N. 63 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 dicembre 2012

Ordinanza del 24 dicembre 2012 emessa dal  Tribunale  di  Milano  nei
procedimenti civili riuniti promossi  da  A.G.L.J.  ed  altri  contro
I.N.P.S.. 
 
Straniero - Pensioni ex art. 8  legge  10  febbraio  1962,  n.  66  e
  indennita' di accompagnamento ex art. 3, comma 1, legge 21 novembre
  1988, n. 508 - Condizione - Possesso della carta  di  soggiorno  di
  durata non inferiore ad un anno - Lesione di  diritto  fondamentale
  della persona - Violazione del principio di  uguaglianza  sotto  il
  profilo  dell'irragionevolezza  -  Lesione  di  norme  di   diritto
  internazionale generalmente riconosciute - Violazione  del  diritto
  alla salute - Lesione delle garanzie previdenziali ed assistenziali
  - Violazione di obblighi internazionali derivanti dalla CEDU. 
- Legge 23 dicembre 2000, n. 388, art. 80,  comma  19,  in  combinato
  disposto con l'art. 9, comma 1, decreto legislativo 25 luglio 1998,
  n. 286, come modificato dall'art. 9, comma 1, legge 30 luglio 2002,
  n. 189, poi sostituito dall'art. 1, comma 1, decreto legislativo  8
  gennaio 2007, n. 3. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 32, 38 e 117, primo comma,  in  relazione
  all'art. 14 della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti
  dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
(GU n.15 del 10-4-2013 )
 
                       IL TRIBUNALE ORDINARIO 
 
    Letti gli atti e i documenti della causa iscritta ai  n.  5745/12
RGL pendente davanti al Tribunale di Milano (e della causa n. 7027/12
RGL riunita alla prima) tra: 
        L. J. A. G. H. J. C. M.  M.  e  M.  A.,  quali  esercenti  la
potesta' genitoriale sul minore K. Z. M. M. e  INPS,  sciogliendo  la
riserva assunta in data 21 dicembre 2012 rileva: 
I termini della controversia 
    Con rispettivi ricorsi al Tribunale di Milano, quale Giudice  del
Lavoro,  ciascuna  parte  attorea  ha  esposto  come  vanterrebbe   i
requisiti prescritti dalla normativa di riferimento  per  ottenere  i
benefici assistenziali richiesti  (indennita'  di  accompagnamento  e
pensione d'inabilita'), ma come l'INPS non li avrebbe concessi per il
difetto del possesso del permesso di soggiorno di lunga durata di cui
all'articolo 80, co. 19, della  legge  n.  388  del  2000  e  di  cui
all'articolo 9, co. 1, del decreto legislativo n. 286 del 1998  (come
modificato dall'art. 9, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189 e
poi sostituito dall'art.  1,  comma  1,  del  decreto  legislativo  8
gennaio 2007, n. 3): 
        a) In particolare, nella causa n. 5745/12 RGL, L. J. A. G. ha
allegato come la documentazione in atti dimostrerebbe il possesso  da
parte di questi dei requisiti sanitari e extra sanitari per  ottenere
sia l'indennita' di accompagnamento di cui l'articolo 1  della  legge
508 del 1988, sia la pensione di invalidita' di cui  all'articolo  12
della legge n. 118 del 1971 e come gli sarebbe stata negata dall'INPS
ciascuna di dette provvigioni, solo per il difetto del  possesso  del
permesso di soggiorno di lunga durata; 
        b) Invece, nella causa n. 7027/12 RGL, i ricorrenti H. J.  C.
M. M. e M. A. I., quali esercenti la potesta' genitoriale  su  minore
K.  Z.  M.  M.,  hanno  dedotto  come  la  documentazione   in   atti
dimostrerebbe il possesso da parte del figlio dei requisiti  sanitari
e extra sanitari per ottenere l'indennita' di accompagnamento di  cui
all'articolo 1 della legge n. 508 del 1988 che sarebbe  stata  negata
dall'INPS, solo per  il  difetto  del  possesso  da  parte  loro  del
permesso di soggiorno di lunga durata. 
    Il  che  e'  stato  confermato,  in  udienza,  anche  a  verbale,
dall'INPS (cfr. il verbale dell'8 novembre 2012). 
    Cio' posto - allegando come la Corte costituzionale gia'  avrebbe
dichiarato l'illegittimita' delle norme di cui all'articolo  80,  co.
19, della legge 388 del 2000 e di cui  all'articolo  9,  co.  1,  del
decreto legislativo 286 del 1998 con le sentenze n. 306 del 2008 e n.
11 del  2009  (e  richiamando,  altresi',  altre  pronunce,  come  la
sentenza numero 187 del 2010 della stessa Corte) e come non  sarebbe,
percio', per i cittadini extracomunitari, quali  i  ricorrenti,  piu'
richiesto il possesso del permesso di soggiorno di lunga  durata  per
ottenere i benefici auspicati - nei giudizi riuniti  hanno  domandato
l'accertamento del proprio  diritto  alle  provvidenze  assistenziali
sopra menzionate, con condanna dell'ente ad erogare i relativi ratei,
comprensivi di quelli arretrati. 
    Costituendosi ritualmente in  giudizio,  con  articolata  memoria
difensiva, per ciascuna delle cause proposte, l'INPS ha contestato la
fondatezza delle domande, chiedendone il rigetto. 
    Al riguardo, secondo la tesi dell'ente, il permesso di  soggiorno
di lunga durata avrebbe sostituito, nell'ambito dell'articolo 80, co.
19, cit., la carta di soggiorno, menzionata dalla stessa norma. 
    Inoltre, le sentenze della Corte costituzionale  numero  306  del
2008  e  n.  11  del  2009   avrebbero   stabilito   l'illegittimita'
dell'articolo 80, co. 19 e dell'art. 9, co. 1, solo per la  parte  in
cui viene stabilito che i  menzionati  benefici  non  possono  essere
attribuiti agli  stranieri  extracomunitari  unicamente  perche'  non
risultino in possesso dei «requisiti di reddito», gia' stabiliti  per
la carta di  soggiorno  e  ora  previsti,  per  effetto  del  decreto
legislativo numero 3 del 2007, per il permesso di soggiorno UE per di
soggiornanti di lungo periodo. 
    Poi, le stesse pronunce avrebbero chiarito  che  «al  legislatore
italiano e' certamente  consentito  dettare  norme,  non  palesemente
irragionevoli e non contrastanti  con  obblighi  internazionali,  che
regolino l'ingresso e la permanenza di extracomunitari in Italia  (da
ultimo,  sentenza  n.  148  del   2008).   E'   possibile,   inoltre,
subordinare,  non  irragionevolmente,  l'erogazione  di   determinate
prestazioni - non inerenti a rimediare a gravi situazioni di  urgenza
- alla circostanza che il titolo di legittimazione dello straniero al
soggiorno nel territorio dello Stato ne  dimostri  il  carattere  non
episodico e di non breve durata; una volta, pero', che il  diritto  a
soggiornare alle condizioni predette non sia in discussione,  non  si
possono discriminare gli stranieri, stabilendo, nei  loro  confronti,
particolari limitazioni per il  godimento  dei  diritti  fondamentali
della persona, riconosciuti invece ai cittadini». 
    Sicche', secondo  la  tesi  dell'INPS,  la  Corte  costituzionale
avrebbe stabilito l'illegittimita' dell'articolo 80, co. 19,  cit.  e
dell'art. 9, co. 1, solo per la parte cui  dette  norme  esigono,  ai
fini  della  concessione  dei  benefici  richiesti,  anche  requisiti
reddituali,  mentre  avrebbe   dichiarato   legittime   le   predette
disposizioni  per  la  parte  relativa  al  possesso   dei   restanti
requisiti, ivi compreso quello che prevede il possesso di un permesso
di soggiorno per cinque anni (di cui al citato art. 9). 
    Solo in subordine, con riferimento alla posizione di L. J.  A. G.
, l'ente ha eccepito come la decorrenza delle  provvidenze  richieste
dovrebbe, al limite, partire dal 15 settembre 2011, ossia dalla  data
di concessione del permesso di  soggiorno  per  motivi  umanitari  al
medesimo,  non  avendo  questi  altro  titolo,  in  precedenza,   per
permanere in Italia. 
    In udienza, l'Inps ha, invece, rinunciato all'eccezione  relativa
alla  non  proponibilita'  del  ricorso  per  l'incompletezza   della
documentazione che sarebbe stata allegata alla domanda amministrativa
(nella causa n. 5745/12 RGL: cfr. il verbale del 16 novembre 2012). 
    Il Giudice, tentata  inutilmente  la  conciliazione,  riunite  le
menzionate cause, nell'udienza del 21 dicembre 2012, al termine della
discussione orale delle parti, si e' riservato di decidere. 
Il quadro normativo di riferimento. 
    A) Con  riferimento  all'indennita'  di  accompagnamento,  e'  da
ricordarsi che, in materia, l'art.  1  della  l.  508/1988  ha  cosi'
modificato la l. 18/1980: 
        «1.  La  disciplina  della  indennita'   di   accompagnamento
istituita con leggi 28 marzo 1968, n. 406, e 11 febbraio 1980, n. 18,
e successive modificazioni ed integrazioni, e' modificata come segue. 
    2 . L'indennita' di accompagnamento e' concessa: A) ai  cittadini
riconosciuti ciechi assoluti; 8) ai cittadini nei cui  confronti  sia
stata  accertata  una  inabilita'  totale  per  affezioni  fisiche  o
psichiche e che si trovino nella impossibilita' di  deambulare  senza
l'aiuto permanente di un accompagnatore o, non essendo  in  grado  di
compiere  gli  atti  quotidiani  della  vita,  abbisognano   di   una
assistenza continua (..)». 
    B) Con riferimento alla pensione di inabilita', e' da  rammentare
che l'art. 12 della l. 118/1971 prevede che: 
        «ai mutilati ed invalidi civili di eta' superiore  agli  anni
18, nei cui  confronti,  in  sede  di  visita  medico-sanitaria,  sia
accettata una totale inabilita'  lavorativa,  e'  concessa  a  carico
dello stato e a cura del  Ministero  dell'interno,  una  pensione  di
inabilita' di lire 234.000 annue da ripartire in  tredici  mensilita'
con decorrenza dal primo giorno del mese successivo  a  quello  della
presentazione della domanda per l'accertamento della  inabilita'.  Le
condizioni economiche richieste per la'  concessione  della  pensione
sono quelle stabilite dall'art. 26 della legge  30  aprile  1969,  n.
153, sulla revisione degli ordinamenti pensionistici». 
    C) Cio' posto, si deve, pero', anche  ricordare  che,  quanto  ai
requisiti di legittimazione per i cittadini  extracomunitari,  l'art.
41 del d.lgs. 286/98 - prima dell'intervento  dell'articolo  80,  co.
19, della legge 388 del 2000 - stabiliva che «gli stranieri  titolari
della carta di soggiorno o di permesso di  soggiorno  di  durata  non
inferiore ad un anno, nonche' i minori iscritti nella loro  carta  di
soggiorno o nel  loro  permesso  di  soggiorno,  sono  equiparati  ai
cittadini italiani ai fini della fruizione delle provvidenze e  delle
prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale, incluse  quelle
previste per coloro  che  sono  affetti  da  morbo  di  Hansen  o  da
tubercolosi, per i sordomuti, per i ciechi civili, per  gli  invalidi
civili e per gli indigenti». 
    Dunque, fino alla novella di cui all'articolo 80, co.  19,  cit.,
l'equiparazione   ai   cittadini   italiani,   per   gli    stranieri
extracomunitari, avveniva anche per coloro che  fossero  in  possesso
soltanto di un permesso di soggiorno di durata  non  inferiore  a  un
anno. 
    D) Tuttavia, e' poi intervenuto  l'articolo  80,  co.  19,  della
legge 388 del 2000 che stabilisce che: 
        «ai sensi dell'articolo 41 del decreto legislativo 25  luglio
1998, n. 286, l'assegno  sociale  e  le  provvidenze  economiche  che
costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in
materia di servizi sociali sono concessi,  alle  condizioni  previste
dalla legislazione medesima, agli stranieri  che  siano  titolari  di
carta di soggiorno;  per  le  altre  prestazioni  e  servizi  sociali
l'equiparazione con i cittadini italiani e' consentita a favore degli
stranieri che siano almeno  titolari  di  permesso  di  soggiorno  di
durata non inferiore ad un anno. Sono  fatte  salve  le  disposizioni
previste dal decreto legislativo 18 giugno  1998,  n.  237,  e  dagli
articoli 65 e 66 della legge 23 dicembre 1998, n. 448,  e  successive
modificazioni». 
    Inoltre, l'articolo 9 del decreto legislativo n. 286/98,  prevede
che «lo straniero in possesso, da almeno cinque anni, di un  permesso
di soggiorno in corso di validita', che dimostra la disponibilita' di
un reddito non inferiore all'importo annuo  dell'assegno  sociale  e,
nel  caso  di  richiesta  relativa  ai  familiari,  di   un   reddito
sufficiente secondo i parametri indicati nell'articolo 29,  comma  3,
lettera b) e di un alloggio idoneo che rientri nei  parametri  minimi
previsti  dalla  legge  regionale  per  gli   alloggi   di   edilizia
residenziale  pubblica  ovvero  che  sia  fornito  dei  requisiti  di
idoneita' igienico-sanitaria accertati dall'Azienda unita'  sanitaria
locale competente  per  territorio,  puo'  chiedere  al  questore  il
rilascio del permesso di  soggiorno  CE  per  soggiornanti  di  lungo
periodo, per se' e per i familiari di cui all'articolo 29, comma 1. 
    2. Il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo  periodo
e' a tempo indeterminato ed e' rilasciato entro novanta giorni  dalla
richiesta. 
    2-bis. Il rilascio del permesso di soggiorno CE per  soggiornanti
di  lungo  periodo  e'  subordinato  al  superamento,  da  parte  del
richiedente, di un test di conoscenza della lingua italiana,  le  cui
modalita' di svolgimento sono determinate con  decreto  del  Ministro
dell'interno,  di   concerto   con   il   Ministro   dell'istruzione,
dell'universita' e della ricerca». 
    Sicche', dopo l'intervento di tali ultime norme,  risulta  che  i
benefici assistenziali richiesti nelle cause riunite  possono  essere
concessi agli stranieri extracomunitari i quali, non  solo  siano  in
possesso dei  requisiti  sanitari  e  extrasanitari  stabiliti  dalla
relativa normativa e validi per i cittadini italiani,  ma  siano,  al
contempo, titolari di un permesso di soggiorno UE di lunga durata. 
Questione di costituzionalita'. 
    Con riferimento agli artt. 80, co. 19, della legge 388 del 2000 e
9, co. 1, del decreto legislativo 286  del  1998,  appare  necessario
sollevare  una  questione  di  costituzionalita',  e  i  sensi  degli
articoli 2, 3, 32, 38, 117 Cost. e 14 CEDU. 
Rilevanza e  ammissibilita'  della  questione  e  sua  non  manifesta
infondatezza. 
    La questione sottoposta appare rilevante ai fini della  decisione
delle cause riunite. 
    Preliminarmente, si puo' osservare che,  non  avendo  la  domanda
attorea  quale  oggetto  la  contestazione  delle  conclusioni  della
Commissione Medica,  non  trova  applicazione  nella  fattispecie  il
termine di decadenziale previsto dall'articolo  42,  comma  tre,  del
decreto legislativo 269/03 e la procedura  di  cui  all'art.  445-bis
cpc. 
    Nelle cause di cui si tratta, risulta, infatti, pacifico  che  le
parti ricorrenti siano in possesso dei  requisiti  sanitari  e  extra
sanitari per ottenere  i  benefici  assistenziali  richiesti  (ossia,
l'indennita' di accompagnamento di cui all'articolo 1 della legge 508
del 1988 e la pensione di invalidita' dell'articolo  12  della  legge
118 del 1971 per L. J. A. G. e la sola indennita' di  accompagnamento
per il minore K. Z. M. M.: cfr. il verbale di causa  dell'8  novembre
2012). 
    Parimenti, e'  chiaro  che  l'INPS  non  ha  concesso  loro  tali
provvidenze unicamente per il difetto del possesso  del  permesso  di
soggiorno di lunga durata di cui all'articolo 80, co. 19, della legge
n. 388 del  2000  e  di  cui  all'articolo  9,  co.  1,  del  decreto
legislativo 286 del 1998 (nel caso di K.  Z.  M.  M.,  da  parte  dei
genitori). 
    Ciascuna parte  attorea,  infatti,  pur  avendo  un  permesso  di
soggiorno di durata di oltre un  anno,  non  possiede  lo  stesso  da
cinque anni continuativi, non trovandosi, percio',  nelle  condizioni
di cui all'art. 9 cit. per ottenere il permesso di soggiorno di lunga
durata: 
        a) In particolare, nella causa n. 5745/12 RGL, L. J. A. G. ha
dimostrato  un  permesso  di  soggiorno  rilasciato,  con  successivi
rinnovi, dal 16 settembre 2010 al  1°  ottobre  2013  (cfr.  doc.  10
depos. il 16 novembre 2012 e 11 ric. depos. il 12 dicembre 2012); 
        b) Invece, nella causa n. 7027/12 RGL, H. J.  C.  M.  M.  (il
padre)  ha  attestato  un  permesso  di  soggiorno  rilasciato,   con
successivi rinnovi, dal 27 ottobre 2012 al 28 luglio 2013 (cfr.  doc.
6 ric.) e M. A. I. (la madre) ha dimostrato un permesso di  soggiorno
rilasciato, con successivi rinnovi, dal 30 aprile 2009  al  16  marzo
2013 (cfr. doc. 7 ric.). 
    Si  aggiunga  ancora   che,   come   anticipato,   poi,   l'INPS,
nell'udienza del 16 novembre 2012, ha rinunciato all'eccezione, posta
nella causa RG n. 5745/12, per la quale la  domanda  attorea  sarebbe
improponibile per il fatto che la domanda amministrativa, a suo tempo
presentata, non sarebbe stata completa dei documenti necessari. 
    Risulta, dunque, che l'unica ragione per cui  le  tesi  di  parte
attorea,  allo  stato  dell'attuale  normativa,  non  possano  essere
accolte e' costituita dall'esigenza, per i benefici richiesti, per  i
cittadini extracomunitari, quali sono i ricorrenti, del possesso  del
permesso di soggiorno  UE  di  lunga  durata  che  -  per  il  tenore
dell'articolo 9 del decreto legislativo 286 del 1998  -  puo'  essere
concesso solo allo straniero in possesso, da almeno cinque  anni,  di
un permesso di soggiorno in corso di  validita'  e  che  dimostri  la
disponibilita' di un reddito non inferiore  a  certe  soglie,  di  un
alloggio idoneo e che superi  un  test  di  conoscenza  della  lingua
italiana. 
    La questione, evidentemente, non riguarda la circostanza che, per
ottenere  il  permesso  di  soggiorno  di  lunga  durata  -  di   cui
all'articolo 80, co. 19, della legge 388 del 2000, che, com'e'  noto,
ha sostituito, nell'ambito  della  citata  previsione,  la  carta  di
soggiorno menzionata dalla stessa norma e di cui all'articolo 9,  co.
1, del decreto legislativo 286 del 1998 -  siano  necessari  anche  i
menzionati requisiti reddituali. 
    E' conosciuto, infatti come, in  materia,  siano  intervenute  le
sentenze della Corte costituzionale numero 306 del 2008 e n.  11  del
2009 che hanno dichiarato l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.
80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n.  388  e  dell'art.  9,
comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nella  parte
in cui escludono che l'indennita' di accompagnamento, di cui all'art.
1 della legge 11 febbraio 1980, n. 18 e la pensione di inabilita', di
cui all'art. 12 della legge 30 marzo 1971,  n.  118,  possano  essere
attribuite agli stranieri extracomunitari soltanto perche'  essi  non
risultano in possesso dei requisiti di reddito gia' stabiliti per  la
carta  di  soggiorno  ed  ora  previsti,  per  effetto  del   decreto
legislativo 8 gennaio 2007, n. 3 per il permesso di soggiorno CE  per
soggiornanti di lungo periodo. 
    L'INPS, in tal senso, non richiede, infatti, dopo  tali  pronunce
del Giudice delle Leggi, il  possesso  dei  requisiti  reddituali  da
parte degli istanti  extracomunitari  per  i  benefici  assistenziali
richiesti, ma domanda,  comunque,  la  dimostrazione  (eventualmente,
tramite un'istanza  per  ottenere  la  carta  di  soggiorno  che  sia
respinta dalla Questura solo per difetto  dei  requisiti  reddituali:
cfr. il ricorso della causa RG 5745/12, p. 7) della titolarita' degli
ulteriori elementi utili per ottenere il  permesso  di  soggiorno  di
lunga durata, quali  il  possesso,  da  almeno  cinque  anni,  di  un
permesso di soggiorno in corso di validita', di un alloggio idoneo  e
il superamento del test di conoscenza della lingua italiana. 
    Ora, la parte attorea  ha  sostenuto  come,  dopo  le  menzionate
pronunce  della  Corte  costituzionale,  pure  tali   requisiti   non
sarebbero, in realta', piu' richiesti per  ottenere,  da  parte degli
extracomunitari, i benefici assistenziali di cui si tratta. 
    Tuttavia, lette le citate sentenze n. 306 del 2008 e  n.  11  del
2009, per il chiaro tenore  del  dispositivo  delle  stesse,  nonche'
delle loro motivazioni, appare che  l'unico  requisito  che  risulta,
allo   stato,   non   piu'   necessario,   per    dichiarazione    di
incostituzionalita', sia «quello reddituale». 
    Infatti, ciascuna pronuncia in parola del Giudice delle Leggi, ha
dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 80, co.  19,
della legge 388 del 2000 e di cui all'articolo 9, co. 1, del  decreto
legislativo 286 del 1998, unicamente con riferimento alle «specifiche
prestazioni assistenziali» considerate nel dispositivo delle stesse e
nei limiti della parte  in  cui  tali  benefici  non  possano  essere
attribuiti «agli stranieri extracomunitari soltanto perche' essi  non
risultano in possesso dei requisiti di reddito gia' stabiliti per  la
carta di soggiorno ed ora previsti, per effetto del d.lgs. n.  3  del
2007, per il permesso di  soggiorno  CE  per  soggiornanti  di  lungo
periodo». 
    Restano,  dunque,  ancora  previsti   dall'ordinamento,   per   i
cittadini extracomunitari, gli ulteriori requisiti, diversi da quelli
reddituali, stabiliti dalle norme in considerazione per  ottenere  il
permesso di soggiorno di lunga durata e che appaiono risultare ancora
necessari per ottenere l'indennita' di accompagnamento e la  pensione
di inabilita'. 
    Proprio, in  questo  senso,  del  resto,  significativamente,  la
sentenza n. 306 del 2008, nella motivazione, conclude con le seguenti
parole: 
        «le disposizioni censurate sono, pertanto, illegittime  nella
parte in cui - oltre ai requisiti sanitari e di durata del  soggiorno
in Italia e comunque attinenti alla persona, gia'  stabiliti  per  il
rilascio della carta di soggiorno ed ora (per effetto del d.lgs. n. 3
del 2007) del permesso di Soggiorno  CE  per  soggiornanti  di  lungo
periodo, non sospettati di illegittimita' dal remittente  -  esigono,
ai fini dell'attribuzione dell'indennita' di  accompagnamento,  anche
requisiti reddituali, ivi compresa la disponibilita' di un  alloggio,
avente le caratteristiche indicate dal nuovo testo dell'art. 9, comma
1, del d.lgs. n. 286 del 1998». 
    Per tali motivi, non appare persuasiva la pur nota sentenza della
Corte di cassazione nella quale e'  argomentato  come  sarebbe  stata
espunta, per effetto delle pronunce della Corte costituzionale n. 306
del  2008,  n.11  del  2009  e  n.  187  del  2010,  la  «complessiva
condizione» costituita dalla necessita' della carta di soggiorno  per
ottenere le provvidenze in parola (cfr. Cass. Sentenza n.  14733  del
5/7/2011). 
    Quanto, poi, alle difese dell'INPS, si deve osservare che e' vero
che, nella sentenza della Corte costituzionale n. 306  del  2008,  e'
evidenziato che «al legislatore  italiano  e'  certamente  consentito
dettare norme, non palesemente irragionevoli e non  contrastanti  con
obblighi internazionali, che regolino l'ingresso e la  permanenza  di
extracomunitari in Italia (da ultimo, sentenza n. 148 del  2008).  E'
possibile, inoltre, subordinare, non irragionevolmente,  l'erogazione
di determinate  prestazioni  -  non  inerenti  a  rimediare  a  gravi
situazioni  di  urgenza  -  alla  circostanza  che   il   titolo   di
legittimazione dello straniero  al  soggiorno  nel  territorio  dello
Stato ne dimostri il carattere non episodico» e di non breve durate. 
    Tuttavia, nonostante  una  simile  affermazione  che  sembrerebbe
subordinare la concessione dell'indennita' di accompagnamento e della
pensione di inabilita' ai requisiti previsti dal co. 19 dell'art.  80
cit. e dall'art. 9 cit. e, in particolare, a quello del possesso,  da
almeno  cinque  anni,  di  un  permesso  di  soggiorno  in  corso  di
validita', la questione appare di nuova attualita' dopo  l'intervento
di ulteriori sentenze della Corte costituzionale che hanno dichiarato
l'illegittimita' degli artt. 80, co. 19, della legge 388 del  2000  e
9, co. 1, del decreto legislativo 286 del 1998, non piu' solo  per  i
requisiti reddituali, ma nella loro interezza,  seppur  limitatamente
agli istituti assistenziali di volta in volta presi in considerazione
dal giudice remittente (tra i quali non vi sono quelli per cui ora vi
e' causa). 
    Si possono rammentare, in tal senso, le seguenti pronunce: 
        1)  la  sentenza  n.  187  del   2010   che   ha   dichiarato
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 80, comma 19,  della  legge
23 dicembre 2000, n. 388 «nella parte in cui subordina  al  requisito
della titolarita'  della  carta  di  soggiorno  la  concessione  agli
stranieri  legalmente  soggiornanti  nel   territorio   dello   Stato
dell'assegno mensile di invalidita' di cui all'art. 13 della legge 30
marzo 1971, n. 118»; 
        2)  La  sentenza  numero  329  del  2011  che  ha  dichiarato
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 80, comma 19,  della  legge
23 dicembre 2000, n. 388 «nella parte in cui subordina  al  requisito
della titolarita' della carta di soggiorno la concessione  ai  minori
extracomunitari legalmente soggiornanti nel  territorio  dello  Stato
della indennita' di frequenza  di  cui  all'art.  1  della  legge  11
ottobre 1990, n. 289». 
    Giova subito mettere in luce come tali  pronunce  non  vengano  a
coinvolgere la  normativa  dell'Unione  Europea,  anche  perche',  in
proposito, si  puo'  rilevare  come  la  Direttiva  109/03/UE  venga,
all'articolo 11, a garantire le «prestazioni essenziali» solo  per  i
«soggiornanti di lungo periodo», ossia solo per chi abbia  lo  status
derivante   dal   fatto   di   aver   soggiornato    «legalmente    e
ininterrottamente per cinque anni» nel territorio  dei  paesi  membri
(cfr. art. 4 della Direttiva), cosicche' la legislazione italiana  in
parola,  e  per  la   quale si   chiede il   giudizio   della   Corte
costituzionale, non appare in contrasto con quella comunitaria. 
    Invece, le sentenze del  Giudice  delle  Leggi  sopra  menzionate
vengono, piuttosto, a proporre  un  giudizio  di  ragionevolezza,  ai
sensi dell'articolo 3 Cost., ma anche dell'art. 117 Cost. e dell'art.
14 CEDU, con riferimento alla giurisprudenza della Corte Europea  dei
Diritti  dell'Uomo   che   ha   sottolineato   l'ampio   margine   di
apprezzamento di cui i singoli Stati godono in materia di prestazioni
sociali,  per  la   conoscenza   diretta   delle   peculiarita'   che
caratterizzano le rispettive societa' e correlativi bisogni, ma  pure
come le valutazioni degli stessi siano sindacabili ove manifestamente
irragionevoli, ossia quando non trovino una giustificazione oggettiva
e  ragionevole  in  un  rapporto  di  proporzionalita'  tra  i  mezzi
impiegati  e  l'obiettivo  perseguito   e   si   rivelino,   percio',
discriminatorie. 
    Inoltre, e' stato osservato come «cio' che dunque  assume  valore
dirimente,  ai  fini  dell'odierno  scrutinio,  non   e'   tanto   la
configurazione    "nominalistica"    dello    specifico     strumento
previdenziale che puo' venire in discorso, quanto, piuttosto, il  suo
concreto atteggiarsi nel panorama degli istituti di previdenza, cosi'
da verificarne la relativa "essenzialita" agli effetti  della  tutela
dei valori coinvolti. Occorre, in altri termini, accertare  se,  alla
luce della configurazione normativa e della funzione sociale  che  e'
chiamato a svolgere nel sistema, lo specifico "assegno" che viene qui
in discorso integri o meno  un  rimedio  destinato  a  consentire  il
concreto soddisfacimento dei "bisogni primari" inerenti  alla  stessa
sfera di tutela della persona umana, che e' compito della  Repubblica
promuovere e salvaguardare; rimedio costituente, dunque,  un  diritto
fondamentale  perche'  garanzia  per  la  stessa  sopravvivenza   del
soggetto. D'altra parte, la giurisprudenza della Corte di  Strasburgo
ha sottolineato  come,  «in  uno  Stato  democratico  moderno,  molti
individui, per tutta o parte della loro vita, non possono  assicurare
il loro sostentamento che grazie a delle prestazioni di  sicurezza  o
di previdenza sociale». Sicche', «da parte  di  numerosi  ordinamenti
giuridici  nazionali  viene  riconosciuto  che  tali  individui  sono
bisognosi di una certa sicurezza e prevedono, dunque,  il  versamento
automatico di prestazioni,  a  condizione  che  siano  soddisfatti  i
presupposti stabiliti per il riconoscimento dei diritti in questione»
(la gia' citata decisione sulla  ricevibilita'  del  6  luglio  2005,
Staic ed altri contro Regno Unito). Ove, pertanto, si versi  in  tema
di provvidenza  destinata  a  far  fronte  al  "sostentamento"  della
persona, qualsiasi discrimino tra cittadini e stranieri  regolarmente
soggiornanti nel territorio dello Stato, fondato su requisiti diversi
dalle condizioni soggettive, finirebbe per risultare in contrasto con
il principio sancito  dall'art.  14  della  Convenzione  europea  dei
diritti dell'uomo, avuto riguardo alla relativa lettura che, come  si
e' detto, e'  stata  in  piu'  circostanze  offerta  dalla  Corte  di
Strasburgo» Corte cost. sentenza numero 187 del 2010). 
    Le chiare parole della Corte costituzionale nella sentenza n. 187
del 2010 e il ragionamento alle stesse sotteso appaiono riproponibili
anche con riferimento alle  provvidenze  assistenziali  di  cui  alle
cause sottoposte all'odierno giudizio. 
    I)  Certamente,  le  argomentazioni  della  Corte,  svolte  nella
menzionata sentenza per l'«assegno di invalidita'» di cui all'art. 13
della legge 30 marzo 1971, n. 118,  appaiono  essere  valide  per  la
«pensione di inabilita'» di cui all'articolo 12 della  stessa  legge,
che e' concessa a chi si trovi in condizioni peggiori rispetto a  chi
possa godere del menzionato assegno, considerato dalla  pronuncia  n.
187 del 2010 (infatti, l'assegno di invalidita' e' attribuito  a  chi
abbia l'invalidita' del 74% ex  art.  9,  d.lgs.  509/88,  mentre  la
pensione e' da attribuirsi a chi sia accertata una totale  inabilita'
lavorativa). 
    Per la «pensione di inabilita'»  di  cui  all'articolo  12  cit.,
appare, dunque, chiaro come si versi in quelle stesse  condizioni  di
«essenzialita'», agli effetti della protezione dei valori  coinvolti,
costituendo  un  rimedio   destinato   a   consentire   il   concreto
soddisfacimento di «bisogni primari»  inerenti  la  sfera  di  tutela
della persona umana e per il suo sostentamento (e' attribuita  a  chi
abbia una totale inabilita' lavorativa), ancor  piu'  che  lo  stesso
«assegno di invalidita'», oggetto delle attenzioni della sentenza  n.
187/10. 
    Inoltre, e' attribuita, parimenti, solo all'interessato che versi
nelle disagiate  condizioni  reddituali  stabilite  dall'articolo  12
della legge 118/71 (e di cui all'art.  26  della  legge  n.  153  del
1969), trattandosi, percio',  di  un'erogazione  destinata  non  gia'
integrare il minor reddito dipendente da condizioni soggettive, ma  a
fornire alla persona un minimo di sostentamento e ad  assicurarne  la
sopravvivenza. 
    II) Quanto, poi,  all'indennita'  di  accompagnamento,  gia',  la
Corte costituzionale, nella sentenza n. 306/08, ha dichiarato come si
tratti di una prestazione assistenziale - i cui presupposti  sono  la
totale   disabilita'   al   lavoro,   nonche'   l'incapacita'    alla
deambulazione autonoma  o  al  compimento  da  se'  soli  degli  atti
quotidiani della vita - volta alla protezione del diritto alla salute
(cfr. par. 10 della motivazione). 
    Nel caso, come si e' anticipato, la sentenza n. 306/08 aveva gia'
dichiarato   l'illegittimita'   costituzionale   delle    norme    in
considerazione (art. 80, co. 19 e art. 9 cit.)  nella  parte  in  cui
escludevano  che  l'indennita'  di  accompagnamento  potesse   essere
attribuita agli stranieri extracomunitari soltanto perche'  essi  non
risultavano in possesso dei requisiti di  reddito  stabiliti  per  il
permesso di soggiorno CE per i soggiornanti di lungo periodo. 
    Ora,   pero',   dopo   le   pronunce   menzionate   della   Corte
costituzionale numero 187/10 e  329/11,  appare  necessario  proporre
nuovamente la questione  al  Giudice  delle  Leggi  per  le  seguenti
considerazioni. 
    E',  innanzitutto,  da  premettere  come,  perche'  sia  concessa
l'indennita' di accompagnamento, a differenza delle altre provvidenze
assistenziali finora giudicate dalla Corte (l'assegno di invalidita',
la  pensione  di  invalidita'  e  l'indennita'  di   frequenza),   e'
sufficiente trovarsi nelle menzionate condizioni sanitarie, ossia  la
totale   disabilita'   al   lavoro,   nonche'   l'incapacita'    alla
deambulazione autonoma  o  al  compimento  da  se'  soli  degli  atti
quotidiani della vita (oltre al non esser ricoverati gratuitamente in
istituto). 
    Quanto alla «disabilita' al lavoro» si tratta di una  valutazione
di tipo astratto con riferimento alle singole patologie,  perche'  lo
stesso articolo 1 della legge  508  del  1988,  che  riconosce  detta
indennita' «ai cittadini nei cui confronti sia  stata  accertata  una
inabilita' totale», poi,  al  co.  3,  precisa  che  l'assistenza  in
questione «non e'  incompatibile  con  lo  svolgimento  di  attivita'
lavorativa» (cfr. l'art. 1 della l. 508/88 che ha  modificato  la  l.
18/80). 
    Inoltre,    l'attribuzione    della    stessa    indennita'    di
accompagnamento  prescinde  dal  reddito  dell'interessato,   potendo
essere concessa anche alle persone  abbienti  che  si  trovino  nelle
menzionate condizioni. 
    In  tal  senso,  la  Corte  di   cassazione   ha   chiarito   che
«l'inabilita'  lavorativa,  che  costituisce  il  presupposto   della
indennita' di accompagnamento prevista dall'art. 1 legge  n.  18  del
1980 e che richiede l'impossibilita' di deambulare e di provvedere da
soli agli atti quotidiani della vita, non  e'  incompatibile  con  lo
svolgimento di una residuale attivita' lavorativa;  tale  indennita',
pertanto, spetta anche ai soggetti che, pur non essendo in  grado  di
deambulare senza l'aiuto di un terzo,  possano  tuttavia,  in  quanto
dotati  di  adeguata  capacita'   psichica,   svolgere   un'attivita'
lavorativa, anche al di fuori del proprio domicilio» (cfr.,  ad  es.,
Cass. Sentenza  n.  15769  del  14/12/2000)  e  che  «la  concessione
dell'indennita' di accompagnamento di cui all'art. 1 della  legge  11
febbraio 1980, n. 18 prescinde dal  reddito  di  cui  l'invalido  sia
possessore  o  possa  venire  in  possesso   in   conseguenza   dello
svolgimento di attivita' lavorativa,  avendo  la  legge  21  novembre
1988, n. 508 stabilito l'esclusiva rilevanza dei  previsti  requisiti
sanitari e precisato che l'indennita' stessa non e' incompatibile con
lo svolgimento di attivita' lavorativa» (cfr., ad es., Cass. Sentenza
n. 5003 del 27 aprile 1992). 
    Tuttavia, per quanto l'indennita' di accompagnamento possa essere
concessa anche a chi sia abbiente e per quanto non sia  incompatibile
con lo svolgimento di un'attivita' lavorativa, cio' nondimeno  appare
che la prestazione sia destinata al «soddisfacimento di quei  bisogni
primari»  inerenti  alla  sfera  di  tutela  della   persona   umana,
considerati dalla Corte costituzionale nelle menzionate  sentenze  n.
187/10 e n. 329/11. 
    Infatti, giova rilevare come il concedere la prestazione anche  a
chi sia abbiente,  venga  a  delineare  una  ratio  legis,  per  tale
beneficio assistenziale, collegabile a una volonta'  del  legislatore
di ridurre, per chi autonomamente non sia in grado di deambulare e di
compiere gli atti quotidiani della vita, il divario esistente  con  i
soggetti sani e di tutelarne il  diritto  alla  salute  e  gli  altri
diritti della persona interessata a prescindere  da  ogni  condizione
economica  (cfr.,  anche,  l'analisi  della  Suprema  Corte  che   ha
evidenziato che si tratta «di una prestazione del tutto peculiare  in
cui l'intervento assistenziale non e' indirizzato - come avviene  per
la pensione di inabilita' - al sostentamento  dei  soggetti  minorati
nelle loro capacita' di lavoro ..., ma e'  rivolto  principalmente  a
sostenere il nucleo familiare onde incoraggiarlo a farsi  carico  dei
suddetti soggetti, evitando cosi' il ricovero in istituti di  cura  e
assistenza,  con  conseguente  diminuzione   della   relativa   spesa
sociale»: Cass. Sentenza n. 11295 del 28 agosto 2000). 
    E, il fatto che la posizione dell'interessato sia  da  garantirsi
al di la' di ogni situazione  di  ricchezza,  evidenzia  la  assoluta
rilevanza del  bene  giuridico  tutelato  dalle  previsioni  relative
all'indennita' di accompagnamento e come il  beneficio  assistenziale
di cui si tratta sia da definirsi in termini di «essenzialita'»  agli
effetti della tutela dei valori coinvolti. 
    Si puo', cioe', concludere come l'indennita' in parola integri un
rimedio  destinato  a  consentire  il  concreto  soddisfacimento  dei
«bisogni primari» inerenti alla persona e che  riguardano  condizioni
fondamentali per la stessa, come la possibilita' di deambulare  e  di
compiere gli atti quotidiani della vita. 
    Sicche', il contesto in cui si iscrive tale  indennita'  richiama
valori costituzionali di  primario  risalto,  come  il  diritto  alla
salute e alla dignita' della persona e condizioni che debbono  essere
assicurate,  in   situazione   di   parita',   anche   ai   cittadini
extracomunitari,  cosicche'  appaiono  di  dubbia  costituzionalita',
anche con riferimento a tale tutela assistenziale, l'articolo 80, co.
19, delta legge 388 del 2000 e  l'articolo  9,  co.  1,  del  decreto
legislativo 286 del 1998. 
    Infatti, a  fronte  di  tutto  cio',  condizionamento  che  viene
imposto ai fini del riconoscimento del beneficio in questione per gli
stranieri, pur regolarmente  presenti  nel  territorio  dello  Stato,
rappresentato dalla titolarita' del permesso di  soggiorno  di  lungo
periodo, finisce per determinare, per un  periodo  minimo  di  cinque
anni - quello richiesto per rilascio dello stesso -  una  sostanziale
frustrazione di tali beni giuridici, incompatibile non  soltanto  con
le esigenze di «effettivita'» e  di  soddisfacimento  che  i  diritti
fondamentali naturalmente  presuppongono,  ma  anche  con  la  stessa
specifica funzione della indennita' in parola, posto che l'attesa del
compimento del termine di cinque anni di  permanenza  nel  territorio
nazionale potrebbe «comprimere sensibilmente le esigenze di  cura  ed
assistenza di soggetti che l'ordinamento dovrebbe invece tutelare». 
    Come, in altri termini, sembra aver argomentato anche la sentenza
n. 329/11 della Corte costituzionale (cfr. la conclusione del par.  5
della motivazione della stessa), appare contrastare con i principi di
uguaglianza  e  di  ragionevolezza  di  cui  all'articolo   3   della
Costituzione e con l'articolo 117  della  medesima,  con  riferimento
all'articolo 14 CEDU, il riconoscere una tutela di tali  fondamentali
esigenze della persona agli stranieri legalmente  soggiornanti,  solo
dopo un lungo periodo di cinque anni. 
    Una  volta,  infatti,  che  un  cittadino  extracomunitario   sia
legalmente soggiornante - per quanto la stessa Corte  costituzionale,
nella sentenza n. 306/08,  abbia  sottolineato  come  il  legislatore
possa stabilire  un  titolo  di  legittimazione  dello  straniero  al
soggiorno nel territorio dello Stato che ne dimostri il carattere non
episodico e di non breve durata - appare irragionevole subordinare la
tutela dei diritti fondamentali della persona, attinenti alla  salute
e alla dignita' della stessa, al possesso di un permesso di soggiorno
per cinque anni. 
    Cioe', nel bilanciamento tra l'esigenza  di  tutelare  i  diritti
alla salute e  alla  dignita'  della  persona  e  l'esigenza  di  una
verifica che lo straniero sia ormai stabile sul territorio  italiano,
appare che le previsioni di cui  si  dubita  della  costituzionalita'
siano sproporzionate per i  mezzi  approntati  rispetto  al  fine  da
perseguirsi. 
    In una valutazione di mezzo/scopo, infatti,  si  puo'  riflettere
come - per quanto possa costituire traguardo ragionevole e  legittimo
del legislatore, lo stabilire delle norme che  vengano  a  consentire
una  verifica,  anche  dal  lato  temporale,  della  stabilita'   sul
territorio dello straniero - la scelta di richiedere un  permesso  di
soggiorno sussistente da cinque anni  continuativi  appaia  eccessiva
rispetto allo scopo ugualmente da perseguirsi di tutelare  i  diritti
alla salute e alla dignita' della persona in considerazione. 
    Non appare, cioe', esservi alcuna ragionevole correlabilita'  tra
le  condizioni  positive  di  ammissibilita'  al   beneficio   e   la
limitazione riferibile alla richiesta di  un  permesso  di  soggiorno
sussistente da cinque anni continuativi di cui alle norme  in  parola
(cfr. C. Cost. sent. n. 40 del 2011; n. 299  del  2010;  n.  432  del
2005). 
    D'altronde, se la Corte  costituzionale  dichiarasse  illegittimo
tale requisito di cui all'articolo 80, co. 19, della  legge  388  del
2000 e all'articolo 9, co. 1, del decreto legislativo 286  del  1998,
non solo il legislatore potrebbe nuovamente intervenire per stabilire
nuovi elementi e criteri  utili  per  verificare  la  stabilita'  nel
territorio che siano piu' proporzionati, ma rimarrebbe, comunque, nel
nostro ordinamento l'articolo 41 del decreto legislativo 286 del 1998
che stabilisce che «gli stranieri titolari della carta di soggiorno o
di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno,  nonche'
i minori iscritti nella loro carta di soggiorno o nel  loro  permesso
di soggiorno, sono equiparati ai cittadini  italiani  ai  fini  della
fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di
assistenza sociale, incluse  quelle  previste  per  coloro  che  sono
affetti da morbo di Hansen o da tubercolosi, per i sordomuti,  per  i
ciechi civili, per gli invalidi civili e per gli indigenti». 
    Sicche', resterebbe, in ogni caso, richiesta l'acquisizione di un
permesso di soggiorno di durata di almeno un anno. 
    Anche il requisito del test in lingua italiana appare,  poi,  non
sostenibile dai ricorrenti per il fatto che, non avendo i cinque anni
continuativi di permanenza regolare in Italia (utili per ottenere  il
permesso di lungo periodo), non possono neppure essere sottoposti  al
medesimo dagli organi competenti. 
Impossibilita' di interpretazioni  costituzionalmente  orientate  del
co. 218 cit. 
    In seguito alle suddette premesse appare,  percio',  doverosa  la
trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale - cosi'  come  gia'
effettuato dal Tribunale di Cuneo (ord. 35 del 27 settembre  2011)  e
dal Tribunale di Urbino (ord. 213 del 31  maggio  2011)  -  dovendosi
solo, da ultimo, precisare come, attesa la perentorieta' delle parole
utilizzate   dal    legislatore    nelle    norme    sospettate    di
incostituzionalita',  non  e'  possibile  fornire  un'interpretazione
costituzionalmente orientata delle stesse, ne', per le  ragioni  gia'
esposte,  ritenere  che  le  medesime  siano  ormai   state   espunte
dall'ordinamento sulla base delle pronunce gia'  emesse  dal  Giudice
delle Leggi, aventi sempre  efficacia,  tra  l'altro,  limitata  alle
prestazioni, di volta in volta, esaminate. 
    Neppure e' poi possibile  procedere  alla  disapplicazione  delle
norme interne in  contrasto  con  l'articolo  14  CEDU,  atteso  come
quest'ultima rappresenti chiaramente solo di una «norma di principio»
(non self executing)  e  come,  comunque,  appaia  ormai  consolidato
l'orientamento della Corte costituzionale per la quale le  previsioni
della Convenzione non hanno efficacia diretta nel nostro  ordinamento
(cfr., ex plurimis, C. Cost. sent. 348 e 349 del 2007 e sent.  n.  80
del 2011). 
    Del resto, una simile valutazione e' stata recentemente  ritenuta
condivisibile anche dalla Corte di  Giustizia  (cfr.  CGUE,  sentenza
Kamberaj della CGUE del 24 marzo 2012, nella causa C-571/10,  che  ha
affermato che «il rinvio operato dall'articolo 6,  paragrafo  3,  TUE
alla CEDU non impone al giudice nazionale, in caso di  conflitto  tra
una norma di diritto nazionale  e  detta  Convenzione,  di  applicare
direttamente le disposizioni di quest'ultima»). 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti gli artt. 2, 3, 32, 38, 117 Cost. e 14  CEDU  e  l'art.  23
della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza; 
    Solleva la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo
80, co. 19, della legge 388 del 2000 e dell'articolo 9,  co.  1,  del
decreto legislativo 286 del 1998, nella parte in cui  subordinano  la
concessione  della pensione  di  inabilita'  e   dell'indennita'   di
accompagnamento,   agli   stranieri   legalmente   soggiornanti   sul
territorio dello Stato, al possesso  del  permesso  di  soggiorno  di
lungo  periodo  e,  dunque,  anche  al  requisito  della  durata  del
soggiorno medesimo che sia attestata dal possesso, da  almeno  cinque
anni, di un permesso  di  soggiorno  in  corso  di  validita',  oltre
all'esigenza di superare il test di lingua italiana; 
    Sospende il presente giudizio; 
    Ordina alla Cancelleria di provvedere alla immediata trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale; 
    Ordina, altresi', alla  Cancelleria  di  notificare  la  presente
ordinanza alle parti; 
    Ordina,  infine,  alla  Cancelleria  di  comunicare  la  presente
ordinanza ai Presidenti delle due Camere del  Parlamento  nonche'  al
Presidente del Consiglio dei Ministri. 
 
      Milano, 24 dicembre 2012 
 
                         Il Giudice: Di Leo