N. 63 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 dicembre 2012
Ordinanza del 24 dicembre 2012 emessa dal Tribunale di Milano nei procedimenti civili riuniti promossi da A.G.L.J. ed altri contro I.N.P.S.. Straniero - Pensioni ex art. 8 legge 10 febbraio 1962, n. 66 e indennita' di accompagnamento ex art. 3, comma 1, legge 21 novembre 1988, n. 508 - Condizione - Possesso della carta di soggiorno di durata non inferiore ad un anno - Lesione di diritto fondamentale della persona - Violazione del principio di uguaglianza sotto il profilo dell'irragionevolezza - Lesione di norme di diritto internazionale generalmente riconosciute - Violazione del diritto alla salute - Lesione delle garanzie previdenziali ed assistenziali - Violazione di obblighi internazionali derivanti dalla CEDU. - Legge 23 dicembre 2000, n. 388, art. 80, comma 19, in combinato disposto con l'art. 9, comma 1, decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, come modificato dall'art. 9, comma 1, legge 30 luglio 2002, n. 189, poi sostituito dall'art. 1, comma 1, decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3. - Costituzione, artt. 2, 3, 32, 38 e 117, primo comma, in relazione all'art. 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali.(GU n.15 del 10-4-2013 )
IL TRIBUNALE ORDINARIO Letti gli atti e i documenti della causa iscritta ai n. 5745/12 RGL pendente davanti al Tribunale di Milano (e della causa n. 7027/12 RGL riunita alla prima) tra: L. J. A. G. H. J. C. M. M. e M. A., quali esercenti la potesta' genitoriale sul minore K. Z. M. M. e INPS, sciogliendo la riserva assunta in data 21 dicembre 2012 rileva: I termini della controversia Con rispettivi ricorsi al Tribunale di Milano, quale Giudice del Lavoro, ciascuna parte attorea ha esposto come vanterrebbe i requisiti prescritti dalla normativa di riferimento per ottenere i benefici assistenziali richiesti (indennita' di accompagnamento e pensione d'inabilita'), ma come l'INPS non li avrebbe concessi per il difetto del possesso del permesso di soggiorno di lunga durata di cui all'articolo 80, co. 19, della legge n. 388 del 2000 e di cui all'articolo 9, co. 1, del decreto legislativo n. 286 del 1998 (come modificato dall'art. 9, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189 e poi sostituito dall'art. 1, comma 1, del decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3): a) In particolare, nella causa n. 5745/12 RGL, L. J. A. G. ha allegato come la documentazione in atti dimostrerebbe il possesso da parte di questi dei requisiti sanitari e extra sanitari per ottenere sia l'indennita' di accompagnamento di cui l'articolo 1 della legge 508 del 1988, sia la pensione di invalidita' di cui all'articolo 12 della legge n. 118 del 1971 e come gli sarebbe stata negata dall'INPS ciascuna di dette provvigioni, solo per il difetto del possesso del permesso di soggiorno di lunga durata; b) Invece, nella causa n. 7027/12 RGL, i ricorrenti H. J. C. M. M. e M. A. I., quali esercenti la potesta' genitoriale su minore K. Z. M. M., hanno dedotto come la documentazione in atti dimostrerebbe il possesso da parte del figlio dei requisiti sanitari e extra sanitari per ottenere l'indennita' di accompagnamento di cui all'articolo 1 della legge n. 508 del 1988 che sarebbe stata negata dall'INPS, solo per il difetto del possesso da parte loro del permesso di soggiorno di lunga durata. Il che e' stato confermato, in udienza, anche a verbale, dall'INPS (cfr. il verbale dell'8 novembre 2012). Cio' posto - allegando come la Corte costituzionale gia' avrebbe dichiarato l'illegittimita' delle norme di cui all'articolo 80, co. 19, della legge 388 del 2000 e di cui all'articolo 9, co. 1, del decreto legislativo 286 del 1998 con le sentenze n. 306 del 2008 e n. 11 del 2009 (e richiamando, altresi', altre pronunce, come la sentenza numero 187 del 2010 della stessa Corte) e come non sarebbe, percio', per i cittadini extracomunitari, quali i ricorrenti, piu' richiesto il possesso del permesso di soggiorno di lunga durata per ottenere i benefici auspicati - nei giudizi riuniti hanno domandato l'accertamento del proprio diritto alle provvidenze assistenziali sopra menzionate, con condanna dell'ente ad erogare i relativi ratei, comprensivi di quelli arretrati. Costituendosi ritualmente in giudizio, con articolata memoria difensiva, per ciascuna delle cause proposte, l'INPS ha contestato la fondatezza delle domande, chiedendone il rigetto. Al riguardo, secondo la tesi dell'ente, il permesso di soggiorno di lunga durata avrebbe sostituito, nell'ambito dell'articolo 80, co. 19, cit., la carta di soggiorno, menzionata dalla stessa norma. Inoltre, le sentenze della Corte costituzionale numero 306 del 2008 e n. 11 del 2009 avrebbero stabilito l'illegittimita' dell'articolo 80, co. 19 e dell'art. 9, co. 1, solo per la parte in cui viene stabilito che i menzionati benefici non possono essere attribuiti agli stranieri extracomunitari unicamente perche' non risultino in possesso dei «requisiti di reddito», gia' stabiliti per la carta di soggiorno e ora previsti, per effetto del decreto legislativo numero 3 del 2007, per il permesso di soggiorno UE per di soggiornanti di lungo periodo. Poi, le stesse pronunce avrebbero chiarito che «al legislatore italiano e' certamente consentito dettare norme, non palesemente irragionevoli e non contrastanti con obblighi internazionali, che regolino l'ingresso e la permanenza di extracomunitari in Italia (da ultimo, sentenza n. 148 del 2008). E' possibile, inoltre, subordinare, non irragionevolmente, l'erogazione di determinate prestazioni - non inerenti a rimediare a gravi situazioni di urgenza - alla circostanza che il titolo di legittimazione dello straniero al soggiorno nel territorio dello Stato ne dimostri il carattere non episodico e di non breve durata; una volta, pero', che il diritto a soggiornare alle condizioni predette non sia in discussione, non si possono discriminare gli stranieri, stabilendo, nei loro confronti, particolari limitazioni per il godimento dei diritti fondamentali della persona, riconosciuti invece ai cittadini». Sicche', secondo la tesi dell'INPS, la Corte costituzionale avrebbe stabilito l'illegittimita' dell'articolo 80, co. 19, cit. e dell'art. 9, co. 1, solo per la parte cui dette norme esigono, ai fini della concessione dei benefici richiesti, anche requisiti reddituali, mentre avrebbe dichiarato legittime le predette disposizioni per la parte relativa al possesso dei restanti requisiti, ivi compreso quello che prevede il possesso di un permesso di soggiorno per cinque anni (di cui al citato art. 9). Solo in subordine, con riferimento alla posizione di L. J. A. G. , l'ente ha eccepito come la decorrenza delle provvidenze richieste dovrebbe, al limite, partire dal 15 settembre 2011, ossia dalla data di concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari al medesimo, non avendo questi altro titolo, in precedenza, per permanere in Italia. In udienza, l'Inps ha, invece, rinunciato all'eccezione relativa alla non proponibilita' del ricorso per l'incompletezza della documentazione che sarebbe stata allegata alla domanda amministrativa (nella causa n. 5745/12 RGL: cfr. il verbale del 16 novembre 2012). Il Giudice, tentata inutilmente la conciliazione, riunite le menzionate cause, nell'udienza del 21 dicembre 2012, al termine della discussione orale delle parti, si e' riservato di decidere. Il quadro normativo di riferimento. A) Con riferimento all'indennita' di accompagnamento, e' da ricordarsi che, in materia, l'art. 1 della l. 508/1988 ha cosi' modificato la l. 18/1980: «1. La disciplina della indennita' di accompagnamento istituita con leggi 28 marzo 1968, n. 406, e 11 febbraio 1980, n. 18, e successive modificazioni ed integrazioni, e' modificata come segue. 2 . L'indennita' di accompagnamento e' concessa: A) ai cittadini riconosciuti ciechi assoluti; 8) ai cittadini nei cui confronti sia stata accertata una inabilita' totale per affezioni fisiche o psichiche e che si trovino nella impossibilita' di deambulare senza l'aiuto permanente di un accompagnatore o, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, abbisognano di una assistenza continua (..)». B) Con riferimento alla pensione di inabilita', e' da rammentare che l'art. 12 della l. 118/1971 prevede che: «ai mutilati ed invalidi civili di eta' superiore agli anni 18, nei cui confronti, in sede di visita medico-sanitaria, sia accettata una totale inabilita' lavorativa, e' concessa a carico dello stato e a cura del Ministero dell'interno, una pensione di inabilita' di lire 234.000 annue da ripartire in tredici mensilita' con decorrenza dal primo giorno del mese successivo a quello della presentazione della domanda per l'accertamento della inabilita'. Le condizioni economiche richieste per la' concessione della pensione sono quelle stabilite dall'art. 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153, sulla revisione degli ordinamenti pensionistici». C) Cio' posto, si deve, pero', anche ricordare che, quanto ai requisiti di legittimazione per i cittadini extracomunitari, l'art. 41 del d.lgs. 286/98 - prima dell'intervento dell'articolo 80, co. 19, della legge 388 del 2000 - stabiliva che «gli stranieri titolari della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno, nonche' i minori iscritti nella loro carta di soggiorno o nel loro permesso di soggiorno, sono equiparati ai cittadini italiani ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale, incluse quelle previste per coloro che sono affetti da morbo di Hansen o da tubercolosi, per i sordomuti, per i ciechi civili, per gli invalidi civili e per gli indigenti». Dunque, fino alla novella di cui all'articolo 80, co. 19, cit., l'equiparazione ai cittadini italiani, per gli stranieri extracomunitari, avveniva anche per coloro che fossero in possesso soltanto di un permesso di soggiorno di durata non inferiore a un anno. D) Tuttavia, e' poi intervenuto l'articolo 80, co. 19, della legge 388 del 2000 che stabilisce che: «ai sensi dell'articolo 41 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, l'assegno sociale e le provvidenze economiche che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di servizi sociali sono concessi, alle condizioni previste dalla legislazione medesima, agli stranieri che siano titolari di carta di soggiorno; per le altre prestazioni e servizi sociali l'equiparazione con i cittadini italiani e' consentita a favore degli stranieri che siano almeno titolari di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno. Sono fatte salve le disposizioni previste dal decreto legislativo 18 giugno 1998, n. 237, e dagli articoli 65 e 66 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e successive modificazioni». Inoltre, l'articolo 9 del decreto legislativo n. 286/98, prevede che «lo straniero in possesso, da almeno cinque anni, di un permesso di soggiorno in corso di validita', che dimostra la disponibilita' di un reddito non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale e, nel caso di richiesta relativa ai familiari, di un reddito sufficiente secondo i parametri indicati nell'articolo 29, comma 3, lettera b) e di un alloggio idoneo che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica ovvero che sia fornito dei requisiti di idoneita' igienico-sanitaria accertati dall'Azienda unita' sanitaria locale competente per territorio, puo' chiedere al questore il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, per se' e per i familiari di cui all'articolo 29, comma 1. 2. Il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo e' a tempo indeterminato ed e' rilasciato entro novanta giorni dalla richiesta. 2-bis. Il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo e' subordinato al superamento, da parte del richiedente, di un test di conoscenza della lingua italiana, le cui modalita' di svolgimento sono determinate con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca». Sicche', dopo l'intervento di tali ultime norme, risulta che i benefici assistenziali richiesti nelle cause riunite possono essere concessi agli stranieri extracomunitari i quali, non solo siano in possesso dei requisiti sanitari e extrasanitari stabiliti dalla relativa normativa e validi per i cittadini italiani, ma siano, al contempo, titolari di un permesso di soggiorno UE di lunga durata. Questione di costituzionalita'. Con riferimento agli artt. 80, co. 19, della legge 388 del 2000 e 9, co. 1, del decreto legislativo 286 del 1998, appare necessario sollevare una questione di costituzionalita', e i sensi degli articoli 2, 3, 32, 38, 117 Cost. e 14 CEDU. Rilevanza e ammissibilita' della questione e sua non manifesta infondatezza. La questione sottoposta appare rilevante ai fini della decisione delle cause riunite. Preliminarmente, si puo' osservare che, non avendo la domanda attorea quale oggetto la contestazione delle conclusioni della Commissione Medica, non trova applicazione nella fattispecie il termine di decadenziale previsto dall'articolo 42, comma tre, del decreto legislativo 269/03 e la procedura di cui all'art. 445-bis cpc. Nelle cause di cui si tratta, risulta, infatti, pacifico che le parti ricorrenti siano in possesso dei requisiti sanitari e extra sanitari per ottenere i benefici assistenziali richiesti (ossia, l'indennita' di accompagnamento di cui all'articolo 1 della legge 508 del 1988 e la pensione di invalidita' dell'articolo 12 della legge 118 del 1971 per L. J. A. G. e la sola indennita' di accompagnamento per il minore K. Z. M. M.: cfr. il verbale di causa dell'8 novembre 2012). Parimenti, e' chiaro che l'INPS non ha concesso loro tali provvidenze unicamente per il difetto del possesso del permesso di soggiorno di lunga durata di cui all'articolo 80, co. 19, della legge n. 388 del 2000 e di cui all'articolo 9, co. 1, del decreto legislativo 286 del 1998 (nel caso di K. Z. M. M., da parte dei genitori). Ciascuna parte attorea, infatti, pur avendo un permesso di soggiorno di durata di oltre un anno, non possiede lo stesso da cinque anni continuativi, non trovandosi, percio', nelle condizioni di cui all'art. 9 cit. per ottenere il permesso di soggiorno di lunga durata: a) In particolare, nella causa n. 5745/12 RGL, L. J. A. G. ha dimostrato un permesso di soggiorno rilasciato, con successivi rinnovi, dal 16 settembre 2010 al 1° ottobre 2013 (cfr. doc. 10 depos. il 16 novembre 2012 e 11 ric. depos. il 12 dicembre 2012); b) Invece, nella causa n. 7027/12 RGL, H. J. C. M. M. (il padre) ha attestato un permesso di soggiorno rilasciato, con successivi rinnovi, dal 27 ottobre 2012 al 28 luglio 2013 (cfr. doc. 6 ric.) e M. A. I. (la madre) ha dimostrato un permesso di soggiorno rilasciato, con successivi rinnovi, dal 30 aprile 2009 al 16 marzo 2013 (cfr. doc. 7 ric.). Si aggiunga ancora che, come anticipato, poi, l'INPS, nell'udienza del 16 novembre 2012, ha rinunciato all'eccezione, posta nella causa RG n. 5745/12, per la quale la domanda attorea sarebbe improponibile per il fatto che la domanda amministrativa, a suo tempo presentata, non sarebbe stata completa dei documenti necessari. Risulta, dunque, che l'unica ragione per cui le tesi di parte attorea, allo stato dell'attuale normativa, non possano essere accolte e' costituita dall'esigenza, per i benefici richiesti, per i cittadini extracomunitari, quali sono i ricorrenti, del possesso del permesso di soggiorno UE di lunga durata che - per il tenore dell'articolo 9 del decreto legislativo 286 del 1998 - puo' essere concesso solo allo straniero in possesso, da almeno cinque anni, di un permesso di soggiorno in corso di validita' e che dimostri la disponibilita' di un reddito non inferiore a certe soglie, di un alloggio idoneo e che superi un test di conoscenza della lingua italiana. La questione, evidentemente, non riguarda la circostanza che, per ottenere il permesso di soggiorno di lunga durata - di cui all'articolo 80, co. 19, della legge 388 del 2000, che, com'e' noto, ha sostituito, nell'ambito della citata previsione, la carta di soggiorno menzionata dalla stessa norma e di cui all'articolo 9, co. 1, del decreto legislativo 286 del 1998 - siano necessari anche i menzionati requisiti reddituali. E' conosciuto, infatti come, in materia, siano intervenute le sentenze della Corte costituzionale numero 306 del 2008 e n. 11 del 2009 che hanno dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 e dell'art. 9, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nella parte in cui escludono che l'indennita' di accompagnamento, di cui all'art. 1 della legge 11 febbraio 1980, n. 18 e la pensione di inabilita', di cui all'art. 12 della legge 30 marzo 1971, n. 118, possano essere attribuite agli stranieri extracomunitari soltanto perche' essi non risultano in possesso dei requisiti di reddito gia' stabiliti per la carta di soggiorno ed ora previsti, per effetto del decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3 per il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo. L'INPS, in tal senso, non richiede, infatti, dopo tali pronunce del Giudice delle Leggi, il possesso dei requisiti reddituali da parte degli istanti extracomunitari per i benefici assistenziali richiesti, ma domanda, comunque, la dimostrazione (eventualmente, tramite un'istanza per ottenere la carta di soggiorno che sia respinta dalla Questura solo per difetto dei requisiti reddituali: cfr. il ricorso della causa RG 5745/12, p. 7) della titolarita' degli ulteriori elementi utili per ottenere il permesso di soggiorno di lunga durata, quali il possesso, da almeno cinque anni, di un permesso di soggiorno in corso di validita', di un alloggio idoneo e il superamento del test di conoscenza della lingua italiana. Ora, la parte attorea ha sostenuto come, dopo le menzionate pronunce della Corte costituzionale, pure tali requisiti non sarebbero, in realta', piu' richiesti per ottenere, da parte degli extracomunitari, i benefici assistenziali di cui si tratta. Tuttavia, lette le citate sentenze n. 306 del 2008 e n. 11 del 2009, per il chiaro tenore del dispositivo delle stesse, nonche' delle loro motivazioni, appare che l'unico requisito che risulta, allo stato, non piu' necessario, per dichiarazione di incostituzionalita', sia «quello reddituale». Infatti, ciascuna pronuncia in parola del Giudice delle Leggi, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 80, co. 19, della legge 388 del 2000 e di cui all'articolo 9, co. 1, del decreto legislativo 286 del 1998, unicamente con riferimento alle «specifiche prestazioni assistenziali» considerate nel dispositivo delle stesse e nei limiti della parte in cui tali benefici non possano essere attribuiti «agli stranieri extracomunitari soltanto perche' essi non risultano in possesso dei requisiti di reddito gia' stabiliti per la carta di soggiorno ed ora previsti, per effetto del d.lgs. n. 3 del 2007, per il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo». Restano, dunque, ancora previsti dall'ordinamento, per i cittadini extracomunitari, gli ulteriori requisiti, diversi da quelli reddituali, stabiliti dalle norme in considerazione per ottenere il permesso di soggiorno di lunga durata e che appaiono risultare ancora necessari per ottenere l'indennita' di accompagnamento e la pensione di inabilita'. Proprio, in questo senso, del resto, significativamente, la sentenza n. 306 del 2008, nella motivazione, conclude con le seguenti parole: «le disposizioni censurate sono, pertanto, illegittime nella parte in cui - oltre ai requisiti sanitari e di durata del soggiorno in Italia e comunque attinenti alla persona, gia' stabiliti per il rilascio della carta di soggiorno ed ora (per effetto del d.lgs. n. 3 del 2007) del permesso di Soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, non sospettati di illegittimita' dal remittente - esigono, ai fini dell'attribuzione dell'indennita' di accompagnamento, anche requisiti reddituali, ivi compresa la disponibilita' di un alloggio, avente le caratteristiche indicate dal nuovo testo dell'art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998». Per tali motivi, non appare persuasiva la pur nota sentenza della Corte di cassazione nella quale e' argomentato come sarebbe stata espunta, per effetto delle pronunce della Corte costituzionale n. 306 del 2008, n.11 del 2009 e n. 187 del 2010, la «complessiva condizione» costituita dalla necessita' della carta di soggiorno per ottenere le provvidenze in parola (cfr. Cass. Sentenza n. 14733 del 5/7/2011). Quanto, poi, alle difese dell'INPS, si deve osservare che e' vero che, nella sentenza della Corte costituzionale n. 306 del 2008, e' evidenziato che «al legislatore italiano e' certamente consentito dettare norme, non palesemente irragionevoli e non contrastanti con obblighi internazionali, che regolino l'ingresso e la permanenza di extracomunitari in Italia (da ultimo, sentenza n. 148 del 2008). E' possibile, inoltre, subordinare, non irragionevolmente, l'erogazione di determinate prestazioni - non inerenti a rimediare a gravi situazioni di urgenza - alla circostanza che il titolo di legittimazione dello straniero al soggiorno nel territorio dello Stato ne dimostri il carattere non episodico» e di non breve durate. Tuttavia, nonostante una simile affermazione che sembrerebbe subordinare la concessione dell'indennita' di accompagnamento e della pensione di inabilita' ai requisiti previsti dal co. 19 dell'art. 80 cit. e dall'art. 9 cit. e, in particolare, a quello del possesso, da almeno cinque anni, di un permesso di soggiorno in corso di validita', la questione appare di nuova attualita' dopo l'intervento di ulteriori sentenze della Corte costituzionale che hanno dichiarato l'illegittimita' degli artt. 80, co. 19, della legge 388 del 2000 e 9, co. 1, del decreto legislativo 286 del 1998, non piu' solo per i requisiti reddituali, ma nella loro interezza, seppur limitatamente agli istituti assistenziali di volta in volta presi in considerazione dal giudice remittente (tra i quali non vi sono quelli per cui ora vi e' causa). Si possono rammentare, in tal senso, le seguenti pronunce: 1) la sentenza n. 187 del 2010 che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 «nella parte in cui subordina al requisito della titolarita' della carta di soggiorno la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato dell'assegno mensile di invalidita' di cui all'art. 13 della legge 30 marzo 1971, n. 118»; 2) La sentenza numero 329 del 2011 che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 «nella parte in cui subordina al requisito della titolarita' della carta di soggiorno la concessione ai minori extracomunitari legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato della indennita' di frequenza di cui all'art. 1 della legge 11 ottobre 1990, n. 289». Giova subito mettere in luce come tali pronunce non vengano a coinvolgere la normativa dell'Unione Europea, anche perche', in proposito, si puo' rilevare come la Direttiva 109/03/UE venga, all'articolo 11, a garantire le «prestazioni essenziali» solo per i «soggiornanti di lungo periodo», ossia solo per chi abbia lo status derivante dal fatto di aver soggiornato «legalmente e ininterrottamente per cinque anni» nel territorio dei paesi membri (cfr. art. 4 della Direttiva), cosicche' la legislazione italiana in parola, e per la quale si chiede il giudizio della Corte costituzionale, non appare in contrasto con quella comunitaria. Invece, le sentenze del Giudice delle Leggi sopra menzionate vengono, piuttosto, a proporre un giudizio di ragionevolezza, ai sensi dell'articolo 3 Cost., ma anche dell'art. 117 Cost. e dell'art. 14 CEDU, con riferimento alla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo che ha sottolineato l'ampio margine di apprezzamento di cui i singoli Stati godono in materia di prestazioni sociali, per la conoscenza diretta delle peculiarita' che caratterizzano le rispettive societa' e correlativi bisogni, ma pure come le valutazioni degli stessi siano sindacabili ove manifestamente irragionevoli, ossia quando non trovino una giustificazione oggettiva e ragionevole in un rapporto di proporzionalita' tra i mezzi impiegati e l'obiettivo perseguito e si rivelino, percio', discriminatorie. Inoltre, e' stato osservato come «cio' che dunque assume valore dirimente, ai fini dell'odierno scrutinio, non e' tanto la configurazione "nominalistica" dello specifico strumento previdenziale che puo' venire in discorso, quanto, piuttosto, il suo concreto atteggiarsi nel panorama degli istituti di previdenza, cosi' da verificarne la relativa "essenzialita" agli effetti della tutela dei valori coinvolti. Occorre, in altri termini, accertare se, alla luce della configurazione normativa e della funzione sociale che e' chiamato a svolgere nel sistema, lo specifico "assegno" che viene qui in discorso integri o meno un rimedio destinato a consentire il concreto soddisfacimento dei "bisogni primari" inerenti alla stessa sfera di tutela della persona umana, che e' compito della Repubblica promuovere e salvaguardare; rimedio costituente, dunque, un diritto fondamentale perche' garanzia per la stessa sopravvivenza del soggetto. D'altra parte, la giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha sottolineato come, «in uno Stato democratico moderno, molti individui, per tutta o parte della loro vita, non possono assicurare il loro sostentamento che grazie a delle prestazioni di sicurezza o di previdenza sociale». Sicche', «da parte di numerosi ordinamenti giuridici nazionali viene riconosciuto che tali individui sono bisognosi di una certa sicurezza e prevedono, dunque, il versamento automatico di prestazioni, a condizione che siano soddisfatti i presupposti stabiliti per il riconoscimento dei diritti in questione» (la gia' citata decisione sulla ricevibilita' del 6 luglio 2005, Staic ed altri contro Regno Unito). Ove, pertanto, si versi in tema di provvidenza destinata a far fronte al "sostentamento" della persona, qualsiasi discrimino tra cittadini e stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato, fondato su requisiti diversi dalle condizioni soggettive, finirebbe per risultare in contrasto con il principio sancito dall'art. 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, avuto riguardo alla relativa lettura che, come si e' detto, e' stata in piu' circostanze offerta dalla Corte di Strasburgo» Corte cost. sentenza numero 187 del 2010). Le chiare parole della Corte costituzionale nella sentenza n. 187 del 2010 e il ragionamento alle stesse sotteso appaiono riproponibili anche con riferimento alle provvidenze assistenziali di cui alle cause sottoposte all'odierno giudizio. I) Certamente, le argomentazioni della Corte, svolte nella menzionata sentenza per l'«assegno di invalidita'» di cui all'art. 13 della legge 30 marzo 1971, n. 118, appaiono essere valide per la «pensione di inabilita'» di cui all'articolo 12 della stessa legge, che e' concessa a chi si trovi in condizioni peggiori rispetto a chi possa godere del menzionato assegno, considerato dalla pronuncia n. 187 del 2010 (infatti, l'assegno di invalidita' e' attribuito a chi abbia l'invalidita' del 74% ex art. 9, d.lgs. 509/88, mentre la pensione e' da attribuirsi a chi sia accertata una totale inabilita' lavorativa). Per la «pensione di inabilita'» di cui all'articolo 12 cit., appare, dunque, chiaro come si versi in quelle stesse condizioni di «essenzialita'», agli effetti della protezione dei valori coinvolti, costituendo un rimedio destinato a consentire il concreto soddisfacimento di «bisogni primari» inerenti la sfera di tutela della persona umana e per il suo sostentamento (e' attribuita a chi abbia una totale inabilita' lavorativa), ancor piu' che lo stesso «assegno di invalidita'», oggetto delle attenzioni della sentenza n. 187/10. Inoltre, e' attribuita, parimenti, solo all'interessato che versi nelle disagiate condizioni reddituali stabilite dall'articolo 12 della legge 118/71 (e di cui all'art. 26 della legge n. 153 del 1969), trattandosi, percio', di un'erogazione destinata non gia' integrare il minor reddito dipendente da condizioni soggettive, ma a fornire alla persona un minimo di sostentamento e ad assicurarne la sopravvivenza. II) Quanto, poi, all'indennita' di accompagnamento, gia', la Corte costituzionale, nella sentenza n. 306/08, ha dichiarato come si tratti di una prestazione assistenziale - i cui presupposti sono la totale disabilita' al lavoro, nonche' l'incapacita' alla deambulazione autonoma o al compimento da se' soli degli atti quotidiani della vita - volta alla protezione del diritto alla salute (cfr. par. 10 della motivazione). Nel caso, come si e' anticipato, la sentenza n. 306/08 aveva gia' dichiarato l'illegittimita' costituzionale delle norme in considerazione (art. 80, co. 19 e art. 9 cit.) nella parte in cui escludevano che l'indennita' di accompagnamento potesse essere attribuita agli stranieri extracomunitari soltanto perche' essi non risultavano in possesso dei requisiti di reddito stabiliti per il permesso di soggiorno CE per i soggiornanti di lungo periodo. Ora, pero', dopo le pronunce menzionate della Corte costituzionale numero 187/10 e 329/11, appare necessario proporre nuovamente la questione al Giudice delle Leggi per le seguenti considerazioni. E', innanzitutto, da premettere come, perche' sia concessa l'indennita' di accompagnamento, a differenza delle altre provvidenze assistenziali finora giudicate dalla Corte (l'assegno di invalidita', la pensione di invalidita' e l'indennita' di frequenza), e' sufficiente trovarsi nelle menzionate condizioni sanitarie, ossia la totale disabilita' al lavoro, nonche' l'incapacita' alla deambulazione autonoma o al compimento da se' soli degli atti quotidiani della vita (oltre al non esser ricoverati gratuitamente in istituto). Quanto alla «disabilita' al lavoro» si tratta di una valutazione di tipo astratto con riferimento alle singole patologie, perche' lo stesso articolo 1 della legge 508 del 1988, che riconosce detta indennita' «ai cittadini nei cui confronti sia stata accertata una inabilita' totale», poi, al co. 3, precisa che l'assistenza in questione «non e' incompatibile con lo svolgimento di attivita' lavorativa» (cfr. l'art. 1 della l. 508/88 che ha modificato la l. 18/80). Inoltre, l'attribuzione della stessa indennita' di accompagnamento prescinde dal reddito dell'interessato, potendo essere concessa anche alle persone abbienti che si trovino nelle menzionate condizioni. In tal senso, la Corte di cassazione ha chiarito che «l'inabilita' lavorativa, che costituisce il presupposto della indennita' di accompagnamento prevista dall'art. 1 legge n. 18 del 1980 e che richiede l'impossibilita' di deambulare e di provvedere da soli agli atti quotidiani della vita, non e' incompatibile con lo svolgimento di una residuale attivita' lavorativa; tale indennita', pertanto, spetta anche ai soggetti che, pur non essendo in grado di deambulare senza l'aiuto di un terzo, possano tuttavia, in quanto dotati di adeguata capacita' psichica, svolgere un'attivita' lavorativa, anche al di fuori del proprio domicilio» (cfr., ad es., Cass. Sentenza n. 15769 del 14/12/2000) e che «la concessione dell'indennita' di accompagnamento di cui all'art. 1 della legge 11 febbraio 1980, n. 18 prescinde dal reddito di cui l'invalido sia possessore o possa venire in possesso in conseguenza dello svolgimento di attivita' lavorativa, avendo la legge 21 novembre 1988, n. 508 stabilito l'esclusiva rilevanza dei previsti requisiti sanitari e precisato che l'indennita' stessa non e' incompatibile con lo svolgimento di attivita' lavorativa» (cfr., ad es., Cass. Sentenza n. 5003 del 27 aprile 1992). Tuttavia, per quanto l'indennita' di accompagnamento possa essere concessa anche a chi sia abbiente e per quanto non sia incompatibile con lo svolgimento di un'attivita' lavorativa, cio' nondimeno appare che la prestazione sia destinata al «soddisfacimento di quei bisogni primari» inerenti alla sfera di tutela della persona umana, considerati dalla Corte costituzionale nelle menzionate sentenze n. 187/10 e n. 329/11. Infatti, giova rilevare come il concedere la prestazione anche a chi sia abbiente, venga a delineare una ratio legis, per tale beneficio assistenziale, collegabile a una volonta' del legislatore di ridurre, per chi autonomamente non sia in grado di deambulare e di compiere gli atti quotidiani della vita, il divario esistente con i soggetti sani e di tutelarne il diritto alla salute e gli altri diritti della persona interessata a prescindere da ogni condizione economica (cfr., anche, l'analisi della Suprema Corte che ha evidenziato che si tratta «di una prestazione del tutto peculiare in cui l'intervento assistenziale non e' indirizzato - come avviene per la pensione di inabilita' - al sostentamento dei soggetti minorati nelle loro capacita' di lavoro ..., ma e' rivolto principalmente a sostenere il nucleo familiare onde incoraggiarlo a farsi carico dei suddetti soggetti, evitando cosi' il ricovero in istituti di cura e assistenza, con conseguente diminuzione della relativa spesa sociale»: Cass. Sentenza n. 11295 del 28 agosto 2000). E, il fatto che la posizione dell'interessato sia da garantirsi al di la' di ogni situazione di ricchezza, evidenzia la assoluta rilevanza del bene giuridico tutelato dalle previsioni relative all'indennita' di accompagnamento e come il beneficio assistenziale di cui si tratta sia da definirsi in termini di «essenzialita'» agli effetti della tutela dei valori coinvolti. Si puo', cioe', concludere come l'indennita' in parola integri un rimedio destinato a consentire il concreto soddisfacimento dei «bisogni primari» inerenti alla persona e che riguardano condizioni fondamentali per la stessa, come la possibilita' di deambulare e di compiere gli atti quotidiani della vita. Sicche', il contesto in cui si iscrive tale indennita' richiama valori costituzionali di primario risalto, come il diritto alla salute e alla dignita' della persona e condizioni che debbono essere assicurate, in situazione di parita', anche ai cittadini extracomunitari, cosicche' appaiono di dubbia costituzionalita', anche con riferimento a tale tutela assistenziale, l'articolo 80, co. 19, delta legge 388 del 2000 e l'articolo 9, co. 1, del decreto legislativo 286 del 1998. Infatti, a fronte di tutto cio', condizionamento che viene imposto ai fini del riconoscimento del beneficio in questione per gli stranieri, pur regolarmente presenti nel territorio dello Stato, rappresentato dalla titolarita' del permesso di soggiorno di lungo periodo, finisce per determinare, per un periodo minimo di cinque anni - quello richiesto per rilascio dello stesso - una sostanziale frustrazione di tali beni giuridici, incompatibile non soltanto con le esigenze di «effettivita'» e di soddisfacimento che i diritti fondamentali naturalmente presuppongono, ma anche con la stessa specifica funzione della indennita' in parola, posto che l'attesa del compimento del termine di cinque anni di permanenza nel territorio nazionale potrebbe «comprimere sensibilmente le esigenze di cura ed assistenza di soggetti che l'ordinamento dovrebbe invece tutelare». Come, in altri termini, sembra aver argomentato anche la sentenza n. 329/11 della Corte costituzionale (cfr. la conclusione del par. 5 della motivazione della stessa), appare contrastare con i principi di uguaglianza e di ragionevolezza di cui all'articolo 3 della Costituzione e con l'articolo 117 della medesima, con riferimento all'articolo 14 CEDU, il riconoscere una tutela di tali fondamentali esigenze della persona agli stranieri legalmente soggiornanti, solo dopo un lungo periodo di cinque anni. Una volta, infatti, che un cittadino extracomunitario sia legalmente soggiornante - per quanto la stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 306/08, abbia sottolineato come il legislatore possa stabilire un titolo di legittimazione dello straniero al soggiorno nel territorio dello Stato che ne dimostri il carattere non episodico e di non breve durata - appare irragionevole subordinare la tutela dei diritti fondamentali della persona, attinenti alla salute e alla dignita' della stessa, al possesso di un permesso di soggiorno per cinque anni. Cioe', nel bilanciamento tra l'esigenza di tutelare i diritti alla salute e alla dignita' della persona e l'esigenza di una verifica che lo straniero sia ormai stabile sul territorio italiano, appare che le previsioni di cui si dubita della costituzionalita' siano sproporzionate per i mezzi approntati rispetto al fine da perseguirsi. In una valutazione di mezzo/scopo, infatti, si puo' riflettere come - per quanto possa costituire traguardo ragionevole e legittimo del legislatore, lo stabilire delle norme che vengano a consentire una verifica, anche dal lato temporale, della stabilita' sul territorio dello straniero - la scelta di richiedere un permesso di soggiorno sussistente da cinque anni continuativi appaia eccessiva rispetto allo scopo ugualmente da perseguirsi di tutelare i diritti alla salute e alla dignita' della persona in considerazione. Non appare, cioe', esservi alcuna ragionevole correlabilita' tra le condizioni positive di ammissibilita' al beneficio e la limitazione riferibile alla richiesta di un permesso di soggiorno sussistente da cinque anni continuativi di cui alle norme in parola (cfr. C. Cost. sent. n. 40 del 2011; n. 299 del 2010; n. 432 del 2005). D'altronde, se la Corte costituzionale dichiarasse illegittimo tale requisito di cui all'articolo 80, co. 19, della legge 388 del 2000 e all'articolo 9, co. 1, del decreto legislativo 286 del 1998, non solo il legislatore potrebbe nuovamente intervenire per stabilire nuovi elementi e criteri utili per verificare la stabilita' nel territorio che siano piu' proporzionati, ma rimarrebbe, comunque, nel nostro ordinamento l'articolo 41 del decreto legislativo 286 del 1998 che stabilisce che «gli stranieri titolari della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno, nonche' i minori iscritti nella loro carta di soggiorno o nel loro permesso di soggiorno, sono equiparati ai cittadini italiani ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale, incluse quelle previste per coloro che sono affetti da morbo di Hansen o da tubercolosi, per i sordomuti, per i ciechi civili, per gli invalidi civili e per gli indigenti». Sicche', resterebbe, in ogni caso, richiesta l'acquisizione di un permesso di soggiorno di durata di almeno un anno. Anche il requisito del test in lingua italiana appare, poi, non sostenibile dai ricorrenti per il fatto che, non avendo i cinque anni continuativi di permanenza regolare in Italia (utili per ottenere il permesso di lungo periodo), non possono neppure essere sottoposti al medesimo dagli organi competenti. Impossibilita' di interpretazioni costituzionalmente orientate del co. 218 cit. In seguito alle suddette premesse appare, percio', doverosa la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale - cosi' come gia' effettuato dal Tribunale di Cuneo (ord. 35 del 27 settembre 2011) e dal Tribunale di Urbino (ord. 213 del 31 maggio 2011) - dovendosi solo, da ultimo, precisare come, attesa la perentorieta' delle parole utilizzate dal legislatore nelle norme sospettate di incostituzionalita', non e' possibile fornire un'interpretazione costituzionalmente orientata delle stesse, ne', per le ragioni gia' esposte, ritenere che le medesime siano ormai state espunte dall'ordinamento sulla base delle pronunce gia' emesse dal Giudice delle Leggi, aventi sempre efficacia, tra l'altro, limitata alle prestazioni, di volta in volta, esaminate. Neppure e' poi possibile procedere alla disapplicazione delle norme interne in contrasto con l'articolo 14 CEDU, atteso come quest'ultima rappresenti chiaramente solo di una «norma di principio» (non self executing) e come, comunque, appaia ormai consolidato l'orientamento della Corte costituzionale per la quale le previsioni della Convenzione non hanno efficacia diretta nel nostro ordinamento (cfr., ex plurimis, C. Cost. sent. 348 e 349 del 2007 e sent. n. 80 del 2011). Del resto, una simile valutazione e' stata recentemente ritenuta condivisibile anche dalla Corte di Giustizia (cfr. CGUE, sentenza Kamberaj della CGUE del 24 marzo 2012, nella causa C-571/10, che ha affermato che «il rinvio operato dall'articolo 6, paragrafo 3, TUE alla CEDU non impone al giudice nazionale, in caso di conflitto tra una norma di diritto nazionale e detta Convenzione, di applicare direttamente le disposizioni di quest'ultima»).
P. Q. M. Visti gli artt. 2, 3, 32, 38, 117 Cost. e 14 CEDU e l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza; Solleva la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 80, co. 19, della legge 388 del 2000 e dell'articolo 9, co. 1, del decreto legislativo 286 del 1998, nella parte in cui subordinano la concessione della pensione di inabilita' e dell'indennita' di accompagnamento, agli stranieri legalmente soggiornanti sul territorio dello Stato, al possesso del permesso di soggiorno di lungo periodo e, dunque, anche al requisito della durata del soggiorno medesimo che sia attestata dal possesso, da almeno cinque anni, di un permesso di soggiorno in corso di validita', oltre all'esigenza di superare il test di lingua italiana; Sospende il presente giudizio; Ordina alla Cancelleria di provvedere alla immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina, altresi', alla Cancelleria di notificare la presente ordinanza alle parti; Ordina, infine, alla Cancelleria di comunicare la presente ordinanza ai Presidenti delle due Camere del Parlamento nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri. Milano, 24 dicembre 2012 Il Giudice: Di Leo