N. 8 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 ottobre 2012

Ordinanza del 16 ottobre 2012 emessa dalla Corte  di  cassazione  nel
procedimento civile promosso da  Toppino  Vincenzo  contro  Ministero
della giustizia ed altri . 
 
Notaio - Illecito disciplinare  -  Prescrizione  -  Allungamento  del
  relativo termine da quattro a cinque anni e previsione ex  novo  di
  cause  di  interruzione  -  Disposizioni  introdotte  dal   decreto
  legislativo sul  procedimento  disciplinare  a  carico  dei  notai,
  emanato in attuazione della delega per il  riassetto  ordinamentale
  del notariato - Esorbitanza dall'oggetto e  dai  criteri  direttivi
  della delega, che contemplano solo la "previsione della sospensione
  della prescrizione in caso di procedimento  penale"  -  Eccesso  di
  delega. 
- Legge 16 febbraio 1913,  n.  89,  art.  146,  commi  1  e  2,  come
  sostituiti dall'art. 29 del decreto legislativo 1° agosto 2006,  n.
  249. 
- Costituzione, art. 76, in relazione all'art. 7, comma 1, lett.  e),
  n. 3), della legge 28 novembre 2005, n. 246. 
(GU n.6 del 6-2-2013 )
 
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
 
    Ha pronunciato la seguente Ordinanza interlocutoria  sul  ricorso
(iscritto al N.R.G. 30363/'11) proposto da: 
        Toppino Vincenzo  (codice  fiscale:  TPP  VCN  40E14  C173L),
rappresentato e difeso, in forza di procura speciale  a  margine  del
ricorso, dagli Avv.ti Alessandra  Giovannetti  e  Marco  Weigmann  ed
elettivamente domiciliato presso lo studio della prima, in Roma, alla
v. Bissolati, n. 76; ricorrente; 
    Contro  Ministero  della  Giustizia,  in  persona  del   Ministro
pro-tempore,  rappresentato  e  difeso  «ex   lege»   dall'Avvocatura
generale dello Stato e domiciliato presso i suoi Uffici in Roma,  via
dei Portoghesi, n. 12; controricorrente; 
    e  Archivio  Notarile  Distrettuale  di  Cuneo,  in  persona  del
Conservatore capo pro-tempore; Procuratore Generale presso  la  Corte
di appello  di  Torino;  Procuratore  Generale  presso  la  Corte  di
cassazione e Consiglio Notarile dei Distretti riuniti di Cuneo, Alba,
Mondovi' e Saluzzo, in persona del Presidente pro-tempore; intimati. 
    Avverso la sentenza della Corte di appello di Torino n. 123/2010,
depositata il 15 dicembre 2010 (e non notificata); 
    Udita la relazione della causa svolta nell'udienza  camerale  del
21 settembre 2012 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato; 
    udito l'Avv. Marco Weigmann per il ricorrente; 
    udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. Gianfranco Servello, che ha concluso  per  il  rigetto
del ricorso. 
 
                         Osservato in fatto 
 
    Con ricorso depositato il 7 maggio 2010 e ritualmente  notificato
il 9 giugno 2010 unitamente al pedissequo decreto  presidenziale,  il
notaio dott. Vincenzo Toppino propose (ai sensi dell'art.  158  della
legge 16 febbraio 1913, n.  89,  come  sostituito  dall'art.  45  del
d.lgs. 1° agosto 2006, n. 249) reclamo -  riferito  a  due  motivi  -
avverso la decisione depositata il 18 gennaio 2010 con  la  quale  la
Commissione regionale di disciplina gli aveva  irrogato  la  sanzione
pecuniaria di € 2.500,00 in ordine alla violazione di cui all'art. 28
della  legge  notarile,  in  essa  assorbita   quella   ulteriormente
contestatagli di cui all'art. 48 della medesima legge,  ritenendo  la
sussistenza della prima consistita nell'aver  ricevuto,  in  data  10
luglio 2007, due procure generali nelle quali era stata  inserita  la
clausola che prevedeva la facolta' del rappresentante  di  «stipulare
convenzioni  matrimoniali,   ed   in   particolare   convenzioni   di
separazioni dei beni, di comunioni convenzionali, di costituzione  di
fondi patrimoniali, e le medesime convenzioni modificare». 
    Nella costituzione dei soli appellati Ministero  della  Giustizia
ed Archivio notarile distrettuale di Cuneo (che formulavano,  a  loro
volta, reclamo in via incidentale) e con l'intervento del Procuratore
generale competente, la Corte di appello di Torino, con  sentenza  n.
123 del 2010 (depositata il 15 dicembre 2010), rigettava entrambe  le
impugnazioni  e  confermava  la   gravata   decisione.   A   sostegno
dell'adottata sentenza la Corte territoriale, dopo aver ricordato  il
tenore delle due procure, rilevava l'infondatezza del primo motivo di
gravame sostenendo che le predette procure conferivano, per  la  loro
smisurata ampiezza, al rappresentante la scelta che l'ordinamento,  e
prima  ancora  il  contesto  socio-economico,  attribuiscono  in  via
esclusiva a ciascun coniuge e, per cio' stesso, erano da qualificarsi
nulle per l'impossibilita' del loro oggetto,  ai  sensi  degli  artt.
1346 e 1418,  comma  2,  c.c.,  in  tal  modo  rimanendo  configurato
l'illecito contemplato dall'art. 28 della legge notarile. Inoltre, la
Corte  piemontese  ravvisava  anche  l'infondatezza   della   seconda
doglianza (riferita alla manifesta contrarieta' all'ordine  pubblico)
basata sull'argomentazione che non si  era  formato  un  orientamento
interpretativo   consolidato   contrario   all'ammissibilita'   della
rappresentanza volontaria in materia di convenzioni matrimoniali. 
    La suddetta Corte di appello  respingeva,  altresi',  il  gravame
incidentale poiche' con esso non era stata proposta alcuna domanda in
ordine alla sanzione applicabile e, in ogni caso, la sua infondatezza
era riconducibile alla circostanza che, nella fattispecie, non poteva
dirsi configurato il concorso formale di fattispecie di incolpazione,
dal momento che, essendo stato  il  negozio  gia'  considerato  nullo
nella prospettiva di cui all'art. 28 della  legge  notarile,  non  si
sarebbe potuto anche integrare l'illecito previsto dall'art. 48 della
stessa  legge,  non  potendosi  predicare  l'applicabilita'  di   una
determinata forma giuridica per un negozio giuridicamente nullo. 
    Avverso la suddetta sentenza (non  notificata)  ha  proposto  (ai
sensi dell'art. 158-ter della legge n. 89  del  1913,  come  inserito
dall'art. 46 del d.lgs. n.  249  del  2006)  ricorso  per  cassazione
(consegnato per la notificazione  il  15  dicembre  2011)  il  notaio
Vincenzo Toppino riferito a  tre  motivi,  avverso  il  quale  si  e'
costituito  in  questa  fase,  con  controricorso,  solo   l'intimato
Ministero della Giustizia. I difensori del ricorrente e del Ministero
controricorrente hanno rispettivamente depositato (il 4 settembre  ed
il 13 settembre 2012 e, percio', fuori termine  rispetto  all'udienza
camerale fissata per il 21 settembre 2012) memorie difensive ex  art.
378 c.p.c.. 
 
                         Ritenuto in diritto 
 
    1. Con il primo motivo il  ricorrente  ha,  in  via  preliminare,
dedotto  l'intervenuta   prescrizione   dell'illecito   disciplinare,
prospettando,  in  ogni   caso,   la   non   manifesta   infondatezza
dell'eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art.  146  della
legge 16 febbraio 193, n. 89, come sostituito dall'art. 29 del d.lgs.
1° agosto 2006, n. 249, per supposto eccesso di  delega  della  nuova
previsione rispetto alla legge delega 28 novembre 2005, n. 246. 
    2. Con il secondo motivo il ricorrente ha censurato  la  sentenza
impugnata - ai sensi dell'art. 360, comma  1,  n.  3,  c.p.c.  -  per
assunta violazione degli artt. 162 e 167 del Codice  civile,  nonche'
degli artt. 1343, 1346 e 1418 del Codice civile. 
    3. Con il terzo motivo il ricorrente ha prospettato la violazione
dell'art. 28, comma 1°, della legge n. 89 del 193 (ai sensi dell'art.
360, comma 1, n. 3, c.p.c.) nonche' la carenza  ed  erroneita'  della
motivazione (in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.)  della
sentenza impugnata. 
    4. Rileva il collegio che, prima di esaminare i richiamati motivi
formulati nell'interesse del ricorrente, occorre affrontare, in linea
pregiudiziale,   due   questioni   preliminari,    l'una    attinente
all'individuazione del tipo di  rito  da  adottare  nel  giudizio  di
cassazione  con  riferimento  ai  ricorsi  in  materia   disciplinare
notarile e l'altra riguardante  l'eccezione  di  intempestivita'  del
ricorso avanzata dai controricorrente Ministero della  Giustizia  sul
presupposto che, nella specie, si sarebbe dovuto ritenere applicabile
il disposto dell'art. 327, comma  1,  c.p.c.,  cosi'  come  novellato
dall'art. 46, comma 17, della legge 18 giugno 2009,  n.  69,  che  ha
ridotto da  un  anno  a  sei  mesi  il  c.d.  termine  lungo  per  la
proposizione delle impugnazioni, che, nella  specie,  non  era  stato
rispettato. 
    5. Con riferimento alla  prima  pregiudiziale  problematica  (che
investe direttamente  la  valutazione  sulla  legittimita'  del  rito
instaurato in questa sede e la conseguente  legittimazione  della  II
Sezione ordinaria ad esaminare i  motivi  del  ricorso)  il  collegio
osserva che, secondo l'indirizzo espresso, in un primo momento, dalla
giurisprudenza della terza Sezione di questa  Corte  (cfr.  Cass.  n.
6937 del 2010, ord., e Cass. n. 17704 del 2010), al  procedimento  in
cessazione relativo ad un giudizio disciplinare notarile  si  applica
rito camerale, sia nel regime anteriore al d.lgs. 1° agosto 2006,  n.
249 che in quello successivo, specificandosi che in  esso  non  trova
ingresso l'art. 380-bis c.p.c., che riguarda le ipotesi in  cui  rito
camerale sia solo eventuale, ma si applica,  invece,  l'art.  380-ter
c.p.c., che, sia pure con riguardo ai regolamenti di competenza e  di
giurisdizione, disciplina le modalita' del rito camerale nei casi  di
trattazione necessaria in camera di  consiglio,  con  la  conseguenza
che, nel procedimento in questione, il presidente puo'  sia  nominare
un  relatore  per  l'eventuale  relazione,  sia  richiedere  al  P.M.
conclusioni scritte. Ancor piu' recentemente la  stessa  Sezione  (v.
Cass. n. 4632 del 2012 e Cass. n. 7484 del 2012) ha inteso, tuttavia,
ulteriormente  precisare  che  ricorso  per  cessazione  in  tema  di
procedimento disciplinare a carico dei notai, a seguito  della  legge
18 giugno 2009, n. 69,  e'  affidato  all'apposita  sezione  prevista
dall'art. 376 c.p.c., il cui presidente scegliera'  se  procedere  ai
sensi degli artt. 380-bis  o  380-ter  c.p.c..  Secondo  quest'ultimo
indirizzo   ermeneutico   si   e'   ritenuto   che,   sulla    scorta
dell'assorbente e generale previsione di cui all'art. 376,  comma  1,
c.p.c. (come sostituito dall'art. 47, comma 1, lett. b), della  legge
n. 69 del 2009 ed  applicabile  per  le  impugnazioni  in  cessazione
avverso i provvedimenti pubblicati a decorrere dal  4  luglio  2009),
per tutti i ricorsi per cassazione la sesta Sezione di  questa  Corte
deve verificare se ricorrano le ipotesi di cui ai nn. 1 e 5 dell'art.
375 c.p.c. e che tale  passaggio  risulta  necessario  anche  per  il
regolamento di competenza, il quale, percio',  quale  procedimento  a
decisione necessaria in camera di consiglio, e' assegnato sempre alla
sesta Sezione. Inoltre, dall'interpretazione dell'ultimo inciso dello
stesso comma 1 del citato art. 376 c.p.c. (alla  stregua  del  quale,
qualora la sesta Sezione non definisca il  giudizio,  gli  atti  sono
rimessi  al  primo  Presidente,  che  procede  all'assegnazione  alle
sezioni  semplici),  l'orientamento  giurisprudenziale  in   discorso
ricava che il suo disposto, oltre a ricomprendere  l'ipotesi  in  cui
ricorso venga definito per la sussistenza di uno dei casi di  cui  al
n. 1 o al n. 5 dell'art. 375 c.p.c., include anche le ipotesi in  cui
non ricorra l'eventualita'  appena  indicata  e,  cio'  malgrado,  la
definizione possa avvenire comunque da parte della stessa Sezione. Al
riguardo questa ipotesi viene ricondotta a quella in cui la decisione
debba avvenire indispensabilmente in camera di consiglio  perche'  il
procedimento e' a decisione necessaria camerate e nel codice di  rito
civile  essa  e'  prevista  dall'art.  380-ter  con  riferimento   al
regolamento di competenza. Sulla scorta  di  questa  impostazione  di
base la piu' recente giurisprudenza della terza Sezione ha desunto il
principio secondo cui il procedimento in camera di consiglio  sia  ai
sensi dell'art. 380-ter c.p.c., sia ai sensi dell'art. 380-bis per le
ipotesi di cui ai nn. 1 e 5 dell'art. 375 c.p.c. non risulterebbe  in
pratica mai applicabile dalla sezione semplice  diversa  dalla  sesta
Sezione. In altri termini, con la disciplina relativa al processo  di
cassazione introdotta dalla legge n.  69  del  2009,  il  legislatore
avrebbe inteso restringere l'applicazione della decisione  in  camera
di consiglio necessaria (non di  attribuzione  delle  Sezioni  unite)
esclusivamente  alla  sesta  Sezione.  Inoltre  lo  stesso  indirizzo
giurisprudenziale  ha  rilevato  che  il  nuovo  disposto   dell'art.
158-ter, comma 4, della legge n.  89  del  1913  (come  inserito  per
effetto  dell'art.  46  del  d.lgs.  n.  249  del  2006),  il   quale
stabilisce, con riferimento al giudizio di legittimita' correlato  al
procedimento disciplinare  notarile,  che  «la  Corte  di  cassazione
pronuncia con sentenza in camera di consiglio, sentite le parti»,  e'
pienamente compatibile sia con il modello  dell'art.  380-ter  c.p.c.
sia con il modello dell'art. 380-bis (come gia'  evidenziato  con  le
richiamate Cass. n. 6935 e n. 17704 del 2010), con la conseguenza che
anche siffatto  procedimento  dovrebbe  spettare  sempre  alla  sesta
Sezione. Si e' avuto modo, inoltre,  di  aggiungere  che  la  diversa
opzione ermeneutica di considerare sottratto ai  regime  degli  artt.
380-bis e 380-ter  c.p.c.  e  a  quello  della  pubblica  udienza  il
giudizio di cassazione sul procedimento notarile sarebbe  molto  meno
garantiste per il  notaio,  considerandosi  che  egli  non  solo  non
potrebbe depositare memorie scritte, ma  nemmeno  potrebbe  conoscere
preventivamente l'avviso del P.M., come gli e' consentito solo  nello
schema dell'art. 380-ter c.p.c.. Alla  luce  del  ricordato  percorso
argomentativo il piu' recente orientamento  della  terza  Sezione  ha
concluso nel senso che, dopo la legge n. 69 del 2009, procedimento di
decisione del ricorso in cessazione in materia disciplinare  notarile
e' affidato alla decisione dell'apposita sezione di cui all'art.  376
c.p.c. e puo' aver luogo o con  il  procedimento  previsto  dall'art.
380-bis, nei casi indicati ai nn. 1 e 5 dell'art. 375 c.p.c.,  o  con
il procedimento di cui all'art. 380-ter c.p.c.,  mediante  la  scelta
del presidente di detta sezione evocato nel medesimo art. 380-ter. 
    La  richiamata   ricostruzione   interpretativa   operata   dalla
giurisprudenza della terza Sezione non  appare,  a  questo  collegio,
convincente. 
    Infatti la riportata opzione ermeneutica  parte  dal  presupposto
della generale applicabilita' dell'art. 376  c.p.c.  in  relazione  a
tutti  i  ricorsi  per  cassazione  e,  in  virtu'  della  necessaria
trattazione del giudizio di legittimita' in materia  di  procedimento
disciplinare notarile nelle forme della camera di consiglio, perviene
al risultato della conseguente definibilita' dei  ricorsi  in  questo
ambito o ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c.  -  qualora  ricorrano  le
condizioni contemplate dai nn. 1 e 5 dell'art. 375 c.p.c. - oppure in
virtu' dell'art. 380-ter c.p.c. nei rimanenti  casi  su  disposizione
del Presidente della sesta Sezione. 
    Tuttavia, questa impostazione elide  l'aspetto  essenziale  della
completa autonomia e specialita' della  disciplina  del  giudizio  di
cessazione con riferimento al procedimento di cui trattasi, la  quale
e' contenuta nell'art. 158-ter della c.d. legge notarile  n.  89  del
1913 (come introdotto dall'art. 46 del d.lgs. n. 249 del  2006),  che
non opera alcun rinvio (anche solo sotto il profilo  della  eventuale
preventiva valutazione di compatibilita')  alle  norme  generali  del
codice  di  rito,  connotandosi,  pertanto,  come  una   disposizione
afferente ad una regolamentazione propria  e  specifica  dedicata  al
procedimento in  questione  per  la  fase  relativa  al  giudizio  di
legittimita'.  Il  citato  art.  158-ter,  oltre   a   prevedere   la
proponibilita' del ricorso per cessazione nei soli  casi  contemplati
nell'art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c., nel  rispetto  del  termine
breve  di  sessanta  giorni  dalla  notificazione   della   decisione
impugnata ovvero, in  difetto  di  tale  notifica,  di  un  anno  dal
deposito della decisione stessa, stabilisce,  al  comma  4,  che  «la
Corte di cassazione pronuncia con sentenza in  camera  di  consiglio,
sentite le parti». Da cio' si ricava che,  essendo  (in  mancanza  di
altre previsioni) indiscussa l'applicabilita' alla fase  introduttiva
degli artt. 360-bis, 365, 366 (mentre l'art.  366-bis  c.p.c  risulta
ora abrogato), 369, 370, 371 e 372  (salva  l'applicazione  dell'art.
373 c.p.c. ai sensi del comma 3 del medesimo art. 158-ter),  le  fasi
della trattazione e della  decisione  hanno  ricevuto  una  specifica
disciplina, imponendosi alla Corte di legittimita'  di  garantire  il
pieno contraddittorio  delle  parti,  ossia  procedendosi  alla  loro
preventiva audizione in camera di consiglio, per poi  pervenire  alla
definizione del ricorso (o, eventualmente, dei  ricorsi,  qualora  ne
venissero proposti anche in forma incidentale) con  sentenza  (e  non
ordinanza). Del resto questa  regolamentazione  e'  stata  confermata
anche dall'art. 26, comma 6, del recente d.lgs. 1° settembre 2011, n.
150 (relativo alla c.d. semplificazione dei riti), il  quale  (per  i
procedimenti instaurati  successivamente  alla  data  di  entrata  in
vigore dello  stesso  d.lgs.)  ha  assoggettato  (riconfermandone  il
carattere di specialita') le controversie in materia di  impugnazione
dei provvedimenti disciplinari a carico dei notai al rito sommario di
cognizione  (quale  rito  scelto  tra  i   tre   riti   paradigmatici
individuati  dal  legislatore),  ribadendo   che   il   giudizio   di
legittimita'  deve  essere  definito  con  sentenza  in   camera   di
consiglio, dopo aver sentito le parti. 
    Appare, percio', evidente che  il  giudizio  di  cassazione,  con
riferimento al  procedimento  in  discorso,  segue  un  proprio  rito
camerale  (da  instaurare  direttamente  dopo  la  proposizione   del
ricorso),  nel  quale  deve  essere  garantita,  in  forme  agili   e
sollecite, l'esplicazione  piena  ed  immediata  del  contraddittorio
(gia' tutelata nella fase introduttiva)  nella  fase  di  trattazione
mediante un'attivita' equiparabile a quella della  discussione  orale
che trova il suo sbocco, nei momento decisorio, in  un  provvedimento
che deve assumere necessariamente  (sulla  scorta  della  presumibile
ratio considerata dal  legislatore  ricondotta  alla  complessita'  e
delicatezza delle questioni giuridiche da esaminare) la  forma  della
sentenza,  ovvero  del  tipo  di  provvedimento,  che   deve   essere
caratterizzato dall'osservanza degli artt. 132  c.p.c.  e  118  disp.
att. c.p.c. e che  implica,  percio',  l'adozione  di  una  decisione
sempre adeguatamente  argomentata  e  completamente  esaustiva  delle
ragioni di doglianza dedotte dalle parti. 
    Alla luce di queste riflessioni non  sembra  a  questo  collegio,
proprio in virtu' della specialita'  della  forma  di  trattazione  e
della modalita' decisoria previste, che possa trovare applicazione al
procedimento in questione  (per  un  altro  esempio  di  procedimento
camerate autonomo in sede di legittimita' v., ad es., Cass., sez.  I,
n. 17576 del 2010, ord., in tema di  impugnazione  nella  materia  di
riconoscimento e revoca dello «status» di rifugiato) la disciplina di
cui all'art. 380-bis c.p.c. (che presuppone l'assegnazione preventiva
del ricorso ai sensi dell'art. 376 c.p.c.), la  quale  e'  improntata
all'osservanza di un meccanismo che impone (qualora ne  sussistano  i
soli presupposti in relazione al disposto di cui all'art. 375, nn.  1
e  5,  c.p.c.)  la  preventiva  predisposizione  di  una   relazione,
contenente le ragioni che possono giustificare la relativa pronuncia,
da sottoporre all'esame delle parti in via soltanto successiva, e che
puo' sfociare in una decisione camerale nella forma dell'ordinanza (e
non della sentenza), senza che rimanga esclusa  l'eventualita'  della
necessita' della rimessione in pubblica udienza  (modalita',  invece,
non contemplata dall'art. 158-ter della legge n. 89 del 1913); ne', a
maggior ragione, si  ritiene  che  sia  «analogicamente»  applicabile
disposto dell'art. 380-ter c.p.c.,  con  riferimento  alla  decisione
sulle istanze di regolamento di competenza,  il  quale  si  prospetta
come  una  norma  processuale  rivolta  alla  soia  trattazione   dei
procedimenti di regolamento (di competenza e di giurisdizione) con la
previsione   di   una   procedura   a   definizione   necessariamente
«cameralizzata» (previa acquisizione delle conclusioni del P.M.),  ma
che si conclude sempre con l'adozione della forma  dell'ordinanza  e,
soprattutto, con riguardo ai regolamenti di competenza, non contempla
(riconoscendola limitatamente ai soli regolamenti  di  giurisdizione)
la preventiva audizione delle parti, che e', invece, una connotazione
ineliminabile (ancorche'  rimessa  alla  facolta'  della  parti)  del
procedimento di cui al citato art. 158 ter, il quale deve essere,  in
ogni caso, definito con sentenza. 
    Alla stregua delle rappresentate ragioni e rientrando il  ricorso
«de quo» - ai sensi dell'art.  54  del  d.lgs.  n.  249  del  2006  -
nell'alveo di applicabilita' della disciplina di cui al citato  nuovo
art. 158-ter della legge n. 89 del 1913 (essendo con lo stesso  stata
impugnata  una  sentenza  relativa  ad  un  procedimento   instaurato
successivamente al 31 maggio 2007 e, precisamente l'8  maggio  2009),
deve ritenersi che esso  sia  stato  ritualmente  incardinato  presso
questa Sezione per la conseguente trattazione camerale e la correlata
decisione. 
    6. Chiarito quanto innanzi,  si  puo'  passare  alla  valutazione
dell'altra   riportata   eccezione   pregiudiziale,   avanzata    dal
controricorrente    Ministero    della    Giustizia,    di    assunta
inammissibilita'  del  ricorso  per  intempestivita'  rispetto   alla
inosservanza del termine semestrale  cosi'  come  previsto  dall'art.
327, comma 1, c.p.c., in tal senso novellato dall'art. 46, comma  17,
della legge 18 giugno 2009, n. 69. 
    Rileva il collegio che detta eccezione e' infondata  dal  momento
che, nella fattispecie, il comma 2  del  citato  art.  158-ter  della
legge n. 89 del 1913 (come introdotto dall'art. 46 del d.lgs. n.  249
del 2006), applicabile appunto «ratione temporis»,  prevede  che,  in
difetto della notificazione della sentenza impugnata, il ricorso  per
cassazione deve essere proposto nel termine di un anno  dal  deposito
della predetta sentenza, con cio'  contemplando  una  disciplina  «ad
hoc» per la materia dei procedimenti disciplinari  notarili,  la  cui
specialita', percio', non puo'  ritenersi  (anche  in  difetto  della
previsione  di  specifiche  disposizioni  contrarie)  derogata  dalla
sopravvenuta previsione del novellato  art.  327,  comma  1,  c.p.c.,
applicabile, invece, in generale, ove non diversamente  disposto.  In
altre parole, i termini per la proposizione del ricorso in cassazione
erano  autonomamente  disciplinati  dalla  legge  speciale  in  senso
proprio e a tale regolamentazione si e' conformato il ricorrente  nel
caso di specie,  poiche',  a  fronte  dell'intervenuta  pubblicazione
della sentenza impugnata risalente al 15 dicembre 2010, ha notificato
il ricorso il 14  dicembre  2011  e,  quindi,  entro  l'anno  (senza,
peraltro, nemmeno considerare  il  periodo  di  sospensione  feriale,
comunque applicabile). E  la  riprova  della  correttezza  di  questa
impostazione ermeneutica si desume dal fatto che il legislatore, solo
successivamente, con l'art.  26  del  d.lgs.  n.  150  del  2011  (ed
applicabile ai sensi dell'art. 36 dello stesso d.lgs. ai procedimenti
instaurati successivamente alla data della sua entrata in vigore), ha
adottato una nuova disciplina relativa ai termini per la formulazione
del  ricorso  in  cassazione  nella  materia  disciplinare  notarile,
fissando  quello  breve  in  sessanta  giorni  dalla  notifica  della
sentenza e quello c.d. lungo in sei mesi  dalla  pubblicazione  della
sentenza  medesima,  con  cio'  confermando  la   specialita'   della
regolamentazione processuale espressa in  detta  materia  e,  quindi,
l'applicabilita', per i giudizi ricadenti nel vigore del citato  art.
158-ter della c.d. legge notarile (abrogato, poi, dall'art. 34, comma
30, del richiamato d.lgs. n. 150  del  2011),  della  disciplina  dei
termini impugnatori ivi contemplati. 
    7.  Superata  la  riportata  eccezione  di  inammissibilita',  va
evidenziato che con il primo motivo il ricorrente ha chiesto a questa
Corte, ritenuta la  non  manifesta  infondatezza  dell'illegittimita'
costituzionale dell'art. 146, commi 1 e 2, della  legge  16  febbraio
1913, n. 89, come sostituito dall'art. 29 del d.lgs. 1° agosto  2006,
n. 249, in relazione all'art. 76  Cost.,  e  ravvisata  la  rilevanza
della proposta eccezione nel caso concreto, di demandare  alla  Corte
costituzionale la relativa questione, invocando,  in  ogni  caso,  la
prescrizione  dell'infrazione  ascrittagli  (a  cui  era   conseguita
l'irrogazione   della   sanzione   pecuniaria   di   € 2.500,00)    e
l'inapplicabilita' di qualsiasi interruzione  del  relativo  termine,
giungendosi  alla  declaratoria   di   improcedibilita'   dell'azione
disciplinare. 
    7.1. La prospettata questione di legittimita' costituzionale e' -
ad avviso del collegio  -  rilevante  nel  presente  giudizio  e  non
manifestamente infondata. 
    L'art. 146, comma 1, della citata legge notarile n. 89 del  1913,
nella sua  originaria  formulazione,  prevedeva,  per  le  violazioni
disciplinari in essa indicate, un termine prescrizionale  di  quattro
anni,  senza  contemplare  alcuna  ipotesi  di  interruzione  ne'  di
sospensione della prescrizione, neppure  per  l'eventualita'  in  cui
l'infrazione  avesse  rilievo  penale.  Alla  stregua  di  tale  dato
normativo la giurisprudenza di questa  Corte  (cfr.,  tra  le  tante,
Cass. n. 1766 del 1998; Cass. n. 23515 del 2004; Cass.  n.  7088  del
2006 e Cass. n. 644 del 2007) era consolidata  nel  ritenere  che  la
prescrizione  dell'azione   disciplinare   contro   i   notai,   come
espressamente previsto dall'art. 146 della legge 16 febbraio 1913, n.
89, si sarebbe compiuta per effetto del decorso di quattro  anni  dal
giorno in cui l'infrazione era stata commessa «ancorche'  vi  fossero
stati  atti  di  procedura»,  e  quindi  non  avrebbe  potuto  subire
interruzione   a   causa   del   procedimento   disciplinare,   della
contestazione delle violazioni, delle pronunce del Consiglio notarile
o in sede giurisdizionale, salva la sospensione della prescrizione in
conseguenza della pendenza del procedimento penale, a  seguito  della
sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2 febbraio 1990. Si era
anche statuito che detta prescrizione determinava  l'improcedibilita'
dell'azione disciplinare, operante «ex lege», e avrebbe dovuto essere
rilevata anche d'ufficio ed in sede di legittimita', con  conseguente
cassazione senza rinvio delle sentenze impugnate,  restando  precluso
ogni esame  nel  merito  dei  motivi  di  ricorso.  Si  e',  inoltre,
precisato che  la  disciplina  dettata  in  materia  dalla  normativa
sopravvenuta di cui al d.lgs. 1° agosto 2006, n. 249, si applica - in
virtu' della disposizione di cui al comma 2 dell'art. 54 dello stesso
testo normativo - ai fatti commessi anteriormente alla data della sua
entrata in vigore solo  se  quella  modificata  dell'art.  146  della
predetta legge n. 89 del 1913 risulti piu' favorevole (cfr., a questo
proposito, la citata Cass. n. 644 del 2007 nonche'  la  piu'  recente
Cass. n. 2031 del 2010, ord.). 
    Con la legge 28 novembre  2005,  n.  246  il  Parlamento  ebbe  a
delegare il Governo, con  la  disposizione  di  cui  all'art.  7,  ad
adottare appositi decreti legislativi per il «riassetto normativo  in
materia di ordinamento  del  notariato  e  degli  archivi  notarili»,
stabilendo - al n. 3) della lett.  e)  del  comma  1,  riferito  alla
«revisione dell'ordinamento disciplinare» -  che  si  sarebbe  dovuto
legiferare anche in ordine alla «previsione della  sospensione  della
prescrizione in caso di procedimento penale e revisione dell'istituto
della recidiva». In relazione a tale contenuto della legge delega  il
legislatore delegato, con l'art. 29 del decreto legislativo 1° agosto
2006, n. 249, ha completamente  sostituito  il  precedente  art.  146
della legge 16 febbraio 1913, n. 89, con  la  previsione  di  quattro
commi: - il primo  comma  contempla  l'allungamento  del  termine  di
prescrizione da quattro a cinque anni, sempre decorrente  dal  giorno
di commissione dell'infrazione (ovvero,  per  le  infrazioni  di  cui
all'art. 128,  comma  3,  commesse  nel  biennio,  dal  primo  giorno
dell'anno successivo); - il secondo comma prevede una disciplina  dei
tutto nuova in tema di interruzione  della  prescrizione,  risultando
stabilito che essa e', per l'appunto, interrotta dalla  richiesta  di
apertura  del  procedimento  disciplinare  e  dalle   decisioni   che
applicano una sanzione disciplinare, aggiungendosi, altresi', che  la
prescrizione,  se  interrotta,  ricomincia  a  decorrere  dal  giorno
dell'interruzione, e con la precisazione che, in caso di esercizio di
plurimi  atti  interruttivi,  la  prescrizione   decorre   nuovamente
dall'ultimo di essi, prevedendosi, tuttavia, che, pur in caso di piu'
interruzioni, non puo' essere superato il  limite  massimo  di  dieci
anni; - con il terzo comma risulta  sancito  che,  se  per  il  fatto
stabilito e'  iniziato  un  procedimento  penale,  il  decorso  della
prescrizione e' sospeso fino al passaggio in giudicato della sentenza
penale; - con il quarto ed ultimo comma e' previsto che  l'esecuzione
della condanna alla sanzione disciplinare si prescrive nel termine di
cinque anni dal giorno in cui il provvedimento e' divenuto esecutivo. 
    Nell'articolato dello schema del decreto legislativo adottato dal
Ministero della Giustizia in attuazione del richiamato art.  7  della
legge n. 246 si affermava che,  con  l'art.  29,  era  stata  appunto
prevista la sostituzione dell'art. 146 della legge notarile  relativo
alla disciplina della prescrizione, evidenziandosi  che,  poiche'  la
predetta disposizione aveva dato luogo a gravi problemi  applicativi,
a causa della brevita' del termine  e  della  mancata  previsione  di
cause di interruzione, la nuova disposizione allungava questo termine
e  ne  prevedeva  espressamente  l'interruzione  e  la   sospensione,
specificandosi che, in particolare, la previsione  della  sospensione
della prescrizione in caso di azione penale era stata correlata  alla
previsione della sospensione dello stesso procedimento  disciplinare,
in pendenza di quello penale,  in  conformita'  alla  sentenza  della
Corte costituzionale 2 febbraio 1990, n. 40,  che  aveva  dichiarato,
sul punto, l'incostituzionalita' del precedente disposto del medesimo
art. 146. 
    Orbene, sulla scorta di questo quadro normativo  e  del  rapporto
intercorrente tra legge delega e decreto  legislativo  delegato,  non
sembra possa dubitarsi che il legislatore delegato sia incorso in  un
eccesso di delega, con conseguente violazione dell'art. 76 Cost., dal
momento che, a fronte di una cornice di principi e criteri  direttivi
riferita  ad  un  oggetto  definito  e  ben  delimitato,  trasparente
dall'art.  7  della   legge   n.   246   del   2005   (rivolto   alla
regolamentazione dell'istituto della sospensione  della  prescrizione
in correlazione con  la  pendenza  del  procedimento  penale  e  alla
revisione della  recidiva),  ha  stabilito  -  nei  primi  due  commi
dell'art. 146  della  c.d.  legge  notarile  riformato  -  una  nuova
disciplina  che,  pur  attenendo  all'istituto   della   prescrizione
(anteriormente riferito  all'azione  disciplinare  ed  ora  correlato
propriamente    all'illecito    disciplinare),    ha    involto    la
regolamentazione dell'aspetto della sua interruzione  (al  comma  2),
prima  del  tutto  assente   nella   predetta   legge   (e   ritenuto
assolutamente  inoperativo  in   tale   materia   dalla   consolidata
giurisprudenza), con  la  ulteriore  previsione  dell'allungamento  a
cinque anni del relativo termine prescrizionale (al comma 1). In  tal
senso si reputa che con l'art. 29 del  d.lgs.  n.  249  del  2006  il
Governo delegato abbia violato  i  principi  e  criteri  direttivi  e
superato il limite  oggettivo  presenti  nella  delega,  coinvolgendo
altre  situazioni  che,  sia  pur  connesse,  hanno  determinato   un
illegittimo esercizio del potere legislativo  discrezionale,  siccome
svincolato, appunto,  dai  rigidi  criteri  direttivi  predeterminati
dalla  legge  delega,  essendo  indubbia  la  diversa  natura  e   la
differente efficacia tra  gli  istituti  della  sospensione  e  della
interruzione  della  prescrizione,  i  quali  non  presentano   alcun
rapporto di progressivita' (cfr. Cass. n. 6901 del 2003 e Cass. 10254
del 2002). Del resto, se e' pur vero che i  criteri  direttivi  della
legge delega vanno valutati,  al  fine  di  verificare  se  la  norma
delegata sia ad essi rispondente, anche  alla  luce  delle  finalita'
ispiratrici della delega stessa (cfr., ad es., Corte cost. n. 285 del
2006), non puo' dirsi che, nella specie, il legislatore  delegato  si
sia mosso nel solco di tali scopi, poiche'  campo  della  sua  azione
normativa era  stato  oggettivamente  limitato  ad  armonizzare  solo
istituto della sospensione  con  l'eventualita'  della  contemporanea
pendenza del procedimento penale relativo allo stesso fatto rilevante
anche come illecito  disciplinare,  in  consonanza  con  gli  effetti
(percio' recepiti a livello  normativo)  discendenti  dalla  sentenza
della Corte costituzionale n. 40 del 1990, in presenza di un contesto
complessivo normativo  precedente  che,  nella  materia  disciplinare
notarile, non aveva  mai  visto  regolamentata  anche  l'interruzione
della  prescrizione  (v.,  per  la   rilevanza   della   legislazione
precedente a tal proposito, Corte cost. n. 3 del 1957; Corte cost. n.
31 del 1967; Corte cost. n. 135 del 1967 e  Corte  cost.  n.  28  del
1970). In tal senso, quindi, con il d.lgs. n.  249  del  2006  si  e'
proceduto alla previsione di un  trattamento  normativo  peggiorativo
nella suddetta materia per la categoria notarile  in  assenza  di  un
esplicito ed inequivoco riferimento nella legge delega  (per  recenti
esempi di ritenuta sussistenza  dell'eccesso  di  delega  cfr.  Corte
cost. n. 503 del 2000; Corte cost. n. 212 del 2003 e Corte  cost.  n.
71 del 2008). Del resto e' risaputo che tra norma  delegata  e  norma
delegante si instaura un «naturale rapporto di riempimento»  (v.,  ad
es., Corte cost. n. 308 del 2002 e Corte cost, n. 426  del  2006)  ma
tale relazione implica che il  legislatore  delegato  debba  adottare
norme che, in ogni caso, rappresentano  un  coerente  sviluppo  della
scelta espressa dal legislatore delegante e  delle  ragioni  ad  essa
sottese, senza, percio', poter  pervenire  a  regolamentare  istituti
completamente nuovi che, ancorche' connessi con quelli presenti nella
legge delega, involgono l'applicabilita' di una disciplina del  tutto
diversa e basata su presupposti differenti (in un ambito di riassetto
ordinamentale riferito, nel caso di specie, a quello del  notariato),
come tale da considerarsi completamente innovativa, anche in funzione
del rispetto del limite di ragionevolezza  implicato  dai  criteri  e
principi direttivi e  dalla  delimitazione  dell'oggetto  trasparenti
dalla medesima legge delega. 
    Alla stregua delle riportate argomentazioni il  collegio  ritiene
che la prospettata questione di costituzionalita'  involgente  l'art.
146, commi 1 e 2,  della  legge  n.  89  del  1913,  come  sostituito
dall'art. 29 del d.lgs. n. 249 del 2006,  in  relazione  all'art.  76
Cost. non sia manifestamente infondata in ordine al ravvisato eccesso
di delega da parte  del  legislatore  delegato,  con  riferimento  ai
principi e criteri direttivi definiti nell'art. 7 della legge  delega
28  novembre  2005,  n.  246,  con   particolare   riferimento   alla
disposizione di cui al comma  1,  lett.  e),  n.  3,  riguardante  la
revisione  dell'ordinamento   disciplinare   notarile   mediante   la
«previsione  della  sospensione  della  prescrizione   in   caso   di
procedimento penale», che lo vincolavano, percio', a legiferare entro
questi ristretti limiti, senza il conferimento di un potere normativo
delegato che potesse estendersi  fino  alla  individuazione,  in  via
generale,   di   una   nuova   disciplina   dell'interruzione   della
prescrizione  e  dell'allungamento  del  termine  della  prescrizione
stessa. 
    La questione di legittimita' costituzionale  e'  anche  rilevante
nel giudizio in  questione  dal  momento  che,  ricadendo  l'illecito
disciplinare  per  il  quale  il  ricorrente  e'   stato   sanzionato
nell'ambito temporale di applicabilita'  del  nuovo  art.  146  della
legge n. 89 del 1913 (essendo stato riportato in atti  come  commesso
il 10 luglio 2007), l'eventuale declaratoria  di  incostituzionalita'
dei primi due commi dello stesso art. 146, come riformato con  l'art.
29 del d.lgs.  n.  249  del  2006,  comporterebbe,  non  applicandosi
ipotesi interruttive e  non  tenendosi  conto  dell'allungamento  del
termine prescrizionale a cinque anni, che  l'infrazione  disciplinare
(in virtu' della reviviscenza del precedente disposto  dell'art.  146
della legge n. 89 del  1913,  il  quale  prevedeva  la  durata  della
prescrizione in quattro anni senza contemplare ipotesi  interruttive)
si sarebbe gia' prescritta al 10 luglio 2011, con la conseguenza che,
nella presente sede di legittimita', dovrebbe pervenirsi (secondo  la
costante  giurisprudenza  di  questa  Corte)  alla  declaratoria   di
improcedibilita' dell'azione disciplinare a carico del dott. Toppino. 
    Pertanto, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87,
bisogna disporre  l'immediata  trasmissione  degli  atti  alla  Corte
costituzionale, con la conseguente sospensione del presente  giudizio
e l'assolvimento degli adempimenti notificatori  e  di  comunicazione
prescritti dal comma 4 del citato art. 23. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Letto l'art. 23 della  legge  11  marzo  1953,  n.  87,  dichiara
rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 146, commi 1 e 2, della  legge  16  febbraio
1913, n. 89, come sostituito dall'art. 29 del decreto legislativo  1°
agosto 2006, n. 249, in relazione all'art. 76 della Costituzione. 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale e sospende il presente giudizio. 
    Ordina che, a cura della Cancelleria, la presente  ordinanza  sia
notificata alle parti in causa  ed  al  Procuratore  Generale  presso
questa Corte, nonche'  al  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri.
Ordina, altresi', che l'ordinanza venga  comunicata  dal  Cancelliere
anche ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
    Cosi deciso nella camera di consiglio della 2ª Sezione civile  in
data 21 settembre 2012. 
 
                      Il Presidente: Bucciante