N. 295 SENTENZA 11 - 19 dicembre 2012
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Magistrati - Magistrati ordinari - Indennita' giudiziaria - Situazioni di sospensione delle funzioni in cui l'indennita' non viene corrisposta - Esclusione dal novero delle predette situazioni dell'astensione obbligatoria per maternita' - Riconoscimento del diritto alla prestazione indennitaria, in base al diritto vivente, solo per l'avvenire - Asserita violazione del principio di ragionevolezza e di eguaglianza - Asserita violazione dei principi costituzionali in materia di protezione della famiglia, della maternita' e dell'infanzia - Insussistenza - Non fondatezza della questione. - Legge 19 febbraio 1981, n. 27, art. 3, primo comma, in combinato disposto con l'art. 1, comma 325, della legge 30 novembre 2004, n. 311. - Costituzione, artt. 3, 29, 30, 31 e 37.(GU n.51 del 27-12-2012 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente:Alfonso QUARANTA; Giudici :Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI,
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 3, primo comma, della legge 19 febbraio 1981, n. 27 (Provvidenze per il personale di magistratura), in combinato disposto con l'art. 1, comma 325, della legge 30 novembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2005), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sede di Reggio Calabria, nel procedimento tra C. G. e il Ministero della giustizia ed altro, con ordinanza del 1° febbraio 2012, iscritta al n. 73 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell'anno 2012. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 19 settembre 2012 il Giudice relatore Luigi Mazzella. Ritenuto in fatto 1. - Con ordinanza del 1° febbraio 2012, il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria - sede di Reggio Calabria ha proposto, con riferimento agli articoli 2, 3, 29, 30, 31 e 37 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, primo comma, della legge 19 febbraio 1981, n. 27 (Provvidenze per il personale di magistratura), in combinato disposto con l'art. 1, comma 325, della legge 30 novembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2005). Espone il Tribunale amministrativo rimettente che la ricorrente, magistrato in servizio presso il Tribunale di Reggio Calabria con funzione di giudice, aveva chiesto il riconoscimento del proprio diritto alla restituzione dell'indennita' giudiziaria di cui all'art. 3, primo comma, della legge n. 27 del 1981, cosi' come modificato dall'art. 1, comma 325, della legge n. 311 del 2004, relativa al periodo di assenza obbligatoria di cui all'art. 4 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), oggi disciplinata dagli artt. 16 e 17 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternita' e della paternita', a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), e la conseguente condanna delle amministrazioni resistenti al versamento dell'indennita' non corrisposta. Osserva il rimettente che la risoluzione della controversia dipende, a suo avviso, da una unica questione di diritto, costituita dalla interpretazione della modifica che il citato 1, comma 325, ha apportato all'art. 3, primo comma, della legge n. 27 del 1981: norma la cui natura non retroattiva e' stata affermata in una recente pronuncia dal Consiglio di Stato, in contrasto con l'orientamento precedentemente adottato dal rimettente. Cio' posto, dopo aver disatteso le argomentazioni odierne della parte ricorrente, tese a reintrodurre ulteriori argomenti di valutazione della portata retroattiva della norma in esame le quali, ancorche' condivise dal Tar rimettente, contrastano con l'orientamento consolidato del giudice di appello, afferma di non condividere le valutazioni da quest'ultimo pure espresse circa la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale della norma in esame. Il rimettente, invero, afferma di non ignorare che la giurisprudenza della Corte costituzionale e' ferma nel ritenere non illegittima costituzionalmente la previsione vigente prima della riforma del 2004, secondo la quale l'astensione obbligatoria per maternita' sospende il trattamento economico relativo all'indennita' giudiziaria. Tuttavia, ad avviso del Tar, sussistono i presupposti per investire nuovamente la Corte costituzionale dell'esame della questione, nell'auspicio di un ripensamento e della elaborazione di una soluzione piu' aderente alle specifiche esigenze di tutela dei valori costituzionali che si espongono a seguire. Nella fattispecie esaminata dalla Corte nel corso del giudizio, conclusosi con la sentenza n. 137 del 2008, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, primo comma, della legge 19 febbraio 1981, n. 27 nel testo risultante anteriormente alla modifica operata con il citato art. 1, comma 325, era stata sollevata, esclusivamente (per violazione dell'art. 3 della Costituzione), sotto il profilo specifico della disparita' di trattamento tra il personale di magistratura ed il personale addetto alle cancellerie ed agli uffici giudiziari. Ad avviso del rimettente, invece, la fattispecie normativa e' sospetta di incostituzionalita' per profili ulteriori e diversi rispetto a quelli gia' a suo tempo denunciati e ritenuti manifestamente infondati dalla Corte. In primo luogo, il rimettente censura la norma in quanto determinerebbe disparita' di trattamento, in violazione degli artt. 2 e 3 della Costituzione. Secondo il Tribunale, oggetto del dubbio di legittimita' sarebbe non soltanto la norma di cui all'art. 3, primo comma, della l. 19 febbraio 1981, n. 27, nel testo risultante anteriormente alla modifica operata con l'art. 1, comma 325, della legge n. 311 del 2004, ma quest'ultima norma, nella parte in cui e' interpretata, secondo il sopra riportato "diritto vivente", nel senso che non ha reso retroattivo il riconoscimento della spettanza dell'indennita' giudiziaria al personale in congedo per maternita' in periodi anteriori alla sua entrata in vigore. In tal modo, secondo il Tar, sarebbe stato violato il precetto di cui all'art. 3 della Costituzione, perche' sarebbe stata introdotta una manifesta disparita' di trattamento all'interno del personale di magistratura, arbitrariamente suddiviso in ragione del periodo temporale della astensione per maternita', nonostante l'identita' di situazioni di tutela e l'identita' di funzioni giurisdizionali svolte. La disparita' di trattamento operata dal combinato disposto dell'art. 3, primo comma, della legge n. 27 del 1981 e dall'art. 1, comma 325, della legge n. 311 del 2004, sarebbe particolarmente grave ed inaccettabile laddove si consideri che l'indennita' giudiziaria nel periodo anteriore all'entrata in vigore del predetto art. 1, negata alle lavoratrici magistrato in maternita', sarebbe riconosciuta ai magistrati collocati fuori ruolo per incarichi extra-giudiziari, nonostante che gli stessi non prestino la propria attivita' nell'ambito di quelle specifiche funzioni giurisdizionali al sollievo delle quali l'indennita' e' istituita. Il collocamento fuori ruolo per incarichi extra giudiziari o incarichi speciali, invero, riferisce il rimettente, non e' espressamente elencato nel citato art. 3, primo comma, tra le condizioni - tassativamente elencate e di stretta interpretazione, avendo natura di eccezione rispetto alla regola generale - di aspettativa, astensione facoltativa, congedo o sospensione dal servizio, da escludersi ai fini del computo dell'indennita'. Secondo il Tar rimettente, inoltre, la disparita' di trattamento e l'ingiustizia manifesta della diversa condizione dei medesimi magistrati si apprezzerebbero maggiormente considerando che, nella prassi concreta degli uffici giudiziari, il periodo in astensione non diminuisce la quantita' di lavoro che il magistrato interessato e' chiamato ad assicurare, traducendosi solitamente in un mero differimento delle cause a ruolo, che dovranno comunque essere trattate al rientro dall'aspettativa. Un ulteriore profilo di manifesta disparita' di trattamento "interna" alla norma sarebbe, poi, ravvisabile nell'elencazione delle ipotesi di esclusione: esse sarebbero tutte accumunate da una circostanza di riferibilita' della condizione di temporaneo mancato esercizio delle funzioni giudiziarie a scelta del magistrato (congedo straordinario o aspettativa). Anche l'astensione facoltativa di cui agli artt. 32 e 47, commi 1 e 2, del d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, sarebbe frutto di un libero apprezzamento del genitore, finalizzato alla cura della prole; la sospensione per qualsiasi causa sarebbe, infine, ipotesi residuale che raccoglie le circostanze relative, ad esempio, a misure disciplinari il cui mancato computo ai fini dell'indennita' giudiziaria sarebbe comunque sorretto da un criterio oggettivo. Pertanto, secondo il Tar di Reggio Calabria, pur nella doverosa considerazione dei margini di discrezionalita' politica del legislatore, e' certamente irrazionale l'inclusione dell'aspettativa obbligatoria per maternita' tra i periodi di esclusione del servizio dal computo della indennita' giudiziaria, perche' non sussisterebbe una possibilita' di scelta per il genitore magistrato tra l'astenersi o meno dal lavoro, ne' potrebbe ravvisarsi in essa alcuna ipotesi anche latamente sanzionatoria o disciplinare. In secondo luogo, viene denunciata la violazione degli artt. 2, 3, 29, 30, 31 e 37 Cost. In un contesto etico e sociale caratterizzato da una forte tendenza alla dissociazione tra dimensione personale-affettiva ed ambiente produttivo (gia' di per se' contrastante con il modello sociale che l'art. 2 della Costituzione presuppone), il disconoscimento dell'indennita' giudiziaria per il periodo di astensione obbligatoria per maternita' assumerebbe una forte e chiara connotazione simbolica, lesiva dei diritti della persona e dell'individuo e di quella specifica tutela che va riservata alla donna lavoratrice. Cio' contrasterebbe con la tutela della dignita' dell'individuo, sia di per se' che nelle due formazioni sociali in cui si realizza, ovvero la famiglia ed il contesto lavorativo, che e' invece obbligo della Repubblica ex art. 2 della Costituzione assicurare. La norma, inoltre, si porrebbe in contrasto con gli articoli 29 e 30 e 31 della Costituzione, essendo compromessa la tutela della famiglia, dei genitori e dei minori. Il rimettente auspica che la Corte rimediti criticamente quanto ritenuto nell'ordinanza n. 137 del 2008, ove si nega l'esistenza di quella disparita' di trattamento che, invece, emergerebbe dai lavori preparatori, nei quali si leggerebbe chiaramente l'intento dei proponenti di eliminare una irrazionale disparita' di trattamento tra il personale di magistratura ed il personale addetto alle cancellerie degli uffici giudiziari, nei quali si evidenzierebbe come l'attribuzione della indennita' e' stata "scollegata" dall'ambito del rischio professionale e le e' stata riconosciuta natura retributiva, per poi essere riconosciuta normativamente ai magistrati ordinari distaccati per funzioni amministrative (cosi' come ai magistrati del Consiglio di Stato, dei Tar, della Corte dei Conti, dei Tribunali militari), oltre che delle cancellerie e segreterie giudiziarie e delle magistrature speciali. Nei limiti in cui e' interpretabile come non retroattiva, dunque, la norma diverrebbe causa di una ingiustificata disparita' di trattamento rispetto ad altre ipotesi normative di struttura analoga, nelle quali si e' riconosciuto l'applicabilita' della nuova disposizione a fattispecie verificatesi anteriormente alla sua entrata in vigore. 2. - E' intervenuto nel giudizio incidentale il Presidente del Consiglio dei ministri, deducendo la manifesta inammissibilita' e l'infondatezza della questione proposta. Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, invero, l'ordinanza di rimessione riproporrebbe questioni di legittimita' costituzionale identiche rispetto a quelle gia' esaminate dalla Corte costituzionale in diverse pronunce, che hanno escluso la sussistenza di tutti i profili di illegittimita' denunciati dal rimettente, e presupporrebbe, ingiustificatamente, che la modifica normativa operata dal legislatore nel 2004 avrebbe posto rimedio ad una precedente situazione di illegittimita' costituzionale, laddove, al contrario, il sistema stabilito dal legislatore precedente non presenterebbe alcun profilo di criticita'. Considerato in diritto 1. - Il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria - sede di Reggio Calabria dubita, con riferimento agli articoli 2, 3, 29, 30, 31 e 37 della Costituzione, della legittimita' costituzionale dell'art. 3, primo comma, della legge 19 febbraio 1981, n. 27 (Provvidenze per il personale di magistratura), in combinato disposto con l'art. 1, comma 325, della legge 30 novembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2005). L'art. 3 della legge n. 27 del 1981 prevede, per i magistrati ordinari, una speciale voce retributiva «in relazione agli oneri che gli stessi incontrano nello svolgimento della loro attivita'». Tale voce, nell'iniziale formulazione della disposizione, era esclusa nei periodi di congedo straordinario, di aspettativa per qualsiasi causa, di astensione obbligatoria per maternita' e di astensione facoltativa e di sospensione dal servizio per qualsiasi causa. In seguito, per effetto della modifica apportata dall'art. 1, comma 325, legge n. 311 del 2004, tra le situazioni in cui l'indennita' non e' riconosciuta e' stata esclusa quella dell'astensione obbligatoria per maternita'. Oggetto della presente questione e', al contempo, la norma nella sua formulazione originaria e quella di modifica nella parte in cui - secondo l'interpretazione ormai consolidata dal Consiglio di Stato e, dunque, in base al diritto vivente - anziche' disporre in modo retroattivo il riconoscimento dell'indennita' giudiziaria durante i periodi di astensione obbligatoria a tutte le lavoratrici in maternita', ha riconosciuto tale spettanza solo per l'avvenire. Tale complessiva disciplina e' ritenuta, in primo luogo, discriminatoria rispetto ad altra ipotesi, normativamente prevista, nella quale si realizzerebbe una sospensione delle funzioni giurisdizionali per le quali l'indennita' sarebbe stata prevista. In secondo luogo, il rimettente, reputa la disciplina irragionevole, atteso che, per il carattere necessitato della sospensione della prestazione lavorativa in caso di maternita', la condotta del magistrato in tale stato non potrebbe ritenersi al medesimo addebitabile. Il Tribunale, infine, denuncia il contrasto della norma in esame con i principi costituzionali dettati dagli artt. 29, 30, 31 e 37 della Costituzione, in materia di protezione della famiglia, della maternita' e dell'infanzia. 2. - Preliminarmente, in punto di ammissibilita', deve condividersi l'opzione ermeneutica adottata dal rimettente, circa l'irretroattivita' del riconoscimento dell'indennita' giudiziaria ai magistrati in astensione obbligatoria. Tale interpretazione, ormai consolidata nella giurisprudenza amministrativa, e' stata gia' condivisa da questa Corte nella sentenza n. 137 del 2008 e nella successiva ordinanza n. 346 del 2008, nelle quali e' stato affermato che «contrariamente a quanto ritiene il giudice a quo, non e' possibile dedurre dall'intervento dell'art. 1, comma 325, della legge finanziaria per l'anno 2005 a favore dei magistrati assenti per maternita', l'intento del legislatore di rimuovere una situazione di illegittima disparita' di trattamento» e che «la novella citata costituisce invece manifestazione della discrezionalita' del potere legislativo nel collocare nel tempo le innovazioni legislative». 3. - Quanto alle questioni sollevate con riferimento al principio di uguaglianza e di ragionevolezza, deve in primo luogo evidenziarsi che il richiamo dell'art. 2, Cost., essendo privo di motivazione, deve considerarsi del tutto pleonastico. In relazione al principio di uguaglianza, di cui all'art. 3 Cost., questa Corte ha escluso che la norma censurata determini una disparita' di trattamento: a) tra le donne magistrato e la generalita' delle dipendenti statali (sentenza n. 238 del 1990); b) tra le donne magistrato obbligatoriamente assenti per maternita' e i magistrati in servizio (sentenza n. 407 del 1996); c) tra magistrati donne e magistrati uomini (sentenza n.106 del 1997); d) tra le donne magistrato e il personale della cancelleria e delle segreterie giudiziarie, al quale tale provvidenza e' stata estesa (ordinanze n. 290 del 2006 e nn. 137 e 346 del 2008). 4. - Rispetto a tale orientamento, il rimettente ritiene di poter evidenziare un nuovo profilo di disparita' di trattamento sostenendo che l'indennita' giudiziaria, negata al personale in astensione per maternita', e' riconosciuta (a suo avviso in modo contraddittorio) ai magistrati collocati fuori ruolo per incarichi extra-giudiziari, ancorche' gli stessi non prestino la propria attivita' nell'ambito di quelle specifiche funzioni giurisdizionali in relazione alle quali l'indennita' e' istituita. La questione non e' fondata. Lo status dei magistrati collocati fuori ruolo, utilizzato dal rimettente come termine di raffronto, e' del tutto disomogeneo rispetto alla fattispecie disciplinata dalla norma in esame. Invero, mentre l'astensione obbligatoria per maternita' determina la sospensione della prestazione lavorativa da parte del magistrato, seppur giustificata da validi motivi, il collocamento fuori ruolo per lo svolgimento di funzioni non giudiziarie non produce l'effetto di alcuna sospensione delle prestazioni lavorative e professionali del magistrato, ma determina la mera sostituzione dell'ordinaria attivita' giurisdizionale con funzioni diverse. In tutti i casi in cui il legislatore reputa necessario affidare a magistrati compiti di particolare delicatezza, al servizio di alcuni organi o istituzioni (quali, ad esempio, la Presidenza della Repubblica, la Corte costituzionale, il Governo, il Consiglio superiore della magistratura), anche al fine di garantire l'imparzialita' e la competenza giuridica nello svolgimento di tali mansioni, distogliendoli temporaneamente dalle loro funzioni giurisdizionali, la prestazione lavorativa di questi rappresenta, comunque, una delle molteplici modalita' di esplicazione della loro attivita' professionale (che, peraltro, gia' contempla, come e' noto, diverse attivita' non giurisdizionali). D'altra parte, questa Corte ha gia' avuto modo di chiarire che l'indennita' giudiziaria non e' specificamente connessa ne' al rischio professionale, ne' alla attivita' decisoria in se' considerata, ma fa parte del trattamento complessivo globalmente spettante al magistrato, essendo collegata al servizio istituzionale da questi svolto (sentenza n. 57 del 1990) e finalizzata alla valorizzazione di tutte le funzioni giudiziarie (sentenza n. 119 del 1991). Essa, dunque, non e' corrisposta in relazione alla sola attivita' giurisdizionale propriamente detta, ma a compenso di tutte le funzioni in cui si articola l'attivita' giudiziaria. Cosicche', una sua eventuale sospensione per i magistrati fuori ruolo comporterebbe un'ingiustificata disparita' di trattamento tra questi e i loro colleghi in ruolo. 5. - Sotto il profilo degli altri parametri citati, deve escludersi che la mancata erogazione della indennita' giudiziaria valga a far considerare il trattamento complessivamente assicurato alla donna magistrato insufficiente ai fini della tutela garantita alla famiglia ed ai figli dagli artt. 29 e 30, Cost, ed alla donna lavoratrice dall'art. 37, Cost. Invero, in base a quanto gia' piu' volte affermato da questa Corte (da ultimo, sentenza n. 290 del 2006), la tutela della famiglia e dei minori, di cui agli artt. 29 e 30, Cost. e quella della donna lavoratrice di cui all'art. 37, Cost. - e, dunque, anche quella della famiglia, della maternita' e dell'infanzia di cui all'art. 31, Cost. - non impongono necessariamente la corresponsione al magistrato in maternita', oltre che dello stipendio, anche dell'indennita' giudiziaria. In linea con quanto da questa Corte gia' enunciato (ordinanze n. 137 e 346 del 2008), ed anche con riferimento ai nuovi profili di censura, deve, dunque, ribadirsi che, con la riforma dell'art. 3 della legge n. 27 del 1981, il legislatore non ha inteso porre rimedio ad alcun profilo di illegittimita' costituzionale della precedente disciplina «costituendo, piuttosto, la novella citata la manifestazione della discrezionalita' del legislatore nel collocare nel tempo le innovazioni normative».
per questi motivi la corte costituzionale dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, primo comma, della legge 19 febbraio 1981, n. 27 (Provvidenze per il personale di magistratura), in combinato disposto con l'art. 1, comma 325, legge 30 novembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2005), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 29, 30, 31 e 37 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sede di Reggio Calabria, con l'ordinanza indicata in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 dicembre 2012. F.to: Alfonso QUARANTA, Presidente Luigi MAZZELLA, Redattore Gabriella MELATTI, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 19 dicembre 2012. Il Direttore della Cancelleria F.to: Gabriella MELATTI