N. 145 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 16 ottobre 2012

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 16 ottobre 2012 (della Regione Lazio). 
 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  revisione  della  spesa  pubblica  -  Obbligo  per  le  Regioni  di
  procedere allo scioglimento, o in alternativa, alla privatizzazione
  di tutte le societa' direttamente o indirettamente controllate, che
  abbiano conseguito nell'anno 2011 un fatturato  di  prestazioni  di
  servizi in  favore  della  p.a.  superiore  al  novanta  per  cento
  dell'intero fatturato - Ricorso della Regione  Lazio  -  Denunciata
  violazione   dell'autonomia   finanziaria,   organizzativa   e   di
  funzionamento delle Regioni e di enti pubblici  regionali,  nonche'
  di servizi pubblici locali. 
- Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 4, commi 1 e 3. 
- Costituzione, artt. 117, commi primo, terzo, quarto e sesto, e 123. 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  revisione  della  spesa   pubblica   -   Riserva   al   Commissario
  straordinario per la razionalizzazione della spesa  per  l'acquisto
  di beni e servizi di poteri in ordine all'approvazione dei piani di
  ristrutturazione e razionalizzazione predisposti dalla  Regione  in
  relazione alle sopra menzionate societa' -  Ricorso  della  Regione
  Lazio   -   Denunciata   violazione   dell'autonomia   finanziaria,
  organizzativa e di funzionamento delle Regioni e di  enti  pubblici
  regionali, nonche' di servizi pubblici locali. 
- Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 4, comma 3-sexies. 
- Costituzione, artt. 117, commi primo, terzo, quarto e sesto, e 123. 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  revisione della spesa pubblica - Limitazione  dell'affidamento  dei
  sevizi pubblici locali alle sole ipotesi in cui il valore economico
  del servizio sia complessivamente pari o inferiore a  200.000  euro
  annui  -  Ricorso  della  Regione  Lazio  -  Denunciata  violazione
  dell'autonomia finanziaria, organizzativa e di funzionamento  delle
  Regioni e di enti pubblici regionali, nonche' di  servizi  pubblici
  locali. 
- Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 4, comma 8. 
- Costituzione, artt. 117, commi primo, terzo, quarto e sesto, e 123. 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  revisione  della  spesa  pubblica  -  Previsione  che  le  Regioni,
  Province  e  Comuni  sopprimono  o  accorpano  o,  in  ogni   caso,
  assicurano la riduzione dei relativi oneri  finanziari,  in  misura
  non inferiore al 20%, enti, agenzie e organismi comunque denominati
  che esercitano, alla data di entrata in  vigore  del  decreto-legge
  impugnato, anche in via strumentale, funzioni fondamentali  di  cui
  all'art. 117,  comma  secondo,  lett.  p),  della  Costituzione,  o
  funzioni amministrative  spettanti  a  Comuni,  Province  e  Citta'
  metropolitane  ai  sensi  dell'art.  118   della   Costituzione   -
  Previsione  di  apposita  procedura  articolata  in  tre  fasi:  a)
  ricognizione,  entro  tre   mesi   dall'entrata   in   vigore   del
  decreto-legge impugnato, di tutti gli enti, agenzie  ed  organismi;
  b) definizione mediante intese da adottarsi in sede  di  Conferenza
  unificata dei costi e  delle  tempistiche  per  l'attuazione  delle
  norme; c) soppressione ope legis di  tutti  gli  enti,  agenzie  ed
  organismi,   con   conseguente   nullita'   di   tutti   gli   atti
  successivamente adottati, qualora le  Regioni,  le  Province  ed  i
  Comuni, decorsi nove mesi dall'entrata in vigore del  decreto,  non
  abbiano dato attuazione  al  precetto  normativo  -  Ricorso  della
  Regione Lazio - Denunciata violazione  dell'autonomia  finanziaria,
  organizzativa e di funzionamento delle Regioni e di  enti  pubblici
  regionali, nonche' di servizi pubblici locali. 
- Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 9, commi 1, 2, 3 e 4. 
- Costituzione, artt. 117, commi quarto e sesto, e 123. 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  revisione della spesa pubblica - Riordino  delle  Province  e  loro
  funzioni - Previsione del  riordino  di  tutte  le  province  delle
  regioni a statuto ordinario, mediante decreto  da  emanarsi,  entro
  dieci giorni dall'entrata in vigore  del  decreto-legge  impugnato,
  con deliberazione  del  Consiglio  dei  ministri,  sulla  base  dei
  requisiti minimi da individuarsi nella  dimensione  territoriale  e
  nella popolazione residente in ciascuna provincia (individuati  con
  la deliberazione  predetta,  rispettivamente,  in  2500  km.  e  in
  350.000 abitanti)  -  Prevista  partecipazione  al  riordino  delle
  province  mediante  atto  legislativo  ad  iniziativa  governativa,
  all'esito di una  procedura  cui  partecipano  il  Consiglio  delle
  autonomie locali delle singole regioni a  statuto  ordinario  e  le
  regioni stesse mediante la presentazione di ipotesi di  riordino  e
  previo parere della Conferenza unificata -  Ricorso  della  Regione
  Lazio  -  Denunciata  violazione   del   principio   di   autonomia
  costituzionale degli enti territoriali, nella specie delle Province
  - Lesione del principio di ragionevolezza  per  l'adozione  di  una
  misura  sproporzionata  e  non  efficace  rispetto  alla  finalita'
  dichiarata dalla  normativa  impugnata  di  riduzione  della  spesa
  pubblica - Denunciata violazione dei  presupposti  di  legittimita'
  costituzionale della straordinarieta' ed urgenza per l'adozione del
  decreto-legge - Denunciata violazione  dell'assetto  costituzionale
  ed   ordinamentale   della   Regione   -   Denunciata    violazione
  dell'autonomia regionale in relazione ai principi di sussidiarieta'
  verticale e di adeguatezza  -  Denunciata  lesione  della  potesta'
  regolamentare delle Province - Denunciata violazione dell'autonomia
  finanziaria regionale -  Violazione  del  principio  costituzionale
  della partecipazione della popolazione interessata  alla  procedura
  di mutamento delle circoscrizioni provinciali e  degli  altri  enti
  territoriali previsti dalla Costituzione. 
- Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 17, commi 1, 2, 3 e 4. 
- Costituzione, artt. 77, 114, 117, comma terzo, e 123. 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  revisione della spesa pubblica -  Soppressione  delle  Province  di
  Roma, Torino, Milano,  Venezia,  Genova,  Bologna,  Firenze,  Bari,
  Napoli  e  Reggio  Calabria  con  contestuale   istituzione   delle
  corrispondenti Citta' metropolitane a far data dal 1° gennaio  2014
  - Ricorso della Regione Lazio - Denunciata violazione del principio
  di autonomia costituzionale degli enti  territoriali  -  Denunciata
  violazione dei presupposti  di  legittimita'  costituzionale  della
  straordinarieta' ed urgenza per l'adozione del decreto-legge. 
- Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 18. 
- Costituzione, artt. 77, 114 e 117. 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  revisione della spesa pubblica -  Riorganizzazione  delle  funzioni
  fondamentali dei Comuni ai  sensi  dell'art.  117,  comma  secondo,
  lett.  p),  della  Costituzione  -  Previsione  per  i  comuni  con
  popolazione inferiore ai 5000 abitanti dell'esercizio  obbligatorio
  in forma associata delle funzioni fondamentali,  mediante  riunione
  dei comuni o convenzioni di durata triennale  -  Previsione  per  i
  comuni con  popolazione  fino  a  1000  abitanti,  dell'obbligo  di
  esercizio in forma associata, mediante unione di tutte le  funzioni
  amministrative e di tutti i servizi pubblici ad  essi  spettanti  -
  Previsione che le Regioni, nelle materie di cui all'art. 117, commi
  terzo e  quarto,  della  Costituzione,  individuano  le  dimensioni
  territoriali ottimali  per  l'esercizio  delle  funzioni  in  forma
  obbligatoriamente  associata,  mediante  unioni  e  convenzioni   -
  Ricorso della Regione Lazio - Denunciata violazione della sfera  di
  competenza regionale  in  materia  di  associazionismo  degli  enti
  locali. 
- Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 19. 
- Costituzione, art. 117, commi secondo, lett. p), terzo e quarto. 
(GU n.47 del 28-11-2012 )
    Ricorso della Regione Lazio, con sede  in  Roma,  via  Cristoforo
Colombo n. 212 (Codice fiscale  n.  80143490581),  in  persona  della
Presidente pro tempore, Renata Polverini, rappresentata e difesa,  in
forza di procura a margine del  presente  atto  ed  in  virtu'  della
Deliberazione della Giunta regionale n. 465 del 26.9.2012, dal  prof.
Avv.   Renato   Marini   (Codice   fiscale   MRNRNT70A20H501W;   PEC:
renatomarini@ordineavvocatiroma.org; fax: 06.36001570), presso il cui
studio in Roma, via dei  Monti  Parioli,  48,  ha  eletto  domicilio;
-ricorrente- 
    Contro il Governo della Repubblica, in persona del Presidente del
Consiglio dei Ministri pro tempore, con sede in Roma, Palazzo  Chigi,
Piazza Colonna, 370, rappresentato e difeso ex  lege  dall'Avvocatura
generale dello Stato, con domicilio in Roma, Via dei Portoghesi,  12;
-resistente- 
    Per  la  dichiarazione  di  illegittimita'   costituzionale   del
decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante «Disposizioni urgenti per
la revisione della spesa  pubblica  con  invarianza  del  servizi  ai
cittadini», convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012,
n. 135, pubblicata nel Supplemento ordinario  n.  173  alla  Gazzetta
Ufficiale  della  Repubblica  italiana   n.   189   del   14.08.2012,
limitatamente agli articoli 4, 9, 17, 18 e 19. 
 
                                Fatto 
 
    1. Con il decreto-legge 6 luglio  2012,  n.  95  (c.d.  «Spending
review»), convertito, con modificazioni, dalla legge 7  agosto  2012,
n. 135, il legislatore ha introdotto disposizioni urgenti finalizzate
a «razionalizzare la spesa pubblica  attraverso  la  riduzione  delle
spese per beni e servizi, garantendo  al  contempo  l'invarianza  dei
servizi ai cittadini», con l'obiettivo di stimolare la crescita e  la
competitivita' del nostro Paese. 
    2.   Gia'   nell'immediatezza   della   sua   pubblicazione,   il
decreto-legge in questa sede gravato  ha  destato  diversi  dubbi  di
legittimita'   costituzionale,   puntualmente    evidenziati    dalla
Conferenza delle Regioni e delle Province  Autonome  all'esito  della
seduta del 25.7.2012 (cfr. parere, doc. 2), la quale non  ha  mancato
di rilevare l'idoneita' di molte delle disposizioni in esso contenute
ad incidere indebitamente su ambiti materiali  sottratti,  a  livello
costituzionale, al potere normativo statale. 
    3. Sebbene taluni dei rilievi formulati  dalla  Conferenza  siano
stati recepiti in sede di conversione, il  decreto-legge  n.  95  del
2012  continua,  tuttavia,   a   presentare   numerosi   profili   di
incostituzionalita'. 11 riferimento e', in particolare, agli articoli
4, 9, 17, 18 e 19: previsioni che risultano, come si chiarira' di qui
a  breve,  lesive  della  sfera  di   competenza   costituzionalmente
garantita in capo alla Regione ricorrente. 
    4. Per quanto concerne l'art. 4, rubricato «Riduzione  di  spese,
messa in liquidazione e privatizzazione di societa' pubbliche»,  esso
detta una disciplina che interviene in via diretta  ed  immediata  su
aspetti organizzativi e di funzionamento amministrativo regionale. 
    Scendendo nel dettaglio, il comma 1,  di  tale  articolo,  impone
alla Regione ricorrente l'obbligo di procedere allo  scioglimento  o,
in alternativa, alla  privatizzazione  delle  societa'  dalla  stessa
«controllate  direttamente  o  indirettamente»,  le   quali   abbiano
conseguito nell'anno 2011 un fatturato da prestazione di  servizi  in
favore della p.a. superiore al 90 per cento dell'intero fatturato. Il
comma 3-sexies prevede, inoltre, che entro tre  mesi  dalla  data  di
entrata in vigore della legge di conversione del decreto, la  Regione
potra'   predisporre   appositi   «piani   di   ristrutturazione    e
razionalizzazione delle societa' controllate», la cui approvazione e'
subordinata  al   «previo   parere   favorevole»   del   «Commissario
straordinario per la razionalizzazione della spesa  per  acquisto  di
beni e servizi», al quale vengono riconosciuti,  pertanto,  pregnanti
poteri decisionali in ordine alle scelte organizzative dell'Ente. Con
riferimento, infine, al comma  8,  esso  limita  la  possibilita'  di
procedere all'affidamento diretto dei servizi pubblici locali «solo a
favore di societa' a capitale interamente pubblico [..., a condizione
che  il  valore  economico  del   servizio   o   dei   beni   oggetto
dell'affidamento sia complessivamente pari o inferiore a 200.000 euro
annui». 
    5. Ai fini del contenimento della spesa pubblica e  del  migliore
svolgimento delle funzioni amministrative, l'art.  9,  comma  1,  del
decreto-legge n. 95 del 2012, dispone che le Regioni, le Province e i
Comuni  sopprimano  o  accorpino,  con  una  riduzione  degli   oneri
finanziari non inferiore  al  20%,  enti,  agenzie  e  organismi  che
esercitano funzioni fondamentali di cui all'art. 117, comma 2,  lett.
p) della Costituzione o funzioni amministrative spettanti  a  Comuni,
Province e Citta' Metropolitane ai sensi dell'art. 118 Cost.. 
    A tal fine il legislatore ha individuato una  procedura  ad  hoc,
articolata nei seguenti passaggi: 
        i) Ricognizione di tutti gli enti,  agenzie  e  organismi  da
effettuare con accordo in  sede  di  Conferenza  Unificata  ai  sensi
dell'art. 9, del decreto legislativo n. 181 del 1997,  e  sulla  base
del principio di leale collaborazione (comma 2); 
        ii) Individuazione dei criteri e della tempistica necessari a
dare attuazione  alla  disposizione  normativa,  nonche'  definizione
delle modalita' di monitoraggio, con previsione di  intesa  ai  sensi
dell'art. 8, comma 6, 1. n. 131 del 2003, da  adottarsi  in  sede  di
Conferenza Unificata (comma 3); 
        iii) Soppressione ope legis - laddove le Regioni, le Province
e i Comuni non abbiano dato attuazione  al  dettato  normativo  entro
nove mesi dall'entrata in vigore del decreto -  di  tutti  gli  enti,
agenzie e organismi, con  conseguente  nullita'  di  tutti  gli  atti
successivamente adottati (comma 4). 
    6. Al dichiarato intento di contribuire  al  conseguimento  degli
obiettivi di finanza pubblica imposti dagli obblighi europei,  l'art.
17, del decreto oggetto dell'odierno giudizio,  dispone  un  generale
«riordino» di tutte le Province delle  Regioni  a  Statuto  ordinario
esistenti alla data  di  entrata  in  vigore  del  decreto  medesimo,
nonche' la ridefinizione delle funzioni ad esse spettanti. 
    In proposito occorre preliminarmente rilevare che  l'art.  17  ha
formato oggetto di molteplici modifiche in sede di  conversione,  tra
le quali l'intervenuta sostituzione  delle  parole  «soppressione»  e
«accorpamento» con la  meno  invasiva  locuzione  «riordino»  e  che,
inoltre, il particolare procedimento disciplinato dai commi 3 e 4, di
cui si dira' a breve, non puo' dirsi certamente satisfattivo rispetto
agli emendamenti presentati sul punto dalla Conferenza delle  Regioni
e delle Province autonome  in  data  25.7.2012,  (doc.  3),  volti  a
valorizzare il ruolo regionale nella definizione  dei  meccanismi  di
riduzione e accorpamento provinciali. 
    Cio' precisato, il comma 2, dell'articolo impugnato,  attribuisce
al Consiglio dei Ministri  il  potere  di  procedere,  «con  apposita
deliberazione, da adottare su proposta dei  Ministri  dell'interno  e
della  pubblica  amministrazione,  di  concerto   con   il   Ministro
dell'economia e delle finanze», al riordino delle Province sulla base
di requisiti minimi, da individuarsi nella dimensione territoriale  e
nella popolazione residente in ciascuna Provincia. 
    Al  Consiglio  delle  autonomie  locali  di   ogni   Regione   e'
riconosciuto il compito di approvare «un'ipotesi  di  riordino  delle
Province ubicate nel territorio della rispettiva Regione»,  la  quale
deve  essere  inviata,  entro   il   giorno   successivo   alla   sua
approvazione, alla Regione di riferimento che dovra',  a  sua  volta,
trasmetterla al Governo nei successivi venti giorni, onde  consentire
che si provveda al  predetto  «riordino»  «con  atto  legislativo  di
iniziativa governativa» (commi 3 e 4). 
    A  tale  riguardo  va  evidenziato  sin  d'ora  che,  sebbene  la
procedura cosi delineata preveda tempistiche molto stringenti  per  i
Comuni, i Consigli delle  autonomie  locali  e  per  le  Regioni,  il
legislatore non  ha  mancato  di  precisare,  tuttavia,  che  ove  le
suddette proposte di riordino non pervengano al Governo  nei  termini
previsti dal decreto, il «riordino»  sara'  comunque  effettuato  con
normativa statale, previo parere della Conferenza Unificata. 
    7. Con riferimento  all'art.  18,  del  decreto-legge  impugnato,
rubricato «Istituzione  delle  Citta'  metropolitane  e  soppressione
delle province del relativo territorio», esso dispone la soppressione
delle Province di Roma, Torino,  Milano,  Venezia,  Genova,  Bologna,
Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria, con contestuale  istituzione
delle corrispondenti Citta' Metropolitane, a far data dal 1°  gennaio
2014. 
    8. L'art. 19, del decreto-legge n. 95 del 2012, infine, opera  un
ampio intervento in materia di organizzazione e funzioni dei  Comuni,
introducendo diverse modifiche al decreto-legge n. 78 del 2010. 
    Piu' in particolare, il comma 1,  lett.  a),  di  tale  articolo,
sostituisce il comma 27, dell'art. 14, del  decreto-legge  da  ultimo
citato, con conseguente ridefinizione  delle  «funzioni  fondamentali
dei Comuni, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera p),  della
Costituzione». 
    Alla lett. b), il medesimo  comma  1  sostituisce,  altresi',  il
comma 28, dell'art. 14, del decreto-legge n. 78 del 2010, disponendo,
con  riferimento  ai  Comuni  con  popolazione  inferiore  ai   5.000
abitanti, l'esercizio obbligatorio in forma associata delle  funzioni
fondamentali, mediante unione  di  comuni  o  convenzioni  di  durata
triennale. 
    Per i Comuni piu' piccoli, con popolazione fino a 1000  abitanti,
viene confermato l'obbligo, gia' prescritto dal collima 17, lett. a),
dell'art. 16, del  decreto-legge  n.  138  del  2011,  di  esercitare
obbligatoriamente in  forma  associata,  mediante  unione,  tutte  le
funzioni amministrative e tutti i servizi pubblici loro spettanti. 
    La disposizione impugnata aggiunge, infine, che le Regioni, nelle
materie di cui all'art. 117, commi  3  e  4,  Cost.,  individuano  le
dimensioni territoriali ottimali per l'esercizio  delle  funzioni  in
forma obbligatoriamente associata, mediante unioni e convenzioni. 
    9. Tutto cio' premesso, con il presente ricorso la Regione Lazio,
come in epigrafe rappresentata e difesa, impugna il  decreto-legge  6
luglio 2012, n. 95, recante «Disposizioni urgenti  per  la  revisione
della spesa  pubblica  con  invarianza  dei  servizi  ai  cittadini»,
convertito, con modificazioni, dalla legge 7  agosto  2012,  n.  135,
limitatamente ai citati articoli 4, 9, 17, 18 e  19,  trattandosi  di
previsioni lesive delle  attribuzioni  costituzionali  dell'Ente,  e,
pertanto, illegittime alla luce dei seguenti motivi di 
 
                               Diritto 
 
I. Illegittimita' Costituzionale dell'art. 4 (e, in particolare,  dei
commi 1, 3-sexies e 8)  del  decreto-legge  6  luglio  2012,  n.  95,
convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, per
violazione degli articoli 117, commi 1, 3, 4 e 6,  nonche'  dell'art.
123, comma 1, Cost. e del principio di leale collaborazione. 
    Come rilevato in precedenza, l'art. 4, del decreto-legge  oggetto
del presente giudizio, reca una  disciplina  idonea  ad  incidere  in
maniera significativa su aspetti  organizzativi  e  di  funzionamento
dell'amministrazione regionale. 
    Le norme in  esso  contenute,  infatti,  impongono  alla  Regione
ricorrente  l'obbligo  di   procedere   allo   scioglimento   o,   in
alternativa, alla privatizzazione, di tutte le societa'  direttamente
o indirettamente controllate, che abbiano conseguito  nell'anno  2011
un fatturato da prestazione di servizi in favore della p.a. superiore
al 90 per cento dell'intero fatturato (comma 1), oltre a riservare al
«Commissario straordinario per la razionalizzazione della  spesa  per
acquisto  di  beni  e  servizi»  poteri  molto  incisivi  in   ordine
all'approvazione dei «piani di ristrutturazione e  razionalizzazione»
predisposti dalla  Regione  in  relazione  a  dette  societa'  (comma
3-sexies). 
    Il comma 8, dal  canto  suo,  limita  l'affidamento  diretto  dei
servizi pubblici locali di rilevanza economica alle sole  ipotesi  in
cui  «il  valore  economico  del  servizio   o   dei   beni   oggetto
dell'affidamento sia complessivamente pari o inferiore a 200.000 euro
annui». 
    Ebbene, e' evidente come tutta la  riferita  disciplina  vada  ad
incidere   indebitamente   sull'autonomia    organizzativa    e    di
funzionamento  della  Regione  Lazio,  con  conseguente  lesione   di
competenze regionali garantite da norme di rango costituzionale. 
    Valgano in proposito le seguenti considerazioni. 
    Con particolare riferimento al comma 1, dell'articolo  gravato  -
il  quale  impone,  giova  ribadirlo,  lo  scioglimento   ovvero   la
privatizzazione di tutte le societa'  direttamente  o  indirettamente
controllate dalla Regione - esso si mostra manifestamente illegittimo
per violazione dell'art. 123 Cost., atteso che la sfera materiale che
il legislatore statale  ha  preteso  di  disciplinare  va  senz'altro
ricondotta nell'alveo «dei principi fondamentali di organizzazione  e
funzionamento»  fissati  dallo  Statuto  e,  quindi,  alla  normativa
statutaria. 
    A tale proposito e' bene precisare che lo Statuto  della  Regione
Lazio detta una disciplina puntuale in materia di «Societa' ed  altri
enti privati a partecipazione regionale»  (art.  56,  dello  Statuto,
peraltro non impugnato dallo Stato, che  ne  ha  quindi  riconosciuto
implicitamente la legittimita'), per effetto della quale spetta  alla
Regione  ricorrente  il  potere  di  partecipare  o   promuovere   la
costituzione di societa' di capitali, di associazioni, di  fondazioni
e di  altri  enti  privati  che  operino  nelle  materie  di  propria
competenza. 
    Da  cio'  consegue,  all'evidenza,   il   difetto   assoluto   di
qualsivoglia titolo  competenziale  dello  Stato  ad  intervenire  in
subjecta materia. 
    Del resto, come piu' volte osservato da codesta Ecc.ma Corte,  la
Regione dispone, in forza dell'art. 123 Cost., di «un autonomo potere
normativo» in ordine alle scelte  fondamentali  di  organizzazione  e
funzionamento dell'Ente -  tra le quali rientra la  disciplina  delle
societa' partecipate - potere suscettibile di essere  limitato  «solo
da norme chiaramente deducibili dalla Costituzione, come questa Corte
ha gia' avuto occasione di affermare allorche' ha negato che essa sia
comprimibile in mancanza di una disciplina costituzionale chiaramente
riconoscibile o tramite non controllabili inferenze  e  deduzioni  da
concetti generali, assunti a priori» (cfr.,  Corte  cost.,  sent.  n.
2/2004; sent. n. 313 del 2003). 
    L'art. 4,  comma  1,  si  mostra  altresi'  incostituzionale  per
violazione dell'art. 117, comma 4, Cost.,  che  riserva,  come  noto,
alla competenza regionale la disciplina afferente alla materia  «enti
pubblici regionali» e «organizzazione amministrativa» della Regione. 
    Ugualmente illegittima deve ritenersi la  disciplina  recata  dal
comma 3-sexies, dell'articolo censurato, la quale attribuisce  ad  un
organo  statale  poteri  molto  incisivi  in   ordine   alle   scelte
organizzative dell'Ente. Tale previsione, infatti -  nel  subordinare
al previo parere  positivo  del  «Commissario  straordinario  per  la
razionalizzazione  della  spesa  per  acquisto  di  beni  e  servizi»
l'approvazione dei  piani  di  ristrutturazione  e  razionalizzazione
delle societa' controllate predisposti dalla  Regione -  interferisce
in  via  diretta   ed   immediata   nella   materia   «organizzazione
amministrativa regionale e degli enti pubblici regionali»:  Cio'  che
determina, conseguentemente, una manifesta violazione dell'art.  117,
comma 4, Cost., in forza del quale la regolamentazione della predetta
materia  e'  rimessa  alla  competenza   residuale   della   Regione,
precludendo allo Stato - la cui potesta' legislativa e'  circoscritta
alla  materia  «ordinamento  e  organizzazione  amministrativa  dello
Stato» (art. 117, comma 2, lett. g) - di intervenire su tali ambiti. 
    Incostituzionale deve ritenersi anche il  comma  8,  dell'art.  4
censurato, laddove e' stato previsto che  l'affidamento  diretto  dei
servizi pubblici locali di rilevanza economica debba avvenire, previo
rispetto  dei   requisiti   richiesti   dalla   normativa   e   dalla
giurisprudenza comunitaria per la gestione in  house,  «a  condizione
che  il  valore  economico  del   servizio   o   dei   beni   oggetto
dell'affidamento sia complessivamente pari o inferiore a 200.000 euro
annui». 
    Ora, l'ambito materiale «servizi pubblici locali» non rientra tra
quelli  assegnati,  ai  sensi  dell'art.  117,  commi  2  e  3,  alla
legislazione statale, ne' esclusiva, ne' concorrente; pertanto,  esso
puo' essere ricondotto, ai sensi del comma  4  dello  articolo  della
Costituzione, alla competenza legislativa  residuale  regionale,  che
risulta, quindi, violata dalla previsione di cui si discute. 
    La disciplina in questione, inoltre,  limitando  gli  affidamenti
diretti alle sole ipotesi in cui il valore del bene  o  del  servizio
sia pari o inferiore a 200.000 euro, ancora l'affidamento  stesso  al
rispetto  di  una  soglia  commisurata  al  valore  dei  servizi,  il
superamento della quale  determina  l'automatica  l'esclusione  della
possibilita' di  affidamenti  diretti.  Tale  effetto,  tuttavia,  si
concretizza  a  prescindere  da  qualsivoglia  valutazione  dell'ente
locale e della Regione, e, dunque, in difformita' rispetto  a  quanto
previsto  dalla  normativa  comunitaria  -  con  conseguente  lesione
indiretta dell'art. 117, comma  1,  Cost.  -  la  quale  consente  la
gestione diretta del servizio pubblico  da  parte  dell'ente  locale,
allorquando l'applicazione delle regole di concorrenza  ostacoli,  in
diritto o in fatto, la «speciale missione» dell'ente  pubblico  (art.
106 TFUE). 
    Cio' che determina, sotto connesso profilo, una menomazione della
competenza  residuale  regionale  in  materia  di  servizi  pubblici,
nonche' la lesione, ad opera della disposizione gravata, della  sfera
di autonomia incomprimibile di cui gli enti locali godono  in  virtu'
dell'art. 117, comma 6, Cost.. 
    Peraltro, anche a ritenere  che  lo  Stato  goda,  attraverso  la
tutela della concorrenza, di una competenza trasversale ed  abbia  la
capacita' di incidere sulle  modalita'  di  affidamento  dei  servizi
pubblici locali, il legislatore statale non  risulterebbe,  comunque,
competente ad intervenire su tale ambito in conseguenza  dell'effetto
vincolante che su di esso deriva dall'abrogazione, deliberata tramite
i referendum popolari celebrati il 12 e 13 giugno  2011,  di  analoga
disciplina  legislativa   statale,   relativa   alle   modalita'   di
affidamento e gestione  dei  servizi  pubblici  locali  di  rilevanza
economica. A tale riguardo si richiama la sentenza n. 199  del  2012,
con la quale codesta Ecc.ma Corte ha dichiarato l'incostituzionalita'
dell'art. 4, del decreto-legge n,  138  del  2011,  disposizione  che
riproduceva, nella sostanza, la disciplina abrogata  con  i  predetti
referendum,   reintroducendo   illegittimamente   misure   volte    a
restringere,  rispetto  al  livello  minimo  stabilito  dalle  regole
concorrenziali comunitarie, le ipotesi di affidamento diretto  e,  in
particolare, di gestione in house  dei  servizi  pubblici  locali  di
rilevanza economica. 
    Nemmeno si dica, infine, che il complessivo intervento realizzato
dal legislatore statale mediante il piu' volte citato art.  4,  possa
essere configurato come legittimo esercizio della propria  competenza
legislativa concorrente  in  tema  di  «coordinamento  della  finanza
pubblica», di cui all'art. 117, comma 3, Cost.. 
    Infatti, attraverso la disciplina gravata lo Stato  non  solo  ha
inciso profondamente sull'assetto organizzativo  regionale,  rispetto
al quale, tuttavia, lo stesso non puo' vantare alcuna competenza,  ma
e' altresi' intervenuto senza arrestare la  propria  competenza  alla
fissazione di norme di principio,  come  costantemente  richiesto  da
codesta Corte (cfr., tra le altre, sent. n. 182 del 2011). 
    E' pacifico, infatti, che le norme statali, quali quelle  di  cui
si discute, che incidono in maniera puntuale e stringente su  aspetti
riconducibili all'ordinamento finanziario delle Regioni e degli  enti
locali, possono qualificarsi «principi fondamentali di  coordinamento
della finanza pubblica» ai sensi dell'art. 117, comma 3, Cost.,  solo
ove «si limitino a porre obiettivi  di  riequilibrio  della  finanza,
intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se
non generale, della spesa corrente e non prevedano in modo  esaustivo
strumenti o modalita' per il perseguimento  dei  suddetti  obiettivi»
(sent. n. 193 del 2012; sent. n. 148 del 2012; conformi, ex plurimis,
sentt. nn. 232 del 2011 e 326 del 2010). Ora,  e'  evidente  come  le
previsioni contenute nell'intero decreto-legge n. 95 del 2012  e,  in
particolare,  nel  suo  art.  4,  non  possano  dirsi  esclusivamente
finalizzate  al   raggiungimento   di   obiettivi   di   riequilibrio
finanziario - «intesi nel senso di un transitorio contenimento  della
spesa  corrente»,  ne'  lasciano  margini  di  manovra  alla  Regione
ricorrente in  ordine  alle  scelte  volte  all'individuazione  degli
strumenti e modalita' per il perseguimento  dei  suddetti  obiettivi,
cosi'  determinando,  pertanto,  una  violazione   della   competenza
concorrente in materia di coordinamento finanziario,  garantita  alla
Regione Lazio dall'art. 117, comma 3, Cost., oltre che del  principio
di leale collaborazione, che deve sovrintendere  i  rapporti  tra  lo
Stato e le Regioni e che e' ormai pacificamente considerato di  rango
costituzionale trovando diretto fondamento negli  articoli  5  e  120
Cost. (ex plurimis, C. Cost. sentt. nn. 19 e 242 del 1997, n. 503 del
2000; n. 282 del 2002; n. 303 del 2003). 
    Per tali ragioni, dunque, voglia codesta Ecc.ma Corte  dichiarare
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 4, del decreto-legge n.  95
del 2012, sotto i profili e per le ragioni dinanzi esposte. 
II. illegittimita' costituzionale dell'art. 9 (e, in particolare, dei
commi 1, 2, 3e 4) del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito,
con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, per  violazione
degli articoli 117, commi 4 e 6, e 123 Cost.. 
    Parimenti  incostituzionale  risulta  l'art.  9,  comma  1,   del
decreto-legge  n.  95  del  2012,  che,  nel  dichiarato  intento  di
realizzare  il  contenimento  della   spesa   e   il   corrispondente
conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, ha  stabilito  che
«Regioni, Province e Comuni sopprimono o accorpano o, in  ogni  caso,
assicurano, la riduzione dei relativi oneri finanziari in misura  non
inferiore al 20%, enti, agenzie e organismi comunque denominati [...]
che esercitano, alla data di entrata in vigore del decreto, anche  in
via strumentale, funzioni fondamentali di cui all'art. 117, comma  2,
lett.  p)  Cost.,  o  funzioni  amministrative  spettanti  a  Comuni,
province  e  Citta'  metropolitane  ai  sensi  dell'art.  118   della
Costituzione». 
    A tal fine, come gia' ricordato in narrativa, il  legislatore  ha
previsto  un'apposita  procedura  articolata  in  tre  passaggi:   a)
ricognizione, entro tre mesi dall'entrata in vigore del  decreto,  di
tutti gli «enti, agenzie e  organismi»  (comma  2);  b)  definizione,
mediante intesa da adottarsi in sede  di  Conferenza  Unificata,  dei
«criteri e della tempistica» per l'attuazione della norma (comma  3);
c) soppressione ope legis di tutti gli enti, agenzie e organismi, con
conseguente nullita' di  tutti  gli  atti  successivamente  adottati,
qualora le Regioni, le Province e i Comuni, decorsi nove  mesi  dalla
data di entrata in vigore del decreto, non abbiano concretamente dato
attuazione al precetto normativo (comma 4). 
    Poste tali premesse, non sembra possa nutrirsi alcun  dubbio  sul
fatto che la disciplina impugnata contrasti con gli art. 123  e  117,
comma 4, Cost., incidendo  indebitamente  sulla  sfera  di  autonomia
organizzativa  e  di  funzionamento  dell'amministrazione   regionale
costituzionalmente garantita alla Regione Lazio. 
    A tale proposito va  ribadito  che  i  principi  fondamentali  di
organizzazione e funzionamento  attengono,  ai  sensi  dell'art.  123
Cost.,  all'autonomia  statutaria,  nell'esercizio  della  quale   la
Regione Lazio ha individuato e disciplinato puntualmente una serie di
strutture organizzative, quali le «Agenzie regionali» (art. 54  dello
Statuto), gli «enti pubblici dipendenti dalla Regione» (Art. 55 dello
Statuto),  le  «societa'  ed  altri  enti  privati  a  partecipazione
regionale» (art. 56 dello Statuto), rimettendo alla  legge  regionale
la disciplina relativa all'istituzione e  al  funzionamento  di  tali
organismi. 
    La  materia  «organizzazione   amministrativa»   della   Regione,
inoltre, ricade, in  forza  dell'art.  117,  comma  4,  Cost.,  nella
potesta'   legislativa   residuale   dell'Ente,   che   non   ammette
interferenze ad opera del legislatore statale. 
    Sulla base di cio', deve concludersi che  il  censurato  art.  9,
commi  1,  2,  3  e  4  -  per  effetto  del  quale  e'  prevista  la
«soppressione»  o  l'«accorpamento»  di  enti,  agenzie  e  organismi
comunque denominati - e' incostituzionale per violazione  dei  citati
articoli 123 e 117, comma 4, Cost.,  trattandosi  di  previsione  che
incide in via immediata sui predetti ambiti materiali  di  competenza
regionale. 
    L'incostituzionalita' dello  stesso  articolo  rileva,  altresi',
sotto un ulteriore e concorrente profilo. 
    Il comma 1, infatti, impone anche agli enti locali  l'obbligo  di
soppressione  o  accorpamento  di  agenzie  ed  enti  che  esercitino
funzioni fondamentali e funzioni loro conferite, in aperto  contrasto
con l'art. 117, comma 6, Cost, che riconosce, come noto, ai  predetti
enti  la   potesta'   regolamentare   in   ordine   alla   disciplina
dell'organizzazione  e  dello   svolgimento   delle   funzioni   loro
attribuite, le quali possono essere svolte attraverso  enti,  agenzie
ed organismi vari. 
    La riforma del Titolo V, del resto, ha delineato un nuovo  quadro
delle funzioni e dei poteri dei Comuni  e  delle  Province  (e  delle
Citta' metropolitane), in forza del quale e' possibile individuare un
fondamento di rango costituzionale alla disciplina delle  funzioni  e
dell'organizzazione degli enti locali. 
    Inoltre,  la  lesione  delle  menzionate   sfere   di   autonomia
costituzionale garantite in capo alle Regioni e agli enti locali, non
puo' dirsi certamente esclusa dal fatto che  il  legislatore  statale
abbia previsto - ai fini dell'individuazione  dei  «criteri  e  della
tempistica» per l'attuazione della norma  - l'accordo  in  Conferenza
Unificata e il richiamo al principio di leale collaborazione. 
    Tali meccanismi di raccordo, infatti,  si  mostrano  inidonei  ad
evitare le lesioni di  competenza  piu'  sopra  prospettate,  ove  si
consideri che, per espressa previsione normativa (cfr., comma 4),  si
procedera' comunque alla soppressione ope legis di enti,  agenzie  ed
organismi vari, con conseguente nullita' degli atti da essi adottati,
qualora la Regione e gli enti locali laziali non abbiano dato,  entro
nove mesi dall'entrata in vigore del decreto - e, dunque, in un  arco
temporale ristretto - intera attuazione al dettato normativa statale. 
    In  argomento  sia  consentito  altresi'  censurare   l'eccessiva
astrattezza e genericita'  del  meccanismo  volto  ad  individuare  i
«criteri e la  tempistica»  per  l'attuazione  della  norma,  ove  si
consideri che tali criteri  saranno  facilmente  individuabili  nelle
sole ipotesi-limite di enti ed organismi che  risultino,  in  maniera
inequivocabile,  inutili  ed  antieconomici.   Nei   restanti   casi,
tuttavia, appare francamente ardua la ricerca di presupposti  univoci
e precisi sulla cui base procedere, in vista dell'unica finalita'  di
riduzione  del  20%  degli  oneri  finanziari,  alla  soppressione  o
all'accorpamento degli organismi contemplati dalla norma. 
    Ne'  si  dica,  conclusivamente  sul  punto,  che  la  richiamata
disciplina statale -  la  quale  fa  leva  su  finalita'  formalmente
connesse al «coordinamento e  al  conseguimento  degli  obiettivi  di
finanza pubblica» - possa  ritenersi  legittimamente  adottata  dallo
Stato nell'esercizio della propria competenza legislativa concorrente
in tema di  «coordinamento  della  finanza  pubblica  e  del  sistema
tributario», prevista dall'art. 117, comma 3, Cost. e dall'art.  119,
comma 2, Cost.. 
    Al riguardo, infatti, e' sufficiente riportare quel  che  codesta
Corte ha recentemente ribadito con la sent. n. 247/2010, ove si legge
che:  «in  termini  generali,  va  rilevato  che  questa  Corte,  con
giurisprudenza costante (da ultimo, sentenze n. 52 del 2010 e n.  237
del 2009), ha ritenuto che, per individuare la materia in cui  devono
essere ascritte  le  disposizioni  oggetto  di  censure,  non  assuma
rilievo  dirimente  la  mera  qualificazione  che  di  esse  da'   il
legislatore  (statale  o  regionale),  ma  occorra  fare  riferimento
all'oggetto della disciplina stessa». 
    E' di tutta  evidenza  che,  nel  caso  de  quo,  il  legislatore
ordinario non e' intervenuto, se non in termini meramente marginali e
riflessi, sulla  materia  «coordinamento  della  finanza  pubblica» -
rispetto alla  quale,  peraltro,  lo  Stato  dovrebbe  in  ogni  caso
limitarsi a dettare  esclusivamente  norme  di  principio  e  non  di
dettaglio come nella presente  circostanza.  In  realta',  l'«oggetto
della disciplina» impugnata e', ben diversamente, rappresentato da un
vasto e profondo intervento modificativo  dell'assetto  organizzativo
regionale, rispetto al quale, tuttavia, lo Stato - a differenza della
Regione ricorrente - non puo' vantare alcuna competenza. 
    Si  insiste,  pertanto,  alla  luce  delle   considerazioni   che
precedono, affinche' codesta Ecc.ma Corte  dichiari  l'illegittimita'
costituzionale della disciplina recata dall'art. 9,  decreo-legge  n.
95 del 2012, e, in particolare, dei suoi commi  1,  2,  3  e  4,  per
contrasto con gli  articoli  123  e  117,  commi  4  e  6,  Cost.,  e
conseguente  lesione  della  sfera  di  autonomia  costituzionalmente
garantita alla Regione ricorrente ed ai suoi enti locali. 
III. Illegittimita' costituzionale dell'art. 17 (in  particolare  dei
commi  1,  2,  3 e  4)  del  decreto-legge  6  luglio  2012,  n.  95,
convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, per
violazione degli articoli 77, 114, 117 comma 3 e 133 cost.. 
    L'art. 17, comma 1,  del  decreto-legge  oggetto  di  censura  ha
previsto, come ricordato in precedenza, il «riordino» delle  Province
e delle rispettive funzioni, sulla  base  di  criteri  relativi  alla
dimensione territoriale o alla popolazione residente, da determinarsi
con deliberazione governativa, attraverso un  iter  che,  in  estrema
sintesi, affida ai Consigli delle  autonomie  locali  il  compito  di
individuare una «ipotesi di riordino» da inviare alla  Regione  (che,
poi, trasmette la proposta al  Governo),  al  termine  del  quale  il
riordino dovra' essere disposto con atto  legislativo  di  iniziativa
governativa. 
    E'  gia'  stato  rilevato  in  narrativa  come  il   procedimento
finalizzato ad individuare le varie  «ipotesi  di  riordino»  preveda
tempistiche molto stringenti per i Comuni, i Consigli delle autonomie
locali e le  Regioni  e  che,  ciononostante,  il  legislatore  abbia
comunque stabilito di procedere - anche ove le proposte  di  riordino
non pervengano al Governo nei termini indicati  dal  decreto  -  alla
razionalizzazione territoriale delle Province (con normativa statale,
previo parere della Conferenza Unificata) (commi 3 e 4). 
    In via preliminare, la Regione Lazio rileva la sussistenza  della
propria legittimazione ad impugnare il censurato art. 17, tanto  alla
luce del combinato disposto di cui agli articoli 32, 1.  n.  87/1953,
come modificato dalla l. cost. n. 3 del 2001, e 41,  comma  4,  dello
Statuto  laziale  (che  consentono  di  sollevare  la  questione   di
legittimita' costituzionale di norme statali «anche su  proposta  del
Consiglio  delle  autonomie   locali»),   quanto   in   forza   della
giurisprudenza  di  codesta  Ecc.ma  Corte,   che   ha   riconosciuto
espressamente alle Regioni la legittimazione «a denunciare  la  legge
statale anche per la lesione delle attribuzioni  degli  enti  locali,
indipendentemente  dalla  prospettazione   della   violazione   della
competenza legislativa regionale» (cit.,  sent.  298  del  2009).  La
legittimazione alla  presente  impugnativa  discende,  in  capo  alla
Regione  Lazio,  altresi'  dall'art.  133  Cost.,  che  riconosce   a
quest'ultima un  ruolo  rilevante  nel  processo  di  modifica  delle
circoscrizioni provinciali. 
    Cio' posto, la disciplina di riordino contenuta nell'art. 17, del
decreto-legge n. 95 del 2012, si  mostra  manifestamente  illegittima
sotto una pluralita' di profili, anzitutto per  violazione  dell'art.
133 Cost., ai sensi del quale:  «Il  mutamento  delle  circoscrizioni
provinciali e la istituzione di nuove  Province  nell'ambito  di  una
Regione sono stabiliti con legge della Repubblica. su iniziativa  dei
Comuni,  sentita  la  stessa  Regione»,  sol  che  si  consideri   la
divergenza tra il procedimento  costituzionale  appena  menzionato  e
quello disciplinato dall'articolo gravato. 
    Infatti,   mentre   la   Costituzione   subordina   espressamente
l'istituzione e i mutamenti territoriali provinciali all' «iniziativa
dei Comuni», riconoscendo alle Regioni un ruolo rilevante, l'art.  17
prevede, di converso, un  meccanismo  che  estromette  del  tutto  le
iniziative c.d. «dal basso» e che svilisce la funzione regionale.  Il
legislatore  statale,  infatti,  ha  riconosciuto  al  Consiglio  dei
ministri il potere di determinare con propria delibera  «il  riordino
delle Province sulla base di requisiti minimi, da individuarsi  nella
dimensione territoriale e nella popolazione residente» in ciascuna di
esse, in spregio, tra l'altro, all'orientamento giurisprudenziale  di
questa  Corte,   secondo   cui   ogni   compromissione   dell'assetto
costituzionale non puo' non tener conto delle realta' locali e  delle
effettive esigenze delle popolazioni direttamente interessate  (cfr.,
sent. nn. 279 del 1994 e 453 del 1989). 
    L'illegittimita' di tale disciplina,  peraltro,  non  viene  meno
neanche  alla  luce  della  previsione   (introdotta   in   sede   di
conversione) secondo cui: «le  ipotesi  e  le  proposte  di  riordino
tengono conto delle eventuali  iniziative  comunali  f...]  esistenti
alla data di adozione» della deliberazione del C.d.M.. 
    Le previste «iniziative  comunali»,  infatti,  sono  svuotate  di
qualsivoglia reale contenuto, come confermato dal Dipartimento  delle
Riforme Istituzionali con nota del 3.8.2012. Sul punto il Governo  ha
chiarito, infatti, che saranno prese in  considerazione  solo  quelle
«iniziative gia' formalizzate  alla  data  24  luglio  2012»  e  che,
inoltre, «resta fermo che tali iniziative non hanno l'effetto di  far
ottenere ne' perdere alle suddette Province  i  requisiti  minimi  di
dimensione territoriale e demografica prescritti dalla deliberazione»
del Consiglio dei Ministri (doc. 3). 
    Le norme oggetto di censura,  inoltre,  lungi  dal  concretizzare
l'esercizio legittimo della competenza concorrente statale in materia
di «coordinamento della  finanza  pubblica»,  prevista  dall'art'art.
117, comma 3,  Cost.  (che  risulta,  quindi,  leso  dalla  normativa
impugnata) non si limitano affatto ad un  «transitorio»  contenimento
complessivo della spesa (cfr. Corte cost., sent. n. 326 del 2010), ma
intervengono in maniera  strutturale  e  definitiva  sull'assetto  di
ordinamenti  intermedi,  pariordinati  allo  Stato  e   titolari   di
prerogative tutelate costituzionalmente. Cio' comporta, all'evidenza,
la  violazione  dell'art.  114  Cost.,  che  assegna  un  ruolo   ben
determinato alle  Province,  qualificandole  come  enti  territoriali
autonomi e costitutivi della  Repubblica,  equiordinati  rispetto  ai
Comuni, alle Citta' metropolitane, alle Regioni, nonche' allo  Stato,
dotati di propri «statuti, poteri e funzioni secondo quanto  previsto
dalla Costituzione» (ferma restando la differenziazione di funzioni),
la cui  esistenza  e  autonomia  e'  costituzionalmente  garantita  e
sottratta alle scelte del legislatore ordinario. 
    Del  resto,  proprio  in  merito  ai  provvedimenti   legislativi
inerenti ai tagli dei costi della politica, codesta Ecc.ma  Corte  ha
recentemente  richiamato  l'attenzione  del  legislatore  statale  al
rispetto  dei  principi  fondamentali  che  la  Costituzione  pone  a
garanzia degli enti territoriali (cfr., Corte cost., sent. n. 151 del
2012). 
    L'incostituzionalita' dell'art.  17  rileva,  inoltre,  anche  in
riferimento alla lesione  del  principio  di  ragionevolezza  di  cui
all'art. 3 Cost. - lesione che ridonda in una grave violazione  delle
prerogative costituzionali riconosciute alle Province e alle  Regioni
dagli artt.  114  e  133  Cost..  A  tale  riguardo  sia  sufficiente
evidenziare che la tempistica  prevista  per  gli  adempimenti  della
Regione e dei Consigli  delle  Autonomie  locali  dai  commi  3  e  4
dell'art. 17, che qui si impugnano, e' cosi' stringente da rendere di
fatto impossibile l'adozione della legge statale di riordino  con  le
acquisizioni degli apporti di tali enti. 
    A quanto sinora evidenziato si aggiunga, inoltre,  la  violazione
ad opera del censurato art. 17, degli articoli  77  e  72,  comma  4,
Cost., la quale ridonda in una  lesione  degli  articoli  114  e  133
Cost.,  e,  dunque,  della  sfera  di  autonomia   costituzionalmente
garantita in capo alle Province e alle Regioni. 
    In proposito  sia  sufficiente  rilevare  che  lo  strumento  del
decreto-legge non puo' essere utilizzato, in forza  del  disposto  di
cui all'art. 77 Cost., in assenza  dei  presupposti  straordinari  di
necessita' ed urgenza. Ebbene, la natura strutturale  dell'intervento
operato dallo Stato  esclude,  di  per  se',  la  ravvisabilita'  dei
suddetti  presupposti;  ne'  la  semplice  immissione   di   siffatta
disciplina nel corpo di un decreto-legge  teleologicamente  unitario,
finalizzato alla riduzione della spesa pubblica, vale a trasmetterle,
per cio' solo, il carattere di urgenza  eventualmente  proprio  delle
altre disposizioni, come affermato dalla giurisprudenza  costante  di
questa Corte. 
    La verita' e' che  non  sussiste,  nel  caso  di  specie,  alcuna
plausibile ragione che possa legittimare l'utilizzo del decreto-legge
nonche' giustificare la palese difformita'  fra  il  procedimento  di
riordino previsto dal decreto e la ben diversa procedura di  modifica
dei territori delle Province disciplinata dalla Costituzione. 
    La riforma de  qua,  diversamente  da  quanto  accaduto,  avrebbe
senz'altro richiesto  l'utilizzo  di  strumenti  normativi  idonei  a
preservare  le  garanzie  procedurali  e  partecipative  imposte  dal
Costituente a tutela dei diversi livelli di governo coinvolti. 
    L'assetto delle fonti normative, del resto, e' uno dei principali
elementi  che  caratterizzano  la  forma  di  governo   nel   sistema
costituzionale, in quanto immediatamente correlato  alla  tutela  dei
valori e dei diritti fondamentali, come affermato da codesta Ecc.  ma
Corte, la quale, con giurisprudenza immutata dal  1995,  ha  ribadito
che «l'adozione delle norme primarie spetta agli organi il cui potere
deriva direttamente dal popolo», riservandosi il potere di sottoporre
a scrutinio  di  costituzionalita'  i  provvedimenti  provvisori  del
Governo  sotto  il  profilo  dell'  «esistenza  dei  requisiti  della
straordinarieta' del caso di necessita' e d'urgenza» di cui  all'art.
77 Cost. (cfr., tra le altre, sent. n. 171 del 2007). 
    A partire dalla  nota  sentenza  n.  29  del  1995,  inoltre,  e'
consolidato nel  nostro  ordinamento  il  principio  secondo  cui  il
difetto dei requisiti della straordinarieta'  e  urgenza,  una  volta
intervenuta la conversione, «si' traduce in un  vizio  in  procedendo
della relativa legge», principio ribadito anche con  la  sentenza  n.
341 del 2003. 
    E cio' e' esattamente quanto si verifica nel caso di specie. 
    Sul punto va pure evidenziato, correlativamente, che  l'art.  15,
della l. n. 400 del 1988 («Disciplina  dell'attivita'  di  Governo  e
ordinamento della Presidenza del Consiglio  dei  Ministri»),  sottrae
alla decretazione d'urgenza quelle materie  -  puntualmente  indicate
dall'art.  72,  comma  4,  Cost.  (parimenti  leso  dalla  disciplina
impugnata) - coperte da «riserva d'assemblea», tra le quali  rientra,
come noto, la materia «costituzionale». Sebbene tale  atto  normativa
non possa assurgere a parametro di legittimita' costituzionale,  esso
tuttavia costituisce esplicitazione della ratio sottesa  all'art.  77
Cost., confermando, per un verso, che i provvedimenti d'urgenza  sono
eccezioni all'ordinario funzionamento del sistema (in funzione  della
necessita' di fronteggiare circostanze  del  tutto  straordinarie  in
relazione alle quali il sistema delle fonti risulta inadeguato);  per
altro verso,  che  le  materie  qualificanti  il  nostro  ordinamento
giuridico non possono essere  normate  attraverso  lo  strumento  del
decreto-legge. 
    Poste tali premesse e' evidente,  quindi,  come  l'intervento  di
razionalizzazione   territoriale   delle   Province   disposto    dal
decreto-legge n. 95  del  2012  esuli  completamente  dall'ambito  di
applicazione dell'art.  77  Cost..  In  argomento  puo'  concludersi,
dunque, che il censurato art. 17, introducendo -  con  uno  strumento
improprio adottato in  evidente  carenza  dei  presupposti  richiesti
dalla Costituzione - una  nuova  disciplina  «a  regime»  che  incide
profondamente  sull'ordinamento   delle   Province,   enti   autonomi
intermedi equiordinati allo Stato, viola patentemente gli articoli 77
e 72, comma 4, Cost.. Violazione, questa,  che  si  riflette  in  una
lesione degli articoli 114 e 133 Cost., con  conseguente  menomazione
delle prerogative tutelate costituzionalmente in capo alle Province e
alla Regione ricorrente,  la  quale  e'  stata,  in  difformita'  dal
dettato costituzionale, illegittimamente estromessa dal  procedimento
di modifica delle circoscrizioni provinciali. 
    Si insiste, pertanto, alla luce di tutte  le  considerazioni  che
precedono, per  la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale
dell'art. 17, del decreto-legge n. 95 del 2012. 
IV. Illegittimita' costituzionale dell'art. 18, del  decreto-legge  6
luglio 2012, n. 95, convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  7
agosto 2012, n. 135, per violazione dell'art. 77, cost. e conseguente
lesione dell'art. 114 cost.. 
    Considerazioni in tutto  analoghe  a  quelle  appena  svolte  con
riferimento alla violazione dell'art. 77, Cost., valgono in relazione
all'art.  18,  del  decreto-legge  gravato,  che   ha   previsto   la
soppressione delle Province di Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova,
Bologna, Firenze, Bari, Napoli e  Reggio  Calabria,  con  contestuale
istituzione delle corrispondenti Citta' Metropolitane, a far data dal
1° gennaio 2014. 
    L'incostituzionalita' della disposizione impugnata  rileva  sotto
un duplice profilo: per un verso, infatti,  e'  stata  prevista,  con
decreto-legge e in assenza dei requisiti di necessita' e urgenza,  la
soppressione di talune 
    Province,  la  cui  esistenza  e  autonomia,   come   detto,   e'
costituzionalmente garantita e sottratta alle scelte del  legislatore
ordinario dall'art. 114 Cost.; per altro verso,  l'istituzione  delle
Citta' metropolitane, materia coperta  da  «riserva  d'assemblea»  ex
art.  72,  comma   4,   Cost.,   si   configura   quale   adempimento
costituzionale  irrealizzabile  per  mezzo  dello   strumento   della
decretazione d'urgenza (cfr., tra l'altro, art. 15,  l.  n.  400  del
1988) il ricorso al quale, come chiarito piu' volte da codesta Ecc.ma
Corte,  va  escluso  con  riferimento  ad  interventi,  quale  quello
esaminato, volti all'inserimento di una nuova disciplina  «a  regime»
nel nostro ordinamento giuridico (cfr., Corte  cost.,  sent.  22  del
2012). 
    Cio' che determina, sotto gli  enunciati  aspetti,  la  manifesta
incostituzionalita' dell'art. 18, del decreto-legge censurato. 
V. Illegittimita' costituzionale dell'art. 19,  del  decreto-legge  6
luglio 2012, n. 95, convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  7
agosto 2012, n. 135, per violazione del  combinato  disposto  di  cui
agli articoli 117, commi 3 e 4, 117, comma 2, lett. p) cost.. 
    L'art. 19, del decreto-legge n. 95 del 2012,  realizza  un  ampio
intervento in  materia  di  organizzazione  e  funzioni  dei  Comuni,
introducendo diverse modifiche al decreto-legge n. 78 del 2010. 
    Il comma 1, lett. a), di tale articolo, come gia' evidenziato  in
narrativa, sostituisce il comma 27, dell'art. 14,  del  decreto-legge
da ultimo  citato,  con  conseguente  ridefinizione  delle  «funzioni
fondamentali dei Comuni, ai sensi  dell  'art.  117,  secondo  comma,
lettera p), della Costituzione». Alla lett. b), il medesimo  comma  1
sostituisce il comma 28, dell'art. 14, del decreto-legge  n.  78  del
2010, disponendo, con riferimento ai Comuni con popolazione inferiore
ai 5.000 abitanti, l'esercizio obbligatorio in forma associata  delle
funzioni fondamentali, mediante unione di  comuni  o  convenzioni  di
durata triennale. 
    Viene confermato, inoltre, per i Comuni con  popolazione  fino  a
1.000 abitanti, l'obbligo, gia' prescritto dal comma  17,  lett.  a),
dell'art. 16, del  decreto-legge  n.  138  del  2011,  di  esercitare
obbligatoriamente in  forma  associata,  mediante  unione,  tutte  le
funzioni amministrative e tutti i servizi pubblici loro spettanti. 
    La disposizione impugnata aggiunge, infine, che le Regioni, nelle
materie di cui all'art. 117, commi  3  e  4,  Cost.,  individuano  le
dimensioni territoriali ottimali per l'esercizio  delle  funzioni  in
forma obbligatoriamente associata, mediante unioni e convenzioni. 
    Cio' premesso, tutta  la  riferita  disciplina  e'  da  ritenersi
illegittima per violazione del combinato disposto  degli  artt.  117,
comma 2, lett. p), e 117, commi 3 e 4, Cost., con conseguente lesione
di sfere di  competenza  costituzionalmente  assegnate  alla  Regione
ricorrente. 
    In  forza  delle  disposizioni  appena  menzionate,  infatti,  la
regolazione delle associazioni degli enti locali va  ricondotta  alla
competenza normativa della Regione e non gia' dello Stato - che  deve
invece limitarsi a stabilire la disciplina in tema  di  «legislazione
elettorale, organi di governo  e  funzioni  fondamentali  di  Comuni,
Province e Citta' metropolitane», restando evidentemente  esclusi  da
tale «voce» tutti gli aspetti riguardanti l'associazionismo  di  tali
enti. 
    In  questi  termini  si  e'  espressa,  del  resto,  la  costante
giurisprudenza costituzionale sul punto: a partire  dalle  senti.  n.
229/2001, 244/2005 e 456/2005, codesta Ecc.ma Corte ha posto in  luce
che l'elencazione degli enti, e degli aspetti della loro  disciplina,
contenuta  nell'art.  117,  comma  2,  lett.  p),  assume   carattere
puntuale. Infatti, nella sent. n. 456/2005 - riferita alle  comunita'
montane ma da intendersi estesa ad ogni forma di associazionismo  tra
enti locali - si sottolinea che nella norma costituzionale da  ultimo
citata, l'indicazione degli enti rispetto ai quali viene  individuata
la competenza statale, ossia Comuni, Province e Citta' metropolitane,
deve ritenersi «tassativa»: «da qui la conseguenza che la  disciplina
delle Comunita' montane, pur in presenza  della  loro  qualificazione
come enti locali contenuta nel decreto legislativo n. 267  del  2000,
rientra ora nella competenza legislativa residuale delle Regioni,  ai
sensi dell'art. 117, quarto comma, della Costituzione». 
    Da cio' deriva, all'evidenza, l'illegittimita' costituzionale del
censurato art. 19, del  decreto-legge n. 95 del 2012, per  violazione
del combinato disposto degli articoli 117, comma e, lett. p)  e  117,
commi 3 e 4, della Costituzione, atteso che  la  materia  concernente
l'associazionismo degli enti locali  va  ricondotta  alla  competenza
legislativa residuale della Regione Lazio,  rispetto  alla  quale  il
legislatore statale non ha titolo per intervenire. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Voglia codesta Ecc.ma Corte, ogni contraria istanza  e  deduzione
disattesa,  in  accoglimento   del   presente   ricorso,   dichiarare
l'illegittimita' costituzionale del decreto-legge 6 luglio  2012,  n.
95, recante  «Disposizioni  urgenti  per  la  revisione  della  spesa
pubblica con invarianza dei servizi ai  cittadini»,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, limitatamente  agli
articoli 4, 9, 17, 18 e 19, sotto tutti i profili e  per  le  ragioni
dinanzi esposte. 
      Roma, 11 ottobre 2012 
 
                         Prof. avv.: Marini