N. 5 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 20 marzo 2013
Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (merito) depositato in cancelleria il 20 marzo 2013.. Parlamento - Immunita' parlamentari - Procedimento penale per il reato di diffamazione a mezzo stampa a carico di Raffaele Iannuzzi, senatore all'epoca dei fatti, per le opinioni da questi espresse nei confronti di Giancarlo Caselli, magistrato, gia' Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo - Deliberazione di insindacabilita' del Senato della Repubblica - Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Milano - Denunciata mancanza di nesso funzionale tra le opinioni espresse e l'esercizio dell'attivita' parlamentare. - Deliberazione del Senato della Repubblica del 30 novembre 2011. - Costituzione, art. 68, primo comma.(GU n.15 del 10-4-2013 )
Deliberando sulla richiesta di archiviazione proposta dal Procuratore della Repubblica nel procedimento contro Iannuzzi Raffaele inteso Lino, nato il 20 febbraio 1928 a Grottolella (AV), domiciliato in Roma alla via G.B. De Rossi n. 32 presso lo studio dell'avv. Grazia Volo proprio unico difensore (atto depositato l'11 maggio 2010); Letta l'opposizione presentata nell'interesse della persona offesa Gian Carlo Caselli dall'avv. Ettore Zanoni di Milano; Ha pronunciato la seguente ordinanza; Fatto e svolgimento del processo A seguito di denuncia querela presentata dalla persona offesa il 10 novembre 2006, il Procuratore della Repubblica in sede esercitava il 4 marzo 2010 l'azione penale chiedendo il rinvio a giudizio dell'imputato sopra indicato per il seguente reato: reato di cui agli artt. 595 comma 3 e 13 legge n. 47/1948 perche', quale giornalista autore dell'articolo pubblicato il 14 settembre 2006 sul settimanale Panorama dal titolo «Criticare la magistratura e' un reato», abusando del diritto di critica e cronaca ed in violazione dei principi di correttezza, obiettivita' e verita' della informazioni, offendeva la reputazione professionale di Gian Carlo Caselli, magistrato, gia' Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, in particolare affermando nel contesto dell'episodio riferito al decesso del magistrato Luigi Lombardini: di essere andati in cinque ad interrogare un magistrato, occupando militarmente il Palazzo di giustizia di Cagliari e interrogando l'indiziato e turno per sei ore, con modalita' analoghe a quelle degli uffici di polizia nei film americani sui gangster; di aver predisposto e deciso tutto a Palermo, prima di partire per Cagliari, perquisizione, arresto, a prescindere dalle risultanze dell'interrogatorio; circostanze tutte escluse dai verbali di delibera di assemblea plenaria del CSM 17 settembre 1998; di avere, riportando le frasi dell'allora Procuratore Generale Pintus, compiuto una vera aggressione nei confronti del dott. Lombardini «massacrandolo»; di aver aperto da anni la caccia negli uffici giudiziari di Cagliari; di essere stato smentito (in qualita' di parte civile) da diverse sentenze di vari organi giudiziari, compresa la Cassazione, emesse nei confronti dell'allora Procuratore Generale di Cagliari, Pintus, ed altri, sentenza in cui decisiva sarebbe stata l'esibizione di quel foglio di carta (decreto di perquisizione) imbrattato di sangue che Lombardini stringeva nella mano sinistra; circostanze smentite dal fatto che la sentenza 24 novembre 2005 della Cassazione si basa non tanto sul diritto di critica, quanto sull'elemento soggettivo del Pintus al quale tra l'altro sarebbero attribuite dall'indagata frasi inesistenti nella sentenza, cosi' come inesistente e' il passo relativo al decreto di perquisizione; di aver ispirato la propria condotta, nella vicenda Lombardini, a motivi esclusivamente politici. Con l'aggravante speciale di cui all'art. 13 cit. trattandosi di affermazioni commesse col mezzo della stampa e consistite nell'attribuzione di fatti determinati. In Milano il 14 settembre 2006. All'udienza preliminare del 7 luglio 2010 il GUP, previo stralcio della posizione del direttore responsabile coimputato ex art. 57 c.p., sospendeva il processo ex artt. 68 Cost., 3 legge n. 140/2003, 17 e 18 c.p.p. in attesa della decisione del Senato della Repubblica, gia' investito dall'imputato, senatore al momento dei fatti, perche' si pronunciasse sulla sindacabilita' delle opinioni espresse nell'articolo indicato nel capo di imputazione. All'udienza di rinvio del 21 giugno 2011 la difesa dell'imputato eccepiva la nullita' della richiesta di rinvio a giudizio siccome l'avviso di conclusione delle indagini era stato notificato, per l'imputato, presso quello dei due difensori che all'epoca non era domiciliatario. Il GUP accoglieva l'eccezione restituendo gli atti al Pubblico Ministero. Il Presidente del Senato della Repubblica, con foglio del 6 dicembre 2011, comunicava che l'Assemblea aveva deliberato, conformemente alla proposta della Giunta competente, che il fatto per il quale e' processo «concerne opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni parlamentari ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione». Il Procuratore della Repubblica, presone atto, ha formulato il 7 febbraio 2012 richiesta di archiviazione previa valutazione sulla sussistenza dei presupposti per sollevare conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato ex art. 134 Cost. In senso favorevole ha motivato anche l'opposizione alla richiesta di archiviazione formulata nell'interesse del Caselli il 14 febbraio 2012. Diritto In via preliminare, va osservato che, ai limitati fini della regola di giudizio di questa fase processuale e della rilevanza della questione, la notizia di reato non appare infondata. L'articolo pone esplicitamente un collegamento tra la condotta, in ipotesi abusiva e vessatoria, dell'odierno opponente ed il suicidio del Procuratore della Repubblica Lombardini. E' pacifico che tali affermazioni sono idonee a ledere l'onore personale e professionale dell'allora Procuratore della Repubblica di Palermo. Non puo' dubitarsi della sussistenza del relativo elemento soggettivo, tanto piu' in considerazione dei numerosi procedimenti civili e penali promossi a carico di Iannuzzi proprio dal Caselli per articoli di giornale ritenuti lesivi del proprio onore (1) Quanto alla sussistenza della scriminante del diritto di critica, si deve allo stato dubitare almeno del requisito della verita', anche putativa, dei fatti storici dai quali le valutazioni dell'autore prendono le mosse. Infatti, secondo quanto risulta dagli atti ufficiali relativi a fonti c.d. «aperte» - quindi consultabili da chiunque - e anteriori alla pubblicazione (atti del CSM, del Ministero della Giustizia, financo le sentenze che hanno offerto all'autore lo spunto per il libello famoso), la narrazione contiene alcuni dati grossolanamente falsi e altri presentati in maniera tendenziosa, a vantaggio della dimostrazione della «tesi» di Iannuzzi. Cosi' anzitutto per la durata dell'interrogatorio condotto dai magistrati dei pubblico ministero, che e' «lievitato» del 50 % passando da meno di quattro, come fu in realta', a sei ore; quindi per la pretesa mancata autorizzazione da parte del GIP a svolgere la perquisizione a carico di Lombardini in periodo feriale, in realta' un «non luogo a provvedere» per il ben diverso motivo che la legge non richiede una tale autorizzazione, nonostante lo scrupolo del magistrato requirente che la aveva comunque richiesta; ancora per l'allontanamento del difensore del magistrato, che non fu affatto congedato dai requirenti; e per quant'altro contestato nell'originaria imputazione. La questione della procedibilita' - o della punibilita', secondo altra interpretazione derivante dalla decisione di insindacabilita' assunta dal Senato - e' quindi rilevante nel caso di specie. Dalla lettura della Relazione della Giunta delle Immunita' del Senato della Repubblica (Rel. MALAN, Doc. IV-quater n. 6) si apprende che essa, premesso il noto impegno politico e parlamentare del senatore Iannuzzi sui temi della giustizia da un lato e il pertinente argomento dell'articolo dall'altro, «ha ritenuto che il contenuto dell'articolo scritto dall'ex senatore Iannuzzi sia certamente coerente con la sua attivita' strettamente parlamentare e che esso rappresenti quindi una prosecuzione della stessa all'esterno». Orbene, la decisione adottata dalla Giunta e confermata dall'Aula - come peraltro riconosciuto dalla Giunta nella propria relazione - si pone in aperto contrasto con il costante orientamento espresso dalla Corte costituzionale in subiecta materia. Il Giudice delle Leggi, invero esprimendo un principio che pare ovvio, ha avuto modo di ricordare: che limite estremo della prerogativa dell'insindacabilita', e con cio' stesso delle virtualita' interpretative astrattamente ascrivibili all'art. 68, [e' che] questa non puo' mai trasformarsi in un privilegio personale, quale sarebbe una immunita' dalla giurisdizione conseguente alla mera «qualita'» di parlamentare. (...) Cio' che rileva, ai fini dell'insindacabilita', e' dunque il collegamento necessario con le «funzioni» del Parlamento, cioe' l'ambito funzionale entro cui l'atto si iscrive, a prescindere dal suo contenuto comunicativo, che puo' essere il piu' vario, ma che in ogni caso deve essere tale da rappresentare esercizio in concreto delle funzioni proprie dei membri delle Camere, anche se attuato in forma «innominata» sul piano regolamentare (2) Con particolare riferimento alle vicende che ne occupano, possono rammentarsi le statuizioni di cui alle sentenze numeri 10 e 1l dell'11 gennaio 2000 (alle quali si sono richiamate, tra le altre, le successive e conformi sentenze n. 52 del 27 febbraio 2002; n. 207 del 20 maggio 2002; n. 294 del 19 giugno 2002; n. 164 del 7 aprile 2005; n. 176 del 2 maggio 2005; n. 249 del 28 giugno 2006; n. 258 del 4 luglio 2006), ove si legge: «...che costituiscono opinioni espresse nell'esercizio della funzione quelle manifestate nel corso dei lavori della Camera e dei suoi vari organi, in occasione dello svolgimento di una qualsiasi fra le funzioni svolte dalla Camera medesima, ovvero manifestate in atti, anche individuali, costituenti estrinsecazione delle facolta' proprie del parlamentare in quanto membro dell'assemblea; che l'attivita' politica svolta dal parlamentare al di fuori di questo ambito non puo' dirsi di per se' esplicazione della funzione parlamentare nel senso preciso cui si riferisce l'art. 68, primo comma, della Costituzione; che nel normale svolgimento della vita democratica e del dibattito politico, le opinioni che il parlamentare esprima fuori dai compiti e dalle attivita' proprie delle assemblee rappresentano piuttosto esercizio della liberta' di espressione comune a tutti i consociati: ad esse dunque non puo' estendersi, senza snaturarla, una immunita' che la Costituzione ha voluto, in deroga al generale principio di legalita' e di giustiziabilita' dei diritti, riservare alle opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni; che la linea di confine fra la tutela dell'autonomia e della liberta' delle Camere, e, a tal fine, della liberta' di espressione dei loro membri, da un lato, e la tutela dei diritti e degli interessi, costituzionalmente protetti, suscettibili di essere lesi dall'espressione di opinioni, dall'altro lato, e' fissata dalla Costituzione attraverso la delimitazione funzionale dell'ambito della prerogativa. Senza questa delimitazione, l'applicazione della prerogativa la trasformerebbe in un privilegio personale (cfr. sentenza n. 375 del 1997), finendo per conferire ai parlamentari una sorta di statuto personale di favore quanto all'ambito e ai limiti della loro liberta' di manifestazione del pensiero: con possibili distorsioni anche del principio di eguaglianza e di parita' di opportunita' fra cittadini nella dialettica politica; che discende da quanto osservato che la semplice comunanza di argomento fra la dichiarazione che si pretende lesiva e le opinioni espresse dal deputato o dal senatore in sede parlamentare non puo' bastare a fondare l'estensione alla prima dell'immunita' che copre le seconde; che in questo senso va precisato il significato del «nesso funzionale» che deve riscontrarsi, per poter ritenere l'insindacabilita', tra la dichiarazione e l'attivita' parlamentare; non come semplice collegamento di argomento o di contesto fra attivita' parlamentare e dichiarazione, ma come identificabilita' della dichiarazione stessa quale espressione di attivita' parlamentare; che nel caso di riproduzione all'esterno della sede parlamentare, e' necessario, per ritenere che sussista l'insindacabilita', che si riscontri la identita' sostanziale di contenuto fra l'opinione espressa in sede parlamentare e quella manifestata nella sede esterna; che cio' che si richiede, ovviamente, non e' una puntuale coincidenza testuale, ma una sostanziale corrispondenza di contenuti; che nei casi in cui non e' riscontrabile esercizio di funzioni parlamentari, il valore della legalita-giurisdizione non collide certo con quello dell'autonomia delle Camere e cosi' si spiega che la giurisprudenza costituzionale abbia appunto stabilito che l'immunita' non vale per tutte quelle opinioni che «il parlamentare manifesta nel piu' esteso ambito della politica»; che alla luce di tale interpretazione si debbono pertanto ritenere, in linea di principio, sindacabili tutte quelle dichiarazioni, che fuoriescono dal campo applicativo del «diritto parlamentare» e che non siano immediatamente collegabili con specifiche forme di esercizio di funzioni parlamentari, anche se siano caratterizzate da un asserito «contesto politico» o ritenute, per il contenuto delle espressioni o per il destinatario o la sede in cui sono state rese, manifestazione di sindacato ispettivo; che questa forma di controllo politico rimessa al singolo parlamentare puo' infatti aver rilievo, nei giudizi in oggetto, soltanto se si esplica come funzione parlamentare, attraverso atti e procedure specificamente previsti dai regolamenti parlamentari; se dunque l'immunita' copre il membro del Parlamento per il contenuto delle proprie dichiarazioni soltanto se concorre il contesto funzionale, il problema specifico, che non appare irrilevante in questo conflitto, della riproduzione all'esterno degli organi parlamentari di dichiarazioni gia' rese nell'esercizio di funzioni parlamentari si puo' risolvere nel senso dell'insindacabilita' solo ove sia riscontrabile corrispondenza sostanziale di contenuti con l'atto parlamentare, non essendo sufficiente a questo riguardo una mera comunanza di tematiche»; nella specie la Giunta, nella sua deliberazione, non ha neppure indicato alcuna circostanza concreta, dalla quale desumere la esatta corrispondenza oggettiva e cronologica tra il contenuto dell'articolo incriminato e quello di specifici atti parlamentari - tipizzati o meno - compiuti dallo Iannuzzi, ed anzi il relatore ha esplicitamente escluso che ve ne fossero. Tale correlazione funzionale - nel senso rigoroso indicato dalla Corte costituzionale - non puo' certo derivare dall'interesse costantemente manifestato dallo Iannuzzi, nello svolgimento della sua attivita' politica, per le tematiche della politica giudiziaria: quindi la condotta posta in essere dallo Iannuzzi appare astrattamente idonea ad integrare una fattispecie delittuosa, il cui accertamento deve essere riservato alla ordinaria cognizione giurisdizionale. La decisione del Senato della Repubblica pare arbitraria siccome da un lato esorbitante dall'art. 68, dall'altro integrante una inammissibile evidente violazione dell'art. 3 della Carta costituzionale. Appare dunque necessario sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. Tale conflitto e' ammissibile sia sotto il profilo soggettivo (questo giudice e' l'organo competente a decidere, nell'ambito delle funzioni giurisdizionali attribuite, sulla fondatezza dell'ipotesi delittuosa ascritta all'indagato e sulla procedibilita'/punibilita' - decidendo sulla richiesta di archiviazione presentata dal Pubblico Ministero - e quindi «a dichiarare la volonta' del potere cui appartiene, in posizione di piena indipendenza garantita dalla Costituzione»: cfr. ex plurimis, Corte cost. n. 60 del 1999; nn. 469, 407, 261, 254 del 1998), sia sotto quello oggettivo, trattandosi della sussistenza dei presupposti per l'applicazione dell'art. 68 primo comma della Costituzione e della lesione della propria sfera di attribuzioni giurisdizionali, costituzionalmente garantita, giacche' illegittimamente menomata dalla suindicata deliberazione del Senato della Repubblica. (1) Per vero, dalla lettura del certificato del casellario giudiziale si ricava che Iannuzzi e' addirittura nella condizione di essere dichiarato delinquente abituale ex art. 103 c.p. in relazione ai delitti contro l'onore, avendo collezionato finora condanne per ventinove reati di tale indole, secondo quanto risulta dal certificato penale in atti. (2) Sentenza n. 120 del 16 aprile 2004, pronunciata in relazione al tema del vaglio di costituzionalita' dell'articolo 3, comma 1°, legge n. 140 del 2003.
P.Q.M. Visti gli artt. 134 Cost e 37 legge n. 87/1953; Dispone la sospensione del procedimento in corso a carico di Iannuzzi Raffaele e l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, sollevando conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato; Fa ricorso all'Ecc.ma Corte costituzionale perche' voglia: dichiarare ammissibile il presente conflitto, adottando ogni conseguente provvedimento ai sensi degli artt. 37 e ss. legge n. 87/1953 ed ogni altra norma applicabile; dichiarare che non spettava al Senato della Repubblica la valutazione della condotta addebitabile all'allora senatore Iannuzzi Raffaele, in quanto estranea alla previsione di cui all'art. 68, primo comma, della Costituzione; annullare la relativa delibera del Senato della Repubblica del 30 novembre 2011 (Doc. IV-quater n. 6); Manda alla cancelleria per il deposito del presente ricorso e degli atti allegati per mezzo del servizio postale nella cancelleria della Corte costituzionale ex artt. 24 e 28 delle Norme integrative per i giudizi approvate con delibera 7 ottobre 2008. Riserva all'esito della decisione sull'ammissibilita' le notificazioni e le comunicazioni di legge. Cosi' deciso in Milano il 30 luglio 2012. Il giudice: Ghinetti Avvertenza: L'ammissibilita' del presente conflitto e' stata decisa con ordinanza n. 25/2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, 1ª s.s., n. 8 del 20 febbraio 2013.