N. 65 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 gennaio 2013
Ordinanza del 25 gennaio 2013 emessa dal Giudice di pace di Milano nel procedimento civile promosso da Vorwerk Folletto S.a.s.. Procedimento civile - Astensione e ricusazione del giudice - Obbligo del giudice di pace di astenersi quando sussistono "gravi ragioni di convenienza" e quindi anche quando abbia un personale interesse collegato con il sistema di retribuzione fondato sul "cottimo" - Violazione dei principi di ragionevolezza e di ragionevole durata del processo - Auspicio che la Corte costituzionale proceda all'autorimessione della questione di costituzionalita' della norma (art. 11, comma 3-bis, della legge n. 374 del 1991) che prevede la retribuzione a cottimo del giudice di pace relativamente ai decreti ingiuntivi. - Legge 21 novembre 1991, n. 374, art. 10, comma 1; cod. proc. civ., art. 51, comma secondo. - Costituzione, artt. 3 e 111.(GU n.15 del 10-4-2013 )
IL GIUDICE DI PACE Sul ricorso per decreto ingiuntivo per il pagamento di € 1.032,91 proposto dalla Societa' WORWERK FOLLETTO s.a.s. di Vorwerk Management s.r.l., con sede in Milano, via Ludovico di Breme 33, in persona del Consigliere della Vorwerk Management s.r.l. dott. Marziano Calzari, elettivamente domiciliata in Milano, Corso Venezia 61, presso lo studio dell'Avv. Ivana Scaglia che la rappresenta e difende in forza di procura generale alle liti in atti Notaio dott.ssa Monica Zara, Contro Sorrentino Domenico, residente in Briatico Paradisoni (VV), via Dante 3, Ha pronunciato la seguente ordinanza. Questo giudice, per le considerazioni che seguono, ritiene che la decisione sul presente ricorso debba essere preceduta dalla soluzione di una questione di legittimita' costituzionale concernente il dovere del giudice ad astenersi perche', obiettivamente, questo giudice ha un interesse personale, quanto meno indiretto, connesso al ricorso e perche' non sussistono le condizioni che possano garantire al giudice di essere obiettivo ed imparziale e/o di apparire obiettivo e imparziale. Fatto e diritto La Societa' ricorrente Worwerk Folletto s.a.s. vende ratealmente su tutto il territorio nazionale beni di uso molto comune (piccoli elettrodomestici) e, mensilmente, presenta all'Ufficio del giudice di Pace di Milano (citta' ove ha la sua sede) circa duemila ricorsi per altrettanti decreti ingiuntivi nei confronti di debitori, quasi tutti "consumatori" e quasi tutti residenti in Comuni non compresi nel circondario di Milano. Gli anzidetti ricorsi, secondo l'orientamento di alcuni giudici, dovrebbero essere rigettati per incompetenza territoriale del giudice adito perche' per le controversie tra "professionista" e "consumatore", in base alla legge (art. 33, comma 1, lett. u), D.L.vo n. 206/2005) e alla consolidata giurisprudenza (Corte di cassazione SS.UU. Ord. 14669/03; Sez. I, Ord. n. 20718/09), competente in via esclusiva e' il giudice del luogo in cui il consumatore ha la residenza o il domicilio. A tale conclusione, secondo l'anzidetto orientamento, non si puo' non pervenire dopo la Sentenza con la quale la Corte costituzionale ha affermato che la disposizione di cui all'art. 637 cod. proc. civ., con un'interpretazione rispettosa dei principi costituzionali, impone sempre la rilevabilita' d'ufficio dell'incompetenza territoriale e non solo nei casi di incompetenza territoriale inderogabile (Sent. n. 410/05). La qualifica di "consumatore" dei debitori della Societa' ricorrente - come nel caso oggetto del presente ricorso - risulta in modo assolutamente certo dallo stesso contratto stipulato tra le parti e prodotto dalla ricorrente a sostegno della sua domanda e sul quale nello spazio riservato a "privati-consumatori", e' riportato il numero di codice fiscale dell'acquirente (mentre nello spazio riservato a imprenditori-societa' non e' stato riportato alcun numero di partita Iva). I ricorsi della anzidetta Societa', con alcune eccezioni, invece di essere rigettati per incompetenza territoriale, dalla maggior parte dei giudici addetti a questo Ufficio vengono accolti. Le decisioni di accoglimento potrebbero avere diverse motivazioni, tutte opinabili, ma probabilmente non banali, considerata la lunga esperienza professionale di quasi tutti i giudici di pace. Di certo, pero', se i ricorsi proposti dall'anzidetta Societa' venissero rigettati i giudici di pace di Milano "perderebbero" - sia pure complessivamente e non singolarmente e al lordo delle ritenute fiscali - circa ventimila euro al mese. Gli avvocati della anzidetta Societa' - e' facile prevederlo - prenderebbero atto dell'impossibilita' di ottenere dall'Ufficio giudiziario, per loro piu' comodo, i relativi decreti ingiuntivi e presenterebbero i loro ricorsi ad altri Uffici giudiziari. I giudici di pace di Milano, quindi, essendo retribuiti a cottimo (un certo compenso per ogni ricorso), obiettivamente, hanno un personale interesse a "non perdere" i ricorsi della anzidetta Societa' che, di certo, perderebbero se si dichiarassero territorialmente "incompetenti". L'intereresse, quanto meno "discutibile"dei giudici di pace di Milano, - e' doveroso evidenziarlo - e' in contrasto con l'analogo interesse dei giudici di pace di altri Uffici che invece potrebbero "rivendicare" - a torto o a ragione - la loro competenza, nel rispetto del foro del consumatore, a decidere i ricorsi (quasi tutti i ricorsi) della anzidetta Societa'. Tuttavia, paradossalmente, anche il rigetto dei ricorsi per incompetenza territoriale da parte di alcuni giudici di pace puo' provocare anomali effetti, distorsivi della giurisdizione, perche' i ricorsi rigettati possono (e probabilmente vengono) legittimamente ripresentati (art. 640, comma 3, cod. proc. civ.) nella quasi certezza dell'assegnazione ad un "diverso" giudice, con conseguente incremento del "volume di affari" dell'Ufficio e delle indennita' dei giudici ad esso addetti. I giudici, tutti i giudici (compresi i giudici di pace), debbono non solo essere ma anche apparire obiettivi ed imparziali ed ovviamente non possono, quanto meno, apparire obiettivi ed imparziali quando, come nel caso in esame, sia che il ricorso venga accolto sia che venga rigettato, hanno un personale interesse di natura economica ad evitare un calo e/o a favorire un incremento del "volume di affari" dell'Ufficio. Anche questo giudice, obiettivamente, ha un personale interesse collegato all'accoglimento o al rigetto del presente ricorso e, secondo l'interpretazione finora prevalente della normativa vigente (art. 51, comma 2, cod. proc. civ.), ma modestamente non condivisa da questo giudice, potrebbe chiedere al Coordinatore l'autorizzazione ad astenersi, adducendo "gravi ragioni di convenienza". Recentemente, pero', la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con una pronuncia assolutamente innovativa ha stabilito che "l'obbligo di astensione del magistrato, rilevante in sede disciplinare, sussiste, per effetto dell'art. 323 cod. pen., in tutti i casi nei quali ricorra un interesse, anche di natura non patrimoniale, proprio del magistrato o di un suo prossimo congiunto, e che, pertanto, in tal caso, con riferimento al giudice civile, la facolta' di astenersi per gravi ragioni di convenienza ex art. 51 cod. proc. civ. deve ritenersi abrogata per incompatibilita' e sostituita dal corrispondente obbligo." (Cass. n. 19704 del 13 novembre 2012). La Corte di cassazione, in particolare, ha precisato che "la situazione di interesse proprio o di un prossimo congiunto, che obbliga all'astensione, si configura ogni qual volta il pubblico ufficiale, e, per quanto qui interessa il giudice, si trovi in una situazione oggettiva potenzialmente idonea, secondo l'id quod plerumque accidit, a minare le condizioni di imparzialita' in relazione all'esercizio della sua funzione, ponendo in conflitto, anche solo potenziale, l'interesse pubblico generale alla legalita' con l'interesse proprio o dei prossimi congiunti.". Quindi, seguendo il nuovo orientamento della Corte di Cassazione, questo giudice avrebbe il dovere di astenersi e non la semplice facolta' di astenersi. Per i giudici di pace, pero', a parere di questo giudice, l'astensione e' regolata in modo diverso rispetto alla disciplina applicabile ai magistrati ordinari (rectius professionali). Per i giudici di pace esiste una norma speciale - art. 10, comma 1, della L. n. 374/91 - (prevalente su una norma di carattere generale), la quale, pur affermando che "Il magistrato onorario che esercita le funzioni di giudice di pace e' tenuto all'osservanza dei doveri previsti per i magistrati ordinari" aggiunge che (il giudice di pace) ha inoltre l'obbligo di astenersi, oltre che nei casi di cui all'art. 51 del codice di procedura civile (e quindi non soltanto nei casi di cui al comma 1 ma anche nei casi di cui al comma 2 del citato art. 51 "gravi ragioni di convenienza") in ogni caso in cui abbia avuto rapporti di lavoro autonomo ovvero di collaborazione con una delle parti.". Il giudice di pace, pertanto - a parere di questo giudice - anche a prescindere dal recente orientamento della Corte di Cassazione, con riferimento all'art. 10, comma 1, della L. n. 374/91 e alle "gravi ragioni di convenienza", ha sempre il dovere di astenersi. Questo giudice - nella presente fattispecie - potrebbe limitarsi a dichiarare di doversi astenere ma, ritenendo le norme concernenti l'astensione del giudice di pace di dubbia legittimita' costituzionale, ritiene doveroso sottoporre la questione al giudizio della Corte costituzionale. L'indipendenza e l'imparzialita' del giudice - sempre ritenute essenziali per l'esercizio di qualsiasi funzione giurisdizionale - con la Legge costituzionale 23 novembre 1992, n. 2, sono state anche formalmente e solennemente riaffermate e al secondo comma dell'art. 111 della Costituzione e' previsto che "Ogni processo deve svolgersi ... davanti ad un giudice terzo ed imparziale". Il giudice, un qualsiasi giudice e quindi anche un giudice di pace - in base a quanto prevede la Costituzione ed insegna la Corte costituzionale - deve non solo essere obiettivo ed imparziale, ma deve anche apparire o poter apparire obiettivo ed imparziale. La Corte costituzionale, in una Sua non recente Sentenza, dalla quale non si e' mai discostata, ha affermato che "Va escluso nel giudice qualsiasi anche indiretto interesse alla causa da decidere, e deve esigersi che la legge garantisca l'assenza di qualsiasi aspettativa di vantaggi, come di timori di alcun pregiudizio, preordinando gli strumenti atti a tutelare l'obiettivita' della decisione" (Sent. n. 60/1969). Invece, per i giudici di pace la legge prevede un sistema retributivo fondato sul "cottimo" (un certo compenso per ogni procedimento definito o cancellato dal ruolo o per ogni ricorso deciso) che, anche se non nuoce ai giudici, nuoce all'obiettivita' della decisione e alla credibilita' della giustizia. La retribuzione a cottimo, indubbiamente ha il pregio, ma al tempo stesso il difetto (di gran lunga piu' rilevante del pregio), di far sorgere un interesse personale (incompatibile con la funzione giurisdizionale) non solo a decidere nel minor tempo possibile il maggior numero di cause o di procedimenti ma anche a "favorire" l'incremento delle cause. I giudici retribuiti a cottimo, obiettivamente, sono condizionati nelle loro decisioni ed emettono provvedimenti che ad almeno una delle parti, non di rado, possono apparire "inquinati" da interessi personali. Non puo' peraltro escludersi che alcuni giudici, probabilmente pochi, per non apparire "interessati", possano emettere o emettano provvedimenti in contrasto con il loro personale interesse ma che non emetterebbero se non fossero retribuiti a cottimo. Ma anche in tal caso i provvedimenti emessi sono o sarebbero "viziati"... Sulla retribuzione a cottimo per i giudici di pace, alcuni anni fa (25 ottobre 2005), alcuni membri del Consiglio superiore della Magistratura - aderenti al Movimento per la Giustizia - hanno lanciato un allarme: "Gli effetti anomali del sistema di retribuzione (prevalentemente a «cottimo») dei giudici di pace costituiscono costante e prevalente causale dei rilievi deontologici che interessano i magistrati onorari, di cui il plenum e' giudice disciplinare. Nonostante il limite previsto di recente per le indennita' dei giudici di pace (72.000 euro annui), continuano a pervenire segnalazioni di condotte finalizzate ad incrementare l'utile economico attraverso autentiche distorsioni della giurisdizione. Si tratta di condotte che ... imporrebbero una seria revisione normativa delle modalita' di compenso delle attivita' della magistratura di pace.". Non risulta, o almeno non risulta allo scrivente, che la situazione sia cambiata in meglio o che gli aderenti al Movimento per la Giustizia abbiano cambiato opinione. Alcuni giudici ordinari (sia pure onorari) e alcuni giudici tributari, ritenendo la retribuzione a cottimo incompatibile con l'esercizio di una qualsiasi funzione giurisdizionale, hanno gia' richiamato l'attenzione della Corte costituzionale sulle norme che prevedono tale sistema retributivo ma la Corte non si e' mai pronunciata nel merito per mancanza di "rilevanza" nei giudizi a quibus della relativa questione. Sarebbe auspicabile, pero', a parere di questo giudice, che la Corte si pronunziasse per rimuovere una situazione da molti ritenuta abnorme, ma, ovviamente, debbono sussistere i presupposti perche la Corte possa e debba pronunziarsi. Nel caso oggetto d'esame, in base a quanto il Giudice delle leggi ha affermato in una Sua non recente Sentenza, forse pero' sussistono i presupposti perche' la Corte sollevi d'ufficio davanti a se stessa questione di legittimita' costituzionale della norma che prevede la retribuzione a cottimo per i giudici di pace, quanto meno, in particolare dell'art. 11, comma 3-bis, - concernente i decreti ingiuntivi - L. 21 novembre 1991, n. 374. In passato la Corte costituzionale ha affermato infatti che "La Corte puo' sollevare davanti a se stessa in via incidentale una questione di legittimita' Costituzionale solo allorche' dubiti dell'incostituzionalita' di una norma, diversa da quelle impugnata, ma che essa e' chiamata necessariamente ad applicare nell'iter logico per arrivare alla decisione sulla questione che le e' stata proposta: in altri termini, deve trattarsi di norma che si presenti pregiudiziale alla definizione della questione principale e come strumentale rispetto alla emananda decisione" (Sent. n. 122/76). L'art. 11, comma 3-bis, della L. n. 374/91 prevede che al giudice di pace "In materia civile e' corrisposta altresi' una indennita' di euro 10,33 per ogni decreto ingiuntivo o ordinanza ingiuntiva emessi, rispettivamente, a norma degli articoli 641 e 186-ter del codice di procedura civile; l'indennita' spetta anche se la domanda di ingiunzione e' rigettata con provvedimento motivato.". Quindi nel decidere il presente ricorso, per quanto sopra esposto, questo giudice, obiettivamente, non puo' essere o quanto meno non puo' apparire obiettivo e "imparziale". La norma di cui all'art. 11, comma 3-bis, della L. n. 374/91, a parere dello scrivente, e' costituzionalmente illegittima (o quanto meno e' di dubbia legittimita' costituzionale) in relazione ad alcuni principi costituzionali (art. 3 - ragionevolezza; art. 97 - buon andamento ed imparzialita' dell'amministrazione; art. 111, comma 2, giusto processo e imparzialita' del giudice) ma, ovviamente, non e' una norma applicabile nel presente giudizio e quindi non puo' incidere almeno in modo diretto sulla decisione. Tuttavia - come ha riconosciuto la stessa Avvocatura dello Stato intervenuta in un recente giudizio di legittimita' costituzionale concernente il "cottimo" - la citata norma puo' incidere (solo!) "sulla serenita' di giudizio del giudicante". Questo giudice non intende sollevare una questione di legittimita' costituzionale sulla norma che regola il trattamento economico del giudice di pace, certo di una pronuncia di inammissibilita' per "irrilevanza", ma auspica che la Corte costituzionale voglia farlo. Una pronuncia di illegittimita' della norma che prevede il cottimo risolverebbe implicitamente ogni questione concernente il dovere del giudice ad astenersi perche' farebbe venir meno ogni suo interesse personale. Questo giudice, dovendo e volendo non solo essere ma anche apparire obiettivo e imparziale, ma non potendo essere e/o non potendo apparire obiettivo e imparziale, dovrebbe astenersi, ma la sua dichiarazione di astensione non sarebbe "risolutiva" e comunque le norme concernente l'astensione del giudice di pace sono di "dubbia" legittimita' costituzionale per mancanza di razionalita' perche' - se correttamente osservate - potrebbero provocare la paralisi della giurisdizione del giudice di pace. Questo giudice ritiene di dover sottoporre quindi al giudizio della Corte costituzionale l'art. 10, comma 1, della L. 374/1991 e l'art. 51, comma 2, cod. proc. civ. - nella parte in cui detti articoli prevedono che il giudice - anche quando ha un interesse personale collegato con il sistema retributivo (cottimo), deve astenersi in relazione all'art. 3 (ragionevolezza) e all'art. 111, (ragionevole durata del processo) della Costituzione. La Corte costituzionale si e' gia' pronunciata su una questione analoga concernente l'astensione del giudice (Ord. n. 123/99), ma i nuovi e diversi argomenti addotti con la presente Ordinanza (in particolare il collegamento dell'astensione con il sistema retributivo fondato sul cottimo), a parere del remittente, meritano un riesame dell'art. 10, comma 1, della L. n. 374/91 e dell'art. 51, comma 2, cod. proc. civ. e un primo esame dell'art. 11 della L. n. 374/91. L'abolizione del cottimo limitatamente ai decreti ingiuntivi (art. 11, comma 3-bis, L. n. 374/91) per effetto dell'auspicata pronuncia della Corte costituzionale comporterebbe una diminuzione, anche se limitata, della spesa pubblica e non provocherebbe - e' opportuno evidenziarlo - la paralisi degli Uffici del giudice di pace perche' i compensi concernenti i decreti ingiuntivi costituiscono soltanto una parte e neanche quella piu' rilevante dei compensi dei giudici di pace. Trattasi di questione, per quanto esposto, "non manifestamente infondata" ed anche "rilevante" ai fini della decisione del presente ricorso. Se il citato art. 10, comma 1, della L. n. 374/91 e il citato art. 51, comma 2, cod. proc. civ. - dei quali, a parere di questo giudice, non puo' darsi una diversa interpretazione - dovessero essere costituzionalmente legittimi questo giudice dovrebbe astenersi. Invece se l'art. 10, comma 1, della L. n. 374/91 e l'art. 51, comma 2, cod. proc. civ. fossero costituzionalmente illegittimi questo giudice non potrebbe astenersi e dovrebbe pronunciarsi sul decreto con una decisione di accoglimento o con una decisione di rigetto.
P.Q.M. Visto l'art. 23 della Legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara, d'ufficio, «non manifestamente infondata» e «rilevante» per quanto in motivazione la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10, comma 1, della L. 21 novembre 1991, 374 e dell'art. 51, comma 2, cod. proc. civ. - nella parte in cui detti articoli prevedono che il giudice di pace debba astenersi quando sussistono "gravi ragioni di convenienza" e quindi anche quando sussiste un personale interesse del giudice - in relazione all'art. 3 (ragionevolezza) e all'art. 111 (ragionevole durata del processo) della Costituzione. Ordina che gli atti siano trasmessi alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso. Dispone che la presente ordinanza sia notificata a cura della Cancelleria alla parte ricorrente nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle Camere. Milano, 25 gennaio 2013 Il Giudice di Pace: Piscitello