatti  tale  argomentazione  con  il
secondo mezzo (Violazione degli artt. 101 e 112 del d.P.R. 18/1967  e
s.m.i., degli artt. 1 e ss. del d.P.R. 206/2010 e principi generali -
Eccesso di potere). 
    In  particolare,  i  ricorrenti  segnalano   che   il   personale
appartenente alla carriera diplomatica e' retto dal proprio specifico
ordinamento, regolato dal d.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18, il  cui  art.
112 - siccome sostituito dal  d.lgs.  24  marzo  2000,  n.  85  -  ha
introdotto  il   sistema   della   contrattazione,   da   trasfondere
successivamente in un atto  regolamentare,  emanato  sotto  forma  di
decreto del Presidente della Repubblica. 
    Attualmente, l'atto di recepimento e' rappresentato dal d.P.R. 13
agosto  2010,  n.  206,  successivo  allo  stesso  d.l.  78/10,  che,
recependo  l'ipotesi  di  accordo,  ne  ha  espressamente   decretato
l'applicazione al personale appartenente alla  carriera  diplomatica,
e,  dunque,  la  relativa  disciplina  degli  aspetti  giuridici   ed
economici,  decorrente  dalla  data  della  sua  entrata  in  vigore,
mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale  e  tale  d.P.R.  non
menziona mai il comma  21  (ma  solo,  nel  preambolo,  il  comma  4)
dell'art. 9 del d.l. 78/2010. 
    Indi,  secondo  i  ricorrenti,  l'art.  112  del   d.P.R.   18/67
assegnerebbe al  d.P.R  206/10  la  funzione  di  atto  regolamentare
speciale, che non potrebbe essere eterointegrato da prescrizioni  pur
contenute in una fonte di grado superiore, ma di carattere  generale,
che non abbia formalmente recepito. 
    Anche tale percorso motivazionale risulta infondato alla sommaria
valutazione finalizzata, come appena detto, al giudizio di  rilevanza
costituzionale. 
    Invero, la delegificazione di una materia, effettuata mediante un
atto avente forza e valore di legge,  non  esclude  che  altre  norme
dello stesso grado  possano  integrare,  con  previsioni  generali  o
speciali, la disciplina della materia delegificata: in altre  parole,
la delegificazione comporta che la materia trovi  la  sua  disciplina
ordinaria in una fonte inferiore, non che questa  sia  l'unica  fonte
costituzionalmente legittima per la disciplina della materia stessa. 
    Nel caso di specie, non pare revocabile in dubbio  che  l'art.  9
del d.l. 78/10, per il tenore delle prescrizioni in esso contenute, e
per la finalita' che esso persegue - e, dunque, per la lettera  e  la
ratio delle stesse - si prefigga lo scopo di intervenire su  tutti  i
rapporti d'impiego con le pubbliche  amministrazioni,  quale  sia  la
loro struttura e la fonte principale che li disciplina. 
    Tant'e' che proprio lo stesso comma 21 in discorso, il cui  testo
integrale e'  stato  sopra  riportato,  dispone,  oltre  che  per  il
personale pubblico non contrattualizzato di cui  all'articolo  3  del
decreto legislativo  30  marzo  2001,  n.  165  (in  cui  rientra  il
personale  della  carriera  diplomatica),  anche  per  il   personale
contrattualizzato,  che  le   progressioni   di   carriera   comunque
denominate ed i passaggi tra le  aree  eventualmente  disposte  negli
anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti  anni,  ai  fini
esclusivamente giuridici. 
    E allora risulta chiara la volonta' del legislatore di escludere,
per il periodo d'interesse  sopra  indicato,  efficacia  economica  a
qualsiasi progressione di carriera, a  prescindere  dalla  fonte  che
regola direttamente o indirettamente il rapporto stesso. 
    4. Escluso, quindi, che possa rinvenirsi, anche  per  gli  appena
indicati profili, un'erronea  applicazione  ai  ricorrenti,  mediante
l'atto gravato, dell'art. 9, comma 21,  del  d.l.  78/2010,  acquista
rilevanza, ai  fini  della  decisione,  la  questione,  dai  medesimi
prospettata in via subordinata,  di  costituzionalita'  del  ripetuto
art.  9,  comma  21,  del  d.l.  78/10,  nella   parte   d'interesse:
disposizione  che,  secondo  quanto  si  e'  fin  qui  visto,   trova
applicazione alla fattispecie attraverso il d.P.R. n. 17/2011 gravato
in questa sede, che lede direttamente i ricorrenti,  e  che  potrebbe
dunque essere travolto soltanto unitamente alla prima. 
    5. Nel determinare se la  questione  sia  o  meno  manifestamente
infondata, il Collegio ritiene di dover partire da quello che  e'  il
concreto effetto della  parte  di  disposizione  di  interesse  nella
controversia  («le  progressioni  di  carriera  comunque   denominate
eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e  2013  hanno  effetto,
per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici»),  consistente
in cio', che, per il triennio in  questione,  ai  ricorrenti  vengono
versate  non  le  somme  corrispondenti  agli  emolumenti,  al  netto
d'imposta,  stabiliti   per   la   posizione   attuale   -   Ministro
Plenipotenziario  bensi'  gli  importi   corrispondenti   alla   loro
precedente qualifica di appartenenza, da cui sono cessati. 
    In altre  parole,  per  effetto  della  disposizione  de  qua,  i
dipendenti, pur  svolgendo  un  lavoro  presuntivamente  di  maggiore
complessita' ed impegno,  continuano  a  percepire  un  corrispettivo
equivalente  al  precedente  trattamento  economico,  che   si   deve
presumere adeguato invece ad una prestazione meno onerosa. 
    Al riguardo, il  Collegio,  anche  d'ufficio,  rinviene  distinti
profili di potenziale incostituzionalita',  non  configgenti,  bensi'
subordinati tra loro: nel rispetto, dunque, del principio,  affermato
dalla Corte Costituzionale, che considera inammissibili le  questioni
di costituzionalita' della stessa disposizione di  legge,  poste  tra
loro in forma alternativa ed incompatibile. 
    5.1. L'art. 9, comma 21, del d.l. 78/10, nella parte d'interesse,
determina   anzitutto;   in    violazione    dell'art.    2    Cost.,
un'irragionevole disparita' di trattamento all'interno del  personale
della carriera diplomatica. 
    Infatti, a parita' di qualifica e con  mansioni  conseguentemente
corrispondenti,  con  incarichi  complessi  e  funzioni  di  assoluto
vertice sia in Italia che all'estero, come previsto  per  i  Ministri
Plenipotenziari, essi  percepiscono  o  meno  lo  stesso  trattamento
economico (in disparte le maggiorazioni  per  la  diversa  anzianita'
nella qualifica stessa),  in  relazione  ad  un  elemento  del  tutto
aleatorio e, in definitiva, privo  di  sostanziale  significativita',
costituito dall'anno in cui la qualifica e' stata attribuita, che non
ha evidentemente relazione alcuna con il lavoro prestato. 
    5.2. D'altro canto, ex art. 36 Cost., il lavoratore ha diritto ad
una retribuzione proporzionata alla  quantita'  e  qualita'  del  suo
lavoro: e si deve presumere che, in specie, tale sia la  retribuzione
tabellare  assegnata  ai  Ministri  Plenipotenziari,  stabilita   per
effetto di una specifica trattativa con la parte datoriale  pubblica,
e poi recepita nel decreto presidenziale piu' volte richiamato. 
    Tale adeguata retribuzione, che continua ad essere corrisposta ai
colleghi promossi prima del  2011,  e'  invece  negata  agli  odierni
ricorrenti e cio' per un lungo intervallo di tempo, corrispondente ad
oltre trentasei mensilita': l'art. 9, comma 21, del d.l.  78/2010  si
pone dunque in espresso contrasto con la norma costituzionale  teste'
citata. Senza contare, vieppiu', che la disposizione  non  regola  la
posizione di coloro tra essi che, nominati  Ministri  Plenipotenziari
nel considerato triennio 2011/2013, saranno, nell'arco  dello  stesso
periodo, collocati a riposo per raggiunti limiti di eta'. 
    5.3. Non vi e' dubbio che il legislatore con l'art. 9, comma  21,
del d.l. 787/2010 persegua la  riduzione  del  passivo  del  bilancio
statale. 
    Ma parimenti non puo' esservi  dubbio  che  tale  obiettivo  vada
perseguito con criteri di proporzionalita' e  ragionevolezza,  e  nel
rispetto dei principi di eguaglianza formale e sostanziale ex artt. 2
e  3  Cost.,  e  conformemente  agli  altri  valori  tutelati   dalla
Costituzione, tra cui appunto quelli definiti dall'art. 36 Cost.. 
    Questo non si verifica, invece, nella specie: l'eliminazione  del
miglior  trattamento  economico,  riferibile  alla  nuova   posizione
acquisita, contrasta con  il  principio  di  proporzionalita'  teste'
richiamato, che il legislatore, pur nella  sua  discrezionalita',  e'
tenuto a rispettare. 
    5.4. Per altro verso, poi, la situazione cosi' descritta, dove il
trattamento economico tra colleghi si differenzia non per le mansioni
e le conseguenti responsabilita', ma  in  relazione  ad  un  elemento
casuale come il momento in cui la qualifica e' stata  conferita,  non
puo' non ritenersi suscettibile di  interferire  negativamente  anche
nei  rapporti  tra  gli  stessi,  alcuni  dei   quali   ingiustamente
discriminati, riverberandosi indi sull'organizzazione degli uffici  e
incidendo  negativamente  sul  loro  buon  andamento,  in  violazione
dell'art. 97 Cost.. 
    5.5. Sotto un ulteriore profilo, ed in  subordine  rispetto  alle
censure precedentemente dedotte, si deve constatare  come  l'art.  9,
comma 21, del d.l. 78/2010, sebbene prescriva  letteralmente  di  non
accrescere il trattamento economico dovuto a determinate categorie di
pubblici dipendenti,  con  un  conseguente  risparmio  di  spesa  per
l'Erario, sotto un profilo  sostanziale  e  degli  effetti  impone  a
quegli stessi dipendenti quella che e' una vera e propria prestazione
patrimoniale, poiche' trattiene una parte dei compensi  maturati  con
la nomina e che sono corrisposti agli altri colleghi di pari grado. 
    5.6. L'art. 9, comma 21,  del  d.l.  78/2010  impone  cioe'  agli
interessati un peculiare concorso alle spese  pubbliche,  ovvero,  in
altri termini, istituisce un tributo anomalo, il quale contrasta  con
i principi costituzionali in materia, quali stabiliti dagli artt.  2,
3 e 53 della Costituzione. 
    5.7. E' infatti  anzitutto  violato  il  principio  di  capacita'
contributiva, poiche' il sacrificio e' richiesto non in relazione  ad
uno specifico indice  di  ricchezza,  bensi'  in  ragione  del  dato,
economicamente insignificante, del momento in  cui  la  qualifica  e'
stata acquisita, e  senza  alcuna  considerazione  del  principio  di
progressivita'. 
    Si  aggiunga   che,   in   evidente   violazione   dei   principi
costituzionali prima richiamati, il tributo colpisce solo  una  parte
dei dipendenti che hanno  raggiunto  una  determinata  qualifica,  e,
comunque, soltanto i redditi dei pubblici  dipendenti,  senza  invece
gravare, a parita' di capacita' contributiva, su  analoghe  categorie
di lavoratori, o di redditi. 
    5.8. In altre parole, a fronte  del  limite  espresso  all'azione
impositiva di far corrispondere a uguali situazioni uguali tributi, e
viceversa, il sacrificio patrimoniale, il quale incida soltanto sulla
condizione e sul patrimonio di una determinata categoria di  pubblici
impiegati, lasciando altre categorie di lavoratori (essenzialmente  e
segnatamente  autonomi)   indenni,   o   comunque   colpendoli   piu'
leggermente, a parita' di  capacita'  reddituale,  e'  arbitrario  ed
irragionevole, e viola il principio di uguaglianza ex art. 3 Cost. ed
il principio solidaristico di cui all'art. 2 Cost. 
    6. In conclusione, sussistono dunque i presupposti di rilevanza e
di non manifesta infondatezza che impongono al Collegio di  sollevare
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma  21,  del
d.l. 31 marzo 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge
30 luglio 2010, n. 122, per  la  parte  in  cui  stabilisce  che  «le
progressioni di carriera comunque denominate  eventualmente  disposte
negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti  anni,  ai
fini esclusivamente giuridici», per contrasto con gli artt. 2, 3, 36,
53 e 97 della Costituzione. 
    Restano  riservati  all'esito   del   giudizio   incidentale   le
determinazioni definitive sulle questioni preliminari, sul  merito  e
sulle spese. 
 
                              P. Q. M. 
 
    a) Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma  21,  del  d.l.  31
marzo 2010, n. 78, convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  30
luglio 2010, n.  122,  nei  termini  e  per  le  ragioni  esposti  in
motivazione, per contrasto con gli articoli 2, 3, 36, 53 e  97  della
Costituzione; 
    b) Sospende il giudizio in corso; 
    c) Ordina che la presente ordinanza sia notificata, a cura  della
Segreteria della Sezione, a tutte le parti in causa ed al  Presidente
del Consiglio dei ministri, e che sia comunicata  al  Presidente  del
Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei Deputati; 
    d) Dispone la  trasmissione  degli  atti,  a  cura  della  stessa
Segreteria, alla Corte costituzionale. 
    Cosi' deciso in Roma nella camera  di  consiglio  del  giorno  23
maggio 2012. 
 
                      Il Presidente: Piscitello 
 
 
                                                   L'estensore: Perna