N. 151 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 17 ottobre 2012

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 17 ottobre 2012 (della Regione Veneto). 
 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  revisione  della  spesa  pubblica  -  Obbligo  per  le  Regioni  di
  procedere allo scioglimento, o in alternativa, alla privatizzazione
  di tutte le societa' direttamente o indirettamente controllate, che
  abbiano conseguito nell'anno 2011 un fatturato  di  prestazioni  di
  servizi in  favore  della  p.a.  superiore  al  novanta  per  cento
  dell'intero fatturato - Ricorso della Regione Veneto  -  Denunciata
  violazione   dell'autonomia   finanziaria,   organizzativa   e   di
  funzionamento delle Regioni e di enti pubblici  regionali,  nonche'
  di servizi pubblici locali - Denunciata violazione dei principi  di
  ragionevolezza, di buon andamento della pubblica amministrazione  e
  di  leale  collaborazione  -  Denunciata  violazione  di   obblighi
  internazionali  derivanti  dal  diritto  comunitario,  in  tema  di
  affidamenti in house. 
- Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 4, commi 1, 2 e 3. 
- Costituzione, artt. 3, 5, 117, commi primo, terzo, quarto e  sesto,
  118, 119 e 120. 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  revisione  della  spesa   pubblica   -   Riserva   al   Commissario
  straordinario per la razionalizzazione della spesa  per  l'acquisto
  di beni e servizi di poteri in ordine all'approvazione dei piani di
  ristrutturazione e razionalizzazione predisposti dalla  Regione  in
  relazione alle sopra menzionate societa' -  Ricorso  della  Regione
  Veneto  -   Denunciata   violazione   dell'autonomia   finanziaria,
  organizzativa e di funzionamento delle Regioni e di  enti  pubblici
  regionali,  nonche'  di  servizi  pubblici  locali   -   Denunciata
  violazione dei principi di ragionevolezza, di buon andamento  della
  pubblica amministrazione e di  leale  collaborazione  -  Denunciata
  violazione  di  obblighi  internazionali  derivanti   dal   diritto
  comunitario, in tema di affidamenti in house. 
- Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 4, comma 3-sexies. 
- Costituzione, artt. 3, 5, 97, 117, commi  primo,  terzo,  quarto  e
  sesto, 118, 119 e 120. 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  revisione della spesa pubblica - Societa' controllate  direttamente
  od indirettamente dalle pubbliche  amministrazioni  -  Disposizioni
  relative alla composizione ed  al  funzionamento  dei  consigli  di
  amministrazione  -  Ricorso  della  Regione  Veneto  -   Denunciata
  violazione   dell'autonomia   finanziaria,   organizzativa   e   di
  funzionamento delle Regioni e di enti pubblici  regionali,  nonche'
  di servizi pubblici locali - Denunciata violazione dei principi  di
  ragionevolezza, di buon andamento della pubblica amministrazione  e
  di  leale  collaborazione  -  Denunciata  violazione  di   obblighi
  internazionali  derivanti  dal  diritto  comunitario,  in  tema  di
  affidamenti in house. 
- Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 4, commi 4 e 5. 
- Costituzione, artt. 3, 5, 97, 117, commi  primo,  terzo,  quarto  e
  sesto, 118, 119 e 120. 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  revisione della  spesa  pubblica  -  Previsione  che  le  pubbliche
  amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del d.lgs  n.  165/2001
  possono acquisire a titolo oneroso servizi di qualsiasi tipo, anche
  in base a convenzioni, da enti di diritto privato di cui agli artt.
  da 13 a 42 c.c. esclusivamente in base a procedure  previste  dalla
  normativa nazionale con la disciplina comunitaria -  Ricorso  della
  Regione Veneto - Denunciata violazione dell'autonomia  finanziaria,
  organizzativa e di funzionamento delle Regioni e di  enti  pubblici
  regionali,  nonche'  di  servizi  pubblici  locali   -   Denunciata
  violazione dei principi di ragionevolezza, di buon andamento  della
  pubblica amministrazione e di  leale  collaborazione  -  Denunciata
  violazione  di  obblighi  internazionali  derivanti   dal   diritto
  comunitario, in tema di affidamenti in house. 
- Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 4, comma 6. 
- Costituzione, artt. 3, 5, 97, 117, commi  primo,  terzo,  quarto  e
  sesto, 118, 119 e 120. 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  revisione della spesa pubblica - Limitazione  dell'affidamento  dei
  sevizi pubblici locali alle sole ipotesi in cui il valore economico
  del servizio sia complessivamente pari o inferiore a  200.000  euro
  annui -  Ricorso  della  Regione  Veneto  -  Denunciata  violazione
  dell'autonomia finanziaria, organizzativa e di funzionamento  delle
  Regioni e di enti pubblici regionali, nonche' di  servizi  pubblici
  locali - Denunciata violazione dei principi di  ragionevolezza,  di
  buon  andamento  della  pubblica   amministrazione   e   di   leale
  collaborazione - Denunciata violazione di  obblighi  internazionali
  derivanti dal diritto comunitario, in tema di affidamenti in house. 
- Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 4, commi 7, 8 e 8-bis. 
- Costituzione, artt. 3, 5, 97, 117, commi  primo,  terzo,  quarto  e
  sesto, 118, 119 e 120. 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  revisione della spesa  pubblica  -  Societa'  di  cui  al  comma  1
  dell'art. 4 - Previste  limitazioni  in  ordine  all'assunzione  di
  personale ed al relativo  trattamento  economico  -  Ricorso  della
  Regione Veneto - Denunciata violazione dell'autonomia  finanziaria,
  organizzativa e di funzionamento delle Regioni e di  enti  pubblici
  regionali,  nonche'  di  servizi  pubblici  locali   -   Denunciata
  violazione dei principi di ragionevolezza, di buon andamento  della
  pubblica amministrazione e di  leale  collaborazione  -  Denunciata
  violazione  di  obblighi  internazionali  derivanti   dal   diritto
  comunitario, in tema di affidamenti in house. 
- Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 4, commi 9, 10, 11 e 12. 
- Costituzione, artt. 3, 5, 97, 117, commi  primo,  terzo,  quarto  e
  sesto, 118, 119 e 120. 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  revisione della spesa pubblica -  Previsione  che  le  disposizioni
  dell'art. 4 non si applicano alle societa' quotate in borsa ed alle
  loro controllate  -  Ricorso  della  Regione  Veneto  -  Denunciata
  violazione   dell'autonomia   finanziaria,   organizzativa   e   di
  funzionamento delle Regioni e di enti pubblici  regionali,  nonche'
  di servizi pubblici locali - Denunciata violazione dei principi  di
  ragionevolezza, di buon andamento della pubblica amministrazione  e
  di  leale  collaborazione  -  Denunciata  violazione  di   obblighi
  internazionali  derivanti  dal  diritto  comunitario,  in  tema  di
  affidamenti in house. 
- Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 4, comma 13. 
- Costituzione, artt. 3, 5, 97, 117, commi  primo,  terzo,  quarto  e
  sesto, 118, 119 e 120. 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  revisione della spesa  pubblica  -  Previsto  divieto,  a  pena  di
  nullita', di inserire clausole arbitrali in sede di applicazione di
  contratti di servizio ovvero di  atti  convenzionali  intercorrenti
  tra societa' a totale partecipazione pubblica, diretta o indiretta,
  e amministrazioni statali e regionali e perdita di efficacia  delle
  clausole stesse ove gia' previste - Ricorso della Regione Veneto  -
  Denunciata violazione dell'autonomia finanziaria,  organizzativa  e
  di funzionamento  delle  Regioni  e  di  enti  pubblici  regionali,
  nonche' di servizi pubblici  locali  -  Denunciata  violazione  dei
  principi  di  ragionevolezza,  di  buon  andamento  della  pubblica
  amministrazione e di leale collaborazione -  Denunciata  violazione
  di obblighi internazionali derivanti dal  diritto  comunitario,  in
  tema di affidamenti in house. 
- Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 4, comma 14. 
- Costituzione, artt. 3, 5, 97, 117, commi  primo,  terzo,  quarto  e
  sesto, 118, 119 e 120. 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  revisione  della  spesa  pubblica  -  Previsione  che  le  Regioni,
  Province  e  Comuni  sopprimono  o  accorpano  o,  in  ogni   caso,
  assicurano la riduzione dei relativi oneri  finanziari,  in  misura
  non inferiore al 20per cento, enti, agenzie  e  organismi  comunque
  denominati che esercitano, alla  data  di  entrata  in  vigore  del
  decreto-legge  impugnato,  anche  in  via   strumentale,   funzioni
  fondamentali di cui all'art. 117, comma secondo,  lett.  p),  della
  Costituzione,  o  funzioni  amministrative  spettanti   a   Comuni,
  Province e  Citta'  metropolitane  ai  sensi  dell'art.  118  della
  Costituzione - Previsione di apposita procedura articolata  in  tre
  fasi: a) ricognizione, entro tre mesi dall'entrata  in  vigore  del
  decreto-legge impugnato, di tutti gli enti, agenzie  ed  organismi;
  b) definizione mediante intese da adottarsi in sede  di  Conferenza
  unificata dei costi e  delle  tempistiche  per  l'attuazione  delle
  norme; c) soppressione ope legis di  tutti  gli  enti,  agenzie  ed
  organismi,   con   conseguente   nullita'   di   tutti   gli   atti
  successivamente adottati, qualora le  Regioni,  le  Province  ed  i
  Comuni, decorsi nove mesi dall'entrata in vigore del  decreto,  non
  abbiano dato attuazione  al  precetto  normativo  -  Ricorso  della
  Regione Veneto - Denunciata violazione dell'autonomia  finanziaria,
  organizzativa e di funzionamento delle Regioni e di  enti  pubblici
  regionali, nonche' di servizi pubblici locali. 
- Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 9. 
- Costituzione, artt. 3, 97, 117, 118 e 119. 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  revisione della spesa  pubblica  -  Patto  Governo-Regioni  per  il
  trasporto pubblico locale - Previsione che le risorse del fondo  di
  cui agli artt. 21, comma 3, del d.l. n. 98 del 2011, e 30, comma 3,
  del d.l. n. 201 del 2011, convertito in legge n. 214 del 2011, e le
  risorse derivanti dalla compartecipazione  al  gettito  dell'accisa
  sul gasolio, prevista dall'art. 1, commi da 295 a 297, della  legge
  n. 244 del 2007, una volta definiti i criteri di cui  al  comma  1,
  non possono essere destinate a  finalita'  diverse  da  quelle  del
  finanziamento del trasporto pubblico locale,  anche  ferroviario  -
  Ricorso della Regione Veneto - Denunciata violazione dell'autonomia
  finanziaria, organizzativa e di funzionamento delle  Regioni  e  di
  enti pubblici regionali, nonche' di servizi pubblici locali. 
- Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 16-bis, comma 2. 
- Costituzione, artt. 117 e 119,  in  riferimento  all'art.  7  della
  legge 5 maggio 2009, n. 42 e all'art. 1 del d.lgs. 6  maggio  2011,
  n. 68. 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  revisione della spesa pubblica - Riordino  delle  Province  e  loro
  funzioni - Previsione del  riordino  di  tutte  le  Province  delle
  Regioni a statuto ordinario, mediante decreto  da  emanarsi,  entro
  dieci giorni dall'entrata in vigore  del  decreto-legge  impugnato,
  con deliberazione  del  Consiglio  dei  ministri,  sulla  base  dei
  requisiti minimi da individuarsi nella  dimensione  territoriale  e
  nella popolazione residente in ciascuna provincia (individuati  con
  la deliberazione  predetta,  rispettivamente,  in  2500  km.  e  in
  350.000 abitanti)  -  Prevista  partecipazione  al  riordino  delle
  Province  mediante  atto  legislativo  ad  iniziativa  governativa,
  all'esito di una  procedura  cui  partecipano  il  Consiglio  delle
  autonomie locali delle singole Regioni a  statuto  ordinario  e  le
  Regioni stesse mediante la presentazione di ipotesi di  riordino  e
  previo parere della Conferenza unificata -  Ricorso  della  Regione
  Veneto  -  Denunciata  violazione  del   principio   di   autonomia
  costituzionale degli enti territoriali, nella specie delle Province
  - Lesione del principio di ragionevolezza  per  l'adozione  di  una
  misura  sproporzionata  e  non  efficace  rispetto  alla  finalita'
  dichiarata dalla  normativa  impugnata  di  riduzione  della  spesa
  pubblica - Denunciata violazione dei  presupposti  di  legittimita'
  costituzionale della straordinarieta' ed urgenza per l'adozione del
  decreto-legge - Denunciata violazione  dell'assetto  costituzionale
  ed  ordinamentale  della  Regione  -  Denunciata   violazione   del
  principio  di  buon  andamento  della  pubblica  amministrazione  -
  Denunciata violazione  dell'autonomia  regionale  in  relazione  ai
  principi di sussidiarieta' verticale e di adeguatezza -  Denunciata
  lesione della potesta' regolamentare delle  Province  -  Denunciata
  violazione dell'autonomia finanziaria ed amministrativa regionale -
  Violazione del principio costituzionale della partecipazione  della
  popolazione  interessata  alla   procedura   di   mutamento   delle
  circoscrizioni provinciali e degli altri enti territoriali previsti
  dalla Costituzione - Istanza di sospensione. 
- Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 17. 
- Costituzione, artt. 3, 5, 77, 97, 114, 117, 118, 119, 132 e 133. 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  revisione della spesa pubblica -  Soppressione  delle  Province  di
  Roma, Torino, Milano,  Venezia,  Genova,  Bologna,  Firenze,  Bari,
  Napoli  e  Reggio  Calabria  con  contestuale   istituzione   delle
  corrispondenti Citta' metropolitane a far data dal 1° gennaio  2014
  -  Ricorso  della  Regione  Veneto  -  Denunciata  violazione   del
  principio di autonomia costituzionale  degli  enti  territoriali  -
  Denunciata   violazione    dei    presupposti    di    legittimita'
  costituzionale della straordinarieta' ed urgenza per l'adozione del
  decreto-legge  -  Denunciata  violazione  del  principio  di   buon
  andamento della pubblica amministrazione  -  Denunciata  violazione
  dell'autonomia finanziaria ed amministrativa regionale - Violazione
  del principio costituzionale della partecipazione della popolazione
  interessata  alla  procedura  di  mutamento  delle   circoscrizioni
  provinciali  e  degli  altri  enti  territoriali   previsti   dalla
  Costituzione - Istanza di sospensione. 
- Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 18. 
- Costituzione, artt. 3, 5, 77, 97, 114, 117, 118, 119, 132 e 133. 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  revisione della spesa pubblica -  Riorganizzazione  delle  funzioni
  fondamentali dei Comuni ai  sensi  dell'art.  117,  comma  secondo,
  lett.  p),  della  Costituzione  -  Previsione  per  i  Comuni  con
  popolazione inferiore ai 5000 abitanti dell'esercizio  obbligatorio
  in forma associata delle funzioni fondamentali,  mediante  riunione
  dei comuni o convenzioni di durata triennale  -  Previsione  per  i
  Comuni con  popolazione  fino  a  1000  abitanti,  dell'obbligo  di
  esercizio in forma associata, mediante unione di tutte le  funzioni
  amministrative e di tutti i servizi pubblici ad  essi  spettanti  -
  Previsione che le Regioni, nelle materie di cui all'art. 117, commi
  terzo e  quarto,  della  Costituzione,  individuano  le  dimensioni
  territoriali ottimali  per  l'esercizio  delle  funzioni  in  forma
  obbligatoriamente  associata,  mediante  unioni  e  convenzioni   -
  Ricorso della Regione Veneto - Denunciata violazione del  principio
  di buon  andamento  della  pubblica  amministrazione  -  Denunciata
  violazione dell'autonomia finanziaria ed amministrativa regionale -
  Denunciata  violazione  della  sfera  di  competenza  regionale  in
  materia  di  associazionismo  degli  enti  locali  -   Istanza   di
  sospensione. 
- Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 19. 
- Costituzione, artt. 3, 97, 114, 117, commi secondo, lett. p), terzo
  e quarto, 118 e 119. 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  revisione della spesa pubblica - Valorizzazione  e  dismissione  di
  immobili pubblici -  Previsione  che  la  totalita'  delle  risorse
  rivenienti dalla valorizzazione ed alienazione  degli  immobili  di
  proprieta' delle Regioni e degli enti locali  trasferiti  ai  fondi
  comuni di investimento immobiliare e' destinata alla riduzione  del
  debito dell'ente e, solo in assenza del debito, o comunque  per  la
  parte eventualmente eccedente, a spese di  investimento  -  Ricorso
  della Regione Veneto - Denunciata violazione del principio di  buon
  andamento della pubblica amministrazione  -  Denunciata  violazione
  dell'autonomia finanziaria ed amministrativa regionale - Denunciata
  violazione della sfera di competenza regionale in materia di beni e
  patrimonio della Regione e degli enti locali. 
- Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 23-ter, comma 1, lett. g). 
- Costituzione, artt. 3, 97, 117, 118 e 119. 
(GU n.48 del 5-12-2012 )
    Ricorso   della   Regione   Veneto   (cif.   80007580279;   p.iva
02392630279), in persona del  Presidente  pro  tempore  della  Giunta
Regionale, rappresentata e difesa, giusta deliberazione della  Giunta
regionale n. 1943 del 2 ottobre 2012 e procura speciale a margine del
presente atto, dagli avv.ti prof. Mario Bertolissi del Foro di Padova
(c.f.       BRT       MRA       48T28       L483       I;        pec:
mario.bertolissi@ordineavvocatipadova.it; fax: 049 836 09  38),  Ezio
Zanon dell'Avvocatura regionale del Veneto (c.f. ZNN ZEI  57L07  B563
K; pec:  ezio.zanon@coavenezia.it;  fax:  041  279  49  12),  Daniela
Palumbo della Direzione Regionale Affari Legislativi  (c.f.  PLM  DNL
57D69 A266 Q; fax: 041 279 49 29) ed Andrea Manzi del  Foro  di  Roma
(c.f. MNZ NDR 64T26 I804 V; pec: andrearnanzi@ordineavvocatiroma.org;
fax: 06 321 13 70), ricorrente in via principale; 
    Contro il Presidente del  Consiglio  dei  Ministri  pro  tempore,
rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale  dello  Stato
(c.f. 80224030587), ed ivi ex lege  domiciliato,  in  Roma,  via  dei
Portoghesi n. 12, resistente in via principale. 
    Per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale: 
        degli artt. 4, 9, 16-bis, 17,  18,  19  e  23-ter,  comma  1,
lettera g), del  decreto-legge  6  luglio  2012,  n.  95,  cosi  come
risultanti dalla conversione, con modificazioni, nella legge 7 agosto
2012, n. 135 (Disposizioni  urgenti  per  la  revisione  della  spesa
pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini),  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n.  189  del  14  agosto
2012; 
        per violazione degli artt. 3, 5, 77, 97, 114, 117, 118,  119,
120, 132 e 133 Cost., del principio di leale  collaborazione  di  cui
agli artt. 5 e 120 Cost., della l. cost. n.  3/2001  e  della  l.  n.
42/2009. 
 
                              F a t t o 
 
    Con il decreto-legge  6  luglio  2012,  n.  95,  convertito,  con
modificazioni, nella legge 7 agosto  2012,  n.  135,  il  legislatore
statale e' intervenuto in diversi settori al fine di  procedere  alla
revisione della spesa pubblica. 
    Tale manovra, infatti, e' meglio conosciuta come spending review. 
    La Regione Veneto ha  individuato  nel  corpo  del  provvedimento
legislativo una serie  di  disposizioni  normative  che  appaiono  in
palese contrasto sia  con  l'autonomia  regionale  costituzionalmente
garantita  e  tutelata,  sia  con  l'autonomia  dei  Comuni  e  delle
Province, con ulteriore  conseguente  violazione  delle  attribuzioni
regionali costituzionalmente garantite e tutelate. 
    In ragione di cio', la Regione Veneto  deve  chiedere  a  Codesto
Ecc.mo Collegio la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale
delle disposizioni normative in  epigrafe  indicate  per  i  seguenti
motivi di 
 
                               Diritto 
 
1)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  4  d.l.  n.   95/2012,
convertito, con modificazioni, nella l. n. 135/2012,  per  violazione
degli artt. 3, 97, 117, 118 e 119 Cost.  e  del  principio  di  leale
collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost. 
    L'art. 4 d.l. n. 95/2012, convertito, con modificazioni, nella l.
n. 135/2012, rubricato «Riduzione di spese, messa in  liquidazione  e
privatizzazione di societa' pubbliche», prevede, in  estrema  sintesi
(e  rinviando  per  ogni  ulteriore  dettaglio  alla  lettura   della
disposizione stessa), quanto segue: 
        (i) le societa'  controllate  direttamente  o  indirettamente
dalle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, d.lgs. n.
165/2001 (tra cui sono comprese le Regioni e gli Enti  locali),  che,
nel  corso  dell'anno  2011,  abbiano  conseguito  un  fatturato   da
prestazione di  servizi  a  favore  delle  pubbliche  amministrazioni
stesse superiore al 90% dell'intero fatturato devono  essere  sciolte
entro il 31 dicembre 2013. 
        Alternativamente,  e'  consentita   l'alienazione,   mediante
procedure di evidenza pubblica, delle relative  partecipazioni  entro
il  30  giugno   2013   (l'alienazione   deve   riguardare   l'intera
partecipazione  della  pubblica   amministrazione   controllante   e,
contestualmente, si deve procedere all'assegnazione del servizio  per
cinque anni, non rinnovabili, a decorrere  dal  1°  gennaio  2014)  -
comma 1 (1) ; 
        (ii)  in  alternativa  allo   scioglimento   delle   societa'
pubbliche o all'alienazione delle relative partecipazioni sociali, le
pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, c. 2, d.lgs. n. 165/2001
possono   predispone   appositi   piani   di    ristrutturazione    e
razionalizzazione  delle  societa'  controllate  (piani  che   devono
prevedere l'individuazione delle  attivita'  connesse  esclusivamente
all'esercizio di funzioni amministrative di cui  all'art.  118  Cost.
che possono essere riorganizzate e accorpate attraverso societa'  che
rispondono ai requisiti della legislazione comunitaria in materia  di
in house providing; tali piani devono essere approvati previo  parere
favorevole del Commissario  straordinario  per  la  razionalizzazione
della spesa per acquisto di beni e servizi) - comma 3-sexies; 
        (iii) le disposizioni di cui al comma 1 non si  applicano  ad
una serie di societa' (tra cui,  per  esempio,  quelle  che  svolgono
servizi di interesse  generale,  anche  aventi  rilevanza  economica,
quelle  che  svolgono  prevalentemente   compiti   di   centrali   di
committenza etc.; cfr., per le  esclusioni,  anche  il  comma  13)  e
comunque  «qualora,  per  le  peculiari  caratteristiche  economiche,
sociali,   ambientali   e   geomorfologiche   del   contesto,   anche
territoriale, di riferimento non sia possibile per  l'amministrazione
pubblica controllante un efficace e utile ricorso  al  mercato»  («in
tal caso, l'amministrazione, in tempo utile per rispettare i  termini
di cui al comma 1, predispone un'analisi del mercato e trasmette  una
relazione contenente gli esiti della predetta verifica  all'Autorita'
garante della concorrenza e del mercato per l'acquisizione del parere
vincolante, da rendere entro sessanta giorni  dalla  ricezione  della
relazione», parere poi da comunicarsi alla Presidenza  del  Consiglio
dei Ministri) - comma 3; 
        (iv)  a  decorrere  dal  1°  gennaio   2014,   le   pubbliche
amministrazioni  di  cui  all'art.  1,  c.  2,  d.lgs.  n.   165/2001
acquisiscono sul mercato i beni e i servizi strumentali alla  propria
attivita' mediante le procedure concorrenziali previste dal d.lgs. n.
163/2006 e possono procedere ad affidamento diretto solo a favore  di
societa' a capitale interamente pubblico, nel rispetto dei  requisiti
richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria  per  la
gestione in house e a condizione che il valore economico del servizio
o dei beni  oggetto  dell'affidamento  sia  complessivamente  pari  o
inferiore a 200.000,00 € annui - commi 7, 8 e 8-bis; 
        (v) alle societa' di cui al comma 1 dell'art. 4 in esame sono
imposte limitazioni in  ordine  all'assunzione  di  personale  ed  al
relativo trattamento economico - commi 9, 10, 11 e 12; 
        (vi)  sono  dettate   disposizioni   normative   estremamente
puntuali in ordine alla composizione ed al funzionamento dei consigli
di  amministrazione  delle  societa'   controllate   direttamente   o
indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1,  c.
2, d.lgs. n. 165/2001 - commi 4 e 5; 
        (vii) e' fatto divieto,  a  pena  di  nullita',  di  inserire
clausole arbitrali in sede di stipulazione di contratti  di  servizio
ovvero di atti convenzionali comunque denominati,  intercorrenti  tra
societa' a totale partecipazione pubblica,  diretta  o  indiretta,  e
amministrazioni statali e regionali (ove gia' previste, tali clausole
perdono efficacia) - comma 14; 
        (viii)  a  decorrere  dal  1°  gennaio  2013,  le   pubbliche
amministrazioni di cui all'art. 1, c. 2, d.lgs. n.  165/2001  possono
acquisire a titolo oneroso servizi di qualsiasi tipo, anche in base a
convenzioni, da enti di diritto privato di cui agli artt. da 13 a  42
c.c. «esclusivamente in base a  procedure  previste  dalla  normativa
nazionale in conformita' con la disciplina comunitaria» - comma 6. 
    L'art. 4 appare,  per  piu'  di  un  profilo,  costituzionalmente
illegittimo. 
    Esso, nel suo complesso, viola l'art. 117, comma 4, Cost.,  dalla
cui lettura (in combinato disposto con i commi 2  e  3  del  medesimo
art. 117) si desume che spetta alla Regione la  potesta'  legislativa
(residuale)  in  materia  di  «organizzazione  amministrativa   della
Regione». Da cio' consegue, altresi', de plano, la  violazione  degli
artt. 118 e 119 Cost. 
    L'art. 4 certamente viola, poi, l'art. 117, comma 1, Cost.  nella
parte in cui dispone che la potesta' legislativa e' esercitata  dallo
Stato  e  dalle  Regioni   nel   rispetto   dei   vincoli   derivanti
dall'ordinamento comunitario. 
    Per le ragioni gia' esposte (ed  anche  per  quelle  che  saranno
esposte oltre), tale violazione si  traduce,  evidentemente,  in  una
violazione dell'autonomia regionale costituzionalmente garantita. 
    Premesso,  infatti,  che   la   giurisprudenza   comunitaria   ha
contribuito a creare l'ordinamento comunitario stesso (l'art. 19  del
Trattato sull'Unione  europea  dispone  che  la  Corte  di  giustizia
dell'Unione   europea    assicura    il    rispetto    del    diritto
nell'interpretazione  e  nell'applicazione  dei  trattati)   e   che,
pertanto, l'interpretazione giurisprudenziale del diritto comunitario
ben puo' fungere da parametro interposto ex art. 117, comma 1,  Cost.
nel giudizio di  costituzionalita'  (cfr.  inter  alla  Corte  cost.,
sentt. nn. 190/2011, 120/2010 e 439/2008), non puo'  sottacersi  che,
con l'art. 4 qui impugnato, il  legislatore  statale  sostanzialmente
elimina  in  radice  il  potere  delle   Regioni   (e   delle   altre
amministrazioni di cui all'art. 1,  c.  2,  d.lgs.  n.  165/2001)  di
procedere ad affidamenti c.d. in house (ossia - per usare  le  parole
di  cui  alla  Comunicazione  della  Commissione  europea  COM/98/143
dell'11 marzo 1998  dal  titolo  «Gli  appalti  pubblici  nell'Unione
europea»  -  i  contratti  «aggiudicati  all'interno  della  pubblica
amministrazione, per esempio tra amministrazione centrale e locale o,
ancora, tra un'amministrazione e una societa' da  questa  interamente
controllata»),  pacificamente  ammessi,  invece,  al   ricorrere   di
determinati presupposti, a livello  di  ordinamento  comunitario  (la
Corte di giustizia, interpretando le direttive sugli appalti pubblici
- ivi compresa, da ultimo, la direttiva 2004/18/CE -  ha,  sin  dalla
nota sentenza del 18 novembre 1999, n. C107/98, Teckal c.  Comune  di
Viano, affermato che le direttive sugli appalti pubblici non  trovano
applicazione quando «l'ente locale  eserciti  sulla  persona  di  cui
trattasi un controllo analogo a quello da esso esercitato sui  propri
servizi e questa persona realizzi  la  parte  piu'  importante  della
propria  attivita'  con  l'ente  o  con  gli  enti  locali   che   la
controllano»; cfr., a tal  proposito,  anche  il  Libro  Verde  della
Commissione europea relativo ai Partenariati pubblico-privati  ed  al
diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni del 30
aprile 2004 - COM/2004/327). 
    Tale e' la stabilita' dell'approdo cui si  e'  giunti  a  livello
giurisprudenziale comunitario in materia di affidamenti in  house  (o
in house providing), che l'art. 11 della Proposta  di  Direttiva  del
Parlamento europeo e del Consiglio sugli appalti pubblici (pubblicata
in data 20 dicembre 2011 e, al momento in cui si scrive, in  fase  di
adozione),  rubricato  «Relazioni  tra  amministrazioni   pubbliche»,
recependo pienamente gli approdi della giurisprudenza comunitaria  in
tema di affidamenti in house, dispone, ai parr. 1 e 2, quanto segue: 
        «1.   Un   appalto    aggiudicato    da    un'amministrazione
aggiudicatrice a un'altra persona giuridica non rientra nel campo  di
applicazione della presente direttiva [relativa, per l'appunto,  agli
appalti  pubblici]  quando  siano  soddisfatte  tutte   le   seguenti
condizioni: 
          (a) l'amministrazione aggiudicatrice esercita sulla persona
giuridica di cui trattasi un  controllo  analogo  a  quello  da  essa
esercitato sui propri servizi; 
          (b) almeno il 90% delle attivita' di tale persona giuridica
sono effettuate per l'amministrazione aggiudicatrice  controllante  o
per  altre  persone   giuridiche   controllate   dall'amministrazione
aggiudicatrice di cui trattasi; 
          (c) nella persona giuridica controllata non  vi  e'  alcuna
partecipazione privata. 
    2. Si ritiene che un'amministrazione aggiudicatrice  eserciti  su
una persona giuridica un controllo analogo a  quello  esercitato  sui
propri servizi ai sensi del primo comma della lettera a) qualora essa
eserciti un'influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che
sulle decisioni significative della  persona  giuridica  controllata»
(2) . 
    Acquisito,  dunque,  che,  per  rappresentare   l'approdo   della
giurisprudenza comunitaria in tema  di  affidamenti  in  house,  puo'
farsi riferimento al predetto par. 1 dell'art. 11 della  proposta  di
direttiva sugli appalti pubblici,  e'  evidente  la  non  conformita'
dell'art. 4 d.l. n. 95/2012, convertito, con modificazioni, nella  l.
n. 135/2012, con i principi giurisprudenziali comunitari  in  materia
di  affidamenti  in  house:  infatti,  mentre,  secondo  il   diritto
comunitario, e' legittimo l'affidamento di un  appalto  da  parte  di
un'amministrazione aggiudicatrice ad una persona  giuridica  che  non
sia partecipata da  privati,  svolga  almeno  il  90%  della  propria
attivita' per l'amministrazione aggiudicatrice controllante e su  cui
l'amministrazione aggiudicatrice  eserciti  un  controllo  analogo  a
quello esercitato sui propri servizi, viceversa, secondo  il  diritto
interno, nei confronti  delle  societa'  controllate  direttamente  o
indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1,  c.
2,  d.lgs.  n.  165/2001  (ivi  comprese  le  Regioni)  che   abbiano
conseguito nell'anno 2011 un fatturato da prestazione  di  servizi  a
favore  delle  pubbliche  amministrazioni  stesse  superiore  al  90%
dell'intero fatturato si deve procedere,  alternativamente,  al  loro
scioglimento (entro il 31  dicembre  2013)  o  all'alienazione  delle
relative partecipazioni (entro il 30 giugno 2013). 
    In definitiva, il legislatore italiano (statale) vieta  cio'  che
l'ordinamento comunitario pacificamente ammette. 
    Non puo' dimenticarsi, poi, che, Codesto Ecc.mo Collegio, con  la
recente  sentenza   20   luglio   2012,   n.   199,   ha   dichiarato
costituzionalmente illegittimo l'art. 4 d.l. 13 agosto 2011, n.  138,
convertito, con modificazioni, nella l. 14 settembre 2011, n. 148, il
quale - analogamente all'art. 4 ivi impugnato - aveva sostanzialmente
bandito la modalita' di  affidamento  in  house  quale  modalita'  di
affidamento della gestione dei servizi pubblici locali  di  rilevanza
economica  «a  prescindere  da  qualsivoglia  valutazione   dell'ente
locale, oltre che della Regione, ed anche - in linea  con  l'abrogato
[mediante referendum abrogativo] art. 23-bis [d.l. n. 112/2008] -  in
difformita' rispetto a quanto previsto dalla  normativa  comunitaria,
che consente, anche se non impone (sentenza  n.  325  del  2010),  la
gestione diretta del servizio pubblico  da  parte  dell'ente  locale,
allorquando l'applicazione delle regole di concorrenza  ostacoli,  in
diritto o in fatto, la «speciale missione» dell'ente  pubblico  (art.
106 TFUE), alle sole  condizioni  del  capitale  totalmente  pubblico
della societa' affidataria, del cosiddetto  controllo  'analogo'  (il
controllo esercitato dall'aggiudicante sull'affidatario  deve  essere
di 'contenuto analogo'  a  quello  esercitato  dall'aggiudicante  sui
propri  uffici)  ed  infine  dello  svolgimento  della   parte   piu'
importante     dell'attivita'     dell'affidatario     in      favore
dell'aggiudicante». Adito con  ricorsi  proposti  in  via  principale
dalle  Regioni  Puglia,  Lazio,  Marche,  Emilia-Romagna,  Umbria   e
Sardegna,   Codesto   Ecc.mo    Collegio    ha    dunque    giudicato
costituzionalmente illegittimo l'art. 4 d.l. n. 138/2011,  convertito
con modificazioni, nella l. n. 148/2011, perche',  reintroducendo  la
disciplina  dell'art.  23-bis  d.l.  n.  112/2008,  convertito,   con
modificazioni, nella l. n. 133/2008 (abrogato con referendum popolare
del 12-13 giugno 2011), ha determinato  la  violazione  dell'art.  75
Cost., immediatamente tradottasi  nella  violazione  della  «potesta'
legislativa regionale residuale in materia di servizi pubblici locali
(e della relativa competenza regolamentare degli enti locali)». 
    Il carattere del  tutto  draconiano  dell'intervento  legislativo
statale in esame (che sostanzialmente vieta gli affidamenti in house:
non puo' certamente sanare la grave illegittimita' costituzionale qui
denunciata la  limitata  possibilita'  di  affidamenti  in  house  di
importo non superiore ad € 200.000,00 di cui al comma 8 dell'art. 4!)
deve far ritenere violati, altresi', gli artt. 3  e  97  Cost.:  alla
Regione ed alle altre pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, c.
2, d.lgs. n. 165/2001, infatti,  sono  impediti  gli  affidamenti  in
house a prescindere  da  qualsivoglia  valutazione  discrezionale  da
svolgersi  nel  rispetto  dei  principi  di  ragionevolezza  e   buon
andamento dell'azione amministrativa. 
    Guardando, poi, ai singoli commi dell'art. 4, si deve evidenziare
che i commi 9, 10, 11 e 12 (che impongono alle  societa'  controllate
direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di  cui
all'art. 1, c. 2, d.lgs. n. 165/2001  limitazioni  all'assunzione  di
personale ed al relativo trattamento economico) ed i commi 4 e 5 (che
dettano disposizioni normative estremamente puntuali in  ordine  alla
composizione ed al  funzionamento  dei  consigli  di  amministrazione
delle  societa'  controllate  direttamente  o  indirettamente   dalle
pubbliche  amministrazioni  di  cui  all'art.  1,  c.  2,  d.lgs.  n.
165/2001), se anche li si volesse ascrivere alla materia di  potesta'
legislativa  concorrente  ex   art.   117,   comma   3,   Cost.   del
«coordinamento della  finanza  pubblica»,  non  costituirebbero  meri
principi fondamentali,  bensi'  puntuali  disposizioni  di  dettaglio
(che, in base all'art. 117,  comma  3,  Cost.,  spetta  alle  Regioni
fissare). 
    Si ricorda, a tal proposito, che  Codesto  Ecc.mo  Collegio,  con
riguardo ai requisiti delle disposizioni statali recanti  i  principi
fondamentali  di  coordinamento  della  finanza  pubblica  volti   ad
assicurare il rispetto del Patto di stabilita'  (europeo  e  interno,
tra loro intimamente legati), ha individuato due condizioni: 
        (i) «in primo luogo, che si limitino  a  porre  obiettivi  di
riequilibrio della medesima,  intesi  nel  senso  di  un  transitorio
contenimento  complessivo,  anche  se  non  generale,   della   spesa
corrente»; 
        (ii) «in secondo luogo, che non prevedano in  modo  esaustivo
strumenti o modalita' per il perseguimento  dei  suddetti  obiettivi»
(cfr. inter alia Corte cost., sentt. nn. 237/2009 e 155/2011). 
    Nel caso di specie, ci si trova, invece, dinanzi  a  disposizioni
dettagliate che fissano vincoli puntuali alle  Regioni  con  riguardo
alle societa' da esse direttamente o indirettamente  controllate.  Di
conseguenza, siamo in  presenza  di  disposizioni  costituzionalmente
illegittime. 
    Ingiustamente  invasiva  della  potesta'  legislativa   regionale
(residuale)  in  materia  di  «organizzazione  amministrativa   della
Regione» e', poi, la disposizione di cui al  comma  14,  relativa  al
divieto di deferire in arbitrato le controversie tra  le  societa'  a
totale partecipazione pubblica, diretta o indiretta,  e  le  relative
amministrazioni (anche  regionali)  detentrici  delle  partecipazioni
stesse. Essa risulta, altresi', del  tutto  sproporzionata  e  dunque
lesiva del combinato disposto degli artt. 3 e  97  Cost.  perche'  fa
salve, invece, le clausole arbitrali contenute nei contratti  tra  le
amministrazioni  e  le  societa'  pubbliche  quando  si  siano   gia'
costituiti i relativi collegi arbitrali. 
    Da ultimo, con riguardo ai commi 3 e 13, devesi evidenziare  che,
laddove si volesse vedere nell'art. 4  l'espressione  della  potesta'
legislativa  statale  (ma  di  tipo  concorrente)   in   materia   di
«coordinamento della finanza pubblica»,  comunque  sarebbero  violati
l'art. 117 comma 3 Cost. (che rimette alle  Regioni  le  disposizioni
normative  di  dettaglio  nelle  materie  di   potesta'   legislativa
concorrente) e il principio costituzionale di leale collaborazione di
cui agli artt. 5 e  120  Cost.,  perche',  nell'individuazione  delle
societa' cui non trova applicazione l'art. 4, non e'  previsto  alcun
coinvolgimento delle Regioni,  neppure  mediante  l'intervento  della
Conferenza unificata Stato-Regioni  (sulla  rilevanza  costituzionale
del principio di leale collaborazione cfr. inter  alia  Corte  cost.,
sentt. nn. 242/1997, 31/2006, 213/2006, 240/2007, 51/2008,  237/2009,
165/2011). 
    Si puntualizza, da ultimo, che la Regione Veneto  e'  legittimata
all'impugnazione dell'art. 4 in questione anche per la parte  in  cui
lede le attribuzioni costituzionalmente garantite degli Enti locali e
cio' in ragione della stretta connessione, specialmente nella materia
de qua, di queste con le attribuzioni regionali (come noto  gli  Enti
locali sono titolari, ex  art.  118,  comma  2,  Cost.,  di  funzioni
amministrative conferite anche con legge regionale). 
    A tal proposito, si ricorda che anche Codesto Ecc.mo Collegio  ha
avuto  modo  di  evidenziare  che  le  Regioni  sono  legittimate   a
denunciare l'illegittimita' costituzionale di una legge statale anche
per violazione delle competenze proprie degli Enti locali «purche' la
"stretta connessione [...] tra le  attribuzioni  regionali  e  quelle
delle autonomie locali consenta di  ritenere  che  la  lesione  delle
competenze  locali  sia  potenzialmente  idonea  a  determinare   una
vulnerazione delle competenze regionali" (sentenze n. 95 del 2007, n.
417 del 2005 e n.  196  del  2004)»  (cosi'  Corte  cost.,  sent.  n.
169/2007), situazione, questa, che certamente  ricorre  nel  caso  de
quo. 
2)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  9  d.l.  n.   95/2012,
convertito, con modificazioni, nella l. n. 135/2012,  per  violazione
degli artt. 3, 97, 117, 118 e 119 Cost. 
    L'art. 9 d.l. n. 95/2012, convertito, con modificazioni, nella l.
n. 135/2012, rubricato «Razionalizzazione amministrativa, divieto  di
istituzione e soppressione di enti, agenzie  e  organismi»,  dispone,
per quanto ivi interessa e rinviando alla sua lettura  integrale  per
ogni ulteriore dettaglio, quanto segue: 
        (i) all'asserito fine di assicurare  il  coordinamento  e  il
conseguimento degli obiettivi di finanza  pubblica,  il  contenimento
della spesa ed il migliore svolgimento delle funzioni amministrative,
Regioni, Province e Comuni «sopprimono o accorpano, o, in ogni  caso,
assicurano la riduzione dei relativi oneri finanziari in  misura  non
inferiore al  20  per  cento,  enti,  agenzie  e  organismi  comunque
denominati e di qualsiasi natura giuridica che, alla data di  entrata
in vigore del presente decreto, esercitano, anche in via strumentale,
funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, comma secondo, lettera
p), della Costituzione o funzioni amministrative spettanti a  comuni,
province, e citta' metropolitane ai sensi  dell'articolo  118,  della
Costituzione» - comma 1; 
        (ii) le disposizioni  del  comma  1  non  si  applicano  alle
aziende speciali,  agli  enti  ed  alle  istituzioni  che  gestiscono
servizi socio-assistenziali, educativi e culturali - comma 1-bis; 
        (iii)  decorsi  nove  mesi   dall'entrata   in   vigore   del
decreto-legge ed in mancanza della realizzazione  di  quanto  imposto
dal comma 1 alle Regioni, alle Province ed ai Comuni,  gli  enti,  le
agenzie e gli organismi indicati  al  comma  1  sono  soppressi,  con
consequenziale  nullita'  degli  atti  successivamente  adottati  dai
medesimi - comma 4; 
        (iv) a fini  di  coordinamento  della  finanza  pubblica,  le
Regioni si adeguano ai principi di cui al comma 1 con  riguardo  agli
enti, alle agenzie ed agli organismi che svolgono, ai sensi dell'art.
118 Cost., funzioni amministrative conferite alle medesime Regioni  -
comma 5; 
        (v) agli  Enti  locali  e'  vietata  l'istituzione  di  enti,
agenzie ed organismi che esercitino una o piu' funzioni  fondamentali
e funzioni amministrative loro conferite ai sensi dell'art. 118 Cost.
- comma 6. 
    I commi 1, 1-bis e 4 dell'art. 9 tutto  sono  meno  che  principi
fondamentali di «coordinamento della finanza pubblica» dettati  dallo
Stato nell'esercizio della sua potesta' legislativa (concorrente  con
quella regionale) in tale materia e, dunque, sono  costituzionalmente
illegittimi per violazione dell'art. 117, comma 3, Cost. 
    In piu' di un'occasione,  infatti,  Codesto  Ecc.mo  Collegio  ha
affermato che, quando una disposizione di  legge  statale  imponga  -
come nel caso di specie - vincoli ad una singola voce di spesa  delle
Regioni   (o   degli   Enti   locali),   essa    deve    considerarsi
costituzionalmente illegittima, perche' «pone un precetto specifico e
puntuale, comprimendo l'autonomia finanziaria regionale ed  eccedendo
dall'ambito dei poteri statali  in  materia  di  coordinamento  della
finanza pubblica»: «la  legge  statale  puo'  prescrivere  criteri  e
obiettivi (ad esempio, il contenimento  della  spesa  pubblica),  non
imporre alle Regioni minutamente gli strumenti concreti da utilizzare
per raggiungere quegli obiettivi», risolvendosi cio' «in  un'indebita
invasione dell'area riservata  dall'art.  119  Cost.  alle  autonomie
regionali» (cosi Corte cost., sent. n.  157/2007;  cfr.  anche  inter
alla Corte cost.,  sent.  n.  182/2011,  con  ulteriori  rinvii  alla
giurisprudenza costituzionale). 
    I commi 1, 1-bis e 4 dell'art.  9  pongono  chiaramente  precetti
specifici  e  puntuali   che   chiaramente   comprimono   l'autonomia
finanziaria regionale: alle Regioni e' impedito il contenimento della
spesa pubblica per il  tramite  della  riduzione  di  voci  di  spesa
diverse da quelle rappresentate  dagli  enti  che  svolgono  funzioni
amministrative regionali (comma  1);  alle  Regioni  e'  impedito  il
contenimento della spesa pubblica per il tramite della soppressione o
dell'accorpamento o comunque della riduzione degli  oneri  finanziari
di aziende speciali o di enti (o istituzioni) che gestiscano  servizi
socio-assistenziali, educativi e culturali  (comma  1-bis);  e  cosi'
via. 
    La violazione degli stessi artt. 118 e 119 Cost.  e'  evidente  e
consequenziale rispetto alla  gia'  denunciata  violazione  dell'art.
117, comma 3, Cost. 
    Lo stesso  comma  5,  imponendo  alle  Regioni  di  adeguarsi  ai
principi di cui al comma 1 relativamente agli enti, alle  agenzie  ed
agli organismi comunque denominati e di qualsiasi natura che svolgano
ai sensi dell'art. 118 Cost. funzioni amministrative  conferite  alle
medesime Regioni, impone, in realta', alle  Regioni  di  ridurre  una
singola, specifica  e  ben  individuata  voce  di  spesa,  in  palese
contrasto  con  la  Costituzione  (artt.  117  e  119  Cost.)  e  con
l'interpretazione che di essa ha dato Codesto Ecc.mo  Collegio  nella
sentenza n. 157/2007 ed in molte altre. 
    Premesso  che  -  come  si  e'  gia'  detto  -  le  Regioni  sono
legittimate a denunciare l'illegittimita' costituzionale di una legge
statale anche per violazione  delle  competenze  proprie  degli  Enti
locali «purche' la "stretta connessione, in particolare [...] in tema
di finanza regionale e locale, tra le attribuzioni regionali e quelle
delle autonomie locali consenta di  ritenere  che  la  lesione  delle
competenze  locali  sia  potenzialmente  idonea  a  determinare   una
vulnerazione delle competenze regionali" (sentenze n. 95 del 2007, n.
417 del 2005 e n.  196  del  2004)»  (cosi'  Corte  cost.,  sent.  n.
169/2007; cio', peraltro, anche argomentando dall'art. 32,  comma  2,
l. n. 87/1953, secondo cui il ricorso della Regione avverso la  legge
statale puo' essere proposto anche su proposta  del  Consiglio  delle
autonomie locali), non v'e' chi non veda che il comma 6  dell'art.  9
(che vieta agli Enti locali di istituire enti,  agenzie  o  organismi
che  esercitino  una  o  piu'  funzioni   fondamentali   e   funzioni
amministrative loro conferite ai sensi dell'art.  118  Cost.)  viola:
(i) l'art. 117, comma 2, lett. p), Cost., perche' non disciplina  gli
organi di governo e le funzioni fondamentali degli  Enti  locali,  ma
anzi  invade  una  materia   certamente   riservata   alla   potesta'
legislativa regionale; (ii) l'art. 118  Cost.,  perche'  interferisce
pesantemente con l'autonomia amministrativa degli Enti locali  e  con
il potere (costituzionalmente previsto) delle  Regioni  di  conferire
funzioni amministrative agli Enti locali;  (iii)  l'art.  119  Cost.,
perche'  interferisce  pesantemente   con   l'autonomia   finanziaria
regionale e locale. 
    In generale e da ultimo, devesi evidenziare la  violazione  degli
artt. 3 e 97 Cost., da cui si desume il principio  di  ragionevolezza
della legislazione: il legislatore statale, infatti, ha intrapreso la
via  (probabilmente   rapida   ed   efficace,   ma   certamente   non
condivisibile in una logica di sistema) di imporre dall'alto  divieti
e vincoli, piuttosto che sollecitare correzioni dal  basso  idonee  a
coniugare la ricchezza  dei  diversi  modelli  organizzativi  con  la
necessita' di contenimento della spesa pubblica. 
3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 16-bis  d.l.  n.  95/2012,
convertito, con modificazioni, nella l. n. 135/2012,  per  violazione
degli artt. 117 e 119 Cost. 
    L'art. 16-bis d.l. n.  95/2012,  convertito,  con  modificazioni,
nella  l.  n.  135/2012,  rubricato  «Patto  Governo-regioni  per  il
trasporto pubblico locale», disciplina  il  fondo  per  il  trasporto
pubblico  locale,  anche  ferroviario,  nelle   Regioni   a   statuto
ordinario. 
    Ivi si prevede, per quanto qui maggiormente interessa e rinviando
alla lettura della disposizione per ogni maggiore dettaglio,  che  le
risorse di tale fondo, una volta definiti i criteri  e  le  modalita'
con cui ripartire e trasferire alle Regioni a  statuto  ordinario  le
risorse del fondo stesso, «non possono essere destinate  a  finalita'
diverse da quelle del finanziamento del  trasporto  pubblico  locale,
anche ferroviario».  Identica  destinazione  deve  essere  data  alle
risorse derivanti dalla compartecipazione al gettito dell'accisa  sul
gasolio prevista dall'art. 1, commi 295-297, l. n. 244/2007. 
    L'art.   16-bis   e'   costituzionalmente   illegittimo   perche'
disciplina un fondo a destinazione vincolata in una  materia,  quella
del «trasporto pubblico locale», che, per espresso riconoscimento  di
Codesto Ecc.mo Collegio, rientra nella potesta' legislativa residuale
regionale (cfr. inter alia Corte cost., sent. n. 452/2007). 
    Peraltro,   come   si   trova   ripetutamente   affermato   nella
giurisprudenza di Codesto Ecc.mo Collegio, «non sono [...] consentiti
finanziamenti a  destinazione  vincolata  in  materie  di  competenza
regionale  residuale  ovvero   concorrente,   in   quanto   cio'   si
risolverebbe in uno strumento indiretto, ma pervasivo,  di  ingerenza
dello Stato nell'esercizio delle funzioni delle Regioni e degli  enti
locali, nonche'  di  sovrapposizione  di  politiche  e  di  indirizzi
governati centralmente a quelli legittimamente decisi  dalle  Regioni
negli ambiti materiali di propria competenza», il tutto in violazione
sia dell'art. 117 Cost. (che disciplina il riparto  delle  competenze
legislative tra Stato  e  Regione),  sia  dell'art.  119  Cost.  (che
riconosce l'autonomia  finanziaria  regionale)  (cosi'  Corte  cost.,
sent. n. 50/2008, con  richiami  giurisprudenziali;  cfr.  da  ultimo
anche Corte cost., sent. n. 99/2009, essa pure con numerosi  richiami
giurisprudenziali). 
    Non senza aggiungere a quanto appena rilevato che ad integrare  i
parametri di costituzionalita' di cui agli artt. 117 e 119 Cost.  sta
anche il d.lgs. n. 68/2011 (3) , adottato in attuazione della  l.  n.
42/2009 (4) , il quale prevede, per  quanto  qui  interessa,  (i)  la
soppressione, a decorrere dall'anno 2013, di «tutti  i  trasferimenti
statali di parte corrente e, ove non finanziati  tramite  il  ricorso
all'indebitamento,  in  conto  capitale,  alle  regioni   a   statuto
ordinario aventi carattere di generalita' e  permanenza  e  destinati
all'esercizio  delle  competenze  regionali,  ivi   compresi   quelli
finalizzati all'esercizio di funzioni da parte di province e  comuni»
(art. 7, comma 1, d.lgs. n. 68/2011)  e  (ii)  la  soppressione  «dei
trasferimenti statali alle regioni, aventi carattere di generalita' e
permanenza, relativi al trasporto pubblico locale e alla  conseguente
fiscalizzazione degli stessi trasferimenti» (art. 32, comma 4, d.lgs.
n. 68/2011). 
    A quanto fin qui detto, devesi aggiungere, infine, che il comma 2
dell'art. 16-bis, nella parte in cui prevede che le risorse derivanti
dalla compartecipazione al gettito dell'accisa  sul  gasolio  di  cui
all'art.  1,  commi  295  ss.,   l.   n.   244/2007   devono   essere
necessariamente destinate al  finanziamento  del  trasporto  pubblico
locale,  anche  ferroviario,  viola  l'art.  119  Cost.,  cosi'  come
integrato dall'art. 7 l. n. 42/2009 e 1 d.lgs. n. 68/2011. L'art. 119
Cost.   dispone,   infatti,   che   le   Regioni    «dispongono    di
compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile  al  loro
territorio», le quali, in base all'art. 7, comma 1, lett. e),  l.  n.
42/2009 e all'art. 1, commi 2 e 3, d.lgs. n. 68/2011,  devono  essere
senza vincolo di destinazione. 
4)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  17  d.l.  n.  95/2012,
convertito, con modificazioni, nella l. n. 135/2012,  per  violazione
degli artt. 3, 5, 77, 97, 114, 117, 118, 119, 132 e 133 Cost. 
    L'art. 17 d.l. n. 95/2012, convertito, con  modificazioni,  nella
l. n. 135/2012, rubricato «Riordino delle province e loro  funzioni»,
dispone, in estrema sintesi (e rinviando alla  sua  lettura  completa
per ogni ulteriore dettaglio), quanto segue: 
        (i) tutte le  Province  delle  Regioni  a  statuto  ordinario
esistenti alla data di entrata in vigore del  d.l.  n.  95/2012  sono
oggetto di riordino sulla base dei criteri e secondo la procedura  di
cui ai commi 2 e 3 - comma 1; 
        (ii)  il  Consiglio  dei  ministri  determina,  con  apposita
deliberazione, il riordino delle Province  sulla  base  di  requisiti
minimi,  da  individuarsi  nella  dimensione  territoriale  e   nella
popolazione residente in ciascuna  Provincia;  sono  fatte  salve  le
Province nel cui territorio si trova il Comune capoluogo di regione e
quelle confinanti solo con Province di Regioni diverse da  quella  di
appartenenza e con una delle Province di cui all'art. 18, comma  1  -
comma  2  (la  deliberazione  cui  ivi  si  fa  riferimento   e'   la
deliberazione del Consiglio dei Ministri del 20 luglio 2012,  recante
«Determinazione dei criteri per il riordino delle province,  a  norma
dell'art. 17, comma 2, del  decreto-legge  6  luglio  2012,  n.  95»,
pubblicata in Gazzetta Ufficiale -  Serie  Generale  n.  171  del  24
luglio 2012) - comma 2; 
        (iii) «il Consiglio delle autonomie locali di ogni regione  a
statuto ordinario o, in mancanza, l'organo regionale di raccordo  tra
regioni  ed  enti  locali,  entro  settanta  giorni  dalla  data   di
pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della  deliberazione  di  cui  al
comma 2, nel rispetto della continuita' territoriale della provincia,
approva una ipotesi di riordino relativa alle  province  ubicate  nel
territorio della rispettiva regione e la invia alla regione  medesima
entro  il  giorno  successivo.  Entro  venti  giorni  dalla  data  di
trasmissione dell'ipotesi di riordino o, comunque, anche in  mancanza
della trasmissione, trascorsi novantadue giorni dalla citata data  di
pubblicazione, ciascuna regione trasmette al Governo, ai fini di  cui
al comma 4, una proposta  di  riordino  delle  province  ubicate  nel
proprio territorio, formulata sulla base dell'ipotesi di cui al primo
periodo. Le ipotesi e le proposte di  riordino  tengono  conto  delle
eventuali iniziative comunali volte a  modificare  le  circoscrizioni
provinciali esistenti alla data di adozione  della  deliberazione  di
cui al comma 2. Resta fermo che il riordino  deve  essere  effettuato
nel  rispetto  dei  requisiti  minimi  di  cui  al  citato  comma  2,
determinati sulla base dei  dati  di  dimensione  territoriali  e  di
popolazione, come esistenti alla data di adozione della deliberazione
di cui al medesimo comma 2» - comma 3; 
        (iv) «entro sessanta giorni dalla data di entrata  in  vigore
della legge di conversione del presente decreto, con atto legislativo
di iniziativa governativa le  province  sono  riordinate  sulla  base
delle  proposte  regionali  di  cui  al  comma  3,  con   contestuale
ridefinizione  dell'ambito  delle   citta'   metropolitane   di   cui
all'articolo 18, conseguente alle eventuali iniziative dei comuni  ai
sensi dell'articolo 133, primo comma della Costituzione  nonche'  del
comma 2 del medesimo articolo 18.  Se  alla  data  di  cui  al  primo
periodo una o piu'  proposte  di  riordino  delle  regioni  non  sono
pervenute al Governo, il provvedimento legislativo di cui  al  citato
primo periodo e' assunto previo parere della Conferenza unificata  di
cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281,  e
successive  modificazioni,  che  si  esprime   entro   dieci   giorni
esclusivamente in ordine  al  riordino  delle  province  ubicate  nei
territori delle regioni medesime» - camma 4 (5) ; 
        (v) all'esito della procedura di  riordino,  sono  attribuite
alle Province (quali enti con funzioni di  area  vasta)  le  seguenti
funzioni (ai sensi e per gli effetti dell'art. 117,  comma  2,  lett.
p), Cast.): pianificazione territoriale provinciale di  coordinamento
nonche' tutela e valorizzazione dell'ambiente,  per  gli  aspetti  di
competenza;  pianificazione  dei  servizi  di  trasporto  in   ambito
provinciale, autorizzazione  e  controllo  in  materia  di  trasporto
privato,  in  coerenza  con  la  programmazione   regionale   nonche'
costruzione, classificazione e gestione delle  strade  provinciali  e
regolazione   della   circolazione   stradale   ad   esse   inerente;
programmazione  provinciale  delle   rete   scolastica   e   gestione
dell'edilizia scolastica relativa alle scuole secondarie  di  secondo
grado - comma 10. 
    Prima di procedere con l'esposizione  degli  svariati  motivi  di
illegittimita' costituzionale dell'art.  17,  devesi  preliminarmente
evidenziare (rectius ribadire) che la Regione  Veneto,  alla  stregua
della giurisprudenza di Codesto Ecc.mo Collegio sopra  ricordata,  e'
pienamente legittimata  ad  impugnare  l'art.  17  d.l.  n.  95/2012,
convertito, con modificazioni, nella l. n. 135/2012, che pur concerne
il «riordino» delle Province. 
    E' noto, infatti, che le Regioni sono  legittimate  a  denunciare
l'illegittimita'  costituzionale  di  una  legge  statale  anche  per
violazione delle competenze proprie degli  Enti  locali  «purche'  la
"stretta connessione [...] tra le  attribuzioni  regionali  e  quelle
delle autonomie locali consenta di  ritenere  che  la  lesione  delle
competenze  locali  sia  potenzialmente  idonea  a  determinare   una
vulnerazione delle competenze regionali" (sentenze n. 95 del 2007, n.
417 del 2005 e  n.  196  del  2004)»  (cfr.  Corte  cost.,  sent.  n.
169/2007, con richiami giurisprudenziali). 
    E' evidente che il riordino delle Province avviene - ne' potrebbe
essere altrimenti - passando  attraverso  la  loro  soppressione.  In
questo  modo  -  come  peraltro  gia'  evidenziato  nell'impugnazione
proposta dalla Regione Veneto avverso l'art.  23  d.l.  n.  201/2011,
convertito, con modificazioni, nella l. n. 214/2011 (antesignano,  in
un certo senso, della disposizione  ivi  impugnata)  -  risulta  lesa
l'autonomia   regionale   costituzionalmente   garantita.   Con    il
riordino/soppressione delle Province, infatti, la Regione finisce per
essere privata di un interlocutore istituzionale dotato di  autonomia
amministrativa e finanziaria (la  Provincia),  cui  la  Regione,  nel
rispetto dell'art. 118 Cost. (6) , puo' affidare (ed anzi normalmente
affida) funzioni amministrative (il che assume particolare rilievo in
una Regione come il Veneto, il cui tessuto territoriale e' costituito
da Comuni di piccola dimensione: in Veneto il 54% dei Comuni ha  meno
di 5.000 abitanti). 
    Non   senza   aggiungere,   poi,   che   la    Regione    risulta
irrimediabilmente  lesa  anche  in  ordine  alle   proprie   potesta'
legislative (concorrenti e residuali) di cui all'art. 117, comma 3  e
4, Cost. e regolamentari di cui all'art. 117, comma 6, Cost., proprio
per il  fatto  di  essere  privata  dell'interlocutore  istituzionale
Provincia. 
    Ulteriore  lesione  dell'autonomia  regionale  costituzionalmente
garantita (oltre che la violazione degli  artt.  3  e  97  Cost.)  si
ricava dalla lettura congiunta dei commi 6, 10 ed 11 dell'art. 17: le
funzioni amministrative conferite alle Province con legge dello Stato
e rientranti nelle materie di competenza legislativa esclusiva  dello
Stato ex art. 117, comma 2, Cost. sono trasferite  ai  Comuni  (comma
6); alle Province  sono  attribuite  le  sole  funzioni  (addirittura
definite fondamentali ex art. 117, comma 2, lett. p), Cost.)  di  cui
al   comma   10   (pianificazione   territoriale    provinciale    di
coordinamento, tutela e valorizzazione dell'ambiente,  pianificazione
dei servizi di trasporto in ambito provinciale e poche altre ancora);
restano ferme - dispone il comma 11 - le funzioni di programmazione e
di coordinamento delle Regioni, loro spettanti nelle materie  di  cui
all'articolo 117, commi 3 e 4, Cost., e  le  funzioni  esercitate  ai
sensi dell'art. 118 Cost. 
    Non   occorrono   molte   parole   per   rappresentare   che   la
redistribuzione delle funzioni amministrative tra Comuni, Province  e
Regione  imposta  dall'art.  17  in  esame  finisce  per   sovvertire
irragionevolmente (e dunque in violazione degli artt. 3 e  97  Cost.)
l'intero assetto costituzionale regionale e  delle  autonomie  locali
(che a quello regionale e' intimamente  legato)  in  violazione,  tra
l'altro, degli artt. 5  e  114  Cost.  E'  possibile  ipotizzare  che
compiti di "area vasta", fino ad oggi gestiti dalle Province, possano
essere attribuiti agli oltre 8.000 Comuni  presenti  in  Italia,  dei
quali circa 7.500 con meno di 15.000 abitanti? Forse che non  sarebbe
violato il principio di sussidiarieta' verticale di cui all'art. 118,
comma 1, Cost., in virtu' del quale certi compiti, in  ragione  della
dimensione territoriale ottimale, richiedono un esercizio ad opera di
un livello di  governo  sovracomunale,  rappresentato  proprio  dalle
Province? 
    Premesso che quanto fin qui esposto ha consentito di  evidenziare
non  solo,  in  rito,  la   legittimazione   della   Regione   Veneto
all'impugnazione  dell'art.  17  d.l.  n.  95/2012,  convertito,  con
modificazioni, nella l. n. 135/2012, bensi'  anche,  nel  merito,  la
violazione degli artt. 3, 5, 97, 114, 117, 118 e 119 Cost.,  si  puo'
ora passare all'esposizione degli ulteriori motivi di  illegittimita'
costituzionale. 
4.1. Violazione dell'art. 133 Cost. 
    Devesi premettere che l'art. 17  in  esame  costituisce  il  piu'
recente tentativo posto  in  essere  dal  legislatore  di  riordinare
(rectius:  eliminare)  le  Province  al  di  fuori  del  procedimento
all'uopo previsto da un precetto costituzionale. 
    L'art. 133, comma 1, Cost. prevede, infatti,  che  «il  mutamento
delle circoscrizioni provinciali e la istituzione di  nuove  Province
nell'ambito d'una regione sono stabiliti con legge della  Repubblica,
su iniziativa dei Comuni, sentita la stessa Regione». 
    Dalla norma costituzionale si evince, dunque, che la legge  della
Repubblica  che  dispone  la   modificazione   delle   circoscrizioni
provinciali debba essere una «legge rinforzata», dal momento  che  si
prevede che l'iniziativa sia riservata ai Comuni con  l'aggiunta  del
previo parere regionale. Si tratta evidentemente di una condizione di
ampio favore per le comunita' locali, che comporta, alla lettera, che
qualunque modifica all'assetto delle Province, cosi' come recepito al
momento di  entrata  in  vigore  della  Costituzione,  sia  possibile
soltanto a seguito di un impulso dei Comuni. 
    La disposizione costituzionale  e'  integrata  dall'art.  21  del
Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli  Enti  locali  -  TUEL
(d.lgs. n. 267/2000), il quale indica alcuni requisiti procedurali  e
sostanziali  per  tale  iniziativa.  Tra  questi  si  ricorda  quello
relativo alla necessita' che la modifica dell'assetto della Provincia
ottenga   l'adesione   della   maggioranza   dei   Comuni   dell'area
interessata,  che  comunque  rappresentino   la   maggioranza   della
popolazione complessiva dell'area stessa, mediante una  deliberazione
assunta a maggioranza assoluta dei consiglieri  assegnati  (art.  21,
comma 3, lett. d), TUEL). 
    Alla legge della Repubblica, pertanto, spetta unicamente un ruolo
di garanzia,  ossia  di  verifica  che  l'eventuale  revisione  delle
circoscrizioni provinciali esistenti o  il  loro  accorpamento  siano
conformi all'interesse generale. La norma costituzionale, dunque, non
prevede che un qualunque intervento statale possa  predeterminare  le
condizioni idonee a garantire la sopravvivenza dell'ente provinciale. 
    Il d.l. n. 95/2012, convertito, con modificazioni,  nella  l.  n.
135/2012, invece, reca un'articolata procedura sostitutiva di  quella
costituzionale, dal momento che, sebbene voglia  coinvolgere  Regione
ed Enti locali nell'applicazione dei parametri indicati  dal  Governo
nella deliberazione del Consiglio dei Ministri del  20  luglio  2012,
fuoriesce dal procedimento indicato  all'art.  133,  comma  1,  Cost.
Infatti, l'iter procedurale previsto  dal  provvedimento  sulla  c.d.
spending  review  delinea  un  percorso  il  cui  contenuto  e'  gia'
precostituito dal Governo e non e' affatto  rimesso  alla  libera  ed
autonoma iniziativa dei Comuni. E' dunque evidente che l'art. 17  del
d.l. n. 95/2012, convertito, con modificazioni, nella l. n. 135/2012,
si pone in contrasto con l'art. 133, comma 1, Cost. 
    Nella relazione al disegno di legge di iniziativa governativa  n.
3396 per la conversione del d.l. n. 95/2012 si trova  scritto  quanto
segue:  «anche  a  voler  prescindere   dalla   considerazione   che,
trattandosi di riordino complessivo, non  trova  applicazione  l'art.
133 della Costituzione, va rilevato in ogni caso che  detto  articolo
e', nella sostanza, rispettato visto che  i  Comuni  sono  pienamente
coinvolti tramite il Consiglio  delle  autonomie  locali»  (pag.  371
della relazione di accompagnamento). Secondo il Governo,  quindi,  in
caso di riordino delle Province, che coinvolga  tutto  il  territorio
nazionale, e' possibile derogare al procedimento legislativo di  tipo
aggravato di cui all'art. 133, comma 1, della  Carta  costituzionale.
La norma costituzionale, pertanto, troverebbe applicazione unicamente
per modifiche di circoscrizioni provinciali ed istituzioni  di  nuove
Province limitate all'ambito regionale. 
    La tesi difensiva del  Governo  e'  alquanto  labile.  Non  senza
premettere che anche il caso di riordino complessivo produce  i  suoi
effetti sempre e comunque all'interno di  una  Regione,  non  essendo
consentita un'ipotesi di riduzione/accorpamento concernente  Province
di Regioni contermini (perche', in  questa  evenienza,  la  Provincia
dovrebbe  prima  staccarsi  dalla  Regione  di  appartenenza  e   poi
aggregarsi a quella confinante  ai  sensi  dell'art.  132,  comma  2,
Cost.), dalla lettura dell'art. 133, comma 1, non  emergono  elementi
atti a suffragare un'interpretazione derogatoria nell'evenienza di un
intervento generalizzato sulle Province. 
    Mette conto sottolineare che, quando Codesto Ecc.mo  Collegio  si
e' occupato dell'art. 133, comma 1, Cost., nel caso della sentenza n.
347/1994, relativa al caso della istituzione della Provincia di Lodi,
ha ritenuto che l'istituzione di Province o  la  modifica  di  quelle
esistenti possa essere effettuata, oltre che con legge  formale,  con
ricorso ad una delega legislativa (par. 3 Considerato  in  diritto.),
ma sempre nel rispetto di quel  procedimento  ascensionale  che  vede
coinvolti, in  primis,  i  Comuni.  Al  potere  legislativo,  ha  poi
proseguito la Corte costituzionale, «spetta soltanto valutare,  nella
fase   conclusiva   dello   stesso   procedimento,   l'idoneita'    e
l'adeguatezza dell'ambito territoriale destinato a costituire la base
della nuova Provincia». 
    Sostenere poi che la norma costituzionale e' comunque  rispettata
in quanto prevede un coinvolgimento  delle  amministrazioni  comunali
tramite i Consigli delle autonomie locali (CAL) e' affermazione priva
di fondamento. Infatti, l'iniziativa comunale di  cui  all'art.  133,
comma 1, Cost. si configura  in  modo  molto  diverso  rispetto  alle
ipotesi del piano di accorpamenti e riduzioni che devono  adottare  i
Consigli delle autonomie locali o, in mancanza, gli organi  regionali
di raccordo, come prevede  l'art.  17,  comma  2,  d.l.  n.  95/2012,
convertito, con modificazioni, nella l. n. 135/2012. Sono  i  Comuni,
enti  locali  territoriali  singolarmente  considerati,   ad   essere
titolari  della  riserva  di  competenza  ad  attivare  un  eventuale
procedimento di revisione e  non  altri  organismi.  Inoltre,  l'iter
procedurale previsto dal provvedimento sulla spending review  delinea
un percorso il cui contenuto e' gia' precostituito dal Governo e  non
e'  affatto  rimesso  alla  libera  ed  autonoma   iniziativa   delle
amministrazioni comunali, per di piu' prevedendo un intervento in via
sostitutiva del Governo (art.  17,  comma  4)  nel  caso  in  cui  le
deliberazioni non dovessero essere assunte. 
    Giova ricordare che, un anno fa,  un  procedimento  del  tipo  di
quello  delineato  dall'art.  17,  anche  in  modo  formalmente  piu'
aderente   alla   Costituzione,   era   gia'   stato   previsto   con
decreto-legge,  successivamente  ritirato   per   le   obiezioni   di
incostituzionalita' segnalate, fra gli altri,  dagli  stessi  tecnici
del Quirinale. 
    Ci riferiamo all'art. 15 del d.l. n.  138/2011,  che  aveva  gia'
previsto la soppressione delle Province  diverse  da  quelle  la  cui
popolazione rilevata al censimento  generale  della  popolazione  del
2011  fosse  superiore  a  300.000  abitanti  o  la  cui   superficie
complessiva fosse superiore a 3.000 chilometri quadrati. 
    La soppressione avrebbe dovuto decorrere dalla data  di  scadenza
del mandato amministrativo provinciale. Entro lo  stesso  termine,  i
Comuni del territorio della circoscrizione delle  Province  soppresse
avrebbero dovuto esercitare l'iniziativa di cui all'art.  133,  comma
1,  Cost.,  al  fine  di  essere  aggregati  ad  un'altra   Provincia
all'interno del territorio regionale, nel rispetto del  principio  di
continuita' territoriale. 
    In assenza dell'iniziativa dei  Comuni,  le  funzioni  esercitate
dalle Province soppresse sarebbero state trasferite alle Regioni, che
avrebbero potuto attribuirle, anche in parte, ai Comuni gia'  facenti
parte  delle   circoscrizioni   delle   Province   soppresse   oppure
attribuirle alle Province limitrofe a quelle  soppresse,  delimitando
l'area di competenza di ciascuna di queste ultime. 
    In  tal  caso  era  previsto  che,  con  decreto   del   Ministro
dell'interno,  andavano  trasferiti  alla  Regione  personale,  beni,
strumenti operativi e risorse finanziarie adeguati. La  norma  poneva
infine il divieto di istituire Province in  Regioni  con  popolazione
inferiore a 500.000 abitanti. La legge 14 settembre 2011 n.  148,  di
conversione del d.l. 138/2011, ha soppresso le  previsioni  dell'art.
15, sulla base delle obiezioni di carattere costituzionale  sollevate
da piu' parti. 
    Non e' dato davvero  comprendere  perche'  mai,  ad  un  anno  di
distanza,  il  Governo   abbia   cambiato   idea,   riproponendo   un
procedimento di riordino delle Province ancora piu' in contrasto  con
l'art. 133 della Costituzione di quanto non lo fosse quello contenuto
nel d.l. n. 138 del 2011, ove, almeno in parte, vi era un riferimento
espresso al procedimento costituzionale di cui  all'art.  133  Cost.,
del tutto ignorato, invece, dal  d.l.  n.  95/2012  (fatto  salvo  il
richiamo  alla  norma  costituzionale,  introdotto  dalla  legge   di
conversione n. 135/2012, affinche' nelle proposte di  riordino  delle
Regioni si tenga conto delle «eventuali»  iniziative  dei  Comuni  ai
sensi dell'art. 133, primo comma, Cost.). 
    Non va infine dimenticato che e' stata fissata per il 6  novembre
2012, in udienza pubblica, la trattazione dei ricorsi presentati alla
Corte costituzionale da sei Regioni -  Piemonte,  Lombardia,  Veneto,
Molise, Lazio e Campania - per  la  dichiarazione  di  illegittimita'
costituzionale  dell'art.  23,  commi  14-21,   del   d.l.   201/2011
convertito  in  legge  214/2011  (c.d.«salva  Italia»).   I   ricorsi
presentati dalle Regioni, seppure con  sfumature  ed  approfondimenti
diversi, lamentano che le disposizioni approvate siano palesemente in
contrasto  con  i  principi  e  le  disposizioni  costituzionali  che
disciplinano i rapporti tra lo Stato e le autonomie territoriali  ed,
in particolare, con gli artt. 5, 114, 117  (comma  2,  lettera  p)  e
comma 6), 118 e 119 Cost.  e  siano,  altresi',  incongruenti  con  i
principi generali della  disciplina  degli  enti  locali  del  nostro
ordinamento.  Le  decisioni  della  Corte  costituzionale  potrebbero
mettere in discussione l'intero impianto normativo voluto dal Governo
in carica. 
4.2. Violazione dell'art. 132 Cost. 
    L'art. 17 d.l. n. 95/2012, convertito, con  modificazioni,  nella
l. n. 135/2012, ove  interpretato  nel  senso  di  consentire/imporre
anche l'accorpamento di Province appartenenti a Regioni diverse, deve
ritenersi incostituzionale per violazione del comma 2  dell'art.  132
Cost., il quale impone, in tal caso, un  diverso  procedimento  cosi'
descritto: 
    «Si puo', con l'approvazione della maggioranza delle  popolazioni
della Provincia o delle Province  interessate  e  del  Comune  o  dei
Comuni interessati espressa mediante referendum  e  con  legge  della
Repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che  Province  e
Comuni, che ne facciano richiesta, siano staccati da una  Regione  ed
aggregati ad un'altra». 
4.3. Violazione dell'art. 77 Cost. 
    Premesso che e' pacifico che la Regione Veneto stia  ivi  facendo
valere la  violazione  delle  proprie  competenze  costituzionalmente
garantite e che dunque e' pienamente  legittimata  a  far  valere  la
violazione dell'art. 77 Cost. (cfr. inter alla Corte cost., sent.  n.
199/2012),  devesi  evidenziare   che   l'art.   17   e'   certamente
incostituzionale per carenza  dei  presupposti  che  la  Costituzione
impone debbano ricorrere per la decretazione d'urgenza. 
    La Corte costituzionale, a partire dalla sentenza n. 29/1995,  ha
esplicitato che il Governo e' legittimato ad  adottare  provvedimenti
provvisori aventi forza di legge unicamente quando, in ragione di una
circostanza  eccezionale  ed   imprevedibile,   non   sia   possibile
provvedere con gli strumenti legislativi ordinari, dal momento che si
rende necessaria ed improcrastinabile la produzione  immediata  degli
effetti propri del decreto governativo. 
    Va inoltre ricordato che  l'art.  14  della  l.  n.  400/1988  ha
espressamente  chiarito  che   non   possono   formare   oggetto   di
decretazione d'urgenza da  parte  del  Governo  le  materie  previste
dall'art. 72, comma 4, della Costituzione, tra le quali sono  incluse
le norme di carattere costituzionale o elettorale. Ne deriva  che  la
riforma delle Province, attenendo alla  modifica  dell'assetto  dello
Stato stesso, non puo' certamente avvenire per decreto-legge. 
    Non puo' nemmeno giustificarsi la  straordinarieta'  e  l'urgenza
con aspetti di tipo economico-finanziario, visto  che  e'  lo  stesso
Governo che, nella  relazione  tecnica  al  decreto-legge  n.  95,  a
proposito  dell'art.   17,   ha   espressamente   riconosciuto   che,
trattandosi di una norma di procedura, non e' possibile, allo  stato,
quantificarne  gli  effetti  finanziari,  dovendosi   rinviare   ogni
valutazione al riguardo al completamento della riforma (sic!). 
    All'obiezione, poi, che la legge di conversione sarebbe in  grado
di «sanare» la mancanza  dei  presupposti  giustificativi,  la  Corte
costituzionale ha risposto che  la  legge  di  conversione  non  puo'
essere considerata idonea a produrre questo  effetto,  altrimenti  si
attribuirebbe al legislatore  ordinario  il  potere  di  alterare  il
riparto costituzionale delle competenze del Parlamento e del  Governo
quanto alla produzione delle fonti primarie (cfr.  inter  alla  Corte
cost., sentt. nn. 171/2007 e 128/2008). 
5)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  18  d.l.  n.  95/2012,
convertito, con modificazioni, nella l. n. 135/2012,  per  violazione
degli artt. 3, 5, 77, 97, 114, 117, 118, 119, 132 e 133 Cost. 
    L'art. 18 d.l. n. 95/2012, convertito, con  modificazioni,  nella
l. n. 135/2012, rubricato «Istituzione delle Citta'  metropolitane  e
soppressione delle province del  relativo  territorio»,  dispone,  in
estrema sintesi e rinviando alla lettura della disposizione per  ogni
ulteriore dettaglio, quanto segue: 
        (i) all'asserito fine di garantire l'efficace  ed  efficiente
svolgimento delle funzioni amministrative in attuazione  degli  artt.
114 e 117, comma 2, lett. p), Cost., sono soppresse  le  Province  di
Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli
e Reggio Calabria e sono contestualmente istituite le relative Citta'
metropolitane - comma 1; 
        (ii)  sono  abrogati  gli   artt.   22   e   23   TUEL,   che
disciplinavano, rispettivamente, le aree metropolitane  e  le  Citta'
metropolitane, e gli artt. 23 e 24, commi 9  e  10,  l.  n.  42/2009,
recanti,  rispettivamente,   «Norme   transitorie   per   le   citta'
metropolitane» e «Ordinamento transitorio di Roma capitale  ai  sensi
dell'articolo 114, terzo comma, della Costituzione» - comma 1; 
        (iii) alla Citta' metropolitana sono attribuite  le  funzioni
fondamentali  delle  Province  e  le  seguenti   ulteriori   funzioni
fondamentali:  pianificazione  territoriale  generale  e  delle  reti
infrastrutturali; strutturazione di sistemi  coordinati  di  gestione
dei servizi pubblici, nonche' organizzazione dei servizi pubblici  di
interesse generale di ambito metropolitano; mobilita'  e  viabilita';
promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale - comma
7; 
        (iv)  Io  Stato  e  le  Regioni,  ciascuno  per  le   proprie
competenze,   attribuiscono   ulteriori    funzioni    alle    Citta'
metropolitane  in  attuazione   dei   principi   di   sussidiarieta',
differenziazione e adeguatezza di cui all'art. 118, comma 1, Cost.  -
comma 11-bis; 
        (v)  lo  statuto  definitivo   della   Citta'   metropolitana
«disciplina i rapporti  fra  i  comuni  facenti  parte  della  citta'
metropolitana e le modalita' di organizzazione e di  esercizio  delle
funzioni metropolitane, prevedendo  le  modalita'  con  le  quali  la
citta' metropolitana puo' conferire  ai  comuni  ricompresi  nel  suo
territorio  o  alle  loro   forme   associative,   anche   in   forma
differenziata per determinate aree  territoriali,  proprie  funzioni,
con il contestuale trasferimento delle risorse umane,  strumentali  e
finanziarie necessarie per il loro svolgimento» - comma 9, lett. c); 
        (vi)  lo  statuto  della  Citta'  metropolitana  «prevede  le
modalita'  con  le  quali i  comuni  facenti   parte   della   citta'
metropolitana e le loro forme associative possono  conferire  proprie
funzioni alla medesima con il contestuale trasferimento delle risorse
umane, strumentali e finanziarie necessarie per il loro  svolgimento»
- comma 9, lett. b); 
        (vii)   i   rimanenti   commi   dell'art.   18   disciplinano
l'organizzazione ed il funzionamento della Citta'  metropolitana  con
disposizioni di minuto dettaglio. 
    Il  fatto  che  l'art.  18  disponga  -  sbrigativamente   -   la
soppressione delle Province di Roma,  Milano,  Torino,  Venezia  etc.
impone di estendere all'art. 18 le stesse censure  di  illegittimita'
costituzionale avanzate sopra (sub 4) nei confronti dell'art. 17 d.l.
n. 95/2012, convertito, con  modificazioni,  nella  l.  n.  135/2012,
censure che devono intendersi qui  integralmente  richiamate  (e  non
riprodotte per evitare inutili appesantimenti). 
    Un tanto premesso, devesi evidenziare, poi,  che  il  legislatore
statale ha istituito le Citta' metropolitane di Roma, Milano, Torino,
Venezia etc. dall'alto, non prevedendo affatto - cosi'  come  avrebbe
imposto il rispetto dei fondamentali artt. 5 e 114,  3  e  97  e  133
Cost. o, comunque, dei principi da essi  desumibili  -  un'iniziativa
dal basso,  a  partire  dai  Comuni  o  dalle  Province.  Decisamente
conformi a Costituzione, perche' prevedevano un'iniziativa dal  basso
(vale a dire da parte dei Comuni e/o delle Province)  erano,  invece,
gli artt. 23 TUEL e 23 l. n. 42/2009, che, pero', sono stati abrogati
proprio dal comma 1 dell'art. 18 in questione! 
    L'art. 18 non prevede  alcuna  (seria)  forma  di  coinvolgimento
della   Regione   nell'istituzione   della   Citta'    metropolitana,
circostanza,  questa,  che  si  appalesa  del  tutto   lesiva   delle
competenze regionali costituzionalmente  garantite  (come,  noto,  ai
sensi dell'art. 118, comma  2,  Cost.,  la  Citta'  metropolitana  e'
titolare  di  funzioni  amministrative  conferite  anche  con   legge
regionale e, inoltre, ai sensi dell'art.  117,  comma  2,  lett.  p),
Cost., allo Stato e' rimessa solo la  disciplina  della  legislazione
elettorale, degli organi di governo e,  delle  funzioni  fondamentali
delle  Citta'  metropolitane)  e  comunque  del  principio  di  leale
collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost. 
    Le lettere c) e d) del  comma  9  dell'art.  18,  che  prevedono,
rispettivamente, il conferimento di proprie funzioni da  parte  della
Citta' metropolitana ai Comuni ed il conferimento di proprie funzioni
da parte dei Comuni alla  Citta'  metropolitana,  si  appalesano  del
tutto lesivi dell'art. 118,  comma  2,  Cost.,  che  dispone  che  il
conferimento di funzioni amministrative ai Comuni, alle  Province  ed
alle Citta' metropolitane avviene mediante legge statale o  -  ed  e'
quella che ivi maggiormente interessa  -  regionale  («I  Comuni,  le
Province  e  le  Citta'  metropolitane  sono  titolari  di   funzioni
amministrative proprie e di quelle  conferite  con  legge  statale  o
regionale, secondo le rispettive competenze»). 
    In altre parole,  la  Costituzione  non  prevede  che  le  Citta'
metropolitane possano conferire funzioni amministrative ai Comuni  o,
viceversa, che i Comuni  possano  conferire  funzioni  amministrative
alle Citta' metropolitane, ma prevede, invece, che  la  competenza  a
disciplinare la titolarita' delle funzioni amministrative spetta allo
Stato  ed  alle  Regioni  in  funzione  della   relativa   competenza
legislativa. 
6)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  19  d.l.  n.  95/2012,
convertito, con modificazioni, nella l. n.  135/2012  per  violazione
degli artt. 3, 97, 114, 117, 118 e 119 Cost. 
    L'art. 19 d.l. n. 95/2012, convertito, con  modificazioni,  nella
l.  n.  135/2012,  rubricato  «Funzioni  fondamentali  dei  comuni  e
modalita' di esercizio associato di  finzioni  e  servizi  comunali»,
riscrive, per quanto qui interessa, la disciplina di cui  agli  artt.
14 d.l. n.  78/2010  (convertito,  con  modificazioni,  nella  l.  n.
122/2010), 16 d.l. n. 138/2011 (convertito, con modificazioni,  nella
l. n. 148/2011 ed impugnato dinanzi  Codesto  Ecc.mo  Collegio  dalla
Regione Veneto con ricorso iscritto al n. 145/2011 Reg.  ric.)  e  32
d.lgs. n. 267/2000. 
    Esso dispone, in estrema sintesi (e rinviando  alla  sua  lettura
integrale per ogni ulteriore dettaglio), quanto segue: 
        (i) tutti i Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti  (7)
 esercitano obbligatoriamente in forma associata, mediante unione  di
Comuni o convenzione, le funzioni fondamentali di  cui  all'art.  14,
comma 27, d.l. n. 78/2010, convertito, con modificazioni, nella l. n.
122/2010 e successivamente modificato proprio dall'art. 19, comma  1,
lett. a), d.l. n. 95/202, convertito, con modificazioni, nella l.  n.
135/2012 (ad esclusione di quelle di cui alla lettera 1) (8)  - comma
1, lett. b), che modifica il comma 28 dell'art. 14 d.l.  n.  78/2010,
convertito, con modificazioni, nella l. n. 122/2010; 
        (ii) il limite demografico minimo delle unioni di Comuni  con
popolazione fino a 5.000 abitanti e' fissato  in  10.000  abitanti  -
comma 1, lett. e), che modifica il comma  31  dell'art.  14  d.l.  n.
78/2010, convertito, con modificazioni, nella l. n. 122/2010; 
        (iii) le convenzioni, disciplinate dall'art. 30  TUEL,  hanno
durata triennale; tuttavia, ove alla scadenza  di  tale  periodo  non
siano stati  conseguiti  significativi  livelli  di  efficacia  e  di
efficienza nella gestione, i Comuni  interessati  sono  obbligati  ad
esercitare le funzioni fondamentali esclusivamente mediante unioni di
Comuni - comma 1, lett. e), che aggiunge il comma 31-bis all'art.  14
d.l. n. 78/2010, convertito, con modificazioni, nella l. n. 122/2010; 
        (iv) i Comuni interessati devono assicurare l'esercizio delle
funzioni fondamentali di cui sopra  entro  il  1°  gennaio  2013  con
riguardo ad almeno tre di esse  ed  entro  il  1°  gennaio  2014  con
riguardo alle restanti - comma 1, lett. e),  che  aggiunge  il  comma
31-ter all'art. 14 d.l. n. 78/2010,  convertito,  con  modificazioni,
nella l. n. 122/2010; 
        (v) decorsi inutilmente i termini di cui si e'  appena  detto
(1° gennaio 2013 ed 1° gennaio 2014), il prefetto assegna  agli  enti
inadempienti un termine perentorio entro il quale provvedere, termine
decorso il quale trova applicazione l'art. 8 l. n. 131/2003  -  comma
1, lett. e), che aggiunge il comma  31-quater  all'art.  14  d.l.  n.
78/2010, convertito, con modificazioni, nella l. n. 122/2010; 
        (vi) «la regione, nelle  materie  di  cui  all'articolo  117,
commi  terzo  e  quarto,  della   Costituzione,   individua,   previa
concertazione con i  comuni  interessati  nell'ambito  del  Consiglio
delle  autonomie  locali,  la  dimensione  territoriale  ottimale   e
omogenea  per  area  geografica  per   lo   svolgimento,   in   forma
obbligatoriamente  associata  da  parte  dei  comuni  delle  funzioni
fondamentali di cui al comma 28, secondo  i  principi  di  efficacia,
economicita', di efficienza e di riduzione delle  spese,  secondo  le
forme associative previste dal comma 28. Nell'ambito della  normativa
regionale, i comuni avviano l'esercizio delle  funzioni  fondamentali
in forma associata entro il termine indicato dalla stessa  normativa»
- comma 1, lett. d), che modifica il comma 30 dell'art.  14  d.l.  n.
78/2010, convertito, con modificazioni, nella l. n. 122/2010; 
        (vii) i Comuni con popolazione  fino  a  1.000  abitanti,  in
alternativa  a  quanto  disposto  dall'art.  14  d.l.   n.   78/2010,
convertito, con modificazioni, nella l. n. 122/2010, come  modificato
dall'art.  19,  comma   1,   d.l.   n.   95/2012,   convertito,   con
modificazioni,  nella  l.  n.  135/2012,  e  a  condizione   di   non
pregiudicarne l'applicazione, «possono esercitare in forma  associata
tutte le funzioni e tutti i servizi  pubblici  loro  spettanti  sulla
base della legislazione vigente mediante un'unione di comuni», cui si
applica, in deroga all'art. 32, commi 3 e 6, d.lgs. n.  267/2000,  la
disciplina  prevista  dall'art.  19,  comma  2,  d.l.   n.   95/2012,
convertito, con modificazioni, nella  l.  n.  135/2012  (che,  a  sua
volta,  modifica  l'art.  16  d.l.  n.  138/2011,   convertito,   con
modificazioni, nella l. n. 148/2011) - comma 2, nella  parte  in  cui
modifica l'art. 16,  comma  1,  d.l.  n.  138/2011,  convertito,  con
modificazioni, nella l. n. 148/2011; 
        (viii) alternativamente all'unione di Comuni  di  cui  si  e'
appena detto sopra (sub vii), possono essere  stipulate  una  o  piu'
convenzioni di cui all'art. 30 TUEL di durata almeno  triennale,  con
applicazione, in  caso  di  mancato  conseguimento  di  significativi
livelli di efficacia ed efficienza nella gestione, del  comma  31-bis
all'art. 14 d.l. n. 78/2010, convertito, con modificazioni, nella  l.
n. 122/2010, aggiunto dall'art.  19,  comma  1,  lett,  e),  d.l.  n.
95/2012, convertito, con modificazioni, nella l. n. 135/2012 -  comma
2, nella parte in cui modifica l'art. 16, comma 12, d.l. n. 138/2011,
convertito, con modificazioni, nella l. n. 148/2011; 
        (ix) le unioni  dei  Comuni  con  popolazione  fino  a  1.000
abitanti sono  istituite  in  modo  che  la  complessiva  popolazione
residente nei rispettivi territori sia di  norma  superiore  a  5.000
abitanti (ovvero a 3.000 abitanti se i Comuni che intendono  comporre
una medesima unione  appartengono  o  sono  appartenuti  a  comunita'
montane) - comma 2, nella parte in cui modifica l'art. 16,  comma  4,
d.l.  n.  138/2011,  convertito,  con  modificazioni,  nella  l.   n.
148/2011; 
        (x) i predetti Comuni con popolazione fino a  1.000  abitanti
che abbiano deciso di esercitare in forma associata tutte le funzioni
e  tutti  i  servizi  pubblici  loro  spettanti  sulla   base   della
legislazione vigente, «con deliberazione del consiglio  comunale,  da
adottare,  a   maggioranza   dei   componenti,   conformemente   alle
disposizioni di cui al comma 4, avanzano alla regione una proposta di
aggregazione,  di  identico  contenuto,   per   l'istituzione   della
rispettiva unione. Nel termine perentorio del 31  dicembre  2013,  la
regione  provvede,  secondo  il  proprio   ordinamento,   a   sancire
l'istituzione  di  tutte  le  unioni  del  proprio  territorio   come
determinate nelle proposte  di  cui  al  primo  periodo.  La  regione
provvede anche in caso di proposta di  aggregazione  mancante  o  non
conforme alle disposizioni di cui al presente articolo»  -  comma  2,
nella parte in cui modifica l'art. 16, comma  5,  d.l.  n.  138/2011,
convertito, con modificazioni, nella l. n. 148/2011; 
        (xi) ai commi 2, 3, dal 6 al 11 e 13  dell'art.  16  d.l.  n.
138/2011, convertito, con  modificazioni,  dalla  l.  n.  148/2011  e
modificato, per l'appunto, dall'art. 19, comma 2,  d.l.  n.  95/2012,
convertito, con modificazioni, nella l.  n.  135/2012,  sono  dettate
disposizioni  di  estremo  dettaglio  in  ordine   al   funzionamento
dell'unione  di  Comuni  con  popolazione  fino  a   1.000   abitanti
disciplinata dall'art. 16 stesso; 
        (xii) al comma 3 dell'art. 19 d.l.  n.  95/2012,  convertito,
con modificazioni, nella l. n. 135/2012, si trova riscritto l'art. 32
TUEL, relativo, per l'appunto, all'unione di Comuni. 
    All'esposizione delle censure di  illegittimita'  costituzionale,
devesi premettere che talune di quelle di seguito esposte  concernono
specificamente i  Comuni.  Trattasi,  comunque,  di  censure  che  la
Regione Veneto e' pienamente legittimata a sollevare, perche' tese ad
evidenziare profili di illegittimita' costituzionale che si traducono
in altrettante violazioni dell'autonomia regionale costituzionalmente
garantita. Infatti, come e' stato ricordato sopra,  le  Regioni  sono
legittimate a denunciare l'illegittimita' costituzionale di una legge
statale anche per violazione  delle  competenze  proprie  degli  Enti
locali «purche' la "stretta connessione  [...]  tra  le  attribuzioni
regionali e quelle delle autonomie locali consenta di ritenere che la
lesione  delle  competenze  locali  sia   potenzialmente   idonea   a
determinare una vulnerazione delle competenze regionali" (sentenze n.
95 del 2007, n. 417 del 2005 e n. 196 del 2004)» (cfr.  Corte  cost.,
sent. n. 169/2007, con richiami giurisprudenziali). 
    L'art. 19 d.l. n. 95/2012, convertito, con  modificazioni,  nella
l. n. 135/2012  e'  costituzionalmente  illegittimo  per  violazione,
innanzitutto, dell'art. 117, comma 4, Cost., dalla  cui  lettura  (in
combinato disposto con i commi 2 e 3 dell'art. 117 stesso) si  ricava
che la materia «forme associative tra gli enti locali» rientra  nella
potesta' legislativa regionale residuale. 
    In questo senso, peraltro, depone  la  stessa  giurisprudenza  di
Codesto Ecc.mo  Collegio,  il  quale,  a  proposito  delle  comunita'
montane, le quali  costituiscono  un  caso  speciale  di  unione  tra
Comuni, ha rilevato quanto segue: «Le Comunita' montane costituiscono
un caso speciale di unioni di comuni, dotate di autonomia  (non  solo
dalle regioni ma anche)  dai  comuni,  come  dimostra,  tra  l'altro,
l'espressa attribuzione  alle  stesse  della  potesta'  statutaria  e
regolamentare. L'autonomia delle Comunita' montane non gode  tuttavia
di garanzia costituzionale, cosi'  che  la  loro  disciplina  rientra
nella  competenza  legislativa  residuale  delle  Regioni  ai   sensi
dell'art. 117 comma 4 Cost.» (sottolineatura aggiunta)  (cosi'  Corte
cost., sent. n. 244/2005;  cfr.  Corte  cost.,  sentt.  nn.  27/2010,
237/2009, 456/2005). 
    I principi affermati da Codesto Ecc.mo  Collegio  in  materia  di
comunita'  montane  (che,  per  l'appunto,  costituiscono  una  forma
speciale di unione tra Comuni) non possono che valere  anche  per  le
unioni di Comuni, la cui disciplina, rientrante nella  piu'  generale
materia «forme  associative  tra  gli  enti  locali»,  non  puo'  che
spettare  alla  potesta'  legislativa  regionale  residuale.  D'altra
parte,  anche  nella  giurisprudenza  costituzionale  precedente   la
revisione del Titolo V della Parte II della Costituzione (cfr.  Corte
cost., sent. n. 343/1991), la Regione era stata individuata  come  il
«centro propulsore  e  di  coordinamento  dell'intero  sistema  delle
autonomie locali», necessario a fronte di  un  tessuto  organizzativo
degli Enti locali cosi diversificato da richiedere un incisivo  ruolo
di coordinamento delle Regioni,  nelle  materie  di  loro  spettanza,
anche  per  quanto  attiene  all'organizzazione  delle   funzioni   e
all'individuazione, quindi, del livello ottimale di esercizio. 
    Ne' potrebbe ritenersi, d'altra  parte,  che  Part.  19  d.l.  n.
95/2012,  convertito,  con  modificazioni,  nella  l.  n.   135/2012,
relativo alle unioni tra Comuni e alle convenzioni  tra  gli  stessi,
sia espressione  della  potesta'  legislativa  esclusiva  statale  in
materia di «legislazione elettorale, organi  di  governo  e  funzioni
fondamentali di Comuni,  Province  e  Citta'  metropolitane»  di  cui
all'art. 117, comma 2, lett. p), Cost.  Infatti,  come  affermato  da
Codesto Ecc.mo Collegio con riguardo alle comunita' montane  (ma  gli
stessi principi valgono  per  le  unioni  di  Comuni,  visto  che  le
comunita' montane costituiscono, come  si  e'  detto,  una  tipologia
particolare di unione di Comuni), Part. 117, comma 2, lett. p), Cost.
«fa espresso riferimento ai  Comuni,  alle  Province  e  alle  Citta'
metropolitane e l'indicazione deve ritenersi  tassativa.  Da  qui  la
conseguenza che la disciplina delle Comunita' montane [e, nel caso de
quo, la disciplina dell'unione di Comuni], pur in presenza della loro
qualificazione come enti locali contenuta nel d.lgs. n. 267 del 2000,
rientra nella competenza legislativa residuale delle Regioni ai sensi
dell'art. 117,  quarto  comma,  della  Costituzione»  (sottolineatura
aggiunta) (cosi Corte cost., sent. n. 244/2005). 
    Un surplus di illegittimita' costituzionale per violazione  degli
artt. 117, commi 3 e 4, Cost. deve essere riconosciuto, poi, all'art.
19, comma 2, d.l. n. 95/2012, convertito, con modificazioni, nella l.
n. 135/2012, che (modificando l'art. 16 d.l. n. 138/2011, convertito,
con modificazioni,  dalla  l.  n.  148/2011)  disciplina  l'esercizio
associato, da parte di Comuni con popolazione fino a 1.000  abitanti,
mediante unione di Comuni o convenzione/i, di tutte le funzioni e  di
tutti i servizi pubblici loro spettanti sulla base della legislazione
vigente e non solo, dunque, delle funzioni  fondamentali  (in  ordine
alla cui  disciplina  lo  Stato  gode,  effettivamente,  di  potesta'
legislativa esclusiva ex art. 117, comma 2, lett. p), Cost.). 
    Un tanto premesso, devesi evidenziare, altresi', quanto segue. 
    Il  legislatore  statale  ha  espressamente  affermato   che   le
disposizioni di cui all'art. 19  d.l.  n.  95/2012,  convertito,  con
modificazioni,  nella  l.   n.   135/2012,   sono   disposizioni   di
«coordinamento della finanza  pubblica»:  lo  si  legge  al  comma  1
dell'art. 16 d.l. n. 138/2011, convertito, con  modificazioni,  nella
l. n. 148/2011 e riscritto dal comma 2 dell'art.  19;  lo  si  desume
dallo stesso art. 14 d.l. n. 78/2010, convertito, con  modificazioni,
nella l. n. 122/2010 e riscritto dal comma 1 dell'art. 19  (il  comma
25 dell'art. 14 predetto dispone espressamente che  «le  disposizioni
dei commi da 26 a 31 sono  dirette  ad  assicurare  il  coordinamento
della finanza pubblica»). 
    E' evidente, tuttavia, che le disposizioni  di  cui  all'art.  19
tutto  sono  meno   che   principi   fondamentali   in   materia   di
«coordinamento della finanza pubblica», gli unici che lo Stato ha  il
potere di imporre ex art. 117, comma 3, Cost., che, dunque, nel  caso
di specie, e' pacificamente violato. 
    Ancora una volta si ribadisce,  conformemente  alle  pronunce  di
Codesto Ecc.mo Collegio, che la disciplina di principio  dei  vincoli
finanziari, vale a dire il contesto normativo rimesso alla competenza
legislativa dello Stato, si  configura  compatibile  con  l'autonomia
degli enti costituzionalmente garantiti, come le Regioni ed i Comuni,
solo  allorquando  stabilisca  tassativamente  ed  esclusivamente  un
limite complessivo di intervento - avente ad oggetto o l'entita'  del
disavanzo di parte corrente o  i  fattori  di  crescita  della  spesa
corrente - lasciando agli enti stessi piena autonomia e  liberta'  di
allocazione delle risorse fra i diversi ambiti ed obiettivi di  spesa
(cfr. Corte cast., sent. n.  417  del  2005).  Infatti  -  come  gia'
rilevato sopra -, appare ormai consolidato l'orientamento del Giudice
delle leggi, secondo il quale «norme statali che fissano limiti  alla
spesa delle Regioni e degli enti locali possono qualificarsi principi
fondamentali di coordinamento della finanza  pubblica  alla  seguente
duplice condizione: in primo luogo, che si limitino a porre obiettivi
di riequilibrio della medesima, intesi nel senso  di  un  transitorio
contenimento  complessivo,  anche  se  non  generale,   della   spesa
corrente; in secondo luogo,  che  non  prevedano  in  modo  esaustivo
strumenti o modalita' per il perseguimento  dei  suddetti  obiettivi»
(cfr. in tal senso Corte cost., sentt. nn. 289 e 120/2008, 139/2009 e
326/2010). 
    Poiche' tali requisiti non sussistono nel caso di specie,  devesi
concludere nel senso dell'illegittimita' costituzionale dell'art.  19
d.l. n. 95/2012, convertito, con modificazioni, nella l. n. 135/2012,
per violazione dell'art. 117, comma 3, Cost. 
    Ad essere violato dall'art. 19 d.l. n. 95/2012,  convertito,  con
modificazioni, nella l. n. 135/2012, nella parte  in  cui  obbliga  i
Comuni all'esercizio in forma associata, mediante unione di Comuni  o
convenzione/i, delle funzioni fondamentali, e' pure l'art. 118 Cost.,
il  cui  comma  1  dispone  che  «le  funzioni  amministrative   sono
attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario,
siano conferite a Province, Citta' metropolitane,  Regioni  e  Stato,
sulla  base  dei  principi  di  sussidiarieta',  differenziazione  ed
adeguatezza». Nessun riferimento, dunque, alle unioni di Comuni  o  a
convenzioni tra i Comuni (o, comunque, in generale, tra enti locali),
che dovrebbero essere, soprattutto nel rispetto del fondamentale art.
114 Cost., libere forme associative cui il  Comune  puo'  (non  deve)
ricorrere. 
    Ad essere specialmente violato dall'art. 19,  comma  2,  d.l.  n.
95/2012, convertito, con modificazioni,  nella  l.  n.  135/2012,  il
quale  modifica  l'art.  16  d.l.  n.   138/2011,   convertito,   con
modificazioni,  dalla  l.  n.  148/2011  e  consente  ai  Comuni  con
popolazione fino a 1.000 abitanti di esercitare,  tramite  unione  di
Comuni o convenzione/i, tutte le funzioni e tutti i servizi  pubblici
loro spettanti sulla base della legislazione vigente, e', poi, l'art.
118, comma 2, Cost., che dispone che «i  Comuni,  le  Province  e  le
Citta' metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie
e di quelle conferite con  legge  statale  o  regionale,  secondo  le
rispettive  competenze».  E'  certamente  leso,  dunque,  il   potere
(costituzionalmente garantito) della Regione di  conferire,  mediante
legge regionale, funzioni amministrative ai Comuni (e non  ad  unioni
degli stessi imposte o autorizzate dallo  Stato),  nel  rispetto  dei
soliti principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza. 
    Il complesso di censure avanzate nei confronti dell'art. 19  d.l.
n. 95/2012, convertito, con  modificazioni,  nella  l.  n.  135/2012,
consente di ritenere violato anche l'art. 119 Cost.,  peraltro  anche
con riguardo all'autonomia finanziaria di  entrata  e  di  spesa  dei
Comuni (cfr. comma 2 dell'art. 16 d.l. n. 138/2011,  convertito,  con
modificazioni, nella l. n. 148/2011, come  modificato  dall'art.  19,
comma 2, d.l. n. 95/2012, convertito, con modificazioni, nella 1,  n.
135/2012), e pure gli artt. 3 e 97 Cost., specialmente per  il  fatto
che ai Comuni con popolazione fino a 5.000  abitanti  sono  obbligati
tout court (e quindi in violazione del  principio  costituzionale  di
differenziazione)  all'esercizio  mediante   unione   di   Comuni   o
convenzione delle loro funzioni fondamentali. 
7) Illegittimita' costituzionale dell'alt 23-ter, comma 1, lett.  g),
d.l. n. 95/2012, convertito, con modificazioni, nella l. n.  135/2012
per violazione degli artt. 3, 97, 117, 118 e 119 Cost. 
    Il  comma  1,  lett.  g),  dell'art.  23-ter  d.l.  n.   95/2012,
convertito,  con  modificazioni,  nella  l.  n.  135/2012,  rubricato
«Valorizzazione e dismissione di  immobili  pubblici»,  aggiunge  una
serie  di  commi  all'art.  33  d.l.  n.  98/2011,  convertito,   con
modificazioni, nella  l.  n.  111/2011,  rubricato  «Disposizioni  in
materia di valorizzazione del patrimonio immobiliare», tra  cui,  per
quanto  ivi  particolarmente  interessa,   il   comma   8-ter,   che,
nell'ultimo  periodo,  cosi  dispone:  «La  totalita'  delle  risorse
rivenienti dalla valorizzazione  ed  alienazione  degli  immobili  di
proprieta' delle Regioni e degli Enti locali trasferiti ai  fondi  di
cui  al  presente  comma   [i.e.   fondi   comuni   di   investimento
immobiliare], e' destinata alla riduzione  del  debito  dell'Ente  e,
solo in assenza del debito, o comunque  per  la  parte  eventualmente
eccedente, a spese di investimento». 
    Tale disposizione si appalesa  del  tutto  lesiva  dell'autonomia
regionale e delle autonomie locali costituzionalmente  garantite  (la
lesione  di  queste  ultime  -  come  gia'  altrove   abbondantemente
evidenziato - ben puo' essere denunciata dalla Regione Veneto per  la
stretta  connessione,  specialmente  in  subiecta  materia,  tra   le
attribuzioni regionali e quelle locali). 
    La «valorizzazione ed alienazione degli  immobili  di  proprieta'
delle Regioni e degli Enti locali»  rientra  nella  materia  «beni  e
patrimonio  della  Regione  e  degli  Enti  locali»,  la  quale,  non
rientrando ne' nell'elenco di cui all'art. 117, comma 2,  Cost.,  ne'
nell'elenco di cui  all'art.  117,  comma  3,  Cost.,  e'  certamente
sussumibile nella potesta' legislativa  regionale  residuale  di  cui
all'art. 117, comma 4, Cost. In  ragione  di  cio',  ogni  intervento
legislativo   dello   Stato   deve    reputarsi    costituzionalmente
illegittimo. 
    Se anche si volesse ritenere, poi, che la disposizione  normativa
in questione sia espressione della potesta' legislativa  dello  Stato
(concorrente con quella regionale ex art. 117,  comma  3,  Cost.)  in
materia di «coordinamento  della  finanza  pubblica»,  essa  comunque
sarebbe  costituzionalmente  illegittima,  perche',   disponendo   un
preciso vincolo di destinazione (riduzione del  debito  dell'ente  e,
solo in assenza di debito, o  comunque  per  la  parte  eventualmente
eccedente, a spese di investimento)  delle  risorse  derivanti  dalla
valorizzazione ed alienazione  degli  immobili  di  proprieta'  delle
Regioni  e  degli  Enti  locali  trasferiti  ai   fondi   comuni   di
investimento immobiliare, si configura come una disposizione puntuale
e di estremo  dettaglio,  mentre  lo  Stato,  nelle  materie  di  cui
all'art. 117, comma 3, Cost., deve limitarsi alla sola determinazione
dei principi fondamentali. 
    Non senza aggiungere, poi, che una  disposizione  del  genere  si
configura, in ogni caso, palesemente incostituzionale per  violazione
dell'art. 119 Cost., sull'autonomia finanziaria di entrata e di spesa
delle Regioni e degli Enti locali (comma  1),  i  quali  tutti  hanno
risorse autonome (comma 2) ed un proprio patrimonio  (comma  6),  che
gestiscono, per l'appunto, in piena autonomia. 
    Evidente e' pure la violazione dell'art. 118 Cost., perche',  nel
momento in cui lo Stato impone di destinare  ad  un  certo  specifico
fine le risorse  che  la  Regione  (o  l'Ente  locale)  ricava  dalla
valorizzazione ed alienazione  del  proprio  patrimonio  immobiliare,
chiaramente   interferisce    con    l'esercizio    delle    funzioni
amministrative regionali (o locali). 
    Non  senza  rilevare,  poi,  la  violazione   dei   principi   di
ragionevolezza e buon andamento dell'azione amministrativa (artt. 3 e
97 Cost.): perche'  privare  una  Regione  o  un  Ente  locale  della
liberta'/discrezionalita' di decidere a che fine destinare le risorse
ricavate  dall'alienazione/valorizzazione  del   proprio   patrimonio
immobiliare? Perche' non consentire che tali risorse siano  destinate
ad un investimento da cui  possano  scaturire  ulteriori  risorse  da
destinare non solo alla riduzione del debito, ma anche ad altri fini? 
Istanza di sospensione cautelare ex artt. 35 e 40 l. n.  87/1953  ss.
mm. ii. degli artt. 17, 18 e 19  d.l.  n.  95/2012,  convertito,  con
modificazioni, nella l. n. 135/2012 
    Come noto, l'art. 35 l. n. 87/1953, come modificato  dall'art.  9
l. n. 131/2003, consente a Codesto Ecc.mo Collegio  di  adottare,  in
pendenza di un ricorso in via  principale,  i  provvedimenti  di  cui
all'art. 40 l. n. 87/1953 e, quindi, di pronunciare  la  sospensione,
per gravi ragioni e con  ordinanza  motivata,  dell'esecuzione  della
legge impugnata. 
    I presupposti legittimanti, in punto di perkulum  in  mora,  sono
rappresentati dal fatto che «l'esecuzione dell'atto  impugnato  o  di
parti  di  esso  possa  comportare  il  rischio  di  un  irreparabile
pregiudizio all'interesse pubblico o all'ordinamento giuridico  della
Repubblica, ovvero il rischio di un pregiudizio grave ed irreparabile
per i diritti dei cittadini». 
    Premesso che in ordine  al  fumus boni  iuris  delle  censure  di
illegittimita' costituzionale avanzate nei confronti degli artt.  17,
18 e 19 d.l. n. 95/2012, convertito, con modificazioni, nella  l.  n.
135/2012, si e' gia' ampiamente detto nelle pagine che precedono,  in
punto di periculum in mora, e' sufficiente evidenziare quanto segue: 
        (i) entro il 14 ottobre 2012 (sessanta giorni dalla  data  di
entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n. 95/2012), si
provvedera' al  riordino  delle  Province  con  atto  legislativo  di
iniziativa  governativa  (art.  17,  comma  4,   d.l.   n.   95/2012,
convertito, con modificazioni, nella l. n. 135/2012); 
        (ii) entro il 1° gennaio 2013 i Comuni con popolazione fino a
5.000  abitanti  devono   esercitare   obbligatoriamente   in   forma
associata, mediante unione di Comuni o convenzione, almeno tre  delle
funzioni fondamentali di cui all'art. 14, comma 27, d.l. n.  78/2010,
convertito,   con   modificazioni,   nella   l.   n.   122/2010,    e
successivamente modificato dall'art. 19, comma 1, lett. a),  d.l.  n.
95/2012, convertito, con modificazioni, nella l. n. 135/2012; 
        (iii) ulteriori stringenti scadenze sono previste  in  ordine
all'istituzione delle Citta' metropolitane e alla soppressione  delle
Province  del  relativo  territorio,   ove   si   tenga   conto   che
l'istituzione della Citta' metropolitana potrebbe avvenire ben  prima
del 1° gennaio 2014, e, in particolare, alla  data  di  cessazione  o
scioglimento del consiglio provinciale, qualora questi abbiano  luogo
entro il 31 dicembre 2013. 
    Ora, e' evidente che, se si attenderanno i tempi della  giustizia
costituzionale e  all'esito  del  presente  giudizio  Codesto  Ecc.mo
Collegio avra' dichiarato costituzionalmente  illegittimi  gli  artt.
17, 18 e 19 d.l. n. 95/2012, convertito, con modificazioni, nella  l.
n. 135/2012, si saranno frattanto consolidati assetti istituzionali e
normativi  (riordino/soppressione  delle  Province,  istituzione   di
Citta'  metropolitane,  creazione   di   unioni   di   Comuni   etc.)
completamente divergenti dal vigente disegno costituzionale. 
    Dunque, ad  oggi,  si  configura  certamente  il  rischio  di  un
irreparabile  pregiudizio  all'ordinamento  della   Repubblica,   con
conseguente grave ed irreparabile pregiudizio dell'interesse pubblico
e dei diritti dei cittadini. 

(1) Ove non si proceda ai sensi del  comma  l,  a  far  data  dal  1°
    gennaio  2014,  le  predette  societa'   non   possono   ricevere
    affidamenti diretti di servizi, ne' possono fruire del rinnovo di
    affidamenti  di  cui  sono  titolari.  Inoltre,  i  servizi  gia'
    prestati dalle societa', ove  non  vengano  prodotti  nell'ambito
    dell'amministrazione, devono essere acquisiti nel rispetto  della
    normativa comunitaria e nazionale - comma 2. 

(2) I successivi paragrafi dell'art. 11 dispongono quanto segue:  «3.
    Un'amministrazione aggiudicatrice che non esercita su una persona
    giuridica un controllo ai sensi del paragrafo  1,  tuttavia  puo'
    aggiudicare un  appalto  pubblico  senza  applicare  la  presente
    direttiva  a  una   persona   giuridica   da   essa   controllata
    congiuntamente con  altre  amministrazioni  aggiudicatrici,  alle
    seguenti  condizioni:  (a)  le   amministrazioni   aggiudicatrici
    esercitano congiuntamente sulla persona giuridica di cui trattasi
    un controllo analogo a  quello  da  esse  esercitato  sui  propri
    servizi;  (b)  almeno  il  90%  delle  attivita'  della   persona
    giuridica  in  oggetto  viene  svolto  per   le   amministrazioni
    aggiudicatrici  controllanti  o  per  altre  persone   giuridiche
    controllate  dalle  stesse  amministrazioni  aggiudicatrici;  (c)
    nella  persona   giuridica   controllata   non   vi   e'   alcuna
    partecipazione privata. Ai fini della lettera a), si ritiene  che
    le  amministrazioni  aggiudicatrici  esercitino  su  una  persona
    giuridica un controllo congiunto quando sono soddisfatte tutte le
    seguenti condizioni: (a) gli  organi  decisionali  della  persona
    giuridica controllata sono composti da rappresentanti di tutte le
    amministrazioni    aggiudicatrici    partecipanti;    (b)    tali
    amministrazioni  aggiudicatrici  sono  in  grado  di   esercitare
    congiuntamente un'influenza decisiva sugli obiettivi strategici e
    sulle decisioni significative di detta persona giuridica; (c)  la
    persona giuridica controllata non persegue interessi distinti  da
    quelli delle amministrazioni ad essa associate;  (d)  la  persona
    giuridica controllata non tragga dagli appalti  pubblici  con  le
    amministrazioni  aggiudicatrici  alcun  vantaggio   diverso   dal
    rimborso dei costi reali. 4. Un accordo concluso tra due  o  piu'
    amministrazioni  aggiudicatrici  non  si  considera  un   appalto
    pubblico ai sensi dell'articolo 2, paragrafo  6,  della  presente
    direttiva, quando siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
    (a)  l'accordo  stabilisce  un'autentica  cooperazione   tra   le
    amministrazioni aggiudicatrici partecipanti, che mira a  far  si'
    che esse svolgano  congiuntamente  i  loro  compiti  di  servizio
    pubblico e che implica diritti e obblighi reciproci delle  parti;
    (b) l'accordo e' retto esclusivamente da considerazioni  inerenti
    all'interesse pubblico;  (c)  le  amministrazioni  aggiudicatrici
    partecipanti non svolgono sul mercato aperto piu' del  10%  -  in
    termini di fatturato - delle  attivita'  pertinenti  all'accordo;
    (d)  l'accordo  non  comporta  trasferimenti  finanziari  tra  le
    amministrazioni aggiudicatrici  partecipanti  diversi  da  quelli
    corrispondenti al rimborso dei costi effettivi  dei  lavori,  dei
    servizi   o   delle   forniture;   (e)   nelle    amministrazioni
    aggiudicatrici  non  vi  e'  alcuna  partecipazione  privata.  5.
    L'assenza di partecipazione privata di cui ai paragrafi da 1 a  4
    e' verificata al momento dell'aggiudicazione dell'appalto o della
    conclusione dell'accordo. Le esclusioni di cui ai paragrafi da  1
    a 4 del presente articolo non sono piu' applicabili  dal  momento
    in cui interviene una qualsiasi partecipazione  privata,  con  la
    conseguenza che i contratti in corso devono  essere  aperti  alla
    concorrenza mediante regolari procedure di  aggiudicazione  degli
    appalti. 

(3) «Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni  a
    statuto ordinario e delle province, nonche' di determinazione dei
    costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario». 

(4) «Delega  al  Governo  in  materia  di  federalismo  fiscale,   in
    attuazione dell'articolo 119 della Costituzione». 

(5) «In esito al riordino di cui al  comma  1,  assume  il  ruolo  di
    comune capoluogo delle singole province il comune gia'  capoluogo
    di provincia con maggior popolazione residente, salvo il caso  di
    diverso accordo tra i comuni gia' capoluogo di ciascuna provincia
    oggetto di riordino» - comma 4-bis. 

(6) E' bene richiamare quantomeno i primi  due  commi  dell'art.  118
    Cost: «1. Le funzioni amministrative sono  attribuite  ai  Comuni
    salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano  conferite
    a Province, Citta' metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei
    principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza. 2. I
    Comuni, le Province e le Citta' metropolitane  sono  titolari  di
    funzioni amministrative proprie e di quelle conferite  con  legge
    statale o regionale, secondo le rispettive competenze». 

(7) Ovvero fino a 3.000 abitanti se appartengono o sono appartenuti a
    comunita' montane, esclusi i Comuni il  cui  territorio  coincide
    integralmente con quello di una o  piu'  isole  e  il  comune  di
    Campione d'Italia. 

(8) Le funzioni fondamentali ai sensi dell'art. 117, comma  2,  lett.
    p), Cost. sono (art. 19, comma 1,  lett.  a),  d.l.  n.  95/2012,
    convertito, con modificazioni, nella l. n. 135/2012, che modifica
    il comma  27  dell'art.  14  d.l.  n.  78/2010,  convertito,  con
    modificazioni, nella l. n. 122/2010): a) organizzazione  generale
    dell'amministrazione,  gestione   finanziaria   e   contabile   e
    controllo; b) organizzazione dei servizi  pubblici  di  interesse
    generale di ambito comunale, ivi compresi i servizi di  trasporto
    pubblico  comunale;  c)  catasto,  ad  eccezione  delle  funzioni
    mantenute   allo   Stato   dalla   normativa   vigente;   d)   la
    pianificazione urbanistica ed edilizia di ambito comunale nonche'
    la partecipazione alla  pianificazione  territoriale  di  livello
    sovracomunale;   e)   attivita',   in   ambito    comunale,    di
    pianificazione di protezione civile e di coordinamento dei  primi
    soccorsi; f)  l'organizzazione  e  la  gestione  dei  servizi  di
    raccolta, avvio e smaltimento e recupero dei rifiuti urbani e  la
    riscossione dei relativi tributi; g) progettazione e gestione del
    sistema locale dei servizi sociali ed erogazione  delle  relative
    prestazioni ai cittadini, secondo quanto  previsto  dall'articolo
    118, quarto comma, della Costituzione; h) edilizia scolastica per
    la  parte  non  attribuita  alla   competenza   delle   province,
    organizzazione e gestione  dei  servizi  scolastici;  i)  polizia
    municipale  e  polizia  amministrativa  locale;  l)  tenuta   dei
    registri di stato civile e di popolazione e compiti in materia di
    servizi anagrafici nonche' in materia  di  servizi  elettorali  e
    statistici, nell'esercizio delle funzioni di competenza statale. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Chiede che l'Ecc.ma Corte costituzionale voglia: 
        in via  cautelare,  sospendere  l'efficacia/esecuzione  degli
artt. 17, 18 e 19 d.l. n.  95/2012,  convertito,  con  modificazioni,
nella l. n. 135/2012; 
        nel merito, dichiarare l'illegittimita' costituzionale  degli
artt. 4, 9, 16-bis, 17, 18, 19 e 23-ter, comma  1,  lettera  g),  del
decreto-legge 6 luglio 2012,  n.  95,  cosi'  come  risultanti  dalla
conversione, con modificazioni, nella legge 7  agosto  2012,  n.  135
(Disposizioni urgenti per  la  revisione  della  spesa  pubblica  con
invarianza dei  servizi  ai  cittadini),  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica Italiana n. 189 del  14  agosto  2012  per
violazione degli artt. 3, 5, 77, 97, 114, 117, 118, 119, 120,  132  e
133 Cost., del principio di leale collaborazione di cui agli artt.  5
e 120 Cost., della l. cost. n. 3/2001 e della l. n. 42/2009. 
        Padova - Venezia - Roma, 10 ottobre 2012 
 
   prof. avv. Bertolissi - avv. Zanon - avv. Palumbo - avv. Manzi 
 
    Si allega:  1) deliberazione della Giunta regionale del Veneto n.
1943 del 2 ottobre 2012.