N. 40 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 novembre 2012

Ordinanza del 6 novembre 2012 emessa dal  Tribunale  di  Catanzaro  -
sez. riesame nel procedimento penale a carico di D.L.A.. 
 
Processo penale - Misure cautelari  -  Imputato  tossicodipendente  o
  alcooldipendente che abbia in corso o che intenda sottoporsi  a  un
  programma terapeutico - Applicazione o  sostituzione  della  misura
  della custodia cautelare in carcere con  la  misura  degli  arresti
  domiciliari - Inapplicabilita' della misura alternativa  quando  si
  procede per il delitto di cui all'art. 74 del d.P.R n. 309 del 1990
  (Associazione  finalizzata  al  traffico   illecito   di   sostanze
  stupefacenti o psicotrope)  per  come  richiamato  dall'art.  4-bis
  della legge n. 354 del 1975 - Lesione del  diritto  alla  salute  -
  Ingiustificata  discriminazione   rispetto   ai   tossicodipendenti
  imputati di altri reati - Parita' di  trattamento  tra  fattispecie
  delittuose diverse - Violazione del principio di non colpevolezza -
  Violazione  del  principio   di   inviolabilita'   della   liberta'
  personale. 
- Decreto del Presidente della Repubblica 9  ottobre  1990,  n.  309,
  art. 89, comma 4. 
- Costituzione, artt. 3, 13, 27 e 32. 
(GU n.11 del 13-3-2013 )
 
                            IL TRIBUNALE 
 
    Ha pronunciato la seguente  ordinanza  sull'appello  in  sede  di
rinvio  proposto  da  D.L.A.  avverso  l'ordinanza  del   G.U.P.   di
Catanzaro, emessa in data 5 luglio 2011, di rigetto  della  richiesta
di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere  con
quella degli arresti domiciliari, ai sensi  dell'art.  89,  comma  2,
d.P.R. n. 309/90; 
    Letti gli atti; 
    Sentito il presidente relatore; 
 
                          Osserva e rileva 
 
    1. In data 14 dicembre 2009, D.L.A. veniva sottoposto alla misura
cautelare della custodia in carcere con ordinanza emessa  dal  G.I.P.
presso il Tribunale  di  Catanzaro,  su  mozione  della  locale  DDA,
perche'  gravemente  indiziato,  tra  l'altro,  di   partecipare   ad
associazione dedita al narcotraffico, ex art. 74, d.P.R. n. 309/90. 
    In seguito, il cautelato, dichiarato colpevole per tale reato con
sentenza  in  data  31  maggio  2011  del  G.U.P.  presso  lo  stesso
Tribunale, proponeva a quest'ultimo  Giudice  procedente  istanza  ex
art. 89, comma 2, cit. D.P.R., chiedendo la sostituzione della misura
inframuraria in atto con quella degli arresti domiciliari presso  una
Comunita' terapeutica  per  tossicodipendenti;  istanza  che   veniva
rigettata con ordinanza emessa il  5  luglio  2011  e  impugnata  dal
custodito medesimo con ricorso ex art. 310 c.p.p. 
    Questo Tribunale, decidendo su tale  appello,  con  provvedimento
dell'  01.09.2011,  dichiarava  l'inammissibilita'  della  richiesta,
rilevando che, ai sensi dell'art. 89, comma 4, d.P.R. n. 309/90,  «Le
disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non si applicano quando si procede
per uno dei delitti  previsti  dall'articolo  4-bis  della  legge  26
luglio 1975, n. 354»,  tra  i  quali  e'  richiamato  proprio  quello
sanzionato dall'art. 74,  d.P.R.  n.  309/90,  per  cui  e'  cautela;
pertanto, e' preclusa a priori, nel caso di specie,  l'applicabilita'
della normativa invocata dall'appellante. 
    Proposto  ricorso  per  cassazione  dal  D.  L.,  avverso  questa
ordinanza di inammissibilita',  il  Supremo  Consesso  annullava  con
rinvio detta decisione, per nuovo esame, alla  luce  dell'intervenuta
sentenza della Corte costituzionale n. 231 del 2011. 
    All'udienza fissata per la trattazione in sede di rinvio  nessuno
compariva, nonostante la ritualita' degli avvisi di  udienza,  ed  il
Tribunale riservava la decisione. 
    Ritiene l'adito Collegio, a scioglimento della riserva, che  vada
sollevata e proposta d'ufficio  la  rilevante  e  non  manifestamente
infondata questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  89,
comma 4, d.P.R. del 9 ottobre 1990, n. 309, in riferimento agli artt.
3, 13, 27 e 32 della Costituzione, nella parte in cui prevede che  le
disposizioni di cui ai commi 1 e  2  dello  stesso  articolo  non  si
applicano quando si procede per il delitto di cui all'art. 74, d.P.R.
n. 309/90, per come richiamato dall'art. 4-bis della legge 26  luglio
1975, n. 354. 
    2. Occorre innanzitutto rilevare come, nel  caso  di  specie,  il
ricorrente abbia documentato la sussistenza dei presupposti richiesti
dalla norma in esame per  la  concessione  della  misura  domiciliare
presso una Comunita' terapeutica per tossicodipendenti, sicche',  non
ricorrendo esigenze cautelari  di  eccezionale  rilevanza,  l'istanza
difensiva andrebbe accolta se non  ostasse  a  tale  accoglimento  il
titolo  di  reato  contestato  all'imputato,  rientrante  tra  quelli
previsti dall'art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354,  cui  la
norma impugnata fa rinvio per escludere l'applicabilita' dei commi  1
e 2 del medesimo art. 89 e  dunque  la  concedibilita'  della  misura
richiesta. 
    Non appare superfluo evidenziare altresi', ad ulteriore  conferma
della rilevanza  nella  fattispecie  che  occupa  della  prospettanda
questione di legittimita' costituzionale, che la  presente  decisione
e' sottoposta al principio giuridico del  «tantum  devolutum  quantum
appellatum», a cui deve attenersi il Giudice quando decide su ricorso
avanzato ex art. 310 c.p.p., sicche' non rientra nei poteri di questo
Tribunale operare una  valutazione,  non  dedotta  con  i  motivi  di
impugnazione e  dunque  ultra  petitum,  sull'eventuale  attenuazione
delle esigenze cautelari e quindi sulla possibilita' di sostituire la
misura  carceraria  ex  art.  299,  comma  2,  c.p.p.,  operando  una
modificazione dello status libertatis sul piano di  una  prognosi  di
pericolosita' soggettiva. 
    3. Passando al merito della  questione,  va  osservato  come  nel
sistema delle misure cautelari personali siano  rinvenibili  numerosi
correttivi alla disciplina generale circa la scelta della  misura  da
applicare, allorche' la persona da sottoporre ad una di esse versi in
determinate condizioni o qualita' personali: a norma  dell'art.  275,
commi 4 e  ss.,  del  codice  di  procedura  penale,  sono  richieste
esigenze  cautelari  di  "eccezionale  rilevanza"  per  disporre   la
custodia in carcere di una persona incinta o che allatta  la  propria
prole, o ultrasettantenne o, ancora, che si trovi  in  condizioni  di
salute particolarmente gravi che non consentono le cure necessarie in
stato di detenzione; l'art. 286 dello  stesso  codice  stabilisce  la
custodia in luogo di  cura,  anziche'  in  carcere,  nell'ipotesi  di
infermita' totale o parziale di mente; l'art. 299, comma  4-ter,  del
codice di rito, infine,  "chiude"  questo  assetto  sul  piano  delle
indagini medico-legali finalizzate alla verifica della compatibilita'
tra le condizioni della persona e la detenzione carceraria. 
    A ben vedere, comune ragione d'essere di queste previsioni e'  da
ravvisare  evidentemente  nella  tutela  del  diritto  alla   salute,
protetto in tal modo da pregiudizi - potenziali o in atto - derivanti
dalla  custodia  carceraria,  la  cui  finalita'  cautelare  pertanto
risulta  cedevole  di  fronte  a  situazioni  soggettive   peculiari,
reputate dal legislatore prevalenti indipendentemente dal  titolo  di
reato in ordine al quale si procede. 
    Raffrontando tale disciplina con la norma impugnata,  che  regola
il sistema delle misure  cautelari  personali  quanto  agli  imputati
tossicodipendenti (o  alcool-dipendenti),  quest'ultima  deve  essere
censurata,  sia  sotto  il  profilo   della   irragionevole   ridotta
protezione del diritto alla  salute  del  tossicodipendente  rispetto
agli altri casi ricordati, in aperta violazione dell'art.  32  Cost.,
sia sotto il profilo della  ingiustificata  discriminazione  (art.  3
Cost.) che essa determinerebbe  tra  tossicodipendenti  imputati  del
delitto ex art. 74, d.P.R. n. 309/90, e tossicodipendenti imputati di
reati diversi, per i quali ultimi trova piena applicazione il sistema
delineato  nei  commi  1  e  2  del  citato  art.  89  ed  e'  dunque
privilegiata la misura  alternativa,  salvo  che  vi  Siano  esigenze
cautelati di eccezionale rilevanza. 
    4. Ulteriore profilo di censura della norma  impugnata,  riferito
ai parametri degli artt. 3 e 27, secondo comma,  della  Costituzione,
va ravvisato nel raffronto con le norme che,  regolando  gli  aspetti
esecutivi della pena inflitta a persone tossicodipendenti,  accordano
piu' ampia possibilita' di accesso a programmi di recupero: gli artt.
90 e 94, d.P.R.  n.  309  del  1990,  in  tema,  rispettivamente,  di
sospensione dell'esecuzione e di affidamento  in  prova  al  servizio
sociale;  possibilita',  viceversa,  precluse  al   tossicodipendente
cautelato per il delitto ex art. 74, cit. d.P.R. 
    5. Quanto alla figura criminosa che interessa, il delitto di  cui
all'art. 74, d.P.R. n. 309 del  1990,  e'  una  figura  speciale  del
delitto di associazione per delinquere che si differenzia  da  questo
solo per la specificita' del programma  criminoso,  costituito  dalla
commissione di piu' delitti tra  quelli  previsti  dall'art.  73  del
medesimo decreto. Le caratteristiche  strutturali  della  fattispecie
criminosa  non  divergono,  per  il  resto,  da  quelle   del   reato
associativo comune. Per  costante  giurisprudenza,  infatti,  i  suoi
elementi essenziali sono costituiti dal carattere  indeterminato  del
programma criminoso e dalla permanenza  della  struttura,  senza  che
occorra un accordo consacrato in manifestazioni di  formale  adesione
ne'  un'organizzazione  con  gerarchie  interne  e  distribuzione  di
specifiche cariche e compiti: essendo sufficiente, al contrario,  una
qualunque forma organizzativa, sia pur rudimentale, deducibile  dalla
predisposizione di mezzi, anche semplici, per  il  perseguimento  del
fine comune. 
    Trattasi,  dunque,  di  una  «fattispecie  aperta»,   idonea   ad
abbracciare fenomeni criminali fortemente eterogenei  tra  loro,  che
spaziano  dal   grande   sodalizio   internazionale   con   struttura
imprenditoriale, che controlla tanto la produzione  che  l'immissione
sul mercato dello stupefacente, fino ad arrivare al gruppo attivo  in
ambito puramente locale e con organizzazione del  tutto  rudimentale,
spesso limitata all'impiego di autovetture e telefoni cellulari. 
    La giurisprudenza di legittimita' ha,  d'altra  parte,  ravvisato
l'ipotesi criminosa in questione anche nel vincolo che  accomuna,  in
maniera durevole, il fornitore della droga e coloro che  la  ricevono
per  rivenderla  "al  minuto",  non  ritenendo   di   ostacolo   alla
configurabilita' del rapporto associativo la diversita'  degli  scopi
personali e la differente utilita' che i  singoli  si  propongono  di
ricavare. 
    6. Risultano, quindi, evidenti le differenze strutturali  tra  il
delitto in esame e i reati di mafia, in rapporto ai  quali  la  Corte
Costituzionale, con ordinanza  n.  339  del  1995  (G.U.  n.  33  del
09/08/1995), ha dichiarato la manifesta infondatezza della  questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 89, comma 4,  del  d.P.R.  9
ottobre 1990, n. 309. Il delitto previsto dall'art. 74, d.P.R. n. 309
del 1990, infatti, non  e'  necessariamente  connotato  da  un  forte
radicamento nel territorio dell'associazione, da  fitti  collegamenti
personali  e  da  una  particolare  forza  intimidatrice.  Difettano,
soprattutto, le peculiarita' «storiche e sociologiche», prima  ancora
che giuridiche, dell'associazione mafiosa, consistenti  nell'adesione
degli  associati,  senza  possibilita'  di  recesso,  ad  un  sistema
illegale parallelo a quello dello  Stato,  consolidato  nel  tempo  e
preesistente, nella sua struttura  essenziale,  rispetto  ai  singoli
fenomeni associativi: sistema che, attraverso attivita' criminose che
coinvolgono i piu' diversi settori della  vita  pubblica  e  privata,
mira ad interferire con le  istituzioni  per  assicurarsi  «potere  e
stabilita'». Caratteristiche, queste, che rendono  possibile,  per  i
reati di mafia, enucleare una regola di esperienza in base alla quale
soltanto la custodia cautelare in carcere e' idonea a  preservare  le
condizioni di base della convivenza  e  della  sicurezza  collettiva,
messe a rischio da simili reati. 
    Analoga  generalizzazione,  per  converso,  e'  impraticabile  in
rapporto al delitto previsto dall'art. 74, d.P.R. n. 309 del 1990, il
cui paradigma copre situazioni che incidono in  misura  sensibilmente
differenziata sul bene protetto dell'ordine pubblico e che, sotto  il
profilo cautelare,  possono  essere  fronteggiate  anche  con  misure
diverse dalla custodia in carcere come quella  prevista  dal  gravato
art 89. 
    7. La norma censurata, con riferimento al delitto che  interessa,
non puo' trovare fondamento  neanche  nella  natura  dei  reati-scopo
dell'associazione e nella tutela particolarmente  rigorosa  accordata
dal legislatore al bene  della  salute  pubblica  nei  confronti  del
fenomeno dello spaccio di stupefacenti. 
    Del resto, come gia' rimarcato da plurime  sentenze  della  Corte
Costituzionale (tra cui, nn.  265  del  2010  e  231  del  2011),  la
gravita' astratta del reato, desunta dalla misura della pena o  dalla
natura dell'interesse tutelato, non puo' legittimare una  preclusione
alla  verifica  giudiziale  del  grado  delle  esigenze  cautelari  e
all'individuazione  della  misura  piu'   idonea   a   fronteggiarle,
rilevando solo ai fini della commisurazione della sanzione penale. 
    8. Alla luce di tali rilievi, la norma censurata, nella parte  in
cui esclude l'operativita' dei commi l e 2 dello stesso  articolo  89
per gli imputati cautelati in ordine alla fattispecie  delittuosa  di
cui all'art. 74 medesimo d.P.R., viola,  oltre  che  per  le  ragioni
dette in precedenza (§§ 3 e 4), l'art. 3 della Carta  Costituzionale,
sottoponendo ad un eguale trattamento situazioni differenti tra loro,
senza  che  vi  siano  fondate  ragioni   per   impedire   la   piena
individualizzazione della coercizione cautelare. 
    Difatti, in un  numero  tutt'altro  che  marginale  di  casi,  le
esigenze cautelari sono suscettibili di trovare idonea risposta anche
in misure diverse da quella carceraria, come quella del  collocamento
in Comunita' terapeutica, che valgano  a  neutralizzare  il  "fattore
scatenante" o ad impedirne la riproposizione. 
    9. La medesima disposizione si pone, altresi', in  contrasto  con
il principio di  inviolabilita'  della  liberta'  personale,  sancito
dall'art. 13,  primo  comma,  Costituzionale,  imponendo  il  massimo
sacrificio  di  tale  bene  primario  all'esito  di  un  giudizio  di
bilanciamento non corretto, in quanto non rispettoso del principio di
ragionevolezza. 
    10. Essa lede, infine, si ribadisce (§ 4), la presunzione di  non
colpevolezza,   prevista   dall'art.   27,   secondo   comma,   della
Costituzione, affidando al regime cautelare  funzioni  proprie  della
pena, la cui applicazione presuppone invece un giudizio definitivo di
responsabilita'. 
    11. Per tutte le suesposte  argomentazioni,  ritiene  l'intestato
Tribunale che la prospettata questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 89, comma 4, d.P.R.  del  9  ottobre  1990,  n.  309  -  in
riferimento agli arti. 3, 13, 27 e 32 della Costituzione, nella parte
in cui prevede che le disposizioni di cui ai commi l e 2 dello stesso
articolo non si applicano quando si procede per  il  delitto  di  cui
all'art. 74, d.P.R. n. 309/90, per come  richiamato  dall'art.  4-bis
della legge 26 luglio 1975, n. 354 -  oltre  che  rilevante  ai  fini
della  decisione  dell'interposto  ricorso,  non  sia  manifestamente
infondata e che, pertanto, vada sollevata e proposta innanzi la Corte
costituzionale; dovendosi,  per  l'effetto,  sospendere  il  presente
procedimento per pregiudizialita' costituzionale sino alla  decisione
del  Giudice  delle  Leggi  sulla  questione  medesima,  ordinare  la
trasmissione degli atti alla  stessa  Corte  costituzionale,  nonche'
disporre, a cura dell'ufficio di cancelleria,  la  notificazione  del
presente  provvedimento  al  Pubblico  Ministero,  all'Imputato,   al
Difensore, al Presidente del Consiglio dei  Ministri,  al  Presidente
della  Camera  dei  Deputati  e  al  Presidente  del   Senato   della
Repubblica. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Sull'appello  in  sede  di  rinvio  proposto  da  D.L.A.  avverso
l'ordinanza del G.U.P. di Catanzaro, emessa in data 5 luglio 2011, di
rigetto della richiesta di sostituzione della misura cautelare  della
custodia in carcere con quella degli arresti  domiciliari,  ai  sensi
dell'art. 89, comma 2, d.P.R. n. 309/90; 
    Solleva e propone d'ufficio la  rilevante  e  non  manifestamente
infondata questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  89,
comma 4, d.P.R. del 9 ottobre 1990, n. 309, in riferimento agli artt.
3, 13, 27 e 32 della Costituzione, nella parte in cui prevede che  le
disposizioni di cui ai commi 1 e  2  dello  stesso  articolo  non  si
applicano quando si procede per il delitto di cui all'art. 74, d.P.R.
n. 309/90, per come richiamato dall'art. 4-bis della legge 26  luglio
1975, n. 354. 
    Sospende,   per   l'effetto,   il   presente   procedimento   per
pregiudizialita' costituzionale sino alla decisione del Giudice delle
Leggi sulla questione sollevata e proposta. 
    Ordina la trasmissione degli atti alla Corte  costituzionale  con
sede presso il palazzo della Consulta in Roma. 
    Dispone la notificazione del presente provvedimento  al  Pubblico
Ministero, all'Imputato, al Difensore, al  Presidente  del  Consiglio
dei ministri, al Presidente della Camera dei Deputati e al Presidente
del Senato della Repubblica. 
    Manda alla Cancelleria per l'esecuzione di tali adempimenti e  di
ogni altro di competenza. 
    Cosi deciso in Catanzaro, nella Camera di Consiglio del 4 ottobre
2012. 
 
                        Il Presidente: Perri