N. 145 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 16 ottobre 2012
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 16 ottobre 2012 (della Regione Lazio). Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica - Obbligo per le Regioni di procedere allo scioglimento, o in alternativa, alla privatizzazione di tutte le societa' direttamente o indirettamente controllate, che abbiano conseguito nell'anno 2011 un fatturato di prestazioni di servizi in favore della p.a. superiore al novanta per cento dell'intero fatturato - Ricorso della Regione Lazio - Denunciata violazione dell'autonomia finanziaria, organizzativa e di funzionamento delle Regioni e di enti pubblici regionali, nonche' di servizi pubblici locali. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 4, commi 1 e 3. - Costituzione, artt. 117, commi primo, terzo, quarto e sesto, e 123. Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica - Riserva al Commissario straordinario per la razionalizzazione della spesa per l'acquisto di beni e servizi di poteri in ordine all'approvazione dei piani di ristrutturazione e razionalizzazione predisposti dalla Regione in relazione alle sopra menzionate societa' - Ricorso della Regione Lazio - Denunciata violazione dell'autonomia finanziaria, organizzativa e di funzionamento delle Regioni e di enti pubblici regionali, nonche' di servizi pubblici locali. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 4, comma 3-sexies. - Costituzione, artt. 117, commi primo, terzo, quarto e sesto, e 123. Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica - Limitazione dell'affidamento dei sevizi pubblici locali alle sole ipotesi in cui il valore economico del servizio sia complessivamente pari o inferiore a 200.000 euro annui - Ricorso della Regione Lazio - Denunciata violazione dell'autonomia finanziaria, organizzativa e di funzionamento delle Regioni e di enti pubblici regionali, nonche' di servizi pubblici locali. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 4, comma 8. - Costituzione, artt. 117, commi primo, terzo, quarto e sesto, e 123. Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica - Previsione che le Regioni, Province e Comuni sopprimono o accorpano o, in ogni caso, assicurano la riduzione dei relativi oneri finanziari, in misura non inferiore al 20%, enti, agenzie e organismi comunque denominati che esercitano, alla data di entrata in vigore del decreto-legge impugnato, anche in via strumentale, funzioni fondamentali di cui all'art. 117, comma secondo, lett. p), della Costituzione, o funzioni amministrative spettanti a Comuni, Province e Citta' metropolitane ai sensi dell'art. 118 della Costituzione - Previsione di apposita procedura articolata in tre fasi: a) ricognizione, entro tre mesi dall'entrata in vigore del decreto-legge impugnato, di tutti gli enti, agenzie ed organismi; b) definizione mediante intese da adottarsi in sede di Conferenza unificata dei costi e delle tempistiche per l'attuazione delle norme; c) soppressione ope legis di tutti gli enti, agenzie ed organismi, con conseguente nullita' di tutti gli atti successivamente adottati, qualora le Regioni, le Province ed i Comuni, decorsi nove mesi dall'entrata in vigore del decreto, non abbiano dato attuazione al precetto normativo - Ricorso della Regione Lazio - Denunciata violazione dell'autonomia finanziaria, organizzativa e di funzionamento delle Regioni e di enti pubblici regionali, nonche' di servizi pubblici locali. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 9, commi 1, 2, 3 e 4. - Costituzione, artt. 117, commi quarto e sesto, e 123. Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica - Riordino delle Province e loro funzioni - Previsione del riordino di tutte le province delle regioni a statuto ordinario, mediante decreto da emanarsi, entro dieci giorni dall'entrata in vigore del decreto-legge impugnato, con deliberazione del Consiglio dei ministri, sulla base dei requisiti minimi da individuarsi nella dimensione territoriale e nella popolazione residente in ciascuna provincia (individuati con la deliberazione predetta, rispettivamente, in 2500 km. e in 350.000 abitanti) - Prevista partecipazione al riordino delle province mediante atto legislativo ad iniziativa governativa, all'esito di una procedura cui partecipano il Consiglio delle autonomie locali delle singole regioni a statuto ordinario e le regioni stesse mediante la presentazione di ipotesi di riordino e previo parere della Conferenza unificata - Ricorso della Regione Lazio - Denunciata violazione del principio di autonomia costituzionale degli enti territoriali, nella specie delle Province - Lesione del principio di ragionevolezza per l'adozione di una misura sproporzionata e non efficace rispetto alla finalita' dichiarata dalla normativa impugnata di riduzione della spesa pubblica - Denunciata violazione dei presupposti di legittimita' costituzionale della straordinarieta' ed urgenza per l'adozione del decreto-legge - Denunciata violazione dell'assetto costituzionale ed ordinamentale della Regione - Denunciata violazione dell'autonomia regionale in relazione ai principi di sussidiarieta' verticale e di adeguatezza - Denunciata lesione della potesta' regolamentare delle Province - Denunciata violazione dell'autonomia finanziaria regionale - Violazione del principio costituzionale della partecipazione della popolazione interessata alla procedura di mutamento delle circoscrizioni provinciali e degli altri enti territoriali previsti dalla Costituzione. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 17, commi 1, 2, 3 e 4. - Costituzione, artt. 77, 114, 117, comma terzo, e 123. Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica - Soppressione delle Province di Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria con contestuale istituzione delle corrispondenti Citta' metropolitane a far data dal 1° gennaio 2014 - Ricorso della Regione Lazio - Denunciata violazione del principio di autonomia costituzionale degli enti territoriali - Denunciata violazione dei presupposti di legittimita' costituzionale della straordinarieta' ed urgenza per l'adozione del decreto-legge. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 18. - Costituzione, artt. 77, 114 e 117. Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica - Riorganizzazione delle funzioni fondamentali dei Comuni ai sensi dell'art. 117, comma secondo, lett. p), della Costituzione - Previsione per i comuni con popolazione inferiore ai 5000 abitanti dell'esercizio obbligatorio in forma associata delle funzioni fondamentali, mediante riunione dei comuni o convenzioni di durata triennale - Previsione per i comuni con popolazione fino a 1000 abitanti, dell'obbligo di esercizio in forma associata, mediante unione di tutte le funzioni amministrative e di tutti i servizi pubblici ad essi spettanti - Previsione che le Regioni, nelle materie di cui all'art. 117, commi terzo e quarto, della Costituzione, individuano le dimensioni territoriali ottimali per l'esercizio delle funzioni in forma obbligatoriamente associata, mediante unioni e convenzioni - Ricorso della Regione Lazio - Denunciata violazione della sfera di competenza regionale in materia di associazionismo degli enti locali. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 19. - Costituzione, art. 117, commi secondo, lett. p), terzo e quarto.(GU n.47 del 28-11-2012 )
Ricorso della Regione Lazio, con sede in Roma, via Cristoforo Colombo n. 212 (Codice fiscale n. 80143490581), in persona della Presidente pro tempore, Renata Polverini, rappresentata e difesa, in forza di procura a margine del presente atto ed in virtu' della Deliberazione della Giunta regionale n. 465 del 26.9.2012, dal prof. Avv. Renato Marini (Codice fiscale MRNRNT70A20H501W; PEC: renatomarini@ordineavvocatiroma.org; fax: 06.36001570), presso il cui studio in Roma, via dei Monti Parioli, 48, ha eletto domicilio; -ricorrente- Contro il Governo della Repubblica, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, con sede in Roma, Palazzo Chigi, Piazza Colonna, 370, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato, con domicilio in Roma, Via dei Portoghesi, 12; -resistente- Per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza del servizi ai cittadini», convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, pubblicata nel Supplemento ordinario n. 173 alla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 189 del 14.08.2012, limitatamente agli articoli 4, 9, 17, 18 e 19. Fatto 1. Con il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (c.d. «Spending review»), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, il legislatore ha introdotto disposizioni urgenti finalizzate a «razionalizzare la spesa pubblica attraverso la riduzione delle spese per beni e servizi, garantendo al contempo l'invarianza dei servizi ai cittadini», con l'obiettivo di stimolare la crescita e la competitivita' del nostro Paese. 2. Gia' nell'immediatezza della sua pubblicazione, il decreto-legge in questa sede gravato ha destato diversi dubbi di legittimita' costituzionale, puntualmente evidenziati dalla Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome all'esito della seduta del 25.7.2012 (cfr. parere, doc. 2), la quale non ha mancato di rilevare l'idoneita' di molte delle disposizioni in esso contenute ad incidere indebitamente su ambiti materiali sottratti, a livello costituzionale, al potere normativo statale. 3. Sebbene taluni dei rilievi formulati dalla Conferenza siano stati recepiti in sede di conversione, il decreto-legge n. 95 del 2012 continua, tuttavia, a presentare numerosi profili di incostituzionalita'. 11 riferimento e', in particolare, agli articoli 4, 9, 17, 18 e 19: previsioni che risultano, come si chiarira' di qui a breve, lesive della sfera di competenza costituzionalmente garantita in capo alla Regione ricorrente. 4. Per quanto concerne l'art. 4, rubricato «Riduzione di spese, messa in liquidazione e privatizzazione di societa' pubbliche», esso detta una disciplina che interviene in via diretta ed immediata su aspetti organizzativi e di funzionamento amministrativo regionale. Scendendo nel dettaglio, il comma 1, di tale articolo, impone alla Regione ricorrente l'obbligo di procedere allo scioglimento o, in alternativa, alla privatizzazione delle societa' dalla stessa «controllate direttamente o indirettamente», le quali abbiano conseguito nell'anno 2011 un fatturato da prestazione di servizi in favore della p.a. superiore al 90 per cento dell'intero fatturato. Il comma 3-sexies prevede, inoltre, che entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, la Regione potra' predisporre appositi «piani di ristrutturazione e razionalizzazione delle societa' controllate», la cui approvazione e' subordinata al «previo parere favorevole» del «Commissario straordinario per la razionalizzazione della spesa per acquisto di beni e servizi», al quale vengono riconosciuti, pertanto, pregnanti poteri decisionali in ordine alle scelte organizzative dell'Ente. Con riferimento, infine, al comma 8, esso limita la possibilita' di procedere all'affidamento diretto dei servizi pubblici locali «solo a favore di societa' a capitale interamente pubblico [..., a condizione che il valore economico del servizio o dei beni oggetto dell'affidamento sia complessivamente pari o inferiore a 200.000 euro annui». 5. Ai fini del contenimento della spesa pubblica e del migliore svolgimento delle funzioni amministrative, l'art. 9, comma 1, del decreto-legge n. 95 del 2012, dispone che le Regioni, le Province e i Comuni sopprimano o accorpino, con una riduzione degli oneri finanziari non inferiore al 20%, enti, agenzie e organismi che esercitano funzioni fondamentali di cui all'art. 117, comma 2, lett. p) della Costituzione o funzioni amministrative spettanti a Comuni, Province e Citta' Metropolitane ai sensi dell'art. 118 Cost.. A tal fine il legislatore ha individuato una procedura ad hoc, articolata nei seguenti passaggi: i) Ricognizione di tutti gli enti, agenzie e organismi da effettuare con accordo in sede di Conferenza Unificata ai sensi dell'art. 9, del decreto legislativo n. 181 del 1997, e sulla base del principio di leale collaborazione (comma 2); ii) Individuazione dei criteri e della tempistica necessari a dare attuazione alla disposizione normativa, nonche' definizione delle modalita' di monitoraggio, con previsione di intesa ai sensi dell'art. 8, comma 6, 1. n. 131 del 2003, da adottarsi in sede di Conferenza Unificata (comma 3); iii) Soppressione ope legis - laddove le Regioni, le Province e i Comuni non abbiano dato attuazione al dettato normativo entro nove mesi dall'entrata in vigore del decreto - di tutti gli enti, agenzie e organismi, con conseguente nullita' di tutti gli atti successivamente adottati (comma 4). 6. Al dichiarato intento di contribuire al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica imposti dagli obblighi europei, l'art. 17, del decreto oggetto dell'odierno giudizio, dispone un generale «riordino» di tutte le Province delle Regioni a Statuto ordinario esistenti alla data di entrata in vigore del decreto medesimo, nonche' la ridefinizione delle funzioni ad esse spettanti. In proposito occorre preliminarmente rilevare che l'art. 17 ha formato oggetto di molteplici modifiche in sede di conversione, tra le quali l'intervenuta sostituzione delle parole «soppressione» e «accorpamento» con la meno invasiva locuzione «riordino» e che, inoltre, il particolare procedimento disciplinato dai commi 3 e 4, di cui si dira' a breve, non puo' dirsi certamente satisfattivo rispetto agli emendamenti presentati sul punto dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome in data 25.7.2012, (doc. 3), volti a valorizzare il ruolo regionale nella definizione dei meccanismi di riduzione e accorpamento provinciali. Cio' precisato, il comma 2, dell'articolo impugnato, attribuisce al Consiglio dei Ministri il potere di procedere, «con apposita deliberazione, da adottare su proposta dei Ministri dell'interno e della pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze», al riordino delle Province sulla base di requisiti minimi, da individuarsi nella dimensione territoriale e nella popolazione residente in ciascuna Provincia. Al Consiglio delle autonomie locali di ogni Regione e' riconosciuto il compito di approvare «un'ipotesi di riordino delle Province ubicate nel territorio della rispettiva Regione», la quale deve essere inviata, entro il giorno successivo alla sua approvazione, alla Regione di riferimento che dovra', a sua volta, trasmetterla al Governo nei successivi venti giorni, onde consentire che si provveda al predetto «riordino» «con atto legislativo di iniziativa governativa» (commi 3 e 4). A tale riguardo va evidenziato sin d'ora che, sebbene la procedura cosi delineata preveda tempistiche molto stringenti per i Comuni, i Consigli delle autonomie locali e per le Regioni, il legislatore non ha mancato di precisare, tuttavia, che ove le suddette proposte di riordino non pervengano al Governo nei termini previsti dal decreto, il «riordino» sara' comunque effettuato con normativa statale, previo parere della Conferenza Unificata. 7. Con riferimento all'art. 18, del decreto-legge impugnato, rubricato «Istituzione delle Citta' metropolitane e soppressione delle province del relativo territorio», esso dispone la soppressione delle Province di Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria, con contestuale istituzione delle corrispondenti Citta' Metropolitane, a far data dal 1° gennaio 2014. 8. L'art. 19, del decreto-legge n. 95 del 2012, infine, opera un ampio intervento in materia di organizzazione e funzioni dei Comuni, introducendo diverse modifiche al decreto-legge n. 78 del 2010. Piu' in particolare, il comma 1, lett. a), di tale articolo, sostituisce il comma 27, dell'art. 14, del decreto-legge da ultimo citato, con conseguente ridefinizione delle «funzioni fondamentali dei Comuni, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione». Alla lett. b), il medesimo comma 1 sostituisce, altresi', il comma 28, dell'art. 14, del decreto-legge n. 78 del 2010, disponendo, con riferimento ai Comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, l'esercizio obbligatorio in forma associata delle funzioni fondamentali, mediante unione di comuni o convenzioni di durata triennale. Per i Comuni piu' piccoli, con popolazione fino a 1000 abitanti, viene confermato l'obbligo, gia' prescritto dal collima 17, lett. a), dell'art. 16, del decreto-legge n. 138 del 2011, di esercitare obbligatoriamente in forma associata, mediante unione, tutte le funzioni amministrative e tutti i servizi pubblici loro spettanti. La disposizione impugnata aggiunge, infine, che le Regioni, nelle materie di cui all'art. 117, commi 3 e 4, Cost., individuano le dimensioni territoriali ottimali per l'esercizio delle funzioni in forma obbligatoriamente associata, mediante unioni e convenzioni. 9. Tutto cio' premesso, con il presente ricorso la Regione Lazio, come in epigrafe rappresentata e difesa, impugna il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini», convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, limitatamente ai citati articoli 4, 9, 17, 18 e 19, trattandosi di previsioni lesive delle attribuzioni costituzionali dell'Ente, e, pertanto, illegittime alla luce dei seguenti motivi di Diritto I. Illegittimita' Costituzionale dell'art. 4 (e, in particolare, dei commi 1, 3-sexies e 8) del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, per violazione degli articoli 117, commi 1, 3, 4 e 6, nonche' dell'art. 123, comma 1, Cost. e del principio di leale collaborazione. Come rilevato in precedenza, l'art. 4, del decreto-legge oggetto del presente giudizio, reca una disciplina idonea ad incidere in maniera significativa su aspetti organizzativi e di funzionamento dell'amministrazione regionale. Le norme in esso contenute, infatti, impongono alla Regione ricorrente l'obbligo di procedere allo scioglimento o, in alternativa, alla privatizzazione, di tutte le societa' direttamente o indirettamente controllate, che abbiano conseguito nell'anno 2011 un fatturato da prestazione di servizi in favore della p.a. superiore al 90 per cento dell'intero fatturato (comma 1), oltre a riservare al «Commissario straordinario per la razionalizzazione della spesa per acquisto di beni e servizi» poteri molto incisivi in ordine all'approvazione dei «piani di ristrutturazione e razionalizzazione» predisposti dalla Regione in relazione a dette societa' (comma 3-sexies). Il comma 8, dal canto suo, limita l'affidamento diretto dei servizi pubblici locali di rilevanza economica alle sole ipotesi in cui «il valore economico del servizio o dei beni oggetto dell'affidamento sia complessivamente pari o inferiore a 200.000 euro annui». Ebbene, e' evidente come tutta la riferita disciplina vada ad incidere indebitamente sull'autonomia organizzativa e di funzionamento della Regione Lazio, con conseguente lesione di competenze regionali garantite da norme di rango costituzionale. Valgano in proposito le seguenti considerazioni. Con particolare riferimento al comma 1, dell'articolo gravato - il quale impone, giova ribadirlo, lo scioglimento ovvero la privatizzazione di tutte le societa' direttamente o indirettamente controllate dalla Regione - esso si mostra manifestamente illegittimo per violazione dell'art. 123 Cost., atteso che la sfera materiale che il legislatore statale ha preteso di disciplinare va senz'altro ricondotta nell'alveo «dei principi fondamentali di organizzazione e funzionamento» fissati dallo Statuto e, quindi, alla normativa statutaria. A tale proposito e' bene precisare che lo Statuto della Regione Lazio detta una disciplina puntuale in materia di «Societa' ed altri enti privati a partecipazione regionale» (art. 56, dello Statuto, peraltro non impugnato dallo Stato, che ne ha quindi riconosciuto implicitamente la legittimita'), per effetto della quale spetta alla Regione ricorrente il potere di partecipare o promuovere la costituzione di societa' di capitali, di associazioni, di fondazioni e di altri enti privati che operino nelle materie di propria competenza. Da cio' consegue, all'evidenza, il difetto assoluto di qualsivoglia titolo competenziale dello Stato ad intervenire in subjecta materia. Del resto, come piu' volte osservato da codesta Ecc.ma Corte, la Regione dispone, in forza dell'art. 123 Cost., di «un autonomo potere normativo» in ordine alle scelte fondamentali di organizzazione e funzionamento dell'Ente - tra le quali rientra la disciplina delle societa' partecipate - potere suscettibile di essere limitato «solo da norme chiaramente deducibili dalla Costituzione, come questa Corte ha gia' avuto occasione di affermare allorche' ha negato che essa sia comprimibile in mancanza di una disciplina costituzionale chiaramente riconoscibile o tramite non controllabili inferenze e deduzioni da concetti generali, assunti a priori» (cfr., Corte cost., sent. n. 2/2004; sent. n. 313 del 2003). L'art. 4, comma 1, si mostra altresi' incostituzionale per violazione dell'art. 117, comma 4, Cost., che riserva, come noto, alla competenza regionale la disciplina afferente alla materia «enti pubblici regionali» e «organizzazione amministrativa» della Regione. Ugualmente illegittima deve ritenersi la disciplina recata dal comma 3-sexies, dell'articolo censurato, la quale attribuisce ad un organo statale poteri molto incisivi in ordine alle scelte organizzative dell'Ente. Tale previsione, infatti - nel subordinare al previo parere positivo del «Commissario straordinario per la razionalizzazione della spesa per acquisto di beni e servizi» l'approvazione dei piani di ristrutturazione e razionalizzazione delle societa' controllate predisposti dalla Regione - interferisce in via diretta ed immediata nella materia «organizzazione amministrativa regionale e degli enti pubblici regionali»: Cio' che determina, conseguentemente, una manifesta violazione dell'art. 117, comma 4, Cost., in forza del quale la regolamentazione della predetta materia e' rimessa alla competenza residuale della Regione, precludendo allo Stato - la cui potesta' legislativa e' circoscritta alla materia «ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato» (art. 117, comma 2, lett. g) - di intervenire su tali ambiti. Incostituzionale deve ritenersi anche il comma 8, dell'art. 4 censurato, laddove e' stato previsto che l'affidamento diretto dei servizi pubblici locali di rilevanza economica debba avvenire, previo rispetto dei requisiti richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria per la gestione in house, «a condizione che il valore economico del servizio o dei beni oggetto dell'affidamento sia complessivamente pari o inferiore a 200.000 euro annui». Ora, l'ambito materiale «servizi pubblici locali» non rientra tra quelli assegnati, ai sensi dell'art. 117, commi 2 e 3, alla legislazione statale, ne' esclusiva, ne' concorrente; pertanto, esso puo' essere ricondotto, ai sensi del comma 4 dello articolo della Costituzione, alla competenza legislativa residuale regionale, che risulta, quindi, violata dalla previsione di cui si discute. La disciplina in questione, inoltre, limitando gli affidamenti diretti alle sole ipotesi in cui il valore del bene o del servizio sia pari o inferiore a 200.000 euro, ancora l'affidamento stesso al rispetto di una soglia commisurata al valore dei servizi, il superamento della quale determina l'automatica l'esclusione della possibilita' di affidamenti diretti. Tale effetto, tuttavia, si concretizza a prescindere da qualsivoglia valutazione dell'ente locale e della Regione, e, dunque, in difformita' rispetto a quanto previsto dalla normativa comunitaria - con conseguente lesione indiretta dell'art. 117, comma 1, Cost. - la quale consente la gestione diretta del servizio pubblico da parte dell'ente locale, allorquando l'applicazione delle regole di concorrenza ostacoli, in diritto o in fatto, la «speciale missione» dell'ente pubblico (art. 106 TFUE). Cio' che determina, sotto connesso profilo, una menomazione della competenza residuale regionale in materia di servizi pubblici, nonche' la lesione, ad opera della disposizione gravata, della sfera di autonomia incomprimibile di cui gli enti locali godono in virtu' dell'art. 117, comma 6, Cost.. Peraltro, anche a ritenere che lo Stato goda, attraverso la tutela della concorrenza, di una competenza trasversale ed abbia la capacita' di incidere sulle modalita' di affidamento dei servizi pubblici locali, il legislatore statale non risulterebbe, comunque, competente ad intervenire su tale ambito in conseguenza dell'effetto vincolante che su di esso deriva dall'abrogazione, deliberata tramite i referendum popolari celebrati il 12 e 13 giugno 2011, di analoga disciplina legislativa statale, relativa alle modalita' di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. A tale riguardo si richiama la sentenza n. 199 del 2012, con la quale codesta Ecc.ma Corte ha dichiarato l'incostituzionalita' dell'art. 4, del decreto-legge n, 138 del 2011, disposizione che riproduceva, nella sostanza, la disciplina abrogata con i predetti referendum, reintroducendo illegittimamente misure volte a restringere, rispetto al livello minimo stabilito dalle regole concorrenziali comunitarie, le ipotesi di affidamento diretto e, in particolare, di gestione in house dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. Nemmeno si dica, infine, che il complessivo intervento realizzato dal legislatore statale mediante il piu' volte citato art. 4, possa essere configurato come legittimo esercizio della propria competenza legislativa concorrente in tema di «coordinamento della finanza pubblica», di cui all'art. 117, comma 3, Cost.. Infatti, attraverso la disciplina gravata lo Stato non solo ha inciso profondamente sull'assetto organizzativo regionale, rispetto al quale, tuttavia, lo stesso non puo' vantare alcuna competenza, ma e' altresi' intervenuto senza arrestare la propria competenza alla fissazione di norme di principio, come costantemente richiesto da codesta Corte (cfr., tra le altre, sent. n. 182 del 2011). E' pacifico, infatti, che le norme statali, quali quelle di cui si discute, che incidono in maniera puntuale e stringente su aspetti riconducibili all'ordinamento finanziario delle Regioni e degli enti locali, possono qualificarsi «principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica» ai sensi dell'art. 117, comma 3, Cost., solo ove «si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della finanza, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente e non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalita' per il perseguimento dei suddetti obiettivi» (sent. n. 193 del 2012; sent. n. 148 del 2012; conformi, ex plurimis, sentt. nn. 232 del 2011 e 326 del 2010). Ora, e' evidente come le previsioni contenute nell'intero decreto-legge n. 95 del 2012 e, in particolare, nel suo art. 4, non possano dirsi esclusivamente finalizzate al raggiungimento di obiettivi di riequilibrio finanziario - «intesi nel senso di un transitorio contenimento della spesa corrente», ne' lasciano margini di manovra alla Regione ricorrente in ordine alle scelte volte all'individuazione degli strumenti e modalita' per il perseguimento dei suddetti obiettivi, cosi' determinando, pertanto, una violazione della competenza concorrente in materia di coordinamento finanziario, garantita alla Regione Lazio dall'art. 117, comma 3, Cost., oltre che del principio di leale collaborazione, che deve sovrintendere i rapporti tra lo Stato e le Regioni e che e' ormai pacificamente considerato di rango costituzionale trovando diretto fondamento negli articoli 5 e 120 Cost. (ex plurimis, C. Cost. sentt. nn. 19 e 242 del 1997, n. 503 del 2000; n. 282 del 2002; n. 303 del 2003). Per tali ragioni, dunque, voglia codesta Ecc.ma Corte dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 4, del decreto-legge n. 95 del 2012, sotto i profili e per le ragioni dinanzi esposte. II. illegittimita' costituzionale dell'art. 9 (e, in particolare, dei commi 1, 2, 3e 4) del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, per violazione degli articoli 117, commi 4 e 6, e 123 Cost.. Parimenti incostituzionale risulta l'art. 9, comma 1, del decreto-legge n. 95 del 2012, che, nel dichiarato intento di realizzare il contenimento della spesa e il corrispondente conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, ha stabilito che «Regioni, Province e Comuni sopprimono o accorpano o, in ogni caso, assicurano, la riduzione dei relativi oneri finanziari in misura non inferiore al 20%, enti, agenzie e organismi comunque denominati [...] che esercitano, alla data di entrata in vigore del decreto, anche in via strumentale, funzioni fondamentali di cui all'art. 117, comma 2, lett. p) Cost., o funzioni amministrative spettanti a Comuni, province e Citta' metropolitane ai sensi dell'art. 118 della Costituzione». A tal fine, come gia' ricordato in narrativa, il legislatore ha previsto un'apposita procedura articolata in tre passaggi: a) ricognizione, entro tre mesi dall'entrata in vigore del decreto, di tutti gli «enti, agenzie e organismi» (comma 2); b) definizione, mediante intesa da adottarsi in sede di Conferenza Unificata, dei «criteri e della tempistica» per l'attuazione della norma (comma 3); c) soppressione ope legis di tutti gli enti, agenzie e organismi, con conseguente nullita' di tutti gli atti successivamente adottati, qualora le Regioni, le Province e i Comuni, decorsi nove mesi dalla data di entrata in vigore del decreto, non abbiano concretamente dato attuazione al precetto normativo (comma 4). Poste tali premesse, non sembra possa nutrirsi alcun dubbio sul fatto che la disciplina impugnata contrasti con gli art. 123 e 117, comma 4, Cost., incidendo indebitamente sulla sfera di autonomia organizzativa e di funzionamento dell'amministrazione regionale costituzionalmente garantita alla Regione Lazio. A tale proposito va ribadito che i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento attengono, ai sensi dell'art. 123 Cost., all'autonomia statutaria, nell'esercizio della quale la Regione Lazio ha individuato e disciplinato puntualmente una serie di strutture organizzative, quali le «Agenzie regionali» (art. 54 dello Statuto), gli «enti pubblici dipendenti dalla Regione» (Art. 55 dello Statuto), le «societa' ed altri enti privati a partecipazione regionale» (art. 56 dello Statuto), rimettendo alla legge regionale la disciplina relativa all'istituzione e al funzionamento di tali organismi. La materia «organizzazione amministrativa» della Regione, inoltre, ricade, in forza dell'art. 117, comma 4, Cost., nella potesta' legislativa residuale dell'Ente, che non ammette interferenze ad opera del legislatore statale. Sulla base di cio', deve concludersi che il censurato art. 9, commi 1, 2, 3 e 4 - per effetto del quale e' prevista la «soppressione» o l'«accorpamento» di enti, agenzie e organismi comunque denominati - e' incostituzionale per violazione dei citati articoli 123 e 117, comma 4, Cost., trattandosi di previsione che incide in via immediata sui predetti ambiti materiali di competenza regionale. L'incostituzionalita' dello stesso articolo rileva, altresi', sotto un ulteriore e concorrente profilo. Il comma 1, infatti, impone anche agli enti locali l'obbligo di soppressione o accorpamento di agenzie ed enti che esercitino funzioni fondamentali e funzioni loro conferite, in aperto contrasto con l'art. 117, comma 6, Cost, che riconosce, come noto, ai predetti enti la potesta' regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite, le quali possono essere svolte attraverso enti, agenzie ed organismi vari. La riforma del Titolo V, del resto, ha delineato un nuovo quadro delle funzioni e dei poteri dei Comuni e delle Province (e delle Citta' metropolitane), in forza del quale e' possibile individuare un fondamento di rango costituzionale alla disciplina delle funzioni e dell'organizzazione degli enti locali. Inoltre, la lesione delle menzionate sfere di autonomia costituzionale garantite in capo alle Regioni e agli enti locali, non puo' dirsi certamente esclusa dal fatto che il legislatore statale abbia previsto - ai fini dell'individuazione dei «criteri e della tempistica» per l'attuazione della norma - l'accordo in Conferenza Unificata e il richiamo al principio di leale collaborazione. Tali meccanismi di raccordo, infatti, si mostrano inidonei ad evitare le lesioni di competenza piu' sopra prospettate, ove si consideri che, per espressa previsione normativa (cfr., comma 4), si procedera' comunque alla soppressione ope legis di enti, agenzie ed organismi vari, con conseguente nullita' degli atti da essi adottati, qualora la Regione e gli enti locali laziali non abbiano dato, entro nove mesi dall'entrata in vigore del decreto - e, dunque, in un arco temporale ristretto - intera attuazione al dettato normativa statale. In argomento sia consentito altresi' censurare l'eccessiva astrattezza e genericita' del meccanismo volto ad individuare i «criteri e la tempistica» per l'attuazione della norma, ove si consideri che tali criteri saranno facilmente individuabili nelle sole ipotesi-limite di enti ed organismi che risultino, in maniera inequivocabile, inutili ed antieconomici. Nei restanti casi, tuttavia, appare francamente ardua la ricerca di presupposti univoci e precisi sulla cui base procedere, in vista dell'unica finalita' di riduzione del 20% degli oneri finanziari, alla soppressione o all'accorpamento degli organismi contemplati dalla norma. Ne' si dica, conclusivamente sul punto, che la richiamata disciplina statale - la quale fa leva su finalita' formalmente connesse al «coordinamento e al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica» - possa ritenersi legittimamente adottata dallo Stato nell'esercizio della propria competenza legislativa concorrente in tema di «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», prevista dall'art. 117, comma 3, Cost. e dall'art. 119, comma 2, Cost.. Al riguardo, infatti, e' sufficiente riportare quel che codesta Corte ha recentemente ribadito con la sent. n. 247/2010, ove si legge che: «in termini generali, va rilevato che questa Corte, con giurisprudenza costante (da ultimo, sentenze n. 52 del 2010 e n. 237 del 2009), ha ritenuto che, per individuare la materia in cui devono essere ascritte le disposizioni oggetto di censure, non assuma rilievo dirimente la mera qualificazione che di esse da' il legislatore (statale o regionale), ma occorra fare riferimento all'oggetto della disciplina stessa». E' di tutta evidenza che, nel caso de quo, il legislatore ordinario non e' intervenuto, se non in termini meramente marginali e riflessi, sulla materia «coordinamento della finanza pubblica» - rispetto alla quale, peraltro, lo Stato dovrebbe in ogni caso limitarsi a dettare esclusivamente norme di principio e non di dettaglio come nella presente circostanza. In realta', l'«oggetto della disciplina» impugnata e', ben diversamente, rappresentato da un vasto e profondo intervento modificativo dell'assetto organizzativo regionale, rispetto al quale, tuttavia, lo Stato - a differenza della Regione ricorrente - non puo' vantare alcuna competenza. Si insiste, pertanto, alla luce delle considerazioni che precedono, affinche' codesta Ecc.ma Corte dichiari l'illegittimita' costituzionale della disciplina recata dall'art. 9, decreo-legge n. 95 del 2012, e, in particolare, dei suoi commi 1, 2, 3 e 4, per contrasto con gli articoli 123 e 117, commi 4 e 6, Cost., e conseguente lesione della sfera di autonomia costituzionalmente garantita alla Regione ricorrente ed ai suoi enti locali. III. Illegittimita' costituzionale dell'art. 17 (in particolare dei commi 1, 2, 3 e 4) del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, per violazione degli articoli 77, 114, 117 comma 3 e 133 cost.. L'art. 17, comma 1, del decreto-legge oggetto di censura ha previsto, come ricordato in precedenza, il «riordino» delle Province e delle rispettive funzioni, sulla base di criteri relativi alla dimensione territoriale o alla popolazione residente, da determinarsi con deliberazione governativa, attraverso un iter che, in estrema sintesi, affida ai Consigli delle autonomie locali il compito di individuare una «ipotesi di riordino» da inviare alla Regione (che, poi, trasmette la proposta al Governo), al termine del quale il riordino dovra' essere disposto con atto legislativo di iniziativa governativa. E' gia' stato rilevato in narrativa come il procedimento finalizzato ad individuare le varie «ipotesi di riordino» preveda tempistiche molto stringenti per i Comuni, i Consigli delle autonomie locali e le Regioni e che, ciononostante, il legislatore abbia comunque stabilito di procedere - anche ove le proposte di riordino non pervengano al Governo nei termini indicati dal decreto - alla razionalizzazione territoriale delle Province (con normativa statale, previo parere della Conferenza Unificata) (commi 3 e 4). In via preliminare, la Regione Lazio rileva la sussistenza della propria legittimazione ad impugnare il censurato art. 17, tanto alla luce del combinato disposto di cui agli articoli 32, 1. n. 87/1953, come modificato dalla l. cost. n. 3 del 2001, e 41, comma 4, dello Statuto laziale (che consentono di sollevare la questione di legittimita' costituzionale di norme statali «anche su proposta del Consiglio delle autonomie locali»), quanto in forza della giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte, che ha riconosciuto espressamente alle Regioni la legittimazione «a denunciare la legge statale anche per la lesione delle attribuzioni degli enti locali, indipendentemente dalla prospettazione della violazione della competenza legislativa regionale» (cit., sent. 298 del 2009). La legittimazione alla presente impugnativa discende, in capo alla Regione Lazio, altresi' dall'art. 133 Cost., che riconosce a quest'ultima un ruolo rilevante nel processo di modifica delle circoscrizioni provinciali. Cio' posto, la disciplina di riordino contenuta nell'art. 17, del decreto-legge n. 95 del 2012, si mostra manifestamente illegittima sotto una pluralita' di profili, anzitutto per violazione dell'art. 133 Cost., ai sensi del quale: «Il mutamento delle circoscrizioni provinciali e la istituzione di nuove Province nell'ambito di una Regione sono stabiliti con legge della Repubblica. su iniziativa dei Comuni, sentita la stessa Regione», sol che si consideri la divergenza tra il procedimento costituzionale appena menzionato e quello disciplinato dall'articolo gravato. Infatti, mentre la Costituzione subordina espressamente l'istituzione e i mutamenti territoriali provinciali all' «iniziativa dei Comuni», riconoscendo alle Regioni un ruolo rilevante, l'art. 17 prevede, di converso, un meccanismo che estromette del tutto le iniziative c.d. «dal basso» e che svilisce la funzione regionale. Il legislatore statale, infatti, ha riconosciuto al Consiglio dei ministri il potere di determinare con propria delibera «il riordino delle Province sulla base di requisiti minimi, da individuarsi nella dimensione territoriale e nella popolazione residente» in ciascuna di esse, in spregio, tra l'altro, all'orientamento giurisprudenziale di questa Corte, secondo cui ogni compromissione dell'assetto costituzionale non puo' non tener conto delle realta' locali e delle effettive esigenze delle popolazioni direttamente interessate (cfr., sent. nn. 279 del 1994 e 453 del 1989). L'illegittimita' di tale disciplina, peraltro, non viene meno neanche alla luce della previsione (introdotta in sede di conversione) secondo cui: «le ipotesi e le proposte di riordino tengono conto delle eventuali iniziative comunali f...] esistenti alla data di adozione» della deliberazione del C.d.M.. Le previste «iniziative comunali», infatti, sono svuotate di qualsivoglia reale contenuto, come confermato dal Dipartimento delle Riforme Istituzionali con nota del 3.8.2012. Sul punto il Governo ha chiarito, infatti, che saranno prese in considerazione solo quelle «iniziative gia' formalizzate alla data 24 luglio 2012» e che, inoltre, «resta fermo che tali iniziative non hanno l'effetto di far ottenere ne' perdere alle suddette Province i requisiti minimi di dimensione territoriale e demografica prescritti dalla deliberazione» del Consiglio dei Ministri (doc. 3). Le norme oggetto di censura, inoltre, lungi dal concretizzare l'esercizio legittimo della competenza concorrente statale in materia di «coordinamento della finanza pubblica», prevista dall'art'art. 117, comma 3, Cost. (che risulta, quindi, leso dalla normativa impugnata) non si limitano affatto ad un «transitorio» contenimento complessivo della spesa (cfr. Corte cost., sent. n. 326 del 2010), ma intervengono in maniera strutturale e definitiva sull'assetto di ordinamenti intermedi, pariordinati allo Stato e titolari di prerogative tutelate costituzionalmente. Cio' comporta, all'evidenza, la violazione dell'art. 114 Cost., che assegna un ruolo ben determinato alle Province, qualificandole come enti territoriali autonomi e costitutivi della Repubblica, equiordinati rispetto ai Comuni, alle Citta' metropolitane, alle Regioni, nonche' allo Stato, dotati di propri «statuti, poteri e funzioni secondo quanto previsto dalla Costituzione» (ferma restando la differenziazione di funzioni), la cui esistenza e autonomia e' costituzionalmente garantita e sottratta alle scelte del legislatore ordinario. Del resto, proprio in merito ai provvedimenti legislativi inerenti ai tagli dei costi della politica, codesta Ecc.ma Corte ha recentemente richiamato l'attenzione del legislatore statale al rispetto dei principi fondamentali che la Costituzione pone a garanzia degli enti territoriali (cfr., Corte cost., sent. n. 151 del 2012). L'incostituzionalita' dell'art. 17 rileva, inoltre, anche in riferimento alla lesione del principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. - lesione che ridonda in una grave violazione delle prerogative costituzionali riconosciute alle Province e alle Regioni dagli artt. 114 e 133 Cost.. A tale riguardo sia sufficiente evidenziare che la tempistica prevista per gli adempimenti della Regione e dei Consigli delle Autonomie locali dai commi 3 e 4 dell'art. 17, che qui si impugnano, e' cosi' stringente da rendere di fatto impossibile l'adozione della legge statale di riordino con le acquisizioni degli apporti di tali enti. A quanto sinora evidenziato si aggiunga, inoltre, la violazione ad opera del censurato art. 17, degli articoli 77 e 72, comma 4, Cost., la quale ridonda in una lesione degli articoli 114 e 133 Cost., e, dunque, della sfera di autonomia costituzionalmente garantita in capo alle Province e alle Regioni. In proposito sia sufficiente rilevare che lo strumento del decreto-legge non puo' essere utilizzato, in forza del disposto di cui all'art. 77 Cost., in assenza dei presupposti straordinari di necessita' ed urgenza. Ebbene, la natura strutturale dell'intervento operato dallo Stato esclude, di per se', la ravvisabilita' dei suddetti presupposti; ne' la semplice immissione di siffatta disciplina nel corpo di un decreto-legge teleologicamente unitario, finalizzato alla riduzione della spesa pubblica, vale a trasmetterle, per cio' solo, il carattere di urgenza eventualmente proprio delle altre disposizioni, come affermato dalla giurisprudenza costante di questa Corte. La verita' e' che non sussiste, nel caso di specie, alcuna plausibile ragione che possa legittimare l'utilizzo del decreto-legge nonche' giustificare la palese difformita' fra il procedimento di riordino previsto dal decreto e la ben diversa procedura di modifica dei territori delle Province disciplinata dalla Costituzione. La riforma de qua, diversamente da quanto accaduto, avrebbe senz'altro richiesto l'utilizzo di strumenti normativi idonei a preservare le garanzie procedurali e partecipative imposte dal Costituente a tutela dei diversi livelli di governo coinvolti. L'assetto delle fonti normative, del resto, e' uno dei principali elementi che caratterizzano la forma di governo nel sistema costituzionale, in quanto immediatamente correlato alla tutela dei valori e dei diritti fondamentali, come affermato da codesta Ecc. ma Corte, la quale, con giurisprudenza immutata dal 1995, ha ribadito che «l'adozione delle norme primarie spetta agli organi il cui potere deriva direttamente dal popolo», riservandosi il potere di sottoporre a scrutinio di costituzionalita' i provvedimenti provvisori del Governo sotto il profilo dell' «esistenza dei requisiti della straordinarieta' del caso di necessita' e d'urgenza» di cui all'art. 77 Cost. (cfr., tra le altre, sent. n. 171 del 2007). A partire dalla nota sentenza n. 29 del 1995, inoltre, e' consolidato nel nostro ordinamento il principio secondo cui il difetto dei requisiti della straordinarieta' e urgenza, una volta intervenuta la conversione, «si' traduce in un vizio in procedendo della relativa legge», principio ribadito anche con la sentenza n. 341 del 2003. E cio' e' esattamente quanto si verifica nel caso di specie. Sul punto va pure evidenziato, correlativamente, che l'art. 15, della l. n. 400 del 1988 («Disciplina dell'attivita' di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri»), sottrae alla decretazione d'urgenza quelle materie - puntualmente indicate dall'art. 72, comma 4, Cost. (parimenti leso dalla disciplina impugnata) - coperte da «riserva d'assemblea», tra le quali rientra, come noto, la materia «costituzionale». Sebbene tale atto normativa non possa assurgere a parametro di legittimita' costituzionale, esso tuttavia costituisce esplicitazione della ratio sottesa all'art. 77 Cost., confermando, per un verso, che i provvedimenti d'urgenza sono eccezioni all'ordinario funzionamento del sistema (in funzione della necessita' di fronteggiare circostanze del tutto straordinarie in relazione alle quali il sistema delle fonti risulta inadeguato); per altro verso, che le materie qualificanti il nostro ordinamento giuridico non possono essere normate attraverso lo strumento del decreto-legge. Poste tali premesse e' evidente, quindi, come l'intervento di razionalizzazione territoriale delle Province disposto dal decreto-legge n. 95 del 2012 esuli completamente dall'ambito di applicazione dell'art. 77 Cost.. In argomento puo' concludersi, dunque, che il censurato art. 17, introducendo - con uno strumento improprio adottato in evidente carenza dei presupposti richiesti dalla Costituzione - una nuova disciplina «a regime» che incide profondamente sull'ordinamento delle Province, enti autonomi intermedi equiordinati allo Stato, viola patentemente gli articoli 77 e 72, comma 4, Cost.. Violazione, questa, che si riflette in una lesione degli articoli 114 e 133 Cost., con conseguente menomazione delle prerogative tutelate costituzionalmente in capo alle Province e alla Regione ricorrente, la quale e' stata, in difformita' dal dettato costituzionale, illegittimamente estromessa dal procedimento di modifica delle circoscrizioni provinciali. Si insiste, pertanto, alla luce di tutte le considerazioni che precedono, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 17, del decreto-legge n. 95 del 2012. IV. Illegittimita' costituzionale dell'art. 18, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, per violazione dell'art. 77, cost. e conseguente lesione dell'art. 114 cost.. Considerazioni in tutto analoghe a quelle appena svolte con riferimento alla violazione dell'art. 77, Cost., valgono in relazione all'art. 18, del decreto-legge gravato, che ha previsto la soppressione delle Province di Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria, con contestuale istituzione delle corrispondenti Citta' Metropolitane, a far data dal 1° gennaio 2014. L'incostituzionalita' della disposizione impugnata rileva sotto un duplice profilo: per un verso, infatti, e' stata prevista, con decreto-legge e in assenza dei requisiti di necessita' e urgenza, la soppressione di talune Province, la cui esistenza e autonomia, come detto, e' costituzionalmente garantita e sottratta alle scelte del legislatore ordinario dall'art. 114 Cost.; per altro verso, l'istituzione delle Citta' metropolitane, materia coperta da «riserva d'assemblea» ex art. 72, comma 4, Cost., si configura quale adempimento costituzionale irrealizzabile per mezzo dello strumento della decretazione d'urgenza (cfr., tra l'altro, art. 15, l. n. 400 del 1988) il ricorso al quale, come chiarito piu' volte da codesta Ecc.ma Corte, va escluso con riferimento ad interventi, quale quello esaminato, volti all'inserimento di una nuova disciplina «a regime» nel nostro ordinamento giuridico (cfr., Corte cost., sent. 22 del 2012). Cio' che determina, sotto gli enunciati aspetti, la manifesta incostituzionalita' dell'art. 18, del decreto-legge censurato. V. Illegittimita' costituzionale dell'art. 19, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, per violazione del combinato disposto di cui agli articoli 117, commi 3 e 4, 117, comma 2, lett. p) cost.. L'art. 19, del decreto-legge n. 95 del 2012, realizza un ampio intervento in materia di organizzazione e funzioni dei Comuni, introducendo diverse modifiche al decreto-legge n. 78 del 2010. Il comma 1, lett. a), di tale articolo, come gia' evidenziato in narrativa, sostituisce il comma 27, dell'art. 14, del decreto-legge da ultimo citato, con conseguente ridefinizione delle «funzioni fondamentali dei Comuni, ai sensi dell 'art. 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione». Alla lett. b), il medesimo comma 1 sostituisce il comma 28, dell'art. 14, del decreto-legge n. 78 del 2010, disponendo, con riferimento ai Comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, l'esercizio obbligatorio in forma associata delle funzioni fondamentali, mediante unione di comuni o convenzioni di durata triennale. Viene confermato, inoltre, per i Comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti, l'obbligo, gia' prescritto dal comma 17, lett. a), dell'art. 16, del decreto-legge n. 138 del 2011, di esercitare obbligatoriamente in forma associata, mediante unione, tutte le funzioni amministrative e tutti i servizi pubblici loro spettanti. La disposizione impugnata aggiunge, infine, che le Regioni, nelle materie di cui all'art. 117, commi 3 e 4, Cost., individuano le dimensioni territoriali ottimali per l'esercizio delle funzioni in forma obbligatoriamente associata, mediante unioni e convenzioni. Cio' premesso, tutta la riferita disciplina e' da ritenersi illegittima per violazione del combinato disposto degli artt. 117, comma 2, lett. p), e 117, commi 3 e 4, Cost., con conseguente lesione di sfere di competenza costituzionalmente assegnate alla Regione ricorrente. In forza delle disposizioni appena menzionate, infatti, la regolazione delle associazioni degli enti locali va ricondotta alla competenza normativa della Regione e non gia' dello Stato - che deve invece limitarsi a stabilire la disciplina in tema di «legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Citta' metropolitane», restando evidentemente esclusi da tale «voce» tutti gli aspetti riguardanti l'associazionismo di tali enti. In questi termini si e' espressa, del resto, la costante giurisprudenza costituzionale sul punto: a partire dalle senti. n. 229/2001, 244/2005 e 456/2005, codesta Ecc.ma Corte ha posto in luce che l'elencazione degli enti, e degli aspetti della loro disciplina, contenuta nell'art. 117, comma 2, lett. p), assume carattere puntuale. Infatti, nella sent. n. 456/2005 - riferita alle comunita' montane ma da intendersi estesa ad ogni forma di associazionismo tra enti locali - si sottolinea che nella norma costituzionale da ultimo citata, l'indicazione degli enti rispetto ai quali viene individuata la competenza statale, ossia Comuni, Province e Citta' metropolitane, deve ritenersi «tassativa»: «da qui la conseguenza che la disciplina delle Comunita' montane, pur in presenza della loro qualificazione come enti locali contenuta nel decreto legislativo n. 267 del 2000, rientra ora nella competenza legislativa residuale delle Regioni, ai sensi dell'art. 117, quarto comma, della Costituzione». Da cio' deriva, all'evidenza, l'illegittimita' costituzionale del censurato art. 19, del decreto-legge n. 95 del 2012, per violazione del combinato disposto degli articoli 117, comma e, lett. p) e 117, commi 3 e 4, della Costituzione, atteso che la materia concernente l'associazionismo degli enti locali va ricondotta alla competenza legislativa residuale della Regione Lazio, rispetto alla quale il legislatore statale non ha titolo per intervenire.
P. Q. M. Voglia codesta Ecc.ma Corte, ogni contraria istanza e deduzione disattesa, in accoglimento del presente ricorso, dichiarare l'illegittimita' costituzionale del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini», convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, limitatamente agli articoli 4, 9, 17, 18 e 19, sotto tutti i profili e per le ragioni dinanzi esposte. Roma, 11 ottobre 2012 Prof. avv.: Marini