N. 59 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 marzo 2011
Ordinanza del 24 marzo 2011 emessa dal Tribunale di Nocera Inferiore nel procedimento civile promosso da Rossi Cosimo ed ADIP contro Ministero della giustizia. Impiego pubblico - Dipendenti di pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo parziale, con prestazioni lavorative non superiori al cinquanta per cento di quelle a tempo pieno - Divieto di iscrizione all'albo professionale degli avvocati - Non applicabilita' a coloro che risultino gia' iscritti alla data di entrata in vigore della legge n. 339/2003 - Mancata previsione - Irragionevolezza - Violazione dei principi di certezza del diritto e di affidamento - Incidenza sul diritto al lavoro e sui principi di tutela del lavoro e di liberta' d'iniziativa economica privata. - Legge 25 novembre 2003, n. 339, artt. 1 e 2. - Costituzione, artt. 3, 4, 35 e 41.(GU n.13 del 27-3-2013 )
IL TRIBUNALE ORDINARIO Il Tribunale in composizione collegiale, riunito in camera di consiglio e cosi' costituito: dott. Rocco De Giacomo, presidente; dott.ssa Mdria Luisa De Rosa, giudice; dott. Bartolomeo Ietto, giudice relatore, sciogliendo la riserva precedentemente formulata e pronunciandosi sul reclamo proposto ex art. 669-terdecies c.p.c. dal dott. Rossi Cosimo avverso l'ordinanza emessa il 13 agosto 2009 dal giudice del lavoro e con il quale e' stato rigettato il ricorso ex art. 700 c.p.c. presentato l'11 giugno 2009 nell'interesse dello stesso dott. Rossi Cosimo; Esaminati gli atti e sentite le deduzioni articolate dalle parti; Osserva: Dalla documentazione allegata al fascicolo processuale emerge pacificamente il seguente «iter» della vicenda in oggetto: con l'istanza del 19 dicembre 2001, n. 18154 di prot. il predetto dott. Rossi ha chiesto al Ministero della giustizia - ai sensi dell'art. 1, commi 56, 56-bis, 57 e 58 della legge n. 662/1996 e succ. mod. ed integrazioni, della circolare della Presidenza del Consiglio dei ministri n. 6 del 18 luglio 1997, del d.m. 6 luglio 1998, degli artt. 21 e ss. del C.C.N.L. e della circolare del Ministero della giustizia n. 207 del 12 novembre 1999 - di poter trasformare il proprio rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, riducendo l'orario di servizio a 18 ore settimanali da prestare il martedi' ed il giovedi' con rientro pomeridiano, nonche' di essere autorizzato all'iscrizione all'albo professionale forense ed all'esercizio della professione di avvocato secondo le compatibilita' indicate dallo stesso Ministero della giustizia; quest'ultimo, in data 23 gennaio 2002 e con decorrenza dal 1° febbraio 2002, ha rilasciato al citato dipendente l'autorizzazione al rapporto di lavoro a tempo parziale al 50% e, quindi, allo svolgimento della professione di avvocato, legittimando il dipendente medesimo ad iscriversi il 15 marzo 2002 al Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Benevento, e cio' sebbene - in ragione del limite territoriale di cui al d.m. 6 luglio 1998 - sempre il dott. Rossi sia stato contestualmente costretto a sollecitare il proprio trasferimento al Tribunale di Nocera Inferiore, ove attualmente e' in servizio presso la Sezione esecuzioni mobiliari; all'indomani dell'approvazione della legge 25 novembre 2003, n. 339 - che ha modificato la precisata legge n. 662/1996, statuendo, in special modo, all'art. 2, che tutti coloro che, come l'odierno reclamante, avevano «ottenuto l'iscrizione all'albo degli avvocati successivamente alla data di entrata in vigore della legge 23 dicembre 1996, n. 662» e risultavano «ancora iscritti», potessero «optare per il mantenimento del rapporto di impiego, dandone comunicazione al consiglio dell'ordine ... entro trentasei mesi dalla "stessa'' entrata in vigore», comunicazione in mancanza della quale il medesimo consiglio dell'ordine avrebbe «provveduto alla cancellazione di ufficio dell'iscritto dal proprio albo» il dott. Rossi, con la missiva del 1° dicembre 2006, n. 466 di prot., ha fatto, in ogni caso, presente al Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Benevento la propria scelta di conservare il rapporto di lavoro pubblico in «part-time» ridotto al 50%: una scelta di cui il Presidente dello stesso Consiglio dell'Ordine di Benevento ha messo al corrente la Corte di Appello di Napoli con un'ulteriore comunicazione trasmessa dalla medesima Corte di Appello, con la nota del 15 gennaio 2007, n. 1129/2007 di prot., al Ministero della giustizia, il quale, a sua volta, con l'atto di diffida del 12 settembre 2007, ha intimato l'originario ricorrente a documentare, entro quindici giorni e proprio alla luce del richiamato art. 2 della legge n. 339/2003, l'avvenuta presentazione dell'istanza di cancellazione dall'Albo degli avvocati; con la delibera del 27 settembre 2007 il Consiglio dell'Ordine di Benevento - al quale, gia' con nota del 20 marzo 2007, la Corte di Appello di Napoli aveva fatto presente che il ricorrente medesimo continuava a prestare servizio li - ha ordinato al dott. Rossi la cancellazione dall'albo: una delibera che lo stesso dott. Rossi ha impugnato dinanzi al Consiglio nazionale forense nell'ambito di un procedimento sospeso per l'opportunita' di attendere che la Corte costituzionale, essendone stata investita, si pronunciasse sulla materia oggetto del procedimento medesimo, impugnazione che - come chiarito proprio dal Consiglio nazionale forense con la nota del 27 gennaio 2009 caratterizzata dal n. 21/2009 di prot. - ha prodotto l'effetto sospensivo ex art. 37, comma 5 del r.d.l. 27 novembre 1993, n. 1578 ed ha, dunque, legittimato il reclamante a svolgere la professione forense; con la nota prot. n. 2/02-09/FC del 21 aprile 2009 - inviata dalla Corte di Appello di Napoli al Presidente del Tribunale di Nocera Inferiore perche' la notificasse al reclamante medesimo - quest'ultimo e' stato, infine, avvisato dal direttore generale «pro-tempore» del Ministero della giustizia del fatto che, «dovendosi considerare rara della legge n. 339/2003 allo stato vigente a tutti gli effetti, ... l'autorizzazione a suo tempo rilasciata» dovesse «intendersi revocata». Di qui la proposizione del richiamato ricorso ex art. 700 c.p.c. dell'11 giugno 2009 finalizzato ad ottenere la declaratoria di nullita' e/o illegittimita' del provvedimento della pubblica amministrazione che ha revocato al dott. Rossi l'autorizzazione all'esercizio della professione forense, in subordine a causa della disapplicazione della legge n. 339/2003 perche' contraria alle norme comunitarie, nonche', in via ancora piu' gradata, la sospensione del medesimo provvedimento ed il contestuale riconoscimento della riviviscenza dell'atto autorizzativo all'esercizio della professione, fino all'esito del giudizio dinanzi alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo cui hanno dato impulso le statuizioni all'uopo adottate nel 2009 dal Giudice di Pace di Cortona: un ricorso che - con il provvedimento giurisdizionale del 13 agosto 2009 oggetto del reclamo sottoposto alla cognizione del collegio - e' stato rigettato per l'insussistenza del fondamentale requisito del «fumus boni iuris», quale ritenuta proprio ai sensi dell'art. 2 della legge n. 339/2003. Cio' posto, ritiene il collegio di dover condividere i dubbi di costituzionalita' della stessa legge n. 339/2003 sollevati dal dott. Rossi sia nell'originario ricorso che nel reclamo or ora indicati. Si tratta, in buona sostanza, dell'annoso problema dell'intangibilita' dei cosiddetti diritti quesiti costituzionalmente garantiti. Ed, in una simile prospettiva, va innanzitutto sottolineato che - come gia' osservato dalle Sezioni unite della Cassazione nell'ordinanza 6 dicembre 2010, n. 24689, la quale ha dichiarato «rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale della legge n. 339 del 2003, artt. 1 e 2, nella parte in cui non prevedono che il regime di incompatibilita' stabilito nell'art. 1 non si applichi ai dipendenti pubblici a tempo parziale ridotto non superiore al 50 per cento del tempo pieno, gia' iscritti negli albi degli avvocati alla data di entrata in vigore della medesima legge n. 339 del 2003, prevedendo, invece, all'art. 2, solo un breve periodo di "moratoria'' per l'opzione imposta fra impiego ed esercizio della professione, per contrasto, nei sensi di cui in motivazione, con gli artt. 3, 4, 35 e 41 Cost.» - la Corte costituzionale, pur essendosi effettivamente occupata del piu' volte richiamato intervento legislativo del 2003 con la sentenza n. 390 del 21 novembre 2006, con l'ordinanza n. 210/2008 e con l'ulteriore ordinanza n. 91 dell'11 marzo 2009, non ha, comunque, specificamente affrontato, con le decisioni teste' elencate, due questioni essenziali per la definizione del procedimento ex art. 700 c.p.c. instaurato dal dott. Rossi e oggi pervenuto alla presente fase di reclamo: a) il problema della legittimita' della legge n. 339 del 2003 nella parte in cui estende i suoi effetti circa l'incompatibilita' tra la professione forense ed il rapporto di pubblico impiego a part-time ridotto al 50%, anche a coloro che erano gia' iscritti negli albi degli avvocati ed esercitavano la stessa professione forense, sulla base della disciplina preesistente, al momento dell'entrata in vigore della medesima legge n. 339 del 2003; b) la tematica della legittimita' del divieto, sopravvenuto a carico di costoro, di continuare l'esercizio dell'attivita' professionale gia' ritualmente intrapresa. Di qui la non indifferente rilevanza dei profili di illegittimita' costituzionale della legge n. 339/2003 appena accennati, i quali sono anche non manifestamente infondati con riferimento agli artt. 3, 4, 35 e 41 Cost. A questo proposito va, infatti, preliminarmente chiarito che - se e' vero che il legislatore ben puo' introdurre nuove disposizioni contrastanti con quelle in vigore - e' altrettanto innegabile che queste stesse nuove disposizioni debbano, comunque, tener conto delle situazioni esistenti e dei rapporti giuridici in atto sorti in presenza del precedente quadro normativo. Ne consegue che - come messo in risalto dalle Sezioni unite della Cassazione nella gia' specificata ordinanza n. 24689 del 6 dicembre 2010 - esse devono essere «non irragionevoli», ossia dettate da sopravvenute ragioni e/o esigenze, e «non possono violare norme e principi costituzionali o valori di rilievo costituzionale quali la "certezza del diritto''»; cio' sia che si tratti di disposizioni propriamente retroattive, cioe' incidenti direttamente su fatti e rapporti sorti in passato e modificati «ex post» negli effetti giuridici ad essi riconducibili, sia che, pur operando tecnicamente solo per il futuro, influiscano, comunque, su rapporti che si protraggono nel tempo (i cosiddetti rapporti «di durata», n.d.r.), alterando gli equilibri preesistenti e facendo venir meno, o mutando profondamente, situazioni giuridiche gia' acquisite. In altre parole, la liberta' o discrezionalita' del legislatore deve incontrare il limite derivante dall'esigenza di tener conto delle situazioni giuridiche soggettive di coloro che hanno agito facendo affidamento sul quadro normativo in vigore, su di esso misurando portata, effetti e prospettive del loro agire e del loro scegliere, in quanto la «certezza del diritto» non consiste solo nel poter stabilire con sicurezza, in ogni momento, quale e' la normativa vigente e quali ne sono gli effetti, ma anche nel poter confidare ragionevolmente nella stabilita' dell'ordinamento, e cioe' nel fatto che ogni cambiamento di regole abbia una sua oggettiva ragione giustificatrice e rispetti le legittime aspettative consolidatesi sulla base delle regole preesistenti. Tali principi della «tutela dell'affidamento» e della «certezza del diritta» sono stati, d'altro canto, gia' affermati dalla giurisprudenza costituzionale in tutta una serie di decisioni. A partire da alcune su tematiche pensionistiche (la n. 349 del 1985, la n. 822 del 1988, la n. 573 del 1990 e la n. 390 del 1995, n.d.r.), le quali hanno sostenuto che - sebbene non sia preclusa al legislatore l'emanazione di disposizioni che «modifichino sfavorevolmente la disciplina dei rapporti di durata, anche in tema di diritti soggettivi perfetti», fatto «salvo», in caso di norme propriamente retroattive, «il limite costituzionale della materia penale» ex art. 25, comma 2 Cost. - queste medesime disposizioni non possono «trasmodare in un regolamento irrazionale ed arbitrariamente incidere sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi preesistenti, frustrando cosi' anche l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, che costituisce elemento fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto». Allo stesso modo l'irretroattivita', anche fuori del settore penale, e' stata reputata «una regola essenziale del sistema a cui, salva un'effettiva causa giustificatrice, il legislatore deve ragionevolmente attenersi, in quanto la certezza dei rapporti preteriti costituisce un indubbio cardine della civile convivenza e della tranquillita' dei cittadini» (vedi le sentenze n. 155 del 1990, n. 573 del 1990 e n. 390 del 1995). Si aggiunga, poi, il contenuto della sentenza n. 211 del 1997, secondo la quale i mutamenti normativi peggiorativi di situazioni soggettive inerenti ai rapporti di durata - qualora dovessero ledere, senza alcuna fondata motivazione, l'affidamento degli stessi cittadini basato sul quadro legislativo preesistente - si pongono in contrasto con il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., nonche', in virtu' degli interessi nella specie coinvolti, con gli artt. 4, 35 e 41 Cost., relativi alle garanzie del lavoro e della liberta' di iniziativa economica, anche sotto il profilo della concorrenza. Senza dimenticare, infine, tutte quelle ulteriori statuizioni del giudice delle leggi che - soffermandosi sempre sugli interventi normativi di carattere retroattivo, o, comunque, tesi a regolare situazioni pregresse - hanno ribadito la necessita' di osservare il canone costituzionale della ragionevolezza ed i principi generali di tutela del legittimo affidamento e della certezza delle situazioni giuridiche (cfr. le sentenze n. 24 del 2009, n. 74 del 2008 e n. 376 del 1995), l'esigenza di non tradire l'affidamento del privato sull'avvenuto consolidamento di situazioni sostanziali (cfr. ancora la n. 24 del 2009, oltre alla n. 156 del 2007), l'obbligo di non superare quei limiti che attengono, tra l'altro, al rispetto di fondamentali valori di civilta' giuridica come, per l'appunto, il principio generale di ragionevolezza e quella tutela dell'affidamento nelle situazioni giuridiche legittimamente sorto, che e', a sua volta, connaturata allo Stato di diritto (cfr., «ex multis» , le sentenze n. 525 del 2000 e n. 416 del 1999). Ed, invero, - tornando alla fattispecie concreta in esame ed operando il necessario bilanciamento tra le finalita' della legge n. 339/2003 (la tutela dell'indipendenza della figura del difensore e del prestigio dello stesso difensore, secondo quando sembra potersi ricavare dai relativi lavori parlamentari, n.d.r.) e «l'ineludibile esigenza» di salvaguardare il legittimo affidamento del dott. Rossi, ed, in generale, di tutti gli altri dipendenti pubblici che si sono avvalsi della legge n. 662/1996, nella possibilita' di mantenere nel tempo lo stato di avvocati part-time gia' assunto da diversi anni - non si puo' che dubitare della ragionevolezza del sacrificio imposto, con la stessa legge n. 339/2003, a questi medesimi dipendenti pubblici. Costoro, infatti, hanno scelto di chiedere ed hanno ottenuto l'autorizzazione al rapporto di lavoro a tempo ridotto al 50%, e, quindi, allo svolgimento della professione di avvocato, sulla base di una precisa previsione normativa contemplata dalla legge n. 662/1996 e ritenuta anche legittima dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 171 del 1999 e n,189 del 2001: due pronunce che hanno senza dubbio alimentato ulteriormente la loro aspettativa alla conservazione del duplice «status» di dipendenti pubblici e di avvocati per un prolungato arco cronologico, determinando indiscutibilmente quell'affidamento al quale il giudice delle leggi ha attribuito la natura di valore costituzionalmente protetto, peraltro in settori dalla peculiare rilevanza costituzionale come quelli del lavoro e della libera iniziativa economica (cfr. gli artt. 4, 35 e 41 Cost.). E', d'altro canto, innegabile che la modifica normativa introdotta dalla legge n. 339/2003 abbia addirittura sconvolto la consolidata situazione giuridica maturata, sulla scorta della preesistente legge n. 662/1996 reputata costituzionalmente legittima, in capo al dott. Rossi ed agli altri soggetti che avevano optato per il «part-time» e, dunque, per l'esercizio della professione forense, i quali - oltre ad aver fatto, per l'appunto, un sicuro e giustificato affidamento di mantenere in futuro tale opzione - si sono evidentemente resi protagonisti, in una simile ottica, di investimenti intellettuali ed economici finalizzati all'avvio della nuova attivita' professionale, di pregnanti mutamenti della propria impostazione di vita, di inevitabili rinunce a migliori prospettive di carriera nell'ambito della pubblica amministrazione (si consideri, ad esempio, in relazione a quest'ultimo aspetto, che il dott. Rossi ha dovuto lasciare la Corte di Appello di Napoli, dove, sulla scorta dell'allegato ordine di servizio n. 43/1993, gli era stata attribuita la direzione del Ruolo generale civile, e si e' trasferito presso il Tribunale di Nocera Inferiore, n.d.r.). Di qui la probabile lesione di tutta una serie di consolidate aspettative, nonche' di un legittimo affidamento nella certezza del diritto e nella sicurezza giuridica: una lesione che sembra chiaro non possa essere esclusa solo in virtu' della gia' segnalata concessione del termine di tre anni per esercitare l'imposta opzione tra pubblico impiego e professione forense, nonche' della prevista possibilita' di essere riammessi in servizio nei successivi cinque anni (cfr. sempre l'art. 2 della legge n. 339/2003), atteso che si tratta di misure limitate nel tempo e, dunque, palesemente inidonee a salvaguardare gli illustrati principi costituzionali. Occorre, dunque, concludere, cosi' come hanno gia' fatto le Sezioni unite della Cassazione con la piu' volte ricordata ordinanza n. 24689 del 6 dicembre 2010, per la rilevanza e per la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge n. 339/2003, nella parte in cui non prevedono che il regime di incompatibilita' stabilito nell'art. 1 non si applichi ai dipendenti pubblici a tempo parziale ridotto non superiore al 50 per cento del tempo pieno, gia' iscritti negli albi degli avvocati alla data di entrata in vigore della medesima legge n. 339/2003, contemplando, invece, all'art. 2, solo un breve periodo di «moratoria» per l'opzione imposta fra impiego ed esercizio della professione, e cio' sia in relazione ai parametri di cui agli artt. 3, 4, 35 e 41 della Cost., sia in riferimento a quel canone della ragionevolezza intrinseca della legge riconducibile all'art. 3, comma 2 Cost. Va, infine, conseguentemente accolta la formulata istanza di sospensione dell'esecuzione del provvedimento della pubblica amministrazione che ha revocato al dott. Rossi l'autorizzazione all'esercizio della professione forense, essendo evidente il danno grave che deriverebbe allo stesso dott. Rossi dall'efficacia del provvedimento medesimo, assunto in applicazione di una disposizione normativa la cui conformita' ai principi costituzionali e' stata rimessa al giudice delle leggi.
P. Q. M. Visti l'art. 134 Cost. e gli artt. 23 e ss. della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge n. 339/2003, nella parte in cui non prevedono che il regime di incompatibilita' stabilito nell'art. 1 non si applichi ai dipendenti pubblici a tempo parziale ridotto non superiore al 50% del tempo pieno, gia' iscritti negli albi degli avvocati alla data di entrata in vigore della medesima legge n. 339/2003, contemplando, invece, all'art. 2, solo un breve periodo di «moratoria» per l'opzione imposta fra impiego pubblico ed esercizio della professione, e cio' per il contrasto, nei sensi di cui in motivazione, con gli artt. 3, 4, 35 e 41 Cast. Dispone, per l'effetto, l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il presente procedimento n. 4454/2009 R.G. sino all'esito del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale; Dispone, altresi', che la presente ordinanza sia notificata, a cura della cancelleria, alle parti ed al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata al Presidente della Camera dei Deputati ed al Presidente del Senato della Repubblica; Dispone, infine, la sospensione dell'esecuzione dell'impugnato provvedimento della pubblica amministrazione che ha revocato al reclamante ed originario ricorrente, dott. Rossi Cosimo, l'autorizzazione all'esercizio della professione forense e che e' stato comunicato con la nota del direttore generale «pro-tempore» del Ministero della giustizia datata 21 aprile 2009 e contraddistinta dal prot. n. 2/02-09/FC. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di competenza. Cosi' deciso in Nocera Inferiore a scioglimento della riserva formulata all'esito dell'udienza del 26 novembre 2009. Il presidente: De Giacomo Il giudice relatore: Ietto