N. 304 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 maggio 2012
Ordinanza del 21 maggio 2012 emessa dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere nel procedimento relativo a D.G.A. . Misure di prevenzione - Ipotesi di sospensione dell'esecuzione della misura di prevenzione personale (nella specie, sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel comune di residenza) a causa dello stato detentivo in espiazione di pena del proposto - Mancata previsione del potere-dovere del giudice dell'esecuzione di valutare la persistenza della pericolosita' nel momento dell'esecuzione - Violazione del principio di ragionevolezza - Disparita' di trattamento rispetto a quanto previsto dall'art. 679 cod. proc. pen. per le misure di sicurezza, anche non detentive - Lesione del diritto di difesa (stante l'attuale disciplina che trasferisce sull'interessato l'onere di promuovere istanza di revoca per intervenuta modifica della personalita' li' dove la verifica della persistenza dei parametri applicativi della misura va garantita ex officio). - Legge 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 12 (ora decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, art. 15). - Costituzione, artt. 3, primo comma, e 24.(GU n.4 del 23-1-2013 )
IL TRIBUNALE Nella procedura di prevenzione personale n. 23/2011 R.G.M.P. pendente nei confronti di D. G. A., nato a S. M. (..) il 24 maggio 1956; Sciogliendo la riserva di cui al verbale di udienza del 18 aprile 2012 Premesso in fatto che, in data 3 febbraio 2011, la Procura della Repubblica di Napoli, Direzione Distrettuale Antimafia ha avanzato proposta di applicazione della misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale della pubblica sicurezza, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale, ai sensi della legge 27 dicembre 1965 n. 575 (applicabile razione temporis alla fattispecie al vaglio, a norma dell'art. 117 d.lgs. n. 159/2011), nei confronti di D. G. A., quale soggetto indiziato di appartenere al sodalizio camorrista denominato «clan dei casalesi», fondando il proprio assunto sugli elementi di fatto emersi a suo carico nel procedimento penale n. 22138/05 R.G.P.M. (ancora pendente) e compendiati nell'ordinanza di custodia cautelare in carcere n. 871/08, emessa dal G.i.p. presso il Tribunale di Napoli il 16 aprile 2008 (e confermata in sede di riesame), nonche' sulla sentenza di condanna del processo cd. «Spartacus I» pronunciata (anche) nei confronti dell'odierno proposto dalla Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere in data 15 settembre 2005; che nel corso della presente procedura sono stati acquisiti (tra l'altro) certificato aggiornato del casellario giudiziale e posizione giuridica del proposto, dai quali si evince che quest'ultimo, attualmente detenuto (in espiazione pena), ha riportato plurime condanne definitive a pene detentive anche molto elevate per delitti di stampo camorristico (anni 30 di reclusione inflitti con sentenza della Corte d'Assise di Appello di Napoli del 23 gennaio 2003, irrevocabile il 9 dicembre 2003; anni 26 e mesi 6 di reclusione irrogati con sentenza della Corte d'Assise di Appello di Napoli del 5 maggio 2004, irrevocabile il 5 ottobre 2004; anni 30 di reclusione inflitti con sentenza della Corte d'Assise di Appello di Napoli del 24 ottobre 2007, irrevocabile il 15 luglio 2008) e che la sua liberazione, per fine pena, e' attualmente prevista per il 21 maggio 2027 (ossia, tra circa 15 anni) Osserva Il Tribunale, per i motivi che verranno di seguito esposti, ritiene che la decisione sulla applicazione o meno della misura di prevenzione personale presuppone - in via pregiudiziale - la soluzione di una questione di legittimita' costituzionale relativa alla norma di cui all'art. 12 legge 1423/1956 (attuale art. 15 T.U. Antimafia) da sollevarsi per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui detta norma non prevede, in ipotesi di sospensione della esecuzione della misura di prevenzione personale a causa dello stato detentivo in espiazione pena, il potere-dovere del giudice dell'esecuzione di valutare la persistenza della pericolosita' sociale nel momento della esecuzione. Al fine di comprendere le ragioni da cui deriva il dubbio di costituzionalita', vanno sinteticamente esposte le circostanze di fatto e di diritto di seguito indicate. Viene in rilievo, nella fattispecie al vaglio, il caso (invero, non infrequente) in cui la misura di prevenzione personale debba essere applicata ad un soggetto che si trovi in stato di detenzione per reato commesso in precedenza, ipotesi non regolata dalla legge n. 1423/56 (ora d.lgs. n. 159/2011), che, all'art. 11, comma 2 (ora art. 14, comma 2, del T.U.Antimafia), prevede il diverso caso di reato commesso nel corso del termine di durata della sorveglianza speciale. Nell'ipotesi al vaglio, la misura di prevenzione personale eventualmente applicata al proposto non sarebbe immediatamente eseguibile a causa della detenzione del soggetto, in stato di espiazione pena, venendo, quindi, l'esecuzione differita all'epoca della successiva scarcerazione. Si viene, in tal modo, a creare una scissione temporale tra il momento dell'applicazione della misura - nel quale il giudice e' chiamato a verificare la sussistenza di tutti i presupposti di legge, tra cui l'attualita' della pericolosita' sociale del soggetto, senza la quale le limitazioni della liberta' personale connesse alla misura non troverebbero giustificazione - ed il momento in cui la misura stessa e' destinata a produrre i suoi effetti, e tale separazione tra il momento dell'applicazione e quello della esecuzione appare particolarmente rilevante nel caso (ricorrente nella fattispecie al vaglio) di detenzione in espiazione pena di lunga durata (ed ancora di piu', in caso di ergastolo). Ed infatti, la questione dei rapporti tra detenzione e misure di prevenzione personali e' stata piu' volte dibattuta in giurisprudenza, la quale si e' principalmente interrogata sulla applicabilita' delle misure di prevenzione personali a soggetti detenuti in stato di espiazione pena (mentre non si e' mai seriamente dubitato della compatibilita' tra l'applicazione di tali misure e la custodia cautelare, potendo questa cessare in qualsiasi momento). Un primo indirizzo, tradizionale e da sempre prevalente, considerava compatibile l'applicazione della misura di prevenzione con la restrizione in carcere per titolo definitivo, sul presupposto che puo' sussistere pericolosita' sociale anche nel detenuto in espiazione di pena, e che, d'altro lato, nulla autorizza a ritenere certa la prognosi dell'esito positivo del trattamento penitenziario: rimanendo cosi' l'esecuzione della misura stessa posposta al termine della pena, salva la possibilita' di chiederne la revoca, ai sensi dell'art. 7 della legge 1423/56, ove, medio tempore, la pericolosita' accertata sia venuta meno (cfr.: Sez. 1ª, ord. 8 febbraio 1958, n. 2536 Scavone; Sez. 1^, sent. 6 ottobre 1965, Rimi; Sez. 1ª, ord. 7 giugno 1969, n. 356, Langella; Sez. 6ª, ord. 24 giugno 1971, n. 2347, Tiritiello; Sez. lª, ord. 30 settembre 1972, n. 355, Parisi; Sez. 1ª, ord. 13 giugno 1975, n. 1709, Serra; Sez. 1ª decr. 4 febbraio 1985, n. 3315, Dolce; Sez. 1ª, sent. 30 maggio 1985, n. 648 Celeste; Sez. 1ª, decr. 7 aprile 1986, n. 1637, Sacca'; Sez. 1ª, decr. 28 novembre 1986, n. 3652 Tinnirello; Sez. 1ª, decr. 3 marzo 1987, n. 606, Campanella; Sez. 1ª, sent. 3 marzo 1989, n. 578, Rugolino; Sez. 4ª, sent. 7 aprile 1989, n. 940, Zuccheroso). Un secondo indirizzo, finora assolutamente minoritario, riteneva, invece, l'incompatibilita' della misura di prevenzione con lo stato detentivo in espiazione di pena (non anche con la custodia cautelare in carcere) per la inconfigurabilita' della pericolosita' sociale nei confronti di individuo che, per essere soggetto alla restrizione carceraria e, nel contempo, al trattamento rieducativo, non soltanto non e' in grado di dar luogo a comportamenti pericolosi per l'ordine e la sicurezza pubblica, ma e' destinatario degli effetti riabilitanti del trattamento predetto, idonei all'annullamento di residua pericolosita' sociale, a nulla rilevando la distinzione tra momento deliberativo e momento esecutivo della misura: giacche', diversamente ragionando, il giudizio di pericolosita', che deve riposare sull'attualita', finirebbe per essere rapportato non alla situazione presente, ma a quella futura ed incerta che si determinera' quando l'espiazione della pena avra' avuto termine, con inevitabile scissione dell'indispensabile correlazione temporale tra attualita' della pericolosita' ed applicazione effettiva della misura (cfr. Sez. 1ª, 26 settembre 1988, n. 2066, Musitano, cit.; Sez. 1ª, sent. 12 novembre 1990, n. 3058, Albergatore, cit.; Sez. 1ª sent. 9 marzo 1992, n. 1092, Franchina; Sez. 1ª, sent. 15 giugno 1992, n. 2815 Cordaro). Come e' noto, la questione e' stata risolta dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 6 del 1993 nel senso della applicabilita' della misura di prevenzione della sorveglianza speciale della pubblica sicurezza anche nei confronti di persona detenuta in espiazione di pena. Le Sezioni Unite, premesso che dal sistema e' ricavabile, in tema di misure di prevenzione, una distinzione tra momento deliberativo, nel quale la misura viene applicata, e momento esecutivo, anno ritenuto compatibile lo stato di detenzione in espiazione pena del proposto con l'applicazione della misura e sussistente, invece, l'incompatibilita' con l'esecuzione della stessa, che deve essere differita alla cessazione di tale stato, salva la possibilita' per il soggetto di chiederne la revoca, ai sensi dell'art. 7 legge n. 1423/56 (ora art. 11 d.lgs. 159/2011), per il successivo venir meno della pericolosita' in forza del trattamento risocializzante connesso al regime di espiazione pena o in seguito alla sottrazione del soggetto all'ambiente in cui manifestava la sua condotta pericolosa. Secondo tale decisione la pericolosita' sociale non e' di per se' eliminata dalla privazione della liberta' personale e, se, da un lato, l'inclinazione della persona a delinquere non viene necessariamente cancellata dalla espiazione della pena in corso, che non elide totalmente i contatti con il mondo esterno, d'altro lato, persiste l'interesse all'adozione della misura anche se non attualmente eseguibile, sussistendo l'esigenza della predisposizione della stessa in modo che possa essere immediatamente posta in esecuzione, senza il rischio di pericolose dilazioni, nel momento stesso in cui il detenuto riacquista la liberta', soprattutto in considerazione della possibilita' per lo stesso di ottenere la liberazione anticipata o il rinvio dell'esecuzione della pena. Tale interpretazione trova conferme normative nella disposizione di cui all'art. 10 legge n. 1423/56 (ora art. 13 T.U. Antimafia), argomentando a contrario, dal silenzio serbato circa la detenzione per effetto di condanna, la compatibilita' tra sorveglianza speciale e detenzione in espiazione pena. Peraltro, l'art. 2-ter, comma 8, legge n. 575/65 (ora art. 18, comma 5, d.lgs. 159/2011), prevede espressamente l'applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali nei confronti di soggetti sottoposti ad una misura di sicurezza detentiva o alla liberta' vigilata, ai quali (in ragione dell'analoga funzioni delle misure di sicurezza) non e' applicabile la sorveglianza speciale, ed allo stesso modo il comma precedente consente l'applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali nei confronti nei confronti di persone assenti, residenti dimoranti all'estero. «Poiche' l'esigenza di disporre misure patrimoniali puo' porsi, ovviamente, anche nel caso di persone in espiazione di pena, la mancata estensione a questo caso dell'autorizzazione al procedimento di prevenzione ai detti fini puo' solo significare che l'adottabilita' nei loro confronti delle misure di prevenzione personali, presupposto dell'adozione delle misure patrimoniali, e' considerata dalla legge come indubbia e scontata: il che elimina in radice la necessita' di previsioni come quelle suddette». Tale opzione interpretativa e' stata costantemente ribadita dalla successiva giurisprudenza (Sez. 1ª, n. 3671 del 28 settembre 1993, Modesto; Sez. 6ª, Sentenza n. 1057 del 7 marzo 1996, Fontana; Sez. 1ª, n. 3581 del 24 maggio 1996, Alario; Sez. 1ª, n. 6964 del 20 dicembre 1996, Azzali; Sez. 1ª, n. 239 dell'11 gennaio 1999, Pappacena A; Sez. 1ª, n. 5221 del 22 settembre 2000, Ignazzi e altro) ed anche dalle stesse Sezioni Unite con sentenza n. 10281 del 25 ottobre 2007 ed e', quindi, ormai assolutamente consolidata. Deve, invero, precisarsi che, tra gli argomenti addotti a sostegno della tesi appena esposta, e' orami venuto meno quello fondato sulla conseguenza, ritenuta inaccettabile - perche' contraria al sistema delineato dalla legge n. 575/65 - ed a cui avrebbe condotto l'avverso indirizzo, di rendere inapplicabili le misure patrimoniali ai soggetti in espiazione pena detentiva, difettando l'espressa previsione della adottabilita' nei loro confronti delle sole misure di prevenzione patrimoniali Ed invero, con l'introduzione del comma 6-bis nell'art. 2-bis legge n. 575/1965 (con le novelle del 2008 e 2009) e successivamente con l'entrata in vigote del d.lgs. n. 159/2011, e' stata definitivamente sancita nel nostro ordinamento l'operativita' del principio di applicazione disgiunta delle misure di prevenzione patrimoniali, in base al quale, in presenza dei relativi presupposti, le misure patrimoniali del sequestro e della confisca possono applicarsi non solo in tempi diversi rispetto alle misure personali, ma anche indipendentemente dall'applicazione di queste ultime nelle fattispecie legislativamente previste ed in ogni ipotesi in cui, pur in presenza di persona pericolosa o che e' stata pericolosa, non possa farsi luogo alla misura personale ovvero questa non sia piu' in atto. Esse, in particolare, possono essere adottate «indipendentemente dalla pericolosita' sociale del soggetto proposto per la loro applicazione al momento della richiesta della misura di prevenzione». Restano, tuttavia, ferme tutte le altre argomentazioni poste a sostegno dell'applicabilita' delle misure di prevenzioni personali anche a soggetti in espiazione pena detentiva, sopra esposte, ivi compresa quella di carattere normativo della espressa previsione, da parte dell'art. 10 legge n. 1423/56 (ora art. 13 T.U. Antimafia) della inapplicabilita' della sorveglianza speciale durante l'esecuzione di una misura di sicurezza detentiva o della liberta' vigilata (rimanendo la misura di prevenzione assorbita nell'esecuzione della misura di sicurezza), che, argomentando a contrario, porta a ritenere, invece, la compatibilita' dell'applicazione di tale misura con la detenzione in espiazione pena. Peraltro, la ratio della citata disposizione e' evidentemente quella di evitare un'inutile sovrapposizione tra misure che assolvono alla stessa funzione - impedire la commissione di reati da parte del destinatario ed eliminarne la pericolosita' sociale -, chiaramente distinta e non assimilabile, invece, a quella della pena. Dall'applicabilita' - alla stregua dell'indirizzo interpretativo consolidatosi dopo la citata pronuncia a Sezioni Unite - delle misure di prevenzione personali anche a soggetti (quali l'odierno proposto) in stato detentivo per espiazione pena, deriva che, essendo l'esecuzione necessariamente differita, in tali casi, al momento della scarcerazione, le limitazioni alla liberta' personale del sottoposto connesse alla misura di prevenzione eventualmente applicata finiscono per essere, di fatto, imposte in un'epoca diversa ed, in alcune ipotesi, anche molto lontana dal momento deliberativo in cui viene vagliata la pericolosita' del soggetto e, quindi, in un tempo in cui egli potrebbe non essere piu' pericoloso. Siffatto automatismo induce a dubitare della compatibilita' dell'art. 12 legge 1423/1956, (attuale art. 15 T.U. Antimafia) con l'art. 3, comma 1, Cost., nella parte in cui non prevede, in ipotesi di sospensione della esecuzione della misura di prevenzione personale a causa dello stato detentivo in espiazione pena, il potere-dovere del giudice dell'esecuzione di valutare la persistenza della pericolosita' sociale nel momento dell'esecuzione, analogamente a quanto previsto dall'art. 679 c.p.p per le misure di sicurezza, anche non detentive. Se infatti (come ribadito anche dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 124/2004, che ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di illegittimita' dell'art. 3 legge n. 1423/1956 per contrasto con l'art. 27, comma 3, Cost, nella parte in cui consente l'applicazione della misura di prevenzione sorveglianza speciale della p.s. nei confronti di persona detenuta in espiazione pena) le misure di prevenzione e le misure di sicurezza assolvono alla stessa funzione, che e' quella di impedire la commissione di reati da parte del destinatario ed eliminarne la pericolosita' sociale - tanto da essere esclusa la possibilita' di una loro applicazione cumulativa, secondo quanto previsto dal citato art. 10 legge n. 1423/1956 (ora art. 13 d.lgs. 159/2011) -, appare irragionevole e contrario al principio di uguaglianza riservare un diverso trattamento in sede di esecuzione ai destinatari delle misura di prevenzione, rispetto ai destinatari delle misure di sicurezza, prevedendo soltanto in favore di questi ultimi e non anche dei primi, una verifica ex officio della persistenza della pericolosita' nel momento dell'esecuzione. Invero, entrambe le categorie di misure hanno quale comune fondamento e finalita' l'esigenza di prevenzione di fronte alla pericolosita' sociale del soggetto, che deve essere necessariamente attuale al momento dell'applicazione; il giudice e', quindi, chiamato non solo a verificare che il soggetto abbia commesso un fatto previsto dalla legge come reato o «quasi reato (artt. 49 e 115 c.p.), nel caso delle misure di sicurezza, o che il proposto appartenga ad una delle categorie soggettive individuate dalla legge quali possibili destinatari delle misure di prevenzione, nel caso in cui si discuta dell'applicazione di queste ultime, ma anche a formulare una prognosi di attuale pericolosita' sociale che tali misure mirano a neutralizzare. In altri termini, la pericolosita' sociale (secondo una terminologia che e' ormai costantemente utilizzata dalla giurisprudenza anche per le misure di prevenzione) costituisce presupposto imprescindibile per l'applicazione tanto delle misure di sicurezza, quanto di quelle di prevenzione, con la conseguenza che le stesse possono essere applicate solo a soggetti dei quali sia accertata l'attuale pericolosita', senza la quale, si ribadisce, non si giustificano le connesse restrizioni. Appare particolarmente significativo, nella specie, il dato che, proprio partendo dalla considerazione che le misure di sicurezza personali sono fondate sui medesimi presupposti delle misure di prevenzioni personali e sono tendenti al medesimo obiettivo dell'eliminazione della pericolosita', la Corte di Cassazione, in una recente pronuncia (sentenza n. 2698 del 10 dicembre 2010), ha ritenuto estensibili i principi espressi dal costante orientamento della giurisprudenza di legittimita' sopra richiamato in materia di compatibilita' dello stato di detenzione con l'applicazione delle misure di prevenzione, anche alle misure di sicurezza personali. Peraltro, un parallelismo tra le due categorie di misure (di sicurezza e di prevenzione), fondato proprio sulla loro comune finalita' di porre fine a quello stato di pericolosita' attuale che giustifica le limitazioni della liberta' personale che esse implicano, e' stato operato dalla giurisprudenza di legittimita' anche nelle pronunce in cui la Suprema Corte ha affrontato il tema della invocabilita', in materia di prevenzione, del principio di irretroattivita' della legge penale previsto dagli artt. 25 Cost e 2 c.p. Essa ha, infatti, ritenuto che le norme in materia di prevenzione devono ritenersi informate non gia' ai principi che riguardano le pene, bensi' a quelli concernenti le misure di sicurezza, che, in base al disposto dell'art. 200 c.p., devono intendersi «regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione». La possibilita' di applicare le misure di prevenzione, al pari delle misure di sicurezza, anche se intervenute successivamente al sorgere della pericolosita', viene spiegata proprio considerando che con la loro previsione il legislatore non intende punire per un reato o un fatto specifico commesso, ma intende porre rimedio ad uno stato di pericolosita' attuale, cosi' come prevede l'art. 200 c.p. (cfr. Cass nn. 1986/4048, 1984/1193 e 1983/677). Nonostante tali analogie, mentre per le misure di sicurezza il legislatore ha previsto la necessita' di una verifica, anche di ufficio, della persistenza della pericolosita' al momento dell'esecuzione (art. 679 c.p.p.), simile meccanismo non e' contemplato anche dalla normativa in materia di prevenzione. In tale ambito, la misura viene, invece, automaticamente portata ad esecuzione non appena sono venute meno eventuali cause ostative sussistenti nel momento dell'applicazione - quali lo stato di detenzione del proposto -, anche a distanza di diversi anni, senza che sia garantito al sottoposto un controllo analogo. Tale disparita' di trattamento di situazioni che, per i motivi sopra esposti, sono evidentemente analoghe, appare, quindi, irragionevole e, dunque, contraria all'art. 3, comma 1, Cost. Occorre, inoltre, rilevare che, la facolta' dell'interessato di promuovere istanza di revoca della misura di prevenzione ove venga meno la sua pericolosita', prevista dall'art. 7 legge n. 1423/56 (ora art. 11 T.U. Antimafia) - considerati anche gli oneri economici ed i tempi connessi alla relativa procedura - non e' equiparabile alla garanzia di una verifica ex officio della persistenza dei parametri applicativi della misura. In altri termini, trasferire sull'interessato l'onere di promuovere un procedimento volto ad ottenere l'accertamento della sopravvenuta cessazione della sua pericolosita', nei casi - quale quello in esame - di scissione temporale tra momento deliberativo e momento esecutivo della misura di prevenzione, diversamente da quanto accade per le misure di sicurezza, appare in contrasto anche con le garanzie sancite dall'art. 24 Cost. Va, infine, osservato: che, nonostante l'abrogazione della legge n. 1423/56 espressamente disposta dall'art. 120 del d.lgs. 159/2011, la questione di legittimita' posta deve ritenersi ammissibile, in ragione della sia pur parziale «ultrattivita'» delle disposizione contenute in detta legge sancita dall'art. 117 del medesimo T.U. Antimafia: nei procedimenti di prevenzione introdotti da proposte di applicazione formulate prima del 13 ottobre 2011 - e, quindi, anche nel procedimento in esame - continuano, infatti, ad applicarsi le norme previgenti (sostituite da quelle di cui al Libro I del citato T.U.); pertanto, l'applicabilita' nella fattispecie al vaglio della norma sospettata di illegittimita' costituzionale (e, peraltro, trasfusa nel nuovo testo unico), indipendentemente dalla sua abrogazione, consente di ritenere la questione di legittimita' ammissibile e rilevante; che la questione appare, inoltre, rilevante nel presente procedimento, posto che la prognosi di pericolosita' che - allo stato - questo Tribunale dovrebbe formulare nei confronti di D. G. A. costituirebbe, di per se', fonte della futura sottoposizione a misura di prevenzione incidente sulla liberta' personale del soggetto, in assenza di un meccanismo generale - simile a quello previsto dall'art. 679 c.p.p. in sede di misure di sicurezza personali - teso alla verifica in concreto della «persistenza» della pericolosita' sociale del soggetto all'esito della sottoposizione a trattamento sanzionatorio correlato all'accertamento di penale responsabilita'; invero, stante l'automatismo della sottoposizione del proposto, al momento della scarcerazione, alla misura di prevenzione eventualmente disposta a suo carico, previsto dalla normativa vigente, la presente questione di legittimita' costituzionale appare di decisiva rilevanza in questa sede, costituendo essa l'unica in cui puo' essere utilmente posta; in altri termini, la decisione della proposta in senso applicativo determinerebbe sin d'ora il pregiudizio correlato alla futura e differita sottoposizione, senza alcun momento di ulteriore controllo; che la questione appare non manifestamente infondata, posto che, per le ragioni prima esposte, sussiste un concreto dubbio di violazione sia dell'art. 3 della Costituzione (per irragionevole disparita' di trattamento normativo di situazioni analoghe, assumendo come tertium comparationis la disciplina della applicazione delle misure di sicurezza non detentive, regolata dall'art. 679 c.p.p.), che dell'art. 24 della Costituzione (perche' l'attuale disciplina trasferisce sull'interessato l'onere di promuovere istanza di revoca per intervenuta modifica della personalita' li dove la verifica della persistenza dei parametri applicativi della misura va garantita ex officio) ; La decisione va pertanto sospesa, con notifica della ordinanza alle parti, in attesa della decisione della Corte Costituzionale, cui vanno trasmessi gli atti.
P. Q. M. Solleva, d'ufficio, questione di legittimita' costituzionale della norma di cui all'art. 12 legge n. 1423/1956 (ora art. 15 T.U. Antimafia), per violazione degli arti. 3 e 24 Cost., nella parte in cui detta norma non prevede, in ipotesi di sospensione della esecuzione della misura di prevenzione personale a causa dello stato detentivo in espiazione pena, il potere-dovere del giudice dell'esecuzione di valutare la persistenza della pericolosita' sociale nel momento della esecuzione. Sospende la decisione sulla proposta sino all'esito del giudizio di costituzionalita'. Dispone la notifica della presente ordinanza: al Pubblico Ministero; al proposto e ai suoi difensori; al Presidente del Consiglio dei Ministri; al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei Deputati. Manda la Cancelleria per i conseguenti adempimenti. Cosi' deciso in Sanata Maria Capua Vetere, il 18 maggio 2012 Il Presidente: Magi Il Giudice est.: Attena